XLIX numero 5 2023
ANNO
Canarini di Forma e Posizione Lisci Lo “spicchio di luna”
Estrildidi Fringillidi e Ibridi Il Tordo del Malabar
Ondulati ed altri Psittaciformi Il piumaggio dei pappagalli
Canarini di Colore Errori, correzioni e discussioni
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In copertina: Norwich brinato (Serinus canaria)
Foto: PHILIPPE ROCHER
sommario Non dimentichiamo l’aspetto sentimentale Giovanni Canali 3 Stamm in Armonia Mimmo Alfonzetti 5 Lo “spicchio di luna” Camillo Napolitano 11 Il Tordo del Malabar Piercarlo Rossi 15 Il piumaggio dei pappagalli nel periodo riproduttivo Rafael Zamora Padrón 19 Suggerimenti psico-educativi Francesco Di Giorgio 21 Il falso lino (Camelina sativa) Pierluigi Mengacci 23 Photo Show Le foto scattate dagli allevatori 28 Errori, correzioni e discussioni Giovanni Canali 29 La Torba acida di sfagno Luca Gorreri 35 Spazio Club Club degli Psittacidi 39 OrniFlash News al volo dal web e non solo 40 Figli di un Dio minore Pasquale Leone 41 Nascita degli Standard e tipi di allevamento Sergio Palma 47 Divulgazione, che emozione! Rosa Meola 51 Recensioni - novità editoriali Francesco Badalamenti 53 L’obiettivo Florian Bock, traduzione Giorgio Perugini 55 La garzaia di Sartirana (PV) Roberto Basso 59 Il “Salone dei Fringillidi” Pier Luigi Pellegrino, Diego Naccarato e Francesco Lanzillotta 57 Canarini di Forma e Posizione Lisci Estrildidi Fringillidi e Ibridi Ondulati ed altri Psittaciformi Canarini di Colore 11 15 19 29 Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 5 - 2023 è stato licenziato per la stampa il 29/5/2023
ANNO XLIX NUMERO 5 2023
Non dimentichiamo l’aspetto sentimentale
di G IOVANNI CANALI
Spesso nei nostri approfondimenti in campo ornitologico, siamo portati a considerare solo gli aspetti scientifici o tecnici, talora dimenticando aspetti romantici o sentimentali. Non starò certo a dire che gli aspetti sentimentali siano importanti come quelli scientifici o tecnici, tuttavia non trascurabili, almeno a mio avviso.
Negli uccelli ci sono tanti temi da considerare: morfologia, anatomia, fisiologia, genetica, sistematica, ecologia, etologia, ma consentitemi di mettere, sia pure all’ultimo posto, aspetti estetici in quanto tali e considerazioni sentimentali, legati anche a tradizioni o a qualche trasporto affettivo.
Certo tante leggende sono puramente inventate, ma fanno parte della nostra cultura e certe delicatezze che pure cogliamo ci colpiscono. Ammettiamolo senza imbarazzo, anche se l’importante è mantenere la valutazione corretta.
Per spiegarmi cito un paio di esempi che mi hanno colpito. Decenni or sono, mia figlia, quando frequentava le elementari, mi chiese di aiutarla in una ricerca. Agli scolari era stata assegnata appunto una ricerca su di una specie ornitica, diversa per ciascuno, una sorta di gara. Si sa che le ricerche fatte a casa non le fanno i bambini ma i famigliari; infatti la loro utilità è molto relativa, ma tant’è.
A mia figlia toccava il balestruccio. All’epoca non c’era ancora internet diffusa come oggi e così mi misi al lavoro sfruttando la mia biblioteca, in effetti già molto ricca.
Feci un ottimo lavoro, considerai tutti gli aspetti scientifici, feci anche paragoni con specie affini, insomma se avessi potuto aggiungere osservazioni personali penso che lo scritto sarebbe andato bene anche per Italia Ornitologica. Così ero abbastanza ottimista sulla vittoria. Dopo alcuni giorni, mia figlia tornò da scuola sogghignando alquanto. Non avevamo vinto, eravamo arrivati secondi. Ammetto di esserci rimasto un poco male e di essere stato anche abbastanza stupito e le chiesi chi diavolo mi avesse battuto. Ebbene venni a sapere che ero stato battuto dalla nonna di un’altra bambina, insegnante a riposo, la quale doveva avere un’ottima biblioteca. Le rivali avevano avuto assegnato l’airone cenerino; il lavoro della nonna in questione era analogo al mio, per i vari aspetti scientifici; la differenza,
che ha fatto la differenza, è il caso di dirlo, era data dal fatto che la furba nonnina aveva immaginato un incontro fra la nipotina ed un airone. Pertanto, dopo il lavoro analogo al mio, si era inventata ed aveva aggiunto pensieri delicati sulla particolarità della specie e sogni vari della sua nipotina, che fantasticava sollecitata dalla vista in effetti suggestiva dell’airone. Accidenti, non avrei fatto certo fatica a fare una sbrodolata romantica sulla rondinella che tornava al nido, dopo aver superato deserto e mare! Avrei potuto fare analogie (scientificamente inopportune) con l’uomo esule, dal tormento non mitigabile dal tempo, o magari pure con Ulisse che torna ad Itaca ecc... Il fatto è che la circostanza non mi era neppure passata per la mente. Del resto poi non avrei potuto omettere di dire che per il balestruccio si trattava d’istinto e non di altro, smorzando l’effetto.
Il secondo episodio, che penso di aver già citato da qualche parte, l’ho avuto quando, in visita ai mosaici di Ravenna udii l’accompagnatore di un gruppo di turisti che, di fronte ad un mosaico che rappresentava un volo di uccelli, diceva che erano gli animali più adatti a glorificare Dio, in quanto gli unici belli, in grado di volare ed in grado di cantare. Non facevo parte del suo gruppo e non potei chiedergli se fosse una frase sua o di qualche autore. Tuttavia l’ho memorizzata poiché, indipendentemente dalle convinzioni religiose che si possono avere, mi sembra suggestiva.
Faccio quasi fatica a dirlo, ma ritengo non ci si debba sentire troppo imbarazzati da aspetti di tenerezza verso i nostri beniamini. Specialmente quando ci rapportiamo con gli altri. Per spiegare il nostro hobby ai profani, cosa non facile e sempre parziale, ricordare gli aspetti di cui sopra aiuta. Quando accade, l’esito è quasi sempre buono. Anche qui mi torna alla mente un episodio: quando mi capitò di accompagnare una troupe televisiva in visita al nostro museo, mi si chiese di descrivere in breve il contenuto di alcune bacheche, cosa che feci pare bene; ad un certo punto mi si chiese anche un aneddoto, che certo non poteva essere scientifico. Ebbene, visto che ero davanti alla bacheca dove era contenuta la cicogna, citai la favoletta secondo la quale portasse i bambini. Aggiungendo che
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da piccolissimo mi ero affezionato all’idea della cicogna che mi aveva portato e quando mia mamma scherzosamente, in seguito a mie birichinate ed agitazioni, diceva che se l’avesse ritrovata le avrebbe tirato il collo, mi indignavo alquanto. Una bagatella che fu ritenuta abbastanza divertente. Vi sono tutta una serie di favole e leggende più o meno suggestive che coinvolgono gli uccelli. Mi sovviene la volpe adulatrice che fa cadere il formaggio dal becco del corvo ed anche qualcosa di più corposo, come l’araba fenice che risorge dalle sue ceneri. Mi sovvengono anche aspetti religiosi o pseudo tali, come la predica agli uccelli ripresa anche in un film di Pasolini o gli uccellini che estirpano una spina dalla corona di spine di Cristo, portandone un ricordo fisico: come la macchia rossa del pettirosso, che fra l’altro non è rossa ma arancio o il becco incrociato del crociere, che non ha in realtà nulla di religioso, ma attiene alla particolare alimentazione del medesimo. Più pregnante l’immagine del pellicano che nutre i suoi figli con il suo sangue e sue le viscere, collegata all’eucarestia. Vi sono poi diverse immagini di uccelli nell’arte magistralmente descritte da Mortaruolo ed altri sulla nostra rivista.
Quando si comunica con persone estranee al nostro ambiente, secondo me, è bene non limitarsi a parlare di argomenti concreti pure importantissimi, come il fatto che l’allevamento è un baluardo contro l’estinzione e consente studi non possibili in natura; ritengo che si possano fare concessioni anche sen-
timentali. Qui c’è l’imbarazzo della scelta, ciascuno valuti e si esprima secondo le sue corde: il canto, i colori, gli ornamenti, l’allevamento con imbeccata dei piccoli ecc...
Anni or sono, nel quadro FOI scuola, mi sono reso ridicolo ma efficace, alzandomi sulle punte per spiegare come uomini ed orsi siano plantigradi, mentre cavalli ed uccelli digitigradi. Efficace è anche ricordare che quando diciamo di mangiare la coscia del pollo o di altro pennuto, in realtà mangiamo il polpaccio, poiché la vera coscia è sopra, il cosiddetto “sopra coscia”, che invece è proprio coscia. Questi non sono aspetti sentimentali, tuttavia consigliabili per l’efficacia. Magari diventa affettuoso o quantomeno gentile lo sforzo di rendere non pedante un insegnamento, specie verso dei bambini.
Tornando ai sentimenti, non sarebbe opportuno che un allevatore si affezionasse troppo ad un singolo soggetto. Tuttavia, se accadesse è bene non imbarazzarsi e confessarlo come una piccola debolezza. L’importante è non fare differenze di trattamento; quando le foglie di radicchio non bastano, si taglino per il lungo, senza fare gola a nessuno.
Una conclusione molto personale: evito stirpi ove le selezioni comportano aspetti contrari alla funzionalità o all’equilibrio, parlo di quelle eccessive. Ho anche rinunciato ad una linea selettiva, nella quale ottenevo ottimi risultati, perché non sopportavo la discriminazione che la maggior parte delle femmine faceva verso i puri nei nidi misti. Ammetto di avere una sensibilità, che è parente dell’aspetto sentimentale.
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Totò e Ninetto Davoli in una scena del film “Uccellacci e uccellini” (1966) di Pier Paolo Pasolini, fonte: www.statoquotidiano.it/
Stamm in Armonia
di MIMMO ALFONZETTI, foto M. Alfonzetti e F.O.I.
Premessa
- Mimmo hai un attimo? – è il collega giudice del tavolo vicino – dobbiamo fare il primo degli stamm che abbiamo guardato. È la frase con la quale il collega mi invita a condividere il giudizio finale per determinare il vincitore di una schiera di stamm. La location è una mostra internazionale.
Invito opportuno ed appropriato che noi giudici, sempre, rivolgiamo ai colleghi vicini di tavolo per determinare il vincitore in una mostra ornitologica, nel rispetto del detto “quattro occhi meglio di due”. Sistemiamo alla ben meglio sul tavolo di giudizio (quasi sempre di superficie insufficiente, ahimè…) le gabbie di quattro stamm che, in equilibrio instabile, cercano di mostrarci il meglio delle loro qualità. Concordiamo sul primo, secondo e terzo e lascio che il collega, criteri di giudizio alla mano, proceda alla stesura delle schede di giudizio.
- Che punteggio ha fatto il primo? –chiedo. - 368 il primo, 364 il secondo, 362 il terzo. Ma il terzo ha quattro 89 e quindi con 6 punti di armonia va sul podio.
A fine mostra, durante il pranzo conviviale si discute proprio su questa discrasia, di come sia possibile che uno stamm dove nessun soggetto raggiunga i fatidici 90 punti (punteggio minimo per diventare campioni) possa salire sul podio e forse, in mostre con ingabbi numericamente modesti, diventare addirittura campione. – È l’armonia che pregiudica tutto, bisognerebbe correggerla! – affermano quasi tutti i presenti.
La digressione successiva ha la presunzione di fare il punto sulla modalità di attribuzione del punteggio di armonia negli stamm come stabilito dai nostri “Criteri di giudizio dei canarini di colore”
I nostri Criteri di Giudizio sono stati tra i primi al mondo ad essere assemblati intorno agli anni 60
I criteri
di giudizio
Un po’ di storia sui nostri Criteri di Giudizio dei Canarini di Colore è opportuna. Sono stati tra i primi al mondo ad essere assemblati intorno agli anni 60. Era il tempo in cui i nostri canarini erano chiamati “Harzer colorati” e non era ancora concepita la distinzione fra tipo, categoria e varietà. I canarini brinati venivano chiamati “schimmel” (muffati), se rossi “salmonati”. Esisteva un unico considerando denominato
“Colore” per il quale il giudice aveva a disposizione 50 punti che venivano interpretati in modo alquanto personale. Era necessario avere una normativa che regolamentasse l’attività dei Giudici durante il giudizio in tutte le manifestazioni ornitologiche. Soltanto nel 1967 furono ufficializzate alcune pubblicazioni della FOI ad opera del “Gruppo di specializzazione razza Sassone” (precursore della moderna CTN del Colore) con la pubblicazione dei primi “Criteri di giudizio dei canarini sassoni” stampato a Messina. Onore al merito degli ornicoltori italiani e vorrei ricordare due grandi: il prof. Catapano (un calabrese) e l’ing. Chillè (un siciliano) che hanno fornito le basi di questi Criteri di Giudizio che, senza retorica, sono da considerare la pietra miliare della moderna canaricoltura italiana. Tali criteri davano forma e contenuto alla diversità tra Lipocromici e Melaninici, alla descrizione delle varie
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Fasi di Giudizio, foto F.O.I.
mutazioni fino all’ultima riconosciuta (a quei tempi), l’Opale.
Ad onore del vero la nostra FOI, a differenza di altre federazioni, ha sempre
cercato di darsi regole e norme precise. Basti ricordare che soltanto da pochissimi anni i giudizi della COM, che erano delle semplici descrizioni, hanno assunto una stesura analitica del tutto simile a quelli italiani, merito dell’instancabile lavoro di un altro italiano, (R. Rossi - 2006); i nostri criteri, invece, hanno festeggiato le nozze d’oro.
zione della FOI è stata spesso considerata come uno schiacciasassi che lascia tutto alle spalle e talvolta dimentica gli artefici della sua vita, degli uomini che, spinti da una assoluta passione e senza alcun interesse, sono stati artefici della sua attuale grandezza.
Non esistevano ancora le Commissioni Tecniche nazionali e la pubblicazione era sotto l’egida del “gruppo di specializzazione razza sassone” il cui comitato esecutivo era formato da 7 membri fra i quali potevano essere eletti anche allevatori di provata esperienza e competenza
A cavallo degli anni 70, l’avvento di nuove mutazioni come i “Pastello ala grigia”, “Rubino” (ora Phaeo), “Satiné” e “Mosaico a fattore giallo” rendeva non più procrastinabile l’aggiornamento degli originari criteri di giudizio. Nel 1973 vennero sostituiti gli originari Comitati esecutivi dei gruppi di specializzazione con nuovi organi denominati “Commissioni Tecniche Nazionali”. Dopo meno di un anno (1975) la commissione tecnica del colore curò la stampa della seconda edizione del libretto dei criteri di giudizio, dando vita al mitico e famoso “libretto blu”. Oltre alle nuove mutazioni apparse, furono regolamentati i considerando Piumaggio, Forma, Portamento e Impressioni; furono aggiunti i motivi di squalifica dei soggetti in gara. È stato la Bibbia di noi giudici e la fonte di tutti i successivi criteri. È bene ricordare la nostra storia perché l’evolu-
L’avvento della mutazione “Topazio” e la classificazione degli “R1” resero necessari degli aggiornamenti e, dopo ben 17 anni, fu mandato in pensione il libretto blu - guida tecnica di una intera generazione di Giudici, procedendo alla redazione della terza edizione.
Nel 2002 le nuove mutazioni “Eumo” e “Onice”, il cambiamento della denominazione dei canarini di colore, la metodologia per l’attribuzione del punteggio di armonia degli stamm, resero indispensabile la pubblicazione di una quarta edizione. In questa edizione, della quale mi pregio di aver collaborato come membro della CTN di colore, è rilevante il paragrafo sulle “Interferenze” tra tipo, varietà e categoria (particolarmente curato da G. Canali) al fine di limitare quelle differenze nel giudizio che possano pregiudizialmente trovare vantaggi o svantaggi. Ma questa edizione cambiò in maniera sostanziale la metodologia del giudizio. L’approccio fu diverso perché i difetti, prima algebricamente quantizzati, non erano più considerati come fonte di penalizzazione; il giudice non doveva più sottrarli al totale dei considerando, ma la loro descrizione serviva a individuare l’espressione più appropriata tra i considerando al fine di attribuire il giusto punteggio. Anche la denominazione dei tipi fu rivoluzionata, perché nella descrizione la designazione del tipo precedeva la mutazione aggiunta (es. Agata Pastello Mosaico Rosso e non Pastello Agata Rosso mosaico) introducendo, a mio avviso, una terminologia a volte contraddittoria come “Nero Bianco” che sostituiva il termine Ardesia, abbandonando così quella meravigliosa corrispondenza tra le mutazioni del canarino e le pietre nobili (Agata, opale, topazio, rubino...)
L’ultima edizione (la sesta) con i relativi aggiornamenti risale al 2017.
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Fig. 1 - Pubblicato a Messina nel 1967.
Fig. 2 - Pubblicato nel 1975 dalla 1a “Commissione Tecnica Nazionale Canarini di colore”
Fig. 3 - Pubblicati nel 1992 rivoluzionarono la denominazione dei canarini di colore che a tutt’oggi viene utilizzata
Struttura dei criteri di giudizio I criteri di giudizio vengono redatti al fine di consentire la riduzione della soggettività dei giudici durante il giudizio nelle manifestazioni ornitologiche, facendo ricorso a percorsi logici che ne favoriscono “l’uniformità di giudizio”. In sintesi, l’uniformità dovrebbe garantire l’identicità del punteggio finale del canarino qualunque sia il giudice della specializzazione e la ripetibilità del medesimo punteggio in qualunque mostra.
Per tale motivo, i criteri hanno un approccio analitico che si traduce in un punteggio matematico che racchiude un risultato numerico non modificabile. Sono in netta contrapposizione con la metodologia, ad esempio, usata nelle esposizioni canine. In queste manifestazioni di carattere cinotecnico i giudici valutano le caratteristiche morfofunzionali di ogni cane e, in base alle proprie competenze, alla propria esperienza, allo standard di razza, conferiscono una categoria di appartenza (eccellente, buono, insufficiente…), ma possono anche assegnare certificazioni di prestigio (CAC, BOB, BIS…). Il tutto avviene d’un tratto in maniera molto sintetica.
I criteri di giudizio dei canarini di colore, invece, sono strutturati ed organizzati su 7 considerando che, attraverso una percentuale, modificano il peso del giudizio finale il cui valore massimo è fissato a 100. Se facciamo riferimento, come esempio, ai criteri dei canarini melaninici, il considerando Tipo dispone di un punteggio massimo di 30 punti e quindi il considerando Tipo va a condizionare il 30% del punteggio finale. Similmente la Varietà il 10%, la Categoria il 15% ecc. Quindi la massima importanza è attribuita al considerando Tipo.
Il giudizio dei canarini di colore, pertanto, riguarda in modo sostanziale due dividersi aspetti: quello che si interessa della purezza del colore e il suo estrinsecarsi sul piumaggio, e quello legato alla morfologia e quindi all’aspetto esteriore del canarino. Le voci dello standard relativo al tipo, varietà e categoria ci permettono di valutare quantità, qualità e distribuzione dei pigmenti e si correlano quindi al primo
aspetto; le voci piumaggio, proporzioni, portamento ed impressioni, invece, inquadrano il canarino dal lato strettamente espositivo e possono quindi essere associati al secondo aspetto.
Qualora l’esposizione si concretizza in uno stamm, viene indicato un ulteriore punteggio: l’armonia di stamm, che valuta l’equilibrio e la concordanza fenotipica dei soggetti.
Giudizio degli stamm
I criteri di giudizio recitano: lo stamm è composto da 4 soggetti, i quali, nell’ambito della categoria a concorso, devono essere dello stesso Tipo, Categoria e Varietà, inoltre nei “Mosaico” devono appartenere allo stesso sesso.
L’esegesi del termine stamm, di origine tedesca, mostra diversi significati nella lingua originaria (tronco, tribù, stirpe, philum) ma forse la traduzione più vicina al nostro hobby è certamente
“ceppo”. Per l’allevatore esperto è un gruppo di uccelli che sono imparentati tra loro da più o meno generazioni, quindi un gruppo rigorosamente selezionato di uccelli, che mostrano poca o nessuna differenza nelle loro trasmissioni ereditarie.
