Italia Ornitologica, numero 1 2024

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Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

ANNO L numero 1 2024



ANNO L NUMERO 1 2024

sommario Italia Ornitologica Pasquale Leone (introduzione Gennaro Iannuccilli)

Cambiamenti da valutare Diego Crovace e Giovanni Canali

I Ciuffolotti Davide Lonardi

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Il Trombettiere ad ali rosa Piercarlo Rossi

Le Mostre Sergio Palma

OrniFlash News al volo dal web e non solo

Nuovo spazio per il Genere Pyrrhura al Loro Parque Rafael Zamora Padrón

Photo Show Le foto scattate dagli allevatori

La Cesena

Canarini di Colore

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Canarini di Forma e Posizione Lisci

Canarini Border: la mutazione bianca Angelo Lagi

Spazio Club Club Arricciato Padovano

Pezzato Recessivo Giovanni Fogliati

Schemocromi: Opale e Limone Mimmo Alfonzetti

La Romice crespa o Lapazio (Rumex crispus) Pierluigi Mengacci

Il fuoco della passione Francesco Di Giorgio

AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it

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Dino Tessariol

Domande sul Satiné Giovanni Canali

Ondulati ed altri Psittaciformi

Estrildidi Fringillidi Ibridi

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OrniDay - Divulgazione ornitologica dedicata per i più piccoli

62 Sintesi verbale CDF del 20 e 21/10/2023 Stralcio verbale CDF del 12 e 13/01/2024 64 Michael Gabriel Miccichè

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Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 1 - 2024 è stato licenziato per la stampa il 26/1/2024



Editoriale

Italia Ornitologica L’alternativa ad una eredità immateriale testo di PASQUALE LEONE, introduzione di G. IANNUCCILLI, foto P. LEONE e F.O.I.

50° anno di pubblicazione

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on il primo numero del 2024, Italia Ornitologica entra nel suo 50° anno di pubblicazione. Si tratta di un traguardo davvero ragguardevole per una testata dedicata esclusivamente a un tema particolare, quale l’ornitologia amatoriale e sportiva. Il merito di tale traguardo va a tutti coloro che negli anni hanno contribuito a realizzare numero dopo numero le varie “uscite”, susseguitesi ininterrottamente, talvolta tra varie difficoltà, e distribuite agli allevatori e appassionati iscritti alla Federazione Ornicoltori Italiani. Sarebbe particolarmente lungo citare tutti i loro nomi nonché i “direttori” della rivista, tra cui ricordiamo Giorgio de Baseggio, Giovanni Chillè, Ettore Meneghello; degno di nota, il cambio di passo editoriale che si ebbe con l’avvento di Salvatore Cirmi e del suo team di collaboratori, tra cui annoveriamo Umberto Zingoni, ancora oggi considerato da tutti come un luminare dell’ornitologia amatoriale. Sappiamo quanta dedizione ebbe

Foto 1 - I prime tre numeri di Italia Ornitologica

l’ex Presidente Cirmi nei confronti di Italia Ornitologica, rendendola definitivamente il fiore all’occhiello della F.O.I. Anche nella loro memoria, Italia Ornitologica continuerà ad essere il punto di riferimento di tutti gli appassionati ornicoltori, basandosi sulla sostanza a prescindere dalla forma e dalla periodicità che potrà assumere nel futuro. Un futuro nel quale saremo chiamati ad assumere decisioni e atteggiamenti diversi ma sempre con l’obbiettivo di favorire e sostenere il complesso delle attività ornitologiche, e tra queste annoveriamo anche la nostra – ormai storica – rivista. Senza concordarlo preventivamente, abbiamo ricevuto di recente un articolo del socio Pasquale Leone, frequente collaboratore della rivista, nel quale vengono trattati spunti, riflessioni e considerazioni che riguardano gli scopi, le finalità principali e l’importanza di Italia Ornitologica. Ci è sembrato opportuno inglobare tale articolo in questo editoriale dedicato al 50° anno di pubblicazione. Buona lettura e auguri a Italia Ornitologica! G ENNARO IANNUCCILLI

Foto 2 - L’ex Presidente Salvatore Cirmi

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Editoriale talia Ornitologica è una rivista nata nel mezzo delle critiche e probabilmente continuerà ad essere criticata fino alla fine del suo ciclo vitale. Il problema non è dovuto alla rivista in sé stessa, all’impostazione, agli argomenti o ai contenuti ma semplicemente alla diversità culturale delle persone alle quali essa è destinata. Difatti, la peculiarità di noi ornicoltori consiste proprio nel fatto che la passione per l’ornicoltura sia il solo filo conduttore capace di unire un gruppo di persone provenienti dalle più diverse realtà e che spesso hanno idee divergenti tra loro. Storicamente la nostra rivista ha avuto sempre delle contraddizioni di pensiero. Già dal suo primo anno di pubblicazione si evince di quanto il “rodaggio” sia stato a dir poco anomalo. Una rivista bimestrale che da aprile a dicembre pubblica tre numeri (foto 1) fa pensare. Così come fa pensare lo sforzo di unire le diverse anime per realizzare qualcosa che nelle altre nazioni era normale, mentre da noi sembrava non lo fosse così tanto (foto 3). Anche l’editoriale della terza pubblicazione da parte dell’allora direttore G. de Baseggio (foto 4), che chiude il primo anno di esperienza della rivista, la dice lunga su come stessero le cose in quel preciso momento storico. Tuttavia, dopo una partenza con qualche problema, negli anni successivi la rivista era divenuta quasi un “collante aggiuntivo” al nostro movimento. C’è anche da considerare che l’arco temporale che intercorre tra gli anni ’80 ed il primo decennio degli anni 2000 è stato il momento in cui l’ornicoltura ha vissuto il culmine della sua popolarità. Poi, nell’ultimo decennio, l’interesse verso la rivista è andato apparentemente scemando. C’è stato addirittura chi ha sostenuto che Italia Ornitologica fosse una spesa inutile per le casse federali e che potesse essere surrogabile da una rivista digitale. Un vero peccato per tante ragioni. Senza voler far torto a nessuno, se facciamo un paragone con le riviste delle altre federazioni, Italia Ornitologica è una delle migliori pubblicazioni, se non addirittura la migliore, presenti sullo scenario mondiale. È abitudine di noi ornicoltori considerare Italia Ornitologica una nostra esclusiva rivista di ornicoltura tecnica e pratica, dimenticando che essa sia anche lo strumento che abbiamo per fare divulgazione scientifica riguardo agli uccelli di nostro interesse e dimenticando soprattutto che Italia Ornitologica sia il nostro biglietto da visita per la società che ci circonda. Questo perché da tempo siamo chiusi nel nostro “piccolo mondo alato” senza quasi renderci conto che questo atteggiamento ha costruito delle barriere rispetto alla società in cui viviamo, alienando gradualmente sempre di più il nostro movimento. La cosa non è stata unilaterale. Probabilmente anche alcune tendenze ideologiche pseudo-animaliste hanno contribuito affinché tutto ciò avvenisse e di certo alcuni nostri atteggiamenti non sono stati d’aiuto a migliorare la comunicazione. Ad esempio, uno dei nostri limiti consiste proprio nel fatto che non riusciamo a dare il giusto valore al nostro operato.

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Foto 3 - La situazione all’uscita del numero zero

Foto 4 - La situazione dopo il primo anno di esperienza


Editoriale

Sembriamo pervasi da uno strano senso di inadeguatezza che non ci permette di trovare lo spazio giusto nei vari contesti, ivi inclusi quello scientifico e quello culturale. Mentre le varie realtà culturali cercano di valorizzare in ogni maniera le rispettive sfere di competenza, sembra che noi non abbiamo memoria di ciò che abbiamo realizzato nel corso degli anni, dei traguardi che abbiamo raggiunto, del nostro excursus storico complessivo. Una controtendenza rispetto a come si pone il mondo in realtà analoghe alle nostre. Circa una ventina di anni or sono, l’UNESCO emanò una convenzione per la salvaguardia delle “eredità immateriali”, ovvero quell’insieme di pratiche, rappresentazioni, espressioni e conoscenze tecniche che le comunità, i gruppi e in taluni casi anche gli stessi individui riconoscono come parte del proprio patrimonio culturale. Tali eredità riguardano

soprattutto le tradizioni orali che si trasmettono di generazione in generazione e che esprimono un senso di continuità storica e di identità culturale di un gruppo, una comunità, un territorio. Proprio in virtù del fatto che tali eredità siano particolarmente vulnerabili, l’UNESCO si è proposta di operare a salvaguardia e tutela delle stesse, svolgendo altresì un’attività di promozione e organizzazione. Vi sono casi in cui è stato introdotto “il libro dei saperi”, “il libro delle celebrazioni” ed altri simili. Noi ornicoltori, ovviamente, non rientriamo in queste categorie solo perché abbiamo Italia Ornitologica; tuttavia, è innegabile che ciò abbia apportato un notevole aiuto. Autonomamente e di nostra iniziativa abbiamo creato la nostra rivista ben trent’anni prima che si pensasse di tutelare forme culturali labili, evitando magari che oggi avessimo “il libro degli ornicoltori”. Abbiamo aggiunto alla parte pratica anche quella tec-

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Editoriale

nica e quella scientifica e abbiamo fatto sì che la rivista fungesse da portavoce per gli eventi accaduti nel corso di mezzo secolo all’interno del nostro movimento, cosa forse oggi non apprezzata da tutti, ma certamente di notevole rilevanza per le generazioni future. Del resto, Italia Ornitologica è stata il documento della nostra microstoria. Come la corrente di ricerca storiografica, appunto la microstoria, ha dato valore alle nostre associazioni locali, fornendo contributi teorici e pratici che diversamente non sarebbero stati considerati nel contesto storiografico nazionale. Italia Ornitologica è stata altresì testimone della creazione del processo che ha portato alla nascita della stessa Federazione così come è oggi. Processo che è quasi un’attuazione pratica del principio di inclusione di Habermas. Le associazioni che ieri hanno costituito ed oggi compongono la nostra Federazione, difatti, non

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sono state accaparrate, assimilate o integrate, bensì incluse. Invero, il legame che esiste tra le associazioni e la Federazione è un’intesa su dei concetti intersoggettivamente condivisi. Sarebbe bene ricordarci tutto questo quando sentiamo parlare di pluralismo in relazione alla nostra Federazione poiché non tutte le forme di pluralismo sono uguali e soprattutto le realtà locali non sono sempre equiparate, così come invece lo sono quelle appartenenti alla nostra Federazione. La società con cui quotidianamente il nostro movimento si relaziona è in un continuo divenire e Italia Ornitologica possiede le caratteristiche richieste alle riviste moderne: pubblico mirato, versione cartacea e digitale, specializzazione, inserimento nel contesto dei metadati. Beninteso, chiunque è libero di criticarla, ma della sua esistenza, almeno per il momento, dovrà farsi una ragione.


CANARINI DI COLORE

Cambiamenti da valutare testo di DIEGO CROVACE e GIOVANNI CANALI, foto A. J. SANZ

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ggi si notano, specialmente in alcuni tipi, espressioni diverse da quelle del passato, diciamo 20 anni or sono più o meno. Uno dei tipi più “imbarazzanti” è il bruno opale, che si esprime con un tono melaninico molto più scuro di quello che eravamo abituati a vedere fino allo scorso secolo. Si parla di evidenza del disegno in particolare. Pure nei neri opale la situazione è molto complessa ed altrettanto imbarazzante. Anche in altri tipi, non opale, si notano differenze, compresi i classici. Ci si chiede: “è selezione o qualcosa di più?”, la risposta fa la differenza. Il problema è che la risposta è molto difficile. La selezione si sa che può fare molto, ma non può sconvolgere. Tanto per capirci può accentuare o ridurre, ma non proprio inibire o aumentare in maniera illimitata. Un esempio di selezione drastica lo vediamo nei phaeo ove il disegno è stato molto ridotto, sbagliando, e la feomelanina molto accentuata, giustamente. Tanto che i portatori bruni di phaeo hanno pochissimo disegno e tanta patina bruna, ricordano dei bruni pastello, ed i phaeo hanno sempre meno il centro penna lipocromico (disegno al negativo), apparendo molto “chiusi”, come si dice nel nostro gergo. Nel bruno opale selezionato oggi si osservano espressioni melaniche che inducono alla riflessione. I bruni opale del passato, infatti, avevano un disegno ridotto e azzurrino (bianchi a parte) nei migliori abbastanza largo e ben rilevabile, ma sempre ridotto. Quelli attuali hanno un disegno molto più evidente. Il dubbio è che ci sia qualcosa in più

Nel bruno opale selezionato oggi si osservano espressioni melaniche che inducono alla riflessione

Bruno opale bianco, foto: A.J. Sanz

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della selezione, ma che cosa? Si possono fare diverse ipotesi. È utile segnalare che recentemente si sono visti bruni opale all’antica, nati casualmente da ottimi bruni classici di cui non era noto che fossero portatori (allevamento Nadino Ghillani). Ebbene, nonostante l’ottimo tipo dei genitori, i bruni opale ottenuti ricordano quelli di decenni or sono e sono molto meno dotati, come disegno, rispetto agli attuali, ancorché molto azzurrini. Nei bruni opale (o presunti tali) attuali il disegno è molto maggiore, non solo, ma spesso si notano tracce melaniche scure sulla punta del becco e sulle unghie, aspetto non rilevato in passato. Si sono visti anche soggetti bruno, considerati opale, ma certamente non tali, con elevatissimo disegno, ma non azzurrino, ed elevatissima feomelanina bruna espressa, il tutto molto più del bruno opale noto, inoltre senza abbassamento dell’eumelanina nella pagina inferiore della penna. La selezione non può arrivare a tanto come espressione, ed in particolare non può sollevare l’eu-

Bruno opale intenso giallo avorio, foto: A.J. Sanz

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Nei bruni opale (o presunti tali) attuali il disegno è molto maggiore, non solo, ma spesso si notano tracce melaniche scure sulla punta del becco e sulle unghie melanina riportandola nel luogo deputato in origine, la pagina superiore della penna. Quest’ultimo caso è palesemente dovuto ad una nuova mutazione (c’è chi ha proposto il termine ossidiana, Canali). Del resto pare che il gene che mutando produce l’opale sia molto soggetto a mutazioni. A livello espositivo, se possono apparire iper tipici i bruni opale maggiorati con azzurrino, i bruni opale maggiorati senza azzurrino è da ritenere che non siano affatto opale (sempre considerando

che i bianchi non esprimono mai l’azzurrino). Appare quindi evidente che sui primi si discuta, sui secondi si debba squalificare come “tipo non riconosciuto” (e perché non riconoscerlo?) o quantomeno drasticamente penalizzare con l’insufficiente. Tornando all’interrogativo iniziale ora bisogna cercare di capire cosa è successo, quando permane l’azzurrino e l’abbassamento: trattasi di selezione estremamente spinta, oppure si tratta di ulteriore mutazione, oppure ancora, vi è stato l’inserimento di un fattore di inscurimento (melanizzatore), di cui spesso si parla a diversi livelli ed in diversi casi? Più che un dilemma un trilemma… L’ipotesi che sembra meno probabile è la semplice selezione, anche se non da escludere. Quanto al fattore di inscurimento, bisogna dire che lo si nota o sembra di notarlo anche in alcuni classici, inoltre fattori di inscurimento sono conosciuti anche in altre specie e nel canarino stesso. In altre specie è celeberrimo l’inscurimento nel Pappagallino ondulato, che trasforma il verde

Bruno opale mosaico rosso maschio, foto: A.J. Sanz


Nero opale mosaico rosso maschio, foto: A. J. Sanz

chiaro in oliva, allo stato omozigote, ed in verde scuro allo stato eterozigote. Nell’Organetto, specie ben più affine, visto che è un fringillide, vi sono pure fattori di inscurimento. Quanto al Canarino si può ritenere che ne esistano 2 già noti, vale a dire: l’all black, da tempo rilevato, ed il mulatto, recente mutazione sud americana dominante e legata al sesso. Non si può escludere che in certi ceppi sia entrato qualcosa del genere, in particolare l’all black o altro di simile. Nei neri opale si è arrivati al guazzabuglio! In un passato recente, nelle mostre i veri nero opale erano quasi spariti, sostituiti dai mogano o loro intermedi e forse anche da altro ancora. Fra l’altro l’ossidiana è stata ben rilevata e descritta nei bruni, ma non nei neri. Il grave era che talora qualche superstite vero nero opale perdeva contro canarini che opale non erano affatto! Solo poiché più scuri, dimenticando le caratteristiche fondamentali del vero nero opale e cioè l’abbassamento dell’eumelanina e l’effetto azzurrino, specialmente sulle penne forti degli intensi pigmentati. Vi sono allevatori che affermano di accoppiare in purezza i neri opale senza danno al piumaggio, quando ben sappiamo che l’uso dei portatori è necessario, quindi non hanno dei veri neri opale.

