ANNO XLIX numero 2 2023
Canarini di Colore Transgenia nei canarini: il lipocromo rosso
Estrildidi Fringillidi e Ibridi Ancora sulla mutazione Bruno del D. di Gould
Canarini da Canto Il maestro perfetto
Cronaca Progetto: “il mondo degli uccelli”
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In copertina: Mosaico rosso maschio (Serinus canaria) all. ALFREDO FARIA
Foto: ANTONIO JAVIER SANZ
ANNO XLIX NUMERO 2 2023 sommario Imparare Giovanni Canali 3 Transgenia nei canarini: il lipocromo rosso Mimmo Alfonzetti 5 Ancora sulla mutazione Bruno del Diamante di Gould Sergio Lucarini e Luigi Montini 11 Il maestro perfetto Umberto Marini e Gregorio Piccoli 17 Spazio Club Club Arricciato Padovano 21 La rondine, il cardellino e il rigogolo nelle opere del pittore Carlo Crivelli (1430/35-1494/95) - 1ª parte Ivano Mortaruolo 23 Il Saltimpalo (Saxicola torquatus) - 2ª parte Piercarlo Rossi 29 Photo Show Le foto scattate dagli allevatori 33 Ad exemplum Filippo Morrone 34 “L’erba dolcinela” (Valerianella o Soncino selvatico) Pierluigi Mengacci 36 Pagina aperta Argomenti a tema 40 Ali bianche, l’origine del concetto e le conseguenze Giovanni Canali 43 Progetto: “il mondo degli uccelli” Mauro Candioli 47 OrniFlash News al volo dal web e non solo 50 Riflessioni su alcuni termini genetici Peppino Vitti 53 Divulgazione ornitologica a Gesico Genunzio Pistis 55 L’Arlecchino Portoghese Mario Zampaglione 56 Il diritto di sancire il bello ed il brutto Sergio Palma 59 Un sogno diventato realtà Giuseppe Albergo 62 Attività F.O.I. - Sintesi verbali C.D.F. del 21 e 22 Ottobre 2022del 9 e 10 Dicembre 2022del 7 Gennaio 2023 63 Canarini di Colore Estrildidi Fringillidi e Inridi Canarini da Canto Pagina aperta 5 11 17 40 Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 2 - 2023 è stato licenziato per la stampa il 6/3/2023
Imparare
di G IOVANNI CANALI
Per imparare, di solito, si parte dalla teoria per poi passare gradualmente alla pratica. Un chirurgo diventa tale dopo l’università e magari dopo approfondimento con la specializzazione. Certo non comincia con interventi di grande difficoltà, ma con i più semplici; un classico è l’appendicectomia. E questo dopo aver assistito il suo maestro. Per un meccanico od un elettrauto vi sono scuole tecniche ed apprendistato; va più o meno così per tutti i lavori che richiedono preparazione.
Per svolgere bene un lavoro o comunque un’attività è necessario un certo bagaglio teorico ed un periodo di applicazione pratica.
Nel nostro campo di allevatori amatoriali non ci sono scuole, a meno che uno non voglia diventare giudice, nel qual caso deve fare un corso. Posso ben dirlo, avendone gestiti molti e mi conforta di sapere ben ricordati. Per il semplice allevatore l’apprendimento non è così semplice. Chi ha la fortuna di vivere in un centro ove è presente un negozio ben gestito, questo diventa un po’ come la “bottega dell’arte” di un tempo e si può avere tutta una serie di vantaggi. Altrimenti le difficoltà sono obiettive. Non sempre chi si rivolge ad un allevatore navigato ha risposte corrette. Il fatto è che chi non ha esperienza, non sempre riesce a distinguere l’effettivo livello dell’interlocutore. Chi si iscrive alla FOI ha certo un grosso aiuto, con il nostro sito e con la rivista “Italia Ornitologica” ove si trovano pubblicazioni valide e dove si possono porre quesiti. Non posso però non notare che i quesiti non sono molti. Suppongo che parecchi allevatori esordienti preferiscano colloqui diretti, semmai; è il caso di sperare che si rivolgano all’interlocutore giusto. Inoltre, quando manca un punto di riferimento, il piccolo allevatore non sa dove rivolgersi per l’iscrizione alla FOI, anche se oggi l’informatica aiuta molto.
Un tempo ci si arrabattava con i libri che si trovavano nelle botteghe. Io ne avevo presi diversi e cercavo di farmi una cultura specifica. C’erano anche un paio di riviste piuttosto ben gestite, alle quali si potevano porre quesiti. Io ero abbonato prima ad una poi ad entrambe, e come me anche altri, ma purtroppo molti non leggevano. Sfortunatamente sappiamo che in Italia si legge poco, ed ancora peggio si apprende, da studi statistici effettuati, che un certo numero di persone ha difficoltà a comprendere un normale articolo di cronaca. Non voglio addentrami in temi di carattere generale
che coinvolgono la scuola ed altro, mi limito quindi al nostro ambiente, che comunque è in Italia.
Un aspetto che mi sento di raccomandare è la sfiducia, si ho detto sfiducia, non è un errore di battitura; infatti è necessario andare sempre in verifica. Prendere per buone le parole di un allevatore anche se apparentemente preparato e vincente è pericoloso. Nel nostro ambiente ci sono ad imperversare molte dicerie che possono mettere fuori strada. È quindi necessario, per chi desidera farsi una buona cultura di base, diversificare le fonti ed accedere alla letteratura fondamentale, nonché testi di alto livello.
Per quanto mi riguarda, come base culturale ho letto molti libri del nostro ambiente, ma ho soprattutto fatto confronti con testi scolastici e di ornitologi professionisti. Aiutato dalla mia curiosità, nonché dalla mia natura molto critica e diffidente, ho capito subito che bisognava fare parecchie sfrondature. C’erano testi molto buoni, ma anche alcuni molto dubbi. Talora bisognava, anche all’interno dello stesso testo, “dividere il grano dal loglio”. Ebbi la fortuna di stringere amicizia con un mio coetaneo molto in gamba, Paolo Franzosi, appassionato come me di allevamento. Eravamo studenti, lui di fisica io di giurisprudenza. Entrambi rilevavamo errori vari e ci confrontavamo. Certo lui era più abituato alle verifiche scientifiche, ma io cercavo di non essere troppo da meno. Talora ci facevamo anche beffe di certe uscite di personaggi molto seguiti, ma che in realtà non avevano una preparazione veramente profonda. Franzosi divenne poi un ottimo ricercatore, ma purtroppo morì prematuramente. Con lui scrissi i miei primi due articoli sul “Il giornale degli uccelli” edizioni Encia di Udine, uno di questi di una certa importanza storica, visto che per la prima volta si dimostrava in modo chiaro l’esistenza della categoria nei bianchi, che prima faceva capolino in modo dubbio o comunque poco chiaro. Il numero era quello di aprile 1973, “Le categorie dei bianchi” (49 anni or sono…). Per redigere quell’articolo avevamo considerato le sue esperienze con bianchi lipocromici e le mie con bianchi melanici. Si impara anche unendo le diverse esperienze. Ho poi avuto la fortuna di conoscere ornitologi e genetisti professionisti ed anche allevatori veramente preparati, con i quali ho intrattenuto ed intrattengo utili confronti. Non tutti hanno la fortuna di poter conoscere persone veramente preparate, tuttavia i contatti epistolari, anche infor-
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matici e telefonici sono spesso possibili. Per quanto mi riguarda, non ho mai negato una collaborazione a nessuno, talora anche a chi non l’avrebbe meritata. Il fatto è che considero l’interesse dell’allevamento amatoriale come prioritario, e non ho mai dato retta a chi mi consigliava di ignorare certi personaggi (anche se non aveva tutti i torti).
Si discute spesso sulla pratica e la teoria; ho anche scritto un articolo “La pratica e la teoria”, Italia Ornitologica n°2 del 2011, e in breve posso dire che occorrono entrambe. Nessuno al mondo può prescindere dalle esperienze pregresse, neppure se campasse 1000 anni e con il massimo impegno. Condivisibile la frase di Lydtin che dice: “che cosa è la pratica senza la teoria? Un vano sforzo. Che cosa è la teoria senza la pratica? Un vano tesoro”.
Non mancano persone che valutano come non possibile da imporre la cultura. In effetti non si può imporre, tuttavia è bene che ci sia, e chi può compie opera meritoria aiutando gli altri. Un amico mi dice che l’allevamento per molti allevatori è una sorta di “dopolavoro” e non si può pretendere di mandarli a scuola. Più che un dopolavoro direi proprio un hobby impegnativo; certo non si può pretendere anche la scuola, neppure serale, sia pure per modo di dire, tuttavia si può pretendere almeno la capacità di allevare in modo confortevole. Il benessere animale è certo una priorità ed i maltrattamenti vengono giustamente perseguiti, anche se dettati da ignoranza. Si potrà transigere sulle raffinatezze tecniche e scientifiche, non sulla buona conduzione dell’allevamento. Quindi, almeno le nozioni necessarie per ben allevare sono da pretendere. Chi poi avesse ambizioni di competizione dovrà approfondire, prima sul piano teorico e poi con le esperienze pratiche.
Troppi sopravvalutano l’esperienza, poiché da sola proprio non basta. Testi importanti aiutano molto. A questo proposito ricordo sempre che diedi la spiegazione al fenomeno ali grigie, dopo aver visto un’illustrazione sul testo di Falaschini A. e Vivarelli A. “Zootecnia generale” Edizioni Agricole Bologna 1977. In realtà l’effetto ali grigie era problematico da spiegare; infatti non si capiva perché dovesse agire solo in presenza del pastello che è legato al sesso, pur non essendo legato al sesso. Alcuni tecnici davano spiegazioni sconcertanti, come il contrasto in seguito a presunti incroci fra il nero classico, massima ossidazione e l’isabella pastello massima diluizione. Davvero troppa fantasia fuori luogo. Altri definivano l’ali grigie come un “rompicapo” dopo avere confutato altre ipotesi più congrue della suddetta, ma comunque errate. Ebbene anch’io mi ponevo il problema, ma i testi che avevo consultato fino ad allora, erano insufficienti per questo quesito. Mi si accese la lampadina quando vidi sul testo di Falaschini e Vivarelli, sopra citato, l’illustrazione delle pellicce dei ratti incappucciati che andavano dal quasi bianco al quasi nero passando attra-
verso varie espressioni e con macchie a contorni non ben netti, causa l’effetto additivo di geni modificatori. Ricordo che esclamai: “ma questo è l’ali grigie!”. Capii che c’erano importanti geni modificatori autosomici che agivano in modo additivo nei confronti del carattere prodotto dal gene maggiore legato al sesso responsabile del pastello. Ad ogni buon conto, per prudenza e superando la mia timidezza, trovai la faccia tosta per andare all’università di Parma al fine di avere un parere, che grazie alla cortesia di un professore ebbi. Poi scrissi un articolo esplicativo, che feci firmare anche a Gasparini, all’epoca molto seguito e che, nel suo allevamento, stava estendendo l’effetto ali grigie a tutto il piumaggio (Il fattore ali grigie I. O. n°8/9 del 1982). Devo constatare che oggi non molti hanno capito bene il fenomeno dei geni modificatori, specialmente all’estero ove, se non vado errato, l’ali grigie viene considerato come una mutazione allelica al pastello, nonostante che questa tesi proprio non regga. Se così fosse avremmo solo due tipi di femmine: la pastello e l’ali grigie, nei maschi al massimo 3 espressioni: pastello, ali grigie ed intermedio, in entrambi i sessi assenti forme varie ulteriori, che invece ci sono eccome. Senza contare la palese natura autosomica dell’effetto ali grigie, incompatibile con la condizione allelica verso una forma legata al sesso. Come si vede, gli approfondimenti anche su testi diversi da quelli del nostro ambiente e il conforto di pareri autorevoli sono necessari. Non dimentichiamo la frase attribuita a San Tommaso d’Aquino: “Timeo hominem unius libri” cioè: temo l’uomo di un solo libro, vale a dire che ha letto un solo testo; poiché la sua cultura sarà inevitabilmente settaria o quantomeno limitata. Questo naturalmente vale per chi desidera approfondire, altrimenti, come diceva un mio vecchio professore d’italiano a chi non approfondiva troppo: “siete dei bravi ragazzi lo stesso”. Aggiungo io: “non siete dei bravi ragazzi, se non trattate bene i vostri soggetti”. In altri termini, non si pretende approfondimento ad alti livelli, ma per la buona conduzione il necessario sì (alimentazione, igiene ecc.). A questo scopo ci sono diversi libri e libretti adatti e da quelli non si dovrebbe prescindere. Anche qui però sempre controlli incrociati, gli errori possono sempre esserci. Per chi se la sentisse, vi sono testi di zootecnia per le scuole superiori che sarebbero di notevole aiuto anche per la conduzione dell’allevamento. Nonché quelli importanti del nostro ambiente. Quanto alle associazioni, penso che farebbero bene a seguire i neofiti in vari modi, magari organizzando incontri con esperti, specialmente veterinari, se non proprio organizzando dei corsi.
Ottima una serie di incontri, su vari temi e livelli, specialmente basilari. Del resto, con gli incontri si forniscono informazioni, quindi si impara, e si crea anche ambiente, il che è sempre utile.
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Editoriale
Transgenia nei canarini: il lipocromo rosso
testo ed immagini di MIMMO ALFONZETTI, foto A. J. SANZ
Introduzione
Un team internazionale di ricercatori ha scoperto i geni responsabili della conversione dei carotenoidi gialli negli uccelli in pigmenti rossi (chetocarotenoidi). Nel loro articolo pubblicato sulla rivista Cell Biology, il gruppo descrive i passi compiuti per rivelare i geni e le proteine che li compongono. Ricerche precedenti hanno dimostrato che i pigmenti rossi nelle piume di uccelli cardinali (Cardinalis cardinalis) e in altri uccelli sono dovuti alla conversione dei pigmenti gialli (carotenoidi, che ottengono dalla loro dieta) in pigmenti rossi attraverso un processo di chetolasi (o chetolazione), dando soluzione ad un problema genetico che sembrava un mistero. In questo nuovo sforzo, i ricercatori hanno risolto l’arcano spiegando il modo con cui vengono prodotti gli enzimi che catalizzano la conversione. Nella considerazione che tra gli uccelli oggetto di indagine sono rientrati i canarini domestici a colorazione rossa, si ritiene opportuno approfondire la pubblicazione per quanto ci riguarda da vicino. Le note che seguono trovano principio anche da un articolo pregevole di S. Lucarini (I.O., 12/2019)
Un po’ di storia
I canarini erano originariamente verdi, ma dopo secoli di allevamento selettivo erano stati creati vari canarini mutanti nella colorazione, tra cui bianco e giallo. L’unico canarino colorato che nessuno era mai riuscito a produrre era il canarino rosso. Nel 1920 il tedesco Hans Duncker decise di provare, ipotizzando che l’unico modo per produrre un canarino rosso
fosse quello di prendere i “geni rossi” da un’altra specie di uccelli, tipo il cardinalino del Venezuela rosso, e traslarli nei canarini. Il piano di Duncker per raggiungere questo obiettivo era quello di “riversare” il DNA rosso del cardinalino nel genoma dei suoi canarini e successivamente perfezionare la selezione in modo che rimanesse soltanto il “gene rosso” o una traccia del DNA del cardinalino. L’iter selettivo immaginato prevedeva la produzione di ibridi tra cardinalino e canarino giallo: successivamente pensava di allevare questi ibridi tra loro, con l’idea di creare prole con varie sfumature di piume rosse. Infine, questi discendenti ibridi rossi sarebbero stati accoppiati con dei canarini, sperando di mantenere concentrati i geni rossi ma scartando i geni
del cardinalino non necessari. Le cose non andarono come previsto: le F1 femmine erano sterili (si ipotizzò la mancanza di organi riproduttivi interni) e la prole nasceva macchiata. Per fortuna la prole maschile risultò fertile (successivamente al primo anno), per cui Duncker decise di accoppiare gli F1 maschi direttamente con canarini femmine gialle (back-crossing). In considerazione della recessività delle piume gialle, si aspettava che la prole fosse prevalentemente a piume rosse ma, sfortunatamente, tutti i figli avevano le stesse piume macchiate come i loro padri. Questi uccelli non avevano la vivacità delle piume rosse dei cardinalini ma avevano un lipocromo il cui colore era diverso da un tipico canarino.
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Mosaico rosso maschio, foto: A. J. Sanz
La colorazione artificiale
Dopo questo fallimento Duncker si arrese, lasciando agli allevatori internazionali di canarini questo compito. Ancora una volta, questi allevatori hanno accoppiato gli ibridi maschi macchiati con canarini gialli, ma questa volta la prole risultò arancione! Questa prole arancione è stata reincrociata, ottenendo un colore arancione ancora più profondo. Ma purtroppo il lipocromo risultava di una tonalità ancora non del tutto rossa.
La parte finale del processo per creare un canarino rosso è stata risolta da un fisiologo di nome Charles Bennett. Si rese conto che la genetica da sola non poteva produrre un canarino dal piumaggio evidentemente rosso. Aveva notato che il colore vivace dei siskins rossi a volte sbiadiva quando erano tenuti in cattività e ipotizzava che qualcosa dovesse mancare nella loro dieta. Bennet aveva conoscenza della “carotenosi”, ovvero la presenza di carotene (pigmento arancio) nel sangue. Una condizione scoperta quando quattro donne, dopo aver consumato 2 kg di carota cruda ogni settimana per sette mesi, videro che la loro pelle era diventata arancione brillante. Logico ipotizzare che la dieta potesse influire sul colore della pelle e quindi anche delle piume. Credeva anche che il rosso e il giallo non fossero due colori diversi codificati nel genotipo, ma due tonalità dello stesso colore e che se un uccello aveva piume gialle o arancioni aveva il potenziale per avere anche piume rosse. Bennet decise
di testare questa teoria nutrendo con delle carote dei canarini arancioni e, stranamente, dopo che gli uccelli ebbero mutato, le piume che ricrescevano erano di un rosso ricco e vibrante! Bennet aveva scoperto che sia il corredo genetico che la dieta del canarino erano importanti (Pilcher, 2020). Nutrire con le carote un canarino naturale giallo non avrebbe alcun effetto, in quanto non possiede la predisposizione genetica a reagire. D’altra parte, i canarini “transgenici” contenenti DNA del cardinalino rosso possono essere indotti a diventare rossi nutrendoli con carote.
Geni della colorazione carotenoide
La creazione del canarino rosso fu rivoluzionaria; è stato (forse) il primo animale “transgenico” ad essere creato, attraverso un approccio incredibilmente low-tech, realizzato semplicemente dalla “simbiosi tra allevamento e carote” (tra incroci e alimentazione). Da questa scoperta, la modificazione genetica è progredita molto e i progressi sono tutt’ora in corso. Con lo sviluppo delle tecnologie di sequenziamento del DNA, in particolare quello ad alto parallelismo, recenti scoperte (vedi nota 2 - del 2021) hanno rivelato alcuni geni che controllano la pigmentazione dei carotenoidi facendo luce sulle basi molecolari di colorazione a base di carotenoidi nei vertebrati. Questi geni, come SCARB1, BCO2 e CYP2J19, svolgono un ruolo importante nella colorazione delle piume degli uccelli. Sono geni chiave che influenzano l’espressione dei carote-
noidi e che hanno favorito la comprensione approfondita del meccanismo di regolazione genetica del colore delle piume. In particolare, il gene CYP2J19 è il principale responsabile della colorazione rossa dei canarini attraverso un processo bio-chimico che vede coinvolto un enzima catalizzatore, la chetolasi. Il risultato è un canarino fenotipicamente normale ma con la capacità di produrre chetocarotenoidi rossi da carotenoidi gialli introdotti con la dieta.
La struttura chimica della catena enzimatica (numero di doppi legami coniugati, interazioni con altre molecole) che sostiene i carotenoidi influenza fortemente la tonalità del colore. Le proprietà di assorbimento della luce da parte dei carotenoidi sono legate essenzialmente a questa catena centrale, una struttura chimica che consente ai carotenoidi di assorbire la luce visibile a lunghezza d’onda corta, riflettendo la luce con lunghezze d’onda più lunghe, dando ai carotenoidi un aspetto rossoarancione. Le lunghezze d’onda riflesse dai carotenoidi diminuiscono con l’aumentare della dimensione delle catene coniugate e si verifica lo spostamento verso il rosso della riflessione, quindi la tonalità del colore è più vicino al rosso (Prumet et al., 2014).
Il gene SCARB1
Negli uccelli, la colorazione del piumaggio ha uno sviluppo abbastanza complesso perché coinvolge diversi processi fisiologici, tra cui
·l’assorbimento dei carotenoidi nel sistema digestivo
·il trasporto nel sistema circolatorio (sangue e linfa)
·il metabolismo nel tessuto epiteliale nel fegato
·la deposizione nel tessuto pigmentato sulla superficie corporea (pelle, piume, becco…)
Il gene SCARB1 promuove l’assorbimento cellulare dei carotenoidi; è un mediatore essenziale dell’espressione della colorazione a base di carotenoidi negli uccelli e svolge un ruolo importante nel processo sopra descritto. L’assorbimento dei carotenoidi avviene nel tratto intestinale dove, sotto l’azione degli enzimi biliari, vengono sciolti in finissimi aggregati chiamati micelle per
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Fig.1 – Processo di ibridazione dei canarini rossi (immagineadattatadapubblicazioneinnota3)
essere secreti nella linfa per poi entrare nel sistema circolatorio e nel fegato. L’intero compito di trasporto è assolto da SCARB1. I carotenoidi, messi in circolazione successivamente dal fegato, hanno bisogno di legarsi alle proteine lipidiche presenti nella circolazione sanguigna (Parker, 1996).
Il trasporto di carotenoidi nel plasma viene correlato alle lipoproteine a bassa densità (LDL), mentre i carotenoidi con legami covalenti polari tendono a legarsi alle lipoproteine ad alta densità (HDL) (Erdman et al, 1993). Ad esempio la luteina, carotenoide principale responsabile della colorazione gialla dei canarini, si lega alle lipoproteine HDL proprio perché la sua catena enzimatica contiene legami covalenti con alterata polarità a causa di una distribuzione elettronica asimmetrica.
Toomey et al. (2017) hanno scoperto che i canarini bianchi recessivi hanno livelli molto bassi di carotenoidi nei loro tessuti rispetto alle varietà rosse o gialle. A seguito di mappatura genetica, si è scoperto che l’allele bianco recessivo è dovuto ad una mutazione puntiforme del gene SCARB1 che opera una scissione anomala degli isomeri. SCARB1 perde la funzione di trasportare carotenoidi, con conseguente incapacità dei carotenoidi di accumularsi nei tessuti superficiali del corpo e quindi di colorarli.
SCARB1 può essere considerato quindi come recettore delle proteine lipidiche (lipoproteine) ad alta densità HDL per conciliare la colorazione dei carotenoidi nei tessuti bersaglio (pelle, follicoli, piume, retina, ecc.). Le mutazioni del gene codificante SCARB1 possono interrompere il processo di trasporto dei carotenoidi nelle cellule (Sakudoh et al., 2013).
Il gene BCO2
Questo gene codifica per l’enzima β-carotene ossigenasi 2 che ossida i carotenoidi. Dopo l’assorbimento, il trasporto e la conversione metabolica, i carotenoidi assegnati alla colorazione del corpo vengono depositati nelle cellule cromatofore del tegumento. I geni coinvolti in questo ultimo processo sono ancora in gran parte sconosciuti ma certamente BCO2 svolge una funzione
rilevante. Questo gene è un importante mediatore nell’evoluzione della colorazione del piumaggio degli uccelli, regola la deposizione dei carotenoidi (Våge & Boman, 2010); le sue mutazioni possono favorire la dissoluzione ma anche l’arricchimento dei carotenoidi. In alcune specie di fringuelli, BCO2 genera un evidente dicromatismo sessuale; nelle piume di molti fringuelli femmine ne è stata rilevata una maggiore concentrazione e una minore in molte piume maschili. Ne consegue che la livrea dei maschi appare più colorata, differenziando nel colore i due sessi. È evidente che anche nei nostri canarini questo enzima svolge la funzione di regolarizzazione dei lipocromi. Moltissimi articoli scientifici riferiscono sulla influenza di BCO2 nei canarini “Urucum” e nei canarini “mosaici”. Nei canarini comuni, che non sono sessualmente dicromatici, sia i maschi che le femmine hanno poca espressione di BCO2 nelle loro piume, perché non sono in grado di abbattere in maniera significativa i pigmenti che si manifestano normalmente.