Quindi uno stamm è un insieme di soggetti che dovrebbe avere le stesse caratteristiche sia nel pigmento (melanine e lipocromi) che nella forma, nel comportamento, nell’atteggiamento e anche nei tratti ereditari. La loro selezione ha, quindi, portato alla scomparsa della maggior parte delle qualità indesiderabili (difetti) e sono stati fatti accoppiamenti per preservare le buone qualità (pregi) al fine di migliorarne l’aspetto. In breve, lo stamm dovrebbe essere assimilato nel suo insieme ad un’unica immagine a colori dove il disegno, la forma, la postura, il piumaggio, ma anche la tranquillità degli uccelli dovrebbero essere elementi in accordo equilibrato e nelle giuste proporzioni; in maniera più sintetica dovrebbero essere collegati da evidente armonia.
Anche l’armonia viene valutata analiticamente con l’attribuzione di un punteggio numerico. Nei primi criteri di giudizio venivano assegnati alla disponibilità del giudice 6 (sei) punti per la valutazione dell’armonia. Tale disponibilità numerica è riscontrabile a tutt’oggi in tutti i criteri di giudizio non
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Giudici all’opera, foto F.O.I.
I criteri hanno un approccio analitico che si traduce in un punteggio matematico che racchiude un risultato numerico non modificabile
solo italiani ma anche internazionali. Non mi è dato di sapere la motivazione del perché dei sei punti a disposizione, certamente un ammontare consistente.
L’attribuzione era a libero arbitrio del giudice, alla sua completa soggettività. Il giudice attribuiva il punteggio di armonia in maniera autonoma, valutava d’un tratto la corrispondenza, la coincidenza delle caratteristiche fenotipiche esternate dai 4 soggetti in esposizione con quelle peculiari della mutazione indicata sul cartellino d’esposizione, prendendo come termine principale di riferimento il tipo. Occorre ricordare che si era agli albori della canaricoltura da competizione, c’era stato l’avvento di nuove mutazioni e i soggetti in mostra non erano sufficientemente tipici; forse la consistenza del punteggio di armonia facilitava il raggiungimento dei 360 punti per diventare campioni. Il punteggio di armonia consentiva al giudice di “comunicare” all’allevatore l’aderenza della razza allevata alle caratteristiche fenotipiche della nuova mutazione. Sì, il giudice aveva anche la funzione di “passatore” dell’iter selettivo intrapreso dall’allevatore. D’altra parte l’attribuzione dei valori superiori del punteggio di armonia, garantiva il raggiungimento di un risultato numerico consistente che era anche un incentivo, uno sprone all’allevatore nel proseguire il suo iter selettivo. Occorre ricordare che in quei tempi il raggiungimento dei famosi 90 punti (360 nel caso di uno stamm) era la meta ambita degli allevatori; ora non ci soddisfa neanche il 93. La soggettività nell’attribuzione del punteggio di stamm non sortì gli effetti desiderati sulla uniformità di giudizio, molti giudici lo usavano per modulare a proprio gradimento la classifica finale della categoria. Con i criteri di giudizio del 1992 i punti a disposizione restarono 6 (sei), ma questi venivano assegnati in modo non rigidamente matematico. L’armonia veniva scissa in due criteri: l’uniformità di punteggio e il valore tecnico. Per il primo criterio i punti a disposizione erano 3 (tre) che venivano attribuiti in relazione alla differenza tra il punteggio più alto e quello più basso (così come ora avviene con gli attuali criteri). Il valore
tecnico dello stamm disponeva di 3 punti (ottimo=3, buono=2, sufficiente=1, insufficiente=0) che venivano attribuiti in base al punteggio totalizzato dallo stamm: 3 punti allo stamm con punteggio di 360 o superiore, 2 punti con punteggi compresi tra 356 e 359 e cosi via a decrescere. Appariva chiara la discrasia sulla linearità del punteggio perché gli stamm con punteggio più alto erano favoriti una volta in più. I criteri di giudizio del 2002 modificarono totalmente la modalità di valutazione dell’armonia di stamm. I punti erano strettamente legati alla differenza di punteggio tra soggetto con punteggio più alto e soggetto con punteggio più basso, cosi come indicato nella figura 4. Tale metodologia, credo, sia seguita a livello internazionale.
Un nuovo criterio per il punteggio di armonia
Ma cosa è l’armonia? Certo, se si fa riferimento alla etimologia del termine si ha difficoltà a collegarlo al giudizio di uno stamm di canarini di colore. Dal greco ἁρμονία «unione», «proporzione», «accordo», ossia concordanza tra elementi diversi che provoca piacere e, in senso più specifico, accordo equilibrato di più elementi o parti in giusta proporzione. È qualcosa che attiene ai sensi, che è in gradodi produrre qualcosa di piacevole, una sorta di concordia a livello visivo, per il bene degli occhi e dell’animo. Ma per noi ornitofili l’armonia di stamm è qualcosa di molto più semplice, ci riferiamo essenzialmente all’immagine di quatto soggetti esposti, per quanto distinti, che ci arriva come un insieme unificato, come se ogni dettaglio del lavoro di selezione si presentasse fin da subito come una parte del tutto. In sintesi, con estrema semplificazione, lo stamm, per noi semplici cultori, sarà tanto più armonico quanto più i soggetti sono uguali tra loro in termini di impronta fenotipica. Questa identicità viene semplificata e classificata attraverso un valore algebrico legato alla differenza di punteggio dei singoli soggetti tra loro. Maggiore è la differenza tra il
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Fig.4 – criteri di attribuzione armonia degli stamm – Ed.2002
I criteri di giudizio del 2002 modificarono totalmente la modalità di valutazione dell’armonia di stamm
punteggio più alto e quello più basso, meno armonico sarà lo stamm; quindi una proporzionalità inversa tra la differenza di punteggio e l’armonia di stamm. Questa corrispondenza appare un poco contradditoria e forse anacronistica, forse la sintesi più immediata dovrebbe essere: lo stamm è tanto più armonico quanto più i punteggi dei singoli soggetti sono identici. L’armonia è in proporzione diretta con l’eguaglianza dei punteggi. Questa metodologia di attribuzione, a mio parere, è più immediata e più semplice da recepire; il lettore la consideri una divagazione ornitologica e non una proposta di cambiamento, cosa di competenza diretta di precisi organi statutari. Nella considerazione che nelle mostre ornitologiche una gran parte degli stamm supera il punteggio di 360, mi sembra non appropriata la disponibilità per i giudici di 6 (sei) punti. Da una mia rapida analisi statistica sui risultati del campionato mondiale di Napoli 2023, l’80% degli stamm esposti supera il fatidico 360, non c’è quindi alcuna necessità di gonfiare i punteggi. Si potrebbe adottare come punteggio massimo l’attribuzione di 3 (tre) punti agli stamm che mostrano uguaglianza di punteggio dei 4 soggetti. La tabella 5 descrive in maniera più dettagliata la metodologia suggerita,
nel pieno rispetto del requisito di linearità di attribuzione.
La metodica suggerita risolve anche la contraddizione descritta all’inizio dell’articolo, limitando la possibilità che sul podio dei vincitori possano salire stamm in cui nessun soggetto abbia raggiunto il punteggio di 90. La tabella 6 mostra una simulazione di attribuzione con la me-
todologia indicata dove si mette in evidenza che il raggiungimento dei 360 punti avviene almeno con tre soggetti a 90 punti.
FONTI
-FOI - Criteri di giudizio canarini di colore
-M. Alfonzetti - 96 punti si può fare - I.O n°10 2014
-Wout van Gils - Kanarie homepage
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Punteggio identico di 4 soggetti dello stamm 3 Punteggio identico di 3 soggetti dello stamm 2 Punteggio identico di 2 soggetti dello stamm 1 Nessun punteggio identico dei soggetti dello stamm 0
DESCRIZIONE - punti a disposizione 4 Punti di armonia
Fig. 5 - Armonia e criteri di attribuzione suggeriti (Tabella 1)
A B C D Punteggio Armonia Totale 89 89 89 89 356 3 359 89 90 89 89 357 2 359 89 89 90 90 358 1 359 89 90 90 90 359 2 361 88 89 90 91 358 0 358 88 90 90 90 358 2 360 89 90 91 92 362 0 362
Fig. 6 - Simulazione attribuzione dei punteggi di armonia (Tabella2)
Lo “spicchio di luna”
di CAMILLO NAPOLITANO (GiudiceO.M.J., membro C.T.N. C.F.P.L.), foto T. DE BIASE
Mi è sempre piaciuto l’appellativo “spicchio di luna” per indicare una delle mie razze preferite di canarini di Forma e Posizione Lisci, lo Scotch Fancy. Ho scoperto il mondo FOI molto tardi pur essendo fin da ragazzino un appassionato allevatore. Ricordo di aver iniziato nel 1966 quando un cognato di mia nonna, emigrante di ritorno dagli Stati Uniti, mi iniziò a questa passione facendomi conoscere i primi canarini Olandesi.
Nel 1989 casualmente mi sono imbattuto in un gruppo di amici che parlavano di gare ornitologiche, ero incredulo e volli toccare con mano
Nel 1989 casualmente mi sono imbattuto in un gruppo di amici che parlavano di gare ornitologiche, ero incredulo e volli toccare con mano. Mi iscrissi alla F.O.I. e cominciai a frequentare le mostre, rimanendo affascinato dal meraviglioso mondo che si apriva davanti a me.
I miei primi canarini da uomo F.O.I. furono due coppie di Scotch Fancy, li avevo scelti per allestire il mio piccolo allevamento perché ero rimasto colpito da quel semicerchio che rendeva elegante ed aggraziata quella razza.
A me piacevano ma certamente erano molto meno in standard rispetto ai canarini che oggi si vedono alle nostre mostre; in 25/30 anni la razza si è molto evoluta tanto che oggi abbiamo degli esemplari che rasentano la perfezione.
Negli anni ho incontrato quasi tutti i grandi allevatori e conoscitori di questa razza presenti nella mia Regione; fra l’altro la Campania ospita anche la sede del Club dello Scotch Fancy a cui sono iscritto e alla cui rinascita ho contribuito insieme ai tanti ottimi allevatori che ne fanno parte.
È il 2014 l’anno in cui il Club rinasce con nuova forza e determinazione; il nuovo direttivo, con il neo presidente Aniello delle Cave, il vice presidente Federico Cafiero e il segretario Alfonso del Mastro, percepisce subito che, per vari motivi forse fisiologici, il Club era un po’ disorientato, stanco e aveva bisogno di essere stimolato. Bisognava creare nuovi progetti per attirare interesse sulla razza. Nasce l’idea dello “Scotch Day”; anch’io, quale segretario della mia associa-
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Scotch fancy lipocromico brinato, foto e all. Tullio De Biase
Scotch fancy lipocromico brinato, foto e all. Tullio De Biase
zione, metto a disposizione tutte le mie esperienze e conoscenze per realizzare quel sogno che, di lì a poco, diverrà realtà. Mentre il Club stila un regolamento, io mi adopero per trovare locali e attrezzature idonee. Grazie al contributo di tutti nasce il primo “Scotch Day”. La prima uscita è stata eccitante per molti soci e ha attirato tanti curiosi che, in molti casi, hanno iniziato ad allevare lo Scotch. Con il succedersi di due direttivi, c’è stato un miglioramento del regolamento e della location con un crescente interesse intorno al Club. Ricordo che allora il giudizio veniva svolto da tutti i presenti in sala con schede anonime, senza distinzione fra giudici ed allevatori; l’ultimo direttivo, che non mi stancherò mai di ringraziare, con a capo il presidente Nicola Iavarone, il vice presidente Mirco Meccariello e il segretario, l’inossidabile Alfonso
del Mastro, ha impresso una ulteriore svolta positiva. L’apertura di vedute del presidente Iavarone ha fatto sì che giudici e allevatori si confrontassero sulle difficoltà di giudizio evidenziando come esse aumentino all’aumentare del livello selettivo. Da questo confronto fra allevatori, giudici e poi anche con la CTN-CFPL, si è arrivati alla svolta di collaborazione e crescita. Oggi i due migliori allevatori giudicano la gara più importante del Club con una platea di soci provenienti da tutta Italia che assistono alle fasi di giudizio e ricevono tutte le motivazioni della scelta dei migliori canarini portati sul podio. Queste mie osservazioni vogliono essere un augurio al nuovissimo direttivo e un invito a voler seguire, migliorandole ove necessario, le linee guida del presidente Iavarone. Grazie Nicola. Sin dai primi anni della mia vita associativa bazzicavo gli allevamenti dei soci più rinomati della mia associazione cercando di carpire segreti e fare esperienze personali su questa magnifica razza; grazie a ciò oggi, da Giudice Internazionale, posso vantare nel mio bagaglio tecnico una buona esperienza relativamente a questa razza. Lo Scotch Fancy nasce come canarino di razza “pesante”, anche se di pesante non deve avere nulla, anzi, bisogna evitare di selezionare canarini molto grandi tralasciando la selezione delle voci più importanti dello standard. Nella scala valori, la voce TAGLIA (costituzione fisica di un individuo considerato nelle sue dimensioni e proporzioni) è riferita sicuramente a un canarino di almeno 17 centimetri ma che sia un canarino elegante, slanciato e fiero. La taglia, visivamente calcolata nel momento in cui il soggetto assume la posizione prescritta, si ottiene tracciando idealmente una linea che congiunge l’apice della testa alla punta estrema della coda, passando attraverso la linea del corpo. Il primo punto che deve essere osservato in giudizio è la posizione. Un buon soggetto deve essere calmo e deve assumere la posizione a semicerchio più a lungo possibile. La posizione deve essere tesa, con la testa ben portata in avanti a formare con
il dorso e la coda, che deve essere ben ricurva sotto il posatoio, un arco continuo. Il soggetto perfetto dovrebbe muoversi liberamente e senza sforzo da posatoio a posatoio, mostrando una certa leggiadria ed eleganza, ma senza modificare il contorno essenziale della silhouette con sbuffi o cravatte varie nel piumaggio.
Ovviamente, immaginando i nostri canarini come degli atleti, è necessario che si sottopongano ad allenamento. Se si vuole raggiungere il successo nelle esibizioni è, quindi, necessario un buon addestramento dello Scotch Fancy fatto nell’apposita gabbia a cupola.
Quando giudico lo Scotch, pongo la gabbia su un piano alto a livello delle mie spalle in modo da poterlo osservare sforzandomi di avere una visione di tutte le parti del corpo e, solo quando queste risultano armoniosa-
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Scotch fancy lipocromico brinato, foto e all. Tullio De Biase Disegno Standard
mente fuse tra loro, estraggo il soggetto per la valutazione finale. La posizione è l’elemento fondamentale, per valutare la quale è indispensabile disporre il canarino su un tavolo di giudizio necessariamente alto, dove il soggetto di valore la acquisisce anche senza essere sottoposto a particolari sollecitazioni, saltellando con naturalezza da un posatoio all’altro. È importante non allarmare mai i soggetti in esame, procedendo, invece, nel giudizio con calma e pazienza, anche perché i migliori esemplari, quando accentuano il loro semicerchio, hanno bisogno di più tempo e maggiore concentrazione. Le altre caratteristiche vanno osservate di fianco per avere una corretta cognizione del piumaggio, della conformazione della testa, dell’estensione del collo e delle dimensioni del canarino, e da dietro per verificarne le spalle, il dorso, le ali. Nelle fasi finali del giudizio sono i dettagli che determinano il successo e, quindi, il campione viene scelto fra i soggetti che assumono la corretta posizione facendo prevalere, a parità degli altri considerando, quei canarini che possiedono testa ovale, piccola e leggermente piatta, atteggiamento fiero, punta delle ali quanto più possibile aderenti al corpo, assenza di petto. L’osservazione dello Scotch deve emozionare e deve produrre una reazione intensa, uno stimolo al piacere; questo è ciò che provo quando ne vedo uno bello.
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La posizione è l’elemento fondamentale, per valutare la quale è indispensabile disporre il canarino su un tavolo di giudizio necessariamente alto
Il Tordo del Malabar
(Chloropsis aurifrons) - genere Chloropsis
testo di PIERCARLO ROSSI, foto P. ROSSI e S. FIGURELLA
Irappresentanti di questo affascinante genere sono presenti nell’area indo-pacifica ed annoverano ben 11 specie, più precisamente:
• Chloropsis flavipennis
• Chloropsis palawanensis
• Chloropsis sonnerati
• Chloropsis cyanopogon
• Chloropsis cochinchinensis
• Chloropsis kinabaluensis
• Chloropsis jerdoni
• Chloropsis aurifrons
• Chloropsis media
• Chloropsis hardwickii
• Chloropsis venusta
Il nome scientifico del genere, Chloropsis, significa “dall’aspetto verde”, in riferimento alla livrea della maggior parte delle specie.
I loro piumaggi, prevalentemente verdi e gialli, si fondono alla perfezione nel loro habitat tropicale, dove le foglie verdi e i fiori luminosi della chioma degli alberi forniscono un perfetto mimetismo per questi uccelli. Tuttavia, gli uccelli che sono stressati perderanno la maggior parte delle loro piume colorate. Questo adattamento potrebbe essersi evoluto per difendersi dai predatori, come i serpenti. Gli uccelli catturati sotto stress hanno la stessa reazione.
La maggior parte delle specie ascritte a questo genere è diffusa nelle foreste pluviali della penisola malese e nelle grandi Isole della Sonda, con numerosi endemismi insulari: altre specie sono diffuse nelle Filippine, in Indocina e nel subcontinente indiano.
La loro taglia può variare dai 14 ai 21 cm ed i maschi risultano essere più grandi delle femmine.
Nella maggior parte delle specie i maschi presentano una livrea molto accesa per la presenza di colori vivaci e contrastanti come il blu, l’arancione, il giallo e il nero maggiormente estesi e si distinguono facilmente dalle femmine, che presentano tinte meno sgargianti. Le ali sono lunghe, indice di ottimi volatori; il becco risulta essere sottile e leggermente incurvato. Il canto è composto da suoni acuti e stridenti intervallato da note più basse e fischiate; risultano essere, inoltre, abilissimi ad imitare quello di altri uccelli.
Tordo del Malabar
La specie che oggi andremo ad analizzare è quella del Tordo del Malabar (Chloropsis aurifrons) chiamato anche Verdin Fronteoro.
Deve il suo nome alla zona geografica dove la specie è maggiormente diffusa, il Malabar appunto, una regione situata lungo la costa sud-occidentale della penisola indiana.
Il Chloropsis aurifrons risulta comunque avere un areale molto vasto che si estende dalle pendici meridionali dell’Himalaya ad est e dell’Himachal Pradesh all’Indocina, attraversando le nazioni del Nepal, Bhutan, Sikkim, Tibet sud-orientale, Sichuan sud-occidentale, Birmania (tranne il Tenasserim) e Thailandia centrale e settentrionale: la specie è inoltre presente in India orientale e nord-orientale, nel sud, lungo la costa occidentale e nello Sri Lanka.
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La maggior parte delle specie ascritte a questo genere è diffusa nelle foreste pluviali della penisola malese e nelle grandi Isole della Sonda
Dipinto del Tordo del Malabar
Predilige le fitte foreste umide spostandosi a piccoli gruppi, spesso in un piccolo nucleo familiare con i giovani dell’ultima covata o a coppie, tra le chiome degli alberi alla ricerca del cibo.
Descrizione
I soggetti adulti hanno una lunghezza di 20 cm circa e presentano gola blu e stria nera all’occhio; guance, collo e petto hanno un riflesso porpora; il vertice è giallo. Il petto è bordato da una grande stria gialla. La curva delle ali è blu, il dorso verde scuro, le parti inferiori color verde-erba chiaro; le remiganti sono brunastre; la coda è gialla. Occhi marroni, becco nero, zampe grigio-azzurro. Nella femmina
il nero è meno esteso e le macchie colorate sono più opache.
I giovani uccelli hanno il colore della testa verde. Gli uccelli immaturi sembrano versioni più opache delle femmine.
Hanno lingue con punta a spazzola e becchi leggermente incurvati verso il basso con piume rigide simili a peli alla base che proteggono i loro occhi dalle gambe e dalle ali delle loro prede (insetti).