Nero opale brinato giallo, foto: A. J. Sanz

Si badi che in entrambi i casi (neri e bruni), non serve parlare di tipo base prioritario e che negli ossidati gli scuri sono migliori, poiché prima di tutto,

Bruno opale mosaico giallo maschio, foto: A.J. Sanz

neri o bruni e solo dopo opale. Che il tipo base debba essere prioritario, in quanto appunto basilare, deve essere sempre del tutto ovvio, ma il tipo aggiunto deve essere autentico! Non fasullo! Non si può far vincere negli opale, un canarino che opale non è! È da ritenere che la questione debba essere affrontata senza pregiudizi da tecnici qualificati, per questo è utile l’aiuto anche di diversi allevatori, purché veramente preparati e non facili all’equivoco; tanto per capirci chi confondesse le depigmentazioni con le brinature non potrebbe essere utile. A livello di verifiche con accoppiamenti è bene ricordare un aspetto importante: un classico può portare anche molte mutazioni di tipi aggiunti, ma non 2 alleliche. La coppia allelica è appunto costituita da 2 geni, quindi quando uno è normale (classico), l’altro può essere mutato, quindi possiamo avere una mutazione latente ma non 2 o più alleliche, per questo ci vogliono diverse coppie di geni (non alleliche). Tanto per capirci: un classico può portare l’opale ed il topazio (coppie di geni diverse), ma non può portare l’opale e l’onice (si avrebbe in questo caso una espressione fenotipica intermedia), poiché la coppia di geni (alleli) è una sola. Quindi se un gene è normale, l’altro potrà essere mutato, ma di una sola

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Bruno opale mosaico rosso maschio, foto: A.J. Sanz

mutazione, cioè (nel nostro caso) opale oppure onice, oppure qualcosa d’altro, ma sempre una sola mutazione allelica latente. Vi possono essere anche situazioni ulteriori. Se vi fosse l’inserimento di un fattore di inscurimento, questi dovrebbe essere indipendente dalle mutazioni opale o alleliche al medesimo, sempre che non fosse allelico (molto improbabile) oppure se fosse prodotto da una coppia allelica vicina, ricombinabile solo con crossing-over, ma c’è da sperare del tutto indipendente. In questo caso però dovrebbe agire liberamente anche su parenti (specialmente portatori) classici. Se vi fosse una mutazione diversa ma simile all’opale, ci dovrebbero essere dei portatori mutati o più probabilmente degli intermedi (come accade per opale ed onice). A seconda del comportamento genetico. Attenzione che sia con la presenza di una mutazione allelica a comportamento intermedio simile all’opale, sia con la presenza di un fattore d’inscurimento a dominanza

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Bruno opale mosaico rosso femmina, foto: A.J. Sanz

parziale (intermedia), i risultati al primo accoppiamento potrebbero essere apparentemente gli stessi. In sostanza, “vecchio opale” accoppiato con l’attuale darebbe intermedi in entrambi i casi. Indicazioni in seconda generazione, di poco più chiare; infatti, se fosse una mutazione allelica a dominanza intermedia o un fattore d’inscurimento non allelico a dominanza intermedia, avremmo lo stesso apparente risultato e cioè: 25% vecchi opale 25% nuovi opale e 50% intermedi, solo che la genetica sarebbe diversa; infatti nel caso di mutazione sarebbe una faccenda analoga all’onice con l’opale, nel caso invece di fattore d’inscurimento sarebbe la presenza di un carattere estraneo in interazione. Solo successivamente, con l’inserimento di classici, potremmo avere una separazione del fattore d’inscurimento e quindi la sua individuazione. Se invece vi fosse solo una selezione, in seconda generazione, non avremmo le percentuali precise suddette, ma tutta una gamma varia, con prevalenza di intermedi.

Non è il caso di andare oltre perché la faccenda, già complessa, diventerebbe davvero indigesta. Con i neri va anche peggio, visto che potremmo ipotizzare di tutto e forse le somiglianze nei diversi casi sono maggiori. Si comprende bene che la ricerca presuppone una preparazione veramente profonda ed anche qualche nozione scientifica. C’è solo da sperare che non si debba più sentire dire che “l’opalescenza” termine non corretto per indicare l’azzurrino è superata e che bisogna uniformarsi all’estero a prescindere. I toni azzurrini dell’opale, diversi nei 4 tipi base (perlaceo nell’isabella tipico) sono sempre tipici del vero opale. I canarini presentati come opale, senza esserlo o essendo solo intermedi, andrebbero valutati o meglio svalutati come tali. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI - Bruno Opal – La identidad perdida -Ornitologia Pratica n°90 - giugno 2018 di Diego Crovace e Giovanni Canali.


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

I Ciuffolotti Esperienze di allevamento

Ho perfezionato l’ambiente d’allevamento con voliere e piante a chioma rigogliosa ed alta

testo e foto di DAVIDE LONARDI

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ono Davide Lonardi, ho 38 anni, vivo a Verona, sono un Tecnico Agrario, il mio RNA F.O.I. è IT4CZC, Campione del Mondo 2023, Campione Italiano 2023 e Campione Internazionale. I miei Titoli sono vittorie conseguite solo con una tipologia di uccelli, ovvero i Ciuffolotti ancestrali e mutati (Pyrrhula pyrrhula major). Mi sono specializzato allevando esclusivamente una specie dal 2018 ad oggi, ricreando l’ambiente naturale più simile a quello in cui vivono allo stato selvatico i Pyrrhula pyrrhula. Ogni anno ho perfezionato l’ambiente d’allevamento con voliere e piante a chioma rigogliosa ed alta, ricreando l’ambiente del bosco e cercando di dare un tocco “di casa” a

Voliere in lontananza immerse nel verde

L’autore accanto ad una delle sue voliere

questa specie così affascinante ma così fragile rispetto a tanti altri uccelli. Concludo questa breve introduzione sottolineando a tutti quegli allevatori e appassionati che si cimentano con questo tipo di uccello questa riflessione: riprodurre Il Ciuffolotto è un traguardo e va considerato un successo, se poi si fanno anche belli, meglio. Ora cercherò di raccontare la mia esperienza in questi anni di allevamento e di trasmettere passione verso questa specie con nozioni di allevamento personali che potrebbero arricchire il vostro bagaglio culturale.

Ambiente d’allevamento Molti allevatori riproducono i ciuffolotti in gabbioni da 120 cm e ci riescono vista la docilità di questo simpatico uccello; io personalmente allevo in voliere da 1 metro x 1 metro alte 2 metri e in voliere da 1 m x 2 metri alte 2 metri. Impossibile allevare ciuffolotti in gabbie da 60, secondo me serve minimo una 120. C’è anche da dire che voliere troppo grandi non servono per questa specie poiché sono piuttosto docili di natura e quando la coppia crea la propria affinità si riproduce anche in ambienti modesti. Nelle mie voliere ho posizionato

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Ciuffolotti femmine ancestrali

dei posatoi in legno, sia comperati che fatti artigianalmente da me andando nel bosco con legno di ciliegio, carpino, frassino o quercia, dando modo agli uccelli di appoggiarsi sui rami con diverse pendenze e diametri diversi per allenare la muscolatura e le zampe. Sul fondo delle voliere ho fatto tante prove con diversi materiali più o meno agglomeranti riguardo le deiezioni. Sono arrivato a scegliere un mix che mi procuro in cava di sabbia di fiume con ghiaino. Ghiaia e sabbia drenano molto bene e una volta a settimana con una cazzuola pulisco i fondi e aggiungo nuovo materiale. Sul fondo inoltre ho provveduto a costruire delle griglie sotto le mangiatoie in modo che semi e gusci cadano sotto la griglia stessa senza che gli uccelli a terra possano andare a contatto con i semi sporchi al suolo. Un’altra accortezza che ho messo sui fondi è un blocco di tufo 37x20x11 cm dove posiziono dei recipienti con la frutta, i pastoncini o le verdure; questo mi permette di tener sollevato da terra il cibo e ho notato che i ciuffolotti beccano volentieri il tufo in cerca di sali minerali. Le voliere, poi, sono munite di mangiatoie classiche interne, ossi di seppia, un beverino classico e una parte alta riparata con 30 cm di plexiglass dove gli uccelli alloggiano quando fa troppo freddo o c’è vento o semplicemente durante la notte.

merciale con un 50% di scagliola e semi prativi. Questo mix che preparo lo somministro in allevamento 12 mesi l’anno, non cambio in base alle stagioni. Accompagno la miscela con un pastoncino creato da me miscelando un pastone commerciale per indigeni morbido con un 50% di pastone commerciale giallo secco da canarini. Il pastoncino lo arricchisco con semi di chia e tarme della farina secche. Pure questo alimento lo lascio a disposizione degli uccelli tutto l’anno. Acqua fresca ogni giorno e osso di seppia. Per quanto riguarda la somministrazione di frutta e verdura, evito la mela e l’insalata poiché ho visto che provocano dissenteria. Fornisco, invece, radicchio rosso, broccolo, piselli, carota, peperoncino, bacche di pyracantha e bacche di sorbo. Mi limito a dare queste prelibatezze 23 volte a settimana e non tutti i giorni, una alla volta e in quantità ridotte poiché il ciuffolotto è un uccello vorace e

Ciuffolotti maschi e bacche di Pyracantha

Alimentazione L’alimentazione è argomento molto importante come per qualsiasi altra specie d’uccello. A mio parere l’ambiente in cui si trova l’allevamento determina un’alimentazione più o meno ricca in grassi, semi neri e altro. Più l’ambiente è di montagna e più si potrà eccedere con semi grassi; più ci avviciniamo a temperature calde di pianura e più sarà opportuno smagrire la miscela granivora. I miei ciuffolotti li alimento con una base di miscela per ciuffolotti delle marche che si trovano in commercio, che tendono tutte ad avere tanti semi neri (grassi); questa cosa mi costringe a tagliare la miscela per ciuffolotti com-

Ciuffolotti ancestrali e mutati alla mangiatoia

Ciuffolotti maschi ancestrali intenti a fare il bagnetto

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L’ambiente in cui si trova l’allevamento determina un’alimentazione più o meno ricca in grassi, semi neri e altro


Fino a quando i piccoli non saranno ben svezzati integro l’alimentazione con un pastone messo a punto da me

a volte, se mangia troppa frutta o verdura, può manifestare problemi intestinali con conseguenze a volte gravi. Da metà febbraio e fino a quando i piccoli non saranno ben svezzati, integro l’alimentazione con un pastone messo a punto da me, molto proteico, che sfamerà i nascituri. In un contenitore tipo sottovaso, ad ogni coppia di ciuffolotti somministro 3 volte al giorno un pastone con questi ingredienti: - Uovo sodo frullato intero - Semi germinati - Pastone secco giallo - Piselli - Tarme della farina vive - Sali minerali - Vitamine - Rusk La coppia con questo pastone porterà al nido moltissime imbeccate con un notevole sviluppo dei pulli in pochi giorni. Molte volte al quinto giorno i pulli vanno inanellati perchè al settimoottavo giorno risulta essere tardi.

Ciuffolotto maschio ancestrale giallo Campione Internazionale

Riproduzione La riproduzione di questa specie in ambiente esterno e senza l’ausilio di luci artificiali va da inizio-metà aprile fino a fine luglio. I mesi di maggior interesse ai fini di sane e ricche nidiate sono maggio e giugno; in aprile le giornate ancora fredde a volte ostacolano le coppie e a luglio le giornate torride stancano le stesse e molte volte avviene l’abbandono dei nidi. Vanno accoppiati 1 maschio con 1 femmina tassativamente, vista la territorialità nei mesi riproduttivi. Ogni anno, comunque, è un’avventura con i ciuffolotti; si verifica spesso che coppie prodigiose l’anno prima al secondo anno si rivelino fallimentari e viceversa. Dopo anni di allevamento posso confermare che il successo allevando in purezza è del 50%. 5 coppie su 10 riproducono con successo, le altre pasticciano, fanno e disfano i nidi, con uova non feconde, addirittura alcuni non fanno nulla. Le coppie che fanno bene però sono da cartolina. Il maschio balla e canta melodiosamente vicino alla femmina che si lascia prendere dal vortice dell’amore e si concede. Nel frattempo, costruiscono il nido insieme con fili di cocco che metto a disposizione in abbondanza. L’ovodeposizione va dalle 4 alle 6 uova per le femmine in salute ma si sono verificate anche deposizioni di 7-8 uova per covata. Si attende… la femmina cova, il maschio la imbecca al nido e a volte la sostituisce nella cova ed ecco: al 13esimo14esimo giorno iniziano a nascere. La coppia comincia l’imbecco e, se le cose andranno bene, dopo 5-7 giorni metterò le mani nel nido per l’inanellamento dei pulli. Dopo 30 giorni i piccoli sono indipendenti e pronti per essere trasferiti in altre voliere o nelle gabbie da 120. Nel frattempo, la femmina avrà costruito un nuovo nido pronta per la seconda covata. Coppie affiatate e brave sono da ammirare e amare. Io allevo in purezza al 100% e faccio fare due covate all’anno per coppia; mai va tolto il maschio se la coppia è affiatata perché sarà lui ad imbeccare negli ultimi giorni, prima dell’indipendenza dei piccoli dai genitori.

Ciuffolotto maschio ancestrale con nel becco una bacca di sorbo

Ciuffolotto maschio mutazione pastello bruno campione mondiale Napoli 2023 e campione italiano Lanciano 2023

Pastoncino fornito durante la riproduzione

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Pulli di ciuffolotto

Finché ci sono i piccoli con i genitori sospendo la somministrazione di frutta e verdura ma non elimino i bagnetti un paio di volte a settimana. I nidi li posiziono negli angoli alti delle voliere e ne metto due per voliera; così facendo, la femmina si sentirà libera di scegliere. Utilizzo un supporto in legno ben infrascato con rametti finti di abete e posiziono al centro del supporto una coppa in metallo di diametro 12 cm con all’interno una croce di cocco intrisa con della polvere naturale al piretro utile contro acari, pidocchi ecc... Lascio a disposizione, poi, molti fili di cocco per l’imbottitura che faranno gli uccelli.

Ciuffolotto maschio ancestrale campione internazionale

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Benessere e Salute In ambiente controllato il ciuffolotto di media vive dai 4 ai 6 anni, rari sono gli esemplari che superano questa età. Il ciuffolotto è un uccello che teme una cosa più di tutte: il caldo. Nel mio allevamento composto da più di 30 voliere e sale per lo svezzamento dei piccoli, mi sono sentito costretto a realizzare un ambiente il più possibile fresco nella stagione estiva. Nei diversi anni la piantumazione di Prunus cerasifera, Albizie, Sorbi spagnoli ed Aceri mi ha salvato dalle estati sempre più infernali. Io mi trovo sulle colline gardesane a 200m s.l.m. e l’estate si fa sentire… Creando questo habitat con piante che in estate mi abbassano le temperature di qualche grado e in inverno, perdendo le foglie, fanno passare i raggi di sole cosi cocenti d’estate per questa specie, riesco a far riprodurre questi uccelli con successo. Il fatto, poi, di avere un allevamento distante da rumori e in piena campagna agevola il benessere dei soggetti. Bagni frequenti, infine, sono per loro un vero toccasana visto che amano l’acqua a dismisura. Un altro problema che in tanti mi riferiscono sono le malattie respiratorie. Quando il ciuffolotto inizia a “pippare”, come si dice in gergo, è troppo tardi... Esistono alcuni prodotti che attenuano momentaneamente questo problema ma è solo un palliativo. Si-

Voliere immerse nel verde

Supporto in legno con nido

curamente è un fattore anche genetico, oltre che legato ad ambienti malsani e con poco ricircolo d’aria. Questo problema va prevenuto mettendo l’uccello in condizioni di “no stress” in ambienti areati e poco affollati, in gabbie o voliere pulite e disinfettate. Altri grossi problemi non ne ho riscontrati in questi anni; rari sono i casi di coccidiosi o di infezioni varie. Medicinali non ne uso; mi limito una volta al mese a somministrare nell’acqua da bere dell’aceto di mele (1 tappo x litro d’acqua) e aglio tritato nei pastoni come fungicida naturale e antizanzare.


Mutazioni e genetica Nel mio allevamento riproduco per il 60% soggetti major ancestrali rossi e ancestrali rossi portatori di mutazione ma per il 40% mi diletto con le mutazioni pastello e bruna, soprattutto pastello-bruna e ancestrale giallo. Esistono poi altre mutazioni come il pezzato o bianco o bianco-giallo e l’ultima arrivata satiné. Come sa la maggior parte degli allevatori, importante è sempre partire con femmine ancestrali o mutate con tratti melaninici forti, derivate da coppie ancestrali col padre portatore e accoppiando a queste maschi ancestrali portatori della mutazione della femmina. Esempio: maschio ancestrale portatore di bruno x femmina bruna... così facendo, si otterranno soggetti di alta qualità, con taglie abbondanti e colori sgargianti. La genetica e gli accoppiamenti geneticamente fatti bene portano al successo.

Importante è sempre partire con femmine ancestrali o mutate con tratti melaninici forti, derivate da coppie ancestrali col padre portatore

Discorso differente per le mutazioni recessive, tipo la mutazione giallo. Questi soggetti, che devono avere entrambi nel loro corredo genetico la mutazione, vanno accoppiati preferendo sempre maschi portatori di giallo x femmine gialle o portatrici di giallo, poiché anche in questo caso otterremmo probabilmente meno maschi gialli, ma quei pochi che ne usciranno saranno di bella taglia e con un colore più carico.

Il mondo della genetica, anche negli uccelli, risulta variegato e infiniti sono gli accoppiamenti per ogni specie; a volte è bello anche sperimentare e lasciar fare alla natura. È il caso di un mio ciuffolotto giallo Campione Internazionale nato per caso da una coppia di ciuffolotti rossi che non sapevo portassero entrambi nel loro corredo genetico il giallo. Indagando a fondo e guardando gli accoppiamenti negli anni, è risultato che avevo due anni fa del giallo che “girava” in allevamento ma che pensavo “d’aver perso”… e invece ecco “il miracolo”. Ne è nato un ciuffolotto di grande pregio dal giallo dorato e intenso e dai tratti melaninici ben marcati; ammirato da tanti, ha vinto l’Hornemanni Middle Club a Udine quest’anno e l’Internazionale di Riva del Garda, Campionato Europeo a Trento. Evviva i ciuffolotti!

