Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus
ANNO XLV numero 11 Novembre 2019
Estrildidi Fringillidi Ibridi
Canarini di Colore
Gli ibridi tra estrildidi, un’annata emozionante
Discorso di base
Ondulati ed altri Psittaciformi
L’Opalino
Canarini Forma e Posizione Arricciati
Sempre sul Padovano
ANNO XLV NUMERO 11 NOVEMBRE 2019
sommario 3
Dalla parte di chi “fa” Gennaro Iannuccilli
Gli ibridi tra estrildidi, un’annata emozionante
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Renzo Esuperanzi
Discorso di base Giovanni Canali
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Pagina aperta Argomenti a tema
Qualche considerazione su un’opera a soggetto ornitologico Ivano Mortaruolo
È nata una stella (2ª parte) Enrique Gómez Merino
Ibridi del genere Carpodacus
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Piercarlo Rossi
Allevare Roseicollis Francesco Faggiano
Sempre sul Padovano
Estrildidi Fringillidi Ibridi
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Canarini di Colore
I gradienti climatici: la temperatura Misa Buzzi
Canarino Arlecchino Portoghese Mario Zampaglione
L’Opalino Giovanni Fogliati
Nuove Regole espositive (2ª parte) Carmelo Montagno Bozzone
Pratica educativa Francesco Di Giorgio
AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it
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Giuseppe Nastasi
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Ondulati ed altri Psittaciformi
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News al volo dal web e non solo
La posta dei lettori
Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 0391-254X (International Standard Serial Number) Autorizzazione del Tribunale di Bologna n. 4396 del 12-3-1975 Stampa: TEP s.r.l. - Strada di Cortemaggiore, 50 29122 Piacenza - Tel. 0523.504918
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Canarini di Forma e Posizione Arricciati
Orni-flash
Direttore Responsabile: Antonio Sposito Caporedattore: Gennaro Iannuccilli Collaboratori di Redazione: Giovanni Canali, Renzo Esuperanzi, Maurizio Manzoni, Francesco Rossini
Coadiutore Editoriale: Lorenza Cattalani
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Le quote abbonamento vanno versate, mediante vaglia o assegno, alla Segreteria. Le opinioni espresse dagli Autori non impegnano la Rivista e la sua Direzione. La Redazione si riserva il diritto di non pubblicare o emendare gli articoli proposti. I collaboratori assumono piena responsabilità delle affermazioni e delle immagini contenute nei loro scritti. Vietata la riproduzione, anche parziale, se non espressamente autorizzata. © F.O.I. In copertina: Diamante zebrato x Diamante codarossa (Aidemosyne modesta x Neochmia ruficauda) Foto: PHILIPPE ROCHER
Editoriale
Dalla parte di chi “fa” di G ENNARO IANNUCCILLI
È
uso comune e, purtroppo, molto diffuso lamentarsi delle cose che non vanno, auspicando miglioramenti e soluzioni che dovrebbero provenire sempre dagli “altri”, se non dal “cielo”. Questo atteggiamento lo annoveriamo nella vita di tutti i giorni. Soprattutto di questi tempi, ma più o meno costantemente, è sempre continuo il grido di contestazione verso gli aspetti che riguardano il nostro vivere comune: la cattiva politica, la mala-sanità, le problematiche ambientali, il caro-vita, ecc. Il fatto di voler criticare tali ambiti senza avere idea di come poterli sostanzialmente migliorare, dal punto di vista generale può avere una sua valenza, poiché non tutti hanno specializzazioni tali da poter proporre o trovare soluzioni; di contro, tale atteggiamento non rappresenta un esempio calzante al nostro mondo ornitologico dove ci sono, senza dubbio, dirigenti di associazioni, raggruppamenti e rappresentanti federali incaricati a prendere decisioni per il bene di tutti i soci, ma dove tutti gli appassionati di ornitologia, allevatori esperti e/o giudici, potrebbero e dovrebbero essere in grado di dare il loro contributo per intervenire là dove si segnala un problema.
Purtroppo dobbiamo constatare che spesso, a fronte di attacchi verso (verosimili?) problematiche denunciate, eventuali errate condotte gestionali di aspetti che riguardano il nostro movimento, ipotetica non corretta applicazione degli standard da parte dei giudici e via discorrendo, non si riscontrano – nella quasi totalità dei casi – idee, proposte e percorsi da seguire per cercare di migliorare tali questioni. Viene talvolta (più di frequente, recentemente) da pensare che tali aspre critiche vengano scagliate artatamente solo per colpire qualcuno in particolare, o magari un intero gruppo/categoria operante all’interno del mondo FOI. Un altro esempio che credo sia opportuno ribadire anche in questa occasione, è il perenne reclamo da parte di taluni circa la mancanza di articoli interessanti (a loro dire) sulla nostra rivista federale. È una situazione che prosegue senza soluzione di continuità, un ritornello che si ripete all’infinito, cantato quasi sempre dalle stesse persone. A queste, viene da domandare come mai non si siano mai prodigate nel redigere un seppur breve e conciso testo, magari chie-
Scorcio di un Campionato Mondiale
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Editoriale
L’allestimento di una Mostra
dendo collaborazione alla sempre disponibile redazione o a qualche amico/persona più esperta. E, comunque, non è sempre il caso di persone che hanno difficoltà nello scrivere, poiché poi le vediamo magari comporre e pubblicare lunghi e articolati “post” sui social a tema, o finanche su blog personali, denotando buone capacità di stesura dei testi. Fortunatamente, c’è l’apprezzamento di chi non scrive pubblicamente ma gradisce la qualità elevata e finanche eccelsa di articoli che vengono mensilmente pubblicati: sappiamo che questi lettori sono la maggioranza silenziosa e, soprattutto per loro, ci sforziamo di dare il nostro contributo editoriale all’ornitologia amatoriale. Non abbiamo bisogno di complimenti ma farebbe piacere condividere feedback positivi con gli autori che si impegnano per puro volontariato a inviare in redazione articoli, alcuni dei quali davvero notevoli, in grado di accrescere il nostro livello cognitivo. Spesso accade di ascoltare frasi come: “Si poteva fare meglio… si poteva fare di più…”, dove il “meglio” e il “di più” non viene neanche lontanamente definito, focalizzato. E così, ci troviamo spesso a discutere della tipologia delle mostre, salvo poi non esporre mai queste idee illuminate che vengono millantate in discussioni virtuali, dove si buttano giù concetti senza logica e senza freno, non considerando aspetti fondamentali che regolano tali manifestazioni. Per non parlare delle invettive lanciate talvolta contro i giudici – ai quali si chiede una sempre maggiore specializzazione, senza tener presente il notevole impegno da loro profuso pur di soddisfare la riuscita anche
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della più piccola mostra; non si pensa mai al fatto che a volte alcuni giudizi potrebbero essere falsati da una non ottimale illuminazione dei locali – dovuta magari a fattori meteorologici non preventivati, o ad altri fattori imponderabili insiti nello svolgimento di tale compito, svolto spesso sotto pressione per il rispetto di tempistiche talora molto ridotte. Come si potrà notare, basterebbe porsi per un attimo “dall’altra parte”, cercando di capire (o almeno di intuire) come si svolgono determinate attività, qual è l’impegno di chi si offre volontariamente per dirigere un’associazione, coordinare un raggruppamento, organizzare una mostra ornitologica, un convegno, un’azione divulgativa; di chi si presta a viaggiare sul territorio nazionale – talvolta in situazioni non proprio agevoli – pur di esprimere giudizi analitici dei soggetti portati a concorso dagli allevatori, alimentando la passione espositiva che è il cardine dell’ornitologia sportiva; di chi si occupa di studiare per migliorare gli indirizzi di selezione e redigere gli standard tecnici delle varie specializzazioni; di chi si impegna a tradurre in preziosi articoli la propria esperienza e il proprio sapere per il solo e semplice piacere di condividerli con gli appassionati lettori; di chi si dedica - in una sorta di reale full immersion al governo e alla gestione della Federazione, sapendo di ricevere comunque critiche “strombazzate” al massimo volume e, all’inverso, apprezzamenti sussurrati però a voce bassa. Fa parte del gioco, anche se è un aspetto poco piacevole. Certo, questo invito a mettersi nei panni di chi si espone in prima persona, con la propria faccia, per cercare di comprendere cosa c’è dietro il nostro – comunque meraviglioso – impegno ornitologico (inclusi eventuali errori di percorso, inevitabili) è rivolto solo a coloro che esprimono le proprie critiche senza secondi fini, senza pregiudizi o condizionamenti di sorta; in alternativa, non vale neanche la pena di parlare, scrivere o pubblicare tali considerazioni, perché saremmo di fronte a persone in malafede o proiettate ad attaccare tutto ciò che concerne l’organizzazione del nostro movimento, per motivi di altra natura (forse anche psicologica) che non è il caso di analizzare in questa sede. Ci sono tante cose da fare per continuare ad alimentare il nostro hobby, la passione che ci accomuna e che qualcuno vorrebbe forse far affievolire sostenendo presunte teorie animaliste contro ogni tipo di allevamento, seppur etico e condotto nel rispetto del benessere dei soggetti allevati. Ma tra noi c’è chi, ancora, preferisce un atteggiamento ostile, invece di unirsi e schierarsi propositivamente dalla stessa parte per combattere il sottile ma penetrante pensiero denigratorio nei confronti di chi alleva (correttamente) uccelli a scopo ornamentale.
Editoriale C’è da contrastare la legge che, per mera noncuranza degli addetti all’applicazione di normative, ci accomuna ancora agli allevatori di volatili da reddito, gettandoci in un calderone che diventa pericoloso gestire, soprattutto in alcuni casi (vedi emergenza aviaria ecc.). C’è sempre più urgenza di organizzare incontri e occasioni divulgative, per contribuire – ora più che mai – a seminare la passione ornitologica ai più piccoli e non solo; c’è da ottimizzare la comunicazione del nostro movimento FOI verso l’esterno, per farci conoscere, riconoscere e accreditare come una “forza” di veri ornicoltori, motivati da profonda voglia di partecipazione. Se tutte queste attività non verranno condivise dalla base degli allevatori, che costituiscono le associazioni territoriali e di conseguenza la FOI, se si preferirà continuare a lamentarsi inutilmente di tutto, invece di esprimere critiche costruttive (sempre ben accette) e proporre fattibili soluzioni nel rispetto delle regole, allora il nostro cammino diventerà sempre più difficile e destinato a percorrere sentieri impervi per continuare a sopravvivere. Bisognerebbe guardare la FOI non come “qualcosa” di proprietà di “qualcuno”, ma intenderla come realmente è: la casa di tutti noi, anche di quelli che a volte non condividono l’operato di chi la gestisce, nei suoi vari livelli strutturali. La speranza, che è anche una certezza, viene da tutti coloro – ancora tanti – che esprimono il proprio contributo fondamentale attraverso più forme di partecipazione, ognuno in base alla rispettiva possibilità e capacità di azione: gli allevatori che si impegnano a portare i propri soggetti alle mostre, i soci che si mettono a disposizione per contribuire alla realizzazione di eventi ornitologici, i presidenti (a vario titolo) e i loro collaboratori che si prendono la responsabilità di rappresentare le associazioni, i raggruppamenti, le commissioni tecniche, l’ordine dei giudici, fino ad arrivare al vertice della FOI. E anche tutti coloro che, senza avere incarichi particolari, occupano ampia parte del proprio tempo a comunicare, scrivere articoli per la nostra rivista, rendendosi disponibili a parlare nelle scuole e in altri momenti di contatto con la gente che ancora non conosce la nostra bella realtà. Ecco, per continuare a realizzare il nostro sogno alato, diventa necessario – ma dovrebbe essere naturale – schierarsi convintamente dalla parte di chi “fa”, senza se e senza ma, con l’unico desiderio di dare il proprio contributo – piccolo o grande che sia ma ugualmente indispensabile per il nostro futuro da scrivere insieme ed evitare, quindi, di trovarsi assediati dal “fuoco amico” di chi alimenta sentimenti negativi contro un fantomatico nemico che queste persone dovrebbero, forse, trovare e sconfiggere in loro stessi.
Una vita nella F.O.I., una vita per la F.O.I. Esperienze di Associazionismo vero
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n lungo periodo della mia vita è trascorso all’interno di un’Associazione ornitologica. All’età di diciassette anni ne ero già Socio ed a soli diciannove ne divenni il Presidente. È stata una impareggiabile esperienza di vita, un incremento continuo di relazioni umane, di rapporti di amicizia, di passione per l’allevamento, di confronti sportivi, di tanti sacrifici – ricordo a proposito le trasferte senza fine per raggiungere le mostre per sostenere le prove di allievo Giudice –, di fortissime emozioni ed anche di dispiaceri e di inquietudini. Tutto ciò mi ha formato anche come uomo, facendo di me una persona migliore, sempre propensa verso il prossimo, attento alle esigenze degli altri e con il costante desiderio di stare sempre in mezzo agli altri, in condivisione, in interazione. Quello che oggi rappresento per la F.O.I. è il frutto di tutto questo, è il frutto di un percorso graduale ed ordinato, senza bruciare le tappe, nell’assoluto originario convincimento di avere avuto la possibilità ed anche la fortuna di entrare nella Casa giusta, in una Casa accogliente, nella Casa di tutti gli Allevatori amatoriali d’Italia, nella mia Casa. Ed anche quando si sono presentate le avversioni, le difficoltà, non ho mai pensato neanche per un istante che quella Casa non fosse più mia, non fosse una realtà per la quale valeva la pena impegnarsi anche a costo di sacrificare la propria famiglia, il proprio lavoro. Oggi Casa F.O.I. è anche Casa di chi nel passato era transitato per altre esperienze, aveva liberamente scelto di entrare a far parte di un’altra casa. Poi il tempo ha fatto il suo corso ed ha reso possibile la presa di coscienza che quell’altra casa era fredda, senza focolare perché non aveva le fondamenta nella passione, ma si originava da un pervicace desiderio di rivalsa, da un apparire e non da un essere, da una forma senza sostanza. Ed ora cosa si fa? Si va a bussare sommessamente all’uscio della porta della Casa Madre, con il capo chino e cosparso di cenere, chiedendo di entrare e di sedersi in ultima fila? O ancor prima si chiede se vale la pena avanzarla quella richiesta? Ebbene la domanda viene avanzata. Colui che la riceve la accoglie, apre le porte della Casa Madre, anzi le spalanca, poi la condivide, chiede supporto al Territorio ed il Territorio risponde alla grande, apre le braccia, spiana la strada. Risorgi Enamus, fai la tua strada, questa è anche la tua Casa, tu sei una di Noi, uguale a Noi. Questa è stata l’esperienza Enamus! Auguri Enamus, auguri per la tua prima Mostra ed ancora cento di queste mostre! ANTONIO SPOSITO, PRESIDENTE FOI
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ESTRILDIDI - FRINGILLIDI - IBRIDI
Gli ibridi tra estrildidi, un’annata emozionante testo e foto di Renzo Esuperanzi
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li Estrildidi mi sono sempre piaciuti ed il loro allevamento mi ha costantemente appassionato. Ho sempre avuto un debole per il colore azzurro e fin da bambino rimanevo incantato quando ai mercati vedevo i Cordon Blu. Gli Estrildidi mi piacevano anche perché tra loro ce n’erano di molto piccoli e per questo avevo una sorta di venerazione per i Becco di Corallo e per i Guancia Arancio, allora disponibilissimi. La mia prima avventura riproduttiva ha riguardato i Diamanti Mandarino bianchi, per poi passare ai Padda (sempre bianchi). Successivamente ho scoperto il Diamante di Gould che con i
suoi colori violenti mi ha decisamente stordito, anche se c’era qualcosa che mi disturbava: il viola sul petto. Tra me e me pensavo: chissà come sarebbero belli se il petto fosse di un altro colore, magari azzurro. Anni dopo comparve la mutazione petto bianco e fui, praticamente, accontentato. Quando ero adolescente frequentavo abitualmente l’allevamento di Settimio
Gli Estrildidi mi piacevano anche perché tra loro ce n’erano di molto piccoli
Coacci e scoprivo gradualmente il mondo degli uccelli, accrescendo anche la mia passione per gli ibridi che Settimio di volta in volta mi andava decantando. Tra questi, in particolare, citava Guttato x Padda, Cappuccino Tricolore x Padda e Guttato x Mandarino, da lui realizzato occasionalmente perché non riusciva a trovare femmine di Diamante Guttato. Stimolato dal mio mentore, avendo già in allevamento una bella femmina di Padda, cercai da un negoziante un maschio di Cappuccino Tricolore e tentai l’impresa. Il soggetto in questione era di una bellezza assoluta e cantava continuamente nel tentativo di corteg-
Ibrido maschio agata/mascherato di Diamante mandarino x Diamante zebrato
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giare i passeri del Giappone ed i Domino che erano nella gabbia insieme a lui. Sistemato nella gabbia con la Padda, si affiatò immediatamente con lei. La coppia mi regalò un bell’ibrido maschio con il quale mi tolsi diverse soddisfazioni alle mostre, dove a quei tempi c’era un’unica categoria dedicata agli F1 di esotico x esotico. Da allora, qualche coppia di Estrildidi l’ho sempre avuta, in particolare Diamante Guttato, Diamante di Tanimbar e Diamante di Gould. Alcuni anni fa ho ampliato il piccolo allevamento a casa di mia madre ed ho provato con alterne fortune anche con il Diamante di Peale, il Diamante di Kittlitz, il Diamante Pappagallo, il Diamante di Bichenow, il Diamante Zebrato ed il Diamante Codarossa. Siccome la mia passione per l’ibridazione è atavica, nel 2017 mi sono cimentato anche con qualche coppietta ibrida e, grazie alla consueta disponibilità dell’amico Sergio Lucarini, ho rimediato un maschio di Cappuccino Beccogrosso ed un bel maschio di Diamante Mandarino mascherato. Avendo a disposizione 4 gabbie, ho formato una coppia di Cappuccino Beccogrosso x
Ibrido pezzato di Cappuccino becco grosso x Passero del Giappone
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Passero del Giappone Bianco (unica femmina che avevo di buona struttura), una coppia di Diamante di Gould petto bianco TR x Diamante di Kittlitz, una coppia di Diamante Mandarino grigio dorso chiaro guancia nera, portatore di mascherato x Diamante Guttato ed una coppia di Diamante Mandarino mascherato x Diamante Zebrato agata. Cappuccino Beccogrosso x Passero del Giappone Bianco La Passera ha iniziato a deporre in ottobre, ma le uova feconde sono state quelle delle ultime due covate (inizio anno), quando dalla qualità del piumag-
Qualche coppia di Estrildidi l’ho sempre avuta, in particolare Diamante Guttato, Diamante di Tanimbar e Diamante di Gould
gio sembrava che la grandis stesse per andare in muta. Mi accorsi che qualcosa era cambiato perché il maschio collaborava all’incubazione delle uova, cosa che non aveva mai fatto. Dei 6 piccoli svezzati (tutti maschi), 2 erano scuri come siamo abituati a vederli; uno aveva ali e coda bianchi, 2 erano pezzati sotto la gola ed un altro (il più bello) aveva una pezzatura bianca che gli copriva basso petto e ventre. Diamante di Gould petto bianco TR x Diamante di Kittlitz La Kittlitz ha deposto un’infinità di uova, feconde al 20% anche in relazione al fatto che deponesse in maniera irregolare. Soltanto un uovo si è schiuso e fortunatamente l’ibrido è vissuto e si è rivelato maschio. Sono stato in trepidante attesa per capire cosa fosse, fino a quando gli sono spuntate alcune piumette blu sul petto. Ha fatto un’ottima muta, favorita dal fatto che apprezzasse molto sia le fette di cetriolo che gli fornivo, sia la vaschetta per il bagno. Purtroppo, poco prima del periodo delle mostre è andato nuovamente in muta e non ho potuto esporlo.
Ibrido maschio di Diamante di Gould x Diamante di Kittlitz
Diamante Mandarino grigio dorso chiaro guancia nera x Diamante Guttato Questa coppia, affiatatissima da subito, mi ha regalato svariate uova feconde dalle quali sono nati 10 ibridi, in parte allevati dai genitori. Dalla prima covata ho ottenuto un maschio non mutato ed una femmina mascherata (il maschio era portatore). Dalla seconda covata sono nate 3 femmine dorso chiaro. Dalla terza covata ho ottenuto ancora 3 femmine dorso chiaro. Dalla quarta covata ho ottenuto una femmina mascherata e, quando le speranze di fare un altro maschio stavano svanendo, ecco che la Guttato muore dopo aver deposto il primo uovo della quinta covata. Da quell’ovetto è nato il secondo maschio ancestrale che, molto più rotondo del fratello, ha ottimamente figurato alle mostre.
uniformi tra loro. Essendo tutti agata portatori di mascherato, hanno un colore di fondo nocciolino molto accattivante su cui ben figura la fron-
te rossa ereditata dallo Zebrato. I disegni del Mandarino sono ben rappresentati sia sui fianchi sia sulle guance sia sul petto. Alle mostre ho esposto quello più sbilanciato verso lo Zebrato grazie ad una bavetta piuttosto netta ed estesa ed anche lui si è difeso bene. Non ho potuto esporre lo stamm perché a metà ottobre un paio di soggetti sono andati in muta. Tutti i piccoli sono stati allevati dai genitori che, chissà perché, uno o due per covata, li espellevano dal nido appena nati, allevando senza problemi gli altri. Come si può desumere da questo breve racconto, gli ibridi tra Estrildidi mi hanno decisamente dato soddisfazione e quando li osservo non smetto mai di scoprirne i fantastici disegni. Siccome li tengo uno per gabbia, così come quelli tra Fringillidi, non nascondo di passare più tempo ad osservare i primi, scoprendomi a fantasticare continuamente su nuovi accoppiamenti per gli anni a venire. Poiché la fantasia è il motore della vita di noi allevatori, posso dire che questa esperienza abbia contribuito non poco a ravvivare una passione che stava un po’ sbiadendo.