Di questa specie vengono riconosciute ufficialmente 5 sottospecie:
• Chloropsis aurifrons frontalis
• Chloropsis aurifrons insularis
• Chloropsis aurifrons pridii
• Chloropsis aurifrons inornata
• Chloropsis aurifrons incompta
Le differenze tra le sottospecie sono minime e vengono attestate per lo più per l’estensione del giallo della fronte e per la taglia.
Alimentazione
Si nutrono per lo più di insetti, oltre a piccoli frutti, bacche e nettare. Insetti: i loro lunghi becchi affilati e la lingua leggermente pelosa come un pennello permette loro di recuperare gli insetti nascosti tra la corteccia o mimetizzati tra le foglie degli alberi; se questi dovessero cadere, i Verdin seguiranno la preda volteggiante nell’aria o fino all’interno della foresta.
Frutta: di solito questa specie ingerisce pezzi di frutta interi. Se ciò non è
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Pulli poco dopo la schiusa, foto: S.Figurella
Pulli a nido, foto: S.Figurella
I Pulli crescono, foto: S.Figurella
Pulli quasi completamente impiumati, foto: S.Figurella
possibile, foreranno i frutti con il becco e faranno fuoriuscire i succhi per poi leccarli. Le loro lingue punteggiate sono ben adattate per prendere il nettare dai fiori tubolari, come i Rhabdornis delle Filippine. Come i colibrì, si libreranno davanti a un fiore per recuperarne il nettare. Nel processo di alimentazione, i fiori beneficiano dell’impollinazione incrociata poiché la testa dell’uccellino si ricopre di polline e lo diffonde da un fiore all’altro. Mentre si spostano di fiore in fiore, il polline si deposita; così facendo, la pianta sarà in grado di produrre semi e frutti. Molte piante autoctone si affidano a loro per l’impollinazione e non sarebbero in grado di esistere senza i “servizi” resi involontariamente da questi uccelli fogliari.
Tra le varie piante che usufruiscono di questo servizio vorrei ricordare l’Erythrina stricta. Su questa pianta sono state fatte ricerche dettagliate e ne emerge quanto segue: “È una specie arborea ecologicamente importante nelle foreste pluviali dell’India e il suo nettare all’interno dei fiori contribuisce alla dieta e alla sopravvivenza degli uccelli. Finora non sono stati pubblicati rapporti sull’impollinazione di questa specie. Esploriamo quindi il sistema riproduttivo di questa specie arborea che ha un grande significato per il suo ecosistema. Gli uccelli hanno un ruolo importante nella riproduzione degli alberi attraverso l’impollinazione, in particolare nelle aree tropicali dove il successo riproduttivo dipende principalmente dalle interazioni degli animali impollinatori.
Il comportamento di visita e di foraggiamento degli uccelli è stato osservato durante la stagione di fioritura di Erythrina stricta in una foresta pluviale tropicale indiana. Il sistema riproduttivo è stato valutato attraverso esperimenti di impollinazione controllata. Sono state registrate tredici specie di uccelli che visitavano e cercavano il nettare dai fiori di Erythrina stricta. Il numero massimo di visite registrate proveniva dal Bulbul a ventaglio rosso (Pycnonotus cafer, Pycnonotidae). Gli uccelli che si nutrivano del nettare erano i poten-
ziali impollinatori con becchi lunghi (es. Pycnonotus spp., Chloropsis aurifrons e Dicrurus spp.) o “ladri” di nettare con becchi relativamente più corti (es. Zosterops palpebrosa, Stachyris ruficeps, Macronous gularis, Eterofasia glaciris). Gli esperimenti di impollinazione controllata hanno rivelato un alto grado di impollinazione incrociata (xenogamia) e autoincompatibilità in E. stricta. Gli uccelli erano più frequenti al mattino presto e la loro attività di foraggiamento veniva osservata anche durante le ore serali; la frequenza è invece diminuita rispetto alla disponibilità di nettare. I lunghi tubi della corolla di E. stricta potrebbero limitare l’accesso alle api che raccolgono il nettare.
Riproduzione
I Tordi del Malabar costruiscono nidi aperti a forma di coppa con steli fini, parti di foglie e radichette. Questi nidi sono solitamente posti alle estremità dei rami vicino alla chioma dell’albero, sebbene alcuni possano pendere da sottili tralci orizzontali di alberi o siano attaccati a un paio di ramoscelli verticali. La covata media è composta da 2 - 3 uova di colore rosato. L’incubazione dura circa 14 giorni e viene eseguita dalla sola femmina, mentre il maschio la nutre durante la cova e l’aiuta nello svezzamento della prole.
Allevamento in ambiente domestico Questo uccello importato regolarmente un tempo, dopo una delicata fase di acclimatazione lo rendeva specie molto ambita dagli allevatori. Grande amante dell’acqua e delle abluzioni giornaliere, una volta acclimatato, appunto, diventava molto mansueto e confidente, tanto da “venir a prendere le tarme della farina direttamente dalle mani dell’allevatore”, cosi affermava il Bechtel in un suo scritto.
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Le differenze tra le sottospecie sono minime e vengono attestate per lo più per l’estensione del giallo della fronte e per la taglia
Il novello ha abbandonato il nido
Negli ultimi tempi i Verdin sono diventati sempre più rari nei nostri aviari, ma alcuni bravi allevatori della nostra penisola, sempre alla ricerca di nuove sfide, non si sono dati per vinti: uno di questi, il bravissimo Dottor Stefano Figurella, sempre alla costante ricerca di prodotti innovativi nell’allevamento delle specie aviarie, e non solo, è riuscito addirittura a riprodurlo.
Ecco la sua esperienza al riguardo: -“Sono sempre alla ricerca di nuove specie da inserire nel mio aviario che possano stimolare la mia fantasia ed accrescere le mie esperienze in ambito ornitologico.
Già in passato avevo allevato soggetti di questa bellissima specie; recuperai la coppia protagonista di questo scritto in Olanda in un mercatino. Una volta giunti a casa, e dopo un breve periodo di adattamento, decisi di porli in un aviario a loro dedicato.
Oltre agli splendidi colori notai che il loro volo ondulato ricordava quello dei picchi; infatti, nel loro procedere sembra che si tuffino nel vuoto per poi emergere e tuffarsi nuovamente, un particolare molto affascinante.
Per quanto riguarda l’alimentazione, potrei definire questa specie nettarivora; io tra i vari ospiti dei miei aviari allevo anche le Cyanerpes caeruleus ed ho notato molte similitudini tra queste 2 specie. I Tordi del Malabar hanno delle piccole setole sulla lingua che tendono a scomparire dopo un certo periodo di tempo in ambiente domestico, forse per la diversa alimentazione fornita loro.
Hanno la tendenza a succhiare con la lingua, come fanno i nettarivori, appunto, il nettare o la frutta fornita loro. Visto il poco tempo a mia disposizione per accudirli, ho deciso di fornire un mangime secco, senza l’aggiunta di null’altro ed ho fornito loro gli insetti soltanto alla schiusa delle uova.
Ho preferito un’alimentazione secca perché essendo questa specie dotata di una lingua così particolare temevo che, fornendo loro alimenti particolarmente appiccicosi, gli zuccheri e gli amidi potessero rimanere appiccicati alla lingua o agli angoli del becco, favorendo, con un po’ di umidità della saliva, il proliferare delle micosi che, invadendo la mucosa, creerebbero dei problemi seri ai soggetti: ecco la ne-
cessità di mangimi specifici per questa tipologia di volatili.
Questa coppia ha costruito il nido utilizzando esclusivamente le fibre di cocco fornite loro ed una volta deposte le uova queste ultime sono state covate per 14 giorni circa; una volta nati i pulli, ho fornito loro le camole del miele per i primi 2/3 giorni di vita per poi passare a grilli e falene, che definirei indispensabili.
Negli anni ho alloggiato diversi soggetti di Verdin all’esterno e posso serenamente affermare che, se opportunamente acclimatati, non soffrono minimamente il freddo o il gelo… io risiedo a Reggio Emilia. Nelle voliere tollerano anche soggetti di taglia più piccola, ma hanno un’aggressività spiccata verso i conspecifici, che in casi estremi può portare alla morte uno dei due soggetti.
Negli anni, ho notato che anche con soggetti di fresca importazione, i maschi tendono a cantare in mano; ad onor del vero mi è capitato anche con altre specie. Ho ipotizzato che questa potrebbe essere una forma di autodifesa; infatti preferiscono cantare piuttosto che beccare o cercare di divincolarsi”.
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Dipinto del Tordo del Malabar
Altro dipinto di Chloropsis aurifrons
Il piumaggio dei pappagalli nel periodo riproduttivo
In questo periodo della stagione molte specie di pappagalli hanno già iniziato a riprodursi o sono vicine al farlo. Questo è un periodo essenziale per prestare attenzione al piumaggio dei nostri pappagalli. Il corteggiamento, la nidificazione, l’incubazione o l’alimentazione dei pulli possono rovinare le piume dei pappagalli. Per questo, l’allevatore deve necessariamente attenzionare tale aspetto.
I pappagalli non impegnati nella riproduzione dedicheranno qualche minuto in più a mantenere il loro piumaggio composto. E con l’aumentare delle ore di luce e del caldo, è tempo di offrire loro bagni regolari di diverso tipo.
Per quelli che si stanno riproducendo e i loro pulli sono usciti dal nido, è tempo di dare ai genitori l’opportunità di fare il bagno in pieno giorno. Gli uccelli andranno subito istintivamente a rinfrescarsi per riordinare il loro piumaggio in preparazione di una seconda covata, cosa che richiede loro di essere in buona forma.
Al Loro Parque Fundación vediamo come crescono energicamente di-
NUMERO 5 -2023 19 ONDULATIEDALTRI PSITTACIFORMI
testo di RAFAEL ZAMORA PADRÓN (*), foto MOISÉS PÉREZ (LPF) e LORO PARQUE FUNDACIÓN
(*)Direttore Scientifico Fondazione Loro Parque
Cacatua neri presso il Loro Parque Fundación
versi esemplari di cacatua nero e 5 novelli di cacatua delle palme. Le loro piume sono i migliori indicatori del rispettivo stato di salute. L’igiene durante la fase di crescita verso l’indipendenza è una parte essenziale del loro buon sviluppo. Le femmine riproduttrici sono generalmente quelle che hanno più bisogno di pulire il piumaggio, e a tale scopo è bene pulire anche i box di riproduzione una volta che i pulli lasciano il nido, in modo da disturbare il meno possibile la coppia.
In questa fase è facile trovare parassiti esterni nei novelli, negli adulti e nei box di covata. Questo è uno dei fattori che
possono deteriorare la qualità delle piume, quindi è necessario ricordare ogni anno l’importanza di controllare l’eventuale presenza di acari per evitare questo tipo di problema. La maggior parte dei pappagalli apprezza il bagno con l’acqua ma anche con la sabbia. Se si riesce a procurare sabbia fine, asciutta e pulita, e a fornirla in un vassoio, si scoprirà che molti pappagalli approfitteranno dell’opportunità di sguazzare in questo elemento, utile anche come adeguato arricchimento ambientale per questo periodo dell’anno. I bagni a secco consentono una sverminazione meccanica e aiutano le piume a liberarsi da incrostazioni o sporco impregnato di frutta o escrementi. Occorre però sempre cautela e controllo con i giovani uccelli che possono ingerire la sabbia con conseguenze indesiderabili.
Come in ogni fase dell’anno, gli occhi del custode devono essere puntati su alcuni aspetti per evitare i soliti problemi. Osservando il piumaggio e il comportamento dei nostri pappagalli, possiamo dare loro ciò di cui hanno bisogno in quel momento.
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Barnardiusbarnardimacgillivrayi Psephotusvarius, foto: Moisés Pérez
La biologa LPF Marcia Weinzettl con un pullo di cacatua delle palme
Le femmine riproduttrici sono generalmente quelle che hanno più bisogno di pulire il piumaggio
Suggerimenti psico-educativi
di FRANCESCO DI GIORGIO, foto G. MARSON
L’amore del gestore della scuola canaricola che educa, è volta a far sì che ciascun piccolo allievo diventi il meglio di ciò che può diventare, e questo non sempre passa attraverso l’immediatezza del voler bene, ma richiede un discernimento più complesso, che metta a specchio modelli linguistici virtuosi, che sappia alternare fiducia e regole. Per questo, l’amore che educa sa stabilire una relazione, un legame che toglie principianti canterini alla reciproca indifferenza e li fa essere uno per l’altro. La competenza e la responsabilità di accompagnare i membri del contesto dall’indipendenza totale all’autonomia passa soprattutto attraverso l’ascolto profondo delle esigenze del canarino, per insegnargli gradualmente a sentirle, individuarle e padroneggiarle, affinché da adulto possa diventare il protagonista della propria vita.
L’impulso esplorativo spinge la giovane creatura adulta sin dalla prima infanzia ad entrare sempre più in contatto con gli svariati tasselli dello standard canoro.
È proprio attraverso queste esperienze che il canarino di questa età comincia a esplorare le sue possibilità, a sviluppare l’autocontrollo, ad addestrarsi all’esercizio della volontà.
Operatori scolastici troppo severi impoveriscono e mortificano l’espres-
sione delle sue possibilità, rendendolo remissivo, inibito, insicuro, timoroso e incapace di risposte spontanee, timido e isolato, con poca iniziativa.
La reazione di un giovane interlocutore ad un eccesso di interpretazione da parte dell’operatore ornitofilo può essere la paura e il ritiro in sé stesso o la provocazione (l’apprendista per reazione accentua i comportamenti pericolosi).
Certamente ogni soggetto educativo è diverso: c’è quello più timido che ha bisogno di maggiore incoraggiamento e sostegno, e quello irrequieto che va in parte contenuto, va aiutato a dominarsi nell’impulsività, nella sua aggressività.
Il senso della responsabilità è una conquista che ogni aspirante cantore deve sviluppare, tenendo conto delle sue caratteristiche individuali. Ricordiamo che l’obiettivo dell’utente
NUMERO 5 -2023 21 CANARINIDA CANTO
La reazione di un giovane interlocutore ad un eccesso di interpretazione da parte dell’operatore ornitofilo può essere la paura
allievo è l’autonomia, la stima di sé: aspetti dello sviluppo che necessitano di situazioni in cui poter sperimentare le proprie capacità.
Il flusso cognitivo dell’intelligere è costituito da tre fasi.
La prima è la fase dell’assimilazione, che io descrivo come la direzione “da fuori a dentro”: le informazioni nuove vengono incamerate dall’individuo, vengono portate dentro di sé.
In un secondo momento, nella fase che io chiamo “da dentro a dentro”, avviene un’elaborazione interna all’individuo, che lo porta a ragionare sui concetti appena appresi, a modificarli e integrarli: una caratteristica tipica nella vita comunionale. Infine queste nuove conoscenze, ormai fatte proprie dall’individuo, possono essere riproposte dal soggetto al mondo attraverso una restituzione,
nella fase che possiamo definire “da dentro a fuori”.
Aiutare i componenti del grupposcuola significa essere autorevolmente presenti e partecipi delle loro conquiste e delle sconfitte.
Quello dell’autonomia è un bisogno evolutivo, sano della crescita della comunità in sviluppo.
Esso, perciò, non va ignorato o impe-
dito da parte dei cultori del bel canto, anzi va sostenuto con l’impegno di assecondare, di non ostacolare, come notavamo in precedenza, quello che si può considerare il percorso naturale dell’autonomia.
Per il bisogno di sentirsi amato e protetto, il beniamino piumato si sforzerà di fare ciò che gli viene richiesto, di accettare le regole.
Ogni regola è causa di frustrazione ma ogni frustrazione mette in atto quell’energia che indirizza la creatura verso obiettivi di crescita, di affermazione individuale e sviluppo della propria identità.
Dare in pasto alla platea degli allievi gli svariati tasselli dello Standard canoro significa tracciar loro una linea, orientarli, dar loro una direzione. È come se le regole rappresentassero il binario entro cui canalizzare le energie: senza di esso il treno può andare ovunque e deragliare.
Le regole rappresentano un importante strumento di rassicurazione e contenimento, necessario a uno sviluppo sano ed equilibrato: esse consentono al giovane rampollo di avere dei riferimenti precisi.
Riferimenti ai quali può aderire od opporsi attraverso un susseguirsi di scelte, che pian piano costituiranno le basi della sua identità e sicurezza. L’impegno delle regole va modulato in base all’età dell’assistito, con quel margine di flessibilità che il buon senso educativo esige.
Quando il recettore vive in un ambiente parentale e scolastico sano e stabile, ha modo di abbandonare gradualmente il suo naturale egocentrismo e d’imparare a comprendere e valorizzare i bisogni degli altri.
Quanto più il confratello diventa consapevole del fatto che ciascuno di loro è profondamente legato agli altri, tanto più complesse diventano le sue competenze relazionali e sociali. È maestro chi aiuta, non chi “ingozza” e giudica; chi è alleato non dell’errore, ma dell’allievo e cerca insieme a lui di capire perché l’errore è accaduto e come si può risolvere. Il buon seme dell’educazione va coltivato, nel cuore degli aspiranti cantori, con mano sapiente.
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Aiutare i componenti del gruppo-scuola significa essere autorevolmente presenti e partecipi delle loro conquiste e delle sconfitte
Il falso lino (Camelina sativa)
Pianta erbacea eco-sostenibile, un esempio di “mimetismo vaviloviano”
Premessa
Durante l’inverno, quando giornate uggiose e fredde mi costringono a sedermi sul divano al caldo dello studio, mi dedico, dopo aver sfogliato il solito quotidiano, alla lettura dei testi in mio possesso sulle piante selvatiche commestibili con particolare interesse alle proprietà e utilizzi a partire dal gastronomico, al fitoterapico e… per l’alimentazione dei miei canarini. Un giorno, verso la fine di gennaio, data la giornataccia che non mi permetteva di fare la solita camminata, ho colto l’occasione per programmare la preparazione dei riproduttori (pastoncino, semi, verdure ecc.) e redigere gli schemi di accoppiamento in previsione del canonico 19 marzo. Prendo il raccoglitore degli appunti “orto-ornitofili” in cui trascrivo ogni anno gli schemi degli accoppiamenti (tipo albo genealogico), i trattamenti pre-cove, gli appunti sulle erbe di campagna commestibili e mi siedo alla scrivania. Apro una parentesi: il giorno prima mi ero recato nel solito negozio di Pesaro ad acquistare semi e pastoncini e fra questi anche un paio di Kg di “semi della salute”. Marco, avendo terminato i soliti semi che acquistavo, mi ha proposto quelli di una nota ditta appena arrivati e, secondo lui, forse anche migliori. Apre il sacco, me ne mostra un po’ nella sessola e al mio assenso ne pesa 2 Kg. Nel frattempo leggo il contenuto descritto nel sacco e fra i vari semi trovo presente la Camelina sativa, seme che non c’era fra quelli che abitualmente ac-
quistavo. Fra me e me dico: “Proviamo anche questi…”. Nel ritirare gli acquisti mi torna in mente di aver letto o scritto qualcosa su questo seme e mi prometto di controllare giunto a casa. Mentre ini-
zio a predisporre gli accoppiamenti, mi tornano in mente i “semi della salute” acquistati; mi metto a sfogliare il libretto delle piante e verdure selvatiche in cerca della Camelina sativa e… guarda un po’? All’inizio di una paginetta ecco il titolo in grassetto: Il falso lino, ossia la Camelina sativa Leggo soddisfatto e con interesse la breve descrizione di questa pianta erbacea e fra i vari utilizzi trovo sottolineato che il suo seme è molto gradito a canarini e passeriformi ed è molto utile nella preparazione dei riproduttori e nella muta. La paginetta termina con questa annotazione: “…. Va notato che la Camelina sativaè una di quelle piante erbacee infestanti che hanno subito processi dimimetismo vaviloviano che le hanno portate a sviluppare caratteristiche morfologiche, fisiologiche o fenologiche vicine a quelle della coltura in cui crescono abitualmente. N.B.: vedi mimetismo vegetale”.
La lettura di quest’ultima annotazione ha sollevato in me nuovamente molti dubbi su questo processo di “mimetismo vaviloviano”. Ho sempre pensato alla abilità mimetica del mondo animale, mai a quella del mondo vegetale!