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CANARINI DI FORMA E POSIZIONE LISCI

Canarini Border: la mutazione bianca Una piacevole evoluzione testo e foto di ANGELO LAGI

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ono ormai passati anni dal mio primo articolo pubblicato su questa rivista nel numero di febbraio 2013 (pagg. 41-44). La passione per la selezione dei Border bianchi è cresciuta nel tempo, regalandomi, oltre ad un bagaglio di esperienza notevole, anche grandi soddisfazioni nelle esposizioni specialistiche. Per chi non avesse letto il mio precedente articolo, ne cito un passaggio riguardante la mutazione bianca ed il suo comportamento genetico: “La mutazione bianca nei Border è di tipo dominante… il piumaggio, pur essendo apigmentato, presenta (a differenza del bianco recessivo) delle leggere soffusioni lipocromiche gialle localizzate principalmente sulle remiganti primarie. I fattori dominanti nei canarini si caratterizzano per il fatto che si trasmettono già in prima generazione; non esistono portatori di un fattore dominante, quindi il gene di questa mutazione non potrà essere ereditato da un canarino a base gialla e pertanto i canarini bianchi non si possono ottenere accoppiando due gialli, bensì possono nascere solo dall’accoppiamento di un giallo con un bianco. Il comportamento di questo colore negli accoppiamenti è

La mutazione bianca nei Border è di tipo dominante

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Femmina bianca "Best Novice" Cesena 2022 - Cesena 2023

identico a quello del fattore ciuffo; ne consegue che una coppia formata da un canarino giallo o a base gialla (variegato verde) per un bianco (indifferente se maschio o femmina) genererà

il 50% di bianchi e il 50% di soggetti a base gialla, mentre accoppiando bianco x bianco (dominante x dominante) il 25% della progenie non sarà vitale (morte embrionale) causa la presenza


di omozigosi del fattore dominante”. Seguendo queste regole genetiche, nel corso degli anni ho intrapreso un percorso selettivo importante atto ad incrementare e migliorare le caratteristiche genetiche tipiche della Razza. Sono partito molto tempo fa: era il 2009 quando iniziai la selezione del bianco. Anno dopo anno ho continuato imperterrito su questa strada: tante le difficoltà, soprattutto dovute alla scarsità di soggetti bianchi disponibili per la selezione. Com’è noto, per fare una buona selezione è necessario avere a disposizione un buon numero di soggetti e questo significa mettere in riproduzione un buon numero di coppie formate da un bianco per un giallo. Nel 2022 sono riuscito ad ottenere una maggiore quantità di soggetti bianchi che mi hanno permesso di dare una spinta notevole verso quella che si definisce un’alta qualità. In questo percorso, ho avuto (2020)

un grosso aiuto dal mio amico Giovanni Ceccacci, anche lui amante di questa mutazione, il quale mi ha donato alcuni bianchi di pregio, selezionati da linee di sangue inglesi e, negli ultimi anni, i tanto attesi risultati sono arrivati, sia in termini di quantità che di qualità. Ho potuto coronare un sogno: vincere la mia sezione (Novices) in una esposizione specialistica con un Border bianco. Cosa alquanto difficile da ottenere, eppure è successo! Ricordo con piacere il mio “Best Novice” a Cesena nel 2022 (1^ mostra specialistica internazionale del canarino Border) con la femmina bianca unicolore ritratta nella foto. Fuori da ogni previsione e statistica, poi, nel 2023 il mio “Best Novice” sempre a Cesena (2ª mostra specialistica internazionale del canarino Border) con la stessa femmina bianca unicolore dell’anno precedente (presentata come adulta). Che dire, una grande emozione e sod-

disfazione, l’impegno costante che negli anni ho messo in campo per migliorare la selezione di questa mutazione in particolare e della Razza in generale è stato ben ripagato. È grazie a questi risultati che potrò presentare, nella prossima stagione mostre, i miei Border tra i “Champions”, cercando sempre con umiltà di crescere in un contesto specialistico ad altissimo livello. Permettetemi un commento sulla foto inviata alla Redazione di questa rivista… non so voi, ma quando guardo quest’immagine rimango senza parole per la bellezza e tipicità espresse! Concludendo, un doveroso ringraziamento va agli amici, “colleghi di piuma”, che mi hanno consigliato ed aiutato nella selezione di questa magnifica Razza. Un ringraziamento particolare a Giovanni Ceccacci, al quale dedico i due Best di Cesena.

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S pazio Club 30° anniversario del Club dell’Arricciato Padovano

Club di Specializzazione

I

l 2023 è stato l’anno in cui il nostro Club ha compiuto tre decenni di attività. Fondato nel 1993 da esperti ed appassionati allevatori di questa razza, ne ha sempre portato avanti la selezione ed il miglioramento, interagendo con gli allevatori e collaborando con i nostri Organi Tecnici. Oggi possiamo dire che il persistente lavoro migliorativo continua a dare i suoi frutti, con ottimi soggetti visibili nelle più svariate mostre. Certo, rimane sempre molto da lavorare; l’importante è non deviare dalla strada maestra di attinenza allo standard e non lasciarsi tentare da scorciatoie o introduzioni genetiche pericolose. Seppur in periodo di crisi per tutta l’ornitologia, possiamo dire che per quanto riguarda il Padovano stiamo intravedendo un miglioramento nella sua divulgazione, con l’arrivo di nuovi e soprattutto giovani allevatori. In questa direzione il Club tiene la barra dritta, cercando il coinvolgimento degli appassionati. Siamo riusciti nell’impegno di svolgere, come già facciamo da alcuni anni, ben tre specialistiche, iniziando dalla tradizionale di Padova, quindi a Cesena “Piume” e a Palermo. A questo proposito, vogliamo ringraziare pubblicamente tutti i soci sparsi in

Modena 2023

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Italia e quelli siciliani, i quali, orgogliosamente, partecipano ed organizzano, sotto la nostra egida, la specialistica di Palermo. A Modena, all’82° Internazionale S.O.R. 2023, il più importante e sentito appuntamento ornitologico mondiale, non potevamo mancare noi allevatori dell’arricciato Padovano. Così ci siamo dati appuntamento, numerosi e partecipi, non solo come espositori, ma soprattutto come amici che, approfittando di questo grande evento, hanno voluto ritrovarsi per rinsaldare vincoli di stima,


cordialità e sana competitività. Al di là dei risultati individuali ottenuti in mostra (e per questo ci complimentiamo sia con i vincitori che con tutti i partecipanti), abbiamo colto l’occasione per fare il punto e disquisire sul nostro Padovano, anche grazie alla presenza del Presidente della C.T. Emilio Sabatino che ha accettato il nostro invito rendendosi disponibile a presenziare all’incontro, Il nostro socio Francesco Virga vincitore del trofeo di bronzo 2023 nonchè dei giudici Giulio Pisani e Michele Larenza. Ne è scaturito un improvvisato piccolo simposio per quella che è stata una riunione costruttiva e propositiva, in cui si è discusso di varie tematiche e di alcune nostre proposte, ottenendo chiarimenti e delucidazioni sia tecniche che in merito al regolamento. Il nostro Club è giunto a questo appuntamento alla fine del percorso delle tre specialistiche di

Padova, Cesena e Palermo che ci hanno visto impegnati per molti mesi sia nelle fasi preparatorie che finali delle manifestazioni. Come ogni anno, erano in palio due trofei: il trofeo Italia per il vincitore con maggior punteggio nelle mostre di Padova e Cesena ed il trofeo di bronzo per il vincitore, sempre con maggior punteggio, nelle mostre di Padova, Palermo e Modena. Quest’ultimo ed ambìto premio, rappresentato da un modello di arricciato Padovano in bronzo, se lo è aggiudicato il socio Francesco Virga di Belmonte Mezzagno (PA) con ben 253 punti: a lui vanno i complimenti di tutti noi. Infine, si è tenuto il Campionato Italiano di Lanciano, dove il Club è stato presente in particolare nella giornata di domenica, quando abbiamo avuto modo di incontrare sia giudici che allevatori con i quali abbiamo dialogato piacevolmente, ma anche criticamente, sui giudizi espressi e, in ogni caso, con l’auspicio di una più accurata specializzazione dei giudici ed un maggior impegno selettivo da parte degli allevatori. In conclusione, un buon anno per il nostro Club; siamo certi che con la perseveranza e l’aiuto di tutti riusciremo ad aumentare il numero di allevatori che amano il nostro Padovano per continuare a festeggiare questi anniversari. Giuseppe Annaloro

Lanciano, C.I. premiazione del nostro socio Michele De Palma

Specialistica del padovano, Palermo 2023

Club di specializzazione

S pazio Club

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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI

FORMA & POSIZIONE PARTIAMO DALLE BASI

Pezzato Recessivo testo di GIOVANNI FOGLIATI, foto P. ROCHER

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dettagli dell’origine del Pezzato Recessivo provengono interamente da un appassionato allevatore finlandese che trascorse gran parte del suo tempo in Danimarca, scrivendo nel 1948 gli eventi che portarono al riconoscimento del Pezzato Recessivo. Il primo soggetto somigliante visivamente ad un Pezzato Recessivo fu esposto in occasione di una mostra ornitologica di Copenaghen del 1928. Quell’animale fu acquistato da due cineasti danesi: i signori Kai Riis-Hansen e A Reddersen. Inizialmente fu ospitato nell’allevamento del signor Reddersen e unito ad una femmina Diluito Azzurro allevando piccoli di aspetto normale. Questi, naturalmente, risultarono essere portatori della mutazione. Una volta adulti furono accoppiati fra loro dando così vita a diversi pulli pezzati. Tre di questi furono trasferiti nell’allevamento del signor RiisHansen. Il gruppo rimasto con il signor Reddersen sembra essersi estinto poco tempo dopo, lasciando il signor

Dopo il conflitto mondiale, diversi pappagallini furono ceduti a vari allevatori; in tal modo la mutazione si diffuse gradualmente; all’epoca erano conosciuti come Arlecchini Pezzato recessivo grigio, foto: P. Rocher

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Tutti i pappagallini presentano la caratteristica pezzatura chiara irregolare che si manifesta in qualsiasi parte del corpo, testa o ali

Riis-Hansen e pochi altri (sconosciuti) a selezionare la nuova mutazione vedendola passare indenne gli anni della guerra. Dopo il conflitto mondiale, diversi pappagallini furono ceduti a vari allevatori. In tal modo la mutazione si diffuse gradualmente; all’epoca erano conosciuti come Arlecchini. I primi Pezzati Recessivi visibili in Gran Bretagna furono ottenuti dai signori Cyril Rogers e Af Enehjelm nel 1948. La mutazione non riapparse da nessun’altra parte, quindi appare lecito ipotizzare che tutti i Pezzati Recessivi discendono da quel singolo maschio esibito a Copenaghen. Descrizione Tutti i pappagallini presentano la caratteristica pezzatura chiara irregolare che si manifesta in qualsiasi parte del corpo, testa o ali. Queste pezzature sono prive di pigmento di melanina nera e mostrano solo il colore del fondo: giallo negli uccelli della serie verde e bianco nella serie blu. Il resto del corpo è colorato normalmente. Nel Pezzato Recessivo le aree chiare sono generalmente molto estese, tanto che molti pezzati risultano difettare vistosamente nel disegno o nella pigmentazione. Sebbene normalmente colorate, le aree pigmentate sembrano possedere una brillantezza accentuata che risulta piuttosto attraente in presenza delle colorazioni più forti come Cobalto, Viola e Verde scuro. È presente una grande variazione nella posizione e nell’estensione delle zone variegate, ma striature tipiche sono quasi sempre presenti intorno agli occhi. In generale, le femmine sono più marcate sulle ali a differenza dei maschi.

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L’occhio è scuro, privo dell’anello bianco dell’iride, e in certi soggetti si può talvolta intravedere, se sono in buona luce, una sorta di riflesso color prugna rossastra. Di solito mancano uno o più punti nella maschera, ma alcune selezioni sono riuscite a mantenerli completi. I marchi guanciali sono in genere screziati o bicolori. Oltre a inibire la produzione di pigmento di melanina in aree casuali, la mutazione modifica anche la distribuzione del pigmento giallo negli uccelli della serie Verde; infatti, in questi soggetti l’intensità della pigmentazione gialla nel bordo anteriore o esterno delle primarie dell’ala riceve un notevole miglioramento. Le remiganti appaiono molto più gialle di quelle di un Lutino e così pure le timoniere. La cera e il becco sono simili a quelli dei Lutino: Marrone pallido nelle femmine e Azzurro-rosato nei maschi. Il becco è arancione. Zampe e falangi color carnicino. L’ereditarietà Il Pezzato Recessivo è una mutazione autosomica, ovviamente recessiva come dice la denominazione, causa di cambiamenti che inibiscono la pigmentazione della melanina in aree apparentemente casuali sul corpo. La tonalità di colore del pigmento di melanina non è influenzata dalla mutazione, ma nelle aree pigmentate i modelli di melanina si mantengono esattamente gli stessi dei modelli di un pappagallino normale. La variazione genetica influisce sulla distribuzione del pigmento giallo, facendolo

È una mutazione autosomica causa di cambiamenti che inibiscono la pigmentazione della melanina in aree apparentemente casuali

apparire in alcune aree che sono solitamente bianche o grigie in soggetti normali. La mutazione Pezzato Recessivo, come abbiamo detto, è recessiva nei confronti del suo allele di tipo selvatico; quindi, un uccello che possiede un singolo allele Pezzato Recessivo (eterozigote) è identico nell’aspetto al tipo selvatico verde chiaro. Cioè, la presenza di un singolo allele “wild-type” è sufficiente per consentire la piena produzione e la normale distribuzione del pigmento di melanina nera. In un uccello che ha due alleli Pezzato Recessivo (omozigote), la mancanza dell’allele del tipo selvatico significa che il normale pigmento nero di melanina viene soppresso in aree casuali sul corpo. I fattori che regolano la distribuzione della pigmentazione residua non sono ancora noti. Accoppiamenti ideali per ottenere il Pezzato Recessivo • Pezzato Recessivo x Pezzato Recessivo • Pezzato Recessivo x Normale/Pezzato Recessivo

Coppia

Progenie

Pezzato Recessivo x normale

100% Normale/Pezzato Recessivo

Pezzato Recessivo x normale/Pezzato Recessivo

50% Normale /Pezzato Recessivo 50% Pezzato Recessivo

Pezzato Recessivo x Pezzato Recessivo 100% Pezzato Recessivo Normale/Pezzato Recessivo x normale/Pezzato Recessivo

25% Pezzato Recessivo 50% Normale/Pezzato Recessivo 25% Normale

Normale/Pezzato Recessivo x normale

50% Normale/Pezzato Recessivo 50% Normale


DIDATTICA & CULTURA

Schemocromi: Opale e Limone testo di MIMMO ALFONZETTI, foto AUTORI VARI

Premessa Nell’ambito della canaricoltura di colore le colorazioni strutturali del piumaggio appartengono ad una casistica limitata, ma non rara. Certamente la cromia bianca, ma anche la varietà giallo limone, la cromia degli opale e, a mio modo di vedere, anche il giallo avorio fanno parte di questa casistica e forse anche quei riflessi bluastri dei neri bianchi. Alla luce degli ultimi studi da parte delle numerose istituzioni scientifiche americane, corredati da precise procedure sperimentali, occorre rivedere le diverse teorie che negli anni trascorsi hanno giustificato la genesi dei colori strutturali nei canarini. In particolare, ci interesseremo della cromia giallo limone e dei riflessi azzurrognoli dei canarini opale (3ª parte). Blue Tyndall Un cenno a quanto finora è noto sulle radiazioni bluastre del piumaggio dei canarini sembra opportuno. Queste hanno trovato giustificazione nell’effetto Tyndall, in particolare per l’azzurro dei canarini opale, ma non sull’effetto giallo limone. Le penne constano, come sappiamo, di un asse centrale rigido (scapo) che si impianta in un follicolo epidermico con la porzione libera (rachide) e assi secondari (rami o barbe). Le barbe, a loro volta, hanno numerose ramificazioni laterali (barbule) che, incrociandosi e agganciandosi (tramite uncini) con quelle delle barbe adiacenti, formano così la fitta trama della penna stessa. Il colore delle penne è quasi interamente dovuto alle barbe, alla loro struttura, alla

Fig.1 - Sezione di una barba B e relative barbule b: Spongy layer sp, melanosomi m, in giallo la corteccia, Figurazione: M. Alfonzetti

distribuzione e localizzazione dei pigmenti in esse contenuti (melanine e lipocromi). Le barbule contribuiscono principalmente alla colorazione lipocromica. Le barbe, viste in sezione al microscopio ottico, presentano una struttura a

Un cenno a quanto finora è noto sulle radiazioni bluastre del piumaggio dei canarini sembra opportuno

due strati: uno strato più esterno denominato corteccia (o strato corneo, che contiene i pigmenti lipocromici) e uno interno, sito nel cuore della barba, conosciuto come nucleo midollare o sostanza midollare. All’interno di quest’ultimo è possibile individuare una struttura vaporosa, spugnosa che racchiude i vacuoli (cavità piene di aria) e l’eventuale presenza di pigmenti melaninici (melanosomi). La luce penetra all’interno delle barbe profondamente, attraversando totalmente la cuticola esterna (più o meno pigmentata) fino ad interessare questa zona spugnosa (chiamata cloudy medium). Le strutture cheratiniche di questa zona, qualora abbiano dimensioni inferiori alla lunghezza d’onda della luce, hanno una funzione disperdente delle radiazioni luminose: la luce incidente si diffonde in tutte le direzioni (scattering) attraverso la zona dei vacuoli. Il grado di diffusione cromatica non è lineare ma è proporzionale all’inverso della quarta potenza della lunghezza d’onda λ della luce (f = 1/λ4). Ne consegue, in particolare, che su quelle di lunghezza d’onda più corte (quelle azzurre per intenderci) la zona spugnosa attiva una particolare azione di filtraggio. La luce azzurra, o meglio le radiazioni blu (hanno alte frequenze), sono disperse in grado maggiore attraverso i vacuoli verso l’esterno. Un esempio analogo, ma fuori dal nostro tema, è dato dall’azzurro del cielo che si forma allo stesso modo per diffusione della luce bianca da parte delle minute molecole dell’atmosfera (ef-

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fetto Tyndall). Come l’azione selettiva operata dal cloudy medium avvenga non è stato ancora definitivamente accertato. L’azzurro fisico sembra dato sia dalla dispersione molto spinta dei granuli minutissimi di melanina sia dall’architettura della trama cheratinica, ma l’esatto contributo di questi due fattori non è facile da conoscere. Numerose sono le ipotesi scientifiche che darebbero risposte a questo dibattito. In sintesi, la certezza scientifica è che le barbole generano colori strutturali per interferenza costruttiva (scattering coerente), mentre le barbe le colorazioni diffusive (scattering incoerente). Nulla di particolare è detto sui microgranuli di melanina: sono eumelasomi o feomelasomi? I testi scientifici parlano soltanto di melanosomi minutissimi. A margine, risulta naturale chiedersi il motivo per cui il piumaggio degli uccelli sia blu anziché viola poiché, in accordo con la legge di Rayleigh e della dipendenza inversa con la quarta potenza della lunghezza d’onda, sarebbe naturale aspettarsi questo colore fisico. Questa cosa non sembra possibile perché le strutture lamelliformi della cheratina non hanno spessore così ridotto da consentire il riverbero nel campo delle radiazioni violette. D’altra parte, l’occhio umano risulta essere più sensibile alla lunghezza d’onda corrispondente alla luce blu anziché a quella viola avendo dei fotorecettori (coni e bastoncelli della retina dell’occhio) che possiedono una sensibilità maggiore per questo colore. Inoltre, la luce che proviene dal sole è composta da un maggior numero di fotoni nella gamma del blu piuttosto che nel viola. Cromia giallo limone È l’impressione cromatica più interessante in canaricoltura. Il giallo pigmentario è accompagnato da una soffusa radiazione azzurra che gli conferisce una tonalità moderatamente fredda. Questo particolare carattere genetico prende anche il nome di fattore ottico o meglio fattore limone ed ha origine antica. Fa parte di quei colori strutturali abbastanza diffusi nell’avifauna naturale, molto meno in canaricoltura. Il fat-