BCO2 nei canarini mosaici
Nei canarini mosaici chiaramente dicromatici, i team di ricerca hanno dimostrato che l’espressione di BCO2 differisce tra i sessi. I canarini mosaico femminili esprimono livelli più elevati
dell’enzima rispetto ai maschi, per cui vengono disgregati i pigmenti colorati nello sviluppo delle piume e ciò porta all’aspetto relativamente sbiadito, indebolito delle femmine.
Per esplorare le basi genetiche e molecolari del dicromatismo nei canarini, la dott.ssa Gazda (5) e i suoi collaboratori hanno sequenziato l’intero genoma di due razze di canarini mosaico e li hanno confrontati con intere sequenze del genoma di quattro razze di canarini monocromatici e di una popolazione di canarini selvatici. L’inclusione di canarini selvatici era giustificata dal fatto che questa popolazione fosse certamente priva di alleli di siskin rosso.La dott.ssa Gazda e i suoi collaboratori avevano previsto che i genomi dei canarini mosaico dovessero essere molto simili a quelli dei canarini domestici e selvatici, tranne in quelle regioni che hanno mediato il dicromatismo sessuale originato dal loro antenato rosso siskin.
L’analisi ha scoperto una piccola regione del genoma del canarino mosaico associata al dicromatismo sessuale. Questa regione comprende diversi geni, incluso il gene che è stato precedentemente identificato come codificante per il colore del piumaggio rosso, CYP2J19. Avevano cognizione che il fenotipo del mosaico segue un modello di ereditarietà recessivo e quindi i canarini mosaico hanno due copie del gene del dicromatismo del loro antenato siskin
Per identificare questi geni, a seguito di numerose genotipizzazioni, hanno trovato 12 varianti della porzione derivata dal siskin nel genoma del canarino. All’interno di quel tratto sono stati individuati tre geni particolari. I ricercatori hanno misurato l’espressione di quei geni nella rigenerazione (ibridazione in situ) dei follicoli delle piume della coda dei canarini mosaicoe hanno scoperto che solo un gene, beta-carotene ossigenasi 2 (BCO2),fosse espresso in modo diverso nelle femmine e nei maschi. Quando il BCO2 è espresso, asserisce l’autore, “le piume degli uccelli mosaico sono bianche” perché BCO2 degrada i carotenoidi. Questa affermazione, oltre a spiegare il dicromatismo dei canarini mosaici, sembra aggiungere anche una possibile soluzione al dimorfismo dei mosaici.
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Il gene SCARB1 promuove l’assorbimento cellulare dei carotenoidi
Il gene BCO2 codifica per l’enzima β-carotene ossigenasi 2 che ossida i carotenoidi
Pertanto, la ridotta pigmentazione dei carotenoidi nei canarini femmina mosaico non è il risultato di un minor numero di pigmenti carotenoidi che si accumulano nelle loro piume, ma deriva invece da una maggiore degradazione locale dei carotenoidi in tessuti specifici a causa della sovraregolazione sessodipendente dell’enzima che distrugge i carotenoidi, BCO2.
La differenza tra i mosaici maschili e femminili è quindi la quantità di enzima βcarotene ossigenasi 2 prodotta. Pertanto, le femmine hanno meno colore perché il pigmento (β-carotene rosso-arancio) è scomposto, lasciando meno quantità per la colorazione delle piume. Le ricerche hanno anche osservato l’espressione femminile di BCO2 in altre specie di uccelli dicromatici, suggerendo che potrebbe essere un meccanismo comune di dicromatismo tra tutti gli uccelli. Sospettano che gli ormoni possano svolgere un ruolo decisivo nell’espressione di BCO2, il che spiegherebbe le differenze di genere nella colorazione del piumaggio. Il team di Gazda (5) sospetta che l’espressione di BCO2 sia regolato dagli
estrogeni. “Quando le femmine invecchiano e producono meno ormoni, iniziano ad assomigliare un po’ di più ai maschi, hanno più colore”, spiegano. Quindi gli estrogeni potrebbero funzionare da potenziatori o da promotori del gene BCO2, provocandone l’innesco.
BCO2 e i canarini “Urucum”
Diversi secoli di allevamento selettivo hanno prodotto canarini domestici con una fantastica diversità di colorazione delle piume gialle e rosse, ma fino a poco tempo fa non era stata prodotta alcuna razza di canarino che depositasse carotenoidi nel becco o nelle zampe (Birkhead et al., 2004). Alcuni decenni fa, un canarino con un becco e le zampe rosse apparve spontaneamente in una colonia di canarini a fattore rosso, una razza con colorazione del piumaggio rosso vivo.
Negli anni successivi, questo canarino mutante fondò una nuova razza di canarino con becco e zampe rosso vivo, ora chiamato canarino Urucum. La pigmentazione nelle parti nude dei canarini Urucum segue un modello autosomico recessivo di trasmissione. Pertanto, i canarini Urucum hanno rappresentato un’opportunità unica per identificare un singolo locus genetico che consente agli uccelli di esprimere un nuovo tratto cromatico ornamentale rilevante. Toomey e i suoi colleghi (3) hanno recentemente scoperto che BCO2 svolge un ruolo chiave nella scomposizione dei pigmenti che controllano la colorazione del becco e delle zampe degli uccelli studiando proprio questo canarino stranamente colorato, la razza “Urucum”. A
differenza dei canarini selvatici e domestici (Serinus canaria), o di una qualsiasi specie di fringuelli del genere Serinus, la razza di canarini “Urucum” domestico esibisce becchi e zampe quasi rosso vivo.
I becchi e le zampe colorate in modo univoco dei canarini “Urucum” sono stati confrontati con canarini tipici, con becchi e zampe carnicini. È stato scoperto che gli uccelli “Urucum” hanno una particolare mutazione di BCO2, una mutazione non sinonima che influisce sugli aminoacidi codificati e che modifica la proteina risultante: BCO2 viene reso non funzionale e viene quindi abrogata l’attività di scissione dei carotenoidi. I canarini “Urucum” tendono ad avere livelli aumentati di pigmenti carotenoidi nel tessuto del becco e nel tessuto retinico rispetto ad altre razze di canarini. Si colorano in modo evidente nel becco e nelle zampe perché non sono in grado di abbattere i pigmenti come fa un tipico canarino.
Le mutazioni sinonime sono mutazioni puntiformi, ossia è una variazione di sequenza del DNA che interessa un solo nucleotide durante il processo di copia dell’RNA del DNA. In una mutazione non sinonima, di solito c’è un inserimento o una delezione di un singolo nucleotide nella sequenza durante la trascrizione quando l’RNA messaggero sta copiando il DNA. Questo singolo nucleotide mancante o aggiunto provoca una mutazione “frameshift” che interrompe la normale cornice di lettura, per cui l’intera sequenza genica successiva alla mutazione verrà letta in modo errato.
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Fig 3 - processo principale di colorazione a base di carotenoidi nelle piume degli uccelli. In evidenza l’azione dei geni SCARB1 e BCO2
Fig 2- il gene BCO2 disgrega i lipocromi gialli o rossi rendendo bianche le piume. Il colore grigio è associabile alle femmine di Cardinalino per la presenza di melanine (immaginerimodulatadapubblicazioneinnota3)
La chetolasi
Nel 2016 i genetisti sono stati in grado di individuare il gene che ha permesso ai canarini transgenici di diventare rossi. Il gene, chiamato CYP2J19, codifica per la chetolasi, un enzima che converte tramite una ossidazione enzimatica i composti carotenoidi, presenti nelle diete, in sostanze chimiche rosse chiamate chetocarotenoidi. I cardinalini rossi hanno una versione mutata di questo gene che lo rende più attivo, spiegando il vibrante colore rosso della specie. Questa mutazione provoca un massiccio aumento della produzione di chetocarotenoidi, consentendo quindi alle piume di un canarino transgenico di diventare rosso quando il canarino viene alimentato con carotenoidi (Koch, 2016).
Il gene CYP2J19
Gli uccelli come i cardinalini del Venezuela hanno piume rosso vivo. La modalità con cui queste piume vengono prodotte con tale cromia è stata in qualche modo un mistero biologico. Ricerche precedenti hanno dimostrato che i pigmenti rossi nelle piume degli uccelli cardinali e in altri uccelli sono dovuti alla conversione dei pigmenti gialli (carotenoidi, che ottengono dalla loro dieta) in pigmenti rossi (chetocarotenoidi), ma come ciò avvenga era un enigma. I ricercatori hanno poi risolto il mistero che riguarda il modo con cui vengono prodotti gli enzimi che catalizzano la conversione.
Per identificare le modalità con cui i carotenoidi gialli vengono convertiti in chetocarotenoidi rossi, i ricercatori hanno iniziato irradiando gli occhi di diversi esemplari di uccelli con una luce monocromatica. In particolare, il bersaglio di questa procedura era la retina, che insieme al fegato risulta sede di concentrazione di carotenoidi. In tal modo, nella retina sono
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Fig.4 – processo di chetolasi dei canarini rossi (immaginerimodulatadapubblicazioneinnota3)
Le mutazioni sinonime sono mutazioni puntiformi
Urucum brinato, foto: A. J. Sanz
stati in grado di identificare sei tipi di coni rossi, uno dei quali non era a base di carotene. I coni insieme ai bastoncelli sono le cellule della retina che permettono la visione delle immagini.
Successivamente, i ricercatori hanno sequenziato l’RNA dei coni rossi e sono stati in grado di isolare un gene che codificava per la proteina, che è risultata essere più espressa nei coni rossi. Ulteriori test hanno mostrato che negli uccelli entrambi gli enzimi erano espressi nei follicoli delle piume.
L’ingegnerizzazione di CYP2J19 successivamente realizzata in altri vertebrati ha mostrato che il processo utilizzato per colorare gli uccelli potrebbe quindi essere adoperato per studiare altri processi di colorazione nei vertebrati.
I carotenoidi, noti per essere utili per la colorazione degli uccelli, possono essere suddivisi in due classi basate sulla struttura chimica: caroteni e xantofille. La prima categoria è costituita da idrocarburi puri, tra cui principalmente αcarotene, β-carotene e licopene. La seconda classe è costituita dai carotenoidi ossigenati, tra cui principalmente luteina, zeaxantina e β-criptoxantina (Svensson & Wong, 2011).
Considerazioni
La teoria di Darwin ipotizza che con la selezione naturale vengono eliminati gli individui più deboli, cioè quelli che, per le loro caratteristiche, sono meno adatti a sopravvivere a determinate condizioni ambientali; solo i più adatti sopravvivono e trasmettono i loro caratteri ai figli. Il mimetismo criptico può garantire la sopravvivenza di individui oggetto di
predazione; infatti, è fondamentale mimetizzarsi con l’ambiente per ridurre le possibilità di essere predati. I siskins rossi hanno colori sgargianti facilmente individuabili anche nella folta vegetazione, quindi facilmente predabili. Dunque contraddicono Darwin? Forse per garantirsi la sopravvivenza usano l’aposematismo come forma di difesa completamente opposta al mimetismo. Gli animali che sfruttano questo accorgimento sono caratterizzati da colori sgargianti su una parte più o meno estesa del corpo, in modo che siano facilmente riconoscibili da possibili predatori. Spesso gli animali aposematici sono velenosi o semplicemente dotati di un sapore sgradevole. È proprio la particolarità dei colori che li caratterizzano che fa allontanare il predatore, facendogli temere per la sua incolumità. Credo, comunque, che questo non sia il caso dei nostri siskins rossi.
Quale sarà il motivo per cui uccelli con colori così sgargianti riescono a sopravvivere?
FONTI
1.S.Lucarini - I.O. n°12- 2019
2.XUE Poning, ZHANG Yanyun, DONG - Mechanism of formation of bird feather diversity based on carotenoid staining
CHETOCAROTENOIDI ROSSI
β-carotenecantaxantina
luteinaΑ-doradexantina
CAROTENOIDI GIALLI chetolasi dei carotenoidi
β-criptoxantina3-idroxechinenone zeaxantinaastaxantina
3. Ricardo J. Lopes - James D. Johnson - Matthew B. Toomey - Mafalda S. Ferreira - Pedro M. Araujo - José Melo - Ferreira - Leif AnderssonGeoffrey E. Hill - Joseph C. Corbo - MiguelCarneiro - Genetic Basis for Red Coloration in Birds
4.Rachael Moeller Gorman The Gene that Makes Female Birds Drab Sep 1, 2020
5.Małgorzata A. Gazda, Pedro M. Araújo, Matthew B. Toomey e altri - A genetic mechanism for sexual dichromatism in birds.
6.Science editors' pick - Color Differences Between The Sexes Driven By Simple Molecular Mechanisms
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Gli animali che sfruttano questo accorgimento sono caratterizzati da colori sgargianti su una parte più o meno estesa del corpo
Fig.5 - Corrispondenzadelleconversionimetabolicheutilizzatedagliuccelliperprodurrechetocarotenoididaprecursori dieteticigiallitramitel’azionediunachetolasicarotenoide
Mosaico rosso femmina
Ancora sulla mutazione Bruno del Diamante di Gould
di SERGIO LUCARINIE LUIGI MONTINI, foto NICOLA CASCELLOE
Nel nostro ambiente amatoriale, tra i volani che contribuiscono a tenere acceso l’interesse degli appassionati, c’è senz’altro in primo piano la comparsa di sempre nuove mutazioni. Parliamo di eventi tutt’altro che frequenti; è da considerare, però, che l’apparire di inediti alleli è un fenomeno assolutamente fisiologico ed ineluttabile la cui cadenza, pur diluita nel tempo, ha comunque una sua relativa regolarità. Ovviamente ci sono variazioni lievi, spesso silenti per quello che riguarda il loro impatto con la normale funzionalità dell’organismo; altre volte queste varianti producono effetti più vistosi e/o drammatici. Quelle che ci interessano maggiormente sono ovviamente le mutazioni che coinvolgono l’assetto cromatico. I nuovi colori prodotti, accrescendo l’interesse degli allevatori per quella determinata specie, fanno aumentare di conseguenza il numero dei soggetti allevati. Questo incremento numerico, sommato a quell’orologio biologico sopra citato che induce errori di duplicazione a cadenza regolare, per un calcolo meramente probabilistico fa sì che nei nostri allevamenti ci ritroviamo con un numero sempre più alto di nuovi fenotipi. Nei fringillidi abbiamo l’eclatante esempio del Cardellino, che grazie al suo grande successo tra gli appassionati oramai, come gamma di varianti, rivaleggia con lo stesso Canarino. Tra gli estrildidi, inarrivabile è la scelta dei fenotipi offerta
dal Diamante mandarino che per lungo tempo è stato l’esotico più diffuso. In decenni più recenti anche il fortissimo interesse degli allevatori verso il Diamante di Gould sta producendo analoghi risultati riguardo al diffondersi di nuovi fenotipi mutati.
La mutazione bruno Sempre parlando di mutazioni, ce ne sono di quelle che compaiono molto spesso, cosa che fa pensare che lungo le catene di DNA ci siano dei veri e propri “hot-spot” predisposti all’errore nella duplicazione. Uno di questi punti
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FILIPPO PAGLIARINI
Femmina Bruno TR
caldi è certamente quello che porta alla comparsa della mutazione “bruno”, diffusissima in quasi tutte le specie di comune allevamento.
Questa larga casistica fa sì che al suo inedito apparire, la mutazione bruno, che normalmente produce un ben riconoscibile fenotipo bruno/isabellino, venga subito ben riconosciuta e inquadrata. Ci sono però specie in cui, per un insieme di concause fisiologiche che ne rendono difficile la lettura, possono ingenerarsi dubbi sulla vera natura del fenotipo in esame. A tal proposito, un esempio che si può fare è quello degli Spinus, sia per quello che riguarda i rappresentanti sud americani sia per il nostro Lucherino Spinus spinus: il piumaggio ancestrale di questi uccelli, specialmente quello dei maschi, è particolarmente povero di toni bruni di origine feomelanica; inoltre, la melanina mutata che in altre specie si presenta chiaramente bruna, in questi presenta toni freddi, grigiastri, che nelle aree maggiormente pigmentate rasen-
tano il nero. Anche la presenza diffusa del lipocromo non aiuta a cogliere un quadro preciso della situazione. Se confrontiamo questo insieme cromatico, ad esempio con quello di un Organetto della sottospecie cabaret parimenti mutato, bisogna ammettere che è un discreto sforzo immaginare di trovarsi di fronte a due soggetti mutati per lo stesso fattore. Da una parte il Lucherino, con i suoi toni nero grigiastri, dall’altra l’Organetto che, invece, si presenta spiccatamente bruno.
Aggiungiamo che non bisogna credere che le differenze appena descritte dipendano essenzialmente dalla diversa carica feomelanica posseduta dalle specie in esame; la realtà è che il colore di quella che definiamo eumelanina bruna è variabile da specie a specie: quella dell’Organetto è diversa da quella del Lucherino, così come quella del Diamante di Gould è diversa da quella del Diamante mandarino, oppure del Diamante codalunga.
La natura delle melanine
Le melanine sono dei polimeri, ma diversamente, ad esempio, dalle catene che formano le materie plastiche tipo il polipropilene o il PET, non sono un ordinato susseguirsi di monomeri identici che si ripetono regolarmente, bensì molecole molto più complesse formate dall’aggregazione di due diverse unità, nello specifico: DHI (5,6diidrossi-1H-indolo) e DHICA (5,6-diidrossi-1H-indolo-3-acido carbossilico). L’ordine di aggregazione di queste unità e il loro dosaggio è variabile. Questo significa che è quindi il rapporto tra DHI e DHICA a dare un primo indirizzo su quello che sarà il colore della lunga e complessa molecola che si andrà a formare. Le eumelanine più scure sono arricchite in DHICA, che formano strutture ramificate (ogni unità DHICA può essere legata ad altre tre unità). Le eumelanine che si presentano marrone chiaro contengono più unità DHI. Entrando nello specifico, colorazioni più o meno nere o più o meno brune dipendono dai cromofori presenti nella catena (cioè particolari tratti della molecola che assorbono la luce a determinate lunghezze d’onda); i cromofori sono costituiti da unità di diidrossindolo nelle eumelanine e da anelli benzotiazinici nelle feomelanine.
Il colore delle melanine non deriva però solamente dal rapporto quantitativo tra le due unità di base, quindi da quanti e quali cromofori sono presenti in una molecola, ma anche dalla loro concentrazione all’interno dei melanosomi e da una serie di altri fattori (ad es. presenza di ioni metallici, grado di ossidazione, etc.). Dal punto di vista ottico le eumelanine nere assorbono più luce delle eumelanine marroni, perché hanno più cromofori (sono più densamente impaccate a causa della ramificazione del polimero) ed è per questo che appaiono più scure.
Detto della natura chimica, che è certamente la parte più complessa, dobbiamo comunque aggiungere che forse più utile dal punto di vista del riconoscimento di un mutato Bruno è certamente l’analisi al microscopio delle barbe di una sua penna. Sono riscontri
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Maschi TN, confronto tra Bruno e Ancestrale
inoppugnabili, che non creano il minimo dubbio: i suoi melanosomi, rispetto a quelli di un non mutato, si presentano decisamente più piccoli e di forma più o meno tondeggiante. Questa caratteristica è stata riscontrata in tutte le specie testate. I melanosomi del non mutato si presentano invece di forma bastoncellare. Dal punto di vista numerico non ci sono differenze: nelle penne dei Bruno ci sono gli stessi melanosomi che sono presenti anche in un ancestrale. Non c’è quindi una rarefazione, o riduzione, o diluizione, manifestazioni tipicizzanti fattori di diversa natura rispetto al chiaro quadro offerto dalla osservazione delle penne di un soggetto Bruno.
La mutazione Bruno nel Gould
Come sopra accennato per gli Spinus, anche il quadro cromatico d’insieme del Diamante di Gould non è di quelli che consentono una facile lettura sul rapporto causa/effetto, cioè tra quello che vediamo a livello fenotipico e il possibile meccanismo genetico (il tipo di mutazione) che l’ha prodotto. Ciò nonostante, la mutazione bruno in questo Diamante è stata fissata e stabilizzata da molti anni e attualmente è anche numericamente ben presente negli allevamenti, sia in Italia che in diversi paesi europei. Nel libro “Gli EstrildidiVol. 2” (Lucarini, De Flaviis, De Angelis, ed. F.O.I.) pubblicato nel 2005, è riportata la foto di una femmina Bruna testa nera nata in Olanda. Ovviamente non possiamo saperlo, ma potrebbe essere che tutti i soggetti attuali derivino proprio da quella prima femmina. Convergente con tale ipotesi è il fatto che fino a pochi anni fa, evidentemente in attesa di un crossing-over che ha stentato ad arrivare, tutti i Bruno presenti negli allevamenti europei abbiano ereditato da quel primo soggetto il colore della maschera, erano cioè tutti soggetti a testa nera.
Poi è successo un fatto che per quello che riguarda questa mutazione ha cambiato, in peggio, il corso della sua storia: nell’allevamento del Dott. Csaba Fekete, un allevatore e ricercatore ungherese, è apparso nel suo ceppo di Gould a testa rossa un soggetto anomalo con un fenotipo evidentemente schiarito.
Lo stesso Fekete comunica in seguito che l’andamento genetico di trasmissione di questo inedito fattore è recessivo sessolegato, che le feomelanine non vengono coinvolte e, cosa importante, che dal suo accoppiamento con uno di quei soggetti che nel resto di Europa vengono definiti Bruno i figli nascono tutti mutati. Questo risultato, forse inaspettato, lo porta a concludere che le due forme sono tra loro alleliche. Convinto di trovarsi di fronte ad un inedito fattore, decide di battezzarlo “Hungarian dilute” (Diluito ungherese).
Una buona testimonianza sulla fisiologia dei pigmenti di entrambe le forme
in oggetto è offerta dallo stesso Fekete, che così descrive quanto da lui osservato attraverso le lenti del suo microscopio ottico: “… Nel Gould Bruno i melanosomi sono piccoli, leggermente allungati e di colore tendente al bruno; nel Diluito ungherese i melanosomi sono più piccoli, tondeggianti e tendenti al grigio. Quindi, confrontando la mutazione “bruno” con la “Hungarian dilute” possiamo dire che quest’ultima ha un maggiore impatto sullo sviluppo dei melanosomi visto che riduce le loro dimensioni (ma non il numero). In sostanza, il Diluito ungherese e il bruno non influenzano il numero di melanosomi. (…) Dato che i melanosomi dell’H.D. sono più piccoli, contengono meno melanina, pertanto l’H.D. appare più chiaro(e tendente al grigio) rispetto ad un Bruno”. Personalmente siamo molto scettici a proposito della presunta allelia tra bruno e diluito ungherese; a nostro modo di vedere, è quasi sicuro che stiamo parlando della medesima mu-
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Maschio Pastello SF portatore di Bruno. Da sottolineare lo schiarimento dato dall’interazione delle due mutazioni, entrambe allo stato eterozigote
La presenza diffusa del lipocromo non aiuta a cogliere un quadro preciso della situazione
tazione e che a causare le differenze rilevate negli ingrandimenti al microscopio sia undiverso grado di ossidazione tra i due ceppi, con i Bruno certamente più evoluti da questo punto di vista rispetto al soggetto ungherese testato. Non è azzardato, infatti, immaginare che gli eumelanosomi presenti in un soggetto ben selezionato in direzione della massima ossidazione e quindi della massima espressione cromatica siano più sviluppati e, aggiungiamo, presumibilmente di forma leggermente allungata rispetto a quelli posseduti da un soggetto meno evoluto. Altra osservazione importante è che il confronto è stato fatto tra due animali dall’assetto genetico diverso per quello che riguarda il colore della testa. Al riguardo è noto che i Gould a testa nera rispetto ai testa rossa abbiano capacità ossidative maggiori, cosa che certamente si riverbera sulla struttura dei rispettivi melanosomi.
Risvolti a livello espositivo Quale che sia la realtà genetica e stante questa situazione quantomeno non ben definita, il 22 gennaio 2020 al Campionato Mondiale di Matosinhos in Portogallo la mutazione Hungarian dilute è stata riconosciuta e, in tutte le manifestazioni ornitologiche a livello internazionale, Mondiale COM compreso, le sono state assegnate quattro categorie a concorso, due per i maschi e due per le femmine.