Ibrido maschio di Diamante mandarino x Diamante guttato
Diamante Mandarino mascherato x Diamante Zebrato agata Questa coppia ha generato 7 ibridi, 6 maschi ed una femmina. I maschi sono venuti strepitosi per colore e per disegno, anche se non completamente
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CANARINI DI COLORE
Discorso di base
Il tipo più importante è il nero, che sarebbe poi nero-bruno
testo di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZO e FOI
S
tanno arrivando nuove mutazioni, direi talune anche interessanti, tuttavia, proprio per questo, non dobbiamo dimenticare il concetto fondamentale del tipo base. Attenzione quindi alle novità, ma da inquadrare sempre in riferimento ai tipi base. I tipi base sono convenzionalmente: nero, bruno, agata ed isabella. Il tipo più importante è il nero, che sarebbe poi nero-bruno, poiché è il tipo selvatico, al quale bisogna fare sempre il primo riferimento, si badi che ho detto sempre. Inoltre il nero è la colonna portante della linea degli ossidati, vale a dire: neri e bruni. Subito dopo abbiamo l’agata o nero diluito, che è la colonna portante di tutta la linea dei diluiti: agata ed isabella o bruno diluito. Si badi che questi concetti, sarebbe riduttivo definirli importanti, sono proprio fondamentali. Partendo dal nero-bruno selvatico, notiamo un disegno specifico di eumelanina nera, non raro, in quanto presente in modi più o meno simili anche in altre specie. Il disegno nella penna è centrale lungo la rachide. Convenzionalmente parliamo di marcature in: remiganti, timoniere, alula, grandi copritrici delle primarie, grandi copritrici (che attengono alle remiganti secondarie e terziarie) e copritrici della coda. Definiamo vergature quelle delle medie copritrici. Tutto il resto del disegno è indicato come striature o strie. Pertanto troviamo le striature su tutte le penne tettrici (nel nostro am-
Nero bianco, foto: E. del Pozzo
biente erroneamente definite piume), sulle piccole copritrici e copritrici marginali. Ho messo ordine nelle definizioni, in considerazione del fatto che spesso certi aspetti sono confusi o ignorati; non sempre vengono considerate alula, piccole copritrici e copritrici marginali. Attenzione che su vecchi testi le vergature vengono definite della spalla. Orbene la spalla non c’entra, trattasi come dicevo di medie copritrici dell’ala. Sospetto che talora si faccia anche confusione fra vergature e marcature dell’alula. Credo sia bene guardare con attenzione le marcature dell’alula e delle grandi copritrici delle primarie. Questo perché in diverse specie hanno colori simili ed anche nel canarino possono essere particolari, ad esempio nel perla sono assai spesso simili. Le grandi copritrici delle primarie sono sulla stessa linea delle altre grandi copritrici, ma hanno forma diversa, lanceolata, e non mutano in prima muta, per questo vanno differenziate. Non potendo dilungarmi sul piumaggio, consiglio di vedere dei testi di alto livello, potrebbe essere utile anche l’articolo: “Occhio alla penna” di G. Canali e G. Ferrari su Italia Ornitologica n°8\9 ag./sett. 2016. Partendo dal nero-bruno si nota un’evidente differenza fra il selvatico ed il domestico selezionato. Nel selvatico il disegno non è lungo e l’eumelanina nera del becco e di piedi è modesta. La feomelanina è di contorno, ed abbastanza evi-
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dente. Nel domestico, in seguito a selezione, il disegno del tipo nero è più accentuato: lungo e largo, purtroppo la feomelanina è combattuta e selezionata negativamente, da qui il cambiamento del nome da nero-bruno a nero, becco e piedi molto neri. Nel nero si cerca un disegno completo con le caratteristiche sopra indicate. Nella selezione del nero si nota in modo evidentissimo la multifattorialità dell’espressione delle melanine. Grazie alle mutazioni, si nota che i vari geni coinvolti spesso agiscono sia sull’eumelanina che sulla feomelanina, talora anche sulle melanine dell’occhio. Già le diverse mutazioni indicano la presenza di numerosi geni (circa una decina di mutati, alcuni maggiori, più moltissimi geni complementari o modificatori) più altri non ancora mutati. Anche non considerando le mutazioni, è palese l’elevatissima condizione poligenica o multifattoriale, che dir si voglia, dell’espressione delle melanine. Nei neri domestici troviamo diverse espressioni quantitative del nero come del bruno. Anche la presenza stessa del disegno cambia; sono noti soggetti deboli o privi di striature sui fianchi,
Bruno bianco
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anche la testa spesso manifesta carenze di disegno. La lunghezza e la larghezza del disegno possono variare molto. Si può andare da soggetti così poco tipici da somigliare a degli agata, a soggetti ottimi sotto ogni aspetto. Si notano forti differenze selezionabili anche nel rapporto quantitativo fra eumelanina nera e feomelanina bruna, questo nonostante la rilevante presenza di geni pleiotropici che agiscono sia sulla eumelanina che sulla feomelanina. Tuttavia oltre un certo limite, la selezione contro la feomelanina finisce col danneggiare anche l’eumelanina, proprio per queste pleiotropie. Allevatori accorti non esasperano questo aspetto e assortiscono le coppie con almeno uno dei due partner con una certa quantità di feomelanina. Becco e piedi, più o meno neri, sono parzialmente indipendenti, dall’espressione del disegno. Di fatto si vedono talora soggetti scadenti come disegno, ma con ottimi becco e zampe: non li ritengo validi. Soggetti con disegni ottimi, ma con becco e piedi scarsi di nero, sono certo difettosi, ma, per me, abbastanza validi. In altri termini ritengo primario il disegno.
Insomma il nero è difficile da gestire per l’elevatissima multifattorialità, anche complementare (geni modificatori), che incide non solo sulla quantità delle melanine a tutto campo, ma anche in modo localizzato. Abbiamo poi il tipo bruno, per descriverlo basterebbe dire che in seguito a mutazione di isabellismo, recessiva e legata al sesso, l’eumelanina nera è trasformata in eumelanina bruna. Attenzione al fatto che l’eumelanina bruna è molto più scura della feomelanina bruna e si differenzia in modo netto. Il disegno si esprime in modo uguale al nero, becco e piedi sono brunastri. Attenzione anche al fatto che nei bruni la feomelanina bruna di contorno è gradita ed importante, anche se, incredibile a dirsi, c’è chi non la vorrebbe... i bruni senza bruno! Becco e piedi sono brunastri nei migliori, ma l’effetto è molto minore rispetto al nero dei neri, non a caso ci si fa meno attenzione. Negli accoppiamenti è utile effettuare, ogni tanto, incroci fra nero-bruni, portatori di bruno (se maschi) e bruni. Questo aiuta a mantenere un buon disegno. Certo però ci vogliono dei nero-bruni veri, con elevata feomelanina, non certo gli appariscenti neri con bruno ridotto al minimo. La perdita dei veri nero-bruni è un vero problema, non solo per i bruni ma anche per certi tipi aggiunti come il phaeo, sempre più “chiuso”, cioè con disegno al negativo debole e quindi un effetto troppo patinato. L’agata è dato da una mutazione recessiva e legata al sesso. C’è elevatissimo l’effetto di geni modificatori autosomici (non legati al sesso). Si verifica una rilevante diluizione delle melanine. Nei migliori, le strie sono ridotte, si parla di disegno spezzato, spesso descritto a chicco di riso, ma in realtà dovrebbe essere più sottile di tale chicco. Attorno alle strie, ma anche a vergature e marcature, si forma un alone diluito, detto anche “mandorla”. Il disegno deve essere di un nero concentrato e lucido, e non deve degradare verso il grigio. L’agata va inteso come un ottimo nero diluito dalla mutazione agata, non come un aspirante brutto nero. Becco e piedi, nei migliori non presentano più melanina e sono quindi carnicini. Quando ad agire è il solo carattere del
gene maggiore il risultato è scarso e talora l’espressione si può perfino avvicinare a quella di un pessimo nero. Quando l’azione dei geni modificatori è massima, invece si ha l’aspetto tipico. I difetti più comuni sono in parte quelli del nero, come le carenze localizzate. Disegno lungo e presenza di feomelanina elevata, sono pure difetti molto gravi. Anche becco e piedi possono avere tracce di nero, specialmente la punta del becco e le unghie. Trattasi di difetto molto grave. Ovviamente la selezione dell’agata esclude accoppiamenti con ossidati, bensì in purezza o eventualmente con isabella. L’isabella è il quarto tipo base, ma non è una mutazione, bensì l’interazione di bruno e di agata. Segue la linea selettiva dell’agata. L’unica differenza che deve esserci con l’agata è che l’eumelanina nera diventa bruna, di un bruno di tono minore rispetto a quello del tipo bruno, ma comunque nettamente più scura della feomelanina bruna e non deve essere sbiadita. Si può dire che il disegno dell’isabella è nocciola, mentre la feomelanina bruna di contorno, molto diluita, diventa caffelatte chiaro. I difetti sono gli stessi dell’agata, mutatis mutandis. Quindi i più difettosi potrebbero somigliare a dei pessimi bruni. L’accoppiamento migliore è con l’agata per mantenere un ottimo disegno, ma si può accoppiare anche in purezza, magari senza insistere troppo. Quando esce una nuova mutazione, ritengo sia necessario uno studio a tutto campo, vale a dire che si deve capire come agisce la nuova mutazione, sia osservando i mutati stessi, sia i loro fratelli normali. Un ottimo sistema per capire la migliore espressione è di vedere la qualità dei fratelli classici. Certo questo non basta ma è già moltissimo. Bisogna valutare se la mutazione ha dei geni modificatori o se è ad espressività variabile. Per questo è sempre utile osservare i fratelli, ma anche le caratteristiche del mutato stesso. Ricordo le grandi difficoltà con l’ali grigie. Non si capiva perché e come uscisse l’ali grigie: solo nel pastello, ma non legato al sesso. Qui, scusate, devo rivendicare un mio merito: non mi districavo sull’ali grigie, ma una sera presi in mano un testo di zootecnia che
mostrava il disegno delle pellicce dei ratti incappucciati, che andavano dal quasi nero al quasi bianco, con contorni non netti e con tutta una gamma intermedia. Fenomeno causato da geni modificatori, esclamai: “ma questo è l’ali grigie”! Successivamente preparai lo storico articolo che spiegava l’arcano (con grande faccia tosta, andai anche a disturbare un genetista dell’università di Parma per avere conferma, almeno teorica) coinvolgendo Gasparini, che nel frattempo aveva esteso l’effetto ali gri-
gie anche al dorso, caratteristica all’epoca non ancora ottenuta (“Il fattore ali grigie” I. O. n°8/9 1982). Peccato che all’estero non abbiano compreso il meccanismo e parlino di mutazione. Vi possono essere aspetti ingannevoli che bisogna considerare. Ad esempio, la feomelanina può essere ridotta sia dai geni modificatori (utili nell’agata) sia da una carenza di codificazione di altri geni; insomma può essere scarsa di per sé, oppure ridotta dall’effetto agata. Se un nero somigliasse ad un agata, si po-
Isabella intenso giallo, foto: E. del Pozzo
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Agata bianco, foto: E. del Pozzo
trebbe pensare all’effetto agata, ma se avesse un ottimo disegno da nero e con poca feomelanina dovremmo pensare ad altro. Un ulteriore aspetto del genere è che a volte si fanno coincidere selezioni diverse; nel bruno pastello, per ridurre il disegno si selezionano i geni modificatori, il che è correttissimo, ma talora si seleziona contro il disegno in quanto tale, agendo su altri geni che possono incidere anche sui classici, il che è un espediente. Vi sono anche aspetti di espressività variabile praticamente incontrollabili che si manifestano, come logico, solo nel mutato ma non nei fratelli classici. È il caso dello jaspe; infatti, i fratelli classici non presentano nulla di strano anche se gli jaspe possono avere toppe di ridotta espressione, quasi da normale. Si è notato anche che fratelli classici possono non presentare penne o unghie acianiche, anche se i fratelli jaspe presentano penne e unghie che sembranoacia-
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Importante è considerare che la selezione può fare molto, ma non di tutto, ad esempio non può far cambiare posizione alle melanine
niche, ma probabilmente sono solo zone ipertipiche. Soluzione alla quale si arriva considerando appunto i fratelli classici. Un esempio di selezione molto rilevante, fra l’altro non corretta (ne ho fatto cenno sopra), lo vediamo nei phaeo bruni, ove i loro fratelli classici sono scarsissimi di disegno e ricchissimi di feomelanina. Fatto certamente non attribuibile alla latenza del phaeo che in altri ceppi (agata) non produce effetto alcuno. Selezioni errate si ripercuotono sui fra-
telli classici in modo rilevante. Un errore generalizzato si ha negli agata: opale, pastello e topazio, ove si è è cercato un disegno molto evidente, quindi poco diluito. Ebbene, i fratelli classici appaiono scadenti per disegno pesante, e non si dia la colpa alle latenze, che non sono prospettabili, come dimostrano ceppi selezionati bene. Semmai qui si dovrebbe parlare di differenza fra l’appariscente ed il vero tipico, rimando all’articolo: “Appariscente, bello, tipico” I. O. n°2 del 2002. A volte, per seguire fini errati o almeno discutibili, in certi tipi aggiunti si fanno scelte che contrastano con il tipo base che deve essere sempre prioritario. È il caso del bruno eumo, nel quale non si gradisce la feomelanina. Sull’ostilità verso la feomelanina si potrebbe disquisire, come ho fatto nell’articolo: “Povera feomelanina” I. O. n°8/9 del 2012. Importante è considerare che la selezione può fare molto, ma non di tutto, ad esempio non può far cambiare posizione alle melanine, quindi non si invochi la selezione per giustificare il mogano rispetto all’opale; il mogano può essere solo una mutazione, visto che la selezione non potrebbe riportare nella pagina superiore della penna la melanina che l’opale abbassa. La selezione può solo aumentare o ridurre, entro certi limiti. È pure necessario saper ben distinguere i difetti del tipo base da quelli del tipo aggiunto. Importante il caso dell’opale: un nero opale intenso (quelli veri, non i fasulli intermedi che imperversano), che avesse ottimo disegno da nero, con becco e piedi ben neri ma con poco azzurro sulle penne forti, sarebbe ottimo come nero ma non come opale. Al contrario un nero opale intenso, con disegno debole e poco nero di becco e zampe, ma con molto azzurro, sarebbe ottimo come opale ma non come nero. Questo perché l’azzurro è carattere fondamentale dell’opale. Si consideri sempre la trasmissione indipendente del tipo base e del tipo aggiunto. Valutiamo quindi i nuovi arrivi con la dovuta attenzione e senza condizionamenti, né positivi, né negativi, per le chiacchiere sentite, considerando le mutazioni sia in quanto tali, sia in riferimento ai fratelli classici.
ONDULATI E ALTRI PSITTACCIFORMI
I gradienti climatici: la temperatura testo di MISA BUZZI, con la consulenza della Dr.ssa GIOVANNA ZANARDI, medico veterinario, foto: MISA BUZZI e GIOVANNA ZANARDI
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l pensiero comune è che i pappagalli siano animali appartenenti ai climi tropicali e che quindi non possano vivere in zone climatiche molto più fredde di quelle originarie, ma in realtà i pappagalli sono estremamente tolleranti al freddo e, salvo poche eccezioni, quasi tutte le specie hanno dimostrato di potersi adattare a condizioni climatiche rigide, am-
Sebbene i pappagalli abbiano la capacità di adattarsi a una vasta gamma di temperature, non sopportano gli sbalzi climatici
messo che l’esposizione sia graduale. Per esempio: un uccello abituato a vivere in una casa riscaldata non può assolutamente essere messo in una voliera esterna al freddo improvvisamente e senza un adeguato processo di inserimento e adattamento. Questo perché, sebbene i pappagalli abbiano la capacità di adattarsi a una vasta gamma di temperature, non sopportano gli
Voliera allestita con posatoi e rami freschi naturali
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Fontanella ad alimentazione solare, ottima nei caldi mesi estivi
sbalzi climatici. Quindi, se si pensa di inserire un pappagallo abituato a stare in casa in una voliera esterna è necessario farlo nei mesi estivi, quando la temperatura è mite, in modo che l’animale possa avere il tempo di acclimatarsi e prepararsi alla venuta del freddo. Contemporaneamente, è altrettanto importante variare adeguatamente anche la sua dieta. Per i pappagalli pet che vivono in casa la temperatura non è generalmente un problema, ma per gli uccelli che vivono in voliere esterne è invece un fattore molto importante da considerare, sia se si trovano ad affrontare inverni rigidi, con esposizione a basse temperature, sia se le temperature sono alte durante i mesi estivi. Qualche accorgimento nei mesi invernali per pappagalli alloggiati in voliere esterne: - La voliera dovrebbe avere il tetto parzialmente coperto ed essere protetta almeno sui lati più esposti al vento:
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dei pannelli di policarbonato trasparenti, che non blocchino la visuale dell’esterno, sono ideali. - Per le voliere di maggiori dimensioni si può pensare di creare una zona chiusa, che funga da rifugio dal freddo e dalle intemperie, o delle casette di legno per la notte (eventualmente senza fondo, se non si vuole stimolare la cova). In questo modo i pappagalli potranno scegliere se stare all’esterno (nelle ore più calde) o al coperto. - È importante poter garantire nella voliera lo spazio necessario per volare, in modo che i pappagalli possano tenersi caldi anche facendo movimento, possibilmente fornendo anche in inverno rami freschi e fronde (scelte fra quelle sempreverdi più adatte), in modo che gli animali possano tenersi occupati e muoversi. - È meglio evitare di utilizzare posatoi di plastica o, peggio ancora, di metallo. Oltre a essere di diametro
fisso, e quindi dannosi per le zampe, questi materiali non sono termicamente isolanti: al contrario, sono buoni conduttori e mantengono la temperatura esterna, diventando roventi in estate se esposti al sole e gelidi in inverno. Posatoi di corde o legno sono sempre da preferire, scegliendo dei rami naturali tra quelli considerati sicuri. Il legno è infatti un materiale termoisolante: non si raffredda o riscalda quindi in base alla temperatura esterna ed essendo un cattivo conduttore di calore permette al pappagallo appollaiato di riscaldare col proprio calore il punto in cui si trova. - La dieta è un fattore fondamentale da considerare e il primo da variare, se si vuole far trascorrere l’inverno ai propri animali in voliera. È indispensabile fornire loro più grassi, aumentando la percentuale di semi “grassi” e, se si utilizzano estrusi, passare alla formulazione più energetica nei mesi
freddi. È importante mantenere sempre anche una quota di vegetali per evitare stasi o rallentamenti del transito gastrointestinale, con conseguente aumento dei rischi di proliferazione batterica e dismicrobismi. - È necessario fare attenzione anche che l’acqua nelle ciotole o beverini non ghiacci e che sia sempre pulita e disponibile, controllandola e cambiandola spesso. La scelta migliore è utilizzare delle ciotole, in quanto i beverini ghiacciano più velocemente e possono spaccarsi. Anche per questo motivo è utile lasciare a disposizione frutta e verdura, che sono fonti alternative importanti di liquidi, nel caso in cui l’acqua dovesse ghiacciare. Per evitare il congelamento esistono degli speciali dispositivi ad immersione (attenzione però ai pappagalli più distruttivi!). Inoltre, la ciotola dovrebbe essere posizionata nella zona più calda e riparata della voliera.
Parziale schermatura della voliera e arricchimento ambientale
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- Nell’acqua possono anche essere aggiunti dei prodotti integrativi. Meglio rivolgersi al veterinario di fiducia per avere indicazioni precise, in quanto le esigenze di integratori variano in modo individuale da pappagallo a pappagallo, anche in base al tipo di stabulazione. - Alcuni pappagalli usano volentieri le ciotole anche per fare il bagno: nelle giornate più calde, se questa è gradita, può essere messa a disposizione una ciotola per questo scopo. - Ovviamente, nel caso di pappagalli anziani, deplumati o malati è meglio non lasciarli all’esterno, ma alloggiarli in zone riparate e riscaldate. Qualche accorgimento nei mesi più caldi per pappagalli alloggiati in voliere esterne: - Una copertura, almeno parziale, è importantissima anche nei mesi estivi, quando le temperature salgono e il caldo può diventare eccessivo: avere zone di ombra in cui ripararsi è indispensabile. Inserire piante fresche e rami con fogliame è un buon sistema per garantire non
Diopsittaca nobilis alloggiata tutto l’anno in voliera esterna
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È importantissimo prestare molta attenzione a qualsiasi segnale di stress o malessere dei soggetti in voliera
solo sfogo e occupazione, ma anche zone di ombra e frescura. - La voliera non dovrebbe essere mai esposta in pieno sole; un’ottima soluzione è quella di collocare una pianta di grandi dimensioni, che assicuri l’ombra necessaria, a Sud della voliera. Una caducifoglia è ideale, in quanto in inverno, perdendo la chioma, assicura comunque un adeguato irraggiamento solare. - Attenzione alle voliere con paratie metalliche e pavimento in cemento, specialmente se di piccole dimensioni: possono surriscaldarsi in maniera eccessiva in estate e raffreddarsi molto in inverno.
