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Luigi Montini e Sergio Lucarini

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Giovanni Canali

Giovanni Canali

Il Diamante di Gould bruno

Considerazioni sulla nomenclatura

testo di LUIGIMONTINIe SERGIOLUCARINI, foto e allevamento di NICOLACASCELLOe FILIPPOPAGLIARINI

Noi siamo allevatori e allevare significa selezionare; questo è vero dalla notte dei tempi, da quando il primo animale si avvicinò all’uomo. Ma affinché la selezione sia possibile, c’è bisogno che la popolazione di animali presenti una sufficiente variabilità genetica. Variabilità che è prodotta dal progressivo formarsi di nuovi alleli grazie alle mutazioni e dal conseguente loro continuo riassortimento casuale nelle successive generazioni. In ornitofilia per mutazione si intende qualunque variazione riguardi il colore o il disegno che si evidenzi sul mantello degli uccelli allevati. Questo è vero, ma è solo una parte di una più complessa realtà; la stragrande maggioranza delle mutazioni risulta infatti a noi invisibile ed è a carico di processi biochimici interni agli uccelli. Fenomeni che non si vedono nell’immediato

Femmina Bruno Testa nera

Queste mutazioni sono relativamente rare e si verificano sia negli uccelli selvatici che in quelli allevati; la differenza è che in quelli selvatici la selezione naturale, non permettendo agli individui anomali di sopravvivere, o comunque di riprodursi, solitamente le elimina

ma sono loro, accumulandosi, che danno quella variabilità che con la selezione ci consente di ottenere soggetti più grossi o più piccoli o più colorati o di forme e portamenti particolari. Inquadrato il fenomeno, per non divagare oltre, possiamo comunque dire che le mutazioni che come ornitofili più ci appassionano sono quelle che riguardano il mantello degli uccelli, mutazioni che per nostra fortuna sono relative a un solo gene e si trasmettono secondo le leggi di Mendel, perciò facili da capire e gestire. Queste mutazioni sono relativamente rare e si verificano sia negli uccelli selvatici che in quelli allevati; la differenza è che in quelli selvatici la selezione naturale, non permettendo agli individui anomali di sopravvivere, o comunque di riprodursi, solitamente le elimina. Negli uccelli allevati, invece, queste mutazioni sono altamente apprezzate, quindi vengono fissate e preservate. Questo ovviamente è possibile perché in ambiente controllato la selezione naturale non ha modo di agire. Il numero di mutazioni che si verificano non varia molto da specie a specie ma, per mere ragioni probabilistiche, è generalmente in funzione del numero degli uccelli prodotti. È per questo che il Diamante di Gould ha annoverato per diverso tempo un nu-

Maschio Bruno testa arancio

mero limitato di mutazioni, numero che è significativamente aumentato negli ultimi dieci anni a seguito dell’incremento fortissimo dei soggetti allevati. È ovvio che, parallelamente alla sua forte diffusione negli allevamenti, si è registrato anche un aumento della sensibilità degli allevatori nell’individuare le nuove mutazioni, cosa che nel passato non è avvenuta, tanto che diverse sono andate perdute in quanto non riconosciute. Una delle ultime mutazioni, ma forse una delle più importanti, che è stata fissata e poi si è diffusa negli allevamenti è la bruno. Questa mutazione è particolarmente importante perché, a differenza delle altre precedentemente comparse, non produce la riduzione o l’eliminazione di un determinato pigmento, bensì porta ad una sostituzione di una melanina con un’altra di differente formula chimica. Si è osservato, infatti, con studi al microscopio, che all’interno della matrice cheratinica delle piume dei soggetti bruni non sono presenti i melanosomi allungati e piuttosto grandi contenenti eumelanina nera tipici dei soggetti ancestrali, bensì melanosomi più piccoli e tondeggianti, gli stessi trovati in tutte le altre specie dove la mutazione è apparsa. In definitiva, nelle penne dei soggetti bruno, il numero di melanosomi resta invariato ma la loro dimensione è inferiore e al loro interno è contenuta eumelanina di colore grigio marrone. Sarebbe interessante sapere se la dimensione dei melanosomi influenzi il tipo di melanina in essi contenuta o se sia il tipo di melanina a influenzare la dimensione dei melanosomi… oppure,