Per focalizzare in pieno le problematiche a cui stiamo andando incontro a seguito di tale decisione, riportiamo virgolettate le parole di Carmelo Montagno Bozzone, Presidente della CTN-EFI riprese da una chat tecnica sullo specifico tema: “…Il Dott. Fekete mi ha fornito un opuscolo in inglese che leggerò con attenzione. Nel messaggio ha altresì elencato alcune differenze a suo dire sostanziali fra un fenotipo Bruno ed un fenotipo Diluito ungherese. Io sinceramente, avendo visto i soggetti espo-
sti a Matosinhos, posso dirvi che rispetto ai Bruni che girano in Italia non sono stato capace di scorgere differenze fenotipiche rilevanti, ma questo potrebbe essere un mio limite tecnico. Rinnovo comunque i complimenti a Fekete per l’impegno scientifico profuso, che ci ha pure permesso di poter riscontrare e chiarire molti dubbi sulla composizione chimica del piumaggio del Gould in alcuni distretti del corpo”.
A fronte di questa situazione oramai ufficializzata, come deve comportarsi un allevatore di Diamanti di Gould che voglia partecipare con i suoi soggetti Bruni ad una mostra a carattere internazionale? Con le delibere sopra dette, non ci sono molte alternative, deve per forza di cose esporli come Diluiti ungheresi.
Al Campionato Mondiale di Napoli, nella categoria a concorso Hungarian dilute, erano esposti diversi di questi soggetti. A detta dello stesso Csaba Fekete, presente alla manifestazione, alcuni, cioè quelli da lui presentati, erano dei veri Diluiti ungheresi, mentre gli altri non potevano che essere dei Bruni. Certezza non derivante da una differenza fenotipica apprezzabile, ma dal fatto che ad oggi l’unica certezza in merito è che nessun D.U. abbia mai varcato la soglia dell’allevamento del tecnico ungherese.
Non spetta a noi dare le risposte per uscire da tale situazione surreale. Il nostro auspicio è comunque che, prima o poi, qualche addetto ai lavori si renda conto del problema.
Sul “Tavolo tecnico internazionale” Purtroppo non è solo il Dott. Fekete a vedere nel fenotipo dei soggetti mutati che stiamo trattando delle caratteristiche che giustifichino il termine “diluito”; infatti, convinzioni convergenti sono trapelate di recentemente sia su Facebook che su WhatsApp, dove sono stati organizzati da parte del Club del Diamante di Gould dibattiti incentrati sulle stesse tematiche che noi, in modo forse meno qualificato, stiamo cercando di sviluppare in questa nostra nota.
La sintesi di quanto emerso in tali occasioni, dove è intervenuta una cinquantina di esperti di diverse nazioni, è riportata in un resoconto pubblicato
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Diamante di Kittlitz femmina mutata Bruno
su questa rivista a firma di Emilio De Flaviis (“I.O.” n° 12/22). Lo stesso De Flaviis così riassume quanto emerso dal dipanarsi di circa 1500 interventi: “… A conclusione, nonostante i numerosi interventi dei tecnici e allevatori che hanno partecipato, non si è giunti a definire in modo inequivocabile questa nuova forma mutante. Diverse opinioni, nonostante le esperienze che provano il contrario, tendono ancora a consolidare la diffusa convinzione che si tratti della mutazione bruna classica”. De Flaviis, convinto come noi che “bruno”e “diluito ungherese” siano in realtà espressioni della stessa mutazione, è da anni che ha maturato l’idea (lui la chiama “granitica certezza”) che questa sia una forma cromatica riduttiva, una forma di “pastello”, cioè un qualche cosa di affine o analogo a quello recessivo sessolegato fissato in molte specie, compreso il Canarino. Pertanto, fermo su questa sua convinzione, nonostante la stragrande maggioranza dei citati 1500 interventi andasse in direzione opposta, conclude il suo resoconto auspicando un cambio di denominazione, da “diluito ungherese” a “pastello ungherese”! L’analisi al microscopio di Csaba Fekete che certifica la presenza nelle barbe di questi mutati, sia nella forma bruno che nella presunta allelica diluito ungherese, di melanosomi piccoli ma nello stesso numero di quelli presenti nella forma non mutata, analisi che certifica in maniera inconfutabile che si tratta del tipico assetto melaninico caratterizzante un soggetto mutato Bruno, analisi che avrebbe dovuto essere considerata una sorta di pietra tombale sul dibattito che per mesi si è dipanato sul web, non è stata assolutamente presa in considerazione e questo nonostante sia stata citata più volte nel corso della lunga discussione. Per dovere di cronaca aggiungiamo che le mutazioni riduttive, quelle che di so-
lito nelle varie specializzazioni vengono appellate diluito, pastello, opale, etc. hanno un denominatore comune: sono tutte causate da varie forme difettive nella trasmissione dei melanosomi dal melanocita al cheratinocita, spesso a causa di dendriti mal sviluppati. Questo provoca una vistosa rarefazione dei granuli presenti nelle penne; inoltre, proprio a causa di tale difficoltà di passaggio, si generano grossi melanosomi ipertrofici, radi ammassi ben visibili al microscopio che in alcuni casi possono arrivare a dimensioni centinaia di volte superiori rispetto ad un melanosoma normale. Va aggiunto altresì che in tale cornice genetica, a fronte di uno schiarimento spesso irregolare delle penne, soprattutto di quelle forti come remiganti e timoniere, l’uccello mantiene una normale pigmentazione degli occhi e delle parti cornee: becco, zampe ed unghie, parti dove la pigmentazione è diretta e non c’è trasferimento di melanosomi.
Lo stesso Csaba Fekete, a proposito di “riduzioni quantitative”, riporta un parallelo interessante tra la mutazione “pastello” sessolegata recessiva tipica del Canarino e di molte altre specie di comune allevamento e la mutazione “pastello” sesso legata a dominanza parziale peculiare del Diamante di Gould. Nella prima, il problema è all’interno del corpo cel-
lulare, cioè i melanosomi hanno difficoltà ad uscire dal melanocita. Fekete lo definisce “difetto di trasporto intracellulare”. Nel Gould Pastello, il trasporto dei melanosomi verso i dendriti è invece del tutto normale; in questo caso la difficoltà è nel passaggio dai dendriti ai cheratinociti. Questo lo definisce un “difetto di trasporto transcellulare”.
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Pulli di Gould x Kittlitz mutati Bruno. Indicativo a questa età è il colore rossiccio degli occhi
Piccolo F1 mutato Bruno
È noto che i Gould a testa nera rispetto ai testa rossa abbiano capacità ossidative maggiori
Detto della fisiologia dei pigmenti in gioco e implorando ancora un poco di pazienza da parte di chi eroicamente sta perseverando nella lettura di questo scritto, prima di concludere vorremmo aggiungere un’ultima considerazione che riteniamo interessante.
Questione di centimorgan
Nella citata nota riepilogante quanto emerso nel corso del “Tavolo tecnico internazionale”, anche se noi francamente non riusciamo a comprenderne il motivo, il dato che più sembra aver portato certezze all’estensore circa l’impossibilità che la mutazione in argomento possa essere la bruno, riguarda una presunta allelia tra il fattore in esame e il fattore pastello quello a dominanza parziale peculiare del D. di Gould. Una allelia che nel testo è data per certa in modo assoluto. Per ironia della sorte, è dalla stessa nota che possiamo invece trarre una indica-
zione risolutiva circa il fatto che questa allelia in realtà non c’è. Leggiamone assieme un piccolo estratto: “… La combinazione Satiné (bruno + ino) è una delle più difficili, se non impossibile da ottenere per la probabile vicinanza dei due loci…”.
Per inciso, concordiamo sulla vicinanza, ma non sul fatto che la ricombinazione (cioè il crossing-over) sia “praticamente impossibile”. È tutta una questione probabilistica ed infatti i nostri allevamenti sono pieni di soggetti ricombinanti: tali sono i vari Satiné, Isabella, MascheratoBruno, Dorso chiaro-Bruno, etc., frutto dell’abbinamento sullo stesso cromosoma di geni mutati allelici per il locus “rd” (agata, ino, mascherato, ambra, etc.) e il gene mutato bruno. Fatta questa precisazione, ora chiediamo un ultimo piccolo sforzo di attenzione: se il crossing-over tra ino e bruno è un evento estremamente raro in quanto le due mutazioni sono tra loro molto vicine, con che frequenza
dobbiamo aspettarci un crossing-over tra ino e pastello?
Se è vero che bruno e pastello sono tra loro alleliche, cioè mappano nello stesso locus, la risposta è semplice: dato che la loro distanza da ino è la stessa, l’evento dovrebbe essere parimenti raro!
Ed invece non è così: tra gli appassionati di Diamanti di Gould è ben nota l’estrema frequenza di ricombinazione tra le mutazioni ino e pastello, un fenomeno decisamente fuori dai normali standard che fa sospettare una reciproca distanza molto alta, cioè una collocazione quasi ai due estremi del cromosoma. In questo caso, infatti, il crossing-over è talmente frequente che non c’è nido dove all’interno non ci siano contemporaneamente piccoli Lutino e Lutino Pastello.
Riepilogando, c’è quindi la certezza assoluta che bruno e pastello non possano essere tra loro alleliche in quanto mappano in loci che sono a distanze diverse rispetto al locusino.
Brevi conclusioni
Che dire, alla luce di quanto sopra argomentato, possiamo affermare che, considerando tutto, la soluzione più naturale e ovvia sarebbe accettare il fatto che la mutazione su cui da mesi, se non anni, stiamo dibattendo sia la mutazione bruno, smettendola con tutti questi voli pindarici fondati sul nulla?
Lasciando in sospeso quest’ultima domanda, certi di aver tramortito i pochi incauti lettori con questo nostro “indigeribile mattone”, riteniamo consigliabile chiudere qui la nota. Il proposito, però, è quello di tornare sull’argomento perché nel frattempo nell’allevamento dei nostri amici Filippo Pagliarini e Nicola Cascello sono nati diversi ibridi di Gould per Kittlitz. Mentre scriviamo, tra i più grandicelli un paio di maschietti già canticchiano. Come si vede dalla foto allegata, i piccolini sono mutati (come mutati sono i loro genitori) e, di fronte ai loro evidenti occhietti rossicci, noi ingenuamente non esitiamo a definirli Bruni! Questo pur restando ovviamente disponibili a recepire ogni suggerimento su come contenerci circa una loro denominazione più ponderata.
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Ibrido Bruno maschio di Gould x Kittlitz
Il maestro perfetto
di UMBERTO MARINI e GREGORIO PICCOLI, foto G. MARSON
Da buoni allevatori di canarini da canto Malinois Waterslager, ogni anno, a fine stagione mostre, abbiamo sempre in mente quale debba essere la scelta del futuro maestro. È un po’ come nel gioco del calcio, quando l’allenatore si ritrova, dopo una stagione di partite, schemi e monitoraggi costanti, a cercare di inserire per la stagione successiva giocatori che possano avere caratteristiche particolari, come la resistenza, il carattere e la voglia costante di esprimere tutta l’energia possibile al massimo delle potenzialità.
Anche per noi appassionati del canto arriva dunque il momento di trovare il soggetto d’eccellenza (che solitamente chiamiamo “maestro”) da inserire nel nostro allevamento, con capacità e qualità canore migliori di quelle
ottenute fino a quel punto con il nostro attento lavoro e con orecchio sempre vigile.
Spesso tralasciamo però una parte molto importante, se non fondamentale, che è la scelta scrupolosa dei riproduttori e del loro accoppiamento, che rappresenta invece proprio per il frutto di questo lavoro, svolto con pe-
rizia e lungimiranza, la giusta base di partenza.
A tal proposito, ricordiamoci sempre che la medaglia è composta da due facce, entrambe della medesima importanza.
Ecco dunque la necessità di selezionare anche riproduttori di qualità, che mantengano necessariamente nel tempo le caratteristiche principali, essendo dotati dei geni necessari alla procreazione di altri cantori di gran valore.
Non possiamo fare a meno di citare l’influenza che ha l’ambiente e quindi dobbiamo interrogarci sull’aria che si respira e sul tipo di canto che si sente in un determinato contesto.
Quel maestro o quei maestri che con tanta fatica riusciamo a recuperare da amici allevatori non li dovremmo af-
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Anche per noi appassionati del canto arriva dunque il momento di trovare il soggetto d’eccellenza
CANARINIDA CANTO
fiancare ai nostri cantori, in quanto, altrimenti, si correrebbe il rischio di perderli, dato che verrebbero influenzati dal canto dei nostri canarini. Diversa è la situazione per chi ha già una struttura ambientale consolidata, che regge con evidenza e stabilità e che permette di poter ascoltare da qualsiasi angolazione una completa uniformità canora, la stessa impostazione, lo stesso timbro ed un canto
sponde al programma, si è costretti a pensare, escogitare ed azzardare qualcosa di diverso, anche solo per mantenere e conservare la propria linea di canto.
Si è spinti, quindi, a fare affidamento, quasi sempre, su cantori non perfetti nella totalità della canzone o magari con delle note molto valide ma comunque incompleti, per cercare di rispecchiare lo standard canoro richie-
nire senza mai lasciare nulla al caso. Dunque, ogni allevatore deve mettere in campo, o meglio, mettere nel proprio allevamento, oltre a buoni riproduttori, anche passione, energia, ingegno e soprattutto non bisogna mai rinunciare alle proprie ambizioni. Sono estremamente convinto che il maestro perfetto non sia mai esistito, non esista e non esisterà mai.
Appurata e ben radicata la necessità di avere (al contrario di quanto si dice dell’Harz), obbligatoriamente uno o più istruttori nelle voliere, in quanto i nostri giovani cantori sono necessariamente da educare e da istruire, la costante presenza del maestro a stretto contatto con i giovani è a dir poco fondamentale.
L’interazione tra allievo e insegnante diventa un legame.
molto omogeneo (che in certi casi è addirittura riconducibile al gusto dell’allevatore stesso).
Nelle condizioni suddette, probabilmente potrebbe sembrare tutto più facile di quel che realmente comporta il contesto, ma non bisogna pensare che tutto possa realizzarsi gratuitamente o casualmente.
In certi momenti o in certe annate, laddove e quando il percorso non corri-
sto della razza.
Praticamente, se il repertorio diventa carente di note o monotono, in corso d’opera si possono quindi sempre inserire altri cantori idonei alla compensazione del comparto magistrale.
Quando nascono alcune problematiche, serve l’inventiva dell’allevatore, che consiste nell’aggiungere, nel completare, nel prendere decisioni, nella prontezza ad imparare e nell’interve-
La stima e la dipendenza che il giovane dimostra nei confronti del suo maestro si notano da come gli si avvicina, da come lo ascolta e da come si impegna nell’apprendimento.
Il maestro trasmette il suo sapere, quello che a sua volta gli è stato impartito dal suo predecessore e purtroppo, nel passaggio delle generazioni, avviene sempre un’evoluzione, piccola o grande che essa sia, ma è inesorabile.
Può consistere in un cambiamento legato alle condizioni ambientali o all’indole dell’istruttore o magari alla capacità individuale dell’apprendimento ma in ogni caso, noi non possiamo fare niente per cambiare la sorte.
Ora torniamo alla preponderante necessità di coltivare e trasferire nei nostri riproduttori tutte le caratteristiche e tutti gli ingredienti necessari
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Quando il percorso non corrisponde al programma, si è costretti a pensare, escogitare ed azzardare qualcosa di diverso
per trasmettere alle future generazioni la capacità di eguagliare il maestro o addirittura di superarlo!
Arrivati a questo punto, non esito a dire che, se si riesce (e sottolineo “se”) a strappare qualche buon soggetto da allevamenti con una valida stabilità e affermati agonisticamente, quegli esemplari andranno impiegati senza indugio come riproduttori, affinché si possano trasferire le caratteristiche ed i pregi che ci siamo prefissati, cioè migliorare non solo l’istruzione ma anche la predisposizione a quella tipologia di canto.
Anche i maestri si possono accoppiare.
Questi, dopo la riproduzione, constatata l’eventuale idoneità e prima che inizino a mutare il piumaggio, si possono collocare con i propri discendenti in ambiente scuola, dove certamente ne trarrebbero giovamento i novelli cantori, i quali troverebbero un’istruzione consona alle loro capacità.
In tal caso, come si suol dire, con una fava prenderemmo due piccioni… o anche di più!
Ricordiamo sempre che la costruzione di una casa parte dalle fondamenta e non dal tetto. Quindi meditiamo, amici allevatori!
Ogni anno, spinti dalla passione, dalla voglia di migliorare, dall’entusiasmo ed anche da un pizzico d’incertezza nel ripartire, ci incamminiamo nel percorso che ci vede protagonisti del nostro bellissimo hobby.
Come sempre, sarà una nuova avventura e una nuova esperienza.
Faremo sacrifici, studieremo strategie, ci consulteremo, ottimizzeremo i tempi, cureremo gli spazi e chissà se ognuno di noi, in cuor suo, avrá la speranza ed il privilegio di ascoltare nel proprio allevamento un nuovo soggetto che possa avvicinarsi il più possibile al nostro ideale di maestro perfetto…
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S pazio Club
Spesso si ascoltano commenti fuorvianti, se non addirittura fantasiosi, relativi al modo di valutare le pezzature. La nostra C.T.N. nel numero di I.O. di gennaio 2022 ha già espresso chiarimenti in tal senso. Riteniamo comunque che sia opportuno richiamare quelle indicazioni che ci siamo permessi di sintetizzare. Il concetto di pezzatura negli anni ha avuto diverse interpretazioni non solo da parte degli allevatori ma anche in considerazione di regole emanate dalle varie CC.TT.NN. susseguitesi nel tempo. Nel 2016 si decise di conformarsi alla normativa OMJ e cioè di considerare lipocromici 100% e melaninici 100% i canarini totalmente unicolori, che non presentassero visivamente alcun minimo segno di colore diverso, liberando cosi il campo da astruse e soggettive valutazioni di centimetri quadrati o misure di monetine varie.
Ovviamente, non sono ritenute pezzature le barrature alari gialle nei bianchi e le sfumature più chiare della gola e addome nei verdi e ardesia,
quindi si è addivenuti per i pezzati alla seguente terminologia ufficiale e cioè “lipocromico pezzato” quando un soggetto si presenterà giallo pezzato, bianco o arancio pezzato con lipocromo superiore al 50%. Sarà “melaninico pezzato” un verde pezzato, ardesia o bruno pezzato con melanina superiore al 50%.
Superate le prime perplessità per le nuove direttive (tutto sommato, riteniamo che questa soluzione sia la migliore perché non lascia spazio a dubbiose interpretazioni), qualche difficoltà subentra quando iniziamo a formare gli stamm. In questi casi bisogna prestare ancor più attenzione. Le rispettive pezzature (ed ovviamente i colori) dovranno essere molto omogenee, evitando magari soggetti di sessi diversi (le femmine solitamente con una colorazione più chiara, contro il portamento altero e il colore più intenso nei maschi).
Negli stamm composti da teste ciuffate, i relativi ciuffi dovranno essere il più possibile uguali, sia nel colore che nella forma. Così come sarà opportuno evitare soggetti in stamm con mix di collarini completi o appena accennati, se non addirittura assenti. Si passerebbe da una lieve penalizzazione a meno 5 punti se assenti, con grave danno nel computo generale dello stamm, così come per il resto delle arricciature. Volendo fare un esempio, in uno stamm è consigliabile non creare picchi di pregi/difetti, ma il più possibile uniformità di caratteristiche in un senso o nell’altro: meglio 4 canarini da 89 (omogeneità generica e di punteggio) che un 92 un 90 un 89 e un 88 (in questo caso parliamo di disomogeneità specifica ed estetica, oltre che di punteggio). Il primo stamm ai 356 punti ne aggiungerebbe 6 di armonia, totalizzandone 362, mentre il secondo, con 359 punti e solo 2 di armonia, arriverebbe a 361. In definitiva, è consigliabile esporre come singoli eventuali canarini ritenuti ottimi, cosi come quelli meno interessanti, per non creare discrepanze all’interno dello stamm, tenendo sempre presente che la linea guida deve essere quella della massima omogeneità delle arricciature primarie e secondarie dei 4 soggetti esposti.
CLUB ARRICCIATO PADOVANO
Club di specializzazione
Sulle pezzature dei Padovani, ma non solo
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Padovano t. c. pezzato lip. sup. 50% - 1° class. Modena 2022 con punti 94 dell'allevatore e socio Famulari Antonio
La rondine, il cardellino e il rigogolo nelle opere del pittore Carlo Crivelli (1430/35 - 1494/95)
Prima parte
Carlo Crivelli fu un personaggio di particolare rilievo nell’ambito del panorama pittorico della seconda metà del Quattrocento. Ma la storiografia di allora e dei periodi immediatamente successivi lo ignorò, forse perché ebbe il “torto” di aver prevalentemente svolto la propria attività artistica in varie aree delle Marche centro-meridionali: luoghi per certi versi tagliati fuori dalle fulgide spinte culturali, artistiche, scientifiche ed economiche che presero il nome di Rinascimento e che si concentrarono per lo più nelle città di Firenze, Roma e Venezia.
Una prova eloquente ce la fornisce Giorgio Vasari (1511-1574), pregevole architetto, pittore e storico dell’arte che nella sua celeberrima e ponderosa opera
“Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori” (la prima edizione fu pubblicata nel 1550 e comprendeva due volumi per un totale di 992 pagine) ignora totalmente il Crivelli: del resto, molti aspetti della sua biografia sono ancora sconosciuti come, ad esempio, la data della sua nascita e della sua morte.
Il primo riferimento certo viene offerto da una sentenza, datata 7 marzo 1457, che condanna il pittore a sei mesi di carcere e a duecento lire di multa, perché reo di
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testo di IVANO MORTARUOLO, foto AUTORIVARI
C. Crivelli, Madonna della Rondine (Pala Ottoni), 1491-1492. Tempera e olio su tavola, cm 150,5x107, National Gallery, Londra, fonte iconografica: Zampetti, 1997
Rondine. Particolare della Madonna della Rondine
aver “rapito” e convissuto more uxorio con una certa Tarsia, moglie del marinaio Francesco Cortese. Nel documento è anche scritto che Crivelli è un “pictor” e da questa indicazione si ipotizza che avesse già acquisito un’autonomia economica e che fosse nato tra il 1430 e il 1435.
Di certo il nostro era veneziano (in varie opere si firma come CAROLVS CRIVELLVUS VENETVS), figlio di Jacopo e fratello maggiore di Vittore, entrambi pittori. Pertanto, molto verosimil-
mente, la sua formazione artistica prese l’abbrivio nell’ambito famigliare e più estesamente nella sua città natale, che in quel periodo era ancora influenzata dalla tradizione gotica (tardo gotica) e risentiva degli echi dell’arte bizantina.
Dopo la sua disavventura amorosa, ulteriori informazioni vengono fornite da un contratto di matrimonio, stipulato a Zara (Dalmazia) l’11 settembre 1465, in cui il Crivelli viene indicato come testimone e come “habitator” e “civis”, il
che lascia supporre che là vivesse da diversi anni come residente.
Le notizie successive lo danno dall’altra sponda dell’Adriatico, nelle Marche, dove inizia la sua splendida avventura artistica che lo porterà a essere considerato, in tale ambito territoriale, fra i migliori pittori. Sta di fatto che, per almeno due decenni, la sua bottega era la più reputata e i suoi collaboratori erano numerosi ed eterogenei (pittori, legnaioli, carpentieri, intagliatori, doratori, orafi eccetera).
Le sue pitture sono realizzate su tavole di legno (1) (di questo materiale erano naturalmente anche le cornici e le strutture portanti delle pale d’altare) riproducenti immagini sacre. Non sorprende, quindi, se i committenti fossero alcune comunità religiose locali (per lo più francescane), ma anche gli esponenti delle famiglie più facoltose e potenti che, per ingraziarsi la benevolenza divina, impreziosivano le chiese con opere d’arte o richiedevano pitture destinate alla devozione privata.
Una spiccata peculiarità del Crivelli è quella di essersi ispirato all’arte gotica e bizantina e alle loro sfarzose espressioni (decorazioni in oro, abbigliamenti principeschi, eccetera), ma prestando particolare attenzione anche a tutti gli altri orientamenti pittorici con cui veniva in contatto. Stimoli confluiti poi in un attento e armonioso processo sincretistico che ha dato vita a rappresentazioni di grande originalità e potenza espressiva.