- In estate la possibilità di accedere a fonti d’acqua è fondamentale, non solo per permettere agli animali di bere, ma anche di farsi spesso il bagno e rinfrescarsi. Inserire nella voliera fronde fresche adeguatamente bagnate può incentivare anche gli uccelli più restii a bagnarsi e lavarsi. - Quando le temperature sono elevate è importante cambiare sia la ciotola dell’acqua che quelle del cibo fresco più volte durate la giornata: la frutta, in particolar modo, deperisce velocemente al caldo. Meglio fornire pezzi di frutta di grosse dimensioni, limitando la quantità dei pezzi frullati e delle macedonie. Anche la somministrazione di cibi particolarmente umidi o di miscele di più alimenti differenti va limitata. Sia che si parli di temperature molto elevate che molto basse è importantissimo prestare molta attenzione a qualsiasi segnale di stress o malessere dei soggetti in voliera (come letargia, piumaggio arruffato, tremori o inappetenza) e, in caso, spostare subito gli animali al riparo.
CRONACA
Canarino Arlecchino Portoghese Ultime modifiche Standard espositivo testo di MARIO ZAMPAGLIONE, foto N. D’ANGELO e M. ZAMPAGLIONE
I
n occasione dell’ultimo Congresso COM-OMJ svoltosi a Cervia nell’ottobre 2018, sono state approvate alcune modifiche di standard espositivo dell’Arlecchino Portoghese che la Commisione dei giudici COM-OMJ ha ratificato e reso valido già a partire dalla successiva stagione mostre internazionali, quindi dal 2019. A seguito di questi accadimenti, il Clube do Canario Alrequin Portogues ed il Club Italiano del Canarino Arlecchino Portoghese, nel novembre scorso, ospitati nello Stand della Federazione Portoghese FONP in occasione della mostra internazionale di Reggio Emilia, e approfittando della presenza del Presidente FOI, del Presidente COM, del Presidente OdG e Presidente CTN CFL, nonché di un gran numero di allevatori e appassionati della razza di varie nazioni, hanno organizzato un incontro in cui è stato presentato al pubblico il nuovo standard del Canarino Arlecchino Portoghese.
Nelle disposizioni generali viene considerato quale elemento caratterizzante il “fattore mosaico” che diventa così un elemento fondamentale
l Presidente FOI Antonio Sposito si congratula con gli organizzatori e ringrazia i presenti
Relatori sono stati i giudici COM OMJ George Quintas e Paulo Fernandes che hanno rappresentato in modo chiaro ed esaustivo le voci della nuova scheda di giudizio. E’ stato preparato anche un piccolo depliant, molto utile, tradotto in più lingue. La partecipazione è stata davvero numerosa e non sono mancate domande da parte degli allevatori a cui hanno fatto seguito le risposte dettagliate dei relatori e dei due presidenti dei Clubs specialistici. Sono inoltre intervenuti il Presidente C.O.M. Carlos Ramoa che ha ringraziato il Clubs italiano C.I.C.A.P. e il Club portoghese C.C.A.P. per la loro azione di difesa,
promozione e divulgazione dell’Arlecchino Portoghese ed il Presidente F.O.I. Antonio Sposito, il quale ha ringraziato i presenti e ha speso parole di elogio per l’operato del Club Italiano del Canarino Arlecchino Portoghese impegnato sia in Italia che all’estero nella divulgazione di tale razza intrattenendo ottimi rapporti con Clubs esteri di Specializzazione. Nei primi mesi di quest’anno, su richiesta del Club C.I.C.A.P., a seguito di valutazioni positive espresse della CTN CFPL e dell’O.d.G., il Consiglio Direttivo Federale della F.O.I. ha ratificato le ultime modifiche di standard approvate a Cervia, recependole nei
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Nuovo standard tradotto in Italiano
propri Criteri di Giudizio; saranno quindi valide già dalla stagione mostre 2019 anche per le mostre
nazionali. Vediamo nel dettaglio il nuovo standard espositivo valevole uniformemente quindi sia per le mostre nazionali che internazionali: Nelle disposizioni generali viene considerato quale elemento caratterizzante il “fattore mosaico” che diventa così un elemento fondamentale e che dimorfizza in modo evidente i maschi dalle femmine. Viene così sancita ulteriormente la necessità di prevedere categorie separate per i maschi e le femmine. Il fattore mosaico infatti, con le sue zone di elezione lipocromiche sulla maschera, petto, spalline e codione, differenziando in maniera evidente i maschi dalle femmine, rende anche la competizione impari qualora i due sessi continuassero a gareggiare nella stessa categoria, così come accaduto fino al 2018. Il CDF FOI, su richiesta del Club C.I.C.A.P., sentito il parere favorevole della CTN FPL e dell’OdG, quest’anno ha ampliato le categorie espositive dei Testa Liscia e Testa Ciuffata prevendendo la differenziazione tra Maschio e Femmina. Per contro l’assenza del fattore mosaico diventa quindi motivo di ingiudicabilità. Prima di passare alla trattazione analitica, vorrei sottolineare l’opportunità di approcciare al giudizio dell’Arlecchino Portoghese posizionando le
Copertina del Depliant preparato e distribuito dal CCAP e FONP ai presenti
gabbie da esposizione su un tavolo alto, e di procedere ad una loro valutazione stando in piedi, così da permettere ai canarini di poter assumere più agevolmente la posizione “di lavoro”. Addentriamoci ora nelle parti specifiche che, per facilità di trattazione e comprensione, ritengo più utile e schematico analizzare nell’ordine in cui le varie voci sono disposte sulla scheda a punti F.O.I. Corpo: vale un massimo di 20 punti Il corpo deve risultare allungato, slanciato con spalle leggermente visibili. Il petto leggermente arrotondato, quasi impercettibile. Dorso eretto in linea con la coda. Ali lunghe aderenti al corpo senza incroci che devono terminare unite alla base della coda. Un corpo tozzo, o troppo affusolato, un petto spigoloso, un dorso prominente, ali cadenti o incrociate o troppo corte sono da considerarsi dei difetti. Ciuffo -Testa - Collo: valgono un massimo di 15 punti Il ciuffo (in portoghese Poupa) dovrebbe irradiarsi da un punto centrale del cranio e avere una forma triangolare, come suol dirsi a “tricorno” con il vertice verso il becco e la base verso la nuca. Deve essere simmetrico e non coprire gli occhi o il becco. Nella varietà testa liscia (in portoghese Par) la testa deve essere stretta, allungata, più larga dietro che davanti. Gli occhi devono essere vispi, ben visibili. Il becco forte e proporzionato. Il collo ben delineato, armonioso, staccando la testa dal corpo. Un ciuffo non triangolare, molto voluminoso, che copra occhi e becco, o che sia scomposto, un becco fine o sproporzionato, un collo tozzo che non distacchi la testa dal corpo, sono da considerarsi dei difetti. Taglia: vale un massimo di 15 punti La taglia ideale è 16 cm misurata idealmente dalla punta del becco alla punta della coda. L’Arlecchino Portoghese è una razza pesante, quindi una taglia inferiore o superiore ai 16 cm è da considerarsi un difetto.
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Colore: vale un massino di 15 punti Il colore nell’Arlecchino Portoghese è, con la forma e posizione, un elemento essenziale. Deve essere equilibrato tra parte melanica 50% e lipocromica 50%; quest’ultima componente deve comprendere sia il bianco gessoso che il rosso vivo nelle zone di elezione del fattore mosaico. Quest’ultimo fattore è la causa di un evidente dimorfismo sessuale che vedrà i maschi avere una grande maschera e molto lipocromo rosso su ali, petto e codione, mentre le femmine avranno più sviluppata la parte bianca gessosa e meno quella rossa. La distribuzione melanica/lipocromica che idealmente dovrebbe essere del 50%, può essere presente anche su ali, coda, becco e zampe. La colorazione rossa nell’Arlecchino Portoghese è obbligatoria. Una distribuzione melanica/lipocromica che non si avvicini al 50% o peggio l’assenza di pezzature sia sul corpo che su ali, coda, becco e zampe, nonché la scarsa espressione della colorazione rossa artificiale, sono da considerarsi dei difetti. L’assenza del fattore mosaico è difetto grave da ingiudicabilità. Posizione e movimento: valgono un massino di 15 punti La posizione deve essere eretta a 60°, l’atteggiamento deve essere maestoso. Il corpo ben elevato sulle zampe
e la testa portata in alto. Deve essere vitale, gioioso e agile nei movimenti. Una posizione non eretta (meno di 60°), o peggio troppo eretta (più di 60°), un atteggiamento timoroso o di inadeguatezza alla gabbia da esposizione, un corpo non sollevato sulle gambe, una testa rivolta verso il basso, un soggetto apatico o statico nei movimenti, sono da considerarsi dei difetti. Piumaggio: vale un massimo di 10 punti Deve essere liscio, compatto, serico, lucido e ben aderente al corpo. Un piumaggio scomposto, abbondante, opaco, non aderente al corpo, remiganti e timoniere spezzate o rovinate, sono da considerarsi dei difetti. Zampe e Coda: valgono un massimo di 5 punti Le zampe devono essere forti, lunghe e leggermente piegate. Le tibie ben visibili. La coda lunga, stretta, leggermente biforcuta all’estremità. Zampe corte, verticali, eccessivamente piegate, tibie non visibili, coda corta, larga e non biforcuta, sono da considerarsi dei difetti. Condizioni: valgono un massimo di 5 punti L’igiene deve essere perfetta e il soggetto deve dimostrare un buon adat-
tamento alla gabbia da mostra. Un’igiene carente ed un evidente disadattamento alla gabbia da mostra sono da considerarsi dei difetti. Queste le caratteristiche che deve avere un Arlecchino Portoghese da esposizione; ovviamente per ragioni selettive ogni allevatore ha in aviario anche soggetti non da mostra, tuttavia per l’esposizione si dovrebbero scegliere i possibili futuri campioni tenendo presente questo standard di razza. L’Arlecchino Portoghese si è evoluto molto nel corso degli ultimi anni, ora penso si sia giunti ad uno standard espositivo completo e caratterizzante. Come detto anche agli amici portoghesi, in occasione dell’ultimo incontro a Reggio Emilia, ora ritengo sia il momento di dedicarsi all’allevamento e selezione con questo standard che non va ulteriormente modificato. I continui cambiamenti possono scoraggiare molti allevatori che vedono variare di continuo il loro riferimento selettivo cui ambire. Solo concentrandoci su questo standard ormai definito, completo e particolare, possiamo tutti insieme lavorare per la selezione, divulgazione e diffusione di questa bellissima e variopinta razza di forma e posizione liscia quale è l’Arlecchino Portoghese.
Foto finale di Gruppo tra Allevatori, Giudici e Rappresentanti FOI, COM, CCAP, CICAP
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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI
FORMA & POSIZIONE PARTIAMO DALLE BASI
L’Opalino
La mutazione opalina è caratterizzata da diverse caratteristiche che sono presenti in tutti i soggetti
Testo e foto di GIOVANNI FOGLIATI
N
el 1933 un allevatore scozzese ottenne da una coppia composta da due normali (maschio azzurro e femmina malva), una novella che lui battezzò come “Pezzata Cobalto”. Dalla coppia originale non si ebbero più altri figli mutati e quella femmina fu l’unica ad essere nata. Verso la fine del 1933 i coniugi Ashby della vicina Ayr acquistarono questa Cobalto “pezzato” che descrissero come eccezionalmente grande, con una bella testa e con punti della maschera eccellenti; sebbene la coppia genitrice fosse stata di taglia mediocre. Le peculiarità del mutante erano che la testa, il collo e la nuca si presentavano quasi bianchi con lievi segni di marca-
Maschio Opalino Verde chiaro
Coppia di femmine novelle opalino Grigioverde e Grigio
ture e quasi tutte le Remiganti primarie e secondarie, erano bordate di cobalto al posto del bianco. Il mutante non era un pezzato, ma un Opalino, sebbene la varietà non fosse conosciuta con quel nome se non pochi anni dopo. Sempre in quell’anno questa mutazione apparve anche in Australia. Il nome “Opalino” fu suggerito nel 1936 dal signor R J Byfield di Hobart, in Tasmania, che rimase particolarmente colpito dalla vividezza della livrea esibita da questi uccelli sin dal nido. Descrizione La mutazione opalina è caratterizzata da diverse caratteristiche che sono presenti in tutti i soggetti, sebbene non in tutti con la stessa intensità di espressione. L’effetto più evidente è la rimozione più o meno profonda delle ondulazioni che si estendono su
testa, collo, guance e dorso. Le ondulazioni sulle copritrici sono più grossolane e meno nette che nei Normale, ma mantengono sempre un disegno ben visibile. A partire dalla base del collo si forma gradualmente un’area dello stesso colore del corpo che si estende su tutto il dorso formando una sorta di disegno a “V” tra le ali. In questa varietà le estremità dei barbi delle copritrici assumono lo stesso colore del corpo, sostituendo in maniera più o meno accentuata il colore di fondo (giallo nella serie dei verdi – bianco nella serie dei blu). Questa soffusione del colore del corpo nelle ali produce l’effetto opalescente che ha dato il nome alla mutazione. Le remiganti sono costituite, in ogni ala, da 10 primarie e 10 secondarie. Su ogni Remigante di un soggetto Normale, a partire dalla 2° primaria
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fino all’8° secondaria è presente una banda chiara che ad ala chiusa è invisibile, ma ad ala aperta forma una barra chiara continua. Questa barra è visibile solo sulla parte inferiore dell’ala. Nell’Opalino questa banda chiara è presente su ogni Remigante ed è molto più ampia. Solo la metà distale delle Remiganti è scura, con la zona chiara che si estende dal punto medio fino alla base. Poiché la zona chiara è più ampia, con l’ala ripiegata si forma uno specchio triangolare. Un effetto simile si verifica anche nelle copritrici delle ali primarie e secondarie, e pure nelle sei Timoniere laterali. Le due Timoniere primarie mostrano una zona chiara più o meno variabile lungo l’asse. La maggior parte degli Opalini presenta un colore del corpo più luminoso quasi iridescente rispetto al corrispondente Normale, in particolare nel piumaggio da nido. Ciò è dovuto alla riduzione del contenuto di Femmina Opalino Grigioverde melanina delle barbule delle piume di contorno. Naturalmente anche l’Opalino può La caratteristica finale dell’Opalino è essere combinato con le altre mutail colore delle piume dei novelli da zioni sessolegate (crossing-over). Il nido che sono bianche invece del locus del suo gene è trasportato sul solito grigio, e questo consente di cromosoma Z. identificare gli Opalino in età molto Negli uccelli, il maschio ha due croprecoce. mosomi Z mentre la femmina ha un Caratteristica primaria della mutacromosoma Z e uno W. Quindi nelle zione Opalino nei pappagalli in femmine, qualunque sia l’allele pregenere è una diversa distribuzione tra melanina e psittacofulvina, anche nell’ondulato sostanzialmente avviene la stessa cosa. Maschio Femmina L’ereditarietà La mutazione opalino è legata al sesso e fa parte del gruppo “sex linked” che comprende anche il Cannella, l’Ardesia, gli Ino e il Texas Corpochiaro. Una combinazione particolare di mutazioni sessolegate e fenotipicamente molto bella è l’Ala Merlettata, combinazione da crossing-over tra Ino e Cannella, che ovviamente resta ad eredità sessolegata come le mutazioni da cui deriva.
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sente sul singolo cromosoma Z è completamente espresso nel fenotipo. Le femmine sesso legate non possono essere portatrici per l’opalino (o qualsiasi altra mutazione legata al sesso). Nei maschi, l’allele opalino deve essere presente su entrambi i cromosomi Z (omozigoti) per esprimersi nel fenotipo. I maschi eterozigoti per Opalino sono identici al normale corrispondente e sono portatori della mutazione. Accoppiamenti ideali per ottenere L’opalino Opalino x Opalino Opalino x Normale Normale/Opal x Opalino Opalino x Opalino Cannella Le mutazioni sex linked, come detto, possono combinarsi fra loro: la probabilità di combinazione tra le varie mutazioni varia in funzione della frequenza di ricombinazione (crossing-over) e dipende dalla distanza genetica tra i corrispondenti loci, essendo diversa per ogni singola combinazione. I maschi Opalino Cannella hanno un allele mutato Cannella e un allele mutato Opalino (su entrambi i cromosomi Z), le femmine come abbiamo visto solo sull’unico cromosoma Z che hanno. Di seguito la tabella riassuntiva delle varie combinazioni di accoppiamento:
Maschi
Femmine
Opalino
Opalino
Opalino
Opalino
Opalino
Normale
Norm/Opalino
Opalino
Normale
Opalino
Norm/Opalino
Normale
Norm/Opalino
Opalino
Opalino
Opalino
Norm/Opalino
Normale
Norm/Opalino
Normale
Norm/Opalino
Opalino
Normale
Normale
Normale
Normale
Normale
Normale
ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI
Nuove Regole espositive Stagione Mostre 2019 - C.T.N. E.F.I. SECONDA PARTE di CARMELO MONTAGNO BOZZONE, foto S. OLGIATI e M. SCORNAVACCA
uesta seconda parte, riguardante le novità espositive del Collegio di Specializzazione EFI, introdotte a partire da questa stagione Mostre 2019, abbiamo deciso di dedicarla esclusivamente agli Ibridi. Un settore, quello degli Ibridi, che registra molto interesse ed a cui abbiamo dedicato buona parte degli sforzi profusi per renderlo ancora più attraente.