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Nei canarini melanici il fattore limone sembra conseguire risultanti alternanti

tore limone è quindi una colorazione che non è diretta conseguenza di riflessi pigmentari ma origina da strutture del piumaggio, più o meno modificate, che contribuiscono alla nascita di radiazioni bluastre la cui genesi è da ricercare nella fenomenologia della fisica ottica (diffusione o interferenza). In natura tutte (o quasi tutte) le colorazioni del piumaggio degli uccelli di tonalità verde o viola non sono originate da riflessioni di luce colorata da parte dei pigmenti, perché non esistono pigmenti verdi o viola o violetti, per cui tali colorazioni possono soltanto avere origine di natura ottica. Nei canarini di colore l’azzurro del fattore opale, è ormai accertato, è di natura strutturale (3ª parte). L’effetto dello schemocromo limone sul piumaggio dei canarini lipocromici è quello di trasformare il giallo di tonalità calda in un giallo decisamente più luminoso e lievemente verdastro. La tonalità finale considerata fredda ricorda il colore dei limoni non ancora giunti a completa maturazione. Nei canarini bianchi questo fattore sembra non aver effetto perché la forte riflessione del bianco copre le radiazioni bluastre; ciò non significa che il fattore limone non sia presente (basta pensare

a quei bianchi che provengono da accoppiamenti con canarini giallo limone), anzi, non escluderei che il bianco che appaia più bianco, indipendentemente da lavaggi più o meno drastici, non sia dovuto soltanto alla compattezza del piumaggio che limita le micro-ombreggiature, ma anche a fenomeni diffusivi in qualche maniera legati al fattore limone. Nei canarini melanici il fattore limone sembra conseguire risultanti alternanti: il pigmento nero sembra essere rinforzato e decisamente più lucente, mentre il pigmento bruno sembra moderatamente affievolito, in particolare ai margini delle penne. Nei canarini con piumaggio a struttura intensiva gli effetti sembrano meno visibili ma paiono essere più consistenti nei canarini con piumaggio a struttura brinata. Occorre comunque distinguere l’effetto limone (di natura diffusiva) dal fattore di riflessione, dove la maggiore lucentezza dei canarini intensi è legata alla maggiore riflessione della luce incidente (per effetto specchio delle pareti esterne delle barbe). La varietà dei canarini, intesa come gamma di colore, è principalmente dovuta alla riflessione dei pigmenti chimici che si depositano sulle strutture delle penne. La manifestazione fenotipica finale della comparsa di un pigmento è quasi sempre il risultato di una sequenza metabolica, ciascun passo della quale è sotto il controllo di un gene specifico o più geni. L’apporto di caroteni naturali, fruibili dall’esterno, attraverso una reazione enzimatica consente normalmente l’estrinseca-

Fig 2 - Formazione del giallo limone in un canarino melanico. Sovrapposizione di radiazioni gialle pigmentarie e azzurre diffusive. L’effetto finale sarà una tonalità giallo verdastro, figurazione: M. Alfonzetti


zione del pigmento (giallo o rosso che sia). È evidente che il risultato finale sia la combinazione di più geni (poligenia) che agiscono singolarmente e indipendentemente e quindi la saturazione del giallo o del rosso avrà vari gradi di manifestazione, assumendo i connotati di un carattere quantitativo. I pigmenti carotenoidi si depositano massivamente nelle barbole e in quantità minore nelle barbe; la microstruttura prevalentemente interessata dai pigmenti è la cuticola. La colorazione blu tenue del fattore limone, come dicevamo, ha una origine fisica o meglio ottica, è quindi un colore fisico che la bibliografia classica ha legato essenzialmente all’effetto Tyndall. Le strutture che originano tale fenomeno, è accertato, sono le barbe che, come dicevamo, sono debolmente pigmentate. La luce penetra all’interno delle barbe profondamente attraversando totalmente la cuticola esterna (più o meno pigmentata) fino ad interessare la una zona spugnosa (per gli ornitologi tedeschi Blaustruktur). Questa zona ha una funzione disperdente delle radiazioni luminose e in particolare con quelle di lunghezza d’onda più corte (quelle azzurre, per intenderci) pone in essere una forma di filtraggio, riflettendone una rilevante parte. Il viraggio dal giallo al giallo verdastro si giustifica proprio col mescolamento di queste tenui radiazioni bluastre con il giallo, il cui pigmento è depositato internamente alla cuticola. La sensazione finale sintetizzata dagli occhi umani è il giallo limone. Come l’azione selettiva operata dal cloudy medium avvenga non è stato ancora definitivamente accertato. Per gli uccelli (in particolare per i canarini melanici) si fa l’ipotesi che l’azione disperdente sia dovuta a minutissimi granuli di melanina a bassa polimerizzazione (molto chiara); altri sostengono la presenza di strutture lamellari presenti nella trama cheratinica che provocherebbero interferenze ottiche nel riverbero delle radiazioni. Quest’ultima ipotesi legata a regolari strutture lamellari di cheratina (interferenza di lamine sottili) potrebbe giustificare l’effetto limone nei canarini lipocromici dove l’acianismo non giustificherebbe la pre-

L’effetto strutturale limone mal si associa alla massima saturazione del pigmento giallo

senza di granuli di melanina. L’ipotesi del “cilindro cavo” di Jean Dick, illustrato successivamente, può essere una corretta spiegazione del giallo limone nei canarini lipocromici. Intenso e limone L’effetto strutturale limone mal si associa alla massima saturazione del pigmento giallo: canarini gialli fortemente intensivi e con forte carica di pigmento giallo mostrano la tonalità limone in modo meno appariscente. Forse la massima saturazione del pigmento giallo si confà più alla tonalità dorata che a quella limone. Con questo non affermo che sia impossibile trovare soggetti fortemente intensivi con riflessi limone, ma che la loro ripetibilità sia difficile conseguirla con una certa frequenza. Forse non è un caso che i soggetti brinati mostrino meglio tale fattore. Diventa comunque difficile interpretare se ciò sia diretta conseguenza di una rarefazione della concentrazione del pigmento chimico o di una modifica più incisiva della struttura delle piume. A dimostrazione che in-

Fig 3 - Semplificazione della interferenza su lamine sottili: il raggio 2 attraversa mezzi con indice di rifrazione diversi e interferisce con il raggio 1, figurazione: M. Alfonzetti.

tenso e la tonalità limone trovino difficoltà a coniugarsi si può fare riferimento ai gialli avorio dove, a mio modo di vedere, troviamo la migliore espressione della tonalità limone. Se fosse vero che l’avorio sia anche conseguenza della diluizione del pigmento giallo, la tesi sopraddetta troverebbe un valido sostegno. Lo spessore della cuticola interessato dal deposito del pigmento influenza in maniera decisa l’espressione della radiazione limone. Se tale spessore è consistente con una concentrazione maggiore di pigmenti gialli, le radiazioni azzurre riflesse dall’interno della barba avranno difficoltà ad emergere, restando cosi imprigionate all’interno, per cui il giallo avrà una tonalità meno fredda, quasi calda. Si verificherebbe qualcosa di simile all’effetto serra, dove il vetro rifrange all’interno le radiazioni del visibile limitando l’irraggiamento verso l’esterno. Al contrario, se la concentrazione dei pigmenti sulla cuticola è minore, la radiazione azzurra avrà più probabilità di riverberare verso l’esterno e il giallo limone sarà più deciso. La conclusione è che minore è la concentrazione del pigmento chimico giallo, maggiore sarà l’effetto limone. Canarini lipocromici giallo limone Non esiste, nel corredo genetico, o meglio cromatico, del canarino uno specifico pigmento blu in grado di selezionare le radiazioni luminose azzurrine; queste possono trovare origine soltanto in sorgenti di natura ottico-strutturale. L’azzurro strutturale può originarsi in conseguenza di due precisi fenomeni dell’ottica fisica: la diffusione luminosa e l’interferenza. Non analizzeremo a priori l’ipotesi avallata da gran parte della letteratura amatoriale (Veerkamp), che tale azzurro sia conseguenza di fenomeni diffusivi (effetto Tyndall) perchè questi devono essere supportati da strati di melanine costituite da microgranuli, tutti di dimensioni inferiori alla lunghezza d’onda della luce, assemblati finemente tra loro in maniera uniforme ed omogenea. D’altra parte, non potrebbe trovare applicazione nei canarini gialli lipocromici dove non esistono melanine.

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Ne consegue che l’unica spiegazione plausibile sia da ricercare in fenomeni di natura interferenziale. L’effetto iridescente delle madreperla, ed in particolare i riflessi azzurro perlacei, ci fanno individuare nella interferenza delle lamine sottili l’argomento della fisica che può aiutarci nei nostri intenti. L’interferenza scaturisce da strutture lamelliformi, anche se incolori e non supportate da melanine, purché insite tra strati di densità diversa e di spessore tale da favorire l’interferenza ottica in maniera da selezionare la riflessione soltanto delle radiazioni azzurre. Jean Dick (J. Dyck – IO 10/1988) ha dato concretezza a questa ipotesi fornendo addirittura un modello ottico completo di analisi dimensionale. In ottica si considera lamina sottile qualunque pellicola il cui spessore sia non più grande di alcune lunghezze d’onda della luce; un raggio di luce incidente viene riflesso rispettivamente dalla faccia superiore ed inferiore della lamina. La differenza tra i cammini ottici e lo sfasamento di questi nel tempo formano sulla lamina delle caratteristiche zone luminose o frange di interferenza. Queste, osservate alla riflessione, appariranno variamente colorate (bolle di sapone, macchie di olio su acqua), con picchi massimi di frequenza i cui valori sono determinabili con formulazione fisico-matematica.

Fig. 4 - Immagine TEM (microscopia elettronica a trasmissione) con ricostruzione tomografica 2-D-Fourier della sezione di una barba. Sono evidenziati la corteccia C, la spongy layer SL, i vacuoli V e nell’angolo destro l’ingrandimento della zona spugnosa. L’unita di misura è pari a 200nm (10-9 m), fonte: The royal society - Electron tomography, three-dimensional Fourier analysis and colour prediction of three-dimensional nanostructure biophotonic aamorph

In ottica si considera lamina sottile qualunque pellicola il cui spessore sia non più grande di alcune lunghezze d’onda della luce

Fig. 5 - Disegno originale di J. Dick del cilindro cavo con relative dimensioni (in Angstrom A°= 10-7 mm) con indicazione degli indici di rifrazione, fonte: J.Dick - Structure and colour-production of the blue barbs of Agapornis

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Modello ottico di Jean Dick Dyck propose l’ipotesi dello scattering coerente e quindi dell’interferenza costruttiva come alternativa allo scattering di Rayleigh che si basava essenzialmente su una diffusione incoerente. A tale scopo, propose l’ipotesi del “cilindro cavo”. Il modello del cilindro cavo ipotizzava che le dimensioni delle strutture di cheratina e dei vacuoli d’aria nella cheratina midollare spugnosa creassero condizioni favorevoli per l’interferenza costruttiva e la produzione di colori strutturali vividi. Questa ipotesi, accettata da Auber (1970/1971) e Durrer (1986), ha ricevuto inizialmente un’accoglienza limitata generale in ornitologia e zoologia, forse a causa della mancanza di prove che dimostrassero che la cheratina midollare spugnosa fosse sufficientemente ordinata da produrre relazioni di fase coerenti tra le onde disperse. Le recenti ricerche, invece, attribuiscono rilevanza a tale teoria per giustificare tutte le colorazioni strutturali non iridescenti delle piume degli uccelli. La sezione di una penna (fig. 4), alla quale qualunque specie di uccelli può essere ricondotta, presenta, come prima detto, intorno alla zona midollare un sito, detto “zona spugnosa”, dove possono nascere i colori strutturali. Tale zona, costituita da cheratina e spazi vuoti d’aria, circonda una zona midollare che nei canarini melanici è

Fig. 6 - Una bella immagine TEM della zona spugnosa dove è possibile localizzare il modello cilindrico di J.Dick, fonte: Why does the kingfisher have blue feathers University of Cambridge


ricca di melanine. Queste melanine è evidente che siano assenti nei canarini lipocromici. In tale sito spugnoso è possibile circoscrivere delle strutture cilindriche, finemente assemblati di cheratina e vacuoli, ipotizzate da J. Dyck (si veda ancora IO 10/1988), che possono essere assimilati a delle lamine ottiche. Di tali cilindri l’autore fornisce anche le dimensioni; ciò permette di verificare analiticamente le frequenze di radiazione. Nell’immagine è possibile individuare i raggi luminosi 1 e 2, in particolare il raggio riflesso 2 che attraversa il tessuto cheratinico con indici di rifrazione diversi, dando luogo ad interferenza costruttiva azzurra. Il cilindro cavo di J. Dick trova origine negli studi delle barbe blu degli Agapornis, ma molti altri autorevoli autori hanno fatto largo uso nella modellizzazione della zona spugnosa della cheratina. Non è disdicevole, personalissima considerazione, usare tale modello per giustificare il giallo limone dei canarini. L’applicazione del “cilindro cavo” di J. Dick per giustificare l’effetto limone nei canarini giallo limone presuppone che la cheratina midollare spugnosa dei canarini gialli debba essere finemente nanostrutturata e opportunamente dimensionata per produrre, tramite interferenza costruttiva, radiazioni coerenti. Per dirimere questo dubbio si dovrebbe studiare la struttura nanostrutturale della matrice della spongy layer al variare spazialmente dell’indice di rifrazione. Occorre utilizzare degli strumenti matematici sofisticati, degli algoritmi matematici come l’analisi discreta di Fourier 2-D. Ciò comporta digitalizzare, nel campo delle frequenze, l’immagine SEM (microscopio elettronico a scansione) della sezione di una barba di un canarino giallo limone e verificare la presenza di picchi di frequenze nel campo dell’azzurro. Suppongo che siano pochissimi i tecnici disposti a questo. Per completezza di informazione, alcuni ricercatori (Prum, Dyck e colleghi) hanno applicato proprio l’analisi di Fourier discreta 2-D (in un piano x y) per studiare la periodicità nanostrutturale della matrice della spongy layer della cheratina midollare in funzione della

Fig. 7 - Figurazione originale di J.Dick che individua i cilindri cavi nella zona spugnosa, fonte: J.Dick - Structure and colour-production of the blue barbs of Agapornis

variazione spaziale dell’indice di rifrazione. I risultati hanno dimostrato che la cheratina midollare spugnosa di numerose specie è finemente nanostrutturata ed è opportunamente dimensionata per produrre le tonalità prodotte mediante scattering coerente, o interferenza costruttiva (Prum et al. 1998; Prum et al. 1999). L’analisi di Fourier ha dimostrato che le matrici di cheratina midollare spugnose sono ordinate spazialmente con sequenze più piccole della luce visibile e quindi in contrasto su quanto ipotizzato sui modelli di scattering incoerenti (scattering di Rayleigh e Mie). Infatti, la diffusione incoerente della luce visibile richiede che i dispersori siano separati da distanze maggiori delle lunghezze d’onda della luce visibile. I dispersori presenti nelle matrici di cheratina midollare di tutte le specie di uccelli conosciute sono generalmente molto più vicini tra loro e si posizionano sotto i limiti generali dello spettro aviario-visibile (350 - 800 nm).

Il blu è decisamente il colore più raro in natura. Questo è dovuto al fatto che la maggior parte degli animali non è in grado, tramite la dieta, di produrre pigmenti blu

Considerazioni Il blu è decisamente il colore più raro in natura. Questo è dovuto al fatto che la maggior parte degli animali non è in grado, tramite la dieta, di produrre pigmenti blu. Inoltre, in quasi tutti i pochi casi in cui ci si imbatte con questa tonalità nel regno animale, in realtà il colore non è dovuto ai pigmenti ma da colori strutturali, ovvero dal risultato dell’iridescenza e della riflessione selettiva. Sorprendentemente, nonostante il profondo apprezzamento dell’umanità per i colori, in particolare viola e blu, rimangono ancora molte domande a cui rispondere sui colori negli animali. Ad esempio, perché gli uccelli non producono abitualmente pigmenti blu? Perché il blu è un colore così raro negli animali? Ma forse la domanda più importante è: qual è il significato evolutivo alla base di questa generale mancanza di pigmenti blu tra uccelli e altri animali? NOTE (1)TEM (microscopia elettronica a trasmissione) offre una risoluzione migliore rispetto a SEM (microscopia elettronica a scansione). (2) SEM genera immagini di superficie, mentre TEM produce immagini della struttura interna di un campione. (3) SEM è più facile da usare e richiede meno preparazione del campione rispetto a TEM.

FONTI - U. Zingoni, Canarinocoltura - M. Alfonzetti, Italia Ornitologica (vari articoli) - Richard O. Prum,The anatomy and physics of avian structural colours - Priscilla Simonis, How Nature produces blue color and, Interactions between colour-producing mechanisms and their effects on the integumentary colour palette - R. o. Prum, S. Andersson, R. h. Torres, Coherent scattering of ultraviolet light by avian feather barbs - G. Canali, Italia Ornitologica (vari articoli) - G. P. Mignone, IO…/1987 - Wikipedia - Toshio Okazaki, Role of spongy layer and melanin granule arrangement on the development of blue structural color of bird feathers - Finger, E., Visible and UV Coloration in Birds: Mie Scattering as the Basis of Color Production in Many Bird Feathers - J. Dick, Structure and colour-production of the blue barbs of Agapornis - The Royal Society, Electron tomography, threedimensional Fourier analysis and colour prediction of three-dimensional nanostructure biophotonic aamorph

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ALIMENTAZIONE

La Romice crespa o Lapazio (Rumex crispus) Una pianta infestante annoverata fra quelle officinali di PIERLUIGI MENGACCI, foto P. MENGACCI, LAVALLEDELMETAURO.IT, WIKISPECIES, WIKIPEDIA, PIANTEMAGICHE.IT e GRAN GALÀ DEI PAPPAGALLI

Premessa Il piccolo giardinetto antistante il mio studio in Pesaro, a seguito di un riporto di terreno per livellarlo al marciapiede, in un paio d’anni è stato infestato da una pianta erbacea che, per quanto abbia fatto, non sono riuscito a far sparire completamente. “I Rapaciòl”, così veniva chiamata da mia madre, oppure “Lengua d’bo’”, cioè “lingua di bue” dai contadini: quella pianta erbacea pian piano aveva colonizzato quel piccolo fazzoletto di verde in cui, con tanta pazienza ed amore, aveva creato aiuole con rose, fiori e bulbi vari. È una bella giornata di marzo; appena

Romice crespa nel giardino dell’autore, foto: P. Mengacci

Dal libretto dei miei appunti orto-ornitofili e non solo

giunto in ufficio, apro la finestra per arieggiare la stanza e vedo Adria, mia madre, nel giardino, intenta alla pulizia delle aiuole. La saluto: “Ciao ma’; ci sono molte erbacce… i rapaciòl, ce ne sono ancora? “Non lo so” mi risponde “adesso tolgo le erbacce e do una sistemata alle aiuole”.