Fra i numerosi elementi narrativi utilizzati dal Crivelli vi sono anche fiori, frutta (spesso rappresentata a grandezza esa-
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C. Crivelli, Madonna della Passione (Madonna col Bambino e putti con gli strumenti della passione), 1460 (?). Tempera su tavola, cm 71x48, Civico Museo di Castelvecchio, Verona, fonte iconografica: Zampetti 1997
Fra i numerosi elementi narrativi utilizzati dal Crivelli vi sono anche fiori, frutta (spesso rappresentata a grandezza esagerata), ortaggi (segnatamente, il cetriolo) e alcune specie ornitiche
gerata), ortaggi (segnatamente, il cetriolo) e alcune specie ornitiche che, nel contesto delle rappresentazioni, non hanno un mero ruolo esornativo, bensì svolgono la funzione di trasmettere un messaggio all’osservatore. Detto altrimenti, a differenza di quanto accade attualmente (2),allora esisteva un linguaggio comune sia all’artista sia allo spettatore, declinato attraverso l’ausilio di numerosi elementi simbolici. Naturalmente la ricostruzione di tali narrazioni, ai nostri giorni, può risultare non agevole e rivelarsi anche fuorviante e contraddittoria, essendo estremamente difficile immedesimarsi nell’atmosfera culturale e nelle sensibilità che caratterizzarono i vari ambienti sociali di allora.
Ciò posto, cercherò di evidenziare gli aspetti ornitologici nelle opere più conosciute di Carlo Crivelli, iniziando dalla rondine (Hirundo rustica).
La Rondine, per il suo ethos e per la sua presenza nei centri abitati, ha favorito il sorgere e l’affermarsi di un complesso sistema simbolico di prevalente segno positivo. È stata così oggetto di attenzione in poesie, leggende, tradizioni, proverbi, citazioni nella Bibbia, nonché di antiche dissertazioni zoologiche, filosofiche e teologiche. Tuttavia, per cercare di comprendere il suo ruolo nell’ambito delle pitture rinascimentali e in particolare nell’opera di Crivelli, si rende utile considerare segnatamente l’attribuzione simbolica della resurrezione (3). La rondine infatti annunciava la primavera (rinascita) che si contrapponeva all’inverno (morte): molto verosimilmente a rafforzare questa credenza è stato anche il fatto che il suo arrivo coincideva con il periodo pasquale. Un ulteriore contributo lo si deve alle convinzioni di Aristotele e di altri veteres auctores, secondo le quali tali uccelli, se i luoghi caldi di destinazione delle migrazioni erano troppo lontani, al sopraggiungere del freddo si nascondevano all’interno di fenditure nel terreno e poi cadevano in letargo: il che equivaleva simbolicamente alla morte. Sorprende ancor di più apprendere che queste informazioni fossero accolte come veritiere (o quasi) fino agli inizi del Settecento.
Molto simile alla rondine, per morfolo-
gia e per vari aspetti comportamentali, è il rondone Apus apus, anche se dal punto di vista sistematico e tassonomico differisce, essendo ascritto alla famiglia Apodidae (la rondine è invece inserita nel taxon Hirundinae). Inoltre, ben diversa è ritenuta anche la portata simbolica dei due volatili: il rondone, infatti, rimandava all’immagine del diavolo o, nella migliore delle ipotesi, ha ispirato alcune rappresentazioni araldiche per la destrezza e la velocità nel suo volo (Cattabiani, 2000).
La presenza di alcune iconografie del secolo XV con la Madonna e il Bambino che tiene in mano un uccello dalla cromia simile a quella del rondone lascia supporre che a questa specie sia stata attribuita anche una simbologia analoga a quella della rondine (4). Giova precisare, però, che non raramente le immagini sono stilizzate, molto approssimative, ben lungi dall’essere una riproduzione sur le vif e, pertanto, l’esatta identificazione della specie di appartenenza diventa piuttosto aleatoria.
La rondine del Crivelli invece è ben raffigurata e trova ospitalità in una pregevole opera, nota come la “Madonna della Rondine” (detta anche la “Pala Odoni”, dal nome della famiglia che ne ordinò l’esecuzione), realizzata nel 1491-1492 e attualmente custodita presso la National Gallery di Londra. Il volatile è collocato nella parte superiore del dipinto, la sua postura sembra di attenzione e lo sguardo è rivolto
verso l’alto (forse in direzione del Signore). La raffigurazione, secondo un orientamento condiviso, rimanda alla resurrezione. Questa narrazione viene poi rafforzata dalla presenza, leggermente in basso, di un cetriolo, che racchiude in sé anche lo stesso significato (5) (da notare che la medesima portata simbolica è attribuita pure alla zucca: entrambi gli ortaggi appartengono alla famiglia Cucurbitaceae). Al cetriolo fa poi da pendant una grossa mela sulla destra, la quale allude al peccato originale ma anche alla redenzione effettuata dal Cristo.
Pure il Bambin Gesù, seduto sulle ginocchia della Vergine, tiene in mano tale frutto (in questo caso il significato è decisamente positivo) e indossa una collanina di corallo rosso, il quale simboleggia il sangue che verrà versato per la salvezza dell’umanità e può assumere anche un valore apotropaico.
Risulta chiaro che in questa opera, al pari di tutte le altre, il ricorso ad allegorie e simboli è costante e intenso, svolgendo così un’attività sicuramente apologetica e appagando, nel contempo, le aspettative dei suoi committenti e forse anche le istanze di perdono del pittore stesso, per i suoi peccati giovanili.
Evidenzio inoltre che, come sì può intuire anche dai dipinti proposti in questo scritto, un topos ricorrente nelle opere dell’autore è costituito anche dalle raffigurazioni di Madonne con Bambino.
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Cardellino e presunto fanello, in basso a sinistra gallo mentre canta. Particolare della Madonna della Passione
ll secondo uccello preso in esame è il cardellino (Carduelis carduelis), cui Crivelli offre ospitalità in varie opere, diventando così la specie più rappresentata. Verosimilmente, tale scelta è stata influenzata dal fatto che il cardellino era molto noto e amato per la bellezza della cromia, per la piacevolezza del canto e per la capacità di adattarsi alla vita captiva, ma soprattutto perché era ritenuto depositario di una consolidata valenza simbolica. Tuttavia, se si consultano i bestiari tardoantichi e medie-
vali (6), i quali costituivano una sorta di trattati zoologici ante litteram con spiccato orientamento teologico, il cardellino viene preso in esame, in maniera certa, solo da Isidoro di Siviglia (556/571-636) nella sua opera Etimologiae (Libro XII, Parte VII, 74). L’autore, arcivescovo di Siviglia e dottore della Chiesa, dedica al pennuto soltanto poche righe nelle quali evidenzia sia che il suo nome, carduelus, è originato dal fatto che si nutre “di spine” e di cardi, sia che una simile associazione etimo-
logica sia stata attribuita anche dai Greci con la parola acalanthis, ossia “che si ciba di spine”.
Questa intima relazione trofica, che coinvolge il volatile con l’ispido vegetale, ha poi contribuito a instaurare, nell’immaginario collettivo cristiano, una concordanza e un’integrazione di significati, in quanto il cardo rimandava alla corona di spine e alla passione di Cristo.
Da parte sua, il cardellino alludeva al sacrificio e alla passione, all’anima salvata dal gesto e dalla parola di Cristo e anche al Redentore stesso. A sostegno della prima rappresentazione simbolica, un contributo l’ha offerto una nota e antica leggenda secondo la quale il cardellino, per lenire le sofferenze del Cristo in croce, cercò di togliere le spine intrise di sangue della corona ma, durante tale tentativo, si ferì e tracce di rosso rimasero permanentemente impresse nell’area intorno al becco.
Il Crivelli fu l’autore di un buon numero di opere ispirate a tale tradizione iconografica, ma non fu tra i primi ad aderirvi. Sembra infatti che tale genere pittorico si sia originato in Francia all’inizio del XIV secolo, diffondendosi successivamente e in gran misura nel nostro Paese e lambendo in vario modo alcune aree europee. Herbert Friedmann (1946), ornitologo di chiara fama e autore di un’interessante monografia sul cardellino nell’arte rinascimentale e medioevale, ha individuato 486 opere (in alcune, però, la determinazione della specie di appartenenza risulta non agevole), delle quali 254 realizzate da artisti italiani e oltre 250 attengono a rappresentazioni di Madonna e Bambino con o senza santi, angeli eccetera. Dopo questa breve nota introduttiva, passo a presentare il primo quadro: la “Madonna della Passione” (detta anche “Madonna col Bambino e Putti con gli strumenti della passione”), del 1460 (?) e attualmente conservato presso il Museo di Castelvecchio di Verona. Questo dipinto è considerato il primo e fra i migliori del periodo giovanile dell’artista; qualche esperto d’arte gli attribuisce anche la peculiarità di essere stato realizzato a Venezia (se ciò rispondesse al vero, apparirebbe superflua
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C. Crivelli, Madonna col Bambino,1480 (?). Tempera su tavola, cm 21x 15,5, Pinacoteca Civica Francesco Podesti, Ancona, fonte iconografica: Zampetti 1997
l’indicazione dell’aggettivo veneti apposto nella firma: questa è in sintesi l’osservazione dell’esperto Pietro Zampetti, 1997, che invece ne ipotizza l’esecuzione durante il soggiorno dalmata). Dietro alla Vergine con Bambino vi è un festone di frutta, che costituisceuna caratteristica costante dell’arte crivellesca rivelandosi così uno stilema, una sorta di epigrafe che annuncia e consolida il corpus allegorico e simbolico proposto nelle immagini sottostanti. Sopra alla ghirlanda vi è un cardellino insieme a un altro passeriforme che, con molta approssimazione, si potrebbe identificare come un fanello (Carduelis cannabina). La sua livrea non è appariscente ma presenta aree di rosso su fronte, vertice e petto, naturalmente nel maschio in abito nuziale. Per quanto attiene alla possibile portata simbolica di questo uccello, si ritiene che possa rimandare alla passione (Verheyen in Ruelle,1992), mentre Friedmann (op.
Cardellino in volo trattenuto da un filo (a destra, si osservi anche gli alberi senza fronde e la forma e posizione delle dita della Vergine). Particolare della MadonnacolBambino
cit.) ipotizza che, insieme al cardellino e ad altri volatili simili, possa alludere alla resurrezione, pur riconoscendo alla rondine una maggiore rappresentatività simbolica.
Colgo l’occasione per segnalare che diverse leggende tematicamente omologhe a quella del cardellino, in vari contesti territoriali hanno interessato anche il pettirosso (Erithacus rubecula), il fringuello (Fringilla coelebs), il ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula) e il crociere (Loxia curvirostra): tutte specie caratterizzate dalla cromia rossa, seppur con varie estensioni e tonalità.
Un’altra significativa presenza ornitica, sempre in quest’opera, è costituita dal gallo (Gallus gallus). Risulta evidente l’allusione all’episodio, più volte citato nel Nuovo Testamento, secondo il quale Gesù predisse a Pietro che lo avrebbe rinnegato per tre volte prima del canto del gallo.
Va inoltre evidenziata la piccola raffigu-
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razione di una sorta dirapace (forse un avvoltoio), posto sul ramo di uno scheletrico albero dal quale è agevole la visione di Gerusalemme e del Golgota. Tale immagine rimanda in maniera evidente a una situazione di dolore, di morte: sullo sfondo s’intravedono infatti le tre crocifissioni, di cui, naturalmente, una attiene al Redentore. La successiva opera di Crivelli è la “Madonna col Bambino”, realizzata intorno al 1480 e attualmente conservata presso la Civica Biblioteca Francesco Podesti di Ancona. Come la precedente pittura, ha dimensioni molto ridotte ed è da ritenere fra le più piccole realizzate dal Crivelli. Il Bambino ha entrambe le mani occupate, tenendo sulla destra una noce tagliata a metà che lascia intravedere il gheriglio. I componenti di questo frutto, secondo l’accezione di Sant’Agostino, hanno specifici valori semantici: così il mallo richiama la carne; il guscio, per il suo aspetto simile al legno, attiene alla croce e la parte commestibile alla natura divina del Bambino. Questi, poi, nella mano sinistra tiene un filo che trattiene un cardellino in volo. Sul valore simbolico da attribuire a quest’ultima immagine le opinioni non sono concordanti ma, prima di tentare un approccio interpretativo, si rende necessario un cenno di chiarimento.
Soprattutto i cardellini, per le caratteristiche sopra indicate, costituivano una forte attrazione per bambini, i quali, nelle loro attività ludiche, ne impedivano la fuga anche annotando un filo alla zampa. Questo interesse era ben noto sin dall’antichità e non a caso Dante Alighieri così scriveva: “...Vedremo li parvoli desiderare massivamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino...” (Convivio, Trattato IV, XII). Sta di fatto che nel periodo preso in esame, e in quelli successivi, vari cardellini (e altre specie ornitiche) vengono raffigurati con una cordicella trattenuta sia dai rampolli della borghesia e aristocrazia sia dal Divin Bambino.
Friedmann (op. cit.) coglie, in queste ultime rappresentazioni, un aspetto non devozionale ed è dell’opinione che le scene siano di “ispirazione domestica”, costituendo così elementi laici in contesti sacri e diventando opere di genere
per soddisfare le esigenze di una clientela poco raffinata. In sostanza, a parere dell’autore, trattasi di un filone iconografico seguito soprattutto da artisti italiani non di grande caratura (va però segnalata l’opera giovanile “Madonna Solly” di Raffaello Sanzio,1483-1520, che assolutamente non può considerarsi un pittore di secondo ordine), peraltro del tutto ignorato dai pittori francesi.
Di diverso parere è l’esperta d’arte Mirella Levi D’Ancona, autrice del libro “Lo zoo del Rinascimento (2001), che così scrive: “Il cardellino può pure essere raffigurato come simbolo generico di uccello, simbolo dell’anima umana, specie se attaccato al filo, o se vola via dalle mani di Gesù Bambino”. E per corroborare tale affermazione propone come esempio anche il quadro che sto presentando. Da parte mia, sono incline ad accogliere la tesi della Levi D’Ancona, anche se le osservazioni di Friedmann sono di un certo interesse.
Ritornando all’opera “Madonna col Bambino”, ai lati delle immagini sacre vi sono due vedute i cui cieli sono solcati dal volo di uccelli; inoltre, nella parte destra il paesaggio è spoglio, mentre a sinistra si fa rigoglioso. Tali rappresentazioni contrastanti vengono interpretate come la diversa condizione dell’umanità prima e dopo la venuta del Cristo. Valutazione che sostanzialmente condivido, ma se soffermo la mia attenzione sull’uccello appollaiato sopra all’albero posto a sinistra, credo di scorgere una figura sovrapponibile a quella già segnalata nella “Madonna della passione”: vale a dire un approssimativo avvoltoio, il che sembra confliggere con l’idea di positività che viene attribuita allo sfondo (7).
Prima di concludere la breve presentazione di questa opera, desidero rilevare
che la suddetta contrapposizione di paesaggi è presente anche in altre opere come la “Madonna col Bambino che regge una mela” del Victoria e Albert Museum di Londra e la “Madonna col Bambino” (detta anche “Madonna Lochis”) dell’Accademia Carrara di Bergamo.
NOTE:
(1)Di recente Daphne De Luca, in sede di restauro dell’opera crivellesca “Madonna col Bambino”, conservata presso i Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi di Macerata, ha scoperto che originariamente era stata realizzata su tela; mentre si è sempre creduto che si trattasse di una tavola trasportata su tela.
(2)Non raramente le varie espressioni dell’attuale arte risultano poco comprensibili ai più e sovente, per avere un chiarimento, si deve ricorrere all’interpretazione che l’autore ne dà. Tale intervento si rende necessario perché non esiste un linguaggio univoco fra il pittore e lo spettatore. Per converso, nel periodo preso in esame (Rinascimento), si faceva ricorso a una costellazione simbolica nota a tutti (o almeno condivisa nello stesso ambiente culturale). Cito un esempio. Se un artista voleva evidenziare una fertilità coniugale, nel contesto della sua opera includeva l’immagine di uno o due conigli, simbolo della fecondità: di certo non era costretto a fornire ulteriori chiarimenti perché era evidente che intendesse augurare o sottolineare l’esistenza di una numerosa figliolanza. Per approfondire questo argomento si veda anche “Il critico d’arte “di Paolo Serafini nel libro “Il segno, il linguaggio e l’interpretazione” di AA.VV., Ed. Eurlink, 2014.
(3)Fra le ulteriori attribuzioni simboliche di natura cristologica vi sono anche la remissione dei peccati, in quanto si riteneva che la rondine fosse in grado di ridare la vista ai suoi figli ciechi (similmente il Signore “ridà la vista” alle persone “accecate” dal peccato) e il pentimento, poiché gli acuti stridii, che Dante definisce “i tristi lai”(Purgatorio, IX,13), venivano percepiti come grida di dolore e di supplica.
(4)Si veda l’interessante articolo “Il Rondone in mano a Gesù Bambino: un’insolita iconografia a Rivalta Scrivia” (Archivi di Studi Indo-Mediterranei, IX-2019) a firma di Giuseppe Acerbi.
(5)Al cetriolo, come del resto a molti altri elementi simbolici, è stata attribuita una polisemia che in alcuni casi assume anche significati contrastanti. Così, questo ortaggio rimandava pure alla lussuria, alla perdizione o al peccato in genere, mentre fra le attribuzioni di segno positivo, oltre alla già citata resurrezione, vi era anche la purezza e la fecondità della Madonna.
(6)“I bestiari tardoantichi e medioevali” è anche il titolo di una pregevole raccolta di testi di zoologia sacra cristiana, curata da Francesco Zambon, Edizioni Bompiani, 2018.
(7) In antichi contesti letterari l’avvoltoio poteva assumere anche positivi significati cristologici e mariani.
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Un’altra significativa presenza ornitica, sempre in quest’opera, è costituita dal gallo (Gallus gallus)
Il Saltimpalo (Saxicola torquatus)
di PIERCARLO ROSSI, foto THOMAS WENDT
Il suo ruolo nell’ambiente
Il progressivo abbandono delle campagne, con la presenza di molti incolti, favorirebbe questo uccello; purtroppo, come già detto in precedenza, i continui incendi dei campi abbandonati per una nuova semina sono la causa della perdita di un gran numero di nidi che vengono costruiti a terra. Il Saltimpalo, come del resto quasi tutti gli uccelli insettivori, negli ultimi decenni ha fatto registrare un netto declino, sia in ambito nazionale che in Europa; le principali cause sono da ascrivere al massiccio utilizzo di pesticidi che diminuisce drasticamente
Seconda parte
il numero degli insetti, la sua fonte primaria di cibo, oltre alla diminuzione dei siti di nidificazione disponibili e alla frammentazione del territorio.
Il Saltimpalo in allevamento
La prima volta che lo osservai da vicino fu alla mostra di Novi Ligure nel lontano 1987, organizzata annual-
mente dal compianto Arimondo presso la parrocchia dei salesiani; il soggetto era stato esposto da Ernesto Zerbo: molto probabilmente allevato allo stecco, non si presentava molto “tirato” ma il suo fascino era comunque indiscutibile.
Abitando in Puglia, ormai da cinque anni mi capita spesso di osservarlo nelle campagne attorno a Manfredonia, ma ad oggi sul suolo italiano penso siano pochissimi i tentativi di allevamento in ambiente controllato: come non ricordare le esperienze di allevamento del bravissimo Dottor Paternò documentate sulle pagine
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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI
Maschio di saltimpalo, foto e all.: Thomas Wendt
Novello di saltimpalo, foto e all.: Thomas Wendt
della nostra bella rivista anni or sono? Ad oggi penso che, in Italia, gli allevatori di questa bellissima specie, per detenere la quale occorre regolare permesso, siano veramente pochi. Per arricchire questo articolo e non deludere i nostri lettori ho chiesto aiuto a Thomas Wendt, grandissimo esperto di insettivori di piccola e media taglia, europei e non, e stretto collaboratore della rivista VDW www.waldvogelverband.de A lui ora cedo la penna:
“Mi chiamo Thomas Wendt e per diversi anni sono stato impegnato
nell’allevamento di diverse specie di insettivori europei, tra cui il saltimpalo che con le sue calde tinte pastello risulta essere uno dei miei preferiti. In termini di canto, la specie ha ben poco da offrire, ma grazie al suo comportamento vivace può essere osservata facilmente all’interno delle mie voliere, sopra ad un ramo o ad un paletto, una delle sue aree di attesa.
In questo mio scritto vorrei condividere con voi le mie esperienze riproduttive avvenute negli anni 2016 e 2017.
L’allevamento funziona, sicuramente, benché le voliere non siano di dimensioni enormi, anche se da esperienza personale ho notato che più spazio hanno meglio stanno. Io abito in Germania e lascio i miei uccelli all’interno delle voliere per tutti i mesi dell’anno; l’importante è che queste siano protette dal vento e dalle intemperie. Questa specie non è molto esigente; infatti, la voliera può essere allestita in maniera piuttosto spartana, pochi cespugli e spazi aperti ne caratterizzano una idonea per il saltimpalo. Dovrebbe essere presente anche una abbondante vegetazione sul suolo oltre ad alcuni massi, pali di recinzione e radici di alberi che completano il tutto.
Alloggio le diverse coppie in mio possesso in voliere di diverse dimensioni, da 12 m², 24 m², 40 m² o 150 m², nelle quali hanno regolarmente allevato. Per aiutarli nella nidificazione utilizzo
nidi a griglia, da noi chiamati imperiali, adeguatamente infrascati con del verde artificiale o nidi in legno molto ben collaudati, che solitamente vengono molto apprezzati.
Posiziono a terra anche mezze grotte di legno e legno/cemento, sempre abilmente mimetizzate. Ho notato che rispetto a quanto succede in natura, dove il saltimpalo nidifica quasi esclusivamente a terra o vicino al suolo, in voliera vengono realizzati nidi a tutte le altezze. Inoltre, io sono solito creare sempre due “stazioni di alimentazione” così da permettere agli uccelli più timidi di cibarsi regolarmente.
Ove possibile, io sono solito realizzare un piccolo ruscelletto con acqua corrente fresca così da permettere, ai soggetti presenti in voliera, le abluzioni giornaliere.
Anche se io preferisco dedicare una singola voliera per ogni coppia, la vita di comunione con altre specie è possibile ma il tutto deve essere osservato molto attentamente, soprattutto nei primi periodi quando gli animali vengono posti all’interno dell’aviario.
Io tendo a lasciare le coppie sempre unite, anche al di fuori del periodo riproduttivo.
Le voliere vengono preparate all’inizio della primavera per la successiva stagione riproduttiva: vengono poste al loro interno delle nuove frasche, canne ed altri rami di piante disponibili al momento.
Mentre per quanto riguarda il materiale per la costruzione del nido vengono forniti erba secca, fibre di cocco, peli di animali, sisal, muschio, ramoscelli sottili e juta. Parte del materiale di nidificazione viene mantenuto sempre umido o bagnato, pertanto sarà offerto in ciotole poco profonde con acqua. Quasi sempre la prima covata ha luogo ad aprile. Il nido viene realizzato dalla sola femmina anche se la presenza del maschio è costante.
Le mie voliere hanno una maglia di 12,7 x 12,7 mm, che però non vieta l’accesso ai toporagni; ecco perché sono sempre felice quando i saltimpali non nidificano a terra.
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Femmina di saltimpalo, foto e all.: Thomas Wendt
Soggetto mutato fotografato in natura
Soggetto Mutato impagliato
Quasi sempre le femmine di questa specie si rivelano essere delle ottime covatrici ed allevatrici.
In questa delicata fase cerco di disturbare il meno possibile la coppia e di ispezionare il nido ed eventualmente i nascituri soltanto nel momento in cui quest’ultimo è stato abbandonato dalla femmina per la ricerca di cibo. Soprattutto nei primi giorni fornisco loro tutti gli insetti che riesco a reperire grazie alle trappole luminose ed a piccoli espedienti messi in pratica nei prati vicino casa. Sono solito anellare questa specie verso il sesto/settimo e giorno pongo sempre sopra gli anelli un nastro di colore rosa che li mimetizza il più possibile.
Una volta ottenuta l’indipendenza sono solito separare i piccoli della prima covata dai genitori di modo che questi possano accudire i piccoli della seconda in maniera indisturbata. Dopo diversi anni ed alcuni insuccessi sono riuscito ad ottenere un sistema di allevamento che potrei definire ottimale: esso consiste in un cibo morbido, fatto in casa, e vari insetti sia vivi che congelati.