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Cardellino tschusii x Cantore d’Africa, foto e all. Martino Scornavacca
Delibera n°7 del 2018 (ratificata dal cdf-foi in data 24/11/2018): Esponibilità degli ibridi Intragenere. Si dispone che a partire dall’attuale stagione mostre 2019 vengano accettati nelle manifestazioni espositive, gli ibridi INTRAGENERE o INTERSPECIFICI, frutto di tutte le possibili combinazioni fra specie diverse (eccetto le sottospecie) anche se appartenenti allo stesso Genere. La medesima proposta è stata avanzata dalla nostra CTN-EFI anche in ambito COM e durante la riunione COM/OMJ di Cervia, Settembre 2018, è stata accettata con larga maggioranza. Pertanto, dalla stagione mostre 2019, viene superata la precedente regola sulla ammissibilità espositiva degli Ibridi, anche in ambito COM, che vietava (tranne esplicite eccezioni) l’esposizione di specie ibride, generate da parentali appartenenti allo stesso Genere. Con l’introduzione di questa nuova regola non sarà comunque possibile esporre ibridi INTRASPECIFICI (GENERATI DAGLI ACCOPPIAMENTI FRA LE SOTTOSPECIE). Ricordiamoci che in passato è stato possibile esporre alcuni ibridi appartenenti allo stesso Genere grazie a delle deroghe
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disposte ad hoc dalle precedenti CC.TT.NN.- EFI. Basti pensare al Genere Carduelis al cui interno erano contemplate molte specie tra cui Carduelis carduelis, Carduelis chloris (oggi Chloris chloris), Carduelis spinus (oggi Spinus spinus), carduelis cannabina (oggi Linaria cannabina), Carduelis flammea (oggi Acanthis flammea), Carduelis flavirostris (oggi Linaria flavirostris), Carduelis cucullatus (oggi Spinus cucullatus), Carduelis atrata (oggi Spinus atrata), la cui loro ibridazione è stata resa possibile grazie a delle esplicite deroghe
rone (Carduelis citrinella) che oggi non sarebbe più possibile realizzare, mentre ieri lo era visto, che il Venturone veniva classificato appartenere al Genere Serinus. Stessa considerazione per l’ibrido Cardellino x Venturone corso (Carduelis corsicana). Così come, se non fosse stata fatta una deroga ad hoc (nel Settembre 2017) durante il precedente mandato di CTN-EFI (Presidente Francesco Faggiano) non avremmo più potuto esporre l’ibrido di Ruficauda (Neochmia ruficauda) x Diamante Zebrato (Neochmia modesta) visto che fino a qualche anno fa il
Verdone maschio diluito omozigote, foto Simone Olgiati
(varate dalla CTN-EFI a guida Gianni Ficeti) che ne hanno permesso la loro esposizione a concorso. Viceversa oggi, alla luce delle recenti modifiche nel sistema binomiale cui sono state riclassificate molte specie ornitiche, basandosi non più su criteri morfologici ma sulla base delle caratteristiche del DNA, molte specie (anzi moltissime) hanno subito travasi in seno ad altri Generi e di conseguenza non sarebbe più stato possibile poter esporre ibridi fino a ieri considerati esponibili. Basti pensare all’ibrido Cardellino (Carduelis carduelis) x Ventu-
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Diamante Zebrato apparteneva al Genere Aidemosyne mentre oggi è stato inserito nel Genere Neochmia. Per contro, il travaso di alcune specie riversate in Generi diversi, oggi avrebbe permesso l’esponibilità di alcuni Ibridi prima vietati. Basti pensare a molte specie prima appartenenti al Genere Serinus e che oggi sono stati riclassificati e distribuiti in tre Generi diversi Serinus, Carduelis e Crithagra. Tali specie, provenienti dal Genere Serinus (che per ovvi motivi di spazio non è possibile elencare) oggi però
appartenenti a questi tre Generi, anche senza l’introduzione di questa nuova regola che permette di esporre gli Ibridi INTRAGENERE O INTERSPECIFICI, si sarebbero potuti Ibridare fra loro solo perché sono stati riclassificati dal sistema binomiale corrente, mentre prima non erano ibridabili visto che risultavano classificati tutti all’interno del Genere Serinus. Pertanto, se non avessimo proposto la presente delibera, avremmo dovuto enunciare ulteriori deroghe al fine di poter continuare a vedere ibridi che oggi non sarebbero più ammissibili, mentre prima lo erano e allo stesso tempo ci sarebbero stati ibridi che ieri non erano ammissibili mentre oggi lo sarebbero diventati. Se lo scopo principale che ha mosso in passato le regole nella branca ibridologica è stato quello di evitare l’inquinamento genetico delle specie (appartenenti allo stesso Genere) che attraverso l’ibridazione avrebbero prodotto prole fertile, ci si chiede: non ci saremmo dovuti porre la questione anche ieri, allorquando abbiamo accettato delle regole in deroga che con la loro eccezione hanno permesso l’ibridazione fra specie appartenenti allo stesso Genere (vedi il Genere Carduelis)? L’ibrido Cardellino (Carduelis carduelis) x Verdone (ex Carduelis chloris) è stato possibile esporlo finora grazie ad una deroga, visto che entrambi i parentali appartenevano precedentemente al Genere Carduelis. Così come l’ibrido Ruficauda (Neochmia ruficauda) x Diamante Zebrato (Neochmia modesta). Ci sarebbe anche da ridire sui molti ibridi che oggi non sarebbe più stato possibile realizzare (alla luce del loro attuale travaso nello stesso Genere). Cardellino (Carduelis carduelis) x Venturone (Carduelis citrinella) è uno dei tanti ibridi, che oggi senza l’attuale regola, non sarebbe più possibile poter esporre. E siamo sicuri che da qui a qualche decennio non vi saranno ulteriori riclassificazioni di altre specie che oggi si trovano collocate in Generi diversi e domani potrebbero diventare non più ibridabili? Vorremmo aggiungere che, ad oggi, molte specie di comune allevamento domestico hanno già il proprio patrimonio genetico inquinato (non più
puro) a causa del travaso di molte mutazioni operate in passato tra una specie e l’altra. Inquinamenti genetici che emergerebbero soltanto con accurate analisi del DNA ma non certamente dall’analisi di criteri morfologici (fenotipo). In natura il piumaggio del canarino selvatico non è interessato da pigmento rosso. E se è vero che abbiamo avuto bisogno del Cardinalino del Venezuela (Carduelis cucullata - oggi Spinus cucullata) per traslare il fattore rosso ai canarini domestici, non stiamo indirettamente accettando la conseguenza che in ambiente domestico potrebbero esistere patrimoni genetici non più puri? Vogliamo citare le varie mutazioni apparse nei verdoni asiatici? Si vuole forse negare che sono state traslate dal Verdone europeo? O ancora tutte le mutazioni traslate fra il Lucherino Europeo (Spinus spinus) e i Lucherini Esotici (Spinus magellanicus, notatus etc.) Restando in argomento è doveroso sottolineare che, nonostante sia stata ratificata la presente delibera che entrerà in vigore già da questa stagione mostre 2019, vengono accettati nelle manifestazioni espositive, ibridi INTRAGENERE, frutto di tutte le possibili combinazioni fra specie diverse anche se appartenenti allo stesso Genere. Continuano a non essere esponibili gli Ibridi generati fra parentali appartenenti alla stessa specie (Ibridi tra sottospecie o INTRASPECIFICI). Giusto per fare qualche esempio, ricordiamoci che la moderna Tassonomia, classifica l’Organetto come unica specie “Acanthis flammea”, e ne contempla 5 sottospecie (compresa la specie nominale): 1) Acanthis flammea flammea 2) Acanthis flammea cabaret 3) Acanthis flammea exilipes 4) Acanthis flammea hornemanni 5) Acanthis flammea rostrata Alla luce di questa Delibera non sarà possibile comunque esporre ibridi generati fra due qualsiasi sottospecie di organetti. Questi sono considerati meticci. Questa nuova regola permette, quindi, di esporre ibridi generati fra Specie diverse (facilmente riconoscibili dal fenotipo) e non Ibridi
generati fra sottospecie (meticci). Analoga considerazione va fatta per tutte le specie che contemplano al loro interno delle sottospecie, a prescindere dal Genere di appartenenza. In linea generale non sarà possibile esporre ibridi INTRASPECIFICI, generati fra sottospecie (Nota 1). Delibera n°9 del 2018 (ratificata dal cdf-foi in data 24/11/2018): Definizione degli Ibridi a fattore Rosso e conseguente loro Colorazione. Rimangono confermate le regole di base esistenti in argomento, per la
Onde evitare antiestetiche tonalità arancio, la colorazione artificiale (rossa) non va applicata neppure accoppiando soggetti con differente lipocromo (giallo x rosso). Vi sono poi due fringillidi che sul piumaggio hanno sia il pigmento rosso, sia quello giallo: stiamo parlando del Cardellino e del Verzellino fronte rossa. In questo caso sarebbe bello che i loro ibridi ereditassero al massimo sia le zone di elezione gialle, sia quelle rosse. Dato che, per far risaltare al massimo le zone rosse andrebbe applicata la colorazione artificiale
Cardinalino del Venezuela maschio diluito s.f., foto Simone Olgiati
colorazione degli ibridi. Durante il Giudizio, sarà valutata l’adeguatezza della colorazione artificiale, da parte del Giudice, in funzione delle caratteristiche fenotipiche dei parentali che hanno generato l’ibrido ed ovviamente la colorazione anomala deve essere decisamente penalizzata nella voce colore, senza andare ad influenzare altre voci della scheda. Accoppiando 2 soggetti a fattore rosso, la colorazione artificiale (rossa) deve essere applicata, mentre non deve essere applicata nel caso di accoppiamento tra 2 soggetti a fattore giallo.
andando inevitabilmente ad inquinare anche le parti in cui il piumaggio è giallo, si rende necessario applicare delle regole che permettano di garantire un buon risultato estetico dell’ibrido. In pratica, gli ibridi con il Cardellino ed il Fronterossa vanno colorati se scaturiscono da accoppiamenti con soggetti a fattore rosso (Cardinalino, Ciuffolotto, Organetto, Crociere, ecc.) o senza lipocromo manifesto (Cantore d’Africa, Alario, ecc.), mentre non vanno colorati se nascono da accoppiamenti con Specie a fattore giallo (Verdone, Venturone,
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Alario di Damara x Cardinalino del Venezuela (ibrido a fattore rosso), maschio, foto e all. Martino Scornavacca
Lucherino testanera, etc.). Accoppiando Cardellino x Verzellino fronterossa, l’ibrido che ne scaturisce non va colorato artificialmente. L’Ibrido di Cardellino x Alario va colorato artificialmente. Per quanto riguarda gli Ibridi tra il Cardellino con la canarina bianca o a fattore giallo, non è accettata alcuna colorazione, mentre con le canarine a fattore rosso, si può accettare una moderata colorazione che interessi in particolare la maschera e solo lievemente lo specchio alare. La colorazione non deve mai essere esagerata ed estendersi molto al di fuori delle zone di elezione, non deve essere violacea e non deve mai interessare le zone cornee. Delibera n°11 del 2018 (ratificata dal cdf-foi in data 5-6-7/04/2019): Rivisitazione della anzianità espositiva degli Ibridi in classe A. Questa CTN-EFI ritiene che l’attuale regola generale, che limita per gli Ibridi la loro esponibilità alle mostre per un periodo di non più di 4 anni, sia molto penalizzante e pertanto si è deliberato che a partire da questa stagione mostre 2019 sarà permessa l’esposizione degli stessi in classe A,
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senza limiti di età. La disciplina ibridologica è una branca che genera meraviglia e stupore. Rappresenta l’arte umana di riprodurre ed allevare soggetti unici ed a volte impossibili. In tutte le mostre, il settore espositivo riservato agli Ibridi è sicuramente l’unico ad essere visitato indistintamente da tutti gli appassionati, siano essi allevatori di canarini di colore, di forma e posizione o di pappagalli. Gli Ibridi non esprimono mai la loro bellezza fenotipica nei primi anni di età, anzi più invecchiano e tanto più diventano accattivanti. Così come gli ibridi rari, o quelli quasi impossibili, che allorquando vengono riprodotti generano una eco che procura enorme attrazione espositiva. Ogni Ibrido ha delle caratteristiche fenotipiche proprie che, nella maggior parte dei casi, divergono anche da quelle che si riscontrano nel fenotipo dei propri fratelli, tant’è che non sono mai stati stilati degli standard espositivi. Le caratteristiche peculiari degli ibridi quasi mai sono sovrapponibili ad altri; tutte queste considerazioni fanno sì che un ibrido sia considerato unico nella sua tipicità. Non ci stancheremo mai di ammirare
sia gli ibridi rari ed irripetibili, che quelli classici, perché comunque ognuno di loro sarà sempre considerato un esemplare unico ed irripetibile. La principale valenza di un Ibrido è quella espositiva, ed essendo vietata la esponibilità degli ibridi INTRASPECIFICI generati da parentali appartenenti all’interno della stessa specie (Meticci), quasi mai un ibrido da esposizione può risultare fecondo. Pertanto, il valore di un ibrido non risiede nella sua capacità di trasmettere agli eredi il proprio bagaglio genetico e non sarebbe semplicistico affermare che, allorquando cessa di esistere la possibilità espositiva di un Ibrido, automaticamente decade l’interesse per l’Ibrido stesso in quanto, chiudendo nei 4 anni la propria carriera espositiva, si perderebbe la ragione stessa di esistere. Un Ibrido non nasce per mettere su famiglia. La principale ragion d’essere di un Ibrido risiede nella propria valenza espositiva. Peraltro, impedire con la limitazione espositiva temporale dei 4 anni la ragion d’essere, non si valorizza certamente l’arte di allevare ed esporre questi animali che sono notoriamente robusti e longevi. Perché godere soltanto per 4 anni di simili bellezze ed attrattive che costituiscono vanto della ornitologia amatoriale? Perché impedire la esponibilità di un ibrido raro anche dopo i 4 anni di età? Né tantomeno risulta ragionevole giustificare l’attuale limitazione espositiva dei 4 anni, appellandoci alla circostanza che un Ibrido bello e raro non darebbe spazio di vittoria agli altri concorrenti meno importanti. Chi penserebbe mai di limitare, in una qualunque disciplina agonistica umana, lo spirito sportivo di un atleta vincente? Non si tagliano le ali a chi è capace di volare più in alto di tutti! Un Ibrido, così come un atleta sportivo, si autoesclude dalle competizioni, con l’avanzare della propria età. Zampe e parti cornee sono le prime zone del corpo a registrare i segni dell’età che avanza, ma non solo. Con gli anni, anche il piumaggio non sarà più tanto serico da renderlo attraente alla vista del Giudice. Lasciamo quindi che sia il
progredire della propria età ad escluderlo dalle competizioni espositive. Si ritiene inoltre che un prolungamento della carriera espositiva degli ibridi, oltre i 4 anni, non leda assolutamente agli attuali valori delle manifestazioni espositive, anzi l’allevatore di ibridi, vedendosi riconosciuto un ulteriore valore aggiunto alla carriera del soggetto, è incentivato ad esercitare tale pratica. Alla luce di queste considerazioni, ma anche per favorire l’aumento del numero di ingabbi nelle mostre Ornitologiche nelle categorie dedicate agli Ibridi, si è deliberato di permettere l’esposizione degli stessi in classe A, senza limiti di età. Prima di congedarci da questa carrellata di novità, ci preme ricordare a tutti che la CTN-EFI agisce con unanime proposito nell’intento di apportare qualità al nostro settore ma all’insegna del sano divertimento, quale obiettivo principe di ogni Hobby!! Nota (1) A tal proposito la C.T.N.-E.F.I. ha preparato un elenco molto dettagliato, di tutte le specie appartenenti alle Famiglie dei Fringillidi e degli Estrildidi (le 2 maggiori famiglie allevate in ambiente domestico) che contemplano al loro interno delle sottospecie, citando a sua volta, attraverso il nome scientifico, tali sottospecie, che non sarà possibile ibridare fra loro. Per motivi di spazio non è stato possibile pubblicarlo in questo articolo, ma chiunque fosse interessato, può farne richiesta al Presidente della C.T.N.-E.F.I., Carmelo Montagno all’indirizzo mail carmelomontagno@libero.it che provvederà ad inviarne copia in formato .pdf
Verdone femmina pastello, foto: Simone Olgiati
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CANARINI DA CANTO
Pratica educativa di FRANCESCO DI GIORGIO, foto GIANLUCA MARSON
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nche nell’hobby della canaricoltura da canto esiste un duplice apprendimento: per recezione e per scoperta. Sinteticamente potremo dire che recezione significa avere davanti tutti gli elementi e assimilarli, mentre scoperta significa disporre solo di una parte degli elementi e pervenire per proprio conto al possesso di altri elementi. Un contenuto di apprendimento è tanto più significativo, quanto più profonda e articolata è la relazione che lo lega alla struttura cognitiva del soggetto. Recezione non significa passività, qualora da un lato il materiale da apprendere sia potenzialmente significativo, dall’altro il soggetto lo metta in relazione con la sua struttura cognitiva. L’istruzione sulle modalità dell’apprendimento scolastico è condizione necessaria ma difficilmente sufficiente per diventare un buon canaricoltore/cultore del bel canto. Ugualmente importante, oltre all’attitudine, all’interesse, all’impegno e alla motivazione di base è un adeguato tirocinio pratico con supervisione. Ha perciò scarso fondamento la credenza diffusa che, con una buona valutazione e con l’innato senso comune, ogni allevatore/preparatore di buona volontà può essere senza dubbio in grado di prendere le decisioni giuste nel gruppo-scuola. Molte “verità” del senso comune sono plausibili nel senso che potrebbero essere vere come potrebbero non esserlo. L’insegnamento e l’apprendimento non sono coincidenti: infatti gli allievi possono imparare senza che venga loro direttamente insegnato, vale a dire da soli; ed anche se l’insegnamento è chiaramente appropriato, non garantisce necessariamente alcuna acquisizione se
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L’istruzione sulle modalità dell’apprendimento scolastico è condizione necessaria ma difficilmente sufficiente per diventare un buon canaricoltore/cultore del bel canto
gli allievi sono disattenti, non motivati o intellettualmente impreparati. Le teorie dell’apprendimento e dell’insegnamento sono interdipendenti piuttosto che reciprocamente eslusive. L’apprendimento non è sotto una campana di vetro, ma si ha solo con altri individui. I livelli raggiunti non devono mai essere usati come criterio per escludere dalla scuola gli allievi fermi ad un livello inferiore, si devono trovare nuove vie per motivarli adeguatamente e per trasmet-
tere loro i contenuti in maniera più efficace. Se il tipo di linguaggio cantato che l’allievo ascolta è troppo rapido per essere capito, serve ben poco a migliorare la sua capacità di comprendere le melodie rappresentate. Le generalizzazioni non possono essere rappresentate o “date” all’allievo, se l’allievo non possiede una precedente e recente esperienza in merito a quelle. Il compito di selezionare, organizzare, presentare e trasmettere i contenuti di una data materia in modo adeguato al livello di sviluppo degli allievi richiede molto studio. L’apprendimento recettivo di contenuti significativi è forse la forma più comune di apprendimento. La misura in cui l’apprendimento recettivo è veramente attivo dipende in gran parte dal bisogno dell’allievo di integrare i contenuti e dalla forza della sua capacità autocritica. Lo sviluppo cognitivo riflette l’influenza di tutti i fattori ereditari, di tutte le precedenti esperienze e della maturazione delle capacità cognitive. Esiste un’età, e una connessa “prontezza”cognitiva, per ogni tipo di apprendimento, per cui posporre l’apprendimento al di là di questo momento significherebbe sprecare delle notevoli e spesso insospettate possibilità di apprendimento. D’altro canto, quando un allievo è forzato prematuramente ad un compito di
apprendimento, prima di essere veramente pronto ad affrontarlo, non solo non riesce ad impararlo, o vi riesce a prezzo di difficoltà sproporzionate, ma da questa esperienza impara anche a temere, detestare e evitare il compito. Le prove raccolte su animali e su esseri umani dimostrano che la deprivazione ambientale iniziale ostacola lo sviluppo intellettuale. Ci sono brevi periodi dell’autogenesi in cui si formano e si modellano facilmente determinati tipi di comportamento. Agnellini appena nati in cattività, allevati artificialmente e isolati per dieci giorni dalla pecora, mostrano più tardi difficoltà ad adattarsi al gregge e tendono a pascolare da soli. Analogamente, i cuccioli tenuti in isolamento per nove settimane e oltre non sono capaci di socializzare con altri cani. Un’anatra isolata appena nata segue predissequamente il primo oggetto, la prima creatura che si muove. Così, i Canarini che non riescono ad acquisire le abilità canore nel momento più opportuno saranno handicappati per sempre ai fini di una loro acquisizione successiva. In generale, l’intelligenza diventa via via meno malleabile con l’aumentare dell’età. E vi è un netto decrescere di entusiasmo intellettuale, audacia ed elasticità, man mano che i giovani Canarini avanzano nella carriera scolastica. Per ogni livello di età degli allievi esiste un’ampia gamma di differenze individuali. Quindi, ogni individuo in fase formativa deve essere stimolato al livello adatto alle sue potenzialità e incoraggiato ad apprendere un ritmo ed essere commisurato. Gli allievi lenti, a cui si permette di imparare al loro ritmo individuale, acquisiscono una base più profonda di conoscenze, e mantengono anche un morale più alto di quando sono costretti a procedere e a dibattersi ad un ritmo che supera la loro capacità. Le idee che vengono imposte con la forza agli allievi o che vengono accettate passivamente e acriticamente non possono essere significative nel vero senso del termine.
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Argomenti a tema
Mi chiamo Matteo, sono appassionato sia di canarini che di razze autoctone di altri avicoli. Seguo discussioni sul canarino italico da un po’ di tempo e ho letto del lavoro del signor Balestrazzi; ammiro il suo impegno e la sua passione ma mi lascia perplesso il cercare di ricostituire una razza partendo da un nucleo di soggetti somiglianti a dei ricordi di infanzia e senza una ricerca genetica su questa popolazione. Da quel che so, il signor Balestrazzi ha cercato collaborazione di istituti o organismi, con i mezzi e opportunità di effettuare questa ricerca, ma senza suscitare alcun interesse. Io credo che per la Federazione italiana, per la comunità dei canaricoltori, l’indotto ecc., sarebbe un orgoglio poter vantare una razza nazionale in più, specialmente una razza che vanta una così grande importanza storica (anche se misteriosa e leggendaria) e culturale. Lei non conosce qualche istituto interessato a questa ricerca sugli ormai ultimi possibili discendenti di questa antica e nobile popolazione, prima che spariscano per sempre? La ringrazio
32 NOVEMBRE 2019
Egregio sig. Matteo, purtroppo non conosco istituti come quelli da Lei auspicati, ma anche trovandoli, temo che potrebbe mancare la base sulla quale effettuare la ricerca. Per ragioni di età ho qualche parziale ricordo dei canarini comuni italiani, e ne ho avuti almeno 3, inoltre ne ho parlato anche con allevatori più anziani di me. Temo che non vi sia più alcun residuo di popolazione pura. Dico popolazione e non razza, anche se sarebbe accettabile, poiché il canarino comune italiano non venne mai selezionato in modo mirato e non venne mai considerato come razza vera e propria. Purtroppo veniva considerato come una sorta di “bastardino”, anche se non era tale. Per la verità non aveva alcun carattere particolare che potesse suscitare interessi selettivi. Vero è che talora i caratteri particolari sono piuttosto delle deformità o anomalie, che sarebbe meglio lasciar perdere. Per questo io non vedo di buon occhio alcune razze. In ogni caso sarebbe stato difficile, anche se non impossibile, redigere uno standard che fosse ben riconoscibile e da seguire. Il canarino italico, come morfologia, somigliava all’attuale canarino di colore; semmai il petto era meno ampio e più carenato, forse era anche leggermente più lungo. I colori erano principalmente il giallo, seguito da pezzati e verdi (oggi si direbbe pezzati neri e nero gialli). Erano presenti anche bianchi ed ardesia dominanti (oggi nero bianchi dominanti) e loro pezzati, tuttavia non saprei dire se il bianco dominante, ivi presente, fosse originale da mutazione autonoma o immesso. C’erano anche dei ciuffati. Certo con ciuffi non paragonabili a quelli ben selezionati, ma taluno anche non male, ne ricordo un paio di questi ultimi, ma non garantisco però che fossero soggetti puri. Anche qui non so se il ciuffo fosse originale o immesso. Certo, all’epoca non credo fossero molti i ciuffati di razze diverse in Italia. Anche la categoria è un problema. Non saprei dire se vi fosse l’intenso o se fossero tutti brinati, ricordo solo brinati. In caso fossero stati tutti brinati, avrebbero certo funzionato come i ceppi privi della mutazione intenso, come la razza malinois. Vale a dire, senza fenomeni degenerativi in caso di accoppiamento in purezza fra brinati; infatti, i loro piumaggi erano del tutto normali come struttura ed anche la brinatura era normale. Direi brinatura molto simile a quella dei selvatici. La categoria è aspetto molto delicato, veda l’articolo: “L’unicità della mutazione intenso” I. O. n°8/9 del 2018.