Guardo fuori: nebbia e pioggia! “È la volta buona di togliermi questi dubbi!” mi dico Chiudo il raccoglitore, sospendo gli accoppiamenti e mi metto a sfogliare i testi sulle erbe selvatiche in mio possesso, ma non trovo alcun cenno al mimetismo delle piante erbacee. Allora accendo il computer ed internet finalmente accontenta la mia curiosità!
NUMERO 5 -2023 23 ALIMENTAZIONE
di PIERLUIGI MENGACCI, foto P.MENGACCI, S. COLOMBO, UNIBO IT, UNIVERSITÀDI TRIESTE, MILLEPIOPPI IT, WWW FOCUSJUNIOR IT, WWW WIRED IT
Dal libretto dei miei appunti orto-ornitofili e non solo
Camelina sativa, foto: Silvio Colombo
Il mimetismo vegetale Prima di descrivere la Camelina sativa ofalso lino, ritengo opportuno fare un piccolo cenno sul mimetismo naturale che viene considerato “una sublime arte”. Il mimetismo, nell’Enciclopedia Treccani, è definito “fenomeno per cui alcune specie animali (o anche vegetali) assumono, per trarne vantaggio, colori e forme dell’ambiente in cui vivono”. A tal propositoil Prof. Stefano Mancuso* scrive: “Quando un essere vivente emette un segnale di qualunque tipo (visivo, olfattivo, uditivo…) verso un altro, con lo scopo di influenzarne il comportamento a proprio favore, siamo di fronte a un fenomeno mimetico. Perché ci sia mimesi c’è bisogno, quindi, di un modello (cioè l’organismo emittente che produce il mes-
saggio autentico), di un mimo (che riproducendo il segnale del modello si avvantaggia) e, infine, di un destinatario (colui che deve reagire al messaggio in maniera utile al mimo)”.
In natura esistono diverse forme di mimesi:
- mimetismo fanerico (dal greco phaneròs = manifesto) quando un organismo ne imita un altro come forma, colori e comportamento e cerca di fingersi un individuo appartenente a una specie diversa dalla sua per depistare i predatori. Esempio tipico la Liana camaleonte (Boquilla trifoliata delle foreste temperate del Cile)che assume le sembianze di foglie, colori e ramificazioni della pianta cui si avvinghia o daconfondersi ogni volta con quella più vicina.
- mimetismo criptico (dal greco kriptòs = nascosto) quando un organismo cerca di rendersi invisibile imitando l’ambiente che lo circonda e si nasconde per sfuggire ai predatori oppure tendere agguati alle prede. Esempi vengono da alcune piante grasse che assomigliano alle pietre fra cui crescono, o i fiori di orchidea che imitano nel disegno e pelosità l’addome di vespe e api (foto allegate di orchidee selvatiche: Ophris apifera e Orchis purpurea). A tal proposito una nota curiosa: il labello imita alla perfezione l’addome della femmina della specie di insetto che le impollina e la pianta secerne anche feromoni che attraggono sessualmente l’insetto; una trappola perfetta per gli insetti impollinatori per fornirli di polline che poi provvederanno a deporre su altre Ophrys per l’impollinazione. Che meraviglia la natura!
- mimetismo vaviloviano quando una pianta infestante acquisisce una o più caratteristiche di una pianta coltivata dall’uomo per ricavarne dei vantaggi o favorire la propria esistenza. Esempi: camelina dal lino; segale dal grano; veccia dalle lenticchie, ecc.
-Il “mimetismo vaviloviano” (da wikipedia.org): Il mimetismo vaviloviano è una forma di mimetismo delle piante che si verifica allorquando una pianta infestante o erbaccia viene a condividere una o più caratteristiche con una pianta da coltivazione attraverso un processo di selezione artificiale. Deve il suo nome a Nikolaj Vavilov**, un importante genetista botanico russo che identificò il centro di origine delle piante coltivate. La selezione contro piante infestanti può essere innescata attraverso la separazione dei suoi semi da quelli delle colture domestiche infestate (crivello). Questa operazione è stata fatta manualmente fin dai tempi del Neolitico, e in anni più recenti meccanicamente grazie all’ingegneria agraria”. Grazie a questa capacità mimetica oggi possiamo fruire di colture selezionate non solo per le proprietà alimentari e fitoterapiche, ma altrettanto interessanti ed utili al fine della biodiversità e sostenibilità ambientale.
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Orchidea selvatica nel mio giardino (Ophrysapifera), foto: P.Mengacci
Orchispurpurea (Orchidea maggiore) nel giardino dell'autore, foto: P.Mengacci
Piantagione di camelina, fonte: site.unibo.it/progetto-argento
Un piccolo inciso sulla mimesi degli uccelli: oltre che negli animali, dove l’esempio classico è il camaleonte ma anchealcuni tipi di farfalle e falene e moltissime specie di insetti che riescono quasi a “scomparire” fondendosi nel paesaggio così da passare del tutto inosservati,anche tra gli uccelli il mimetismo è largamente diffuso e si basa su inganni visivi, grazie a macchie, strisce, colorazioni del piumaggio o atteggiamenti: uccelli notturni che non sono attivi durante il giorno e non vogliono essere notati; femmine in cova, giovani o addirittura molte uova hanno colorazioni mimetiche per confondersi con l’ambiente circostante.
Dopo queste premesse vado alla descrizione della Camelina sativa o falso lino, che da pianta erbacea infestante è diventata una coltura eco-sostenibile, molto interessante per le sue proprietà.
Alcuni dati botanici e storici
La Camelina sativa è una pianta arborea oleaginosa antichissima originaria dell’Asia Centrale e della regione mediterranea e si ritiene conosciuta sin dall’Età del bronzo. Appartiene alla famiglia delle Brassicacee (Genere CamelinaSpecie C. sativa) come colza, senape e rapa e viene chiamata anche dorella coltivata, falso lino o sesamo di Germania.
È una pianta annuale a germinazione spontanea, con piccoli fiori gialli e frutti a forma di pera lunghi 5-10 mm. Presenta steli ramificati che diventano legnosi alla maturità. Le foglie lanceolate
sono alternate sullo stelo, hanno una lunghezza di 2–8 cm e larghezza di 2–10 mm; steli e foglie possono essere parzialmente pelosi. I fiori hanno quattro petali di colore giallo pallido e a forma di croce.
I semi sono piccoli (da 2 a 3 mm) di colore giallo dorato con uno spacco centrale simile al frumento. La fioritura va da maggio a fine giugno. Allo stato selvatico la si può trovare in terreni incolti, nei vigneti, ai margini di strade interpoderali e in ambienti ruderali abbandonati.
L’etimologia del nome Camelinaderiva dal greco (χαμαι) chamai = nano, steso a terra e da (λίνον) línon = lino: perché pianta infestante che riduce a terra i raccolti di lino; da qui anche il nome di falso lino. Il secondo nome specifico deriva dal latino satum (participio passato di sero = seminare, piantare) seminato, piantato, coltivato.
Storicamente sia la coltivazione che l’utilizzo della Camelina sativa da parte dell’uomo risale addirittura alla preistoria; semi di Camelina risalenti al Neoli-
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Piantine in vaso di camelina sativa, foto: P.Mengacci
Camelina sativa, fonte: flora-fauna.es
Camelina sativa, fonte: DipartimentodiScienzedellaVita,UniversitàdiTrieste
tico sono stati infatti ritrovati in Austria e Ungheria.
I suoi semi erano utilizzati anche ai tempi degli antichi romani e greci come falso lino per ricavarne oli o come medicinali. Fino agli anni ‘50 del secolo scorso fu coltivata in modo intensivo in tutta l’Europa; poi venne abbandonata e sostituita da coltivazioni di colza e girasole, più facili da utilizzare nelle industrie moderne e remunerativi. Viene ancora coltivata ed apprezzata in alcune parti d’Europa come foraggio per il bestiame. Da alcuni anni è oggetto di intensi studi volti a riprenderne la coltivazione su vasta scala non solo per la produzione di oli, ma anche per rispondere alla sostenibilità ambientale, in quanto la sua coltivazione richiede poca energia, essendo una pianta robusta che cresce ovunque, anche in terreni aridi e senza l’utilizzo di pesticidi, agrofarmaci ed erbicidi. La pianta viene coltivata per la produzione di olioprincipalmente in Europa e nel Nord America, ma anche in
Italia esistono coltivazioni biologiche di Camelina sativa. Inoltre, essendo una coltura a basso impatto ambientale, viene considerata molto utile per migliorare la rotazione delle colture e la produzione di mangimi. Nella rotazione con i cereali è stato osservato un aumento della produttività di questi ultimi pari ad un 15%.
Proprietà ed utilizzi Le proprietà della Camelina sativa sono date dai composti chimici dei suoi semi che vantano una composizione unica a partire dal contenuto di olio (40-42%) e proteine (25-28%); un alto profilo di acidi Omega 3 e Omega 6 (fino a > 35%), acido Omega 9 (<4%), tocoferoli (80100 mg/hg), oltre a vitamine D, K, A, E, vitamine del gruppo B, e sali minerali. Per tutte queste proprietà viene considerata un antiossidante naturale e classificata come nutraceutico (cioè un prodotto alimentare avente delle proprietà quasi medicinali).
L’utilizzo dei semi è vario e va dalla produzione di oli per svariati usi (alimentare, cosmetico, terapeutico, carburante ecc.) all’impiego come mangime per gli animali. La conversione in olio, come sopra riportato, è antichissima ed inizialmente il suo impiego era alimentare e per le lampade. Nel secolo scorso la pianta è stata oggetto di svariate ricerche scientifiche e l’olio di semi della Camelina sativa spremuto a freddo si è dimostrato molto utile. Il contenuto è per oltre il 50% di grassi polinsaturi, con antiossidanti naturali come il tocoferolo, altamente stabile, molto resistente all’ossidazione e all’irrancidimento. Inoltre, ha un gusto ed un aroma simili alla mandorla ed è adatto per l’uso in cucina; soprattutto è ideale per la preparazione di piatti a freddo e per i fritti in quanto mantiene inalterate le sue proprietà organolettiche fino a 245°. L’olio di oliva, invece, si ferma ai 200°, dopodiché le sue proprietà organolettiche cominciano a deteriorarsi.
-In fitoterapia viene consigliato per migliorare il metabolismo dei lipidi (trigliceridi), come ricostituente e di sostegno, per mantenere i livelli normali di colesterolo, mentre in cosmesi, data l’elevata concentrazione di vitamina E, è consigliato per contrastare la secchezza della pelle, come cicatrizzante, rigenerante e per pelli irritate, sensibili o mature o in casi di psoriasi. -Per quanto riguarda il suo utilizzo come carburante(biodiesel), gli studi hanno dimostrato che il carburante per jet a base di Camelina riduce le emissioni nette di carbonio di circa l’80% e la Marina degli Stati uniti lo ha scelto come materia prima per il suo primo test sul biocarburante per aviazione, facendo ripetuti voli con successo.
- Nell’alimentazione animale, negli ultimi anni la Camelina è tornata in auge grazie alla impellente necessità di individuare colture nazionali a basso impatto ambientale e alternative alle colture tradizionali, da impiegare in zootecnia. Le prove condotte con l’inclusione di expeller di Camelina (farina residua dall’estrazione di olio dai semi) nei mangimi per bovini da carne, da latte, per gli ovini, per i conigli e per i polli hanno dato risultati positivi e fanno ritenere questo prodotto
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Succiacapre, fonte: millepioppi.it
Podargo - Podargusstrigoides, fonte: www.focusjunior.it
un’alternativa molto interessante sia per l’elevato contenuto proteico (35%), sia per quello di acidi grassi omega 3 con possibili ripercussioni positive sulla salute e fertilità degli animali, oltre che per la qualità dei prodotti derivanti destinati all’alimentazione umana.
-Nell’alimentazione dei nostri uccelli familiari, i semi di Camelina sativa commercializzati come tali ed anche presenti in alcuni misti definiti “della salute” vengono consigliati per tutta una serie di proprietà che sono riportate nella descrizione del prodotto e precisamente:
-Sono ricchi di grassi insaturi e vitamina E. La vitamina E ha proprietà antiossidanti e favorisce la riproduzione.
-Grazie al suo alto contenuto di Omega 3 e Omega 6, è molto utile per lo sviluppo dei giovani ed essendo un seme molto appetibile è altresì importante durante tutta la fase della muta.
-Contiene vitamine D, K, A e vitamine del gruppo B, essenziali per il mantenimento e il benessere degli uccelli.
-Ha un contenuto proteico del 18% e può essere utilizzato allo stato naturale in apposita mangiatoia oppure aggiunto nella percentuale del 10% circa al pastoncino che viene offerto giornalmente.
-In aggiunta al pastoncino contribuisce a migliorare l’appetibilità e il valore nutrizionale dell’alimento.
-L’assunzione del seme durante la muta favorisce la formazione di un piumaggio setoso, elastico e brillante.
-Nei paesi anglosassoni, dove la Camelina sativa è molto utilizzata nell’alimentazione avicola, viene chiamata “Gold of Pleasure” (oro del piacere), espressione che ne indica il colore ed il piacere per gli uccelli che se ne cibano.
Conclusione
L’arte della mimesi (vegetale e animale) mi ha portato ad alcune riflessioni sulla sopravvivenza della biodiversità ed ecosostenibilità ambientale.
Oggigiorno è diventata un’urgenza mondiale a cui tutti siamo chiamati a contribuire. La natura ha una grande capacità di auto-sostenersi e rinnovarsi. Una dimostrazione di quanto la natura sia tenacemente meravigliosa nella lotta per
la sopravvivenza è anche la “nascita” della Camelina sativa! Nel corso dei secoli, questa pianta erbacea (C. sativa subsp. linicola) che “infestava” i campi di lino, è riuscita ad assumere, pur di sopravvivere, lecaratteristiche morfologiche, fisiologiche o fenologiche assimilabili a quelle della coltura in cui cresceva abitualmente e, attraverso un processo di selezione artificiale umano, è diventata una coltura particolarmente interessante nei riguardi della biodiversità ed ecosostenibilità ambientale e può così “regalarci” grandi benefici. Ciò di-
mostra che con perseveranza e tenacia si possono raggiungere traguardi insperati e, riferendomi ai nostri allevamenti di volatili familiari, possiamo tranquillamente affermare che il motto “Allevare è proteggere” rispecchia pienamente lo scopo diconservazione della biodiversità a cui noi allevatori contribuiamo con lo studio, il miglioramento, lo sviluppo e la conservazione del patrimonio ornitologico, riproducendo in ambiente controllato, soprattutto,soggetti in via di estinzione. Ma possiamo fare di più: dare più importanza all’alimentazione!Anche gli alimenti che utilizziamo nei nostri allevamenti possono contribuire all’ecosostenibilità. Scegliendo ed utilizzando mangimi, pastoncini ed altri prodotti che derivano da colture o produzioni a basso impatto ambientale, possiamo dare un piccolo contributo ecologico alla conservazione e tutela dell’ambiente. Sono piccole cose ma altrettanto importanti e, come recita la locuzione latina gutta cavat lapidem (la goccia scava la pietra), anche le nostre scelte, attuate con perseveranza, si trasformano in piccole azioni ecologiche e, come una goccia che pian piano riesce ad avere la meglio sulla dura roccia, possono apportare un piccolo contributo alla sopravvivenza della biodiversità.
Ad maiora, semper
ALCUNE FONTI:
-* Prof. Stefano Mancuso (docente all’Università di Firenze. È direttore del LINV (Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale) e della rivista «Plant Signaling & Behavior». È uno dei fondatori della neurobiologia vegetale, disciplina che studia i segnali e la comunicazione nelle piante a tutti livelli di organizzazione biologica dalla singola molecola alle comunità ecologiche. È autore di numerosi libri su comunicazione e comportamento dei vegetali.
-** Nikolaj Vavilov (agronomo, botanico e genetista russo), dopo un primo periodo di grande considerazione, venne avversato dalle autorità politiche sovietiche poiché in contrasto con Lysenko, agronomo appoggiato dal regime staliniano che lo fece arrestare e morire di stenti in Siberia.
-https://sottolequerce.altervista.org/w/index. php?title Stefano Mancuso
-https://antropocene.it/2020/07/23/camelinasativa/
-https://giunglaurbana.com/curiosita-dalmondo-vegetale/le-abilita-mimetiche-dellepiante/
-https://mangimiealimenti.it/
-https://site.unibo.it/progetto-argento/it
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Nittibio (Nyctibiusgriseus), fonte: www.wired.it
Scegliendo ed utilizzando mangimi, pastoncini ed altri prodotti che derivano da colture o produzioni a basso impatto ambientale, possiamo dare un piccolo contributo ecologico alla conservazione e tutela dell’ambiente
Questo mese, il protagonista di Photo Show è: LUCA FERRARI R.N.A. 38BC con la fotografia che ritrae il soggetto:
“G Gheppio americano” (Falco sparverius)
Complimenti dalla Redazione!
•Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it
•All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.
(*)Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione
Errori, correzioni e discussioni
di GIOVANNI CANALI, foto A. J. SANZ e E. DEL POZZO
Ho già scritto un articolo piuttosto polemico su I. O. maggio 2022 “Errori vecchi e nuovi” attinente a certi errori; poi, in seguito a discussioni varie, ne sono venuti fuori tanti altri, assieme a miglioramenti molto positivi rilevati in alcune mostre ed a situazioni dubbie. Qualche volta c’è chi continua a sostenere l’errore anche palese, perfino dopo che è stato spiegato come tale, spesso con la frase sconcertante: “ma io li allevo”, senza considerare che il fatto di allevare non è una scusante ma semmai un’aggravante, quando si dicono cose palesemente errate sui soggetti allevati. Allevare è certo utilissimo, talora indispensabile, ma non basta; bisogna anche interpretare l’esperienza in modo corretto! Proprio non si possono dire cose palesemente errate, con la giustificazione fasulla che “uno alleva”.
A questo proposito racconto sempre un episodio: stavo spiegando che esistono intensi che nascondono il mosaico ed intensi che portano il brinato. Un vecchio onesto allevatore si stupì dicendo, ma si badi senza intento polemico, che non aveva mai sentito parlare di intensi portatori di brinato. Erano decenni che accoppiava intenso x brinato poiché aveva sentito dire che bisognava fare così, ma non si era mai posto il problema di quale fosse il carattere dominante. Per lui alcuni somigliavano al papà ed altri alla mamma, tutto qui… Tuttavia non disse che non fosse vero.
A proposito di intenso, nonostante l’ampia letteratura sull’argomento, c’è chi considera questa mutazione domi-
nante e sub letale, che interviene sulla struttura delle produzioni cutanee, come una possibile forma selvatica,
quando per me dovrebbe essere ovvio che una caratteristica sub letale non possa essere forma selvatica. A volte
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Bruno opale bianco, foto: A. J. Sanz
Allevare è certo utilissimo, talora indispensabile, ma non basta; bisogna anche interpretare l’esperienza in modo corretto
si dice che bisogna preferire il maschio intenso e la femmina brinata, come in natura, quando in natura, l’intenso proprio non c’è! Si può semmai dire che le zone di elezione intense sono maggiori nel maschio canarino e non solo, ma è tutto un altro discorso, sempre di brinati si tratta.
Certe specie in natura sembrano intense, talora in entrambi i sessi (canarino del Mozambico), altre volte in uno solo (cardinalino del Venezuela) ma, secondo la mia interpretazione, è solo un’apparenza dovuta alla saturazione della penna ad opera dei lipocromi; infatti la struttura delle produzioni cutanee, penna compresa, è normale e sono sempre corrispondenti al brinato. In qualche caso quando ho detto e scritto che, per mia esperienza, è leggermente preferibile accoppiare la femmina intensa ed il maschio brinato, ho avuto stupori ed assistito ad equivoci. Alcuni erano interdetti e dubi-
tanti, altri equivocavano dicendo che io escludessi l’accoppiamento intenso maschio x femmina brinata… Ci mancherebbe altro! Non penso certo di rinunciare a maschi intensi ottimi ed a femmine brinate ottime! Dicevo solo che vi è una leggerissima, dico leggerissima, tendenza ad avere qualcosa di meglio con l’accoppiamento inverso a parità di valore dei riproduttori. Questa esperienza mi ha fatto capire che le spiegazioni, anche se precise, talora
vengono equivocate e ci sarebbe bisogno di spiegazioni reiterate e ribadite fino a diventare pedanti. Francamente mi accontento di cercare di essere molto chiaro (quando ci riesco), talora perfino ripetitivo, ma la pedanteria preferisco evitarla anche se a volte ci vorrebbe. Senza contare il fatto che argomenti oggettivamente complessi non possono essere semplificati oltre un certo limite.