Il cibo soft-eater fatto in casa consiste in un mix secco preparato il giorno prima della somministrazione con pane grattugiato, succo di carota o carota, mela grattugiata, un complesso vitaminico liquido, olio d’oliva, un po’ di miele e ricotta. L’umidità viene attinta dagli ingredienti suddetti per tutta la notte ed al mattino il mix risulta essere pronto per la somministrazione, morbido, con una massa umida e profumata, che piace a tutti.
Per fare 35 kg di miscela secca avrai bisogno di 0,5 kg di lievito di birra, 0,5 kg nocciole (frantumate), 0,5 kg di semi di lino (frantumati), 0,5 kg di semi di papavero, 0,5 kg di germe di grano, 0,5 kg di crusca di frumento, 2,5 kg di pellet per gattini (schiacciati), 2,0 kg di beoperlen frantumato (integratore per insettivori prodotto da varie marche), 0,5 kg di polline d’api, 2,0 kg di fiocchi di verdura per cani (tritati), 1,0 kg di semi di girasole pelati (tritati), 5,0 kg cibo per cuccioli di cane (frantumato), 2,0 kg di man-
gime per l’allevamento dei pulcini, 5,0 kg di biscotti, crosta di torta o crema di biscotti (schiacciati), 10,0 kg di fiocchi d’avena (metà schiacciati), 4,0 kg di muesli di uva e noci (schiacciato), 5,0 kg di alimento concentrato per allevamento. Vermi di carne, vermi rosa e covata di fuchi sono stati utilizzati come cibo vivo (scongelato), pupe di formica (appena raccolte o scongelate), tarme Buffalo, tarme della farina (ben nutriti di diverse taglie), grilli domestici, moscerini della frutta, tarme della cera, larve di falena della cera ed insetti dei prati, bottino di trappole luminose per insetti. I vermi congelati Buffalo e
vermi della farina sono “impanati”: vengono prima inumiditi con olio d’oliva e poi passati in un minerale vitaminico.
Ho avuto ottimi risultati con questo metodo di alimentazione; tuttavia, volevo ridurre significativamente il carico di lavoro, così come l’allevamento e lo stoccaggio di foraggi vivi visto che l’avicoltura stessa è laboriosa.
Dopo un’attenta fase di test, ho cessato questo tipo di alimentazione, riorganizzandola; a tal fine, ho deciso di sostituire il mangime morbido, poc’anzi descritto, con un mangime morbido universale prodotto da
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Femmina di saltimpalo in cova
Voliere d'allevamento e svernamento interne di Thomas Wendt
un’azienda olandese. Oltre a questo prodotto fornisco cibo vivo, do vermi della farina ben nutriti tutto l’anno in diverse dimensioni. Inoltre, Pinkies e Buffalo.
Ho deciso nel tempo di non allevare più i vermi ma di acquistarli al bisogno.
Metto a loro disposizione tutte le erbe ed infiorescenze che i campi, vicino casa, mi offrono, come dente di leone, ortiche, afidi infestanti, oltre alle mele.
Durante la fase di riposo, fornisco alcuni Pinkies e Buffalo in una ciotola a parte, mentre due volte alla settimana vengono “impanate” con un complesso di vitamine e minerali in polvere, offerto in una ciotola extra. Dalla primavera in poi le erbe prative ed i vermi della farina saranno offerti in maniera invariata, invece i Pinkies e i Buffalo saranno offerti in ciotole poco profonde con un po’ d’acqua. Come descritto sopra, provo nei primi giorni dopo la schiusa dei piccoli ad aggiungere qualche preda leggera grazie alle trappole notturne. In questo periodo sono solito porre all’interno delle voliere del letame di cavallo fresco: questo attrae grandi quantità di moscerini della frutta e altri insetti.
Al momento dell’allevamento dei giovani i vermi della farina sono messi a
loro disposizione in maniera importante. Non fornisco ai miei saltimpalo alcuna medicina preventiva o additivi per mangimi. Viene solo dato un integratore vitaminico/minerale due volte a settimana come sopra descritto.
Nella primavera del 2016 è successa una cosa molto particolare: avevo un surplus di maschi di saltimpalo che decisi di porre in una voliera dove era già presente una coppia di stiaccini; dopo una fase iniziale di osservazione ho notato che tra i soggetti non vi era nessun attrito.
Con il sopraggiungere della primavera notai che tra i due maschi non vi
era nessuna rivalità.
Con mio grande stupore, ho scoperto qualche tempo dopo, per caso, che la femmina di stiaccino aveva costruito un ottimo nido e si era messa a covare.
Ho lasciato che la femmina covasse in pace. Un giorno vidi il saltimpalo volare al nido con del cibo. Fui perplesso e curioso ed aspettai che la femmina abbandonasse il nido: notai che al suo interno vi erano quattro giovani.
La cosa strana è che anche il maschio di stiaccino collaborava attivamente all’accrescimento della prole.
Al termine della muta notai che i miei dubbi erano diventati realtà; infatti, i quattro piccoli erano quattro ibridi, molto accattivanti cromaticamente ma inutili in fase riproduttiva. Decisi pertanto di cederli ad un appassionato inglese.
A tal riguardo non riuscii a trovare nulla nella letteratura riguardante questa ibridazione, né in ambiente controllato, né in natura.
Nel corso del 2017 decisi di effettuare un nuovo “esperimento” ponendo un maschio con due femmine. In natura si dice che sia un eccesso di femmine, quindi la poligamia; con questa specie è fatto comune e per me è stato emozionante imparare come si comportino gli uccelli all’inizio della stagione riproduttiva, in questa nuova condizione.
Ho deciso di porre questo trio in una grande voliera ed il tutto ha funzionato. Non ho mai osservato litigi tra le femmine, che hanno addirittura allevato una covata in contemporanea. Una delle femmine, poi, ha completato anche una seconda covata. Dopo tanti anni di allevamento posso dire di amare molto questa specie ed osservare i soggetti mi rende molto felice. Con una certa esperienza nella cura e nell’alimentazione, posso affermare che il saltimpalo sia una specie non così difficile da mantenere ed allevare, una coppia ben affiatata è alla base del successo”.
Vorrei ringraziare l’amico Thomas per aver condiviso con i lettori della nostra bella rivista questa sua interessante esperienza.
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Voliere esterne di Thomas Wendt
Raccolta giornaliera di insetti
•Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it
•All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.
(*)Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione
Questo mese, il protagonista di Photo Show è:
ANDREA FRESCHI R.N.A 62VL con la fotografia che ritrae il soggetto: Crociere fasciato intento all’imbecco di un nidiaceo Complimenti dalla Redazione!
Nei giorni 15-18 dicembre 2022, presso il centro congressi “Pala Dean Martin” di Montesilvano (Pescara), si è svolta la prima edizione del Campionato Ornitologico Nazionale di Specializzazione: canarini di colore, E.F.I., ondulati e altri psittaciformi. Si è trattato di una premiere ornitologica altamente tecnica, caratterizzata da un’altissima qualità dei soggetti in gara, giudicati da alcuni tra i più esperti esponenti dell’Ordine dei Giudici F.O.I. Avendo considerato la qualità e varietà dei
Ad exemplum
Un evento ornitologico da prendere ad esempio
testo e foto di FILIPPO MORRONE
soggetti esposti, la favorevole locazione geografica e la disponibilità degli organizzatori, le Commissioni Tecniche Canarini di colore e Ondulati e altri psittaciformi hanno aggiunto prestigio alla manifestazione scegliendola quale cornice ove tenere i corsi per i propri allievi giudici; ulteriori elementi di arricchimento, sia dal punto di vista tecnico che da quello della divulgazione, sono stati poi i “tavoli ornitologici” organizzati e gestiti, con perizia e passione, dal Club Italiano Allevatori Agapornis, dal Club Amici dell’Ondulato, dal Club del Diamante di Gould Italia e dall’Associazione Pescarese Ornicoltori, nonché l’interessantissimo convegno sull’allevamento, la storia e l’etologia del canarino di colore, organizzato dal Raggruppamento Ornitologico Abruzzo e Molise, indirizzato ai “non addetti ai lavori” (bambini in primis) e tenuto dall’istrionico e attivissimo relatore Giuseppe Albergo.
La prima edizione del Campionato Ornitologico Nazionale di Specializzazione: canarini di colore, E.F.I., ondulati e altri psittaciformi
Gli allevatori della F.O.I. sono ampiamente abituati a eventi espositivi ben strutturati e di successo, ciononostante gli organizzatori del I° Campionato Ornitologico di Specializzazione si sono talmente distinti da meritare un plauso particolare. Possiamo cominciare parlando della location: un edificio, il Pala Dean Martin, luminosissimo, accogliente, attorniato da strutture alberghiere (ove sono stati alloggiati gli ospiti) altamente ricettive, a poche cen-
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CRONACA
tinaia di metri dallo splendido lungomare di Montesilvano e con accanto un grande centro commerciale con cinema multisala. L’ospitalità è stata poi degna della migliore tradizione abruzzese: ai partecipanti sono state riservate convenzioni alberghiere privilegiate, la colazione e il pranzo del giudizio sono risultati “ottimi e abbondanti”, la cena destinata allo staff il venerdì sera è stata allegra, conviviale e impreziosita dalle prelibatezze provenienti dalle va-
rie regioni d’Italia. Celere e magistralmente organizzato è stato il servizio di sala in fase di giudizio, così come durante le operazioni di alloggiamento e restituzione dei soggetti esposti. Lo staff di segreteria (Manuel Squartecchia, Lia Porcino, Antonio Villani, a rappresentare tutti) ha fornito un servizio eccezionale, tanto da meritare l’applauso della Giuria capitanata dal Presidente dell’Ordine dei Giudici Andrea
Benagiano. Basterebbe questo a testimoniare di un evento davvero ben riuscito, eppure non è ancora tutto. Le strutture che ospitavano i soggetti sono state disposte a formare la scritta “FOI”, con la “F” destinata a fringillidi ed estrildidi, la “O” ai canarini di colore e la “I” ai pappagalli; ciascuna lettera poggiava poi su un lungo tappeto colorato: verde per la F, bianco per la O e rosso per la I, a comporre il tricolore italiano; dall’alto tale disposizione risultava davvero suggestiva! Immediatamente dopo l’ingresso campeggiava un grande striscione con la scritta “F.O.I.” e il logo federale (5 mt x 3 mt), incorniciato da coloratissime stelle di Natale, era ben visibile sul pavimento presso i tavoli allestiti per le premiazioni. Ancora il logo federale era presente sul menu della cena conviviale del sabato e sulla squisita torta preparata per celebrare la mostra, mentre spot riguardanti la Federazione sono stati ben distribuiti per i locali espositivi. Tutto ciò a esplicita testimonianza di un fortissimo senso di appartenenza alla F.O.I. che, unito all’allegria e all’amicizia palpabili, ha reso concreto quel motto “FOI-Famiglia” che è ormai il mantra della Federazione. La narrazione di un evento eccezionale sotto tutti i punti di vista non si è ancora conclusa però: a
testimonianza del genio e dell’inventiva degli organizzatori va raccontato che, a intervallare la disposizione dei soggetti esposti, c’erano pannelli riportanti i versi di Gabriele D’Annunzio dedicati agli uccelli e alla natura; un grande albero di ulivo campeggiava nella sala, mentre stelle di Natale e ciclamini aggiungevano ulteriore colore all’ambiente; la piantina della manifestazione, distribuita ai visitatori più giovani, è stata disegnata in tema fantasy, così come evidenti riferimenti fantasy aveva “Grifondoro”, il nome abbinato alla manifestazione. L’attenzione al sociale? C’è stata anche quella: durante il Campio-
nato sono stati raccolti abiti usati da donare ai bisognosi, coperte da consegnare al vicino canile e le stelle di Natale e i ciclamini utilizzati per abbellire i locali sono stati successivamente donati al Gruppo Scout Pescara I°. In definitiva a Montesilvano, tra il 15 e il 18 dicembre, l’ornitologia, la poesia, l’inventiva, la natura, la passione, la prosa, l’impegno nel sociale, il fantastico, l’attenzione alle nuove generazioni, si sono incontrati e fusi insieme andando a creare uno spettacolare, fantasmagorico, unico evento che resterà a lungo nella memoria di chi lo ha vissuto.
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L’ospitalità è stata poi degna della migliore tradizione abruzzese
“L’erba dolcinela” (Valerianella o Soncino selvatico)
Una pianta erbacea alimurgica (spontanea) adattata all’ortaggio
Premessa
Alcuni anni fa, dopo una copiosa pioggia di metà ottobre, assieme a mia moglie Angela sono andato ad ispezionare il vicino campo incolto nella speranza di raccogliere qualche giovane cespo di erbe selvatiche. Ad un certo punto Angela mi ha fatto notare un gruppo di piccole rosette basali.
“Gigi, guarda queste rosette…. mi sembra l’erba dolcinela, un’erba selvatica che si raccoglieva assieme a tua madre”. Mi chino e a prima vista mi sembrano le foglie delle pratoline autunnali. Guardo con più attenzione, tocco le piccole gio-
Dal libretto dei miei appunti orto-ornitofili e non solo
vani foglie: mi sembrano carnose, ne raccolgo un paio e le assaggio.
“Hai ragione, dal gusto agrodolcemi sembra proprio la dolcinela; le foglie sono un po’ carnose, assomigliano molto a quelle della Valerianella che piantiamo nell’orto! Vuoi vedere che si tratta della Valerianella selvatica!?”.
Scatto un paio di fotografie col telefonino e si continua la passeggiata perlustrativa raccogliendo alcuni giovani cespi di tarassaco, cicoria selvatica, piantaggine ed anche un po’ di “erba dolcinela”. Il dubbio che fosse Valerianella selvatica mi ha accompagnato durante tutto il percorso e, giunto a casa, ho voluto togliermelo dalla testa. Con le fotografie scattate ed un cespo di “erba dolcinela” ho iniziato le ricerche.La mia supposizione ha avuto un riscontro positivo sia dal confronto delle fotografie su internet sia da quelle sui miei libretti di erbe
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di PIERLUIGI MENGACCI, foto P.MENGACCI, WIKIPEDIA ORG, CENTROVIVAIGARDENCENTER, COLTIVAZIONEBIOLOGICA
Cespi di dolcinela (Valerianella selvatica), foto: P.Mengacci
Erba dolcinela (Valerianella selvatica), foto: P.Mengacci
selvatiche. E così, quell’erba che mia madre chiamava “dolcinela” (per il suo sapore dolciastro?) e che tanto ricercava per le sue saporite misticanze non era altro che la parente selvatica di quella che ogni autunno o in primavera trapianto nel mio orticello! Questo fatto mi ha ulteriormente convinto che molte piante alimurgiche (spontanee) sono state progressivamente adattate all’ortaggio, proprio come la “dolcinela” ossia il Soncino o Valerianella (Valerianella locusta o olitoria) che per caso ho raccolto nel campo vicino al mio giardino.
Alcuni dati botanici
La Valerianella appartiene alla famiglia delle Caprifoliaceae o Valerianiaceae, genere Valerianella, specie Valerianella locusta. Come pianta spontanea è originaria della zona mediterranea a clima temperato e secondo certi studi botanici francesi (alquanto datati), i territori d’origine dovrebbero essere la Sicilia e la Sardegna. È una pianta erbacea da non confondersi con la Valeriana officinalis (pianta officinale da fiore utilizzata a scopo terapeutico in fitoterapia e farmacia) della stessa famiglia ma di genere e specie botaniche differenti. Il suo nome botanico deriva dal valere, ad indicare unapianta rigogliosa, sana, mentre locusta fa riferimento alla forma allungata. Altri suoi nomi possono essere a seconda della zona “songino” o “soncino”, “dolcinella”, “gallinella”, “grassagallina”, “pasqualina” ed
altri nomi locali. La Valerianella o Soncino è una pianta erbacea a ciclo biennale se spontanea, annuale se seminata in inverno o trapiantata in primavera. Si presenta come un piccolo cespuglio privo di stelo. Le foglie sono carnose, leggermente arrotondate color verde acceso, lunghe otto-dieci centimetri e raccolte in ciuffetti e sono molto delicate. A primavera avanzata produce uno stelo fiorale con vari mazzetti di piccoli fiori di colore bianco-azzurrino. Il frutto è un piccolo achenio liscio, globuloso e grigio. La Valerianella selvatica, che nel periodo estivo “si nasconde asciugandosi”, dopo le prime piogge autunnali riappare raggruppata in tre o quattro piccoli cespi quasi sempre generati dal vecchio apparato radicale. Generalmente la troviamo nei campi erbosi e nei prati preferibilmente umidi. È di un color verde più chiaro ed è molto più delicata di sapore e con proprietà simili ma più intense di quella coltivata.
Componenti nutrizionali* per 100 grammi di prodotto edibile
· Acqua 92,80 g
· Proteine 2,00 g
· Lipidi 0,40 g
· Carboidrati e fibre 3,60 g
· Vitamina A 7.092 UI
· Vitamina C 38,20 mg
· Niacina 0,415 mg
· Vitamina B6 0,273 mg
· Riboflavina 0,087 mg
· Tiamina 0,071 mg
· Folati 14,00 μg
· Potassio 459,0 mg
· Fosforo 53,00 mg
· Calcio 38,00 mg
· Magnesio 13,00 mg
· Sodio 4,00 mg
· Ferro 2,18 mg
· Zinco 0,59 mg
· Apporto calorico: 100 grammi contengono circa 20 calorie.
Proprietà e benefici
La Valerianella o Soncino, rispetto a tutte le insalate (lattughe), ha ottimi componenti nutrizionali ed è anche considerata un superfood, ovvero un alimento dotato di ottimi nutrienti per il nostro benessere.
Fra tutte le proprietà che ho trovato descritte nei vari testi consultati, ho ritenuto opportuno riportare integralmente quanto scritto dalla Dott. Roberta Petruccini**, laureata in Scienze Biologiche, che riassume dovutamente ed in modo semplice e esaustivo proprietà e benefici:
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Valeriana officinalis, fonte: Centrovivaigardencenter
Cespi di Valerianella locusta o Soncino nell'orto dell'autore, foto: P.Mengacci
La Valerianella appartiene alla famiglia delle Caprifoliaceae o Valerianiaceae, genere Valerianella, specie Valerianella locusta
“Anemia: per il suo ottimo contenuto di ferro, il Songino viene consigliato nelle diete di chi soffre di leggere dovute a carenza alimentare. Ideale dunque nelle diete vegane e vegetariane.
Stitichezza: il buon apporto di fibre rende la Valerianella un ottimo aiuto per chi soffre di o per coloro che necessitano di una regolarità intestinale.
Disordini intestinali: grazie alla presenza di particolari enzimi, l’insalata valeriana è in grado di promuovere l’attività digestiva. Può pertanto alleviare o i fastidi che dipendono da di vario grado di intensità.
Patologie cardiovascolari: le vitamine del gruppo B presenti nel Songino diminuiscono la concentrazione nel sangue dell’omocistina. Quest’ultima è un amminoacido capace di aumentare il rischio di infarti e di malattie cardiache.
Azione detox: la Valerianella stimola l’attività di fegato, reni ed intestino. Per questo motivo le vengono riconosciute proprietà digestive, depurative e diuretiche oltre che rivitalizzanti.
Alleato nelle diete: le fibre contenute nel Songino, in particolare l’inulina, contribuiscono a far raggiungere il senso di sazietà e a ridurre la sensazione di fame. Gravidanza: essendo ricca di acido folico, questa varietà di insalata è indicata anche per le donne in gravidanza o per chi sta programmando un concepimento.
L’acido folico (vitamina B9) è di fondamentale importanza per lo sviluppo della rete nervosa e neurale del feto.”
Va inoltre detto che la Valerianella è l’insalata meglio tollerata dalle persone delicate di stomaco e che contiene un buon apporto di vitamina A, molto importante per l’equilibrio nella crescita; aiuta altresì a difendersi dalle infezioni e giova alla pelle.
Utilizzo
Nella mia tavola, “l’erba dolcinela” che raccogliamo durante l’autunno e in primavera, quando le rosette basali sono tenere e rigogliose, viene utilizzata e consumata normalmente, come contorno, nelle misticanze di insalata. Alcune volte mia moglie la condisce con un filo d’olio extravergine di oliva e qualche goccia di limone, assieme alle carote alla julienne, sedano e qualche gheriglio di noce. Quando la pianta è più sviluppata, la Valerianella diventa più dura e di sapore più amaro e quindi è consigliabile lessarla con altre erbe selvatiche.
Una credenza locale che viene tramandata è quella di consumare laValerianella o Soncino alla sera per conciliare il sonno (per la sua parentela con la Valeriana officinale?).
Una cosa da tener presente: la Valerianella non si conserva a lungo. Al massimo la possiamo mantenere nel frigorifero per due o tre giorni nell’apposito scomparto delle verdure e frutta.
Un mio modesto consiglio: se vogliamo fare un “trattamento detox” anche ai nostri volatili familiari (consigliabile a fine muta oppure a fine inverno prima delle cove) possiamo considerare l’utilizzo della Valerianella, verdura particolarmente consigliata nei cambi di stagione. Un trattamento di tre o quattro giorni con foglie di Valerianella o Soncino ben lavate ed asciutte, oppure frullate e mescolate al pastoncino, farà sicuramente effetto.
È risaputo che il consumo di Valerianella venga consigliato non solo per le molte proprietà che contiene, ma è soprattutto utile consumarla nei cambi di stagione in quanto è riconosciuta come una verdura disintossicante, diuretica e depurativa (soprattutto per reni e fegato) oltre ad essere ricca di sali minerali e vitamine.
Differenza tra Valerianella o Soncino e Valeriana officinalis Queste due piante si possono confondere, ma con un’attenta osservazione delle foglie e dei fiori possiamo riconoscerne le differenze (come da fotografie che corredano l’articolo).
Pur facendo parte della stessa famiglia, in realtà appartengono a genere e spe-
cie botaniche differenti: il Soncinoal genere Valerianella, specie locusta e la al genere Valeriana, specie officinalis. Anche l’utilizzo è completamente di-
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Illustrazione di Valeriana officinalis, font: wikipedia.org
Illustrazione di Valerianella locusta, font: wikipedia.org
La Valerianella è l’insalata meglio tollerata dalle persone delicate di stomaco e che contiene un buon apporto di vitamina A
verso: il Soncino o Valerianella è una verdura da insalata e viene prevalentemente utilizzata a scopo alimentare. La Valeriana officinalis invece è impiegata in erboristeria e fitoterapia come blando sedativo e calmante.
Conclusione
(una riflessione sulle erbe alimurgiche) È risaputo che le piante selvatiche e spontanee, a partire dalla preistoria, hanno accompagnato l’uomo nel suo percorso evolutivo e sono state la sua fonte di sostentamento soprattutto nei periodi di carestia.
È altresì vero che, pur essendo considerate da molte persone “erbacce infestanti”, siano tutt’ora una grande risorsa dell’alimentazione umana, dell’erboristeria e della farmacia e fonte di sostentamento per tutta la fauna selvatica. Sebbene al giorno d’oggi la raccolta delle cosiddette piante “alimurgiche” (alimurgia = scienza che classifica e riconosce le piante selvatiche edibili e ne testimonia l’importanza storica e salutistica; il termine deriva dal greco “àlimos”=che toglie la fame e “urgìa”= lavoro), non sia una necessità, la raccolta ed il consumo di piante edibili spontanee ci ricorda che per secoli l’alimentazione si è basata su quello che il territorio offriva nelle variestagioni e che poteva essere conservato per i periodi di minore abbondanza.
Nel corso degli anni, con le coltivazioni intensive, l’uomo ha sfruttato processi guidati di crescita e ha adattato all’or-
taggio molte specie selvatiche, con la conseguente perdita della stagionalità, della biodiversità e dei valori nutrizionali. Oggi, in qualsiasi stagione, supermercati e negozi vari ci propongono verdure e frutta di ogni genere, alla faccia della stagionalità e biodiversità degli alimenti… Negli ultimi anni, però, si è risvegliato l’interesse verso la campagna e sempre più persone ricercano una alimentazione ecosostenibile e biologica; si dedicano alla coltura delle piante, alla conoscenza delle “erbacce”, delle specie arbustive ed arboree spontanee commestibili, alla loro raccolta a scopo alimentare o terapeutico, oppure si rivolgono alle erboristerie o fitofarmacie in cerca di erbe alimurgiche per le loro proprietà fitoterapiche. Le piante ed erbe spontanee hanno infatti molte più proprietà rispetto alle stesse specie coltivate, perché crescono spontaneamente nel luogo in cui le troviamo e dove si sono verificate le condizioni ottimali per la loro crescita.