Trascorsi una decina di minuti, si affaccia alla finestra e, ponendo sul davanzale alcune foglie, mi dice: “Gigi, mi fai un favore? Mi controlli nel tuo libro se questo rapaciòl in italiano si chiama romice, come mi ha detto la Giuliana, e se il consumo è pericoloso per chi soffre di calcoli renali?”. Premetto che mia madre alcune giovani foglie di quei rapaciòl le lessava assieme ad altre erbe mangerecce che andava a raccogliere in campagna. Dalla sua voce capisco che è in ansia e che le parole della Giuliana, considerata un’esperta di erbe di campagna che raccoglieva anche per venderle al

Pannocchia di Romice crespa, foto: P. Mengacci

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mercato rionale, l’avevano allarmata, avendo sofferto di calcolosi non molto tempo prima. In quel periodo (siamo ai primi degli anni ’80) mi stavo appassionando alle erbe di campagna anche in riferimento all’alimentazione dei miei canarini. Mia madre ne era a conoscenza, anche perché molte volte ricorrevo ai suoi consigli sulla bontà o meno di alcune erbe selvatiche che raccoglievo durante i “rilievi topografici” in aperta campagna. La sua richiesta era riferita al volume “Segreti e virtù delle piante medicinali” che allora consultavo nei casi dubbiosi. Per non farla stare in pensiero ho controllato subito… infatti, si trattava della romice e l’illustrazione riportava foglie e frutti della Rumex crispus simili a quelle raccolte. Leggo la descrizione sulla paginetta, che termina così: “Le foglie sono depurative, toniche, diuretiche e leggermente lassative; si prepararono in insalata o cotte”. E fin qui tutto ok. Proseguo ed anche nell’elenco dei costituenti non trovo alcun riferimento a composti dannosi per i reni. Per il momento rassicuro mia madre dicendole che, come tutti gli alimenti, se assunti in eccesso, sicuramente non fanno bene, e forse a questo si riferiva la sua amica. Le prometto, però, di informarmi meglio con la farmacista dove vado ad acquistare alcuni integratori per i canarini. Passati alcuni giorni, mi reco nella solita farmacia per acquistare, nel reparto fitoterapico, una boccetta di “olio di germe di grano”, un concentrato naturale di vitamina E che utilizzo come integratore nella messa in forma dei miei riproduttori (vedi I.O. n.3/2015 pag.26). Alla dottoressa che mi serve faccio presente l’apprensione di mia madre riguardo il consumo delle foglie della romice per la presenza di qualche sostanza pericolosa per chi soffre di calcoli renali. Dopo un momento di riflessione mi risponde così: “La romice è una pianta a bassa tossicità e le sue foglie, oltre a contenere vitamine A, B e C, sono ricche di minerali quali ferro e potassio, ma contengono anche acido ossalico. Il consumo prolungato di questa pianta è controindicato per fegato, stomaco, in-

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Rumex crispus, fonte: www.lavalledelmetauro.it

Rametto con frutti di Rumex crispus, fonte: Wikispecies

testino e per i reni, come sempre in una quantità che possa dare fastidio. È sconsigliato alle persone che soffrono di calcoli renali perchè, in questo caso, favorisce la formazione di calcoli di ossalato di calcio. Anche se il contenuto di acido ossalico diminuisce dopo la cottura, di’ a tua madre, che soffre di calcolosi, che sarebbe opportuno non consumarla”. Con la dottoressa si era instaurata una buona confidenza; spesso si parlava di alimentazione e mi consigliava integratori naturali sia per me che per i miei canarini. Nel porgermi la boccetta dell’olio mi chiede: “Come va con i canarini? Funziona per la messa in forma dei riproduttori?”. “Bene, bene” le rispondo “funziona… sto predisponendo le coppie, l’estro è iniziato. Ah, visto che siamo in argomento, posso chiederti se le foglie di romice possano essere una verdura adatta anche per i canarini?”. Ci pensa un attimo e poi: “Non saprei dirti se siano adatte o meno… io sarei cauta, secondo me al posto delle foglie potresti provare con la parte terminale della pianta con le sue infiorescenze e le pannocchie con i semi, sempre in piccole dosi ed una tantum. Non dovresti avere dei problemi, l’acido ossalico è in prevalenza presente nelle foglie, quindi fegato, reni, stomaco e intestino non dovrebbero avere complicanze, però lo smog cittadino che assorbono le piante e gli scarichi del traffico non sono l’ideale neanche per i canarini. Per il resto, tieni sempre presente un famoso detto che recita: è la dose che fa il veleno”. Vedo in attesa un altro cliente, ci salutiamo, passo alla cassa e torno in ufficio. Durante il breve tragitto mi ripeto il motto… Un detto che avrei tenuto poi sempre presente nell’alimentazione anche dei miei canarini. Prima di entrare in ufficio, salgo da mia madre e le riferisco il parere della farmacista. Scuote un po’ la testa, come se le dispiacesse ma, da quel giorno, la romice dalle sue aiuole sparisce quasi completamente ed anche il mio desiderio di utilizzarla come alimento per i canarini. Da quell’episodio sono trascorsi molti anni; nel frattempo mi sono trasferito a Monteciccardo e della romice non mi sono più interessato. Un


Rumex obtusifolius, fonte: Wikipedia

giorno di fine primavera, mentre controllavo se la potatura della siepe di alloro fosse stata eseguita regolarmente, ho notato che alla base sporgevano alcune foglie lunghe ed increspate. Al primo sguardo ho pensato alla piantaggine, ma da un controllo più accurato e guardando all’interno della siepe dove erano cresciute alcune infiorescenze a forma di pannocchia, quasi incredulo ho esclamato: “Toh! Una pianta di romice crespa! Da dove è venuta questa infestante?”. Il pensiero va subito ad alcune piante ancora presenti nel giardino dello studio che non ho mai voluto raccogliere pensando allo smog cittadino. Ma qui non esistono inquinanti Colgo l’occasione al balzo e, memore

Rumex sanguineus, fonte: piantemagiche.it

Rumex acetosa, fonte: Wikipedia

La romice è una pianta a bassa tossicità e le sue foglie, oltre a contenere vitamine A, B e C, sono ricche di minerali

disfazione dei canarini che hanno gradito ed anche mia, perché dopo alcuni giorni i canarini erano in perfetta forma! Questo esperimento, come tutti quelli che nel corso degli anni ho descritto, mi ha portato a conoscere più approfonditamente caratteristiche e proprietà anche della romice crespa.

del parere della dottoressa erborista, un fusto con relativa pannocchia di semi immaturi è finito tra le sbarre di una volieretta in cui avevo una decina di canarini in fase di svezzamento. Nel mentre mi son detto: “Gigi, facciamo una prova e vediamo un po’ come andrà!”. La prova è risultata positiva, con sod-

Alcuni dati botanici del Genere Rumex Il genere romice, dal latino Rumex (“asta”, “lancia”, “freccia”, per la forma delle foglie), comprende numerose specie di piante erbacee, per lo più perenni, appartenenti alla famiglia delle Polygonaceae; molte sono infestanti, altre vengono coltivate come ornamentali oppure sono piante officinali.

Lorichetto iridato (Psitteuteles iris) con romice, fonte: Gran galà dei pappagalli

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Le piante di romice sono generalmente a portamento cespitoso con rosetta basale e fusti erbacei tendenti a lignificare e sono alte fino ad oltre 60 cm. Le piante di romice hanno lamina oblungo-lanceolata, acuminata all’apice, talvolta astata, con margine più o meno increspato. I fiori sono riuniti in pannocchie terminali, sono ermafroditi e le infiorescenze compaiono tra aprile e giugno, secondo la latitudine. Il frutto è un achenio di forma trigonale, rivestito dai sepali interni. È diffusa in tutta l’Italia e possiamo trovarla comunemente nei luoghi incolti, nei prati, come infestante nei terreni coltivati, lungo i margini di fossi e strade, dalla pianura alla fascia collinare alta. La Rumex, oltre a diffondersi tramite il seme, ha la capacità di riprodursi per via agamica, cioè dalle gemme alla base del colletto o dalla frammentazione delle radici fittonanti durante la lavorazione dei terreni. A questo proposito, mi piace ricordare una citazione di un personaggio de “I Promessi sposi” del Manzoni inerente a questa pianta: “Chi, vedendo in un campo mal coltivato un’erbaccia, per esempio il bel Lapazio, volesse proprio sapere se sia venuto da un seme maturato nel campo stesso, o portatovi dal vento, o lasciatovi cader da un uccello, per quanto ci pensasse, non ne verrebbe mai a conclusione”. Le specie più comuni presenti nel nostro territorio sono in prevalenza le seguenti: - Rumex crispus: romice crespa o lapazio, presente nel mio giardino. - Rumex obtusifolium: romice comune, simile per aspetto e proprietà alla romice crespa ma con foglie papillose ed infiorescenza ramosa con frutti a forma di cuore ma allungati. - Rumex acetosella: romice acetosella, che si distingue dalle altre per la forma delle foglie cauline astate. Viene coltivata come pianta aromatica. - Rumex sanguineus: romice sanguigna, pianta sempreverde perenne con foglie verdi e venature rosso fuoco, utilizzata anche nei giardini.

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Morfologia della specie Rumex crispus È una pianta erbacea perenne con radice rizomatosa affusata e ingrossata che raggiunge profondità anche oltre gli 80 cm. Ha una rosetta basale da cui parte un fusto cilindrico eretto, angoloso, di color verde rossiccio, ramoso nella parte superiore ed alto anche oltre un metro. Le foglie basali sono a rosetta, grandi e lanceolate, di color verde intenso; hanno il lembo ondulato ed i bordi più o meno increspati e man mano che salgono sul fusto diventano più piccole e rade. I fiori di color verdastro sono raggruppati in grappoli stretti e densi e formano una specie di pannocchia. L’impollinazione è anemofila, cioè avviene tramite il vento. Il frutto è un achenio trigono di color marrone-rossiccio.

Romice crespa nel giardino di Pesaro, foto: P. Mengacci

Rametti di romice crespa con infiorescenze, foto: P. Mengacci

Componenti chimici e proprietà I componenti chimici principali presenti in tutte le specie di romice ed in modo particolare nella romice crespa sono rappresentati da minerali di ferro, magnesio e piccole quantità di potassio e calcio; ci sono anche vitamine, con ottima presenza di vitamina A e vitamina C, oltre a tannini, antrachinoni, rumicina, glucosio, fitosteroli. Le proprietà, riportate in tutti i trattati che ho consultato, si possono riassumere in diuretiche, disintossicante, immunostimolanti, antinfiammatorie e di aiuto nell’eliminazione delle tossine attraverso i reni. Va assolutamente tenuto presente che la romice è controindicata per le persone che soffrono di calcolosi renale perché ricca di ossalati. Impiego terapeutico: anemie essenziali, carenza di ferro, convalescenze, inappetenza, gotta, artrite, dermatiti, eczemi e acne. Diversi studi scientifici hanno dimostrato la presenza nelle radici di ferro organico e tutt’ora viene impiegata sia come rimineralizzante che come antianemica. Parti usate: è da preferire l’utilizzo della radice, ma importanti sono anche foglie e semi. Un cenno meritano i frutti. Sono ricchi di tannini e ven-


gono consigliati contro la diarrea. Il tannino è ritenuto un antiossidante e antinfiammatorio, aiuta a combattere la proliferazione dei radicali liberi e anche per rimodulare la flora batterica. Periodo di raccolta: la radice va estratta nei mesi di settembre-ottobre da piante di almeno due anni. Le foglie vanno raccolte dalla rosetta basale in primavera ed i semi in piena o fine estate. Per l’uso terapeutico è bene ed opportuno essere consigliati dal proprio medico di famiglia o dal medico fitoterapeuta, che indicherà qualità e quantità di ogni componente secondo le specifiche necessità, sia ad uso interno che esterno. Impiego in cucina: le giovani foglie delle rosette basali si possono utilizzare in misticanze di insalata oppure lessate assieme ad altre erbe di campagna. Anche i fusti, all’inizio della crescita, ancora teneri, in alcune zone ven-

È una pianta erbacea perenne con radice rizomatosa affusata e ingrossata che raggiunge profondità anche oltre gli 80 cm

gono utilizzati come gli asparagi. I semi, simili a quelli del grano saraceno, ripuliti dei tepali che li ricoprono si possono consumare in insalata o cotti in zuppe, polverizzati come farine o fatti germogliare. Impiego in ornicoltura: come ho riportato nella premessa, anche la romice crespa è entrata a far parte delle piante erbacee selvatiche che utilizzo nei vari stadi di allevamento dei miei canarini. Durante le mie ricerche, ho

notato che non sono il solo ad adoperare tale pianta. I suoi frutti, sia allo stato lattiginoso che maturi, vengono descritti come particolarmente graditi ai verdoni e ad altri passeracei e psittacidi e ne viene consigliato un uso moderato. A mio avviso, l’utilizzo delle pannocchie e dei suoi frutti nei vari stadi di maturazione non solo è utile a regolare la flora batterica, ma altrettanto durante la muta per migliorare il piumaggio e lo stato di salute generale. Ad maiora, semper. Alcune fonti: - Segreti e virtù delle piante medicinali – Selezione dal Reader’s Digest - Le erbe selvatiche, Eugenio Lazzarini - https://www.lavalledelmetauro.it/contenuti/funghi-flora-fauna/scheda/1359. - https://www.testudovaldarno.it/portfolio/lapazio-o-romice-rumex-l-1753 - https://www.pimpinella.it/it/Eventi/La-Romice-oLapazio/

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CANARINI DA CANTO

Il fuoco della passione di FRANCESCO DI GIORGIO, foto G. MARSON

I

n altre parole stiamo parlando della motivazione, che è ciò che spinge a volere una cosa. E c’è il metodo da seguire per fare imparare qualcosa. Per avere un metodo bisogna avere un traguardo, un obiettivo: senza questi, è come avere una faretra piena di frecce, un arco ben teso ma nessun bersaglio a cui mirare. Abbiamo fissato un obiettivo, abbiamo capito l’importanza di investire tempo ed energie per raggiungerlo e abbiamo trovato in noi stessi la motivazione sufficiente per agire: ora siamo finalmente pronti per partire. Chi poco impara dalla crescita canora

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“Siccome il mangiare senza voglia è dannoso alla salute, così lo studio senza desiderio guasta la memoria”. LEONARDO DA VINCI

dei propri allievi specialisti poco imparerà dai suoi simili. Dare e ricevere è legge di vita in ogni campo. Però non è possibile vedere subito i risultati dagli sforzi elargiti.

Il contadino sa quanto sia importante il tempo trascorso dal seme sotto terra e sa che non è tirando una pianticella che la faremo crescere più in fretta. “Ognuno fa il fuoco – come si dice – con la legna che ha”; tuttavia, occorre puntare a trasmettere un sapere convergente, nella misura in cui il discente non devia con errori di ragionamento, ma anche divergente, nella misura in cui egli non rimane fermo, aderendo a quello che gli è stato detto e ripetendolo pedissequamente. L’attenzione è fondamentale; non solo le cose risultano meno faticose man mano che acquistano un senso, ma


tendono ad acquistarlo mentre diventano impegnative o faticose. Il ricordo normalmente si fissa nella memoria quando l’informazione viene ripetuta molte volte: altrimenti, si fissa solo per poco tempo e poi scompare. Quindi, bisogna ripetere. Quando si ripete una cosa molte volte, il ricordo può diventare materia, struttura permanente. Qualsiasi individuo è concentrato nello sforzo di ottenere un lavoro “ben fatto”. Conosco un pasticciere della vecchia scuola che prima di vendere una delle sue torte speciali a clienti della bottega chiedeva loro a che ora avessero intenzione di mangiarla: se “domani”, si rifiuta di vendergliela, perché sapeva che il giorno dopo la pasta sfoglia non sarebbe stata più friabile al punto giusto; preferiva perdere l’incasso che lasciar rovi-

nare l’opera dell’insipienza dei suoi clienti. Esiste dunque un piacere che deriva dal far bene le cose. Se ci si abitua a fare le cose “come si deve”, questa gratificazione costituirà una spinta emotivamente potentissima. Una volta che si è predisposta la mente alla concentrazione, l’azione sarà rapida e sicura come quella del falco: il rapace, dopo aver adocchiato la preda, inizia a volare lentamente in cerchi concentrici, dapprima larghi e poi sempre più stretti e solo dopo questa lunga fase di accumulazione dell’energia si lancia in picchiata esprimendo la massima concentrazione di forze nell’azione finale, in cui scocca come una saetta centrando la preda. Quando un canarino affronta una gara di canto ha paura. Se la gara, poi, è aperta a tante nazioni, la paura è ancora più forte.

Come può un cantore iniziare a competere con un simile carico sulle spalle? Il rimedio è cercare la serenità nella consapevolezza di aver fatto tutto il dovuto nelle fasi di preparazione, di essersi allenati con serietà, costanza e dedizione. Al cultore – scrematore del bel canto non è concesso mai relax, perché deve controllare costantemente il grado di penombra ambientale, gli ingredienti del becchime, l’igiene degli alati e delle gabbie, eccetera. Ogni canarino nato da razze canterine è in qualche misura un genio, così come – diventato tale – resta in qualche modo un piccolo. A tal proposito, un Malinois – Waterslager con 4 di Boll e alto punteggio globale, essendogli diminuita quella e rimesso “nell’armadio” con allievi più giovani, riuscì a recuperare quella piccola perdita. Vi sembra poco?