Per approfondimenti sull’intenso rimando alla letteratura fondamentale, come il mio testo “I colori nel Canarino” e ad articoli come “L’unicità della mutazione intenso” I. O. n°8/9 del 2018.
Un aspetto che crea problemi a tutto campo è il fatto di preferire l’appariscente sul veramente tipico. Argomento che ho già trattato (“Appariscente, bello, tipico” I. O. n°2-2002, “Gradimenti dell’atipicità” I. O. n°102016).
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Nero opale mosaico giallo, foto: A. J. Sanz
Agata topazio mosaico giallo, foto: A. J. Sanz
Certe specie in natura sembrano intense, talora in entrambi i sessi (canarino del Mozambico), altre volte in uno solo (cardinalino del Venezuela)
Il caso lo si è notato bene con l’agata opale, l’agata pastello e l’agata topazio. Tutti e tre questi tipi hanno visto, in passato, concessioni a disegni pesanti, vale a dire poco diluiti come tipo base (sempre fondamentale il tipo base). È la vecchia faccenda dell’appariscente che prevale sul tipico. Poi magari si dice che i portatori di tali caratteri sono atipici. Lo credo bene! Quando si accoppiano mutati atipici come tipo base i portatori non possono certo essere tipici.
Recentemente però ho visto un miglioramento significativo su questo aspetto, in sede di giudizio. Desidero rallegrarmi e ricordare le linee errate per evitare reiterazioni.
Con l’opale si è cominciato per avere più azzurro, dimenticando la priorità del tipo base. Inoltre non è che le strie siano meno azzurre nei soggetti ben diluiti, sono semmai più evidenti quelle pesanti, in quanto non sufficientemente ridotte. Andando oltre, su questa china, si arriva perfino ad avere una perdita di azzurro, poiché gli agata opale finiscono col somigliare a dei pessimi neri opale. In un allevamento, notando agata opale poco azzurri con disegno pesante, pensai all’interazione con altre mutazioni alleliche e così alzai la gabbia per valutare se l’eumelanina fosse abbassata bene, oppure solo in parte. Ebbene era abbassata bene, il che fa pensare all’opale; certo erano così poco diluiti, come tipo base, da virare verso il nero opale, oltre ad essere derivati da accoppiamenti in purezza che ostacolano l’espressione azzurra. L’agata pastello ha avuto una situazione simile; infatti il disegno si è spesso tollerato o perfino gradito pesante, tanto da avere un grigio ferro così scuro da sfiorare l’antracite come nei neri pastello e finendo anche col favorire la confusione con classici portatori di satiné. Poi si è data indicazione corretta. Oggi ho visto ritornare disegni abbastanza tipici e me ne compiaccio.
Sempre su questa linea abbiamo avuto, in passato, anche l’agata topazio. Anche qui, disegni pesanti ed il color seppia (un marrone o bruno che dir si voglia) sempre più scuro e spesso con rachide poco chiara. Oggi ho no-
tato un significativo miglioramento, quindi maggiore tipicità.
Sul topazio bisogna fare un po’ di chiarezza partendo dall’inizio. Non sto a dire delle negazioni sull’esistenza del
topazio come mutazione, in quanto superatissime, e non vorrei infierire su chi arrivò al punto di negare l’esistenza degli alleli multipli. Dico che fin dall’inizio il topazio appariva con eumelanina non più nera e neppure grigia, ma marrone o bruna che dir si voglia. I neri erano molto simili a dei bruni classici. In certe specie, non a caso, si è parlato del nero topazio come di bruno autosomico.
Bisognava trovare una definizione. Io proposi “testa di moro”, vale a dire un marrone scuro o scurissimo, anche se può avere interpretazioni di gradazioni diverse, che poteva adattarsi sia al nero topazio che all’agata topazio, an-
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Agata opale brinato giallo, foto: E. del Pozzo
Fin dall’inizio il topazio appariva con eumelanina non più nera e neppure grigia, ma marrone o bruna che dir si voglia
che se con toni leggermente diversi. La proposta venne accolta. Poi qualcuno pensò di proporre altre espressioni, secondo me inopportune. Nel nero topazio “nero cioccolato”, solo
che questo colore non mi risulta esistere nelle scale di colori, almeno non l’ho trovato. Esiste o viene usato come tono di capelli marrone scurissimo. Si consideri che il cioccolato quando è
fondente è marrone scurissimo, ma non proprio nero, anche se talora viene definito così. Comunque questa definizione non crea problemi poiché, più o meno, capiscono tutti che non è proprio nero vero. Per quanto mi riguarda, apprezzo le scale di colori dove il nero è solo nero, ed il bianco è solo bianco. Problemi ne crea l’espressione “seppia” usata per l’agata topazio. Intendiamoci, secondo una delle tante scale di colori che ci sono, il colore seppia o meglio “bruno seppia” andrebbe benissimo. Non ricordo il nome di quella scala, ma è reperibile in negozi di colori ben forniti. In effetti vi è una corrispondenza quasi perfetta con il seppia di quella scala di colori, che è un bruno e corrisponde bene al tono dell’agata topazio. Il guaio è che quella scala di colori la conoscono in pochissimi e quasi tutti hanno pensato al “nero di seppia”, che è un altro colore pure reperibile in alcune scale di colori nelle quali è considerato come un marrone quasi nero. Tuttavia non manca, nella concezione comune, chi lo considera proprio nero. Certo in passato si è andati, nell’agata topazio, verso un disegno sempre più scuro. Va a finire che con questa linea il nero di seppia va quasi bene. Anche qui, oggi, mi pare che la tendenza venga corretta ed è bene.
Mi venne regalata una boccetta di quel colore seppia. In effetti, constatai abbastanza corrispondente al tono dell’agata topazio tipico; questo da parte del collega che propugnava quella scelta, se vogliamo corretta ma pericolosa per le possibili interpretazioni. Non dimentichiamo comunque che la mutazione topazio, che piaccia o no, fa degradare il nero verso un marrone, più o meno scuro. Non a caso io la preferisco in bruni ed isabella, ma questo è un mio gusto.
Il guaio dei colori è che non tutte le scale di colori sono uguali e vi sono anche interpretazioni diverse nell’utilizzo ed interpretazione dei colori stessi; senza considerare le percezioni individuali differenziate.
Sull’opale i problemi non ci sono solo nell’agata ma anche in altri tipi. L’isabella opale che quando è molto diluito, vale a dire ottimo come tipo base, con-
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Nero mogano mosaico rosso, foto: A. J. Sanz
Nero topazio mosaico rosso, foto: E. del Pozzo
serva a livello di melanine solo il perlaceo delle penne forti; oggi per assecondare l’estero, ove non hanno mai capito questo tipo, si prevede con un disegnino, vale a dire con meno diluizione, quindi virata verso l’atipico. Non dico oltre avendo già tuonato a sufficienza contro questa scelta. Nei neri opale c’è il problema delle espressioni diverse a seconda dell’accoppiamento in purezza o con portatori, e sia ben chiaro che l’uso dei portatori è perentorio! A creare ulteriore difficoltà ci sono, secondo me, due mutazioni alleliche: mogano, già accettata come tipo ma non da tutti come mutazione, ed ossidiana, come l’ho chiamata io, non ancora valutata bene. Il mogano, per chi lo considera mutazione, è recessivo verso il classico ed a dominanza parziale nei confronti dell’opale, con relativi intermedi talora ingannevoli. Da verificare bene l’ossidiana, che tuttavia pare avere
comportamento analogo al mogano. In effetti ci sono in giro molti presunti nero opale che tali non sono. A mio parere, quindi, sarebbe opportuno andare in verifica. Bisogna anche considerare diversi aspetti che attengono all’accoppiamento ed all’espressione dei caratteri. Il nero opale, se accoppiato in purezza, arriccia la penna per la minore riduzione dell’eumelanina abbassata ed il suo peso. Quindi, quando si accoppia in purezza ed il piu-
maggio non si arriccia, di certo almeno uno dei due soggetti non è un nero opale vero. Il mogano, rispetto all’opale, non ha l’abbassamento dell’eumelanina che rimane nella posizione normale e, come dicevo, ha una minore riduzione dell’eumelanina stessa e per contro ha l’inibizione della feomelanina che invece l’opale riduce soltanto. Nei bruni mogano la differenza con i bruni opale è evidentissima, poiché hanno la feomelanina inibita ed un disegno molto più marcato e di tono ben diverso dall’opale; infatti è sostanzialmente marrone grigiastro e non certo grigio azzurrino, ovviamente senza abbassamento. Quelli che possono creare problemi sono gli intermedi. Certo di suscitare discussioni, spero siano costruttive. Sempre di recente, in mostra, ho ammirato alcuni buoni e veri neri opale, dei quali si rischiava di perdere il ricordo e questo mi fa piacere e spero che il recupero continui.
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Il guaio dei colori è che non tutte le scale di colori sono uguali e vi sono anche interpretazioni diverse nell’utilizzo ed interpretazione dei colori
Quanto all’ossidiana, come mi sono permesso di chiamare l’altra mutazione probanda che ho segnalato, anche in questo caso l’eumelanina non è abbassata; rispetto all’opale è molto meno ridotta e non è azzurrina, inoltre la feomelanina, a differenza del mogano, non solo non è inibita ma è meno ridotta rispetto a quello che fa l’opale. Non descrivo i neri ossidiana poiché non li ho potuti osservare, ma descrivo i bruni ossidiana che ho visto più volte. Appaiono molto più scuri del bruno opale rispetto ad entrambe le melanine e non hanno nessuna traccia di azzurrino, come dicevo. Quello che mi preoccupa maggiormente sono gli intermedi bruni ossidiana-opale che temo vengano confusi con veri bruni opale particolarmente belli, avendo
anche l’azzurrino; questo almeno stando a certe mie osservazioni tuttavia non sufficientemente attendibili, per non aver potuto esaminare anche alla mano i soggetti presunti intermedi e non avendo notizie sulla loro origine, quindi da verificare. Quelli che sospetto, ribadisco sospetto, essere intermedi, cioè bruno opale-ossidiana, hanno un disegno molto forte ancorché con toni azzurrini e tracce talora evidenti di eumelanina bruna anche su becco ed unghie, feomelanina bruna spesso ben visibile. Osservando le timoniere dal di sotto di alcuni soggetti dubbi (non potevo sgabbiarli) ho notato abbassamento della melanina come nell’opale. Di conseguenza, o sono veri opale super selezionati, oppure si può pensare che negli inter-
medi opale-ossidiana vi sia l’abbassamento come nell’opale puro che, secondo questa ipotetica interpretazione, potrebbe prevalere. Si tratta comunque di limitate osservazioni, quindi tutto da verificare.
So che molti vorrebbero modificare lo standard del bruno opale seguendo l’ossidiana, cioè senza azzurrino o opalescenza come si dice meno correttamente. So anche che il tentativo è stato opportunamente e lodevolmente respinto, almeno per ora. Chiedo e non sommessamente, ma chiaramente, non sarebbe meglio riconoscere l’ossidiana come si è fatto per il mogano, dopo adeguato studio? Fra l’altro i soggetti ossidiana non sono affatto disprezzabili esteticamente (e per chi li avesse potrebbe essere un discreto affare).
Quanto ai soggetti sospettati di essere intermedi opale-ossidiana, come dicevo, ritengo si debba verificare la cosa. Il sistema è abbastanza semplice: basterebbe accoppiare fra di loro tali dubbi intermedi e vedere se la prole è più o meno omogenea oppure se, essendo intermedi, nascessero 25% opale, 25% ossidiana e 50% intermedi. Ci sono altri aspetti da considerare, certo, ma per ora mi fermerei, mi pare di aver fornito abbastanza spunti. Colgo solo l’occasione per una doverosa autocritica su di un errore, anche se parziale, che ho commesso in passato. In effetti, avendo esaminato un’onice alla mano, ho constatato un parziale abbassamento della melanina che non avevo segnalato in precedenza. Le remiganti non hanno abbassamento se non alle punte, mentre le timoniere sì, l’abbassamento si nota abbastanza bene. Le penne tettrici hanno abbassamento parziale e diverso fra di loro. Non sono in grado di precisare gli pterili di provenienza, poiché esaminavo da vivo e non volevo arrecare danno. Come si vede, non sono attento solo agli errori altrui ma soprattutto ai miei. La differenza con l’opale è tuttavia, comunque, palese sotto vari aspetti. Confermo che le barrature delle penne forti, più o meno evidenti nelle diverse mutazioni alleliche, sono il marchio di fabbrica di quel gene.
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Bruno mogano bianco, foto: E. del Pozzo
La Torba acida di sfagno
Un substrato prezioso per i nostri allevamenti
testo e foto a cura di LUCA GORRERI
Detta peat moss o torba acida di sfagno, è un substrato apparentemente simile al terriccio di foglie (bosco) ma derivato dalla decomposizione di un muschio, per l’appunto lo sfagno (Sphagnumsp.). La torba acida di sfagno è il risultato della parziale trasformazione dello sfagno in assenza d’ossigeno e prolungata per secoli. Lo sfagno è un muschio che si sviluppa in zone dove la piovosità è molto elevata e l’acqua meteorica, priva di sali, dilava costantemente dai minerali la superficie della torbiera, acidificandola. Le torbiere sono ambienti tipici di territori dove, a causa del clima temperato e di particolari condizioni idriche ed edafiche (del suolo), la sostanza organica prodotta dalle piante non si decompone e si accumula formando la torba. Le torbiere sono ecosistemi dove regna l’acqua. Pur con delle variazioni legate all’andamento climatico, il substrato è sempre saturo d’acqua, ferma o poco mobile. Questo è il fattore principale che determina la formazione della torba, materiale organico di origine vegetale, derivante dall’accumulo di sostanze indecomposte. Normalmente infatti batteri, funghi e altri microrganismi, responsabili della decomposizione dei resti degli esseri viventi, sono molto abbondanti nel suolo e consentono il
riciclo del materiale organico rendendolo disponibile sotto forma di nutrienti per altri organismi. L’acqua, al contrario, impedisce la sufficiente presenza di ossigeno, indispensabile per il metabolismo dei decompositori.
Nelle condizioni anossiche (senza ossigeno) presenti in torbiera, la materia vegetale accumulata con la morte delle piante si decompone molto lentamente e solo parzialmente. Non de-
componendosi, essa si accumula in quantità generando appunto la torba, un materiale poco mineralizzato, molto ricco di carbonio. Fin dopo la seconda guerra mondiale la torba era conosciuta come risorsa energetica. In passato l’economia agraria di sussistenza, alla ricerca di combustibili disponibili ed economici, si affidava molto spesso all’estrazione di questo materiale. A partire dagli anni ’50, i
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Torba acida di sfagno
L’acidità rappresenta fattore limitante agli stessi batteri
Paesi Europei produttori di torba (Irlanda, Svezia, Germania, Danimarca, Finlandia ed ex Unione Sovietica) misero a punto numerosi programmi di sviluppo. Negli anni ’60 la torba perse competitività sul mercato mondiale come conseguenza del maggiore utilizzo dei derivati del petrolio, ad eccezione dell’Irlanda e dell’ex U.R.S.S. dove veniva usata sia per il piccolo consumo locale ma anche per la produzione di energia elettrica. Soltanto dopo gli anni ’70 si assiste ad un cambiamento di rotta riguardo l’uso della torba, riscoprendone la sua destinazione agricola, in quanto da studi condotti sul suo utilizzo si è evidenziato che il petrolio, il gas e il carbone fornivano maggiore energia ad un costo minore. Infatti, dagli anni ’70, l’impiego della torba come substrato è cresciuto fino a divenire ai nostri giorni il più importante componente dei substrati sia da solo che in miscela con altri materiali. Essa viene utilizzata sia per scopi ortofloricoli che nel giardinaggio (Sogni, 1988). Oggi sussiste ancora, seppure in modo ridotto, l’uso della torba per produrre energia soprattutto per il riscaldamento domestico. In Germania utilizzano il suo carbone attivo come filtro per le centrali idriche. Nell’industria alimentare la torba viene utilizzata nella decolorazione e nel lavaggio dei prodotti e non mancano applicazioni anche in campo farmaceutico. La torba, inoltre, può venire utilizzata talvolta in combinazione con altri materiali come ad esempio fibra di cocco e compost, come biofiltro negli impianti di essicazione e nelle fabbriche a vario indirizzo produttivo. In Germania e in Svezia il suo utilizzo riguarda il campo dell’edilizia come materiale di isolamento. La torba è un materiale risultante dalla parziale decomposizione, in ambiente saturo d’acqua, di diverse specie vegetali, soprattutto muschi e piante sia erbacee sia
arbustive. Il loro contenuto minimo di sostanza organica è pari al 30%. La torba quindi è un composto organico, a reazione acida, più o meno decomposto, di origine vegetale. Alla sua formazione concorrono fattori quali clima, quantità e tipo di apporto idrico. Il clima gioca un ruolo di fondamentale importanza in quanto influenza in larga misura la ricchezza ed il tipo di specie presenti nelle torbiere, oltre che la velocità di decomposizione dei residui vegetali. La nascita della torba è il risultato dell’interazione di numerosi fattori tra cui le condizioni climatiche, la temperatura media annua, il bilancio idrico stagionale, la disponibilità di elementi minerali, la giacitura e il tipo di specie vegetali presenti. Il meccanismo di formazione della torba comincia quando il ritmo di accumulo di sostanza organica supera il ritmo di decomposizione della stessa; ha avuto
origine circa diecimila anni fa e continua ancora oggi. Inoltre, un importante fattore per la formazione delle torbe è la “capacità di degradazione”: ciò significa che alcune piante (es. Phragmites piuttosto che Typha) o parte di esse (rizomi piuttosto che fiori), o alcune sostanze (cere rispetto a zuccheri), sono meno predisposte alla loro degradazione favorendo l’accumulo della torba. I meccanismi che concorrono alla formazione di una torbiera sono principalmente di tre tipi:
•riempimento o interramento (vegetazione paludosa che occupa gradualmente la porzione di uno stagno o di un laghetto con contemporaneo deposito di sostanza organica per processi di sedimentazione);
•formazione primaria (la torba si forma direttamente da suolo minerale umido);
•impaludamento (la torbiera si origina in suoli minerali originariamente poco umidi).
Questo tipo di torbe ha un pH acido compreso tra 3 e 6,5 con un contenuto di sostanza organica oltre il 90% e una omogeneità apprezzabile in quanto risultano essere composte da poche specie vegetali decomposte. I più importanti paesi produttori sono Finlandia, Irlanda, Inghilterra, Lituania, Canada, Lettonia, Norvegia, Germania, Russia, Estonia, Svezia. In questo tipo di torbiere si distinguono uno strato più profondo e molto decomposto di colore scuro (torba bruna), e uno più superficiale e meno decomposto di colore chiaro (torba bionda).