Un aspetto molto importante nella raccolta delle erbe di campagna è innanzitutto essere certi che il terreno in cui vengono raccolte non sia stato trattato con inquinanti e diserbanti vari. Altra cosa assai importante è riconoscerle con assoluta certezza e seguire la stagionalità della raccolta, ovvero il periodo ideale in cui il contenuto di principi attivi è ottimale. La primavera e l’autunno sono i periodi dell’anno migliori in cui, grazie alle numerose piogge, le piante spontanee sono nello stato vegetativo più rigoglioso e le rosette basali si presentano più tenere. Sono fermamente convinto che anche nell’allevamento dei nostri volatili familiari, per esperienza non solo personale, una alimentazione basata sull’utilizzo di piante selvatiche e spontanee, seguendone la stagionalità, apporti al loro organismo tutti i principi attivi di cui esse sono dotate.
Come più volte ho riportato nei miei scritti, con il loro utilizzo nell’allevamento abbiamo sicuramente un miglioramento dello stato generale degli uccelli ed un sostegno fisico nei periodi più critici, quali le rigidità invernali, le fatiche riproduttive e lo stress del ricambio delle penne.
Ad maiora, semper.
Fonti:
-*https://www.humanitas.it/enciclopedia/alimenti/verdure-ortaggi-e-tuberi/valeriana-alimenti/ - **https://www.vivereinbenessere.com/4068/songino
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Foglie di Valeriana officinalis, fonte Coltivazionebiologica
Valeriana officinalis pianta, fonte: Centrovivaigardencenter
Con il loro utilizzo nell’allevamento abbiamo sicuramente un miglioramento dello stato generale degli uccelli
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Mutazione Emerald di Psittacula krameri
Questo
piccolo articolo per informarvi, attraverso la mia esperienza, circa la mutazione Emerald, da pochi anni presente in Italia (2018). Si tratta di una mutazione unica che sicuramente avrà una forte presa da qui ai prossimi anni nel mondo degli Psittacula krameri
Come riferimento per trascrivere tale mutazione, prendiamo in considerazione il libro “Ringneck Colour Genetics” di Deon Smith (deposito legale 400725/15) del quale vengono citate nelle note le pagine relative agli argomenti trattati.
La mutazione è stata “introdotta” in Australia nel 1950 circa, è arrivata in Sud africa nel 2011 e in Europa nel 1995.(1)
È una mutazione presente con un allele parblue del locus b (1) che determina una riduzione del 50% del contenuto di psittacina rendendo il colore dell’uccello né verde né blu, bensì un colore verde mare. Tale riduzione di psittacina è diffusa uniformemente per l’intero piumaggio e rende nei maschi il collare privo del rosa, sostituendolo con il bianco. I piedi e le unghie sono uguali a tutte le mutazione afferenti agli alleli del locus b (2), come ad esempio Turquoise Blu e Indigo Blu (4)
Nel caso in cui entrambi gli alleli parblue siano presenti nel locus b, si avrà un colore verdemare più intenso: tale mutazione è chiamata
Emerald (come regola genetica si dovrebbe scrivere Emerald Emerald, visto che entrambi gli alleli sono di tipo Emerald). Invece, nel caso di presenza di un solo allele, la mutazione sarà Emerald Blu (così descritta visto che solo un allele è Emerald e l’altro è blu); il colore sarà più bluette sia sul dorso che sulle ali. Il modello ereditario è simile a tutti gli altri alleli del parblue; è quindi una mutazione recessiva codominante sulla mutazione del locus del blu e produce una combinazione di colori quando associata con soggetti aventi gamma di parblue Tuttavia, è in discussione se questa combinazione di colori intermedi sia come quella ottenuta con gli altri alleli del parblue, anche se tale allele genera uno specifico effetto di coloreben diverso dagli altri colori del parblue risultando, quindi, ben definito. Se viene accoppiato un Emerald Blu con un Albino, si produrrà un Emerald – Ino; tale combinazione produce un effetto di riduzione del colore giallo presente nel Lutino. (1)
Tale mutazione ha l’effetto di ammorbidire e
Argomenti a tema
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Figura 1Figura 2
P agina aperta
miscelare colori cupi come il viola e le altre mutazioni strutturali, mentre avrà un effetto “magico” nei colori chiari come il Diluito e Cannella.
I pulli hanno un colore opaco che diventa più brillante dopo i 10 mesi di vita. Una tecnica molto utile per verificare se un uccello è di colore Emerald è quella di sottoporlo ad un’illuminazione ad UV. In caso lo fosse, si noterà una fluorescenza molto diversa da quella che si può notare sulle mutazioni denominate Turquoise Blu e Indigo Blu(4) . Tale diversa rifrazione potrebbe far pensare, oltre alla diminuzione di psittacina, anche ad una mutuazione in parte strutturale del piumaggio. (3)
Senza coinvolgere l’illuminazione, altra tecnica è di verificare il piumaggio sotto le ali; a differenza di altre mutazioni si noterà un colore paglierino che permane per tutta la vita dell’animale.
Ovviamente, come per altre mutazioni, è possibile fare delle combinazioni con altre tipologie di mutazioni.
Sotto, sono presenti quattro immagini dove si riportano:
1.Maschio di Cobalto Singolo Fattore Viola, Singolo Fattore (Emerald Blu) portatore di testa e coda bianca (fig.4)
2.Femmina Pezzata Dominante Cobalto, Singolo Fattore (Emerald Blu) portatrice di testa e coda bianca (fig.2) tutti nati nel mio allevamento. Ho anche riportato il sotto dell’ala per far notare il colore giallo paglierino caratterizzante della mutazione Emerald (fig. 1) ed una visualizzazione con illuminazione UV di un pullo di circa 15/20 gg. (fig. 3).
Quanto scritto è per condividere questa mia esperienza personale con gli amanti di questa razza come me.
MASSIMO SEPIONI (allevatore parrocchetti dal collare iscritto FOI RNA 87ZF)
Bibliogafia
1)Ringneck Colour Genetics, Deon Smith p. 71, 72, 73 (deposito legale 400725/15)
2)Ringneck Colour Genetics, Deon Smith p. 101 (deposito legale 400725/15)
3)Ringneck Colour Genetics, Deon Smith p. 102 (deposito legale 400725/15)
4)Ringneck Colour Genetics, Deon Smith p. 73, 74, 75, 76, 77 (deposito legale 400725/15)
Argomenti
a tema
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Figura 4
Figura 3
Ali bianche, l’origine del concetto e le conseguenze
di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZO
Chiarisco a priori che quando si parla di ali bianche, nel campo del canarino di colore, non si intende tutta l’ala ma solo le penne forti: remiganti ed anche grandi copritrici delle primarie, inoltre il concetto si estende anche alle timoniere, pure penne forti che non vengono citate. Le suddette penne non sono cambiate in prima muta, alcune mai, salvo incidenti (remiganti primarie, secondarie e grandi copritrici delle primarie), altre (remiganti terziarie, timoniere ed alula) a seconda dei soggetti. Si parla di genetica, ma anche di nascita più o meno precoce: i soggetti nati tardi avrebbero la tendenza a mutare meno penne. Preciso anche che i lipocromi (che significa solubili nei grassi) dei canarini sono carotenoidi, pertanto si può parlare sia di lipocromi che di carotenoidi, quest’ultima è espressione più precisa. Nel canarino remiganti e timoniere non sono interamente pigmentate di carotenoidi, ma solo i loro bordi, con qualche differenza; è questa la condizione normale nei gialli. Si può dire che, se nelle penne tettrici (le cosiddette piume), il colore di fondo carotenoide è coperto dall’eumelanina ed appare nei lipocromici ove le melanine sono inibite, nelle penne forti sotto l’eumelanina manca ed è relegato, già in origine, ai bordi. Una vecchia sbagliatissima tesi sulle ali bianche continua a fare danni incalcolabili, sulla loro interpretazione: parlo del geneticamente bruno o agata ecc.
Malgrado io abbia più volte stroncato la suddetta tesi con diversi argomenti inconfutabili, molti ancora la portano avanti perpetuandone il danno concettuale e soprattutto pratico, come vedremo ("Ali in gialli e rossi" I. O. n°10 -
NUMERO 2 - 2023 43 CANARINIDI COLORE
Brinato rosso ali bianche, foto: E. del Pozzo
Remiganti e timoniere non sono interamente pigmentate di carotenoidi
2014, “Ali bianche...” I. O. n°1 – 2016). Il problema è nato diversi anni or sono quando si è sostenuto che nel canarino esistesse una feomelanina gialla. Io da subito ho certamente ammesso l’esistenza di feomelanina gialla, come pure rossa o arancio, ma in specie diverse dal canarino. All’epoca il concetto non era così ovvio, poiché si tendeva a parlare solo di feomelanina bruna, da associare all’eumelanina nera; i più attenti parlavano anche di eumelanina bruna. Fin qui non sembrava una cosa tanto grave, l’aspetto gravissimo è che si sosteneva che la mutazione agata inibisse la feomelanina gialla. A dire di chi sosteneva questa tesi, i soggetti lipocromici a fattori rossi ad ali bianche erano geneticamente agata o isabella, mentre quelli ad ali gialle erano neri o bruni. Poi si parlò solo di agata e di bruni, forse perché i bruni erano considerati i peggiori, con ali più gialle e gli agata i migliori con ali più bianche; qui non ricordo bene, ma forse qualcuno preferiva gli isabella.
Ci fu chi fece anche uno pseudo esperimento accoppiando un lipocromico rosso ali bianche con un’agata pure a fattori rossi. Ebbene, disgrazia volle che quel lipocromico fosse geneticamente agata e nacquero solo pezzati agata. Una vera disdetta; a quel punto si pensò di aver dimostrato tutto, ignorando evidentemente che un singolo caso è di minima rilevanza e nessun ricercatore al mondo lo avrebbe accettato come sufficiente. Il campione statistico deve essere diversificato ed in numero tale da poter escludere la casualità. A complicare la cosa, ci fu anche chi ottenne in una coppia dei soggetti
macchiati che sembravano confermare l’infondata tesi di cui sopra. In realtà le macchie non sono affatto in quella direzione, certo su grandi numeri di macchiati.
Si sosteneva, da più d’uno, che il giallo che si vede sulle ali e la coda dei lipocromici a fattori rossi, ma in seguito a discussione anche a fattori gialli, fosse una feomelanina gialla. Gli argomenti che ci consentono di escludere la tesi della feomelanina gialla sono diversi, oltre alle macchie che talora si vedono. Primo: se esistesse una feomelanina gialla l’acianismo che inibisce tutte le melanine la inibirebbe.
Secondo: ammesso e non concesso che per misteriosi motivi l’acianismo non inibisse tale feomelanina gialla, le mutazioni che interessano i carotenoidi non la toccherebbero. Pertanto avremmo sia i bianchi che gli avorio lipocromici inquinati di giallo qualora fossero geneticamente neri o bruni… ma nessuno ha mai visto tracce di giallo da melanina in bianchi, specialmente recessivi, o in avorio. Non credo proprio che si possano immaginare azioni inibitorie sull’ipotetica feomelanina gialla da parte di queste mutazioni che agiscono sui carotenoidi. Al limite, una potrebbe riguardare un gene pleiotropico e farlo, ma non certo tutte.
Terzo: se questa feomelanina gialla esistesse anche nel canarino e fosse inibita dalla mutazione agata, dovrebbe essere presente sempre nei melanici ossidati, ma mai nei melanici diluiti. Vale a dire che gli agata ed isabella melanici dovrebbero sempre essere ad ali bianche. Invece gli agata ed isabella a fattori gialli hanno sempre il bordo ala giallo e così pure quelli a fattori rossi, ove in teoria le ali potrebbero essere bianche. Accade però che, essendo la varietà meno selezionata nei melanici rispetto ai lipocromici, nei melanici (tutti i melanici) le ali sono sempre gialle. Migliorando la selezione della varietà rosso nei melanici, spero di vederne qualcuno ad ali bianche, prima o poi, e se fosse un nero od un bruno sarei particolarmente contento.
Quarto: se il giallo delle ali fosse dato da feomelanina gialla non potrebbe assolutamente assorbire il colorante rosso o comunque carotenoide, visto
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Intenso rosso avorio ali bianche, foto: E. del Pozzo
Se esistesse una feomelanina gialla l’acianismo che inibisce tutte le melanine la inibirebbe
che chimicamente carotenoidi e melanine sono alquanto diversi. Invece le ali gialle assorbono benissimo il colorante; anzi i soggetti colorati da nido, se ad ali gialle, hanno una colorazione molto uniforme, a dimostrazione che la natura del giallo delle penne forti (remiganti ecc..) è la stessa delle altre penne, cioè carotenoide. Mentre i soggetti ad ali bianche presentano qualche piccola differenza, visto che l’ala bianca viene pigmentata solo dalla cantaxantina sintetica del colorante.
A questo punto forse qualcuno mi si chiederà: “cosa determina le ali bianche?”. Ho già espresso una mia tesi, direi piuttosto solida, anche perché apprezzata da più di un biologo. Ebbene è noto che la formazione dei pigmenti carotenoidi gialli è più rapida di quelli rossi, che hanno una formazione molto più lunga e complessa. Pertanto è da ritenere che i pigmenti carotenoidi gialli facciano in tempo a pigmentare le penne forti (remiganti e timoniere), che oltre ad essere più grandi si formano per prime, questo segnatamente in prima muta. Mentre quelli rossi, di formazione molto più lenta, no. La conseguenza è che nei canarini a fattori rossi in prima muta, i peggiori, cioè quelli che conservano ancora molto pigmento giallo, hanno le penne forti gialle, mentre i migliori, che hanno più rosso e meno giallo, non riescono a pigmentarle, visto che il rosso non fa in tempo ad arrivare. La conseguenza è che nei soggetti a fattori rossi, i migliori sono ad ali bianche ed i peggiori ad ali gialle. In precedenti pubblicazioni ho ulteriormente spiegato questi aspetti, come nel mio testo “I colori nel Canarino” ed in articoli come quelli sopra citati. Come considerazione aggiuntiva, rilevo che i giallo avorio nel nido poco prima dell’involo appaiono di un lieve giallo avorio, mentre i rosso avorio appaiono bianchi, solo successivamente arriva qualcosa come pigmento. Anche i rossi, specialmente se ottimi, appaiono in proporzione più chiari dei gialli, quando sono nel nido. Tutto ciò a dimostrazione della lentezza della formazione dei carotenoidi rossi.
Qualcuno è arrivato anche a dire che il dorato sarebbe legato alla feomelanina gialla ed il giallo limone alla sua as-
senza, in altre parole il geneticamente bruno o agata. Ovviamente se così fosse non potremmo avere neri e bruni melanici con lipocromi limone, invece ci sono e sono molto belli, specialmente nel nero, i famosi verde muschio o verde bottiglia. Inoltre ci sono agata ed isabella difettosi con lipocromi dorati. Sappiamo che la tonalità limone (giallo verdognolo) è di origine strutturale. Carotenoidi e melanine sono del tutto indipendenti come trasmissione ereditaria; se possono apparire differenze è solo per interferenze contingenti. Interferenze le vediamo nei neri classici gialli ove ci possono essere tonalità
verdi, che mancano nei neri opale gialli, per minori eumelanine e quindi per minori interferenze che rendono i carotenoidi di tono più simile a quello dei lipocromici. Nei lipocromici, essendo tutte le melanine totalmente inibite, non possono esserci interferenze, indipendentemente dal tipo occulto, in certi casi rilevabile solo dall’occhio. Oggi c’è chi vorrebbe i gialli lipocromici ad ali bianche come nei rossi! Si badi però che questo non ha a che fare con la mancata colorazione da nido. C’è da preoccuparsi molto, poiché si suggeriscono selezioni contro il giallo nei gialli! In effetti non è possibile selezionare ali bianche nei gialli senza indebolire il giallo nel suo complesso. Le remiganti dei gialli mantengono il bordo esterno giallo, anche senza colorazione da nido. Non vi sono geni per il giallo ad azione localizzata. Tuttavia ho perfino sentito qualcuno parlare di “specchio alare” come nelle anatre! Che ovviamente non esiste. A favorire questo equivoco c’è il fatto che in presenza di giallo debole
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Intenso giallo ali bianche, foto: E. del Pozzo
La formazione dei pigmenti carotenoidi gialli
è più rapida di quelli rossi
l’effetto limone si esprime meglio. Di conseguenza ali, non dico bianche ma giallo debole, si associano spesso ad una tonalità limone migliore essendo la debolezza generalizzata. Ho in altre sedi evidenziato il fatto che il giallo limone si esprime al massimo nelle femmine brinate ed al minimo nei maschi intensi, a parità di selezione. Questo perché nella femmina il giallo è più debole (dicromatismo) e nei brinati è meno concentrato, visto che negli intensi le barbe sono più corte e concentrano il pigmento carotenoide, ostacolando l’espressione limone. Negli avorio, nei quali i lipocromi sono ridotti, abbiamo evidente conferma. Poiché solo gli avorio pessimi presentano toni crema, che corrispondono al dorato, i mediocri sembrano buoni come tono limone diluito, mentre nei gialli loro fratelli, tracce dorate si vedono subito, anche se modeste. Si vuole considerare il giallo di ali come difetto di categoria nel mosaico, ma è caratteristica di varietà. La brinatura non è rilevante, cioè non agisce sulle penne forti, come remiganti e timoniere (il mosaico è un super brinato). Sarebbe bene considerare che varietà e categoria sono cose ben diverse. Per
dirla con rozza semplicità, la varietà agisce sui pigmenti carotenoidi in formazione, potremmo dire dal basso, mentre la categoria sembra agire dall’alto (sembra soltanto) accentuando o meno la brinatura (delle penne tettrici). Vale a dire la mancata pigmentazione degli apici e in vari casi ben oltre gli apici, come nei mosaico o nei pessimi brinati. In realtà non credo che sia corretto dire dall’alto, poiché ritengo sia una minore spinta verso l’alto, forse unita ad una minore presenza di carotenoidi, ma non è probabile; certa invece una minore saturazione. Comunque l’impressione è quella e non riguarda la natura dei carotenoidi stessi. Per natura dei carotenoidi si intende il giallo o la presenza di fattori per il rosso, nonché la ricchezza dei carotenoidi stessi, che attengono alla varietà. Si consideri anche la differenza fra le zone di elezione (maschera, spalline e codione) rispetto alle altre;
la saturazione cambia radicalmente ed è categoria, invece la natura dei carotenoidi no, è di varietà (come più o meno rosso più o meno giallo). Per precisare meglio si può dire che la categoria che riguarda la struttura delle produzioni cutanee, penna compresa, cioè lunghezza delle barbe, accorciate dalla mutazione intenso (tonalità limone a parte, presente in tutte le categorie), attiene come conseguenza alla saturazione o meno della penna stessa (penne tettrici) ad opera dei carotenoidi. Si può aggiungere che negli intensi le soffusioni alari, cioè i bordi, e delle penne forti in genere, sono più concentrate per l’accorciamento delle barbe. Fra brinati e mosaico, a livello di penne forti non dovrebbe esserci alcuna differenza. Semmai, se i mosaico hanno bordi mediamente meno carichi di carotenoidi dei brinati, è perché si accoppia in purezza mosaico x mosaico indebolendo i carotenoidi stessi. Lo stesso fenomeno si verifica nei brinati quando si accoppia in purezza brinato x brinato. Basta vedere certi canarini di razze inglesi, specialmente i Gloster, alcuni sembrano quasi biancastri. Per la precisione, ribadisco ulteriormente che si considera di varietà la tonalità limone, che attiene alla struttura del piumaggio e non alla natura dei carotenoidi.
Ora varrebbe la pena di stigmatizzare il metodo di colorare da nido, ma non voglio andare fuori tema. Del resto ho già condannato più volte questo metodo. Rinnovando la speranza che lo si possa spiegare anche all’estero. Ricordo solo che la luteina agisce molto meno della cantaxantina e che le differenze fra i soggetti a fattori gialli e rossi colorati da nido sono elevate. Tuttavia si nota in entrambi i casi che i bordi delle penne forti sono ben più facilmente colorabili del resto della penna, ove la presenza di carotenoidi è del tutto innaturale oltre che sgradevole esteticamente.
Mi rendo conto che certi aspetti sono piuttosto complessi, spero tuttavia di essere stato abbastanza esauriente. Un suggerimento finale importante: quando si parla di colorazione da nido e non, sarebbe molto meglio, davvero molto meglio, parlare di ali naturali e non di ali bianche, per evitare equivoci.
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Intenso rosso ali bianche, foto: E. del Pozzo
In presenza di giallo debole l’effetto limone si esprime meglio
Progetto: “il mondo degli uccelli”
testo e foto di MAURO CANDIOLI
Sull’onda dell’attività organizzata lo scorso anno scolastico, riguardo alle lezioni condotte dal sottoscritto in ambito scientifico per approfondire la conoscenza del mondo degli uccelli, assieme agli amici dell’Associazione Ornitologica Trentina di cui faccio parte, ci si chiedeva se si poteva fare qualcosa di più. La pandemia Covid 19 unitamente all’aviaria, ci aveva scoraggiati dal portare i nostri piccoli pennuti all’interno di una struttura pubblica come per l’appunto una scuola. Così ci è sorta l’idea di chiedere l’utilizzo di una sala presso l’Oratorio della Parrocchia dove poter ospitare gli uccellini, in modo che fossero gli alunni a poterli osservare con disciplina e soprattutto in maniera da non stressarli più del necessario. Sarebbe stata un’ottima occasione per poter vedere da vicino alcuni uccellini che appartengono alla nostra fauna locale. Presto pensato e presto fatto! Ho
così contattato il comitato parrocchiale di Lizzana di Rovereto per l’uso di una sala e contemporaneamente ho presentato alla mia Direzione Didattica il progetto chiamato “Il mondo degli uccelli”, al fine di consentire a tutte le classi del plesso di potersi recare presso la sala dell’Oratorio. Ai ragazzi della classe V A, ai quali ho illustrato il progetto, è sorta l’idea di realizzare delle ricerche che spiegassero le varie tipologie degli uccelli presenti.