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Il Trombettiere ad ali rosa testo di PIERCARLO ROSSI, foto THOMAS WENDT

U

ccelli dal piumaggio poco appariscente, i Trombettieri, grazie alla loro docilità e robustezza, negli ultimi anni stanno riscuotendo un discreto successo in ambito domestico. Ad oggi le specie riconosciute sono cinque e la moderna nomenclatura, grazie a studi sul DNA mitocondriale, le ha così suddivise. Genere Bucanetes: questo genere comprende il Trombettiere comune (B. githaginea) con un areale molto ampio e frastagliato e con diverse sottospecie. È presente in Egitto e nel Sudan con la specie nominale, mentre la sottospecie B.g.zedlitzi la si trova in Mauritania, Tunisia, Algeria, Marocco; alcune colonie hanno attraversato lo stretto di Gibilterra e si sono insediate in Spagna sui monti della Sierra Nevada. Per poter osservare la sottospecie B.g. amantum occorre visitare le Isole Canarie, mentre la sottospecie B.g.crassirostris è quella presente più ad est ed è possibile individuarla in Israele, Arabia, Iran ed Iraq oltre che in Afganistan e Pakistan. Le sottospecie appena descritte hanno caratteristiche similari: frequentano

Grazie alla loro docilità e robustezza, negli ultimi anni stanno riscuotendo un discreto successo in ambito domestico

Trombettiere ad ali rosa

zone desertiche e semidesertiche, aree aperte di steppa, colline con macchia bassa e cespugliosa, pianure pietrose con rari arbusti, evitano generalmente le aree aperte del deserto sabbioso, ma ne frequentano le oasi. Questi habitat vengono frequentati soprattutto nel periodo riproduttivo, mentre nello stesso periodo, nella valle del Nilo, si trovano a ridosso dei campi coltivati. Le sottospecie si differenziano per lievi variazioni cromatiche del piumaggio. La seconda specie è il Trombettiere della Mongolia (B. mongolica), presente in una vasta area dell’Asia centrale comprendente Turchia, Caucaso, Iran, Kazakistan, Uzbekistan, Afghanistan, Paki-

stan, Mongolia e la zona nord occidentale della Cina, dove la specie compie delle piccole migrazioni, verso sud, per svernare. Il loro habitat è rappresentato da zone rocciose, montane e sub-montane con clima arido desertico o sub-desertico. Alcuni autori ritengono che questa ultima specie andrebbe ascritta ad un genere a sé stante, ossia Eremopsaltria, e non è detto che in futuro tutto ciò non avvenga. Questo genere, con l’analogo Rhodopechys, è stato ritenuto più affine al genere dei Pyrrhulini (tra cui il Ciuffolotto delle Pinete) mentre il genere Rhodospiza più vicino al genere Chloris. Analizzando il Trombettiere del Lie-

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Rhodopechys sanguineus alienus

chtenstein, ultimamente inserito nel genere Rhodospiza, come unico rappresentante, scopriremo che ha anch’esso un habitat molto vasto che si estende in Cina, Mongolia ed in Turchia. Inoltre, si segnalano anche delle colonie in Medio Oriente, in particolare in Giordania. Il riferimento al Liechtenstein è stato fatto in onore del suo scopritore; i suoi colori mimetici gli permettono di muoversi, mimetizzandosi egregiamente nelle zone aride e semiaride, con ampie pianure e colline, con una vegetazione rada e per lo più cespugliosa; ogni giorno compie spostamenti anche considerevoli alla ricerca di uadi (letti di torrenti o canaloni) dove potersi abbeverare. Questa specie è conosciuta anche con il nome di Trombettiere del deserto. Gli ultimi due rappresentanti della famiglia dei Trombettieri sono i veri protagonisti di questo mio articolo ed appartengono al genere Rhodopechis, ovvero il Trombettiere ad ali rosa con le sue due specie R. sanguineus ed R. alienus che in passato erano considerate un’unica specie, ma la cui distanza geografica ed una speciazione sempre più spinta nel corso dei secoli hanno fatto sì che una non fosse più considerata una sottospecie dell’altra ma che la specie alienus fosse ascritta come una specie a tutti gli effetti.

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Andiamo ora ad analizzarle singolarmente: Rhodopechys sanguineus abita in regioni montuose spoglie tra i 1700 ed i 3000 metri di altitudine, con una lunghezza che può variare dai 15 ai 18 cm; il maschio in abito nuziale presenta una calotta colore nero intenso, i ciliari di colore beige chiaro ed una macchia di color rosa, con una intensità variabile a seconda dell’età, nella zona perioculare, mentre la guancia risulta essere infiltrata di bruno scuro. La parte posteriore del collo, il dorso e le scapolari hanno una tonalità marrone rossiccio con le piume orlate di beige a formare delle piccole lunette, mentre il dorso è di un colore bruno rossiccio, su cui il disegno a lunetta si nota meno; sul petto le piume formano delle scaglie nere, anche queste bordate di beige, che vanno a diradarsi lungo i fianchi, mentre la parte centrale assume una colorazione bianca con alcune infiltrazioni brune. Le ali presentano una vistosa “macchia rosa” in alcuni punti molto intensa, per circa 2/3 della lunghezza delle primarie e su tutte le secondarie, formando una grande fascia alare ben visibile in volo. Le terziarie sono marrone testa di moro tendente al nero. La parte inferiore delle ali è bianco argenteo, anche questa apprezzabile in volo.

Le piume del codione, color sabbia, sono leggermente infiltrate di rosa e si estendono fino alla copertura superiore della coda. Le timoniere sono nere, leggermente ornate di bianco sporco, e lo stesso colore risulta essere più marcato all’apice della coda, mentre quelle esterne sono lievemente sfumate di rosa. Il becco di questo robusto trombettiere è massiccio e di un bel giallo, con la punta brunastra; il colore diventa ancora più acceso nella fase d’estro. Possiede ali piuttosto lunghe, con zampe nero brunastre. Nella fase eclissale l’intera testa e la maggior parte della zona inferiore del corpo sono di colore marrone ocra monocromatico, con sfumature debolmente marcate; anche il rosa risulta essere più pallido, così che in questa fase i due sessi risultino essere molto simili. Nella femmina la corona, scura, non è così evidente, presentando un colore marrone scuro, leggermente striato e bordato di beige; inoltre, le zone di color rosa sono molto meno intense e leggermente inquinate di bruno. Anche le strisce scure sul petto, sui fianchi e sulla schiena sono fortemente ridotte. I giovani risultano essere molto simili alla femmina, presentando, tuttavia, una colorazione marrone uniforme sulle guance e copritrici auricolari ed una fascia più chiara sulla fronte, color camoscio. Il Trombettiere ali rosse presenta il vertice del capo scuro e le forti striature del dorso e dei fianchi, caratteristiche esclusive che lo rendono molto ben distinguibile dalle altre tre specie. Il richiamo di contatto è un melodico “Witl-i” o un più soffuso “Chi-rup” . Il canto, solitamente eseguito da un cespuglio o da un ciuffo d’erba, suona come un “tschwili-tschwilip” simile a quello di un passero. Un “Turdil-idi-wipu” può essere ascoltato durante il volo ondulato o a cerchio, anche a grandi altezze nel cielo. Misure: nei maschi ala 95-108, coda 5570, tarso 18.2-22.5, becco 11.0-14.6; nelle femmine ala 91-103, coda 53-64, tarso 18,0-22,5, becco 10,8-13,3 mm. Peso: nei maschi 32,7-47,7, nelle femmine 32,4-45,7 grammi.


Distribuzione geografica Essendo una specie che predilige le zone montuose, la sua distruzione risulta essere molto frammentata. È presente nel sud-est della Turchia, nel Caucaso meridionale e nell’Iran; è stato segnalato anche nel sud del Libano fino al monte Hermon in Israele. Nell’Asia centrale, la sua presenza spazia dal sud del Mar Caspio al Tagikistan e dalla parte russa dello Tian-Shan occidentale, nelle montagne Chu-Ili, nello Dzungarian Alatau e nella gamma Mon, fino ad arrivare ai Tarbagatai nello Xinjiang in Cina. Probabilmente abita il Kirghizistan Alatau, dove è stato avvistato a luglio. La migrazione avviene ai passi Chokpak e Kordai, ai piedi del Tien Shan, sul lago Big Almaty. In inverno, si trova nella gola di Chemolgan, Zhetyzhol, sulle montagne di Boguta, Karatau e vicino a Shymkent; solitamente si tratta di migrazioni altitudinali per sfuggire al clima rigido. Gli uccelli del Sinkiang si spostano nella regione centro-settentrionale della Cina. Altri movimenti simili sono stati identificati nel Caucaso settentrionale, in Ossezia e in Pakistan, nel Kashmir. Rhodopechys alienus: le due specie sono cromaticamente molto simili, anche se la macchia rosa perioculare non raggiunge mai l’intensità della specie asiatica; unico particolare che le distingue è il “pizzetto” di colore bianco/beige alla base del becco. La taglia risulta essere leggermente più grande e questo si nota soprattutto nelle femmine. Quanto alla sua distribuzione geografica, vive nel Nord Africa, nell’Alto Atlante marocchino e forse anche nel nord-est dell’Algeria; in quest’ultima nazione gli avvistamenti sono avvenuti soltanto nel periodo invernale. Habitat Con una distribuzione abbastanza irregolare, questo fringillide può essere, a seconda della regione, diffuso, raro o localmente comune. Per quanto riguarda il suo habitat, diciamo che frequenta le aree semi-desertiche delle montagne, coperte da piccoli e radi arbusti. È possibile osservarlo lungo i pendii rocciosi asciutti e ben assolati e sulle pie-

traie, ad altitudini abbastanza elevate, ad esempio a Talsi Alatau fino a 28003000 metri, ma è stato osservato anche ad altezze superiori come sull’alto Atlante marocchino a 3600 metri; anche in queste zone vengono effettuati movimenti migratori, soprattutto in inverno, quando i soggetti scendono di quota per raggiungere zone meno fredde e rocciose lungo le colline o ai margini della terra coltivata. Risulta essere un uccello terricolo, alla costante ricerca di cibo, pertanto non lo vedremo appollaiato su un albero in bella mostra di sé, ma piuttosto su un masso o su un ciuffo d’erba, soprattutto in primavera quando, per attirare la femmina, inizia a cantare. Questi uccelli vivono in piccoli gruppi che possono diventare anche numerosi al di fuori della stagione riproduttiva.

Questi uccelli vivono in piccoli gruppi che possono diventare anche numerosi al di fuori della stagione riproduttiva

Alimentazione Potremmo definirlo un “razzolatore” in quanto cerca il proprio nutrimento al suolo tra le erbe alla base delle rocce; in queste occasioni ha un portamento eretto e fiero, mentre negli spostamenti saltella spesso con un’andatura abbastanza ondeggiante. Alla ricerca del cibo frequenta zone aride coperte di erbe cespugliose; tra queste Chenopodiaceae, Boraginaceae, Brassicaceae e Compositae vanno per la maggiore, di cui apprezza sia i semi che i teneri germogli e le rare bacche. In inverno, quando il cibo scarseggia, questo fringillide si avvicina alle case ed ai giardini e come i passeri diventa onnivoro. Nella stagione riproduttiva integra la propria dieta con qualche insetto, soprattutto durante la fase riproduttiva. Nido, uova e nidiacei È un uccello monogamo che può, a seconda del luogo, portare a termine una o due nidiate all’anno; in questo periodo il maschio diventa estremamente territoriale e pronto a scacciare ogni rivale. La stagione riproduttiva varia in base alla regione: da metà maggio a fine giugno in Marocco, da aprile a maggio in Turchia, da metà maggio a luglio in Kazakistan, al termine del periodo dei monsoni, quando le vaste distese aride

Il protagonista dell'articolo

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Trombettiere ad ali rosa

diventano dei tappeti verdi ricoperti di erbe spontanee, con relative infiorescenze e semi immaturi. Il nido, costruito solamente dalla femmina, viene posto in luoghi rocciosi con poca vegetazione o a terra vicino ad un ciuffo di piante xerofite, sotto una roccia a strapiombo o in un crepaccio situato tra blocchi di pietra. È curato e costruito con erbe secche resistenti, steli di cereali, radici che sono collegate tra loro da erbe fini e fibre vegetali, imbottito con peli e lanuggine. La femmina depone 4 o 5 uova, ellittiche, lisce e leggermente lucide. Queste ultime hanno un colore blu cielo con piccole macchioline marrone-viola sul lato più largo. L’incubazione dura dai 13 ai 15 giorni, effettuata dalla sola femmina, mentre il maschio cerca il nutrimento anche molto lontano dal nido, nei prati rocciosi e fa ritorno al nido solamente per nutrirla. Alla schiusa i genitori raccolgono cibo per i pulcini in un sacco sublinguale, pratica comune in diversi uccelli delle zone montuose. Entrambi i genitori alimentano la nidiata; da studi effettuati sul campo, in questo periodo una delle piante maggiormente utilizzate è l’Alyssum granatense. I pulli abbandonano il nido all’età di 1617 giorni e in questo periodo spesso non sono ancora in grado di volare, così vengono accuditi costantemente dai genitori. Al termine della stagione riproduttiva i gruppi famigliari si riuniscono per scen-

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Rhodopechys sanguineus alienus

dere ad altitudini inferiori verso le distese sassose ed aride dei fondivalle, frequentando occasionalmente anche i limiti delle zone coltivate. Nel complesso, è un uccello docile e facile da avvicinare, nonostante il suo perenne movimento. Allevamento in ambiente controllato Importato occasionalmente un tempo, il Trombettiere ali rosa è sempre stato un uccello raro in ambiente domestico, anche se discretamente ricercato. Alcuni allevatori del Nord Europa ne hanno fatto un vero e proprio beniamino dei loro allevamenti; tra questi, Frank Schmidt di Bad Homburg vor der Höhe, vicino a Francoforte, che lo ha riprodotto per diversi anni. Di questa specie racconta: “Il Trombettiere ali rosa è una specie molto robusta, senza grandi pretese per quanto riguarda l’alimentazione; il becco possente gli permette di cibarsi di qualsiasi tipo di semi, dai più coriacei a quelli di piccole dimensioni. Io li ho sempre ospitati in una voliera esterna di ampie dimensioni, ma so di amici che sono riusciti a riprodurli anche in gabbioni all’interno; unico particolare

Il Trombettiere ali rosa è sempre stato un uccello raro in ambiente domestico

da non sottovalutare: il maschio nel periodo riproduttivo diventa molto focoso e territoriale e questo può essere un problema se all’interno dell’aviario vi sono altri ospiti con la stessa territorialità. Come alimentazione fornisco loro una comune miscela per canarini con l’aggiunta di grano saraceno, molto apprezzato, e girasole striato; nel periodo invernale aggiungo alcune bacche del mio giardino come ligustro e piracanta. Con l’avvicinarsi della primavera fornisco alla coppia un mix di tre pastoni (uno secco, uno morbido ed uno per insettivori) con l’aggiunta di farina di krill per aumentare il valore proteico. Per far sì che i trombettieri lo mangino, inizialmente aggiungo alcuni semi di grano saraceno. All’inizio di ogni stagione riproduttiva sistemo all’interno della voliera alcuni rami di conifera, cosa molto gradita dai trombettieri, e posiziono vari nidi, di diverse fattezze, a diverse altezze; questo permette alla coppia di scegliere quello che preferiscono e la scelta, nelle varie stagioni riproduttive, è quasi sempre per quello a cassetta aperto sul frontale, non troppo alto da terra. Consultando i miei appunti ho notato che le prime uova vengono deposte verso la metà di maggio, a prescindere dalle condizioni meteorologiche. Agli inizi di maggio il maschio inizia una fase di corteggiamento composta da vari trilli e voli circolari e in questo periodo è molto focoso e pretende di accoppiarsi spesso; se la femmina è in estro lo accetta di buon grado, altrimenti iniziano le prime battaglie, perciò la voliera piantumata permette al maschio di


dare sfogo al proprio ardore ed alla femmina di trovare riparo. Il nido è abbozzato grossolanamente con materiale da me fornito con l’aggiunta di ciò che resta delle erbe del mio giardino, da me proposte in abbondanza in questo periodo. Vengono deposte 4 o 5 uova di colore azzurro pallido, covate amorevolmente dalla femmina, e alla nascita dei piccoli fornisco il pastone sopra descritto, a cui aumento la percentuale della farina di krill con l’aggiunta di grano e grano saraceno bagnato, oltre ad un abbondante dose giornaliera di erbe prative. I piccoli crescono abbastanza velocemente; inoltre, le mie femmine si sono rivelate essere sempre delle bravissime imbeccatrici. Abbandonano il nido verso il sedicesimo-diciottesimo giorno e in questo periodo le richieste delle imbeccate sono insistenti e persecutorie; il verso del richiamo è un suono gentile. Particolare attenzione richiede la fase dello svezzamento, che è abbastanza lunga e sicuramente molto impegnativa rispetto a quella di un comune fringillide. Negli anni ho tentato saltuariamente di allevare i piccoli a mano, per permettere alla coppia di nidificare nuovamente; anche in questo caso i giovani hanno avuto un periodo di svezzamento molto lungo. Il blocco delle importazioni e la rarità dei soggetti in ambiente domestico non mi hanno permesso nel corso degli anni di poter rinforzare il mio ceppo”. Anche in Italia alcuni bravi allevatori ne hanno tentato la riproduzione e tra questi vorrei menzionare Antonio Servetto di Genova, che riuscì a svezzare un soggetto molto docile, messo a balia sotto una femmina di Carpodaco messicano che lo allevò in maniera egregia, senza nessuna aggiunta di proteine animali, ma con copiose imbeccate di pastone e verdure, le prime ad essere usate dalla balia tra i vari alimenti forniti. Quel soggetto vinse il Campionato Italiano di Ercolano e, con grosso rammarico, si piazzò al quarto posto al Campionato Mondiale di Piacenza.