Esperti in materia ci indicano che le torbe di sfagno sono costituite da muschi come gli Sphagnum capillifolium, Sphagnum fuscum, Aulacomnium palustre, Calliergonella cuspidata, Campylium stellatum, Climacium dendroides, Palustriella commutata,
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Grafico sulla formazione di un torbiera, fonte: paradisodellemappe.blogspot.com
Plagiomnium ellipticum, Pleurozium schreberi, Polytrichum strictum, Pseudocalliegon trifarium, Scorpidium cossoni, Scorpidium revolvens, Tomenthypnum nitens, Cephalozia pleniceps. Caratteristiche della torba acida di sfagno è di avere una sostanza orga-
nica composta che rappresenta il parametro che ci interessa maggiormente per i benefici che apporta (dati e scritti rilevati da eccellenti studi Universitari del dott. G. Zanin). Essenzialmente un ambiente acido è repellente alla presenza di batteri
e quindi il fondo della voliera, il fondo di un gabbione e delle gabbie che presentano uno strato di torba acida di sfagno, presenta ambiente acido (appunto un PH di circa 3-4) che non fa riprodurre i batteri in quanto l’acidità rappresenta un fat-
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Una torbieraLe aree con le maggiori torbiere nel mondo (colore verde intenso)
tore limitante agli stessi batteri (un pH acido, infatti, denatura le proteine di diversi microrganismi come i batteri). Nella voliera si distribuisce uno strato di torba di circa 6-7 cm (mentre nei gabbioni di circa 4 cm), soprattutto prima del periodo riproduttivo proprio per evitare che i pulli vengano in contatto con i batteri o con il cibo contaminato dagli stessi (esempio insetti). Questa accortezza contribuisce a evitare batteriosi che possono provocare ai piccoli (nei primi giorni di vita con poca immunità) seri problemi (pance gonfie, dissipazione ecc.) ed anche decessi. Spesso i genitori utilizzano il fondo delle voliere per ucciderci (se vivi) o frantumarci (se vivi o se congelati ma di grossa dimensione, perciò si consigliano i piccoli buffalo o pinkies) gli insetti da noi forniti come alimenti. Questo nocivo contatto con il terreno apporta germi negli insetti che sono umidi e quindi presentano una base di attacco di frammenti di terreno contaminati che quindi poi vanno a trovarsi in bocca dei pulli e, quindi, nei principali apparati (tratto gastrointestinale), sviluppando batteriosi dannose (es. Escherichia coli quella più comune). Mentre se all’insetto si appiccica un frammentino di torba acida di sfagno (proprio durante il movimento che i genitori eseguono con gli insetti nel becco sul substrato) e quindi va a finire nel becco dei pulli, ciò è importante in quanto quel frammento contribuirà ad acidificare l’apparato gastrointestinale del piccolo, rendendolo non idoneo alla presenza di batteri. Ecco il motivo per il quale è anche consigliato di mescolare agli insetti ad
esempio congelati (pinkies, buffalo, camole, tarme) un po’ di torba acida di sfagno mediante una spruzzatina di acqua per agevolarne l’attaccamento. Oppure, se insetti vivi, con una spruzzatina sugli stessi di olio di fegato di merluzzo o germe di grano e quindi torba. Logicamente, durante l’anno il substrato va ben gestito, cioè ogni tanto vanno raccolte le feci accumulate (anche se il potere della torba è quello di asciugarle subito e quindi renderle meno nocive e contaminanti) e va rinnovato con lo spargimento di nuovo; poi, buona maniera è quello di inumidirlo un po’ nel periodo estivo (utilizzando anche uno spruzzino con acqua). A fine stagione poi, togliendolo dalla voliera, potremmo utilizzarlo come strato utile magari per i vasi di fiori o per l’orto da mescolare alla terra. Quindi, cari allevatori, questo articolo ha lo scopo di consigliarvi di usare come substrato la torba acida di sfagno (o anche substrati molto acidi simili, se disponibili) in quanto vi accorgerete che le problematiche patologiche dovute alle batteriosi diminuiranno (specialmente nei pulli); da considerare anche altri fattori non indiffe-
renti di questi tempi, tipo il basso costo del prodotto (circa quindiciventi euro per sacco da 50 litri di torba) e il facile approvvigionamento e trasporto. Con alcuni allevatori di insettivori abbiamo eseguito alcune prove sperimentali utilizzando appunto la torba acida di sfagno, oppure terra normale o altri substrati (scaglie di conifere), ed i risultati migliori sono stati sui soggetti dove il substrato nel fondo era proprio la torba acida di sfagno. Importante durante l’acquisto nei negozi di prodotti agrari è quello di non acquistare un terriccio. Che differenza c’è tra la torba e il terriccio?
Il terriccio come la torba è ricco di materia organica, ma a differenza della torba è anche ricco di azoto e spesso di altri elementi chimici che non vanno bene come substrato per gli uccelli. Il terriccio fertile può essere infatti essere considerato un concime a lenta cessione, che rilascia i principi nutritivi anche chimici, utile però per le coltivazioni. Attenti anche all’acquisto della torba in quanto le agrarie dispongono di diverse tipologie di torbe; cioè occorre acquistare solamente la torba acida di sfagno (leggendo con attenzione l’etichetta sui sacchi) e scegliendo tra queste (nel caso ne dispongono di più ditte) quella che presenta un PH più acido, ossia un numero più basso (es. 2, 3 rispetto a 4 o 5). Le tipologie delle torbe acide di sfagno sono diverse come forma; ad esempio per il fondo di gabbie tipo canarini, meglio scegliere ed utilizzare quelle maggiormente fibrose, cioè che presentano alla vista fibre di torba di alcuni cm in modo che rimangono ferme sul fondo in quanto più pesanti rispetto ai frammenti vegetali più piccoli, che poi con il tempo si polverizzano maggiormente e magari si possono mescolare con i semi. Anche una bagnatura ogni tanto può essere utile (accentua la acidità e tiene ferma la torba). Chi volesse per curiosità visitare una sfagneta (ma senza portare secchio e paletta in quanto vietato) in Italia potrà vistare la torbiera di Roncon a Vigo di Fassa.
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Uso della torba nell’orto familiare (a fine ciclo dell’allevamento)
Quel frammento di torba contribuirà ad acidificare l’apparato gastrointestinale del piccolo
S pazio Club
Il2022 è stato un anno ricco di appuntamenti e di novità per il Club degli Psittacidi.
È cresciuto il numero dei soci ed è aumentato anche il numero delle persone che seguono la nostra pagina Facebook “Club degli Psittacidi” e il nostro gruppo “Mercatino del Club degli Psittacidi”.
Anche il nostro notiziario, giunto ormai alla quarta uscita, numero dopo numero sta diventando sempre più ricco grazie al contributo di zoologi, etologi, veterinari e appassionati che hanno condiviso le loro esperienze di allevamento.
Il traguardo più importante del 2022 però è stato l’organizzazione della prima mostra dopo la pandemia.
A inizio novembre 2022 abbiamo organizzato la prima edizione di “MyParrot”, Mostra Internazionale per soli Psittacidi, a Farigliano (CN).
Siamo fieri dei risultati ottenuti, anche se per un Club allestire una mostra è sempre un impegno importante sotto tutti gli aspetti. Tutto lo staff del Club e vari simpatizzanti si sono adoperati per la riuscita della manifestazione. Era importante per noi, alla prima edizione, vedere che tutto funzionasse alla perfezione e che noi fossimo preparati per organizzare un evento del genere, e così è stato.
Abbiamo cercato un luogo accogliente e adatto alle nostre esigenze che potesse ospitare l’evento nel modo migliore. Volevamo che il benessere e la pulizia fossero al primo posto, soprattutto in un momento così delicato per l’ornitologia in generale. I risultati sono stati molto soddisfacenti e ci fa piacere condividerli.
La premiazione è stata un momento di festa per tutti gli allevatori, che sono tornati a incontrarsi e confrontarsi dopo le restrizioni della pandemia, e sono stati consegnati molti premi speciali gentilmente offerti da diversi sponsor.
Le categorie erano veramente ben assortite e abbiamo pensato di fare una cosa che non era mai stata fatta: dividere gli Psittacidi in areali, come per l’appartenenza in natura.
Nei programmi del Club per l’anno in corso c’è
indubbiamente il progetto di costruire un gruppo sempre più grande e unito di amanti degli Psittacidi e ci stiamo dedicando attivamente a questo.
Stiamo già lavorando alla prossima edizione di “MyParrot”, che si terrà nel mese di novembre ad Airasca (TO), dove contiamo di inserire importanti novità. Sarà anche quest’anno una Mostra Internazionale di pregio, innovativa sotto tutti gli aspetti. Vi aspettiamo numerosi perché sarà un evento speciale e unico nel suo genere. Infine, per chi vorrà incontrarci e conoscerci meglio, un altro appuntamento importante è sicuramente a Modena. L’anno scorso abbiamo allestito e presentato uno stand apposito per il Club con molte novità piacevoli; i visitatori sono stati numerosi e siamo molto soddisfatti di questo.
I molti visitatori hanno apprezzato i vari gadget creati dal Club, attinenti al mondo degli Psittacidi e utili in allevamento. Il più gettonato, tant’è che è andato a ruba, è stato il registro di allevamento con pedigree dei soggetti incorporato.
Anche il 2023 sarà dunque un anno molto ricco. Vi aspettiamo alla prossima Mostra Internazionale e a Modena!
IL DIRETTIVO DEL CLUBDEGLI PSITTACIDI
Club di specializzazione
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Traguardi raggiunti e nuovi progetti per il Club degli Psittacidi
dal web e non solo
O rniFlash
Cornacchia esce dalla clinica ma ad aspettarla c’è la stessa rivale
Iacornacchia è tra le tante specie di uccelli che oramai da anni hanno lasciato il loro habitat per vivere nelle nostre città. Pur essendo un animale nato per vivere tra macchie alberate e spazi aperti, si è adattata magnificamente all’urbanizzazione umana dove, essendo un uccello onnivoro, sfrutta gli avanzi che trova tra i rifiuti cittadini. Sono, tra l’altro, anche molto territoriali e quando trovano una zona a loro congeniale per la ricchezza di cibo, la difendono da qualunque intruso. Proprio come è avvenuto alla cornacchia ricoverata al Cras di Campomorone gestito dall’Enpa; grazie alla segnalazione di un cittadino, l’uccello è stato recuperato gravemente ferito, malconcio e soprattutto stravolto dopo uno scontro con un suo simile.
Dopo il recupero la cornacchia aggredita è stata curata e rimessa in forze grazie alle terapie necessarie. Una volta ristabilita, i volontari hanno provveduto a rimettere in libertà il volatile nella stessa zona dove l’avevano trovata, come fanno spesso con altri animali recuperati. Non potevano però aspettarsi che al momento del rilascio si ripresentasse nuovamente la cornacchia “killer” che le si è scagliata contro lasciandola, dopo un nuovo combattimento, praticamente esanime al suolo. Per fortuna anche in questa occasione i volontari sono corsi ai ripari e, dopo aver prestato ulteriori cure, l’hanno rimessa in libertà ma questa volta in una zona ben lontana dalla sua rivale.
Fonte: https://www.kodami.it/cornacchia-esce-dalla-clinica-ma-ad-aspettarla-ce-la-stessa-rivaleche-la-rimanda-in-ambulatorio/
Due femmine di cicogna condividono lo stesso nido
Insieme
è meglio, anche quando sono due femmine a realizzare e a condividere lo stesso giaciglio. Hanno fatto proprio questo due cicogne femmina che in Repubblica Ceca si stanno dedicando rispettivamente alla cova nello stesso nido. Vivono insieme e si prendono cura delle loro uova.
Siamo a Chýnov dove il nido è monitorato h24 grazie a una webcam posizionata su una chiesa. L’intera nidificazione è seguita dall’ornitologo Michael Strnad.
Una delle due femmine è già nota agli esperti. Lo scorso anno aveva già dato alla luce dei piccoli. L’altro esemplare invece no. Si credeva potesse essere un maschio, ma poi Strnad e colleghi si sono ricreduti osservando la deposizione delle uova.
Solitamente non è facile determinare se una cicogna sia maschio o femmina, ma in questo caso la prova del nove è arrivata tramite le immagini riprese. Entrambe le cicogne si sono alternate nel deporre le proprie uova, otto in totale.
Si tratta di un numero sorprendente per la Repubblica Ceca anche se gli esperti non sanno se queste uova mai si schiuderanno. Le cicogne bianche si accoppiano all’interno del nido, difficile dire dunque se le otto uova siano state fecondate o meno. La schiusa dovrebbe verificarsi ad ogni modo a breve e sarà il tempo a fornire la risposta che tutti stanno aspettando.
Fonte: https://www.greenme.it/animali/animali-selvatici/due-femmine-di-cicogna-condividono-lostesso-nido-stanno-covando-le-loro-uova-insieme/
News al volo
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O rniFlash
Aquilotto cova un sasso: i veterinari gli regalano un “figlio”
Arrivato a 31 anni, Murphy ha cominciato a sentire una forte voglia di diventare papà. L’aquila calva ospite del World Bird Sanctuary nel Missouri si è messo così a preparare il nido per la cova. Ma non avendo una compagna e non avendo vere uova, ha “adottato” un sasso. E lo ha fatto con tanta paterna dedizione, che gli addetti al famoso santuario degli uccelli selvatici lo hanno trasferito in un’area protetta lontano dal pubblico.
Sembrava tuttavia una missione senza speranza: mai quel sasso si sarebbe schiuso a offrire a Murphy la gioia della vera paternità. Senonché è avvenuto quello che il direttore del santuario, Roger Holloway, ha definito «una coincidenza stupenda». Una violenta tempesta aveva strappato dal nido un aquilotto nei boschi di St. Genevieve, a circa 100 chilometri dal rifugio. Il piccolo richiedeva immediato aiuto, ed era stato portato all’ospedale dello stesso World Bird Sanctuary, specializzato nel soccorso di tutti i rapaci, dalle aquile ai falchi dai gufi ai nibbi. E i veterinari dell’ospedale hanno avuto un’idea: perché non metterlo vicino a Murphy e vedere se il suo desiderio di paternità si poteva trasferire dal sasso all’aquilotto?
L’idea si è rivelata un vero successo, ed è anzi diventata una storia virale, seguita in tutto il mondo grazie alla videocam su Facebook che il rifugio ha dell’area riservata alla coppia papà e figlio adottivo. Ma la prova che il 31enne e il piccolo stavano costruendo un legame reale è venuta quando il personale ha messo due piatti davanti ai due uccelli: un pesce intero per Murphy e pezzettini facili da ingoiare per baby. Invece di mangiare il pesce e lasciare che l’aquilotto si arrangiasse, Murphy ha cominciato a spezzettare il suo pesce in bocconi piccoli e a passarli al suo figlio adottivo. L’istinto ha preso il sopravvento anche su quest’aquila che non aveva mai visto o sperimentato la cova e la nascita di aquilotti.
Fonte: https://lavocedinewyork.com/animali/2023/05/16/aquila-cova-un-sasso-pensando-sia-unuovo-i-veterinari-gli-regalano-un-figlio/
Turbine rallentate per far passare gli uccelli
Quattroore di pausa, alcuni giorni fa, per le turbine eoliche al largo di Borssele ed Egmond aan Zee, nei Paesi Bassi. Le pale sono infatti state rallentate per consentire il passaggio degli uccelli migratori, come confermato dal ministro dell’energia Rob Jetten citato da DutchNews. Si tratterebbe di una prima assoluta.
Cos’è dunque accaduto? I giri delle turbine sono stati ridotti a un massimo di due al minuto. Un provvedimento che fa parte di una serie di prove che si svolgeranno questa primavera per valutare se le turbine possono essere fermate senza danni alla rete. L’intenzione è di applicare la misura ufficialmente a partire dal prossimo autunno. “Vogliamo ridurre il più possibile l’impatto dei parchi eolici sulla natura e questa è una misura per farlo” ha sottolineato Jetten. “In primavera e in autunno milioni di uccelli si spostano di notte sul Mare del Nord” ha spiegato Tim van Oijen del gruppo di protezione degli uccelli Vogelbescherming Nederland.
Fonte: https://www.rsi.ch/news/mondo/Turbine-rallentate-per-far-passare-gli-uccelli-16251082.html
al volo dal web e non solo
News
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Figli di un Dio minore
testo e foto di PASQUALE LEONE
Una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, “Science”, ha pubblicato nel numero del 12 giugno 2020 due interessanti articoli sui canarini mosaico rossi. Sia il primo, scritto dalla D.ssa Chen, Un gene per le differenze di colore tra i sessi, che il secondo, scritto dalla D.ssa Gazda, Un meccanismo genetico per il dicromatismo sessuale negli uccelli, prendono in esame il gene BCO2 quale causa del dicromatismo sessuale mediante il quale si è arrivati ai canarini mosaico rosso. Che una rivista del calibro di “Scien-
ce” pubblichi qualcosa sugli uccelli di affezione è sicuramente un evento poco comune; il fatto poi che decida, oltre a pubblicare ben due articoli, di dedicare anche la copertina ai canarini mosaico è da considerarsi un evento più unico che raro. Non nascondo che la cosa mi abbia fatto piacere (tra le alte cose, io sono un mosaicista*) e mi sarei aspettato, se non una forte reazione da parte del nostro movimento, almeno delle discussioni sul tema. Così non è stato, la pubblicazione è passata in sordina. Ho pensato che il motivo di ciò fosse dovuto a diversi fattori. Del resto, il
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Foto 1 - Le copertine di Science e Italia Ornitologica
Foto 2 - Lo studio della Gazda non arriva alla conclusione del canarino a fattore rosso, ma ai canarini mosaico
Che una rivista del calibro di “Science” pubblichi qualcosa sugli uccelli di affezione è sicuramente un evento poco comune
fatto che la rivista non sia di facile reperibilità qua da noi in Italia non aiuta certo la diffusione dei suoi contenuti. C’è poi da considerare che essendo pubblicata in inglese la cosa crei una barriera linguistica che ne limita la divulgazione, o magari c’è da pensare al fatto che noi ornicoltori, anche quando ci troviamo di fronte ad argomenti a noi molto vicini, non nutriamo particolare interesse quando gli approfondimenti vengono elaborati in siffatta maniera.
A distanza di circa tre anni dalla pubblicazione (forse anche di più se consideriamo il preprint **), sul numero di febbraio 2023 di I.O. è stato pubblicato un articolo di Alfonzetti, Transgenia nei canarini: il lipocromo rosso Un articolo di notevole interesse (come d’altronde Commento all’articolo Transgenia nei canarini: il lipocromo rosso, edito sul numero successivo di I.O. a firma di Giovanni Canali), che riprende in parte quanto pubblicato su “Science”. Peccato che lo studio non sia stato preso in esame nella sua pienezza. Ad ogni modo, non vorrei soffermarmi sui contenuti, ma fare una disamina sull’approccio che noi ornicoltori abbiamo quando ci troviamo di fronte a situazioni analoghe.
Divulgare un articolo che abbia uno
spessore del genere è importante, come certamente lo è dibatterne i contenuti; tuttavia, considerando che il fulcro del discorso è il canarino mo-
saico rosso, mi sarei aspettato che l’argomento fosse preso più “di petto”. (Una nota a firma congiunta Giovanni Canali e Marco Baldanzi riguardo questo articolo fu inviata e pubblicata dalla rivista Science, come riportato nella rubrica OrniFlash, I.O. 01/2021 – NdR)
Per quanto tacito, il pensiero comune che si ha dell’ornitofilia è che si tratti di una branca inferiore dell’ornitologia. Si ha quasi l’abitudine di attribuire al nostro hobby uno status di minorità: ciò probabilmente è dovuto al fatto che la sfera nella quale operiamo è prevalentemente quella pratica, ovvero quella dell’allevamento sportivo/amatoriale, e siamo noi stessi i primi a dare poca considerazione alle nozioni che finora abbiamo acquisito.
Tornando al punto in questione, come ben sappiamo il canarino mosaico rosso è frutto di una selezione fatta da noi ornicoltori seguendo una serie di criteri, intesi come canoni selettivi. La metodologia di allevamento e di selezione nella canaricoltura di colore è basata su dei concetti come ad esempio tipo, varietà e categoria, che non è detto trovino la loro equivalenza nel campo scientifico. Lo studio riportato nell’articolo su “Science” è stato sì condotto utilizzando dei dati oggettivi, da professionisti di alto lignaggio, ma se le ricerche vengono effettuate utilizzando dei criteri che non sono comuni a quelli di noi ornicoltori, per quanto sia indubbia la veridicità dei dati, l’elaborazione del risultato resta fuorviante poiché questi viene contestualizzato su presupposti di-
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Foto 3 - Anche lo studio della Chen arriva alla conclusione dei canarini mosaico
Foto 4 - La Chen considera il mosaico un ibrido
Divulgare un articolo che abbia uno spessore del genere è importante, come certamente lo è dibatterne i contenuti
versi. Se noi ornicoltori per “mosaico” intendiamo una categoria di canarino rosso (o giallo), mentre nello studio viene inteso come una razza a sé stante (foto 2, 3 e 5), o un ibrido (foto 4), è normale che vi siano delle incongruenze sulle considerazioni finali.