Divisi in piccoli gruppi hanno così realizzato le documentazioni sulle varie specie presenti: lucherini, cardellini, ciuffolotti, verdoni, verzellini, organetti, crocieri e ovviamente non poteva mancare il canarino comune. Il tam tam di questa impresa ha raggiunto persino la scuola materna che ci ha chiesto di poter partecipare... come poter dire loro di no? È stato quindi redatto un dettagliato programma con l’indicazione degli orari in cui ogni singola classe, comprese le due sezioni della scuola materna, sarebbero state ospitate. Ad ogni classe sono stati assegnati 35 minuti di attività, mentre per l’asilo fino a 40’. Il giorno 20 dicembre, di buon mattino, con gli amici dell’associazione abbiamo allestito la sala parrocchiale disponendo 6 tavoli in circolo. Sui primi 5 abbiamo messo delle panche sulle cui estremità, a loro volta, abbiamo posizionato le gabbiette da mostra con all’interno i nostri protagonisti
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Ai ragazzi della classe V A
è sorta l’idea di realizzare delle ricerche che spiegassero le varie tipologie degli uccelli presenti
distinti per ciascuna specie in maschio e femmina. Con questo sistema, cioè da una posizione sopraelevata, gli uccellini sarebbero stati più a loro agio e, soprattutto, sarebbero stati meglio osservati singolarmente. Ciascun uccellino-gabbietta era contraddistinto da un cartellino indicante il proprio nome e un numero in sequenza. Il lucherino aveva il n°1, il canarino rosso mosaico aveva il n° 2, e così via. Sull’ultimo tavolo, in prossimità dell’uscita, sono stati invece disposti i gadget che, a conclusione della visita, sono stati consegnati a ciascun piccolo visitatore. Alle 8 e 15 abbiamo dato inizio a questa incredibile giornata dedicata all’insegna
dell’ornitologia. I miei ragazzi della classe quinta A, che nel frattempo a forza di ripetere le ricerche si erano trasformati in piccoli oratori, sono stati suddivisi in 3 gruppi distinti di 7 alunni ciascuno, con il compito poi di disporsi vicino al proprio uccellino da esporre prima dell’ingresso di ciascuna classe. Il primo gruppo ha così accolto tre classi in sequenza dalle ore 8.15 alle ore 10.00. Poi il secondo gruppo altre quattro classi sempre in sequenza, dalle ore 10.10 fino alle ore 12.30. Infine, al pomeriggio, il terzo gruppo ha ricevuto le due classi della scuola materna e l’ultima classe della nostra scuola primaria dalle ore 13.45 fino alle
ore 15.30 circa. Ogni classe, puntualmente all’orario stabilito, veniva prima intrattenuta da un piccolo presentatore che illustrava sinteticamente lo scopo della mostra, cioè essenzialmente quello di far conoscere alcuni uccellini dell’avifauna locale che si possono regolarmente detenere. Successivamente ogni classe veniva divisa in 2 o 3 sottogruppi in base alla numerosità della stessa, in modo da evitare sovraffollamenti che potessero ostacolare la visione degli uccellini esposti o disturbare gli uccellini stessi. Ed infine, dopo aver disposto i sottogruppi dei visitatori - ad esempio il primo presso il lucherino al n°1 ed il secondo al fringuello al n°5 - i piccoli esperti della classe V iniziavano ad esporre i propri lavori partendo dal nome dell’esemplare per poi spiegare come riconoscere il soggetto descrivendone le principali caratteristiche fisiche e la colorazione del piumaggio. Quindi illustrando il dimorfismo sessuale, essendo presenti ambedue i sessi, per poi spiegare il loro areale di appartenenza, la loro alimentazione, il periodo di accoppiamento e, per i soli uccellini della nostra avifauna, dove è possibile osservarli nell’ambiente circostante. Dopo aver ascoltato la ricerca ed ad aver esaudito qualche domanda che di certo non è mancata, il piccolo gruppo passava al soggetto successivo. Quindi il gruppo che aveva ascoltato per primo il lucherino al n°1 passava successivamente al canarino rosso mosaico al n°2, e contemporaneamente il gruppo che aveva ascoltato il fringuello al n°5 passava poi al verdone al n°6 e così via fino ad ascoltare tutte le descrizioni ed ad aver visto distintamente tutti gli uccellini esposti. A mostra conclusa, a ciascun bambino è stato chiesto di esprimere ben due giudizi: l’uccellino che secondo lui era il più bello e quello che invece riteneva il più simpatico. In questo modo gli alunni hanno potuto rivedere ed osservare con più attenzione gli uccellini e scrivere su di un foglietto predisposto il loro giudizio. La numerazione degli uccellini è risultata efficace quindi sia per indicare l’ordine di marcia durante l’esposizione che per la votazione. Ai ragazzi infatti veniva chiesto di indicare il numero al quale
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era associato l’uccellino prescelto. I bambini delle due prime infatti non sono ancora in grado di scrivere correttamente. Ai bambini della scuola materna è stato invece chiesto di esprimere il solo giudizio di bellezza, invitandoli ad andare a posizionarsi vicino
all’uccellino preferito. Dopo aver raccolto le schede delle votazioni, ad ogni alunno è stato consegnato un numero della rivista della nostra federazione
“Italia Ornitologica” assieme all’opuscolo “Il canarino Frin”. Ai piccoli visitatori della scuola dell’infanzia è stato invece consegnato l’opuscolo con l’adesivo della nostra associazione. Il giorno dopo tutti i bambini di 5A si sono cimentati al personal computer per lo spoglio e la tabulazione dei dati. I risultati sono stati quindi definiti per ciascuna classe e poi sommati per avere le due distinte classifiche finali. Agli alunni della classe 5°, che in questo progetto hanno dato il loro fondamentale contributo acquisendo al contempo una considerevole gamma di competenze in svariate discipline: italiano, scienze, matematica ed informatica, va dato il merito della riuscita di questa straordinaria manifestazione. Un ringraziamento particolare va agli
allevatori della mia società, l’Associazione Ornitologica Trentina, che mi hanno sostenuto nell’organizzazione nonché nella concessione dei piccoli pennuti esposti ed alla Federazione Ornicoltori Italiani che ci ha fornito le riviste e gli opuscoli.
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e non solo
O rniFlash
Il cambiamento climatico aumenta i divorzi tra albatros Un’indagine
ha di recente dimostrato che il cambiamento climatico sta aumentando i divorzi tra albatros, un fenomeno che a lungo andare potrebbe risultare svantaggioso per questa specie. Gli albatros, anche detti semplicemente albatri, sono degli animali unici sotto diversi punti di vista. Va sottolineato che tutte e 22 le specie di albatro sono inserite nell’elenco degli animali minacciati, messe a rischio dalla pesca con i palamiti, dalla presenza di rifiuti di plastica in mare e dal basso tasso di riproduzione.
È noto che le femmine della specie depongono un solo uovo a covata, e che, in caso di mancata schiusura, la probabilità di rottura della coppia aumenta di 5 volte. Francesco Ventura, ricercatore della Woods Hole Oceanographic Institution, ha calcolato che per via dell’aumento delle temperature medie, la percentuale di divorzi tra albatros che hanno portato a termine una covata con successo è aumentata dell’8%. Per quale motivo? All’aumentare delle temperature dell’acqua, cercare cibo diventa più difficile, portando gli uccelli a dover volare per distanze molto maggiori: crescono così la fatica, lo stress e la fame. E proprio per questo la femmina di albatros sarebbe maggiormente portata a cambiare partner, sperando di ridurre per l’appunto fatica, stress e fame. Ma se è vero che a livello individuale la scelta dell’albatros di rompere la monogamia può risultare vantaggiosa, guardando alla comunità e alla sopravvivenza delle colonie, questo comportamento può rappresentare un’ulteriore minaccia: una nuova coppia non può infatti vantare l’esperienza maturata da una coppia al contrario esperta e consolidata, riducendo il tasso riproduttivo complessivo.
Fonte: https://www.green.it/divorzi-tra-albatros/
Aumentano nel Sud Italia gli esemplari di cicogna nera
Èuno degli uccelli più rari in Europa, Italia inclusa, dove fino qualche anno fa era una specie solo migratrice. La cicogna nera (Ciconia nigra), specie appartenente alla famiglia delle Ciconiidae, è un uccello leggermente più piccolo rispetto alla più nota cicogna bianca e, fatta esclusione per il ventre e alcune penne sotto le ali di colore bianco, si distingue per il suo colore nero con leggere sfumature tendenti al verde-viola metallico.
Dal 2016 circa la cicogna nera è diventata stanziale sull’Altopiano della Sila, in Calabria. Negli ultimi sette anni la cicogna nera sverna regolarmente in Sila: nell’estate del 2021, per la prima volta, è stata documentata la riproduzione nell’area dell’altopiano, un evento eccezionale documentato da parte del GLC LIPU Sila: non solo la cicogna ha nidificato a una quota mai registrata prima, ma quel nido su albero è l’unico di cui si abbia conoscenza nel Sud Italia.
Nel 2022 la cicogna nera ha nuovamente nidificato in Sila e ha involato con successo due giovani, esattamente come l’anno prima. Infine, pochi giorni fa, un adulto svernante è stato osservato sorvolare i boschi innevati del Parco Nazionale della Sila a quota 1300 metri, l’ennesimo spettacolo della natura ripreso dall’ornitologo Gianluca Congi, coordinatore del GLC LIPUSila e vice presidente della Società Ornitologica Italiana.
La cicogna nera è una specie tutelata dalla direttiva europea “Uccelli”, da convenzioni internazionali e da leggi nazionali, che la considerano specie particolarmente protetta. La buona notizia è che in Italia le coppie riproduttive sono in leggero ma costante aumento, specialmente in alcune regioni del Meridione.
Fonte: https://www.ohga.it/aumentano-nel-sud-italia-gli-esemplaridella-cicogna-nera-specie-rara-posta-sotto-tutela/
News al volo
dal web
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O rniFlash
Ad Apice un Parco Ornitologico per proteggere le specie
AdApice si pensa alla realizzazione di un Parco Ornitologico Italiano per analizzare e diffondere al meglio la cultura degli uccelli e della fauna. Da anni alcuni studiosi ed esperti lavorano sul territorio: l’obiettivo che si vuole perseguire è quello di esaltare l’habitat naturale, in uno scenario particolare, che è anche facilmente raggiungibile sia dall’area abitata di Apice sia dal resto della regione, attraverso il casello autostradale di Benevento. L’idea è quella di promuovere le attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica. Su una superficie di circa 2 ettari si prevede di installare ampie voliere alberate con cespugli tipici delle specie che li ospitano, con annessi ricoveri notturni, al fine di riprodurre il più possibile l’habitat naturale. L’intervento prevede anche la realizzazione della “Fattoria delle rondini”, specie che, come sottolineano gli studiosi, fra venti anni sarà estinta a causa dell’uso massiccio degli agrofarmaci in agricoltura; pertanto, con tale struttura, si aiuterà la specie a riprodursi. E ancora: la realizzazione di un emporio naturalistico o di gadget naturalistici per le scolaresche ed i visitatori in genere; la realizzazione di una biblioteca ornitologica con almeno 10.000 volumi scientifici, con annessa emeroteca, ossia con tutte le riviste scientifiche ornitologiche che vengono pubblicate in Italia; la realizzazione di una sala convegni per organizzare convegni e seminari; l’allestimento di una mostra fotografica delle specie ornitiche estinte e in via di estinzione per farle conosce al vasto pubblico per scopi didattici e scientifici; la realizzazione di una ooteca con gusci d’uova non schiuse all’interno delle voliere del parco per fini didattici e scientifici; la realizzazione di una struttura per ospitare tutte le razze di canarini esistenti sulla terra per scopi canori e ornamentali; la realizzazione di una sala per l’esposizione dei nidi raccolti in natura all’indomani dell’involo dei giovani nati; infine, la realizzazione di una sala per l’istituzione di un museo di ornitologia con soggetti impagliati ossia deceduti per cause naturali all’interno del parco, con annessa videoteca per la proiezione di documenti ornitologici dell’avifauna europea.
Fonte: https://www.ntr24.tv/2023/02/23/ad-apice-un-parco-ornitologico-perproteggere-le-specie-attrarre-visitatori-e-promuovere-la-ricerca-scientifica/
Scoperti i resti di un uccello gigante che divorava le foche
Ungruppo di paleontologi norvegesi e neozelandesi ha scoperto i resti di una procellaria gigante estinta nei sedimenti della Formazione Tangahoe, situata sulla costa sud-occidentale dell’Isola del Nord (Nuova Zelanda). In uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Taxonomy, è stato specificato che le strutture scheletriche dell’uccello estinto consistevano in un cranio ben conservato e un omero eroso (l’osso dell’ala superiore). Allo stesso modo, è stato specificato che entrambi i pezzi sono stati trovati tra il 2017 e il 2019 dal collezionista di fossili Alaistair Johnson. Gli specialisti hanno chiamato la nuova specie Macronectes tinae, in omaggio alla defunta compagna di Johnson, Tina King. Sebbene questa specie fosse morfologicamente simile alle sue moderne procellarie giganti, Macronectes giganteus e Macronectes halli, i ricercatori hanno affermato che in realtà aveva dimensioni inferiori. Tuttavia, il paleontologo dell’Università artica della Norvegia, Rodrigo Salvador, ha spiegato che è difficile determinare esattamente quanto fosse grande M. tinae, a causa dei limitati campioni fossili a disposizione. Nel caso del M. tinae, i suoi bisogni nutrizionali erano sicuramente soddisfatti dalla fauna che popolava la Formazione Tangahoe, come la foca monaca, il pinguino, nonché l’albatros e due specie più piccole di procellarie. Infine, date le somiglianze morfologiche e la giovane età del fossile (stimata tra 3,36 e 3,06 milioni di anni), è stato indicato che questa specie ora scoperta aveva un’anatomia e abitudini generalmente simili a quelle delle attuali procellarie giganti. Fonte: https://www.scienzenotizie.it/2023/02/27/scoperti-i-restidi-un-uccello-gigante-che-divorava-le-foche-3-milioni-di-anni-fa-0566454
e non solo
News al volo dal web
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Riflessioni su alcuni termini genetici
testo e foto di PEPPINO VITTI
Com’è noto, tutti gli organismi viventi, e anche le piante, possiedono una doppia serie di cromosomi uguali, uno ricevuto dal maschio e l’altro dalla femmina, su cui sono collocati i geni.
Ogni gene, pertanto, è formato da due alleli: uno posto sul locus del cromosoma paterno e l’altro posto sul medesimo locus del cromosoma materno.
Questi alleli di uno stesso gene, uno ereditato dal padre e l’altro ereditato dalla madre, non sempre sono identici: se sono identici, vengono chiamati alleli omozigoti, se invece differenti, vengono chiamati alleli eterozigoti.
Nei primi studi della genetica, iniziati dal Gregoriano Mendel, si riteneva che, in caso di eterozigosi, solo uno degli alleli si potesse esprimere sul fenotipo, quello dominante; l’altro, il recessivo, rimaneva latente (non visibile).
In seguito, con il progredire degli studi sulla genetica, si è visto che esistono diverse eccezioni a questo tipo di meccanismo di ereditarietà. Alcune volte succede che nessuno dei due alleli domina sull’altro, pertanto vengono usati termini come:
· semidominante o dominanza incompleta o anche dominanza parziale;
· codominante.
Semidominante
Si parla di semidominanza, dominanza incompleta o dominanza parziale (sono sinonimi), quando gli individui eterozigoti per un determinato carattere mostrano un fenotipo, qualitativamente e quantitativamente, intermedio tra quello dei due alleli. Tale particolarità è dovuta alla quantità di prodotto trascritto e tradotto dall’allele dominante; quindi solo nel caso in cui gli alleli sono omozigoti (doppia dose) viene trascritta e trasmessa una quantità sufficiente a determinare un fenotipo completo.
Esempi in natura della semidominanza si hanno sia nelle piante che negli animali.
La bella di notte (fiore), in forma omozigote, la troviamo di colore
NUMERO 2 - 2023 53 CANARINIDI COLORE
Polli Andalusi
Con il progredire degli studi sulla genetica, si è visto che esistono diverse eccezioni a questo tipo di meccanismo di ereditarietà.
Alcune volte succede che nessuno dei due alleli domina sull’altro
rosso oppure bianco, quando s’incrociano questi fiori di colore differente, la progenie F1 è di colore rosa, un colore intermedio tra il rosso e il bianco.
La stessa cosa si ha con i polli quando s’incrociano quelli di colore nero con quelli di colore bianco, la progenie F1 è di colore grigio blu, i cosiddetti polli andalusi.
Incrociando i suddetti F1, sia i fiori (rosa) sia i polli (blu), si vedono venir fuori, nei fiori, anche il bianco e il rosso, nei polli, anche il bianco e il nero, nel rispetto del rapporto: 12 - 1
Nei fiori: 25% rossi, 50% rosa, 25% bianchi; nei polli: 25% neri, 50% grigio blu, 25% bianchi. Tali numeri, naturalmente, vengono fuori da calcoli di probabilità.
La considerazione di cui sopra esiste anche nei canarini di colore?
Secondo il mio modesto parere si! La possiamo attribuire alla mutazione “cobalto”.
Tale mutazione viene inquadrata, attualmente, a carattere autosomico recessivo; secondo me invece va inquadrata come una mutazione autosomica semidominante.
A pensarla in tal modo non sono il solo, ci sono tanti altri.
I soggetti eterozigoti per tale mutazione esprimono le caratteristiche del
“cobalto” in forme diverse, sia quantitativamente sia qualitativamente. La piena e completa espressione “cobalto” la si ottiene solo con soggetti omozigoti per tale mutazione.
Codominante
Prima si è detto che sono sinonimi i termini semidominanza, dominanza incompleta e dominanza parziale; possiamo dire che è sinonimo a essi anche il termine “codominante”? Decisamente no!
Prendiamo in considerazione un canarino “Bruno” con il fattore “cobalto” in forma eterozigote. Il suo fenotipo/genotipo si presenta con due mutazioni: il bruno classico e l’effetto
“cobalto” ancorché con poca evidenza.
Perché, in questo caso, non possiamo usare il termine “codominante”? Perché il “Bruno” e il “cobalto” sono fattori posti su locus differenti, e i termini “codominante” e “semidominante” si prestano alla considerazione di ambedue gli alleli di un gene dello stesso locus, con espressività differente, presenti sul fenotipo. Nei canarini, attualmente, non esistono mutazioni codominanti con alleli che agiscono nel modo suddetto. La codominanza la troviamo negli esseri umani con riferimento al gruppo sanguigno e si tratta di un’allelomorfia multipla con gli alleli “A” e “B” dominanti e l’allele “0” a carattere recessivo.
Troviamo soggetti con i seguenti gruppi sanguigni:
A/A - B/B - A/B (B/A) - 0/0 – A/0 – B/0. Con la combinazione degli alleli A/B o B/A si ha la codominanza. Concludendo. In merito alla mutazione “cobalto”, ci potrebbero essere molti altri che non la pensano allo stesso modo di come la penso io, ma ritengo anche che è dallo scambio di opinioni diverse, fatto in modo civile e cordiale, che si possa ottenere una vera crescita dell’ornitologia amatoriale.
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Cobalto in forma omozigote
Cobalto in forma eterozigote
I soggetti eterozigoti per tale mutazione esprimono le caratteristiche del “cobalto” in forme diverse, sia quantitativamente sia qualitativamente.
Divulgazione ornitologica a Gesico
testo e foto di GENUNZIO PISTIS
Igiorni 14/15/16 ottobre, in concomitanza della Festa dell’Agricoltura e della 30° Sagra della Lumaca, nel comune di Gesico, piccolo paese a circa 50 km da Cagliari, l’A.O.S. (Associazione Ornitologica Sarda) con il patrocinio del Raggruppamento Sardo ha organizzato una mostra divulgativa con circa 250 uccelli.
La sagra rappresenta un appuntamento molto atteso per Gesico e per i comuni del circondario; in questo scenario di
festa, la mostra è stata visitata da circa duemila persone entusiaste di poter ammirare tanti uccelli di varie specie e una moltitudine di colori; inoltre, la mostra è stata visitata anche dagli alunni della scuola elementare che hanno effettuato dei disegni a tema ornitologico; alcuni di loro hanno ricevuto in dono una gabbietta con un canarino. A nostro avviso, queste iniziative, specie se inserite in sagre e feste varie, sono da caldeggiare in quanto fanno
conoscere il mondo dell’ornitologia e di conseguenza la nostra Federazione a persone che altrimenti non ne verrebbero a contatto, avvicinando nuovi appassionati anche attraverso le visite degli alunni delle scuole elementari sempre entusiasti.
Si ringrazia il Sindaco di Gesico, Avv. Terenzio Schirru, per l’ospitalità, la Proloco per la fattiva collaborazione, i soci collaboratori, il Raggruppamento sardo e il plesso scolastico.
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L’Arlecchino Portoghese
Dal Campionato Europeo dell’Arlecchino al Campionato Europeo di FPA e FPL
di MARIO ZAMPAGLIONE
Nel novembre 2021, in località Simeri Crichi (CZ), il Comitato organizzatore della Mostra Internazionale dei Tre Mari ha reso possibile in Italia il primo Campionato Europeo del Canarino Arlecchino Portoghese. Il clima in cui si è svolto l’evento è stato molto sereno e per fortuna non ci sono stati intoppi. Venivamo da un periodo pandemico lungo ed estenuante e il rischio che non si potesse svolgere a causa delle restrizioni era molto alto, ma alla fine abbiamo potuto esporre, confrontarci, stare insieme, ridere e scherzare, cioè abbiamo potuto tornare a vivere il nostro Hobby in maniera quasi normale.
Il Club Italiano del Canarino Arlecchino Portoghese (CICAP) ha risposto con piacere all’invito ricevuto ed ha suggerito all’organizzazione di invitare per il giudizio sia Armindo Tavares, giudice COM OMJ e Presidente del Clube do Canario Arlequin Portugues (CCAP), che Bruno Cardoso, giudice COM OMJ e Presi-
dente della Commissione Tecnica Portoghese di Forma e Posizione Lisci. Per la prima volta in Italia hanno concorso più di trecento Arlecchini Portoghesi; i due giudici si sono complimentati per l’elevato livello selettivo dei soggetti esposti che testimonia il lavoro e la corretta selezione dei tanti allevatori e soci del CICAP. L’infaticabile Consigliere CICAP Gianluca Portaro si è praticamente trasferito a Simeri Crichi per una settimana, rappresentando il Club e garantendo un aiuto operativo aggiuntivo all’organizzazione “Tre Mari”.
Io ed il Presidente CICAP Michelangelo D’Alò, insieme al giudice COM OMJ Domenico Borrelli, siamo arrivati il sabato mattina e abbiamo trascorso due giorni in compagnia degli amici sia portoghesi che italiani, parlando di tanti argomenti e iniziando già a pensare a progetti e collaborazioni future. Siamo stati invitati, come tutti gli anni, al Mundialito dell’Arlecchino Portoghese che si svolge in Portogallo, sempre l’ultima settimana di ottobre all’interno della Mostra Internazionale do Atlantico. Siamo fermamente convinti che alla base di ogni rapporto ci debba essere reciproca stima e rispetto e con i dirigenti del Club CCAP, ed in particolare con il Presidente Tavares, c’è una amicizia di vecchia data. È stato infatti il primo giudice Portoghese che il nostro Club ha invitato alla prima mostra specialistica in Italia svoltasi a Calitri nel 2013, ed è stato giudice al primo Campionato Europeo dell’Arlecchino Portoghese in Italia che ha, inoltre, dato il via ad un’al-
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Per la prima volta in Italia hanno concorso più di trecento Arlecchini Portoghesi
Da sinistra: A. Tavares, M. D'Alo', B. Cardoso, M.Zampaglione e G. Portaro
Il Presidente F.O.I. Sposito con i membri del Comitato Organizzatore ed i vincitori N. e A. D'Angelo
tra collaborazione internazionale; mi riferisco a quella con il Club Canaris Arlequin Portugais de France (CCAPF).
Il vincitore del Miglior Arlecchino esposto ha ricevuto infatti una premiazione multipla: premiato dall’Organizzazione della Mostra, premiato con un trofeo speciale offerto dalla COM, premiato dal Club CICAP, dal Club CCAP e dal Club CCAPF.
Grandi eventi come questo servono a stringere e consolidare i rapporti di stima e amicizia tra allevatori di tante nazioni: aumenta il livello del confronto in gara, e ciò fa sempre crescere e migliorare sia come uomini che come allevatori.
Sulla scia della riuscita dell’evento appena ricordato, e con l’obbiettivo di poter dare a tutte le razze di posizione ed ai rispettivi Club di Specializzazione il giusto spazio ed un’eco internazionale, è stato deciso che quest’anno, a Salerno, in occasione della consueta mostra In-
ternazionale in programma dal 15 al 22 ottobre 2023, verrà celebrato per la prima volta in Italia il Campionato Europeo della Sez. E1 – FPL ed E2 - FPA. Verranno invitati a partecipare i Club di specializzazione riconosciuti dalla FOI, giudici di fama internazionale per le varie razze, saranno istituiti servizi di convoglio nazionale ed internazionale; si
prospetta un grande evento ornitologico che spero sia di stimolo per una rinascita dell’ornitologia specializzata in generale e che sproni gli allevatori a dedicarsi ad una produzione di novelli più limitata nel numero ma di migliore ed elevata qualità.
Auguro a tutti una buona stagione riproduttiva 2023.
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I Giudici C.O.M./O.M.J. Armindo Tavares e Bruno Cardoso durante le fasi del giudizio
Il diritto di sancire il bello ed il brutto
testo di SERGIO PALMA, foto F.O.I.
Quale sia il giudizio giusto BELLO o BRUTTO, sicuramente esso ha due condizioni imprescindibili; la soggettività e l’universalità. Come il concetto espresso da Isaac Newton,bisogna distinguere il mondo fisico, dove tutto è oggettivo e misurabile, dal mondo della percezione, dove invece tutto è soggettivo e non misurabile. Anche altre condizioni possono contribuire a ciò che deve essere un giudizio corretto, ma sono consequenziali o fondate su fondamentali tecnici ed esperienziali di qualità.
La prima condizione ritenuta necessaria per definire un giudizio corretto è che non sia essenzialmente soggettivo. Ciò significa che il giudizio corretto non si basa su una sensazione di piacere o disgusto. Esempi corretti di giudizio sono le espressioni di bellezza e bruttezza. I giudizi possono riguardare l’arte o la natura, questa intesa anche come rapporto tra persone, tra persone e animali, tra persone e piante.