Maschio Bruno Blu Femmina Bruno Testa rossa

come pensiamo più probabile, se l’effetto della mutazione si esplichi in contemporanea sui due fenomeni. Per ora, almeno per noi, questa è una domanda che non ha una risposta. Questa modifica strutturale a carico dei melanosomi, che come detto è stata osservata a livello microscopico, ha ovviamente effetto anche a livello macroscopico; infatti, tutto il mantello del soggetto mutato appare di colore differente rispetto a quello dell’ancestrale. La differenza tra mutato e ancestrale è più o meno evidente a seconda di quale area del mantello si prenda in esame: le parti originariamente di colore nero, come la testa nei Testa nera e la gola nei Testa lipocromica, dove l’intensità melanica è ovviamente massima, appaiono di un colore che va dal marrone scuro al quasi nero, una colorazione che in determinate condizioni di luce può essere scambiata per nero assoluto, cosa che però non succede alla luce diretta, dove anche nei soggetti più ossidati affiora un ben apprezzabile gradiente bruno, diciamo testa di moro, con una variabilità soggettiva accentuata. Le aree del dorso, che sono mediamente melanizzate e dove è presente il peculiare effetto diffrattivo, appaiono leggermente più chiare, simili a quelle di un Pastello singolo fattore; questo anche perché il colore strutturale blu è meno intenso a causa della differente forma dei melanosomi. Tutte le aree a bassa melanizzazione, come le remiganti e le timoniere, appaiono piuttosto schiarite e di colore beige nocciola: qui la melanina originaria è poca e il rimpicciolimento dei melanosomi è più impattante. Le aree dove incidono in prevalenza solo i lipocromi, come il ventre, restano ovviamente identiche a quelle di un fenotipo classico. Nel complesso, diciamo che la mutazione dà luogo ad un mantello piuttosto simile a quello di un soggetto ancestrale ma con toni più caldi e più luminosi, decisamente attraenti.

Perché riteniamo corretto chiamare questa nuova mutazione BRUNO? Negli ultimi tempi, negli ambienti legati all’allevamento di questo esotico sono fiorite delle proposte alternative circa la denominazione da assegnare al feno-

Femmina Satiné

tipo di cui stiamo trattando. Denominazioni che intendono certificare una possibile natura genetica diversa rispetto al ben noto meccanismo che da sempre in tutte le specie produce il classico e ben diffuso fenotipo bruno. Francamente, anche armati dalle migliori intenzioni, non riusciamo a comprendere quali siano le basi tecnico-genetiche sulle quali possano poggiare queste diverse interpretazioni della fisiologia dei fenomeni sopra descritti. Anche non volendo considerare l’evidente e peculiare manifestazione fenotipica, cioè soggetti in cui predominano tonalità brune apprezzabili fin dalla nascita e poi, ancora di più, dopo la muta, oppure la caratteristica degli occhi, che nei pulli di pochi giorni appaiono di un evidente colore rosso cupo, ovviamente diverso dal rosso dei soggetti Ino ma del tutto assimilabile a quello di tutti i soggetti mutati bruno di altre specie, secondo noi dirimenti sono i riscontri delle analisi al microscopio dei pigmenti presenti nelle barbe di questi mutati: negli ingrandimenti sono ben visibili granuli tondeggianti di eumelanina di colore marrone. Nell’universo delle specie ornitiche di nostro interesse, melanosomi di questa forma e colore sono il marchio di fabbrica del fattore che in ornitocoltura abbiamo sempre definito bruno.Dubbi in merito non possono essercene, in quanto tutte le altre mutazioni recessive sessolegate conosciute, quando analizzate, hanno presentato strutture melanosomiche macroscopicamente differenti rispetto a quelle sopra descritte. Ad esempio, nelle mutazioni che provocano una diluizione, come è il caso della pastello del Canarino, oppure la stessa pastello a dominanza parziale peculiare del Diamante di Gould, essendo fattori caratterizzati da una carenza a livello del “trasporto” dei melanosomi dal melanocita al germe della penna, i radi granuli che riescono