Ritengo anch’io che lo sforzo del sig. Balestrazzi sia apprezzabile, purtroppo però non mi sento di essere ottimista sull’esito. Trovare soggetti solo somiglianti temo proprio che non basti. Non ci vuole nulla ad inquinare un ceppo, ma purificarlo è difficilissimo se non impossibile. Inoltre proprio per la sottovalutazione del canarino comune italico, lo si sottoponeva ad ogni tipo di imbastardimento. Inoltre, c’era chi gabellava i meticci così ottenuti come di maggior valore, li chiamavano anche “migliorati”, in realtà erano peggiorati. Ricordo meticci del genere con l’arricciato del sud. Nella mia città, Parma, l’arricciato del sud era molto in voga e spesso si univano maschi di questa razza con femmine di canarino italico o nostrano, come pure veniva chiamato. L’aspetto peggiore fu l’imbastardimento con soggetti a fattori rossi, per l’origine fuori dalla specie di tali fattori. Molti allevatori avevano i canarini italici da usare come balie, ma non li preservavano, né li valorizzavano. A proposito di balie, il canarino italico andava benone essendo ottimo nelle cure parentali. Anzi c’è da dire che, mi è stato assicurato da persone attendibili, talora allevavano tutto l’anno come i piccioni domestici, quando gli veniva consentito. Ritengo che la popolazione del canarino italico o nostrano si sia plasmata in seguito a selezioni, che non erano vere selezioni come quelle che intendiamo oggi. Ritengo che venissero allevati spesso in modo estemporaneo e che solo i più forti sopravvivessero. Ritengo anche che si tenessero solo i più prolifici. Insomma, una roba di tipo spartano, praticata magari anche da persone che non erano veri allevatori, come li intendiamo oggi. Erano anche altri tempi e la coppia di uccellini era più spesso presente nelle case. Per gli studi genetici da lei auspicati, come dicevo, ritengo che sia difficile trovare il materiale, per i motivi sopra indicati, specialmente per l’aspetto delicatissimo della categoria. Vale a dire che temo non ci siano più soggetti puri, ma al massimo somiglianti o con genomi solo parzialmente originali. Senza contare che talora le somiglianze possono ingannare; tanto per esemplificare, io rilevo qualche somiglianza con il nostrano in alcuni malinois, che certo non sono parenti stretti. Del resto la morfologia, quando non è selezionata in una direzione, tende a riecheggiare quella del selvatico, alla quale si assimilano i ceppi di cui sopra. Magari, spesso cambiano le dimensioni, visto il mal vezzo, molto diffuso, di preferire le taglie maggiori. Anche il canarino italico era di taglia maggiore del selvatico; inoltre la taglia variava un poco anche da soggetto a soggetto, come spesso accade. Tuttavia aspettiamo a gettare la spugna, chissà che qualcosa non esca. Non posso però, né tento di farlo, nascondere il mio triste pessimismo. Non posso anche non pensare a ceppi delicati e con scarsa attitudine alle cure parentali, che si vogliono perpetuare con ogni sforzo, mentre una popolazione fortissima e sanissima è andata distrutta, temo definitivamente, perché non apprezzata, in quanto non “strana”. GIOVANNI CANALI
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DIDATTICA & CULTURA
Qualche considerazione su un’opera a soggetto ornitologico Realizzata dal Pittore Johannes Hermans, detto Monsù Aurora testo di IVANO MORTARUOLO, foto AUTORI VARI
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uesto olio su tela (cm 58,5 x 74) è attualmente conservato a Roma presso il Museo Doria Panphilj. L’opera riproduce un peculiare gruppo di ciuffolotti ed è inquadrabile nel genere pittorico chiamato “natura morta”, che conobbe la sua autonomia e sviluppo nel tardo Cinquecento e nel Seicento, variegandosi in numerosi sottogeneri come, per citare qualche esempio, le raffigurazioni di animali, fiori, frutta, tavole imbandite, strumenti musicali. Di Johannes Hermans, l’autore del dipinto, esistono poche, frammentarie e, non di rado, incerte informazioni: viene ipotizzato che sia nato ad Anversa nel 1630 e di lui si hanno notizie fino al 1665. Similmente a un gran numero di artisti europei, Hermans sentì il desiderio di venire in Italia e di stabilirsi per un periodo di tempo a Roma, allora considerata un centro palpitante di cultura, un crogiolo di idee e di scambi di esperienze (tale ruolo propulsivo venne svolto dalla città di Parigi a cavallo fra il XIX e il XX secolo). È nell’Urbe che, fra novembre 1656 e aprile 1658, fu al servizio di Don Camillo Pamphilj Senior (1622-1666), realizzando trentanove quadri (uno soltanto di grandi dimensioni) e riproducendo quasi esclusivamente uccelli, fra cui la tela in esame.
Johannes Hermans: “Ciuffolotti”, olio su tela cm 58,5 x74. Roma, Galleria Doria Pamphilj. Fonte: http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda.v2.jsp?tipo_scheda=OA&id
Allora molti pittori spesso non apponevano la firma ai propri lavori
L’attribuzione di tali opere al nostro artista è stata confermata grazie alla presenza del monogramma “J.H.F.” (Johannes Hermans Fecit) su un dipinto. Ai nostri giorni può apparire strano, ma allora molti pittori spesso non apponevano la firma ai propri lavori, renden-
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Frans Snayders: “Scaldavivande con coppa, un astice e piccola selvaggina”, olio su tavola cm 77 x 107. Wiesbaden, Stadtisches Museum. Si noti la disposizione triangolare del rosso del ciuffolotto, astice e testa del fagiano. Ffonte: Libro “Snayders” di S. Koslow, Ed. Fonds Mercator Paribas
done così, nel corso dei secoli, difficoltosa l’attribuzione della paternità. Dalla documentazione rinvenuta è altresì emerso che Hermans percepì due scudi per ogni quadro piccolo, confermando la consuetudine, esistente a quei tempi, secondo la quale i cosiddetti “naturamortisti” dovevano accontentarsi di compensi modesti. Fra le pochissime eccezioni, vi era il grande Jan Bruegel (1568–1625), detto anche “il Vecchio” o “dei Velluti”, che per le sue composizioni floreali si faceva pagare “profumatamente”. Come anticipato nel titolo di questa nota, Hermans veniva chiamato Monsù Aurora, ma non si hanno notizie sul perché di tale soprannome; sta di fatto che la parola “monsù” costituisce un adattamento dialettale del francese monsieur (signore), che veniva attribuito ai cuochi d’oltre Alpe, ma era anche utilizzato per gli artisti stranieri operanti in Italia (fra i pittori di nature morte del Seicento vi era, per citare qualche esempio, anche Nicasius Bernaerts detto Monsù Nicasio, Willem van Aelst detto Monsù Vanast e Nicolas Baudesson detto Monsù Botteson o Badasson).
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Prima di addentrarci nell’esame specifico dell’opera, può risultare utile evidenziare che i ciuffolotti non frequentemente trovarono ospitalità nelle nature morte, mentre ai cardellini veniva riservata più attenzione, forse perché a loro era stata attribuita una spiccata e diffusa simbologia cristologica (rappresentavano l’anima salvata dal gesto e dalla parola di Cristo, la passione e anche lo stesso Redentore). Inoltre, i ciuffolotti comparivano più spesso nelle opere degli artisti dell’Europa settentrionale (Germania, Belgio e Olanda) rispetto ai dipinti dell’area meridionale (Italia, Francia e Spagna), però mai come protagonisti, bensì inseriti nei contesti pittorici con funzioni integrative, anche dal punto di vista cromatico: detto altrimenti, il rosso piumaggio dei maschi conferiva delle significative accensioni di colore in contesti pittorici tendenzialmente scuri come quelli proposti dagli autori fiamminghi o di orientamento fiammingo. Un chiaro esempio ce lo fornisce un artista di grande talento nato ad Anversa, Frans Snyder (1579-1657), che, nelle sue elaborate composizioni sceniche, sembra delegare a vari oggetti rossi (tovaglie,
frutta, astici, uccelli - in prevalenza ciuffolotti - ecc.) il compito di vivacizzare l’insieme, creando così una sorta di geometria di tale cromia (v. foto). Monsù Aurora ci propone invece un quadro in cui tali volatili sono i protagonisti assoluti e, per marcarne la centralità, rende lo sfondo e il piano di appoggio pressoché uniformi e monocromi, creando così un’immagine ornitica che appare sospesa, una sorta di isola di morte pregna di rimandi simbolici. Il basamento è infatti appena accennato e costituito da una struttura in mattoni con sopra una spessa tavola di legno. Nella parte sinistra dello sfondo filtra una fioca sorgente luminosa che rischiara la parete, la quale però a circa metà quadro si scurisce, verosimilmente per la presenza di un angolo. L’artista fa intravedere tali elementi, ma nel contempo sembra celarli proponendo un’unica base cromatica arricchita da sapienti passaggi tonali, creando così un tutto omogeneo che fa da cornice alla scena. I ciuffolotti, disposti a raggiera, formano con i loro corpi una vaga immagine piramidale. Gli esemplari raffigurati sono tutti maschi e, per ben evidenziare il rosso della parte anteriore, sono collocati supinamente. Ne scaturisce un’esaltazione cromatica potenziata dal biancastro di altre aree del piumaggio che, con il grigio e il nero del becco e della restante livrea, crea un vivido contrasto che però non sembra mitigare l’atmosfera macabra della rappresentazione. A potenziare il senso di morte contribuisce poi un ciuffolotto che giace sul bordo del basamento con la testa penzoloni. È indubbiamente una pittura interessante e a suo modo di pregio, la quale però, a ben vedere, dà l’impressione che all’autore sia mancato un deciso intento descrittivo, in quanto, come abbiamo già evidenziato in una precedente nota, “sembra non spingersi in una profonda ricerca dei particolari”. Per converso, in altre opere, Monsù Aurora dà prova di saper realizzare raffigurazioni con un’ottima capacità mimetica, addentrandosi con successo nella ricerca dei particolari e impegnandosi anche nella realizzazione di dipinti ispirati ad altri gruppi tematici. Infatti,
sebbene acquisì una certa notorietà come pittore di animali e di scene di caccia, realizzò paesaggi ed elaborate panoplie dove convivono frutta, fiori, oggetti vari, animali e figure umane (un esempio è costituito dal dipinto “Fanciullo in atto di rubare un candito e natura morta con oggetti preziosi”, anch’esso custodito presso la Galleria Doria Pamphilj di Roma, v. foto). Un’ulteriore testimonianza della stima di cui godeva il nostro, sembra offerta anche da un documento della seconda metà del Settecento, nel quale si evidenziava che, in una sala del palazzo Pamphilj al Corso, erano collocati cinquantasette quadri di uccelli, parte dei quali verosimilmente realizzati dall’artista su ulteriore richiesta del raffinato Don Camillo Pamphilj o di un suo discendente. Questa importante raccolta di quadri in vario modo con soggetto naturalisticoornitologico, come ben evidenzia Safarik in una sua interessantissima nota, fa ritenere che sia stata creata prevalentemente per scopi decorativi e forse anche didattici, sotto la spinta di una gran passione per l’attività venatoria e naturalmente per l’arte. Tuttavia, nell’opera “I ciuffolotti”, pur essendo concepita per un preordinato progetto arredativo o divulgativo, l’autore sembra abbandonarsi ad un maggior impulso emotivo, dando così spazio a una realtà meno descrittiva ma più densa di contenuti: ne consegue un’atmosfera di gelo complessivo, una sensazione d’impotenza e, guardando con gli occhi di un ornitofilo di oggi, un’irreversibile perdita di creature gioiose ed eleganti. Chi ha avuto la fortuna di allevare questi uccelli conosce il fascino che sanno esercitare. Non a caso un illustre ornitologo, Konrad Lorenz (nel libro “L’anello di re Salomone”), così scriveva: “Non immaginate neppure quale senso di calore e di intimità si sprigiona da una grossa gabbia che alberghi una coppia di ciuffolotti felicemente assortita. Il canto sommesso, un po’ pettegolo eppure distensivo, e il suo modo dignitoso e misurato così perfettamente corretto, di far la corte alla mogliettina, l’attenzione costante di cui la circonda, sono tra le cose più graziose che ci possa offrire una gabbia di uccelli”.
È indubbiamente una pittura interessante e a suo modo di pregio, la quale però, a ben vedere, dà l’impressione che all’autore sia mancato un deciso intento descrittivo
BIBLIOGRAFIA De Marchi A. (2004?) - Johannes Hermans detto Monsù Aurora, in Pittori di Natura Morta a Roma di Bocci G. e U., Ed. Arti Grafiche Castello, Viadana, pp. 67-68. Mortaruolo I. (2005) - Il Cardellino nella pittura, in “Carduelis carduelis” conoscere il Cardellino, Edizioni FOI, Piacenza, pp. 15-25. Mortartuolo I. (2010) - Il ciuffolotto nelle nature morte dei secoli XVII e XVIII, in Il Ciuffolotto e le specie affini di Scarpa D., Ed. Acherdo, Calcinato, pp. 19-28. Safarik E. (1984) - Chi è “Monsù Aurora”, in Scritti di storia dell’arte in onore di Federico Zeri, 2: 718-719.
Johannes Hermans: “Fanciullo in atto di rubare un candito e natura morta con oggetti preziosi (particolare)”, olio su tela cm 120 x 172,5. Roma, Galleria Doria Pamphilji. Fonte: Libro “Pittori di natura morta a Roma” (v. bibliografia).
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ORNITOLOGIA INTERNAZIONALE
È nata una stella
SECONDA PARTE
Il Fanello comune mutazione “Pastello alagrigia spagnolo” testo di ENRIQUE GÓMEZ MERINO (*), trad. di G. FICETI. foto J. BORRAS. Pubblicato da: Nuestros pàjaros n. 42, 4/18 (COE-Espana)
10. Il Fanello comune 10.1 Generalità Il suo nome scientifico Linaria cannabina, precedentemente incluso nel genere Carduelis, si riferisce alla pianta di canapa (Cannabis), i cui semi fanno parte della sua alimentazione; un seme ricco di amminoacidi, di oli ricchi di grassi e proteine, un seme che fornisce salute e vitalità per i nostri uccelli. Il Fanello comune è l’uccello con il maggior numero di nomi o denominazioni in Spagna. Questo è noto come jamaz, zuin, cannaiola, ciuffolotto, ecc. Altri nomi dati dagli allevatori nella nostra geografia sono: liñaceiro in Galizia, passerella in Catalogna, txoka arrunta nei Paesi Baschi, llinacera a Leon, passero a Valencia, ecc. Si chiama Fanello in Italia, linotte mélodieuse in Francia, pintarroxo in Portogallo, linnet nel Regno Unito, hanfling in Germania, knew in Olanda, ecc. 10.2 Descrizione della specie In libertà la testa è grigio cenere; tuttavia, nell’allevamento diventa tendente al bruno. Questa caratteristica potrebbe essere recuperata quando sarà accresciuto l’adattamento alla vita in ambiente controllato dopo diverse generazioni in voliera. Sottili striature marrone scuro dovrebbero presentarsi sulla parte superiore della testa. Una chiara linea di sopracciglio è evidente. Anche una chiara linea subciliare circonda l’occhio nella sua metà inferiore. Un punto chiaro sulla zona parotide è molto particolare nella specie. Hanno una gola biancastra con striature scure longitudinali fini. Il
Un altro bel maschio mutato. Un punto chiaro sulla zona parotide è una caratteristica peculiare di questa specie
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becco è di colore grigio-brunastro con leggero tono azzurrastro, la mandibola inferiore leggermente più chiara ed è corta, forte e leggermente spessa. Nella stagione nuziale il becco diventa molto scuro, con quella singolare sfumatura di piombo brillante. I suoi occhi sono neri. In una stagione di calore la loro corona e il petto sono rossi carminio e diventano rosa con macchie arrotondate (sono chiamati “lune” dagli appassionati) di colore ocra in inverno. Questa caratteristica, estensione e intensità del colore pettorale, anche in libertà, è molto variabile da un esemplare all’altro. Nell’allevamento si ha la convinzione della perdita di questa colorazione pettorale; tuttavia, può essere ridotta molto con una dieta corretta e ricca di carotenoidi. Il dorso è marrone con striature scure. Le copritrici alari hanno un colore bruno rossastro più rossastro del mantello.
La femmina classica con petto e fianco molto striato, è uno dei principali attributi del dicromatismo sessuale della specie
Dettaglio di Ala di e coda di un Fanello comune classico. Vedere il progressivo aumento delle striature bianche delle ali dalle primarie alle terziarie; il disegno della coda inizia dalle piume centrali aumentando il suo spessore verso l'esterno
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Le ali sono marrone molto scuro. Le primarie (9) sono nere rifilate di bianco, le seconde (6) hanno il nero misto con il bruno mentre si avvicinano alle terziarie, che sono castane (3). L’assetto dell’ala nel maschio è più largo che nella femmina. Tutte le remiganti presentano alle loro estremità le macchie chiare tipiche dei fringillidi. Le spalle e la schiena sono di un marrone rossiccio molto scuro. I fianchi sono beige con striature marroni. Il ventre, la zona cloacale e le subcaudali sono color crema. La coda, con 12 piume nere, è lunga e biforcuta e presenta le sue piume esterne rifilate di bianco. Le piume sopracaudali sono nere con i bordi bianchi. La groppa è marrone chiaro con macchie scure. Le unghie risultano melanizzate. Ha una dimensione che può variare da 13 a 14 cm. È di rapidi movimenti, pur se si adatta nel tempo al suo allevatore e ai suoi ambienti. Le femmine, come la maggior parte degli europei indigeni, sono più opache, camuffamento di difesa che le protegge dai loro predatori e nemici. Petto e fianchi sono molto striati e il ventre è color crema. La caratteristica pettorale è molto importante per il corretto sessaggio. Non hanno la colorazione del petto e della fronte che il maschio presenta nella stagione nuziale. Le femmine, in generale, non hanno il colore rossastro della schiena che i maschi possiedono, i loro colori sono meno appariscenti e sono anche leggermente più piccole. In inverno maschio e femmina hanno una colorazione molto simile. La sua livrea non è colorata come quella del Cardellino o di altre popolazioni indigene europee, ma ha un canto molto gradevole, vario e melodioso. I suoi bei toni e le note flautate, i suoi bellissimi trilli gorgoglianti e la sua piacevole musicalità rendono il canto molto apprezzato tra gli allevatori e i dilettanti. Si dice che l’Usignolo sia il tenore delle foreste mediterranee e il Fanello il baritono, perché il suo misto di note varie e melodiose lo rende davvero un erudito del canto silvestre. Molti sono i seguaci che ha
il nostro protagonista, appassionati del suo canto e della sua bravura. Questo lavoro vuole far vedere che il Fanello, nonostante il suo piumaggio di colore discreto, quando abbiamo diverse mutazioni di colore, può diventare un bellissimo uccello ammirato da tutti gli amatori della fauna europea. 10.3 Sottospecie Ci sono 7 sottospecie di Fanello sparse in tutta Europa, Asia e Nordafrica. La sottospecie a cui appartiene il nostro protagonista è la “Linaria cannabina mediterranea”, con esemplari sparsi in tutta la penisola iberica, Italia, Grecia, Nord Africa e isole mediterranee. Le sottospecie del Fanello, con l’eccezione di quello menzionato, sono: Linaria cannabina autochthona, dalla Scozia. L. c. cannabina, con distribuzione nell’Europa occidentale, centrale e settentrionale, nella Siberia orientale e centrale. Non si riproduce in Nord Africa e sud-ovest dell’Asia. L. c. bella, che abita dal Medio Oriente alla Mongolia e alla Cina nord-occidentale. L. c. guentheri, che vive a Madeira. L. c. meadewaldoi, che possiamo trovare a ovest e al centro delle Isole Canarie (in Ferro e Gran Canaria). L. c. harterti, che abita l’est delle Isole Canarie (Alegranza, Lanzarote e Fuerteventura). 11. Riproduzione in ambiente controllato 11.1. Condizioni per accoppiare i riproduttori È di vitale importanza che gli esemplari selezionati per riprodursi nascano in aviario, perfettamente adattati a questo ambiente, perché sappiano che questo è il loro unico modo di vivere e l’unico posto in cui possano svilupparsi. Quando sono miti, calmi, docili e socievoli, non solo con il proprietario, ma con chiunque si avvicini alla voliera, saranno pronti per l’allevamento. La paura manifesta, il nervosismo o lo svolazzamento costante sono sintomi inequivocabili della mancanza di preparazione per riprodursi.
Gli esemplari, per quanto possibile, possono avere due anni, perché a questa età, sia il maschio che la femmina, non solo si troveranno nella loro maturità sessuale, ma ci avranno dato tempo per prepararli correttamente. 11.2 Scelta del maschio Robusto, di buone dimensioni e forma, forte, in perfette condizioni di salute e soprattutto buon cantore, prova manifesta della sua buona condizione fisica. Un maschio vigoroso, di bei colori, senza difetti o malformazioni fisiche, saltellante e che non si spaventa quando ci si avvicina alla gabbia, può essere un buon esemplare per il nostro “obiettivo”.