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CRONACA

Le Mostre di SERGIO PALMA, foto S. GIANNETTI e E. DEL POZZO

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ggigiorno, esporre alle mostre è un’arte raffinata. La concorrenza in tutte le varietà è molto accanita e tutto dipende da come un uccello viene presentato. Questo vale molto più di quanto molti pensano. La preparazione adeguata degli uccelli per l’esposizione deve essere appresa e provata prima di poter ottenere successo sui tavoli di giudizio nelle varie mostre. Esistono due modi per fare tutte le cose, uno giusto e uno sbagliato. Anche per allevatori navigati, esporre è sempre motivo di grande ansia e perplessità; non parliamo poi dei giovani appassionati. Il principiante invariabilmente sbaglia, facendo partire con grande svantaggio i propri uccelli esposti e limitando molto le prospettive di successo. La

Lizard blu, foto: S. Giannetti

Anche per allevatori navigati, esporre è sempre motivo di grande ansia e perplessità; non parliamo poi dei giovani appassionati

maggior parte dei principianti, ma anche molti “veterani”, non riesce ad esporre i propri uccelli in modo soddisfacente e spesso durante i vari giudizi si notano “uccelli sporchi”, in gabbie sporche, su posatoi sporchi e soprattutto non adeguati. Onestamente,

molte cose possono essere perdonate, quando si può, ma l’ignoranza non deve mai prevalere, specialmente nelle manifestazioni specialistiche o nei campionati importanti: Regionali, Italiano, Europei, Mondiali. A questo proposito, esiste un’abbondanza di letteratura di cui oggi è inondato il mondo degli uccelli da gabbia, sicché è quasi impossibile, per un espositore, invocare l’ignoranza di uno qualsiasi dei dettagli. Molta attenzione dovrebbe essere riservata ai cosiddetti “convogliatori”, i quali, oltre a conoscere le norme sanitarie, dovrebbero in primis essere indottrinati su questioni tecnico-gestionali circa il buon assetto dei contenitori che riceveranno gli uccelli a loro affidati. Inoltre, da parte loro non deve essere una corsa a finire pre-

Lizard dorato, foto: S. Giannetti

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Norwich giallo brinato, foto: S. Giannetti

sto ma a finire bene. Occorre prestare estrema attenzione ai dettagli e qualora gli organizzatori non possano soddisfare le legittime esigenze, è bene sentire il proprietario e come extrema ratio non alloggiare i soggetti in gabbie non ben predisposte. Tornando alla preparazione alle mostre, non ci si deve limitare a far soggiornare i soggetti per qualche tempo nelle gabbie stabilite, ma prima della data di partenza vanno “toelettati”. La parola toelettatura farà storcere il naso a molti. Si dovrebbe cominciare già 40 giorni prima della data a osservarli e a togliere eventuali penne rotte per dar modo che ricrescano (certo questo non vale per Lizard o canarini rossi ad ala bianca). L’apposizione di creme emollienti alle zampe sicuramente rappresenta un beneficio. Nelle gabbie usate per avvicinamento alla competizione, gli uccelli devono essere mantenuti puliti e tranquilli. Non sarebbe male usare dei luoghi con poca luce, anche attraverso l’uso di reti ombreggianti su porte e finestre. È difficile, se non impossibile, avere uccelli ben tenuti e di classe se non si usano questi accorgimenti. Quegli allevatori che, per mancanza di spazio o per altri motivi, non possono

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Norwich pezzato a fondo bianco, foto: S. Giannetti

avere una grande scorta di gabbie, devono cercare di adeguare la riproduzione in funzione dello spazio o avranno molte difficoltà ad avere canarini perfetti da presentare alle mostre. Il piano più adatto per chiunque possa trovarsi in questa posizione, e quello che io personalmente seguo, prevede che alla fine della stagione riproduttiva si sottopongano tutte le gabbie da riproduzione ad un’accurata pulizia per usarle per la muta, mantenendo gli esemplari da esposizione divisi dai riproduttori durante tutti i mesi invernali. Il processo di lavaggio degli uccelli per l’esposizione è spesso un ostacolo per giovani e meno giovani appassionati. Ricordo bene con quali sentimenti mi

Coloro che conoscono un espositore esperto dovrebbero, se possibile, chiedere di assistere alle operazioni di lavaggio ed eventuale toelettatura

sono avvicinato per primo, quando la prima volta che dovetti partire per Bologna decisi di lavare i miei Norwich. Lo feci solo un giorno prima e arrivarono in mostra che sembravano dei Parigini… andrebbero lavati almeno quattro giorni prima per dare la possibilità al piumaggio di rientrare. Si può imparare di più da un esempio pratico del lavaggio dei canarini che dalla lettura di numerosi trattati sull’argomento. Coloro che conoscono un espositore esperto dovrebbero, se possibile, chiedere di assistere alle operazioni di lavaggio ed eventuale toelettatura (senza forbici o alchimie varie) quando sottopone alcune delle proprie “gemme” al processo di “raffinazione”. L’operazione di lavare un canarino è per il principiante un’impresa molto difficile e, se egli non è accorto, potrebbe concludersi in modo disastroso. Due cose sono più necessarie all’operatore, vale a dire una buona dose di coraggio e molta fiducia nella propria capacità di portare l’operazione a buon fine. Prima di tentare di lavare esemplari da esposizione di alta classe, l’allevatore dovrebbe esercitarsi con alcuni uccelli da non esporre o adulti. Dopo poco tempo sarà stata acquisita la necessaria confidenza e abilità nel maneggiare


gli uccelli e il lavaggio non causerà più disagio di quello che si proverà nell’eseguire la stessa operazione su sé stessi. Per far asciugare gli uccelli sarebbe necessaria una camera calda ma io, non avendone una, li posiziono nei pressi di una fonte di calore, normalmente un termosifone. Non vi racconto la contrarietà di mia moglie. Uso tre ciotole di buone dimensioni (quelle per il latte), che servono una per il lavaggio e due per il risciacquo, una tavoletta di sapone, un pennello da barba con il pelo accorciato, un asciugamano e tanti pezzi di carta assorbente quanti sono i canarini. Rispetto a quale sia il sapone migliore le opinioni divergono; io personalmente mi affido al sapone all’olio di oliva o al sapone di cagliata ma ognuno ha la propria preferenza. C’è un sapone da cui bisogna guardarsi ed è quello comune perché contiene alcali (acidi carbossilici). Il sapone migliore è quello

Soggetti in mostra, foto: E. del Pozzo

privo di alcali, rispetto a quello comune. Dopo il lavaggio ripongo i soggetti in

una gabbia come quella usata per i Norwich nelle esposizioni, ma più ampia.

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O rniFlash Distribuzione degli spazi verdi in città, ecco come influenzano gli uccelli

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concentrarsi su come la distribuzione degli spazi verdi in città possa influenzare le caratteristiche degli uccelli, ci ha pensato un team dell’Università di Granada. Al paper hanno collaborato anche ricercatori del National Museum of Natural Sciences. Il lavoro è stato condotto prendendo in esame 9 città europee, fra cui rientravano Praga, Madrid, Granada e Toledo. L’indagine si è concentrata sulla diffusione di 115 specie in primavera e 72 in inverno. Particolare attenzione è stata rivolta ai parametri relativi a: longevità, tipo di alimentazione, abitudini di accoppiamento e modalità preferite di nidificazione. In questo modo i ricercatori hanno potuto identificare la corrispondenza tra specifiche conformazioni urbane e predominio di determinate caratteristiche nell’avifauna. Secondo il paper a una determinata distribuzione degli spazi verdi corrisponde una maggior diffusione di uccelli con certe caratteristiche nel territorio delle città. Le aree dei grandi parchi sono perfette nursery per le specie che depongono molte uova e che costruiscono frequentemente nidi aperti. Si rileva, quindi, una maggiore presenza di saltimpali e allodole crestate. Si tratta di volatili che hanno cicli di vita più brevi e investono maggiori energie nella stagione riproduttiva. Al contrario, nelle zone in cui viene privilegiato il land-sharing è più frequente imbattersi in cinciallegre, gheppi e gabbiani. Tali volatili vivono più a lungo e sono più selettivi nell’accoppiamento. Per fare in modo che l’avifauna resti equilibrata appare, quindi, fondamentale trovare un compromesso tra i due modelli di sviluppo urbano. I ricercatori hanno sottolineato che, in fase di progettazione urbanistica, prendere in esame l’influenza che la distribuzione degli spazi verdi ha sugli uccelli nelle città deve essere considerato prioritario. L’avifauna è, infatti, un anello fondamentale all’interno degli ecosistemi e salvaguardarla ha effetti positivi anche sul benessere umano. Gli addetti ai lavori sono ora chiamati a regolarsi di conseguenza. Fonte: https://www.innaturale.com/distribuzione-degli-spazi-verdi -in-citta-ecco-come-influenzano-gli-uccelli

Fare colpo su una compagna riscrive il cervello degli uccelli

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uando un diamante mandarino, anche conosciuto come fringuello zebra, si accorge che una possibile compagna si è avvicinata, il suo cervello mette da parte qualsiasi altro pensiero nel tentativo di fare colpo, e modifica completamente la sua attività: uno studio pubblicato sulla rivista Nature ha scoperto, infatti, che viene alterata l’attività di specifiche cellule cerebrali coinvolte nel circuito della dopamina, una molecola che lavora come messaggera nel cervello. In studi precedenti, i ricercatori guidati da Vikram Gadagkar della Columbia e Andrea Roeser della Cornell hanno osservato i diamanti mandarino mentre si esercitano nei canti che rivolgeranno alle femmine. Hanno così scoperto che, quando sbagliano una nota, il livello di dopamina si abbassa repentinamente, come se fosse un segnale di errore interno, mentre quando il canto viene eseguito correttamente, la produzione di dopamina aumenta come ricompensa per la buona prestazione. In questo nuovo studio, i ricercatori hanno aggiunto all’equazione una possibile compagna: quando i fringuelli si accorgevano di aver attirato l’attenzione di una femmina, i segnali di errore basati sulla dopamina venivano completamente soppressi, mentre si intensificavano quelli di ricompensa. Fonte: https://www.ansa.it/canale_scienza/notizie/natura/2023/09/28/fare-colpo-su-una-compagnariscrive-il-cervello-degli-uccelli_d317c717-6669-4a0b-97ba-1e1723f691ad.html


O rniFlash Crisi climatica colpisce la Scozia: galli cedroni e gheppi in declino lcune delle specie di uccelli più famose della Scozia, tra cui il gallo cedrone e il gheppio, sono tra quelle sempre più in declino a causa dei cambiamenti climatici. Lo studio, come riporta The Guardian, è stato condotto dall’ente pubblico NatureScot e ha tracciato le popolazioni di uccelli terrestri nidificanti in Scozia tra il 1994 e il 2022. Ha rilevato cambiamenti significativi nel numero e nelle specie di uccelli che vivono negli habitat urbani, boschivi, montani e agricoli del Paese, in gran parte dovuti al clima più caldo e umido legato alla crisi climatica. Alcune specie hanno aumentato le loro popolazioni grazie alle estati più calde, attirando quelle che tradizionalmente non si sarebbero recate in Scozia. Tra queste, il picchio rosso maggiore, il cui numero è aumentato di oltre il 500%, e i ciuffolotti e gli scriccioli, che hanno registrato un aumento di oltre il 50% ciascuno. Per alcuni uccelli, secondo NatureScot, la Scozia sta diventando un “rifugio climatico”, poiché le sue temperature si avvicinano a quelle preferite dalle specie abituate ad ambienti più caldi. Uno di questi uccelli è l’usignolo di fiume, che storicamente si riproduceva in Europa e migrava in Africa meridionale in inverno, ma che dal 1994 ha aumentato la sua popolazione in Scozia di oltre il 50%. Alcune specie come i cardellini e le gazze sono oggi due volte più popolose nei terreni agricoli scozzesi rispetto al 1994. Ma altre specie sono diminuite costantemente a partire dagli anni ’90. Il fagiano di monte, il gheppio, il verdone e la pavoncella hanno visto il loro numero ridursi di oltre il 50% a causa di fattori quali l’aumento delle precipitazioni estive, l’espansione delle foreste e i cambiamenti nelle pratiche di gestione del territorio. Anche le beccacce di mare, le cornacchie e le allodole sono tra gli uccelli in declino, così come il gallo cedrone, che in Scozia è protetto, ma che da circa 20 anni è vicino all’estinzione. Fonte: https://www.meteoweb.eu/2024/01/crisi-climatica-colpisce-scozia/1001349525/

Le nostre migrazioni sono legate a quelle degli uccelli?

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l progetto Overlap, arrivato al suo quarto anno di vita, ha coinvolto università, partner istituzionali e associazioni artistiche, per fornire una risposta a questa domanda. A fine dicembre, a Torino, è stato presentato il risultato dei primi quattro anni di lavoro, che hanno dimostrato come le rotte percorse da persone e uccelli coincidano. Il progetto, realizzato dall’associazione Senza Confini Di Pelle, ha coinvolto artisti, scienziati e richiedenti asilo. «La sovrapposizione delle mappe è avvenuta il primo anno – spiega Silvia Serreli, docente di Pianificazione urbana e territoriale presso l’Università di Sassari – ed è stata una grande sorpresa. Gli uccelli hanno delle tappe di approvvigionamento (negli spostamenti fra Sahel, Nordafrica e Europa, ndr) e trovano nella Sardegna un elemento centrale. Si spostano come tribù e a esempio riconosciamo la rondine francese o tedesca». E gli esseri umani? «Abbiamo lavorato sulle rotte migratorie e sul riconoscimento delle città – prosegue – ma non è molto semplice far parlare i ragazzi, quindi ho chiesto loro di raccontare le città che hanno attraversato. Così ho ricostruito i percorsi, dall’Algeria o dal Niger». Anche se Overlap non è nato per studiare le migrazioni, l’atmosfera dell’Asinara «che crea vicinanza» ha favorito un lavoro attraverso le mappe. Sono mappe create grazie al progetto Esodi di Medu – Medici per i diritti umani. Il percorso degli uccelli è simile, con tappe diverse che non coincidono con le città, e l’Asinara rappresenta un punto di approdo importante dove il Parco Nazionale provvede all’inanellamento di numerosi esemplari ogni anno (per un totale di centomila). Così si è visto, a esempio, che alcune specie attraversano i continenti due volte l’anno. Fonte: https://www.lasvolta.it/11124/le-nostre-migrazioni-sono-legate-a-quelle-degli-uccelli Foto: www.ilmeteo.net

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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI

Nuovo spazio per il Genere Pyrrhura al Loro Parque testo di RAFAEL ZAMORA PADRÓN (*), foto MOISÉS PÉREZ (LPF)

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l Loro Parque, immerso in una continua ricerca per ottimizzare gli spazi per i pappagalli, ha creato un nuovo spazio per i pappagalli Pyrrhura integrato nella fitta giungla che il parco ha sviluppato negli ultimi 50 anni. In un ampio spazio, i visitatori potranno ora osservare le evoluzioni aeree di questo interessante genere di pappagalli originario dell’America Centrale e Meridionale. In un’area delimitata fitta di vegetazione, la più grande rappresentanza di questo gruppo di pappagalli al mondo può ora essere vista in una voliera comunitaria. È un paesaggio sorprendente dove si possono apprezzare le differenze tra le varie specie e sottospecie originarie degli ambienti tropicali. L’apertura di questo nuovo ambiente coincide con l’inizio della nuova stagione riproduttiva per molte specie, i cui adulti si preparano ad iniziare la riproduzione. Questo è il momento dell’inizio del corteggiamento e della creazione di nuove coppie. Per iniziare una nuova stagione riproduttiva è necessario prima rivedere i risultati della stagione precedente. Non solo il numero di novelli in ciascuna coppia, è ancora più importante guardare le date in cui ciascuna coppia ha iniziato

(*) Direttore Scientifico Fondazione Loro Parque

Pyrrhura melanura e Pyrrhura egregia, foto: M Perez LPF

a deporre le uova, il numero di covate effettuate, il numero di uova non feconde e tutti gli incidenti accaduti durante l’anno: eventuali aggressioni, uova deposte fuori dal nido, morte dei pulli ed errori dell’allevatore. Questa analisi prima della fase riproduttiva ci permetterà di essere attenti in ogni caso e di aver preparato gli strumenti e le azioni che ci permetteranno di migliorare questi risultati nella stagione successiva. Dopo aver passato in rassegna ciò che potremmo trovare in ciascun mese con ciascuna coppia conosciuta, potremo

fare previsioni e correzioni che saranno molto utili per non cadere in eventuali dimenticanze nella gestione dell’allevamento. Una delle cose che dobbiamo evitare è che le femmine depongano le uova presto quando i maschi non sono comple-

Alla continua ricerca per ottimizzare gli spazi per i pappagalli

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Pyrrhura egregia e Pyrrhura melanura , foto: M Perez LPF

tamente attivi. Questo è un concetto importante per le nuove coppie nella giusta età per iniziare a riprodursi. La deposizione delle prime uova dell’anno può risultare sterile se la coppia non è ancora sincronizzata. La presenza precoce del nido può far sì che i maschi costringano le femmine ad entrare o che le femmine vengano stimolate a deporre le uova senza l’interesse maschile. Nel caso dei Cacatua e di molte specie di Amazzoni, coprire l’ingresso del nido con legno tenero, affinché la coppia possa lavorare per accedere al nido, facilita la sincronizzazione dei due uccelli e a sua volta impedisce molte aggressioni in quelle specie in cui i maschi tendono ad essere molto territoriali. Anche all’inizio dell’anno l’igiene è al centro dell’attenzione. I nidi in particolare necessitano di essere disinfettati o rinnovati. E se i nidi dell’anno precedente non hanno funzionato con una coppia in particolare, potrebbe essere necessario cambiare la posizione del nido o, come opzione, incoraggiare la creazione di un nuovo nido.

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Con l’apertura della nuova voliera comunitaria per i Pyrrhura al Loro Parque si potranno formare nuove coppie di specie diverse che, grazie all’ampio spazio di volo e alla libertà di scegliere il proprio compagno, permetteranno l’al-

levamento di novelli sani e provenienti da genitori vigorosi. Invitiamo tutti i nostri followers a godersi questo nuovo spazio e a vedere e fotografare specie di pappagalli poco conosciute come da nessun’altra parte.

Il nuovo spazio per i Pyrrhura all’interno del Loro Parque, foto: M Perez LPF


Questo mese, il protagonista di Photo Show è: FABIO SABBATINI R.N.A. NF58 con la fotografia che ritrae il soggetto: “Lucherino dorsonero” (Spinus psaltria) Complimenti dalla Redazione!

• Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it

• All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.