Beninteso, la mia non è un’osservazione che ha l’intento di denigrare chi utilizza dei criteri differenti dei nostri, anche in virtù del fatto che la tipologia degli studi ha carattere completamente diverso. Al contrario, mi piace pensare che nel nostro piccolo ciò che facciamo può essere considerato complementare allo studio complessivo sugli uccelli d’affezione. Purtroppo il rapporto tra ornitologia e ornitofilia non è un rapporto paritario. Nei riguardi dell’ornitologia intesa come scienza, noi ornicoltori abbiamo la tendenza a considerarci proprio come se fossimo figli di un Dio minore. Questo è un modo di dire piuttosto forte, che viene riferito a tutte quelle persone che hanno meno degli altri e si adatta perfettamente al nostro modo di porci nei confronti della scienza. Pur non avendo alcun limite fisico, cognitivo o materiale, dubitiamo di noi stessi, dei nostri criteri, anche quando il soggetto in questione è un canarino che abbiamo creato noi, iniziando dal nome, passando per il genoma ed arrivando alla selezione del fenotipo.
Eppure, nonostante i nostri risultati, non ci consideriamo “perfetti” come gli altri figli che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza, pertanto dobbiamo per forza essere figli di un altro Dio, minore. Si tratta di una forma mentis errata anche perché, tra l’altro, all’interno del nostro movimento ci sono persone di notevole valore che di certo non sfigurerebbero in un confronto anche ai più alti livelli scientifici.
La nostra società sta cambiando su tanti fronti. Le problematiche legate al nostro hobby sono un’ulteriore riprova che non possiamo più esimerci dai confronti. E non solo dovremmo confrontarci, ma dovremmo prendere altresì atto che anche il piano sul quale si tengono i confronti è ora
cambiato. Abbiamo la necessità di argomenti capaci di essere oggetto di dibattito che abbiano delle solide basi scientifiche.
È finito il tempo di mantenere un profilo basso poiché la società oggi ci cerca, ci pone delle domande e da noi si aspetta delle risposte. Tutto ciò
non deve intimidirci, anzi potremmo considerarla un’ottima opportunità. Come dicevo, tra i nostri iscritti abbiamo persone di notevole caratura (non solo scientifica) capaci di difendere le nostre tesi; abbiamo la storia dalla nostra parte, basti pensare alla stessa canaricoltura che ci ha supportati per oltre cinque secoli; abbiamo l’etologia, della quale noi stessi siamo un’ulteriore prova pratica. Dobbiamo considerare paritetico il contributo che noi ornicoltori diamo all’ornitologia, specie quando si prendono in esame i frutti del nostro operato. Non possiamo più considerarci “figli di un Dio minore” quando sono gli stessi fatti che dimostrano che siamo “fiori dello stesso giardino”.
NOTE
*mosaicista: allevatore di canarini mosaico lipocromici
**preprint: termine usato nell’editoria accademica che indica una prestampa. In pratica, si tratta della bozza di un articolo che viene resa disponibile a tutti, a titolo gratuito, prima della sua pubblicazione su una rivista nel circuito della letteratura scientifica
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Foto 5 - Parlare di razze di canarini mosaico è fuorviante
Eppure, nonostante i nostri risultati, non ci consideriamo “perfetti” come gli altri figli che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza, pertanto dobbiamo per forza essere figli di un altro Dio, minore
Nascita degli Standard e tipi di allevamento
di SERGIO PALMA, foto S. GIANNETTI
Non possiamo sapere quando realmente sia stato messo per iscritto il primo standard delle attuali Razze di Canarini. Le Razze più antiche di canarino risalgono alla seconda parte del diciottesimo secolo o ai primi anni del diciannovesimo. Quelli erano essenzialmente uccelli allevati in aree ben circoscritte. Tutti gli standard che sono venuti ad esistere sono pervenuti a mezzo di descrizione verbale e valutazioni sentimentali concordemente accettate dai gruppi di appassionati che erano coinvolti nella selezione. In tal modo, nel corso del tempo, da generazioni di anonimi canarini domestici sono emerse razze distinte e riconoscibili, alcune delle quali, come il Lizard, sono sopravvissute praticamente immutate fino ai giorni nostri. Qui bisognerebbe aprire un discorso a parte sulla purezza dei soggetti attualmente allevati, ma questo meriterebbe un articolo a parte.
Altre hanno subito notevoli cambiamenti rispetto alle origini, come ad esempio il canarino di Norwich, il Border, il Gloster etc. che oggi sono piuttosto diversi dai loro antenati di solo 20 anni fa.
Nell’ultima parte del diciannovesimo secolo il graduale miglioramento dell’istruzione generale portò alla pubblicazione dei primi manuali che trattavano sia l’allevamento che la selezione del canarino; alcuni erano abbastanza modesti e altri presentavano argomenti estremamente completi e riccamente illustrati. Tra questi ultimi, alcuni sono stati riconosciuti come classici nel loro genere e copie di essi in buone condizioni hanno prezzi elevati nel mercato degli antiquari. Fu in questi primi manuali di più di un secolo fa
che apparvero per la prima volta gli standard scritti delle varie razze di canarini, per lo più poco fedeli e a volte modificati dai vari autori. Essi possono forse essere stati realizzati dopo aver consultato altri esperti nei vari particolari campi, anche se su questo non viene data alcuna indicazione, mentre è più che probabile che lo stesso autore, spesso eminente giudice e riconosciuta autorità del suo tempo, fosse l’unico depositario dello standard, in considerazione del fatto che lo standard variava da libro a libro.
Ciò emerge abbastanza chiaramente, ad esempio, se ci si riferisce a W.A. Black-
stone, autore della sezione “Canarino” nel Cassell’s Book of Canaries and Cage Birds (scritto intorno al 1878) che, alla fine del capitolo sul Norwich, ha scritto: “Aggiungiamo una serie di scale in cui abbiamo cercato di esprimere i valori approssimati e relativi delle caratteristiche principali in termini numerici. Questa non è una cosa facile da fare e, una volta fatta, non è che un’espressione di opinione. Cercando di non omettere nulla di importante, non abbiamo reso queste scale così ricche di dettagli da essere praticamente ingestibili quando applicate allo scopo di giudicare criticamente”.
NUMERO 5 -2023 47 CANARINIDI FORMAE POSIZIONE LISCI
Lizard dorato, foto: S. Giannetti
In quanto espressione di intenti generali, questa difficilmente poteva essere superata e avrebbe potuto benissimo essere adottata come principio guida per molti degli standard ufficiali successivamente elaborati. Fu subito dopo questo periodo (la fine del 1880 e il 1890) che nacquero per la prima volta i vari Club di specializzazione. Ed è alla nascita di questi gruppi di specializzazione che dobbiamo gli standard di razze che oggi vanno per la maggiore nel nostro hobby. Gli scopi generali dei Club di specializzazione possono essere opportunamente riassunti come segue:
1)Mantenere e migliorare lo standard della razza che rappresentano;
2)Assistere e consigliare gli appassionati interessati a queste razze;
3)Pubblicare ed emanare uno Standard di eccellenza e una Scala di punteggio;
4)Favorire l’esposizione della razza;
5)Mantenere un gruppo di giudici competenti che officeranno le mostre nel rispetto degli standard stabiliti; L’aspetto di qualsiasi razza, molto raramente, rimane del tutto statico per un lungo periodo di tempo. Anche il Lizard, la razza più antica e meno modificata, ha mostrato notevoli miglioramenti nel corso degli anni, come indica chiaramente il confronto di esemplari di oggi con alcune delle illustrazioni della razza
di qualche decennio fa. Come accennato in un paragrafo precedente, il Norwich si è modificato talmente tanto da sembrare un canarino diverso dai suoi predecessori, quando cominciai ad allevarlo nel 1989; lo stesso vale per alcune razze “più giovani” come lo Yorkshire o il Border Fancy. Anche razze recentissime, come l’Arlecchino Portoghese, hanno già raggiunto standard più elevati di quanto forse si pensava possibile all’inizio del riconoscimento della razza poco più di un decennio fa. Naturalmente, non esiste una formula magica per produrre canarini buoni per l’esposizione e che si avvicinino molto all’ideale stabilito dallo standard. Tutti gli appassionati esperti di qualsiasi esperienza possono confermare che l’allevamento del bestiame in genere sia un’arte ancor più che una scienza, sebbene la scienza abbia un ruolo sempre più importante da svolgere - come testimonia il ruolo del genetista nell’allevamento commerciale del bestiame da reddito -. Va ricordato che le varie razze di canarino sono state originariamente prodotte mediante semplice selezione su base visiva e questo metodo, accompagnato per necessità da un disegno e da un certo grado di inbreeding, ha portato al raggiungimento di uno stato di ragionevole stabilità genetica, tanto da raggiungere un tipo riconoscibile da far emergere ed un
livello abbastanza affidabile di trasmissione dei fattori predominanti e tipici propri della razza. Ancora oggi si dovrebbe fare affidamento su principi simili. La selezione visiva e del canto sono probabilmente ancora gli strumenti più importanti, per cui, a meno che non si sappia cosa si stia cercando e non si riescano a distinguere le sfumature tra mediocre, buono, molto buono ed eccellente, ci si possono aspettare progressi. Accoppiare i migliori uccelli insieme e rifiutare spietatamente qualsiasi aspetto mediocre è ovviamente un buon punto di partenza. Quindi, il mantenimento solo del meglio della progenie dovrebbe garantire che gli standard vengano sufficientemente mantenuti. La maggior parte degli allevatori lavora più o meno su queste linee, anche se spesso c’è la tendenza a trattenere troppi soggetti ragionevolmente buoni piuttosto che a tenere poche coppie di esemplari veramente eccellenti. Questo può evitare la delusione della stagione riproduttiva scarsa nella qualità, ma di solito risulta, se vengono prodotti molti uccelli, una media sostenibile. Gli allevatori di maggior successo spesso riescono a creare ceppi di qualità eccezionale che sono il risultato della loro buona conoscenza di base nella selezione delle coppie riproduttive, aiutati da uno o più dei seguenti metodi ben definiti di allevamento.
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Norwich brinato, foto: S. Giannetti
Border pezzato, foto: S. Giannetti
1)Consanguineità. Al fine di mantenere l’alta qualità del ceppo, un allevatore spesso accoppia insieme individui strettamente imparentati che sa, o può presumere, essere di simile istituzione ereditaria. Ciò comporta l’accoppiamento di padre con figlia, madre con figlio, fratello e sorella e così via, cosa che in circostanze favorevoli può continuare per molte generazioni.
La consanguineità, tuttavia, deve essere affrontata con cautela perché, oltre a stabilire e rafforzare qualsiasi punto desiderabile, tende anche a portare alla luce eventuali punti negativi nascosti che all’inizio potrebbero non essere noti ma essere presenti nel ceppo.
Questo di per sé non è un male, a condizione che gli individui difettosi vengano rigorosamente esclusi da qualsiasi ulteriore programma di riproduzione. Chiaramente, se un uccello è un superbo esemplare da esposizione ma è afflitto da poca resistenza e scarsa vitalità va escluso anch’esso. Il pericolo e le delusioni della consanguineità diventano immediatamente evidenti e occorre un’enorme forza di volontà per scartare tali uccelli, sebbene fenotipicamente producano eccellenti esemplari, in quanto alla fine potrebbero portare alla estinzione del ceppo. Per ultimo, la consanguineità non dovrebbe mai essere intrapresa con ceppi di base di qualità solo moderata perché, nella migliore delle ipotesi, si perpetuerebbe la mediocrità.
2)Linebreeding. Questo termine è stato spesso applicato nel corso degli anni in modo da assumere diverse connotazioni e significati diversi per gli appassionati. Può trattarsi di:
(a)una forma modificata di consanguineità che comporta l’accoppiamento di individui meno imparentati tra loro, come cugini, o zii con nipoti, nipoti con zie e così via;
(b)l’istituzione di una linea diretta di discendenza da un individuo eccezionale accoppiandolo prima con le proprie figlie e poi con la nipote, e così via, in modo che vi sia una percentuale crescente del “sangue” originale nel ceppo;
(c)dirigendo diverse linee familiari separate e distinte all’interno di un gruppo in modo che ogni volta che è necessario un incrocio esso possa essere fatto con materiale noto da una delle altre linee, evitando così la necessità di introdurre una “qualità sconosciuta” da altri allevamenti. Si noterà che tutti questi metodi sono forme modificate di consanguineità, che variano solo di grado, cosicché gli stessi vantaggi e gli stessi trabocchetti sono associati al loro uso.
3)Outbreeding. Ciò consiste nell’allevamento di ceppi non imparentati o solo lontanamente imparentati e nell’introduzione di “sangue fresco” più o meno ogni anno per garantire che non avvenga alcuna consanguineità. Si ritiene generalmente che questo sistema produca una progenie più vigorosa ma, ovviamente, non è
possibile costruire in questo modo un vero e proprio “ceppo” di uccelli. Gli appassionati che non sono troppo interessati alle implicazioni delle varie teorie sull’allevamento scoprono che l’outbreeding serve molto bene allo scopo di ceppi robusti. Se lo stock iniziale e le sostituzioni regolari sono di alta qualità, di solito ci si possono aspettare alcuni esemplari da esposizione perfettamente in standard - e anche con la possibilità, occasionale, di soggetti davvero eccezionali -. Non è intenzione di questo articolo entrare nell’ambito dell’ereditarietà e della genetica dei canarini. Questo argomento è stato trattato altrove in modo sufficientemente dettagliato per la maggior parte degli appassionati in libri che ho solo l’onore di menzionare, quali Canaricoltura del prof. Zingoni o ancor prima il testo di H.J. Veerkamp Manuale sull’allevamento dei canarini di colore.
Io personalmente, nel mio piccolo allevamento, ho sempre usato il metodo di inbreeding, trovandomi sempre molto bene. La cosa che non deve mai mancare, per poter gestire bene questo sistema, è il registro, cartaceo o elettronico che sia. Buone cove a tutti!
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Gloster Corona pezzato, foto: S. Giannetti
Non esiste una formula magica per produrre canarini buoni
Divulgazione, che emozione!
testo e foto di ROSA MEOLA
Il 15 maggio scorso abbiamo premiato i 268 bambini che abbiamo incontrato in questi mesi con il progetto “Ornitologia a Scuola”. Non sapevamo che premi dare ai vincitori del
concorso, che consisteva nella realizzazione di un disegno a tema ornito-
logico che rappresentasse un uccellino in volo, oppure sul ramo di un albero, in un nido coi suoi piccoli, dando spazio alla fantasia. Oltre ai disegni, i bambini hanno fatto dei lavoretti che si
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sono rivelati dei veri capolavori. Ho scattato una miriade di foto che vi faranno emozionare, come mi sono emozionata io. Con i soci abbiamo pensato di dare a tutti i partecipanti un diploma di merito, una copia di Italia Ornitologica e, grazie alla nostra grande F.O.I., del materiale didattico che comprendeva quadernoni per poter disegnare e il preziosissimo libro “Manuale per l’allevamento” di Giovanni Canali e Tiziano Iemmi; in questo modo siamo riusciti a premiare tutti. Una giornata così bella che non saprei da dove iniziare per descriverla, una tempesta di emozioni e di gioia che non riuscivo a contenere. Per questo evento dobbiamo ringraziare l’insegnante Rachele Miriam Pisone e il dirigente scolastico Carmela Vendola che hanno messo a disposizione non solo la scuola ma che sono riuscite a coinvolgere tutto il perso-
nale docente e non docente con un lavoro per loro abbastanza impegnativo, visto che ci troviamo anche alla fine dell’anno scolastico. Il loro impegno non è stato solo quello di seguire i bambini nei loro lavoretti, ma di far loro recitare delle poesie; inoltre, ci hanno dedicato una canzone, sempre a tema, con relativa coreografia e balletto.
C’è stato poi un fuori programma: ho donato ad un bambino un canarino
perché me lo aveva chiesto con tanto desiderio e lui mi ha dato un abbraccio che non dimenticherò mai… non ho mai pianto di gioia come quel giorno. Voglio ringraziare i miei soci che hanno chiesto permessi sul lavoro e si sono astenuti da altri loro impegni per far sì che la giornata riuscisse al meglio. La scuola ci ha anche premiati con due diplomi: uno per me e uno al mio grande amico e socio Antonio Di Rita che mi ha aiutata in tutti questi mesi. Non posso dire altro che: grazie, F.O.I.! Avete dato gioia a tutti questi bambini e non solo. Vedo con immensa gioia che questi eventi si stanno moltiplicando in tutta Italia, in vari contesti che vanno dalle scuole agli ospedali alle case di riposo. E 268 grazie a tutti voi, cari bambini, che siete stati i veri protagonisti di questo evento e ci avete donato dei meravigliosi sorrisi. Vi vogliamo un mondo di bene.
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R ecensioni
Avifauna d’Italia - vol. II
Osservare, riconoscere e catalogare gli uccelli in natura
Autore: Giovanni Matranga
pagine 335
di FRANCESCO BADALAMENTI
Avifauna d’Italia è un’opera in due volumi in cui l’autore, l’ornitologo Giovanni Matranga, descrive e identifica tutti gli uccelli stanziali, nidificanti o svernanti sul nostro territorio.
Entrambi i volumi contengono un’introduzione all’anatomia e biologia degli Uccelli, cenni sui fenomeni migratori, le tecniche di osservazione, i biomi, e sono corredati da numerose e immagini a colori, con foto di ottima fattura, che aiutano l’appassionato di ornitologia o chi vuole approcciarsi per la prima volta a questo affascinante mondo, nel proprio percorso di apprendimento o approfondimento. Il tutto corredato da bellissime schede degli uccelli per ordini, famiglie, generi e specie trattate.
Nel I volume l’autore indica al lettore il percorso da seguire per apprendere le meraviglie del mondo alato, a prescindere dal proprio livello di conoscenza.
Il libro è diviso in due parti. Nella prima parte, l’autore con molta accuratezza introduce l’ornitologia, attraverso informazioni su biologia e anatomia degli uccelli. Nella seconda parte, con notevole precisione e rigore scientifico, sono descritte con molta cura 192 specie nidificanti (Passeriformi, Apodiforrmi, Coraciformi, Piciformi, Bucerotiformi, Coprimulgiformi, Columbiformi, Falconiformi, Cuculiformi, Accipitriformi, Strigiformi e Galliformi).
Nel II volume, in particolare sono trattati gli ordini degli: Anseriformi, Caradriformi, Ciconiformi, Fenicotteriformi, Gaviformi, Gruiformi, Pelecaniformi, Podicipediformi, Procellariformi e Suliformi.
Le schede comprendono la descrizione, alimentazione e riproduzione, con una cartina geografica che ne identifica e distingue le aree di nidificazione, di stanzialità e di svernamento con colori diversi e fotografie eccezionali con la distinzione tra i sessi e anche differenze di livree in funzione delle stagioni.
I volumi sono accompagnati da una pregevole raccolta di poster, richiedibili separatamente, con bellissime immagini degli uccelli trattati nei rispettivi libri.
L’autore Giovanni (Gianni) Matranga, giudice O.M.J., ornitologo e naturalista, relatore in convegni e seminari in tutta Italia, scrive per riviste specializzate ed ha pubblicato altri libri come “I colori degli Inseparabili”, “Il pianeta dei Pappagalli” e il I e II volume di “Avifauna d’Italia”.
I pappagalli sono sempre stati il campo preferito, senza tralasciare lo studio e la competenza sull’ornitologia in generale, la conservazione e protezione degli ambienti naturali ed altri argomenti correlati.
Entrambi i volumi di “Avifauna d’Italia” di Giovanni Matranga possono essere acquistati ordinandoli direttamente presso la Segreteria della Federazione Ornicoltori Italiani:
E-mail: ordini@foi.it
Telefono: 0523 593403
Prezzo di copertina € 35,00/cad.
Per contatti con l’autore: cell. 366.3256851
Novità editoriali
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L’obiettivo
a cura del dr. FLORIAN BOCK, traduzione GIORGIO PERUGINI
Premessa
Nei recenti eventi nazionali e internazionali c’è stata, a mio avviso, una notevole esposizione di soggetti fuori standard, premiati ed apprezzati, che però presentavano anomalie molto evidenti che non dovrebbero manifestarsi in un’espressione di armonia, proporzione e bellezza dell’Ondulato di Forma e Posizione.
Con questo articolo l’autore vorrebbe mettere in risalto i maggiori difetti, compatibilmente con lo Standard at-
tuale, che vengono purtroppo comunemente selezionati in allevamento e trascurati o non completamente considerati in fase di giudizio, tenendo conto
che l’Ondulato FP (Forma e Posizione) non è esclusivamente “grandezza della testa e piuma lunga”; inoltre, consiglia una proposta affinché molti di quei soggetti LT/LF (Long Tail/Long Flights = Coda/Ali lunghe) non vengano completamente squalificati ma valutati con criteri progressivi di penalizzazione. Come riferimento si è preso il modello standard del WBO/COM attualmente approvato.