Un maschio della mutazione pastello "alagrigia" che presenta nella schiena, nelle ali e nella coda, dei bellissimi ocelli uniformemente ripartiti e distribuiti
11.3 Scelta delle femmine Come il maschio, la femmina deve essere di buone proporzioni, docile, di salute perfetta e adattata all’ambiente. Non possiamo dimenticare
Maschio "pastello alagrigia" avuto la scorsa stagione (2018). Si noti il colore rosso del petto, una tonalità che diventerà carmino rosso intenso in primavera, molto luminoso
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11.4 Preparazione della coppia Non lasciare che le femmine si abituino sole prima di metterli con i maschi, perché diventano aggressive e non si lasciano accoppiare. Lo zelo deve prenderlo quando stanno con i maschi. I maschi, a loro volta, dovrebbero avere poco zelo quando si mettono con la femmina. Dopo la riproduzione, ogni riproduttore sarà collocato in una piccola gabbia (C2) per far passare la muta in questa. Sarà nel mese di febbraio o marzo, secondo le condizioni della voliera, quando li metteremo in coppia. Una volta che la coppia sarà messa nel luogo di riproduzione, daremo loro un trattamento adatto in modo che siano in grado di riprodursi; questo potrebbe essere: A) Composti vitaminici (vitamine più elettroliti). B) Aminoacidi e vitamine. C) Aminoacidi con minerali e oligoelementi. Magnifici ocelli di questa femmina "pastello alagrigia". Il suo fenotipo così lontano dal classico o ancestrale lo rende un soggetto unico e diverso
che se teme per la propria sicurezza o quella dei suoi pulcini, non deporrà, perché deve essere sicura e convinta che “non c’è pericolo”. Se superiamo questo inconveniente, la coppia eseguirà l’accoppiamento nel nostro gabbione di allevamento e ci fornirà bellissimi piccoli: il prodotto della nostra cura e attenzione.
12. L’allevamento Anche se Jaime li mette a riprodursi in coppia, potrebbero anche riprodursi formando una colonia (diverse coppie insieme), dal momento che la specie può comportarsi come monogama o poligama. La gabbia per la riproduzione può essere di 1 m, con i lati e lo sfondo sempre chiusi, lasciando la parte anteriore per la luce e per le cure di allevamento, così li renderemo più isolati e sicuri. È dimostrato che l’allevamento in gabbioni è più favorevole
Aviario di Jaime in pieno allevamento. Gabbioni di un metro, nidi camuffati, ecc.
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che se fossero posti in voliere, ingombranti o dispersive; tuttavia, altre misure potrebbero essere adoperate, ma indichiamo che la misura di 1 m va molto bene. Il gabbione sarà collocato, se possibile, in un luogo tranquillo, impedendo alla coppia di essere disturbata con rumori, animali o persone. Avrà una buona luce e ventilazione, evitando le correnti d’aria. 12.1 Nidi e materiale Il nido a forma di tazza sarà inserito un po’ mimetizzato con ramificazione o piante verdi, in modo che la femmina nel nido possa vedere l’ambiente circostante senza essere vista. È consuetudine rimuovere le uova ogni giorno e sostituirle con quelle di plastica; poi, per essere incubate insieme, saranno collocate in una sola volta; così, la schiusa di tutte sarà simultanea, senza ritardatari. Utilizzare nidi di corda o materiale simile. Forniremo alla coppia i materiali che userebbero in libertà (capelli, lane). I composti naturali commerciali vanno molto bene per gli allevatori. 13. L’ambientazione, l’incubazione e l’allevamento I fanelli in libertà sono pronti all’allevamento abbastanza presto (marzo o aprile). Tuttavia, in ambiente controllato possono esserlo a giugno o anche a luglio: questo dipende dal clima del luogo, temperatura, dalle ore di luce, ecc.
L’allevamento del Fanello è piuttosto complesso. Sono animali gelosi dei loro nidi, uova e pulcini. Pertanto, non è consigliabile disturbarli molto quando incubano, imbeccano e in generale durante l’allevamento. Le uova vengono incubate dalla femmina per un massimo di 13 giorni. I loro nidi sono da 4 a 6 uova bluastre con macchie marroni. Si faranno diverse deposizioni durante la stagione riproduttiva e logicamente, se si rimuovono le uova per metterle a balia, la resa e il numero di esemplari raggiunti saranno maggiori. Se si sceglie di lasciare la covata alla femmina Fanello in modo che incubi e allevi i propri piccoli, è molto importante non disturbarla mentre è nel nido, perché questi esemplari sono molto sensibili e possono, se sono spaventati, abbandonare le uova e anche i piccoli. Non siamo impazienti, aspettiamo gli eventi che presto si conosceranno; portare la femmina fuori dal nido per vedere le uova o i pulli o prendere le uova in sua presenza può abbattere le nostre illusioni e speranze. I pulcini si anellano con anelli del calibro 2,7 mm e di solito escono dal nido a circa 14 giorni. Quando i pulcini mangiano da soli, cosa che si verificherà a circa 40 giorni di nascita, vengono separati dalle madri e collocati in gabbie separate. I Fanelli, in buone condizioni di allevamento, possono avere una longevità fino a 10 anni.
Preziosa femmina “pastello alagrigia”. Le femmine hanno un grado di espressione e qualità più elevato rispetto ai maschi
disposizione dei fanelli una vaschetta contenente una miscela di canapa semi-umida, pastone commerciale per canarini di qualità e con alta percentuale di proteine, scarola (Cichorium endivia), chia (Salvia hispanica) e perilla (Perilla frutescens). Il Grit, un alimento complementare a base di calcio e minerali, aiuterà gli uccelli a triturare il loro cibo. Questo composto dovrebbe sempre essere disponibile. L’osso di seppia è ideale anche per i nostri uccelli.
14.2 Frutta, verdura e piante selvatiche Periodicamente è possibile fornire ai Fanelli alcuni frutti e verdure. Jaime fornisce loro ogni giorno dell’anno foglie di spinaci o broccoli; questo, per lui, è sempre stato positivo. Il Fanello, anche se è una specie granivora per eccellenza, ama molte piante selvatiche; così, oltre alle proteine necessarie per la loro crescita, forniscono ai loro pulcini semi erbacei, germogli verdi, semi maturi, ecc.
14. Il cibo Una buona dieta per i fanelli potrebbe essere: 14.1 Semi In qualsiasi momento: - 60% semi di canarino - 15% perilla - 13% semi di lino - 12% semi neri Il seme di colza è un seme delicato che può essere dannoso per nutrire il Fanello. I semi di canapa li ingrassano; tuttavia, si possono fornire piccole quantità periodiche, poiché è un seme molto vantaggioso. Una volta alla settimana mettere a
DIFFERENZE DORSALI A SECONDA DEI FENOTIPI: foto 1. Maschio ancestrale; 2. Maschio alagrigia; 3. Alagrigia femmina; 4. Alagrigia maschio; 5. Alagrigia femmina. Si noti che gli ocelli e le aree depigmentate corrispondono alle marcature nere del fenotipo ancestrale
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La ruchetta o jaramago (Diplotaxis virgata) va molto bene per i fanelli, in quanto stimola anche le femmine per il loro calore. 14.3 Pastone da allevamento 14.3.2 Composto per allevamento a mano con una siringa o simili. Jaime realizza una pasta a base di soia germogliata, piselli, spinaci, broccoli, uova, albumina e pasta commerciale per l’imbecco a mano; tutto molto ben macinato e mantenuto in congelatore in piccole porzioni.
Maschio della nuova mutazione pastello "spagnolo alagrigia". Vedere che il collo della gola anteriore è biancastro con rigature scure sottili e longitudinali, questa è un'altra caratteristica importante della specie
Femmina Pastello alagrigia. I suoi occhi sono neri, segnale inequivocabile che non si tratta di mutazione feo, come accennato da alcuni allevatori in certe occasioni.
14.3.1. Pastone da allevamento disponibile per le balie Sul mercato c’è un’ampia varietà di pastoni da allevamento di qualità. Sceglieremo quelli che hanno un minimo di 22-24% di proteine di alta qualità, che hanno gli aminoacidi essenziali per una digeribilità ottimale. La percentuale di grassi può variare dal 6 all’8%, il tutto a seconda del clima e delle condizioni della voliera. 14.4 Acqua L’acqua non viene mai data da sola, ma sempre con i suoi additivi preventivi. Coprire i beverini con tubi di cartone in modo che la bevanda non prenda la luce, in modo da mantenere le sue caratteristiche senza alterazioni. Jaime usa beverini a goccia. Ciò è essenziale per mantenere l’acqua incontaminata e le sostanze attive dei composti che somministriamo agli uccelli non risultano destabilizzate. L’uso di questo tipo di beverini comporta l’adattamento degli esemplari, oltre a tenerli molto puliti e sbardati, perché la loro ostruzione o la formazione di alghe non farebbero bere i nostri campioni, motivo per cui il nostro allevatore è obbligato ad essere sempre attento a questo. 14.5 Protettori e stimolatori Protettore del fegato: mettere a disposizione periodicamente questo composto a base di cardo mariano o simili. Stimolatore delle difese: composto a base di echinacea, propoli, timo, aglio, ecc. Dare regolarmente. Regolatore epatointestinale: dare
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subito ai primi piccoli sintomi di malattia (da pomeriggio a pomeriggio). Questo è un composto a base di calcio e altri prodotti correlati. Zero Antibiotici: uso esclusivo e tempestivo a fronte di malattie e sempre a seguito della consultazione e della prescrizione di un veterinario specialista. 15. Igiene Bagno periodico o spray periodici, soprattutto durante la muta. Sverminatura periodica di parassiti intestinali e corporei (esterni). La loro eliminazione impedirà il verificarsi di malattie legate a questi organismi. Pulizia accurata dei gabbioni e della voliera in generale. È essenziale controllare la temperatura e l’umidità relativa della stanza di allevamento. Almeno una volta all’anno si consiglia di fare una disinfezione generale dell’intero locale per eliminare agenti patogeni come batteri, funghi, virus e protozoi. 16. Comportamento e allevamento del Fanello Perché non ci sono mutazioni nel Fanello come ne esistono nel Verdone o nel Cardellino, per esempio? Perché il Fanello non è allevato in modo diffuso? Si sa che, essendo il Fanello comune una specie così conosciuta e presente in Europa e in altri continenti, non ci sono mutazioni nella specie, mentre lo stesso Ciuffolotto, il Fringuello o il Passero comune hanno molte mutazioni conosciute e standardizzate. Sarà a causa del comportamento o dell’atteggiamento peculiare del Fanello? Sarà a causa del suo fenotipo bruno poco attraente per alcuni? O sarà a causa della difficoltà di allevamento che il nostro protagonista può presentare? In realtà, il Fanello ha un comportamento molto particolare, di natura riservata e paurosa; soprattutto in ambienti ai quali non è abituato, si comporta nervosamente, la sua timidezza e insicurezza sono la sua caratteristica principale. Solo occasionalmente ha un comportamento socievole. Indubbiamente il suo colore marrone tendente al bruno non è così attra-
ente per gli allevatori come possono essere i colori del Cardellino, anche se quel colore fuso dorsale in contrasto con il nero delle ali o l’assetto bianco delle ali dona al Fanello una bellezza singolare. Il suo allevamento non è privo di difficoltà, anche se gli allevatori sanno che è un uccello forte e resistente alle malattie, benché il suo aspetto non manifesti queste qualità. 20 anni fa, il professor Maurice Pomarède, all’epoca responsabile del C.R.O./C.O.M., disse che le motivazioni dei dilettanti per l’allevamento degli uccelli potevano essere dovute a: - facilità di allevamento - desiderio di ottenere un bellissimo uccello - ottenere un buon uccello canoro - esecuzione di un’impresa - la soddisfazione di competere con uccelli rari Il naturalista e biologo francese Buffon ha anche detto che la dedizione all’allevamento degli uccelli era dovuta a: - bellezza del piumaggio - dolcezza del canto - finezza del tuo istinto - il loro comportamento singolare - la docilità Nell’articolo del C.R.O. intitolato “Interesse dei Carduelidi riprodotti in cattività”, pubblicato 20 anni fa, si diceva che il Fanello fosse la sesta specie preferita dagli allevatori per l’allevamento. L’ordine era: • Canarino • Cardellino • Verdone • Verzellino • Carpodaco messicano • Fanello Crediamo davvero che sia il canto del Fanello ad affascinare ed eccitare i suoi allevatori e sostenitori. Tuttavia, può darsi che in pochi anni vengano apprezzati per le loro mutazioni di colore. Questa bella mutazione può essere la punta di diamante che apre la strada a un futuro molto promettente. 17. Consanguineità Jaime sta attualmente prestando particolare attenzione alla consangui-
neità; avendo iniziato la mutazione da un singolo esemplare mutato, non c’è dubbio che la stessa tra i discendenti sia grande, quindi il coefficiente di consanguineità è importante. Ricordate che inizialmente, per raggiungere la seconda generazione, dove sono apparsi gli esemplari mutati, il padre è stato accoppiato con una delle sue figlie (portatrice) e i fratelli fra loro (massimo grado). D’ora in poi, dato che la mutazione è stata raggiunta, per fissarla definitivamente si tratta di immettere nuovo sangue, perché tutti gli esemplari sono imparentati. Così, questo sarà il primo obiettivo della riproduzione, dal momento che tali accoppiamenti non potrebbero essere estesi per più generazioni. Questi soggetti mutati saranno incrociati con femmine classiche per ottenere soggetti portatori per continuare la linea. D’altra parte, accoppiare il padre con nipoti, nonni e nipoti o cugini, ecc., in futuro si potrà anche ridurre la depressione endogamica (problemi di salute, mancanza di fertilità, perdita di vigore, ecc.). Jaime vuole raggiungere una linea di esemplari forti, vigorosi, longevi e resistenti alle malattie.
Bella femmina che mostra le sue migliori qualità: colore alare, disegno
18. Jaime Borras Oliveras, l’architetto Jaime è il vero architetto di questa impresa. Un allevatore perseverante,
Fanello di fenotipo ancestrale, un uccello forte e resistente alle malattie. Oggi il suo canto melodioso è la sua migliore qualità
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sognatore e in grado di compiere ciò. Una volta Jaime era un allevatore di uccelli silvani; attualmente con più di 50 anni di allevamento è un esperto e appassionato nell’allevare il Fanello e si è dedicato solo ed esclusivamente alla sua riproduzione e all’educazione al canto. Un grande amante delle mutazioni, dall’incorporazione di nuovi fenotipi in ornitologia sportiva, allevatore ibrido, persona innovativa, in grado di dare continuità a qualsiasi mutazione
che appare nel suo allevamento, è l’allevatore nazionale EH-81 e membro del Arcobrigam Ornitological Association (FOA/COE) di Arco de la Frontera (Cadice-Spagna). Jaime dedica praticamente tutto il giorno alla cura, all’alimentazione e all’attenzione ai suoi uccelli e colui che vi scrive ne è testimone. 19. Per finire Considerando l’importanza di questo risultato unico per gli appassionati e
gli allevatori in generale, ho proposto a Jaime la preparazione di questo articolo per la conoscenza e la diffusione a tutta l’ornitologia sportiva. BIBLIOGRAFIA: - Finches and Sparrows. Peter Clement, Alan Harris e John Davis. Christopher Helm. A & C Nero. Londra 1993. - Interesse dei carduelidi riprodotti in cattività. CRO/COM. maggio 1998. - Cardellini e specie affini. R. Cuevas ed E. Gòmez. Editoriale europeo ispanico. Quarta edizione. 2011.
Nota di Sebastiano Paternò Giudice Internazionale F.O.I. - O.M.J.
Commento da parte della C.T.N.-E.F.I. (Presidente Carmelo Montagno)
H
L
o letto e riletto, con la dovuta attenzione, l’articolo che Gianni Ficeti, presidente del Collegio di Specializzazione EFI della FOI, mi ha fatto pervenire, sapendomi cultore di questa quasi dimenticata specie di Fringillide di non comune allevamento ed autore dell’unico libro sul Fanello con cui il non dimenticato Salvatore Cirmi – Presidente COM e FOI – ha voluto omaggiare tutti i Giudici FOI-EFI d’Italia. L’articolo merita il nostro plauso e la nostra attenzione per vari motivi: - risalta subito che l’Autore è un vero amatore e conoscitore della specie per l’interesse e il numero di coppie predisposte; - è anche padrone dei meccanismi genetici, poiché in pochi anni è riuscito a fissare la mutazione; - con l’uscita di questo articolo, l’interesse per questa specie sicuramente aumenterà ancora; - aumentando l’interesse, aumenteranno i soggetti allevati e ciò comporterà, statisticamente e su maggiori numeri, la comparsa di altre mutazioni e variazioni di livrea, proprio come già avvenuto per il Verdone, l’Organetto, il Fringuello, il Passero domestico e mattugio, il Tordo bottaccio e sassello, il Merlo e tanti altri ancora che non è il caso di elencare. - È venuto il momento del Fanello: avanti tutta!
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a particolare espressione fenotipica di questa mutazione potrebbe far pensare, per la notevole somiglianza espressa, alla mutazione pastello già presente in molti fringillidi domestici. Ma il comportamento genetico di questa mutazione, descritta dall’Autore dell’articolo come autosomica recessiva, risulta essere completamente diverso da quello recessivo sessolegato che invece caratterizza la mutazione Pastello dei fringillidi. I soggetti mutati raffigurati nell’articolo esprimono un fenotipo molto diverso gli uni dagli altri. Denunciano una forte riduzione quantitativa del pigmento eumelanico (intaccando in maniera non lineare e dissimile la Eu-nera, la Eu-Bruna e la Feomelanina) e generando un fenotipo risultante che esprime una maggiore carica Feomelanica, dovuto al maggior contrasto che ne emerge, per essere venuta meno in proporzioni maggiori, la presenza di Eu-Nera. Apparentemente, invece, rimangono inalterati i pigmenti lipocromici nei soggetti maschi mutati descritti. Pertanto, mi pare di poter dire che la combinazione fra l’espressione fenotipica con il comportamento Genetico della mutazione medesima, non produca nessun accostamento con qualunque altra mutazione esistente ad oggi nei Fringillidi. Non posso che complimentarmi con l’allevatore per aver selezionato questo fenotipo accattivante in un Fringillide come il Fanello, in cui le mutazioni del piumaggio non hanno ancora avuto notevole rilevanza visto che, contrariamente ad altri Fringillidi, continuiamo a vedere esposti nelle Mostre Ornitologiche soggetti esclusivamente a fenotipo classico.
ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI
Ibridi del genere I Carpodacus testo e foto di PIERCARLO ROSSI
l Genere Carpodacus è composto da ben 21 Specie, presenti in Asia, America e vecchio continente, con un unico rappresentante, il Carpodaco scarlatto (Carpodacus erythrinus). Un particolare accomuna i soggetti, ovvero il lipocromo del piumaggio, che può variare dal rosa al rosso, più o meno intenso, fino al porpora. Il Carpodaco messicano, dopo il blocco delle importazioni, risulta essere la Specie maggiormente allevata in ambiente domestico. Deve la propria notorietà al fatto di essere un soggetto robusto, longevo e prolifico. La testa è forte e massiccia, il collo è corto e il becco è conico corto e potente, il che gli permette di avere una dieta molto varia e di cibarsi delle granaglie dai gusci più duri. In natura
Il Carpodaco messicano, dopo il blocco delle importazioni, risulta essere la Specie maggiormente allevata in ambiente domestico
Ciuffolotto codalunga x Carpodaco messicano, foto: Domenico Cautillo
cerca il suo nutrimento al suolo e nei cespugli dove, oltre a bacche e semi, non disdegna afidi, larve e insetti, soprattutto nel periodo riproduttivo. Una particolarità di questa Specie è che dà sfoggio dei suoi bei colori già dopo la prima muta, mentre diversi altri rappresentanti del Genere hanno una fase eclissale e raggiungono il loro pieno splendore soltanto al secondo anno di vita. Il maschio presenta il colore rosso sulla fronte e sopraccigli, sulla gola, sull’alto petto e sul codione. Il disegno melanico longitudinale abbraccia tutto il mantello (ad eccezione delle zone di elezione) in maniera regolare e continua. Il dimorfismo sessuale è evidente: la femmina è più disegnata del maschio e normalmente manca del lipocromo. In alcune sotto-
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Cardellino x Carpodaco messicano, foto: Piercarlo Rossi, all. Patrizio Salandi
specie questo è presente sul codione e al centro del petto. I giovani hanno un piumaggio molto striato, simile a quello delle femmine. Come dice il suo nome volgare, il Carpodaco messicano copre un areale molto vasto che va dal Canada centrale (durante la stagione tardo primaverile/estiva) al Golfo del Messico. Questo grazie all’introduzione da parte dell’uomo a Long Island negli anni ‘40, dove, un numero limitato di predatori naturali, e una grande adattabilità, fecero sì che dopo breve tempo i soggetti introdotti in natura cominciassero una vera e propria espansione verso ovest e, intorno agli anni ’90, essi si congiunsero con le popolazioni della costa occidentale. Di fatto, ad oggi è possibile incontrarlo in tutti gli Stati Uniti e nelle isole Hawaii (sempre grazie all’introduzione in natura da parte dell’uomo). Grazie a questa forte espansione, oggi vengono riconosciute ben 11 sottospecie. Si adatta senza
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problemi sia alle zone aride che a quelle costiere, passando per quelle boschive, con la conseguente diversa alimentazione dovuta alle differenze climatiche dei diversi areali. Spesso nidifica nei centri abitati, parchi o giardini, e questo grazie anche alla sua capacità di riuscire ad adattarsi a qualunque superficie per la costruzione del nido. In ambiente controllato, le doti poc’anzi descritte lo hanno portato in breve tempo dall’essere un perfetto sconosciuto a diventare un animale molto apprezzato. Il suo allevamento e la sua diffusione sono aumentati in breve tempo grazie, in primis, alle varie CTN IEI che si sono susseguite negli anni, le quali hanno saputo valorizzare la Specie dedicandole da subito una categoria nelle varie mostre, poi ampliata alla comparsa delle mutazioni, che oltretutto hanno dato nuovi stimoli all’allevamento. La sua grande adattabilità e robustezza lo hanno elevato anche al ruolo di balia nei confronti di quelle Specie più difficili da allevare, come ad esempio il Ciuffolotto, e ciò per la sua tendenza naturale a cibarsi un po’ di tutto, specialmente nel periodo della
Canarino x Carpodaco messicano, foto: Piercarlo Rossi
riproduzione, dove appetisce senza distinzione le piccole larve. Vista la robustezza e il carattere irruento, il Messicano (il maschio in particolare) è stato da subito utilizzato anche in ibridazione, dove ha palesato buona affinità genetica con tutti i Fringillidi. Formando la coppia ibrida in gabbia di dimensioni ridotte, il maschio può diventare aggressivo nei confronti della femmina, quindi è buona precauzione, una volta iniziata la deposizione, separarlo mediante divisorio in rete e unirlo alla femmina per periodi limitati, tenendolo sempre sotto costante osservazione, soprattutto quando si rimette con la compagna in presenza dei piccoli (meglio se hanno già una decina di giorni). La femmina di Messicano è generalmente meno utilizzata in ibridazione perché, a causa della posizione che assume durante la copula, diventa difficile da fecondare per diversi Fringillidi (anche per il canarino). Visto che il Messicano è a fattore rosso, i migliori F1 li genera con altre Specie a fattore rosso o che hanno zone rosse sul piumaggio come il Cardellino e il Verzellino fronte rossa.