A volte si formulano giudizi su basi induttive o sulla base dell’autorità: “io sono il Giudice”. Quest’ultima ipotesi non dovrebbe mai accadere perché la
soggettività non deve essere indotta da elementi esterni se non quelli di criteri stabiliti. La dottrina soggettivista ha bisogno di essere affinata ma non abbandonata; essa è sostanzialmente giusta ma tuttavia non è ovvio cosa pensare della soggettività, per questo si ha bisogno di un resoconto della natura e del piacere su cui basiamo i nostri giudizi.
Questo concetto non può essere perseguito indipendentemente dalle questioni realistiche, poiché il realismo, che preferiamo, è destinato a influenzare la nostra visione delle cose e del piacere che proviamo nel guardare parte della natura o un oggetto d’arte.
Cercare piacere in qualcosa che reputiamo bello non è una mera gratificazione sensoriale, come il piacere del
mangiare e del bere. A differenza di tali piaceri, il piacere della bellezza è causato da una rappresentazione non dei sensi ma di una esclusiva percettività.
Ciò significa che è un piacere ma non un desiderio: il piacere della bellezza è privo di desiderio, a differenza del mangiare o anche del desiderio sessuale. Cioè, il piacere non si basa sul desiderio, né lo produce da solo. Certamente possiamo affermare che dalla bellezza può nascere il desiderio, per esempio di possedere qualcosa che a nostro parere è bello, oppure può non derivarne alcun desiderio se la visione non influisce sul nostro sentimento dettato dalla bellezza. In questo senso, il piacere della bellezza è diverso da quello del gradevole, diverso da ciò che è piaciuto e diverso da ciò che è moralmente adatto.
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Bisogna distinguere il mondo fisico, dove tutto è oggettivo e misurabile, dal mondo della percezione, dove invece tutto è soggettivo
Quelli dei sensi sono piaceri “interessati”, perché legati a motivi sensoriali. Per cercare qualcosa di speciale nel godere della bellezza, dobbiamo spostare ancora una volta la nostra attenzione e considerare cosa c’è di speciale nel giudizio, vale a dire: se qualcuno dice che una cosa è bella, si aspetta lo stesso giudizio da parte degli altri, quindi giudica non solo per sé stesso ma anche per gli altri, come se quella bellezza avesse una proprietà universale; si potrebbe arrivare a dire che una cosa è bella senza pensare a possibili altri giudizi di soddisfazione e non perché li
trovi coerenti con il proprio pensiero, ma piuttosto perché si esige da loro lo stesso grado di giudizio, salvo accusare gli altri di aver espresso un giudizio errato solo perché diverso dal proprio. Questa cosa nega agli altri una eventuale conoscenza e non si può nemmeno dire: “Ognuno ha un suo gusto”. Ciò equivarrebbe a dire che non ci sono dettami tecnici, cioè nessun giudizio che possa far valere di diritto il consenso di altri.
In materia di bellezza, pensiamo che gli altri dovrebbero condividere il nostro giudizio. Ecco perché li incolpiamo se non lo fanno. È perché il giudizio ha una tale aspirazione alla validazione da parte degli altri che sembra come se la bellezza fosse qualcosa di insito nelle cose, si trovasse cioè, per dirlo con Newton, nel mondo fisico. Ora, se quanto detto sopra fosse utile per chiarire il giudizio corretto, allora non si sarebbe detto abbastanza. Rimane da rispondere ad una domanda centrale: perché pretendiamo che gli altri condividano il nostro giudizio? Tutti vorremmo che altri condividessero il nostro giudizio per diverse ragioni, ma soprattutto per sentirci grandi. Se dicessimo agli altri come giudicare, sarebbe come dire che la nostra scelta è la sola giusta, ma se anche lo fosse, quanto sarebbe giusta? Riformulando il pensiero su come si dovrebbe giudicare in maniera idonea e rifacendoci al vincolo dei criteri di giudizio nell’espressione più primitiva, questo pensiero sarebbe: “Alcuni sono conformi, altri no”. O forse, ancora più pacatamente: alcuni giudizi sono migliori di altri. Non pensiamo a qualcosa bella solo per me e che solo a me dia emozioni piacevoli. Certo, potremmo ben dire “Penso che questo sia il bello” perché desideriamo esprimere incertezza, ma quando giudichiamo con fiducia siamo certi che il nostro giudizio sia corretto e questo significa che il pensiero che ci pervade è che il giudizio discostante dal nostro non lo è. Dovremmo partire dal presupposto che non tutti i giudizi sono ugualmente appropriati. Ciascuno secondo la propria conoscenza applica i criteri dettati con la sua propria visione del bello e del brutto.
Certo, l’uomo si abitua, assuefacendosi a molte cose solo perché esse sono sempre a sua disposizione, come ciò che si ha in casa. Ci sono esperti del sapere capaci di definire cosa darà un certo tipo di accoppiamento, ma ciò che queste persone sanno è ciò che si avrà come risultato secondo la loro conoscenza (metodo empirico). Ma nel caso dei giudizi di bellezza, la correttezza è ostaggio di ciò che piace alla maggior parte delle persone addette ai lavori (giudici ed allevatori).
Nelle questioni di gusto non esiste “giusto e sbagliato” ma solo i loro parametri di comparazione possono definire se è “corretto o scorretto”. Pur affermando che la bellezza è “relativa”, molti esprimeranno lo stesso giudizio, con una preferenza individuale; tuttavia se stiamo dando un giudizio su com’è e non su come dovrebbe essere, allora non c’è modo di sottrarsi al fatto che la comparazione è una condizione necessaria nei giudizi. Nel nostro caso, la teoria comparativa non è al passo con la pratica, in particolare con la pratica relativistica che induce i preposti a dettare nozioni improprie sulla qualità dei soggetti a noi presentati. Si può quasi sempre cogliere il relativista nei giudizi in quanto agisce non relazionandosi allo standard. In secondo luogo, una cosa che spinge le persone a questo modo di operare è una connessione percepita con la tolleranza dei propri giudizi, perché se è tutto relativo e nessun giudizio è migliore di un altro, allora i relativisti emettono i propri giudizi al di là della tecnica ed al di fuori di ogni criterio. Solo coloro che pensano che ci sia un “giusto e sbagliato” nel giudizio possono ammettere con modestia di poter sbagliare. Senza il bello e brutto, non
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Nelle questioni di gusto non esiste “giusto e sbagliato” ma solo i loro parametri di comparazione possono definire se è “corretto o scorretto”
possiamo giungere alla perfezione. Quella che sembra un’ideologia della tolleranza è, in realtà, l’esatto contrario, perché ci porta ad accettare errori che nulla hanno a che fare con la buona fede ma solo con arroganza e supponenza.
Dobbiamo pensare, per spiegare l’idea di capacità tecnica, ad un impegno nella ricerca continua di un aggiornamento ed all’esistenza di una realtà mutevole. La concezione dell’esatto applicabile al giudizio potrebbe essere quella secondo cui solo il tipo di metodica e il metro debbano essere quelli descritti dai manuali, secondo i quali esiste un solo tipo di giudizio corretto e quindi tanti scorretti.
Se dispiegassimo le nozioni tecniche, potremmo esprimere l’idea dicendo che, se un giudizio è giusto, allora il suo opposto è sbagliato.
Data la comprensione dei criteri di giudizio (che si possono o non possono condividere), possiamo e dovremmo aggiungere alcune caratteristiche personali del modo di operare, che pure sono importanti; questo è attribuibile all’indipendenza della mente. Tale indipendenza può essere accettata fino ad un certo punto, cioè fino a che, contravvenendo ai dettami degli standard, è bello ciò che in verità è l’opposto. Questo si può esprimere in termini quali: “Non è vero che se penso che un soggetto è bello, allora lo è”. Ad esempio, la maggior parte di noi pensa che i nostri giudizi migliorino con il passare degli anni; riteniamo che la nostra capacità di esprimere giudizi sia migliore rispetto alla giovane età. Invece dobbiamo pensare che è solo la nostra mente che ci induce a pensare questo, non è la verità.
Dobbiamo pensare che se una cosa è bella non dipende da cosa ne pensiamo, ma dipende dalle sue caratteristiche apparenti ed estrinsecate durante il giudizio; e possiamo ugualmente dire che i giudizi corretti sono indipendenti dai nostri pensieri ma solo verità tecnica. Tali affermazioni presuppongono la validità di una tesi di dipendenza dai dettami tecnici.
Se ci manca quello che serve per apprezzare una certa bellezza, allora non si può pretendere di dare dei giudizi
giusti. Se i giudizi fossero basati su piaceri o dispiaceri, allora la pretesa di correttezza sarebbe fraudolenta. La domanda è: la conoscenza contemporanea di ciò che si deve giudicare è arbitraria? Cos’è che distingue i vari giudizi? Ed ancora, in cosa differiscono tra di loro?
Il giudizio deve essere obiettivo L’obiettività è una qualità che può essere difficile da praticare: l’essere umano tende a formulare un criterio personale per ciò che considera giusto o sbagliato avendo alla base sue proprie esperienze e percezioni sinottiche. L’obiettività ha l’ambizione di ergersi a significato di verità e correttezza trovando applicazione anche nella nostra attività di giudici. Ciò consente di esprimere giudizi in maniera neutra ed in linea con una moltitudine di persone, pertanto è una caratteristica essenziale per tutti i punteggi attribuiti ai vari soggetti durante le fasi di giudizio. Andrebbe applicata l’obiettività in tutte le nostre mansioni, tralasciando le posizioni personali e soggettive, che devono essere disgiunte, in modo da non influenzare un giudizio o anche un solo commento. La conoscenza e l’obiettività generano calma e tranquillità, che sono armi ausiliarie ma mai secondarie per esprimere la propria opinione al meglio. Alcuni sinonimi di obiettività sono neutralità, correttezza e onestà.
L’oggettivismo si basa su fatti riscontrabili e verificabili, che portano ad emettere giudizi, anche se non esatti, quantomeno imparziali; mentre la soggettività si riferisce all’attore principale, il quale è influenzabile da sentimenti, desideri ed esperienze pregresse, che possono anche solo essere il contatto giornaliero con soggetti non identificabili con lo standard della razza che si sta giudicando. L’obiettività si limita a far conoscere un risultato, una descrizione, basandosi su regole e nozioni uguali per una moltitudine e difficilmente variabili. Il nostro compito non è discriminare il bello dal brutto ma attribuire, secondo indicazioni precise e derivanti dai criteri di giudizio, un punteggio.
Conoscenza certa
L’epistemologia, o conoscenza certa delle cose, si occupa di valutare le circostanze, l’origine e la validità attraverso le quali l’essere umano acquisisce conoscenza. È correlata al termine “obiettività” perché stabilisce che un individuo è a conoscenza della realtà e noi conosceremo la realtà solo attraverso una preparazione tecnica continua che non ci deve mai far adagiare su glorie passate. Lo scritto è fatto per essere letto; più volte si leggono le regole e i dettami scritti, più si diventa padroni delle regole per poi poterle applicare al meglio.
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Un sogno diventato realtà
testo e foto di GIUSEPPE ALBERGO
Cari Amici, il 7 luglio 2022 ho coronato un sogno: insieme alle persone a me più care abbiamo fatto nascere l’Associazione Piccoli Appassionati di Canarini.
La nostra Associazione ha solo un intento, cioè quello di contagiare e trasmettere a tutti la nostra passione. Con il patrocinio e l’aiuto di mamma FOI, la nostra associazione entra nelle strutture di vario tipo: centri per anziani, per famiglie, per bambini con difficoltà, portando momenti di serenità, insegnando a prendersi cura di un canarino e a trarre beneficio dalla sua compagnia.
Io, Giuseppe Albergo, in qualità di Presidente ho voluto fortemente creare questa associazione in seguito alle tante esperienze che molti amici mi hanno raccontato durante il periodo di lockdown
Anziani che grazie ad un canarino hanno avuto la possibilità di dedicarsi ad un esserino non sentendosi più soli, bambini che allo stesso modo hanno spostato la loro attenzione dai soliti smartphone alla cura di un animale.
Con l’aiuto di esperti, psicologi, educatori, assistenti, realizziamo laboratori di DIDATTICA PET con finalità anche terapeutiche. Con i bambini si tratta di un percorso didattico alternativo che insegna il rispetto delle regole e quello verso tutte le creature viventi.
Gli animali possono così rappresentare un canale di scambio affettivo e uno stimolo alla comunicazione.
Tutto ciò favorisce una presa di coscienza delle proprie emozioni, favorisce l’autostima, la concentrazione, l’attenzione, l’interazione sociale.
Gli anziani allo stesso modo beneficiano di uno scambio d’amore che a volte viene a mancare.
Per quanto riguarda le persone con difficoltà, con la nostra presenza vivono contestualmente momenti di svago e allegria. Quello che riusciamo a trasmettere loro è nulla rispetto a quello che riceviamo in cambio.
Un semplice sorriso, uno sguardo felice, una carezza, sono la migliore ricompensa che si possa ricevere ed è la carica che ci incoraggia ad andare avanti.
Ringraziamo sentitamente le centinaia di persone che hanno contribuito a sostenerci e tutti coloro che vorranno entrare a far parte della nostra famiglia!
Contatti: tel. 3403039199 - mail: giusalbergo@libero.it
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CRONACA
La nostra Associazione ha solo un intento, cioè quello di contagiare e trasmettere a tutti la nostra passione
Attività F.O.I.
Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale del 21 e 22 Ottobre 2022
(La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali)
- Il CDF, con riferimento ai procedimenti disciplinari aperti nei confronti dei tesserati … omissis… osserva che:
-La missiva inviata ai sigg. Giammona Gaspare e Farris Francesco è stata restituita al mittente a causa della carenza di un requisito formale: delle stesse si dispone un nuovo invio al fine della corretta formalizzazione del procedimento e prima di assumere ogni provvedimento;
-Le missive inviate ai signori Aiello, Atzeni, Deiana, Lo Bello e Lo Sardo, pur risultando regolarmente recapitate, non hanno avuto esito alcuno;
-La missiva inviata al signor Gaviano Samuele veniva esitata con lettera dell’avv. Marco Porcu di Cagliari, il contenuto della quale non è apparso ricorrente in quanto il procedimento disciplinare è stato attivato su deliberazioni del CDF estremamente puntuali quanto alle motivazioni addotte a suffragio, tutte rese oggetto di pubblicazione;
-Le missive inviate dai signori Vella e Lo Bue parimenti non contengono argomentazioni da potersi considerare quali esimenti rispetto alla condotta loro contestata;
Alla stregua delle osservazioni di cui innanzi il CDF delibera, ai sensi dell’art. 16 del Regolamento Organico, di comminare ai signori
69SL AIELLO ELISEO
MS51 ATZENI ANDREA
NP26 DEIANA SALVATORE
28XN GAVIANO SAMUELE
1EEC LO BELLO GIUSEPPE
1VBB LO BUE ANTONINO
25FF LO SARDO GIUSEPPE
22ML VELLA LEONARDO
il provvedimento disciplinare della sospensione per mesi quattro a decorrere dal 22 ottobre 2022 fino al 21 febbraio 2023, ritenendo in tal modo computato anche il periodo di inibizione. Avverte i destinatari del presente provvedimento disciplinare che, in caso di ulteriore recidiva afferente la violazione dell’art. 11 del Regolamento Organico, sarà attivato il procedimento di cui al successivo art. 17.
Con riferimento al procedimento disciplinare aperto nei confronti del signor Pullì Domenico il CDF, in considerazione della lettera di scuse e di ravvedimento fatta pervenire alla Segreteria Federale ed alla pubblicazione sui canali social di post e video messaggi confermativi dell’abiura del proprio comportamento, dispone la derubricazione del titolo sanzionatorio da art. 17 Regolamento Organico ad art. 16 stesso Regolamento e commina al predetto tesserato il provvedimento disciplinare della sospensione per mesi sei a decorrere dal 22 ottobre 2022 fino al 21 aprile 2023, ritenendo in tal modo computato anche il periodo di inibizione. Avverte il destinatario del presente provvedimento disciplinare che, in caso di recidiva, sarà attivato il procedimento di cui all’art. 17 del regolamento Organico.
-Il CDF, prendendo spunto dalla proposta pervenuta dal giudice Nicola Giordano, istituisce un progetto editoriale dedicato alla sezione dei
canarini di forma e posizione lisci. Affida il coordinamento del progetto al Consigliere Francesco Badalamenti il quale curerà di coinvolgere allevatori, giudici, Presidente di Collegio di Specializzazione, Commissione Tecnica Nazionale e Club di Specializzazione che riterrà particolarmente esperti nelle singole razze oggetto di attenzione. Il progetto dovrà culminare nella pubblicazione di un compendio con connotazione di carattere enciclopedico, contenente immagini e fotografie relativamente alle quali il CDF si riserva di individuare un professionista del settore.
-Il CDF, a seguito richiesta mail del 30 agosto 2022 pervenuta dall’Associazione Fiorentina Ornitologica, ottenuto il parere favorevole da parte del Raggruppamento Toscana, delibera l’erogazione di un contributo di euro 350,00, per l’attuazione del Meeting Ornitologico “Il Canarino Siamese” attualmente denominato Perla, al quale hanno aderito autorevoli personalità del mondo ornitologico per un confronto dell’inquadramento genetico, prospettive, divulgazione ed aggiornamento.
-Il CDF, a seguito richiesta mail del 5 settembre 2022 pervenuta dall’Associazione Ornitologica Apuana, ottenuto il parere favorevole da parte del Raggruppamento Toscana, delibera l’erogazione di un contributo di euro 350,00, per l’organizzazione del Convegno “criticità dell’allevamento ornitologico: ambiente e alimentazione”, curato dal Dott. Iemmi e dalla Dott.ssa Zanardi nell’ambito del 36° Campionato Regionale Toscano.
-Il CDF, relativamente alla mostra di Valconca 2022, Fringillia e Ibridia, che si terrà dal 3 al 6 novembre a Morciano di Romagna, ottenuto il parere favorevole da parte del Raggruppamento Emilia Romagna, autorizza l’esposizione di soggetti fuori concorso, in classe sperimentale ai fini di consentire lo studio su uccelli aventi caratteristiche fenotipiche particolari, di accertata rarità ovvero connotate da mutazioni genetiche nuove. Tali soggetti potranno recare anello con codice RNA diverso da quello dell’espositore purchè appartenenti a federazioni facenti parti della COM. Gli esiti degli approfondimenti effettuati andranno relazionati a cura della competente CTN e corroborati da contributi ed articoli da pubblicare sulla rivista istituzionale. Concede per tale iniziativa all’associazione AAA di Rimini un contributo di euro 350,00.
-Il CDF, dopo aver ottenuto parere conforme da parte del Rag gruppamento Sicilia, in accoglimento della richiesta pervenuta con mail del 31 agosto 2022, concede alla A.O. Ragusana un contributo di euro 350,00, per l’attuazione del progetto divulgativo che sarà tenuto in occasione della mostra dal 15 al 20 novembre 2022, con la partecipazione della Associazione “Passione Pappagalli Free Flight” che farà una dimostrazione di volo libero di pappagalli a cui saranno invitati ad assistere scolaresche e associazioni di inclusione per persone diversamente abili.
-Il CDF, nel prendere atto della segnalazione pervenuta dall’Ass. Ornitologica Trinacria in data 08/09/2022, dichiara la decadenza del sig. Ninfosi Angelo dalla qualità di tesserato nel contempo disponendone
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Attività F.O.I.
la cancellazione dal relativo elenco e inibendo la partecipazione dello stesso a tutte le manifestazioni in calendario per la corrente stagione mostre.
-Il CDF, letta la relazione del presidente del Raggruppamento Lazio, conferisce mandato all’avv. Francesco Saverio Dalba di porre in essere tutte le attività volte ad ottenere dalla Banca Nazionale del Lavoro, Filiale di Monterotondo (RM), il rimborso della giacenza sul conto corrente intestato al compianto Domenico Lattanzi, già segretario del ROL sul quale risultano accreditati i contributi esclusivamente provenienti dalla FOI e dal precedente segretario Andrea Ranaldi. Il Consiglio Direttivo del Raggruppamento è autorizzato ad assumere contatti diretti con il legale nominato al fine di porre a sua cognizione gli elementi documentali utili alla gestione della pratica.
-Il CDF, esaminata la proposta commerciale AppFOI pervenuta da Federeventi Caltanissetta, ritiene di non essere nelle condizioni di valutarla nel merito in quanto il costo richiesto per la sua attuazione è totalmente fuori budget rispetto alle quadrature di bilancio della Federazione.
-Il CDF, con riferimento alla richiesta di carattere consultivo avanzata dal tesserato Francesco Nonni (cod. RNA 33HT) di fondare il Club Italiano Allevatori Psittacula, secondo le specifiche in essa contenute, rimette gli atti al Direttivo dei Club di Specializzazione ed alla Commissione Tecnica Nazionale O&aP per l’emissione dei pareri di rispettiva competenza, non senza osservare che la denominazione deve contenere unicamente l’indicazione della specie, della razza o della mutazione. Il Consigliere Francesco Badalamenti, recepiti i predetti pareri, relazionerà in argomento in occasione della prossima riunione del CDF.
Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale del 9 e 10 Dicembre 2022
(La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali)
-Il CDF dà atto di aver compiuto attività ispettiva con data certa in ordine alla iscrizione dei seguenti tesserati ad altra Federazione per l’anno 2022 in violazione dell’art. 11 del Regolamento Organico della FOI
AIELLO ELISEO (RNA 69SL)
ATZENI ANDREA (RNA MS51)
DEIANA SALVATORE (RNA NP26)
FARRIS FRANCESCO (RNA NX99)
GAVIANO SAMUELE (RNA 28XN)
GIAMMONA GASPARE (RNA 3MBB)
LO BELLO GIUSEPPE (RNA 1EEC)
LO BUE ANTONINO (RNA 1VBB)
LO SARDO GIUSEPPE (RNA 25FF)
VELLA LEONARDO (RNA 22ML)
D’ANGELO MICHELE (RNA 3PFP)
FICANO ORLANDO FEDERICO (RNA 7CMM)
MUSTACCHIA ELIA ENTONI (RNA 5WFF)
PIRAS PASQUALE (RNA 83VU)
VACCARO TOMMASO (RNA 9SNS)
VITALE EMANUELE (RNA 8SNS)
Permanendo tale condizione il CDF ne delibera la decadenza, nel contempo disponendo la cancellazione dei medesimi dall’elenco dei tesserati.
-Il CDF, a seguito richiesta mail del 7 novembre 2022 pervenuta dalle associazioni A.O. Ghigi Aps ed A.O. Enamus Aps, relativa alla tenuta di un simposio dal titolo: “Immunodeficienze aviarie: diagnosi e rimedi” nell’ambito della Mostra Ornitologica Expo-orni in programma dal 16 al 20 novembre 2022, ottenuto il parere favorevole del Raggruppamento Campania, delibera l’erogazione di un contributo di euro 350,00.
-Il CDF, relativamente all’atto di diffida ricevuto dal presidente del CABS in ordine alla necessità di garantire il requisito legale di inamovibilità di alcune tipologie di anelli, ritenendo la stessa priva di qualsivoglia pregio logico-giuridico, delibera di conferire incarico all’avv. Francesco Saverio Dalba di inviare risposta di salvaguardia dei principi statutari della FOI.
Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale del 7 Gennaio 2023
(La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali)
-Rientro in FOI di tesserati provenienti da altre sedicenti Federazioni, linee guida;
A seguito di richieste di tesseramento pervenute in FOI da parte di iscritti ad altra sedicente federazione, il Presidente Sposito, delegato dal CDF alla gestione di tale attività, valuterà ogni singolo caso anche in considerazione del comportamento assunto da ognuno di essi nei confronti della FOI e dei suoi dirigenti. Solo all’esito della definitiva determinazione del Presidente la Segreteria FOI potrà accettare le richieste di
tesseramento che comunque dovranno essere inoltrate per il tramite di Associazioni federate. Anche qualora il tesseramento fosse autorizzato, lo stesso potrà ritenersi efficace unicamente nel caso in cui sarà dimostrato che il richiedente abbia interrotto definitivamente ogni rapporto con altra Federazione in applicazione dell’art. 11 del Regolamento Organico. In caso di recidiva il tesserato sarà dichiarato definitivamente decaduto senza alcuna ulteriore possibilità di reinserimento. Tutti coloro che rientreranno richiedendo l’iscrizione alla FOI non potranno avere né conservare ruoli federali di nessun genere precedentemente ricoperti.
64 NUMERO 2 - 2023