Di seguito, la traduzione dell’articolo a firma Florian Bock
NUMERO 5 -2023 55 ONDULATIEDALTRI PSITTACIFORMI
L’Ondulato FP non è esclusivamente “grandezza della testa e piuma lunga”
Figura 1 - Punto di riferimento nella linea ideale
Figura 2 - Posizione corretta della posizione delle ali
Cosa prevede lo Standard WBO/COM
a)“Ali: adagiate sopra il piumaggio, ben aderenti e non incrociate. Ogni ala deve avere sette penne primarie visibili e completamente sviluppate e intatte.”
b)“Taglia, tipo + piumaggio, postura + posizione delle ali: valore 40 punti”
c)“Posizione delle ali, penne delle ali incrociate, pendenti, erette, ali incrociate: penalizzazione 1-5 punti
d)“Ulteriori motivi di esclusione: Ali/Coda lunghe”
Come si può vedere, lo standard ha numerose linee guida riguardanti la compostezza e la qualità delle ali e la posizione di volo.
Ma cosa succede in pratica?
L’applicazione coerente dello standard per quanto riguarda i difetti delle piume/ali può essere trovata nelle linee guida per le expo tedesche AZ-DWV.
Le linee guida di esposizione AZ (Germania) affermano che i soggetti Long Flights (Ali lunghe) devono essere esclusi dalla valutazione. Ciò che in pratica è accaduto in una esposizione europea (Europa Show, Karlsruhe), quando un giudice ha ritenuto “non giudicabili” numerosi uccelli di questo tipo in conformità con le linee guida. Finché non ci saranno requisiti chiaramente comprensibili, il giudice è esposto al disappunto degli allevatori insoddisfatti, poiché uccelli dello stesso tipo, a volte anche all’interno della stessa esposizione, non sono valutati in modo uniforme da giudici diversi. Se lo standard fosse applicato correttamente, un gran numero di uccelli dovrebbe essere escluso dalle esposizioni. La differenza di proporzione dei soggetti Long Flights (Ali lunghe), o uccelli con sangue di Long Flights, con gli standard è immensa.
È necessario definire in anticipo cos’è
un Long Flights. Bisogna essere consapevoli che, a causa della introduzione selvaggia di questa mutazione sudafricana nel pool genetico esistente negli ultimi 15-20 anni, la maggior parte degli uccelli nati sono forme miste con sangue Long Flights. Ma dove tracciamo la linea?
A livello internazionale, la tendenza si sta allontanando dall’utilizzo in riproduzione di soggetti Long Flights. Lo standard deve essere implementato in modo coerente e comprensibile. Questa è la mia proposta per la standardizzazione nella pratica e per aumentare la consapevolezza in merito.
Cosa dovrebbe essere dato per scontato
Non è importante come venga definito e considerato un Long Flights. Solo lo standard deve essere preso in considerazione; qualsiasi difformità dallo standard deve essere trat-
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Figura 3 - Distanza delle ali dalla linea ideale
Figura 4 - Distanza delle ali dalla linea ideale
tata con detrazioni univoche nel punteggio, come avviene per opalizzazioni o punti mancanti, ecc. Non è opportuno escludere dal giudizio i cosiddetti uccelli difettosi e lasciare al contempo i Long Flights senza penalizzazione, poiché la maggior parte degli uccelli difettosi provengono proprio dalla presenza di eredità genetiche miste con una preponderanza di Long Flights. Se gli allevatori sapessero che una posizione alare non in standard sarebbe certamente soggetta a penalizzazioni, si presterebbe maggiore attenzione a questo aspetto e ciò avrebbe anche una funzione educativa e rilevante per il benessere degli animali e per la selezione dei futuri soggetti da riproduzione. Ecco la mia proposta per la standardizzazione nella pratica e per aumentare la consapevolezza in relazione a questo punto.
Partendo dal punto ideale della posizione dell’ala, si disegnano i bordi intorno a questo punto (Figure 1 – 4).
· Una posizione entro un raggio di 1 cm non comporta punti di decurtazione.
· Raggio 1-2 cm comporta 2-3 punti di penalizzazione
Raggio 2-3 cm comporta 3-4 punti di penalizzazione
Raggio 3-4 cm comporta 4-5 punti di penalizzazione
Tutto ciò che supera un raggio di 4 cm è classificato come un Long Flights e di conseguenza il soggetto dovrà essere escluso. Lo stesso vale per la vista posteriore dell’uccello in relazione alle ali incrociate, alla coda cadente, ecc.
Usando questo metodo, si può garantire che i punti di penalizzazione nell’area delle ali siano sempre mantenuti; la consapevolezza di questo problema farà sì che la strada verso un uccello armonioso sia spianata, grazie soprattutto all’assenza di una forte influenza di Long Flights.
Lo standard non deve essere cambiato, deve essere semplicemente applicato!
Nella pagina seguente, alcuni disegni che evidenziano i difetti più evidenti per riconoscere un Long Flights o geneticamente derivato
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Non è opportuno escludere dal giudizio i cosiddetti uccelli difettosi e lasciare al contempo i Long Flights senza penalizzazione
I difetti più evidenti per riconoscere un Long Flights o geneticamente derivato
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La garzaia di Sartirana (PV)
Come gestire la biodiversità
di ROBERTO BASSO, fotoARCHIVIO CIVICO MUSEODI
Ho voluto approfondire e rendervi noto un annoso e crescente problema, che sta interessando molte aree naturalistiche di elevata importanza faunistica; in questi ambienti, in molti casi oasi o aree protette, la causa o concausa per cui la fauna, soprattutto quella nidificante, sta mostrando delle evidenti criticità è riferibile alla crescente invadenza di specie alloctone. Ma cerchiamo di entrare nel vivo della questione spiegando quanto sta accadendo nello specifico in questo
santuario della natura, istituito con Delibera Regionale nell’agosto 1996, col nome di “Monumento Naturale Garzaia di Sartirana”. Ambiente che ha visto un preliminare attento studio e ricerca da parte dell’esimio ornitologo Prof. Sergio Frugis (PV, 19302009), ritenuto uno dei maggiori ornitologi italiani del ‘900, nonché profondo conoscitore di quest’area.
A lui si deve nel 1995/98 un approfondito studio sulla flora, fauna ed ecologia di questo singolare biotopo. Dai suoi rilevamenti emerse un sito di rara importanza in virtù proprio della sua variegata biodiversità. La suddetta area interessa due comuni, Sartirana e Torre Beretti in provincia
di Pavia, situati nella Bassa Valle del Po, in quel contesto di territorio strategico tra i fiumi Po, Sesia e Ticino. L’oasi è costituita da un’ampia ansa a forma di ferro di cavallo e ha visto già in epoca storica l’insediamento di specie endemiche arboree d’alto fusto e arbustive, ma anche canneti e la formazione di isoloni, su cui hanno trovato dimora per la nidificazione pressoché tutte le specie di ardeidi, ma anche cicognidi, costituendo colonie di centinaia di individui, tra cui spiccava la presenza e nidificazione di spatola, mignattaio, airone rosso, airone bianco, tarabuso e questo solo per citare le specie ritenute ornitologicamente più importanti. La colonia
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Immagine del maestoso Castello medievale di Sartirana Lomellina
CRONACA
Frontespizio del depliant di presentazione della Garzaia di Sartirana
STORIA NATURALEDI JESOLO (VE)
negli anni 2015/16 ha raggiunto densità anche di 700/800 coppie nidificanti; con il continuativo monitoraggio di inanellatori dell’I.S.P.R.A. e dell’Università di Pavia è stato possibile produrre un’importante mole di dati.
Il lago di Sartirana può essere definito una “lanca” alimentata da acqua ri-
sorgiva con la storica presenza al suo interno di boschi idrofili. Difatti, numerose sono le querce secolari ed altri alberi di alto fusto. Tutto ciò è stato possibile grazie alla sensibilità e volontà sinergica di diverse componenti: la Regione Lombardia, la Provincia di Pavia, il Comune di Sartirana, ma soprattutto il suo ultimo proprietario, il Commendator Perotti, e il suo custode e guardia venatoria Michele Anzivino.
Nell’800 era terra dove la gente non invecchiava a causa della dilagante malaria; oggi è territorio bonificato e dissodato dall’uomo, è diventato ambiente fertile di risaia e di colture cerealicole. Ciò è stato possibile grazie alla sua radicale bonifica, apportata da 14.000 braccianti scarriolanti, e alla realizzazione del Canale Cavour. Tra il 1863 e il 1866 avvenne la prima sua grande trasformazione. Queste terre sono storicamente appartenute prima ai Reali di Sartirana, partendo dagli Arborio, ai Savoia Duca d’Aosta e poi ancora al Dott. De Angeli, noto farmaceuta. Sino ad arrivare agli inizi degli anni ‘90, quando il lago di Sartirana fu acquistato dal Commendator Aldo Perotti, capace e noto imprenditore milanese, che fu anche console d’Etiopia e Burkina Faso. Innamoratosi del sito, seppe concretizzarvi una
vera e propria svolta, destinandovi importanti risorse e idee a vantaggio della sua conservazione e tutela. Recentemente deceduto, la proprietà è oggi passata ai suoi eredi, dott. Leonardo e Alessandro, che stanno coerentemente portando avanti quella che era l’idea conservazionista del loro padre. Nel frattempo quest’area è diventata S.I.C. (Sito di Interesse Comunitario) e Z.P.S. (Zona di Protezione Speciale) e sono sorti lungo gli argini esterni degli osservatori ornitologici e dei percorsi-visita che hanno consentito la crescente frequentazione da parte di ornitologi e naturalisti italiani e stranieri, animati dal desiderio di documentare e conoscere questo singolare biotopo.
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Immagine del grande ornitologo e naturalista
Prof. Sergio Frugis. A lui si devono gli studi preliminari e il progetto d’istituzione dell’area naturalistica di Sartirana Lomellina
Una recente immagine del Commendator Perotti, proprietario e attento conservazionista
Giovane esemplare di airone rosso nato nella Garzaia di Sartirana
Tarabuso, rara presenza nidificante in Italia e per anni presente nell’area naturalistica di Sartirana
Il lago di Sartirana può essere definito una “lanca” alimentata da acqua risorgiva con la storica presenza al suo interno di boschi idrofili
Fino qua parrebbe una bella storia a lieto fine, un bell’esempio di sinergica collaborazione tra istituzioni scientifiche, pubbliche e private che hanno consentito un’indubbia e riconosciuta riqualificazione del sito sia sotto il profilo naturalistico che della sua tutela.
Ma negli ultimi anni si è assistito a un progressivo impoverimento, con un drastico calo dell’entità e presenza di specie nidificanti che in origine popolavano la cospicua garzaia.
Ed ecco che qui si inserisce la mia curiosità e volontà di approfondire quanto sta accadendo, tanto che ho voluto intervistare l’operatore che da 30 anni vive e risiede all’interno della sopraindicata area naturalistica, dedicandovi in questo lasso di tempo impegno, competenza e dedizione, svolgendo le più disparate mansioni. Attività che spaziano dal mantenimento e controllo del ricambio dell’acqua alla potatura e controllo delle specie arboree alloctone invasive, alla conduzione di studiosi e naturalisti lungo i sinuosi canali, sino alle aree di studio e di inanellamento, ma soprattutto la costante vigilanza di giorno e di notte, con operazioni anche rischiose per la sua stessa incolumità. L’area non è stata oggetto di particolari problematiche legate al bracconaggio della fauna ornitologica e degli ungulati, bensì della fauna ittica ad opera di spregiudicati bracconieri italiani e stranieri che nottetempo cercano di collocarvi reti, nasse o addirittura, con degli storditori elettrici, tramortiscono le specie ittiche senza alcun criterio selettivo.
Michele si inorgoglisce quando elenca fatti ed episodi che l’hanno portato più volte alla ribalta della stampa locale, vedendogli anche riconoscere importanti attestati di benemerenza proprio per la sua dedizione e integerrimo impegno. Ma quando gli chiedo ciò che lo sta preoccupando maggiormente, ecco che gli si annoda la gola e con tono di voce sconsolato inizia a snocciolare date e momenti storici. “Agli inizi degli anni Novanta ho assistito all’esplo-
sione demografica della nutria e del siluro; quest’ultimo ha ben presto eliminato e fortemente rarefatto tutte quelle specie ittiche endemiche come la tinca, il luccio e l’anguilla. Poi è stata la volta dello scoiattolo grigio, che in pochi anni ha soverchiato la popolazione di scoiattolo rosso, un tempo abbondante nei boschi dell’oasi. E poi ancora, la Emys cripta che ha sopraffatto l’endemica Emys orbicularis, ed infine l’Ibis sacro che si è moltiplicato in modo esponenziale a partire dal 2000.
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Mignattaio adulto fotografato in Garzaia
Nutrita nidiata di falchi di palude, specie da anni nidificante a Sartirana
Negli ultimi anni si è assistito a un progressivo impoverimento, con un drastico calo dell’entità e presenza di specie nidificanti
All’inizio se ne osservava qualche esemplare e la sua esoticità poteva anche far piacere e attrarre gli appassionati di birdwatching, ma col trascorrere degli anni ho potuto assistere e vivere in prima persona la sua invadenza e indole predatoria e, allo stesso tempo, l’impotenza di tutte le altre specie di endemici ardeidi, che hanno visto prima predare le loro uova e pulcini e successivamente occupare ogni sito idoneo alla loro nidificazione. Gli
ibis sacri costruiscono grandi piattaforme sugli storici nidi di garzette nitticore e aironi guardabuoi, creando anche colonie al suolo su isolotti emergenti. Il loro guano molto più acidulo brucia progressivamente la vegetazione circostante, creando un ambiente maleodorante e spoglio. Ma l’allontanamento delle diverse specie di ardeidi endemici, in particolare quelli con abitudini alimentari diurne come la garzetta, la sgarza ciuffetto, l’airone guardabuoi, l’airone cenerino e l’airone rosso e bianco è dato anche dal fatto che lungo i fossi, negli scalda acqua o nelle risaie, dove sono soliti alimentarsi gli ibis, tutte le altre specie competitivamente vengono scacciate e non hanno possibilità di alimentarsi. Proprio nei periodi in cui hanno i piccoli nei nidi e avrebbero più bisogno di alimentarsi, in quei canali che si prosciugano o in cui diminuisce notevolmente il livello dell’acqua, questi diventano siti prioritari per la ricerca del cibo e l’alimentazione della loro prole. Io credo che questa sia tutta una concomitanza di fattori che hanno portato all’impoverimento della densità numerica coloniale. La situazione nella primavera/estate 2022 ha fatto rilevare che da 800 coppie nidificanti in garzaia quest’anno ce ne saranno state al massimo un centinaio. Gli appassionati naturalisti e fotografi, che anche que-
st’anno hanno fatto visita a questo sito, sono rimasti increduli nell’apprendere della ormai ripetuta assenza, come nidificanti, di quelle specie più rare e pertanto meritevoli di prioritaria tutela. Ma ciò che a me fa ancora più male è pensare a tutte quelle risorse e a tutto quel lavoro che, grazie al Commendator Perotti, è stato fatto negli anni per far crescere questa garzaia e tutelarne i suoi ospiti.Oggi, a causa della crescente presenza dell’ibis sacro in tutto il Centro-Nord Italia, con un colpo di spugna si sono cancellati 30 anni di continuativo lavoro anche in numerose altre garzaie e oasi naturalistiche di Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Io spero, confido nella sensibilità delle istituzioni e degli organi competenti affinché si possa trovare una soluzione che possa ricreare quell’equilibrio necessario e favorevole al ripristino della sua biodiversità”.
A questo punto, al signor Michele Anzivino ho smesso di fare domande sugli aspetti faunistici e legati alla garzaia, in quanto ho notato in lui tanto rammarico e dispiacere di fronte alla sua impotenza. Gli chiedo allora le sue origini e di come è arrivato a Sartirana. “Le mie origini sono irpine. Sono nato a Montaguto (AV). Non avrei mai immaginato che grazie alla fiducia ridepostami dal Comm. Perotti io potessi appassionarmi e legarmi così tanto a questo territorio, che sento come una mia seconda terra. Ho imparato a conoscere a fondo non solo le varie sfaccettature ambientali, ma anche la mentalità e la cultura degli abitanti della Lomellina, la loro laboriosità e
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Ibis sacri svernanti nell’area umida di Sartirana
L’intervistato custode e agente di vigilanza venatoria Michele Anzivino
Gli ibis sacri costruiscono grandi piattaforme sugli storici nidi di garzette nitticore e aironi guardabuoi, creando anche colonie al suolo su isolotti emergenti
legame alle tradizioni. Questo mi ha spinto a dedicarmi nei ritagli di tempo anche al sociale. La primavera e l’autunno sono le due stagioni più ricche di colori e di biodiversità; vi transitano numerosi migratori, anche non comuni come la cicogna nera, il nibbio bruno e reale, l’aquila anatraia, il falco pellegrino e sempre più numerose le gru ce-
nerine, le oche selvatiche, specie in passato sicuramente meno comuni. Recentemente ha fatto la propria comparsa anche l’istrice, che ho incontrato più volte durante le mie sorveglianze e controlli notturni. Vivere a stretto contatto con la natura ti arricchisce ogni giorno di nuove conoscenze ed esperienze e ti rendi conto di come la specie umana, avendo prepotentemente trasformato l’ambiente a proprio uso e consumo, allo stesso tempo debba impegnarsi a tutelarne e valorizzarne quelle nicchie ancora miracolosamente rimaste integre, proprio perché sono quegli ambienti privilegiati dalla nostra fauna e flora. Il mio grande desiderio, che era anche poi quello del Comm. Perotti, è che questo territorio possa, col trascorrere del tempo, potersi conservare anche attraverso una indispensabile e competente gestione mirata alla tutela della sua endemica biodiversità”.
NUMERO 5 -2023 63
Rara immagine di una nidiata di tarabusi
La primavera e l’autunno sono le due stagioni più ricche di colori e di biodiversità; vi transitano numerosi migratori, anche non comuni
Il “Salone dei Fringillidi”
Con il colore in festa sul Tirreno
testo e foto di PIER LUIGI PELLEGRINO
(ASS. AMANTIA), DIEGO NACCARATO (ASS. TIRRENICA)e FRANCESCO LANZILLOTTA (ASS. PAOLANA)
Dopo tre anni di forzato stop, è tornato in scena il “Salone dei Fringillidi” di Paola, questa volta con la novità dei canarini di colore e di forma e posizione lisci, che hanno contribuito a ravvivare ancor più la manifestazione. Oltre all’Associazione Paolana, padrona di casa, hanno collaborato alla realizzazione dell’evento le Associazioni Amantia e Tirrenica. Numerosi gli allevatori-espositori che hanno iscritto alla competizione soggetti di pregevole bellezza. Tra i partecipanti, una nota di ammirazione è doverosa farla per il “Maestro” Antonio LA VOLPE, che ci ha onorati della sua presenza e ci ha deli-
ziato con la visione dei suoi splendidi pennuti.
Il vincitore del Gran Trofeo ATP 1ª edizione, realizzato in vetro con la creazione artigianale del logo ATP, è stato l’allevatore siciliano Vincenzo AVOLA, 2° e 3° classificati rispettivamente gli allevatori Raffaele BERNARDO e Pasquale SACCO. Il Trofeo “Paolo Gregorutti”, messo in palio per il miglior cardellino ancestrale, se lo è aggiudicato l’allevatore Marco ABRAMO.
Sostanziosa anche la premiazione speciale con la consegna di molteplici prodotti di rinomate marche in commercio, presenti anche con diversi stand all’in-
terno della mostra che hanno attirato l’attenzione dei numerosi visitatori per procurarsi le materie prime per i propri allevamenti.
In conclusione, un doveroso ringraziamento va a tutti i partecipanti, agli Enti locali ed agli sponsor per la gentile collaborazione alla buona riuscita dell’evento, all’amico Enzo DEL POZZO per aver dato maggiore risalto alla manifestazione con i suoi meravigliosi “scatti” e, non per ultimi, a tutti i collaboratori. Un arrivederci alla 2ª edizione della mostra ATP – “Il Salone dei Fringillidi con il Colore in festa sul Tirreno”, che si svolgerà dal 2 al 5 novembre 2023.
64 NUMERO 5 -2023 CRONACA