Canarino x Carpodaco Messicano Questo accoppiamento è piuttosto facile da eseguire. Per ottenere begli ibridi, meglio utilizzare canarini mosaico, melanici, a fattore rosso, così da poter esaltare al massimo il colore nelle zone di elezione dell’esotico. Prima della comparsa delle varie mutazioni, venivano prodotte bellissime femmine ibride mutate, usando canarini maschi satiné, agata, pastello agata e isabella. Oggi, grazie alla comparsa delle varie mutazioni, combinando le stesse con le medesime del canarino domestico, si possono ottenere anche maschi mutati. Il principio è sempre lo stesso, ossia utilizzare delle belle canarine mosaico con forma armoniosa e piumaggio corto. Tra gli ibridi che in tutti questi anni hanno lasciato il segno, vorrei ricordare un meraviglioso maschio ancestrale di Antonio La Volpe, quelli opale di Piero Russo, quelli feo e onice di Bruno Zamagni e quelli topazio di Piero Castellanza. Cardellino x Carpodaco Messicano Questa ibridazione è stata ripetutamente tentata e realizzata nel tempo. I soggetti migliori sono stati ottenuti col Cardellino maggiore (major), che agli ibridi ha saputo trasmettere una forma armoniosa e una mascherina estesa. Ovviamente, gli ibridi più apprezzabili sono quelli che manifestano tutti i disegni del Cardellino, a partire dal nero della testa per arrivare all’accenno di barratura alare. Grazie al Major, anche la presenza di feomelanina si riduce e sulle guance
degli F1 migliori il colore è argenteo. La scelta della Messicana da utilizzare è determinante in particolare per quanto concerne la forma, che deve essere il più tondeggiante possibile (altrimenti gli ibridi vengono lunghi e sottili). Grazie alle mutazioni presenti nei due Fringillidi abbiamo potuto ammirare anche dei maschi opale, magistralmente realizzati da Patrizio Salandi. Verdone x Carpodaco Messicano Questo accoppiamento è uno dei più facili in assoluto, ma a causa del lipocromo di partenza diverso, difficilmente genera ibridi apprezzabili. Ovviamente gli F1 non vanno colorati, pena un poco accattivante color arancio. In ogni caso, usando soggetti dalla forma possente e con poco lipocromo, qualche ibrido discreto si realizza, in particolare tra le femmine mutate (dove il poco lipocromo aiuta). Crociere x Carpodaco Messicano Questo è l’incrocio tra le due Specie che fino ad oggi hanno dimostrato la maggiore affinità tra tutti i Fringillidi. Nell’F1, i due parentali sono molto ben visibili e individuabili, grazie al becco leggermente arcuato ereditato dal Crociere e al disegno facciale ereditato dal Messicano. Ovviamente l’ibrido va colorato. La versione nobile di questa combinazione si realizza utilizzando il Crociere fasciato, che agli ibridi passa lo splendido disegno alare e un lipocromo rosso meno cupo, grazie alla minore presenza di
Carpodaco messicano x Crociere, foto: Piercarlo Rossi
feomelanina, così come dimostrato dai soggetti realizzati da Carmine Bloisi e Carmelo Montagno. Organetto x Carpodaco Messicano L’ibrido in questione non è molto comune e normalmente non bellissimo a causa della forma eccessivamente slanciata. Usando soggetti
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tato migliore si ottiene con il Messicano femmina. Cardinalino x Carpodaco Messicano L’ibridazione genera ottimi soggetti, sia nella versione normale che in quella jaspe. Gli ibridi somigliano relativamente a Cardinalino x Canarino, ma hanno una forma più massiccia e un disegno longitudinale più marcato. Tra questi, vorrei citare due soggetti grandiosi, realizzati in tempi diversi da Mimmo Simonelli e Patrizio Salandi. Poco realizzate ed esposte le femmine ibride mutate ottenute grazie alle mutazioni di colore del Cardinalino.
Carpodaco messicano x Crociere fasciato foto Piercarlo Rossi, all. Carmelo Montagno
dalla sagoma estremamente tondeggiante, il risultato cambia, così come dimostrato dal “maestro“Antonio La Volpe. L’effetto finale è quello di un Messicano con i disegni dell’Organetto ben visibili su fronte, gola e petto (domina l’Organetto). Grazie alle mutazioni presenti nell’Organetto, abbiamo potuto osservare femmine ibride bruno, pastello, pastello bruno e perlate. Visto che la mutazione feo è presente in entrambe le Specie, speriamo di poter osservare quanto prima anche un maschio ibrido mutato. Fanello x Carpodaco Messicano Questi ibridi, a mio parere, seppur simili, risultano più belli rispetto a quelli con l’Organetto, in quanto nei soggetti migliori il disegno della testa del Fanello domina ed è ben visibile. Trombettiere x Carpodaco Messicano Sono stati realizzati pochi soggetti, ma tutti di pregevole fattura anche se dai colori rossi un po’ cupi. Qui il risul-
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Ciuffolotto x Carpodaco Messicano Tra gli ibridi col Messicano è ovviamente il più bello, grazie ai disegni e alla forma ereditati dal Ciuffolotto e alla spinta di rosso data dal Mes-
Cardellino opale x Carpodaco messicano opale, foto: Piercarlo Rossi, all. Patrizio Salandi
sicano. I soggetti migliori ereditano anche un bel disegno sui fianchi e una calottina ben definita sulla testa. Visto che nel Ciuffolotto è presente la mutazione topazio, speriamo di vedere al più presto anche un bel maschio F1 topazio. In questo caso, la versione nobile dell’ibrido si ottiene usando lo Scarlatto al posto del Messicano, ma questa è un’altra storia. Ciuffolotto Codalunga x Carpodaco Messicano L’ibrido somiglia molto all’Uragus sibiricus, dato che dal Messicano eredita soltanto un po’ di disegno longitudinale. La forma è normalmente molto aggraziata e tra i soggetti realizzati vorrei ricordare lo splendido maschio esposto da Domenico Cautillo al Campionato Italiano 2015. Nel tempo, grazie alle importazioni copiose e alla relativa disponibilità di soggetti, oltre che col Messicano, sono stati realizzati F1 usando anche gli altri Carpodachi e tra questi vorrei ricordare Carpodaco di Pallas (Carpodacus Roseus) x Leucosticte di Pallas (Leucosticte arctoa) esposto al campionato italiano di Pordenone del 1995 da Antonio Servetto, il quale era riuscito ad ottenere prole ibrida anche tra Carpodaco di Blandford x Canarino e, sempre in direzione Canarino, con il Carpodaco scarlatto. L’anno successivo, sempre al Campionato Italiano, fu esposto un ibrido tra il Ciuffolotto codalunga e il Carpodaco di Pallas. Negli ultimi anni gli ibridi prodotti con soggetti appartenenti al Genere Carpodacus sono sempre più rari; degni di menzione uno splendido soggetto, esposto al Mondiale di Tours, tra il Carpodacus Vinaceus e il Ciuffolotto, e uno splendido soggetto realizzato da Patrizio Salandi tra il Carpodaco di Pallas e il Crociere (che nei primi anni ’90 aveva ottenuto anche un maschio di Messicano x Fringuello). Ora le importazioni sono chiuse, ma almeno col Carpodaco scarlatto e col Carpodaco di Pallas, che iniziano ad avvicinarsi all’essere considerate Specie domestiche, speriamo di poter ammirare altre, inedite, magnifiche, combinazioni ibride.
ONDULATI E ALTRI PSITTACIFORMI
Allevare Roseicollis Intervista ad un giovane allevatore di FRANCESCO FAGGIANO foto STEFANO GRECO
Famiglia di Roseicollis
Introduzione È compito di ogni allevatore FOI, esperto o meno che sia, ma ancor più di un tecnico o di un Presidente di associazione, divulgare la propria passione e soprattutto incoraggiare e sostenere chi si approccia per la prima volta al mondo dell’ornitofilia sportiva. Generalmente, l’incontro tra il nostro mondo e il pubblico non è casuale; esistono sempre, nell’individuo che arriva ad iscriversi ad un’associazione ornitologica, quell’interesse e quell’attrazione atavica ed inspiegabile che poi un evento più o meno definito fa sfociare in una grande e pervasiva passione per l’allevamento.... nel
mio piccolo e con i limiti legati alla disponibilità di tempo, ho sempre cercato di presentare al neofita il mio amore per gli uccelli come qualcosa di importante per me ma non solo, perché sicuramente gratificante per l’individuo, ma è attività anche utile alla società in senso ludico-culturale e di preservazione della biodiversità; questo nella speranza di annoverare nel movimento qualche nuovo appassionato. Sono convinto che l’ornicoltura non sia solo un elemento di autodeterminazione, che si realizza attraverso la vittoria nelle mostre o la speranza di fare due quattrini (cosa molto improbabile), ma più significativa-
mente credo rappresenti una parte importante di noi stessi, che va curata e sostenuta perché possa crescere e dare significato all’esistenza. Di seguito vi riporto l’intervista fatta ad un ragazzo iscritto da tre anni all’Associazione Ornitologia Salentina che sta imparando ad allevare Agapornis Roseicollis e che ha trovato nell’allevamento sportivo qualcosa che tutti noi dovremmo conoscere bene.... “Raccontaci com’è iniziata la tua avventura” Tutto è cominciato circa quattro anni fa, accompagnando un amico allevatore in un negozio di animali, dove vidi
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una “gabbiata” di inseparabili roseicollis serie blu in varie combinazioni; erano soggetti di importazione Olandesi, di buona struttura, ma soprattutto dai colori suggestivi. Col mio amico allevatore guardammo a lungo i soggetti, ma l’idea di acquistarne un paio di coppie non fu contemplata al momento. Eppure qualcosa in me era scattato, una sorta di infatuazione per quei soggetti dai toni del blu e dell’azzurro... Trascorsero un paio di giorni e col mio amico allevatore tornammo al negozio dove non resistetti e acquistai tre coppie bellissime. In poco tempo, ormai travolto da questa nuova passione, trasformai un piccolo ripostiglio nella mia prima stanzetta d’allevamento dove, al termine della stagione mostre FOI, avevo alloggiato complessivamente ben otto coppie di Roseicollis, una di Personata sempre della serie blu e una di Taranta... A quel punto, sollecitato dagli amici allevatori che avevo conosciuto in quei mesi, mi iscrissi anche all’A.O.S. di Lecce dove ho stretto amicizia anche con tanti nuovi “amici di piuma”. Totalmente inesperto ma fiducioso, in primavera mi sono costruito personalmente i nidi e ho iniziato la stagione riproduttiva... alcune coppie non deponevano, perché mi accorsi dopo che erano due maschi... ma anche le coppie vere, che deposero generosamente, non riuscivano a far schiudere i piccoli. Prima covata: circa trenta uova, tutte feconde, ma zero piccoli nati! Un disastro demotivante e solo grazie al sostegno degli amici ornitofili, che mi hanno dato giusti consigli e fatto prendere atto che nulla è scontato e che, come dice il nostro Presidente Francesco, “allevare è difficile come amare!” sono andato avanti, perché dovevo imparare a capire cosa serve di volta in volta ai miei inseparabili. Gestii meglio l’alimentazione, l’imbottitura del nido e cercai di far diminuire l’umidità ambientale. Con l’arrivo della bella stagione e le piccole, ma impor-
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tanti accortezze suggerite dai veterani, riuscii comunque a svezzare circa trenta novelli. Oggi ho circa venti coppie di roseicollis quasi tutti della serie blu e mediamente in sei mesi di riproduzione svezzo oltre 120 soggetti.
Femmina albina in cova
Mamma blu in cova
Descrivici la gestione dell’allevamento Attualmente ospito le mie coppie in una stanza non riscaldata con due grandi finestre (ho cambiato locale), che nel periodo più freddo chiudo solo con del PVC, giusto per evitare che i venti freddi disturbino i soggetti. Avere due grandi finestre mi permette una buona ventilazione che mantiene bassa l’umidità ambientale, cosa che ho imparato essere fondamentale per una buona media di schiusa. Abitando a Lecce, posso avviare la riproduzione a fine gennaio, concluso il campionato mostre, cosi che per la prima metà di febbraio tutte le coppie abbiano generalmente deposto nei nidi, che costruisco personalmente a forma di cubo con lato da 20 cm. Sul fondo degli stessi metto uno strato di segatura depolverizzata che la coppia generalmente riduce in poltiglia, ma in realtà il nido viene imbottito dalla coppia con frammenti di legno e foglie che raccoglie dai rami che ogni settimana metto freschi a loro disposizione all’interno delle gabbie da 60 dove sono sistemati per la riproduzione. Generalmente uso salice piangente, ulivo e rosmarino, essenze vegetali che contengono molecole con effetti salutari e antiparassitari. Non posso pulire i nidi quando i piccoli hanno meno di venti giorni, pena il rischio di abbandono da parte dei genitori, ma soprattutto quando la coppia ricomincia a deporre prima di aver allontanato i piccoli della covata precedente, cosa che non faccio prima dei 55/60 giorni di vita; l’uso di queste essenze limita la proliferazione di batteri e funghi anche nei nidi più sporchi, provare per credere! Come alimentazione uso
tutto l’anno un misto per parrocchetti che durante la riproduzione arricchisco con un po’ di girasole piccolo striato. Al misto secco associo un misto di semi germinati composto in parti uguali da grano, avena integrale, girasole piccolo e mais, che tengo in ammollo per ventiquattro ore e a germinare per altrettanto tempo. Questa miscela di semi germinati, che mischio a del pastone del commercio in misura di due parti di germinati e una di pastone, la somministro quotidianamente una volta al giorno agli adulti ed ai piccoli svezzati durante la muta, mentre alle coppie in fase di allevamento la fornisco due volte al giorno. Questa doppia somministrazione, se pur impegnativa, stimola i riproduttori ad imbeccare abbondantemente i piccoli, che così crescono meglio e in salute. Ho anche notato che i migliori soggetti per
Bella nidiata di circa dieci giorni
le esposizioni sono quelli che escono dal nido già con ottima struttura, per cui mi impegno ad ottenere piccoli di buona taglia già all’uscita del nido. Uso abbondantemente sali minerali e vitamine nell’acqua da bere, ma soprattutto uso mettere sulla griglia del fondo un blocchetto di pietra calcarea che le femmine divorano durante la deposizione delle uova. Le mie femmine sono molto generose nella deposizione, arrivando a deporre anche otto uova feconde per covata, ma purtroppo molto spesso gli ultimi due, tre o quattro nati non sopravvivono... problema che non ho ancora capito come risolvere. Mediamente ogni coppia svezza tre o quattro piccoli per covata, raramente cinque. In questi casi, però, i pulli sono di taglia inferiore alla media, cosa non opportuna perché mi pare di capire che in esposizione la taglia
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dossalmente, tende ad aumentare. Da quanto ho capito, il fondo il blu** è una selezione spinta verso la perdita totale di pigmenti gialli e rossi, per cui l’organismo tende a compensare tale “deficienza”. L’unica strada è l’accoppiamento tra blu, che purtroppo tende a “stringere” piumaggio e struttura e così spesso mi ritrovo ottimi blu di piccola taglia o, di contro, ottimi soggetti per struttura ma inquinati nel colore. Quest’anno però, dietro suggerimento di un giudice esperto, ho deciso di accoppiare un verde nuovo tipo, ovvero enorme, con una mia femmina blu, da cui otterrò piccoli intermedi dai quali, nell’arco di tre o quattro generazioni, dovrei avere buoni blu sia per colore che per taglia… speriamo bene!
Roseicollis novello lutino
e la struttura siano uno dei considerando più importanti assieme al colore e al disegno. Devo ancora perfezionare la preparazione alle esposizioni, che credo opportuno cominciare già all’inizio della muta, mettendo i soggetti singolarmente nelle gabbie per evitare che remiganti e timoniere vengano rovinate dai compagni. “Dicci qualcosa della selezione che stai operando sul tuo ceppo” Il mio ceppo, come detto, è di recente costituzione, ma dai successi espositivi già di buon livello. È stato sicuramente importante iniziare con buoni esemplari, che fin dal primo anno mi hanno dato soddisfazioni riproduttive
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e, appunto, anche espositive. In allevamento ho verdi, lutino ma soprattutto la serie blu, che rappresenta il vero obbiettivo della mia selezione tanto per la taglia, tendenzialmente inferiore ai verdi, che per il colore, perché la probabilità che compaiano piume inquinate da psittacofulvina gialla è sempre presente anche nei migliori soggetti... Non ho ancora capito se questa sia la regola o se sia un problema del mio ceppo; certo è che la selezione di un blu totale è molto difficile perché sappiamo che è quantitativa! Pur essendo partito con soggetti di buona selezione, noto che lo scarto legato alla presenza di piume verdastre è una percentuale fissa e che con la seconda muta, para-
Cosa significa allevare per te? Ho sempre avuto animali domestici in casa, soprattutto gatti, poi ho conosciuto casualmente alcuni iscritti FOI che mi hanno mostrato cosa significa “ORNITOFILIA”. Oggi non ho più gatti, ma sono innamorato dell’ornitofilia; progetto, programmo, sogno nel mio piccolo allevamento il futuro; sono preso quotidianamente da quello che è l’ornitofilia, cioè accudimento quotidiano dei soggetti, studio la loro selezione, interazione con altri allevatori, partecipazione alle attività associative e tanto altro. Mi emoziono quando nascono i piccoli, così come mi carico di attesa aspettando la pubblicazione delle classifiche espositive. È un mondo complesso quello che sto imparando a conoscere, dove non mancano delusioni, difficoltà e impegni, ma come dice il nostro Presidente “allevare è come amare”, ci sono momenti deludenti e di sconforto ma anche grandi soddisfazioni, che fanno dell’ornitofilia un affascinante hobby. Conclusioni Ho voluto riportare ai lettori di I.O. questa bella intervista ad un giovane ed entusiasta allevatore che ci riconduce al piacere vero dell’allevamento e alla responsabilità che coloro che hanno più esperienza devono saper gestire per garantire alle prossime generazioni il piacere dell’ornitofilia.