ad arrivare nelle barbe si presentano spesso sformati ed ipertrofici, certamente non confondibili con quelli piccoli e tondeggianti che troviamo nelle barbe dei mutati bruno. In definitiva, nei cosiddetti diluiti le melanine sono contenute in melanosomi radi e giganti; nei mutati di tipo “qualitativo” come i bruno, i melanosomi sono numericamente invariati ma, invece di presentarsi a forma di bastoncello e neri, sono tondeggianti e di colore grigio-bruno. Quanto sopra sconta comunque la nostra realtà amatoriale, realtà che in ogni caso ci porta a classificare le diverse mutazioni e il conseguente giudizio alle esposizioni, basandoci su osservazioni del fenotipo. Pertanto se un uccello mutato, come in questo caso la variante del Gould che stiamo discutendo, mostra tutte le caratteristiche di un soggetto bruno, per come lo abbiamo inteso fino ad ora, è necessario che venga chiamato con il nome corretto, perché sappiamo tutti benissimo che la denominazione definisce anche l’iter selettivo cui i soggetti vanno indirizzati. Non è infatti lo stesso definire un soggetto bruno o definirlo diluito perché diversa sarà la selezione, essendo diversi i fenotipi di eccellenza attesi. Ci sono anche altri aspetti che depongono a favore della denominazione bruno; uno molto importante è dato dal risultato fenotipico assolutamente peculiare che scaturisce dall’abbinamento della mutazione bruno con la mutazione ino. Anche nel Diamante di Gould, come in tutti gli altri uccelli in cui questo abbinamento è stato fatto, si verifica una inaspettata interazione che porta a soggetti molto più colorati rispetto a quanto la somma di due mutazioni “difettive” farebbe preconizzare. La mutazione ino, che nel Diamante di Gould produce un fenotipo che per le sue colorazioni prevalentemente lipocromiche è stato denominato lutino, ha la capacità di annullare completamente la feomelanina, il poco colore melanico presente è costituito da una piccola frazione di eu bruna contenuta in melanosomi estremamente piccoli e degradati. Questa caratteristica di lasciare un residuo di eu bruna, probabilmente una frazione del totale di tale pigmento originariamente presente nell’ancestrale, fa sì che la sua sovrapposizione su una base bruna, cioè in soggetti in possesso di dosi molto elevate di tale pigmento, produca un fenotipo marcatamente colorato. Questi appariscenti soggetti caratterizzati da evidenti soffusioni di toni bruno/beige, sempre apparsi in tutte le specie dove l’abbinamento bruno e ino è stato realizzato e che in ambiente EFI vengono comunemente chiamati satiné, sono la prova vivente che la mutazione che stiamo discutendo in questa nota è veramente la bruno, in quanto non esiste altro fattore mutato che in abbinamento con ino riesca ad indurre un rafforzamento così vistoso delle cromie. Secondo alcuni, spinti dalla volontà di trovare una possibile spiegazione alternativa, la comparsa di tali soggetti lutino molto “ossidati” è dovuta a “fattori semidominanti di scurimento”, cosa in linea di massima possibile, ma in questo caso è una possibilità assolutamente da escludere dato che numerosi soggetti satiné di cui abbiamo conoscenza diretta sono nati da coppie che nel loro mantello non presentavano alcun fattore di scurimento, impossibilitate quindi a trasmetterlo a loro volta. Da prove di accoppiamento di tre ottimi allevatori (Filippo Pagliarini, Nicola Casciello e Gianluca Pastillo), cui abbiamo personalmente fatto visita, è risultato che accoppiando satiné x satiné si ottengono tutti e solo figli satiné, risultato non possibile se i riproduttori anziché satiné fossero stati dei lutino dark factor. Anche questi risultati dimostrano che, nel caso dei satiné (o bruno ino), siamo di fronte ad una combinazione genetica stabile e non casuale, come sempre avviene in quelle che si generano grazie ad un crossing over. In conclusione, fiduciosi di non aver troppo annoiato quanti hanno avuto la pazienza di leggere queste nostre riflessioni, chiudiamo nella speranza di aver aggiunto un minimo di conoscenza o di curiosità in più verso quello che indubbiamente è il più bello degli esotici di nostro interesse.

Maschio Satiné

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