CANARINI DI FORMA E POSIZIONE ARRICCIATI
Sempre sul Padovano testo e foto di GIUSEPPE NASTASI
P
rendendo spunto dall’articolo apparso su Italia Ornitologica di Giugno-Luglio 2019 Padovano minor o major dell’amico Bruno Novelli vorrei fare alcune puntualizzazioni, appunto, sul Padovano. Quando l’autore parla di Padovano minor riferendosi ad un Padovano di 17 centimetri, non è un’affermazione giusta. Premesso che la taglia e la lunghezza sono due connotati differenti e che un Padovano deve avere per standard una lunghezza di 18-19 centimetri, rientrando nelle razze pesanti a differenza dell’Arricciato del Nord, che con i suoi 17-18 centimetri rientra, appunto, tra le razze leggere perché la differenza di taglia tra un Arricciato del Nord ed un Padovano sta nella struttura complessiva del canarino,
La differenza di taglia tra un Arricciato del Nord ed un Padovano sta nella struttura complessiva del canarino che in un Nord deve essere formata dalle tre arricciature principali: spalline, jabot e fianchi, mentre nel Padovano le arricciature sono molte di più, oltre alle tre succitate dell’Arricciato del Nord, che in un Padovano devono essere più abbondanti ancora; esso deve avere collare, addome piumoso. Un Padovano di 17 cm, se perfetto in
tutti gli altri connotati, è un Padovano solo un centimetro più corto ma può essere ottimo; si consideri che quando si parla di “taglia” di un soggetto non si fa riferimento solo alla lunghezza, ma per “taglia” si intende “lunghezza” e “forma”, cioè anche la voluminosità del piumaggio rientra nel definire una giusta taglia del canarino. Scriveva il grande professor Zingoni nel suo libro, che senza dubbio è il più bel libro di canaricoltura al mondo, a pagina 544 del testo a proposito della taglia del Padovano: “Ad esempio, una femmina lunga 17 centimetri, ma di pregevole fattura, specialmente nel ciuffo e nel collare, può essere considerata ottima, sia in allevamento che in mostra, e può superare ampiamente i 90 punti proprio perché il concetto imperante
Ottimo Padovano ciuffato lipocromico pezzato da notare buon ciuffo e collarino basso e completo
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Padovano lipocromico da notare il collare basso e completo
una volta sul pregio della grande taglia oggi non vale più, ma vale quello che è la forma che fa un Padovano naturalmente senza scendere sotto i 17 cm”. Ho riportato per intero quanto scrive l’illustre professore perché secondo me dice come sempre quella che deve essere la giusta valutazione di qualsiasi canarino Arricciato e, in questo caso, parla della taglia di un ottimo Padovano. Purtroppo, questa razza è sempre stata al centro di dibattiti per quanto concerne la taglia: per molti un Padovano deve essere grande e questa tendenza predomina anche nell’aspetto commerciale della razza. I Padovani grossi sono più apprezzati e soprattutto gli stranieri acquistano con molta facilità i soggetti più vistosi (grandi). Ciò influenza gli allevatori che cercano di ingrandire sempre di più il Padovano, con conseguenze disastrose. Ingrandire il Padovano significa meticciare i soggetti a dei Parigini; così facendo, si introducono caratteristiche che per la
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Padovano testa liscia lipocromico collare basso che lascia il collo liscio, ottima imbracatura
razza del Padovano sono disastrose. Le teste appaiono mosse, i collari si alzano, le unghie si attorcigliano, gli jabot diventano continui senza il caratteristico stacco che ci deve essere tra jabot e addome… un disastro, insomma. Io allevo, oltre che Padovani, anche AGI e Parigini e ogni anno cedo i parigini e gli AGI di seconda mano a grandi allevatori di Padovani, ma queste persone, negli anni, non hanno mai esposto alle mostre dei Parigini o degli AGI: hanno sempre ingabbiato Padovani enormi che superano i 20 cm e, se due più due ancora fa quattro, significa che queste persone meticciano i miei Parigini e i miei AGI ai loro Padovani. Un Padovano di buona fattura deve essere più o meno quanto un Arricciato del Nord, il quale deve avere solo le tre arricciature principali, mentre il Padovano ha molte più zone arricciate, differenziandosi anche e soprattutto per la consistenza del piumaggio. Quest’ultimo deve apparire più voluminoso e deve avere un’im-
Ottimo ciuffo in Padovano lipocromico perfetta imbracatura
bracatura molto evidente, caratteristica dovuta all’addome piumoso e alla culotte, uno jabot abbondante formato da piume che dal basso ventre si dirigono verso il collare senza richiudersi del tutto e, infine, deve avere delle buone piume di gallo. Le piume di gallo sono quelle che dai due lati del codione scendono verso il basso. Ancora, un buon soggetto testa liscia deve avere evidenti sopracciglia; questa caratteristica testa con sopracciglia evidenti e simmetrici viene chiamata “testa a civetta”. Il problema più grande nel Padovano
è il collare. Lo standard prevede che il Padovano abbia un collare basso e completo; purtroppo, i vari meticciamenti con l’Arricciato di Parigi hanno prodotto Padovani con collare molto alto e questo è un grave difetto, anche
Un Padovano di buona fattura deve essere più o meno quanto un Arricciato del Nord
perché spesso un collare alto fa apparire il poco collo un po’ arricciato, mentre il vero Padovano deve avere il collare basso e lasciare una buona parte del collo libera e liscia. Ho scritto negli anni tanti articoli sul Padovano, razza che amo e che allevo da 40 anni, e sono convinto di essere rimasto tra i pochissimi allevatori della vera razza Padovana; quando giudico cerco di essere molto meticoloso nel far capire come deve essere il vero Padovano: la mia è come una “crociata”, amo questa razza e vorrei che migliorasse sempre di più invece di regredire come pare stia avvenendo.
Nota della C.T.N. Canarini di Forma e Posizione Arricciati
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n riferimento agli articoli comparsi su Italia Ornitologica, dopo tanti anni dal riconoscimento dell'Arricciato Padovano mi meraviglio di come si possa ancora discutere sulla sua taglia. La taglia è 18 cm, se il soggetto è più grande o più piccolo va penalizzato. In particolar modo, i signori giudici devono attenersi scrupolosamente allo standard, non solo dei Padovani bensì di tutte le razze.
È pur vero che nelle mostre si trovano molti soggetti con gravi difetti; questo perché molti allevatori "meticciano" per vari motivi, ma è proprio per questa ragione che i giudici devono essere severi nel giudizio di questi soggetti. Il giudice è il "guardiano" degli standard dei canarini, pertanto è tenuto a farlo rispettare; se non lo fa, è un pessimo giudice. GIANFRANCO D'ALESSANDRO Presidente C.T.N. - C.F.P.A.
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O rniFlash L’oca indiana: astronauta del regno animale on tutti gli uccelli volano alle stesse altezze: l’oca indiana, l’uccello anche conosciuto col nome scientifico di Anser indicus, è noto per i suoi voli ad altissima quota, dato che per andare a svernare in certi luoghi, come la Birmania, deve superare alcune delle vette più alte del mondo, innalzandosi anche a 7mila metri di quota. A rendere eccezionale il tutto, c’è la capacità di questo animale di superare dislivelli pazzeschi in poche ore, con un adattamento sconosciuto ad altri esseri viventi. Il volo di questi straordinari animali è stato oggetto di vari studi, che hanno coinvolto anche ricercatori dell’università del Texas ad Austin, come la dottoranda Julia York, autrice di un progetto scientifico che ha permesso di osservare i comportamenti delle oche. Niente trasferte intercontinentali, però: gli animali sono stati allevati negli States (con tantissima cura) e gli studi sono stati condotti in una galleria del vento, imitando le condizioni tipiche delle migrazioni. Numerosi parametri sono stati indagati, dal consumo di ossigeno alla temperatura del sangue, dal rallentamento del metabolismo alle strategie di volo adottate: gli animali indossavano delle maschere collegate a dei tubi, ma anche un piccolo zainetto sulle ali con sensori per le rilevazioni, utili a comprendere come alcuni animali sopravvivono in condizioni di scarso ossigeno. Ciò potrebbe suggerire nuove soluzioni in ambito medico, per tutti quei casi in cui sono gli esseri umani a fronteggiare la medesima, pericolosa situazione. Fonte: https://www.wired.it/scienza/ecologia/2019/10/21/oca-indiana-vola-alta-quota/
La maggior parte degli uccelli preferisce la monogamia
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n natura molte specie diverse sono monogame e, benché la monogamia sia massima tra le varie specie di volatili, anche i mammiferi (in maniera più o meno rigida) hanno alcuni rappresentanti di questa strategia riproduttiva. Tra gli animali che meglio rappresentano il rapporto monogamico, ricordiamo, a titolo di esempio, i pinguini imperatore che, dopo che la coppia si è formata e l’uovo è stato deposto, maschio e femmina si dividono i compiti per accudire al meglio la prole. Tuttavia uno studio dell’Università di Chicago e della Carolina del Nord, apparso su PNAS, cerca di rispondere ad una domanda semplice: perché i maschi di una coppia continuano a mostrare una colorazione intensa, a cinguettare e a fare rituali di corteggiamento nei confronti della propria compagna? Perché quelle energie, invece, non vengono impiegate per accudire la prole? Usando un modello genetico di popolazione gli scienziati hanno cercato di dare una risposta a questa apparente contraddizione ed il riscontro è tutto a vantaggio dell’evoluzione della specie. Si viene a creare un equilibrio tra i comportamenti del maschio che, con i suoi colori ed il canto, sprona la femmina ad ovulare di più, mentre la femmina raccoglie le energie per avere una maggiore cura della prole. Questo equilibrio permette alla specie di far nascere prole sempre più efficiente nella covata e nelle cure parentali quando sarà adulta. Da questo punto di vista la femmina di uccello è quindi dipendente dai comportamenti e dai colori che il maschio espone e non alla casualità, mentre la prole evolutivamente più efficace è quella che mostra gli stessi comportamenti dei genitori. Fonte: https://tech.everyeye.it/notizie/perche-uccelli-preferisce-monogamia-405781.html
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O rniFlash Quando le dimensioni (dell’encefalo) contano encefalo è quella parte del sistema nervoso centrale, contenuta nella scatola cranica, che in tutte le specie animali che ne sono dotate elabora ed integra gli stimoli interni ed esterni, al fine di produrre delle risposte funzionali e adattive. La distribuzione delle dimensioni relative del cervello degli uccelli segue un andamento normale, ossia la maggior parte delle specie ricade in valori intermedi, mentre agli estremi vi sono casi di cervelli più grandi o più piccoli, relativamente alla taglia corporea. Studi comparativi sugli uccelli hanno evidenziato che negli habitat freddi e stagionali si trovano con più probabilità specie molto encefalizzate le cui popolazioni sono piuttosto stabili, cioè non vanno incontro a particolari variazioni demografiche qualora le condizioni ambientali subiscano alterazioni, come spesso accade alle alte latitudini. Dalle analisi sulla distribuzione geografica delle diverse specie (escluse quelle migratrici), è risultato che quelle residenti in habitat alle alte latitudini, soggetti a fluttuazioni ambientali come frequenti sbalzi di temperatura, improvvisi eventi meteorologici o cambiamenti nella disponibilità di cibo, esibiscono come strategia più comune la flessibilità comportamentale conferita da un grande cervello, che permette di affrontare un ambiente caratterizzato da elevata variabilità. L’investimento nella produzione del tessuto cerebrale dunque sembra essere l’ago della bilancia che determina la sopravvivenza negli ambienti mutevoli: uccelli con dimensioni cerebrali intermedie, invece, non sono in grado di affrontare un ambiente variabile; quindi, incapaci di adattarsi, queste specie hanno evoluto il comportamento migratorio come strategia di evitamento. Fonte: http://pikaia.eu/molto-grande-o-molto-piccolo-quando-le-dimensioni-dellencefalo-contano/
L’uccello più rumoroso del mondo
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ambia la classifica per quanto riguarda gli uccelli più rumorosi del mondo. Ad accaparrarsi il primo posto sono infatti i maschi di Procnias albus, conosciuto anche come campanaro bianco, un uccello della famiglia dei cotingidi che può essere trovato soprattutto nelle foreste della Guyana, oppure in Venezuela e nello stato brasiliano del Parà. Questi uccelli sono capaci, come spiegano i ricercatori in uno studio pubblicato su Current Biology, di emettere un verso che risulta più forte di quello di qualsiasi altro uccello al mondo, un verso che può raggiungere i di 125 decibel. Si tratta dello stesso livello di rumore equivalente a quello che si può ottenere stando in prima fila un concerto rock o maneggiando un martello pneumatico (senza le cuffie alle orecchie, ovviamente). Perché emettono un verso così forte? Per attrarre le femmine, naturalmente. Questo verso penetrante può essere udito a grossa distanza e può attraversare facilmente la fitta foresta pluviale amazzonica che può facilmente abbattere qualsiasi rumore, anche sulla media distanza. Tra l’altro questo uccello presenta anche un’altra insolita caratteristica: un aculeo che si sviluppa verso l’alto poco prima del becco. Anche quest’ultimo, secondo i ricercatori, rappresenta una delle caratteristiche che le femmine considerano attentamente prima di scegliere il maschio per l’accoppiamento. Fonte: https://notiziescientifiche.it/ecco-il-nuovo-uccello-piu-rumorosodel-mondo-puo-emettere-verso-superiore-ai-125-decibel/ Foto: Totodu74, PD, via Wikimedia Commons
News al volo dal web e non solo
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Il Punto nero: brutta gatta da pelare di F ILIPPO TIGANI SAVA
Lettere in Redazione
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ra tutte le malattie che si possono presentare in modo endemico in un allevamento di uccelli, il Punto nero è forse lo spauracchio più temuto dagli allevatori, essendo una malattia subdola che compare quasi sempre nel periodo più delicato ed importante dell’allevamento: quello della riproduzione. Molto comune nei canarini e più in generale nella famiglia dei Fringillidi (fringuelli, ciuffolotti, organetti, anche se l’elenco è molto più lungo), si manifesta soprattutto nei pulli nei primi giorni di vita (1/6 giorni) ma può comparire anche nei soggetti giovani di annata in un arco più lungo (1/6 mesi). Il nome di questa malattia deriva da un sintomo evidente ad occhio nudo già al momento della schiusa; la comparsa di una macchiolina nera sul lato destro dell’addome, all’altezza del fegato che indica l’ingrossamento della cistifellea in quanto ripiena di bile ed in autolisi che nell’arco di pochi giorni instaura una setticemia con conseguente morte dei pulli. Alla schiusa delle uova, quindi, il segno clinico più evidente è la macchiolina nera, ma nel prosieguo di pochi giorni compaiono altri sintomi come diarrea, disidratazione e debolezza congenita che rendono i pulli magri e con difficoltà nella crescita. Difficoltà di crescita che molti allevatori inesperti addebitano a scarso imbecco da parte dei genitori. La qual cosa in parte è anche vera, ma solo perché non presentando i pulli vitalità ed il caratteristico colore rosso sul palato e all’inizio dell’esofago che diventa di un colore sbiadito e quasi giallastro, i genitori sono restii all’imbecco avendo capito che qualcosa non gira per il verso giusto. Infatti gli allevatori sanno benissimo che una ottimale vitalità nei pulli si manifesta con il colore rosso all’interno del becco spalancato e la rapidità degli stessi a chiedere l’imbecco ad ogni movimento del nido. Se è vero che la sindrome del punto nero si manifesta nei pulli in modo particolare nella prima settimana di vita, essa ha origini ben più lontane in quanto viene trasmessa dai genitori portatori anche se gli stessi apparentemente non manifestano alcun sintomo. La trasmissione della malattia può avvenire con modalità diverse:
1) Attraverso la madre portatrice alle uova 2) Dall’ambiente all’uovo I soggetti adulti possono contrarla durante tutto l’arco dell’anno; dall’ambiente, dagli alimenti contaminati, da pastoncino stantio, dall’acqua del beverino o del bagno, dalla scarsa igiene della gabbia, dalle voliere sopraffollate, dalle attrezzature carenti di pulizia (beverini, mangiatoie, posatoi) che sono i principali veicoli della malattia attraverso formazione di batteri che raggiungono l’intestino provocandone l’infiammazione che in breve si sposta in altri organi come fegato e milza. Il batterio killer si differenzia in: 1) Escherichia coli 2) Infezione da Circovirus. L’Escherichia coli viene trasmesso dai genitori portatori attraverso l’imbecco, in quanto il batterio si annida nel gozzo e viene rigurgitato insieme al cibo. In questo caso il Punto nero compare nel pullus dopo qualche giorno dalla schiusa. L’infezione da Circovirus è ancora più subdola in quanto danneggia il sistema immunitario predisponendo i pulli alla comparsa del Punto nero e risulta più difficile da curare rispetto all’ Escherichia coli. Comunque entrambe le infezioni portano alla sicura morte dei pulli. Perché è più facile che muoiano i pulli anziché gli adulti? Perché il sistema immunitario dei pulli non è ancora abbastanza efficiente per proteggerli dalle infezioni e capita che le uova possano anche non schiudersi in quanto il pullus non completa la crescita a causa di morte embrionale. Come curare: il detto “prevenire è meglio che curare” è sacrosanta verità; ma una volta comparsa la malattia bisogna trovare la soluzione per poterla bloccare il più velocemente possibile, in quanto presenta una evoluzione rapida. Evitare l’utilizzo indiscriminato di antibiotici “fai da te” in quanto, se non mirati, non solo distruggono la flora batterica ma debilitano il sistema immunitario predisponendo i soggetti ad altre malattie. In ogni caso è importante affidarsi in modo tempestivo al veterinario. Durante il periodo del trattamento controllare adeguatamente la pulizia di gabbie ed accessori, sot-
NOTE L’aumento di volume della cistifellea, cosiddetto “punto nero” è un segno clinico frequentemente riscontrabile in età pediatrica ed è dovuto soprattutto a batteri della Famiglia delle Enterobacteriaceae, non esclusivamente Escherichia coli, ma
anche altri che determinano analoga sintomatologia. Tra le cause è riconosciuto anche il Circovirus e non è escluso che l’azione primaria sia dovuta proprio a quest’ultimo che, con il suo effetto depressivo sul sistema immunitario, apre le porte a infezioni secondarie di natura batterica, soprattutto nei nidiacei dove gli organi linfoidi, in cui normalmente replica, sono in intensa attività. L’infezione può avvenire per via orizzontale, attraverso cellule cutanee di sfaldamento presenti nel nido o ancor più con il rigurgito dell’imbeccata, ma è riconosciuta anche la trasmissione verticale, cioè per via diretta dalla madre all’uovo. La terapia farmacologica deve essere impostata esclusivamente dal Medico Veterinario, mai attraverso il fai da te o su consiglio di un amico, per cui meglio non fare riferimento a nessuna molecola o nome commerciale; non esistono antibiotici “universali” che vanno bene per tutti i possibili batteri responsabili e l’individuazione e cura possono essere individuati esclusivamente da un laboratorio di microbiologia. La terapia, quindi, non si basa solo sull’uso di antibiotici, ma anche di immunostimolanti, di probiotici e, non meno importante, con la cura delle buone pratiche di allevamento, igiene dell’ambiente, delle attrezzature e degli alimenti. Dr GIANLUCA TODISCO Medico Veterinario, PhD Fiduciario FNOVI per la Medicina e Chirurgia Aviare
E. coli visti al microscopio elettronico a scansione. Fonte: Commons.wikimedia.org - autore: Rocky Mountain Laboratories, NIAID, NIH
Lettere in Redazione
toponendoli a disinfezione attraverso un ammollo di 48 ore in acqua corretta con soluzione di ipoclorito di sodio (la nostra comune varechina). Sciacquare in acqua corrente, asciugare bene e riutilizzare. Questo lavoro limitato al periodo critico, dovrebbe essere normale routine in un allevamento per tutto l’arco dell’anno. Per questo asserivo che il punto nero viene da lontano. Il più delle volte, dopo le fatiche delle cove, gli allevatori occupati da altri interessi, vuoi lavoro, aumento di soggetti da accudire, maggiore numero di gabbie da pulire, l’avvicinarsi delle mostre, hanno un periodo di rilassamento, per cui pulizia delle gabbie e relativi accessori, cambio di semi, di acqua con pulizia beverini (importantissima), acqua del bagno non tolta in tempo utile, vengono trascurati ed ecco che il killer entra in azione, si propaga nel gruppo ed aspetta, aspetta la prossima stagione cove. “Prevenire è meglio che curare”. Un mio modestissimo parere è che la buona riuscita della prossima stagione cove inizia alla fine della precedente.
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Come volare con gli uccelli rimanendo coi piedi per terra di E LENA M ERLINI
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Lettere in Redazione
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antastica uscita didattica alle porte di Piacenza per due classi della Scuola Primaria “P.Giordani”. Vorremmo condividere con voi una domanda importante: “Chi lo dice che le gite devono sempre avvenire fuori porta?” Spesso cerchiamo lontano bellezze che, in realtà, stanno dietro l’angolo. Così per le classi 2A e 2B si è aperto uno spazio di cielo in un perfetto connubio di meraviglia, scienza e geografia. Tutte le specie di uccelli: di dimensioni, colori, provenienze diverse. Dal gufo reale al più piccolo fioraccino. Ecco come si apre la scoperta del Museo Ornitologico di Piacenza, unico, nel suo genere, a livello nazionale. All’accoglienza il Signor Guglielmo ha incantato i bambini spiegando i concetti di “dimorfismo”, “autoctono” per arrivare ad approfondire e a spiegare varie curiosità sugli uccelli. Molte le mani alzate e gli occhi spalancati, soprattutto quando in sala è comparsa la vera protagonista della giornata: ”Piccola, Piccola”. Un pappagallo verde dalle bellissime gradazioni di rosso, blu, giallo si divertiva a volare sulle spalle delle maestre, dei bambini e del signor Guglielmo, la guida, con cui scambiava, amorevolmente bacini e tenerezze… Con grande stupore abbiamo imparato che anche i pappagalli si possono addomesticare, si affezionano e ti seguono senza guinzaglio, per libera scelta, ricambiando il padrone con tutto l’amore possibile, perché riconoscenti di tutto il bene ricevuto con attenzione. Una lezione di vita insieme alla scoperta del cielo. Allora non possiamo che ringraziare il signor Guglielmo e la signora Annalisa, per averci trasmesso e riconfermato ancora una volta che gli animali sono capaci di affetto e amore, come gli esseri umani; grazie per averci ricordato che c’è sempre un modo per vincere la solitudine e che, malgrado l’età e il passare del tempo, non si finisce mai di imparare e di scoprire quel mondo fantastico, affascinante e misterioso che è la natura. Grazie