(*) Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione



ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

La Cesena Turdus pilaris (Linnaues, 1758) testo di DINO TESSARIOL, foto AUTORI VARI

Cesena in inverno su bacche, fonte: www.naturalmeteo.it

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arlando della Cesena mi tornano alla mente due episodi avvenuti anni fa, che descrivono la modalità che talvolta seguono le Cesene durante la loro migrazione. Il primo successe sulla collina del Montello, dove abito: era il mese di novembre del 1961 e quattro fratelli, di professione agricoltori, avevano ereditato dal bisnonno, dal nonno e dal padre un roccolo, che è un impianto arboreo appositamente piantato e potato per esercitare l’attività di uccellagione, cioè la cattura degli uccelli, attività al tempo molto remunerativa. L’impianto era in posizione privilegiata e a detta di tutti gli esperti del paese, nella stagione tra agosto e dicembre, tra tutti quelli della zona catturava il maggior numero di uccelli. Quel mattino sull’impianto c’erano i due fratelli maschi, mentre le due sorelle facevano la spola tra casa e roccolo per portare giù gli uccelli in grandi sacchi di iuta e scegliere tra quelli destinati al commercio e quelli da riservare alla ristorazione. Verso le nove di una giornata tranquilla, improvvisamente, le

cesene di richiamo iniziarono a cantare fuori misura coi versi che solitamente emettevano all’arrivo dei loro consimili; dapprima i fratelli pensarono al solito piccolo stormo di passaggio, ma quando si accorsero della quantità di uccelli che stava per calarsi sulle piante del roccolo ormai era troppo tardi per riuscire a chiudere le reti, perché per farlo sarebbero serviti almeno quindici o venti minuti. Il gruppo di cesene, richiamato dai congeneri in gabbia, si abbatté sul roccolo, scardinando le reti che, piene di uccelli, furono trovate anche a chilometri di distanza. Fortuna volle che nei giorni successivi il termometro ri-

La Cesena, assieme alla tordela (Turdus viscivorus), è l’uccello più grande della famiglia dei Turdidi

manesse sotto zero anche in pieno giorno, cosa che permise a molti compaesani di raccogliere i tordi congelati e onorare le loro povere mense. Le reti andarono completamente perse

Cesena al suolo in fase di attenzione, fonte: www.oasivallebrusa.it

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Cesena di guardia allo stormo che intanto si alimenta a terra, fonte: wikipedia.org, autore: Jerzystrzelecki

e le strutture del roccolo seriamente danneggiate, tanto che i fratelli dovettero vendere un certo numero di capi della stalla per ricomprarsi l’attrezzatura occorrente. Il secondo fatto, pubblicato sui giornali dell’epoca, risale all’autunno del 1973 quando una mattina, in una zona dell’Emilia Romagna che in estate era stata colpita da una forte grandinata, i contadini trattarono i frutteti per evitare che il contagio dei patogeni fungini si trasferisse dai frutti rimasti sulle piante al terreno, compromettendo la futura stagione. Proprio nel pomeriggio di quel giorno, sicuramente attirate dai frutti ancora sulle piante, arrivò un grandissimo stormo di cesene che si accalcarono per alimentarsi di quel ben di Dio. Fu un’ecatombe: il mattino dopo sul terreno vi era uno strato di uccelli alto almeno venti, trenta centimetri, naturalmente tutti deceduti. Fu necessaria l’opera di pale meccaniche per sgombrare i terreni e seppellire gli uccelli in una grande fossa comune per scongiurare ulteriori infezioni. A detta dei cacciatori, da quell’anno il passo delle cesene praticamente scomparve; molto probabilmente era stata eliminata l’intera popolazione di tordi che migrava

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attraverso l’Italia. Ma la Natura dispone spesso di strumenti compensativi, tant’è che da quell’anno le cesene, la cui nidificazione era stata fino ad allora accidentale in Italia, iniziarono un rapido processo di colonizzazione delle nostre montagne arrivando, nei primi anni Novanta, ad occupare ampie zona di montagna ed anche di media collina; oggi, per esempio, nidifica comunemente sui frutteti del Trentino e dell’Alto Adige, anche fino ai due-trecento metri di quota. La cesena, assieme alla tordela (Turdus viscivorus), è l’uccello più grande della famiglia dei Turdidi; raggiunge la lunghezza di circa 26 cm, con apertura alare 39-42 cm e un peso che mediamente supera i 100 grammi. A differenza degli altri tordi, ha una colora-

La migrazione post-riproduttiva verso i quartieri di svernamento inizia a ottobre e culmina tra novembre e dicembre

zione relativamente vivace. Caratteristica distintiva è il grigio ardesia della testa e della parte posteriore del collo e del groppone, che contrasta con il marrone del dorso e delle ali e il nero della coda. Le parti inferiori sono biancastre, fortemente ombrate di giallo-arancio sul petto e segnate da striature nerastre, che sfumano in macchie nere sui lati del petto. La parte inferiore delle ali è bianca come nella tordela. È sempre presente un leggero sopracciglio chiaro, l’iride è bruno scuro. Ha becco robusto, giallo e zampe nero-brunastre; i sessi non presentano alcun dimorfismo. Specie migratrice, nidifica dalla Scandinavia all’Asia settentrionale e sverna nell’Europa occidentale, centrale e meridionale e sulla sponda settentrionale del Mediterraneo. In Italia è ben presente su tutto l’arco delle Alpi e delle Prealpi, con densità minore nei settori est ed ovest dell’arco alpino. La migrazione post-riproduttiva verso i quartieri di svernamento inizia a ottobre e culmina tra novembre e dicembre, mentre quella pre-riproduttiva verso i quartieri di nidificazione inizia già a febbraio e si protrae seguendo la linea latitudinale e altitudinale del disgelo primaverile. La specie è caratterizzata da flussi migratori irregolari di anno in anno, spesso legati al deterioramento delle condizioni meteorologiche nell’Europa centrale e settentrionale. I soggetti svernanti tendono a muoversi continuamente per trovare aree ricche di cibo e per fuggire alle ondate di freddo. Dai dati di inanellamento si deduce che la fedeltà ai siti di svernamento sia generalmente bassa. Tra le specie del genere Turdus, la cesena è quella che sverna alle latitudini più settentrionali. Nidifica nelle aree boschive e ai margini di foreste di betulle, pini, abeti rossi, ontani, spesso all’interno di zone umide, vicino a prati, valli fluviali, torbiere e paludi, ma si trova anche in parchi, frutteti, giardini, ai margini dei terreni agricoli. Alle latitudini inferiori raggiunge i 2.400 metri di quota, ma le maggiori densità si registrano tra gli 800 e i 1.600 metri. Durante la mi-


grazione e in inverno frequenta habitat più aperti e radi come campi e pascoli, terreni agricoli, boschi e arbusti. Sverna in modo omogeneo nel centro-nord, dove frequenta i frutteti, le zone coltivate ed i boschi, in genere a quote comprese tra i 200 e i 1.000 metri; come detto, è una specie migratrice anche di lunga distanza e durante gli spostamenti autunnali e invernali può formare stormi di centinaia o, addirittura, migliaia di individui, come provano i due fatti descritti in premessa. Spesso si accompagna al tordo sassello (Turdus iliacus). In Italia è migratrice regolare tra ottobre e novembre e tra febbraio e marzo e nidificante da aprile ad agosto. Le cesene inanellate in Italia provengono per la gran parte dai paesi nordici con in testa la Finlandia, poi Svezia, Norvegia, Russia e Germania con individui che avevano percorso poco meno di 6.000 km dal sito di primo inanellamento. Molto rumorosa nella stagione riproduttiva, è schiva e guardinga in inverno. Possiede un volo potente e lineare o solo leggermente ondulato, alternando potenti battiti d’ala a brevi planate ad ali aperte o chiuse. Sulle lunghe distanze, gli stormi si mantengono alti con un volo rapido, forte e diretto; sono stati monitorati dal radar stormi in volo a 3.200 metri di quota. Sul terreno, cammina con portamento eretto e saltella con grande eleganza. Il suo comportamento ricorda quello della tordela, da cui si differenzia all’osservazione per la coda più corta. La sua alimentazione è prevalentemente insettivora durante la stagione riproduttiva e frugivora in autunnoinverno; è in grado di scavare nella neve alla ricerca del cibo e di entrare in acque poco profonde per catturare pesci di piccola taglia; come per la maggior parte dei Turdidi, la tipologia dell’alimentazione dipende dalle disponibilità offerte dall’ambiente e varia a seconda della stagione: nelle aree di nidificazione si ciba di insetti e delle loro larve, come anche di ditteri, imenotteri, lepidotteri, ortotteri, anellidi, lumache, ragni, ma anche dei semi delle conifere e delle piante da fiore, di germogli e boccioli. La dieta

Cesena su terreno primaverile, fonte: www.cdt.ch

dei pulcini è composta prevalentemente da invertebrati. Nelle aree di svernamento, la sua nutrizione comprende frutta e bacche come cachi, mele, pere, uva, agrifoglio, biancospino, olivello spinoso, edera, ginepro, mora, rosa canina, vischio, sorbo e tasso. Annualmente monogama e limitatamente territoriale, conduce vita gregaria in tutte le stagioni, mantenendo

Cesena su bacche di agrifoglio fonte: www.scuola-e-cultura.it

un comportamento sociale anche nel periodo riproduttivo; nidifica in piccoli nuclei di 10-20 coppie e difende coraggiosamente il proprio territorio solo nelle immediate vicinanze del nido. Sempre dai dati relativi all’inanellamento della specie si evince che il suo ciclo vitale può superare i 18 anni e i due sessi raggiungono la maturità sessuale al secondo anno di vita. La stagione riproduttiva è compresa tra aprile e fine agosto, a seconda della latitudine. I maschi svolgono un’intensa attività di inseguimenti e combattimenti. La parata nuziale ha un rituale assai semplice: il maschio canta e saltella attorno alla compagna, tenendo il corpo orizzontale, le ali semiaperte e la coda spiegata e abbassata. Nidifica in foreste rade di conifere, ai margini di boschi misti e anche in frutteti e campagne con grandi alberi. Il nido, a forma di coppa, è costruito dalla femmina abbastanza in alto, in media da 5 a 8 metri, generalmente sulla forcella di un albero, contro il tronco o su un ramo robusto, utilizzando erbe, muschio, peli di animali e fuscelli impastati e cementati con fango. Depone da quattro a sei uova di colore blu pallido, screziate più o meno estesamente di marrone-rossa-

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stro e incubate dalla femmina per 13-14 giorni; i pulcini sono accuditi da entrambi i genitori per circa due settimane nel nido e vengono successivamente seguiti nell’alimentazione per un’altra quindicina di giorni. Nell’anno può compiere anche due covate ed una terza solo nei casi di rimpiazzo per maltempo o predazione del nido. Nei dintorni delle colonie di nidificazione allontana i potenziali predatori, corvidi, rapaci ed anche mammiferi, da sola o in gruppo con una tecnica unica tra gli uccelli, spruzzandoli di escrementi liquidi e spesso attaccaticci per aver assunto del vischio. La cesena è estremamente rumorosa durante tutto l’anno e il suo canto non è particolarmente sviluppato. Durante la stagione degli amori, fa sentire il proprio canto, al mattino e alla sera, in volo o dal posatoio su un albero, che consiste in un gorgheggio debole, stridulo, non musicale, intervallato da frasi ridacchianti e fischianti. Spesso inizia con note descrivibili con un “ciack” forte e ripetuto, seguite da note lente e cinguettanti intervallate dal solito “ciack.” Il canto in volo, che fa parte del corteggiamento, consiste in un debole, ridacchiante chiacchie-

La bella livrea della Cesena, fonte: www.cavedicafierosmart.it

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La Cesena è estremamente rumorosa durante tutto l’anno e il suo canto non è particolarmente sviluppato

riccio, intervallato da fischi e cigolii. Il grido di allarme è un forte ed acuto trillo che sale di tono all’avvicinarsi dell’intruso. Una particolarità singolare della cesena è quella di lasciare sempre qualche individuo di vedetta su un posatoio dominante quando lo stormo si alimenta a terra, con la funzione di allerta all’avvicinarsi di qualsiasi minaccia, che sia di predatore alato o cacciatore umano. È predata da vari rapaci, tra i quali lo sparviero, e da corvidi che si cibano sui nidi delle uova e dei pulcini, ed è parassitata dal cuculo. Per quanto riguarda lo status e la sua conservazione si stima una popolazione mondiale intorno ai 70/140 milioni di individui, dei quali 28/57 milioni sarebbero gli individui maturi della popolazione europea che è stata

stabile tra il 1980 ed il 2013, quindi lontana dalle soglie di vulnerabilità; in Italia sono state stimate sulle 5.00010.000 coppie. Attualmente la specie è classificata nella categoria a Rischio minimo della Lista Rossa dell’IUCN. Nella seconda metà del XX secolo, l’espansione della cesena ha subito un’accelerazione che l’ha portata a colonizzare la Slovacchia negli anni ’50 e ‘60 e la Danimarca, il Belgio, la Francia centro-orientale, il Nord Italia e la Romania negli anni ’70 e ‘80 e ‘90. L’espansione è continuata negli ultimi anni del secolo, accompagnata da aumenti della popolazione nella maggior parte dei Paesi europei con un notevole incremento rispetto alle precedenti popolazioni. La cesena è da sempre stata cacciata in maniera massiccia ed anche attualmente, seppure siano contingentati i numeri dei soggetti abbattibili per singolo cacciatore, le norme vengono spesso disattese ed i carnieri, specie nei paesi dell’Est europeo, contano centinaia di uccelli, anche favoriti dalla caratteristica di questo uccello che migra in grandi stormi e dal suo peso, che permette ottimi spiedi di “polenta e osei”, piatto purtroppo ancora servito anche nel Nord Italia. Viene allevata in ambiente controllato sia per utilizzarla come richiamo sia a scopo amatoriale ed anche alle mostre ornitologiche si possono ammirare degli esemplari tranquilli e confidenti, segno di un “imprinting” alla presenza dell’uomo e di un buon sistema di allevamento; qualche appassionato di Turdidi è riuscito anche nella sua riproduzione in voliera, alimentando i riproduttori con insetti vivi per stimolare l’imbeccata ai nidiacei. Riferendomi alla caccia, che è sempre stata praticata massicciamente rispetto alla cesena, mi piace riportare una frase molto significativa di Lev Tolstoj: “Dall’uccidere gli animali all’uccidere gli uomini il passo è piccolo”. Sembra un concetto esagerato ma se un uomo non prova rispetto e pietà per un uccello che, per arrivare sul ramo del capanno, ha percorso migliaia di chilometri, certamente ben poco rispetto e amore proverà anche per l’essere umano.


CANARINI DI COLORE

Domande sul Satiné di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZO, P. ROCHER e F.O.I.

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a un poco di tempo ricevo domande sul satiné, talora strane e talora più interessanti. Questo a diversi livelli e su diversi aspetti. Pensavo di aver dato un contributo sostanzioso con l’articolo: “Discussione sul Satiné” Italia Ornitologica n° 3/2021, ma pare non da tutti approfondito. Inoltre in quella sede non ho parlato di un aspetto che merita di essere ricordato, e di cui peraltro avevo fatto cenno molto tempo fa, non ricordo le circostanze. Penso quindi di riprendere con un argomento che potrei definire di: “apparenti satiné”. In effetti alcuni decenni or sono, direi 4 circa, in un allevamento vidi dei presunti satiné abbastanza sconcertanti. Prima di cimentarmi nella questione, ritengo necessario ricordare il funzionamento del satiné: è una mutazione recessiva e legata al sesso, verso la forma selvatica ossidato, ed è sicuramente allelica alla mutazione agata nei confronti della quale non è del tutto recessiva, direi con una codominanza che vede la prevalenza dell’agata. In seguito parlerò di recessività e di latenze del satiné nei confronti di agata ed isabella, per attenermi all’uso comune e non fare confusioni, anche se non sarebbe corretto sul piano scientifico. La mutazione satiné agisce inibendo nella parte superiore della penna (pars pennacea) sia l’eumelanina nera che la feomelanina bruna, mentre l’eumelanina bruna mutata dalla mutazione bruno viene ridotta al punto di somigliare, come colore, alla feomelanina; in effetti è brunella con sfumature arancio. Il cosiddetto sotto piuma, che è la parte vaporosa (pars plumacea), non è altrettanto interessato tuttavia intaccato. L’occhio diventa rosso, in misura diversa fra gli individui. Anche il disegno cambia da un individuo all’altro

È una mutazione recessiva e legata al sesso, verso la forma selvatica ossidato

in base alle selezioni, è una questione di tipo base. Il satiné viene chiamato anche lutino in alcune specie diverse dal Canarino, quando non interagisce con il bruno; altrimenti, quando interagisce con il bruno si dice satiné. Il termine lutino, nel cana-

Satiné intenso giallo, foto: E. del Pozzo

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rino di colore, a livello di classificazione, ha un significato diverso e molto opinabile: riguarda i lipocromici a fattori gialli ed occhi rossi. Nel canarino si parla, o si parlava, di satiné senza disegno e di satiné con disegno, ove per satiné senza disegno si indicano i neri e gli agata, ammesso che esistano entrambi, per satiné con disegno o semplicemente satiné, l’interazione con la mutazione bruno, quindi bruni ed isabella, ammesso che esistano entrambi. Quanto ai dubbi sulle esistenze si veda l’articolo sopra citato. Un tempo i satiné senza disegno, venivano classificati come “melaninici ad occhi rossi” assieme ai diluiti phaeo, ora

Satiné mosaico rosso, foto: E. del Pozzo

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Oggi si classificano a parte sia i satiné considerati isabella sia i satiné considerati bruni, c’è anche chi comincia a parlare di satiné neri

vanno con i lipocromici ad occhi rossi. Oggi si classificano a parte sia i satiné considerati isabella sia i satiné considerati bruni, c’è anche chi comincia a par-

lare di satiné neri. Si va verso situazioni molto dubbie e complicate. Va detto che i satiné senza disegno si distinguono dai phaeo diluiti poiché presentano tracce di melanina ridotta sulla punta delle remiganti, che talora passano inosservate. Si giustifica ciò ritenendo che in quel punto vi sia dell’eumelanina bruna. Tuttavia si sa che eumelanina bruna esiste, anche se non visibile, pure altrove. Quindi è difficile spiegare perché solo in quel punto. Si potrebbe azzardare l’ipotesi che il satiné agisca modificando l’eumelanina bruna da mutazione e non quella naturale e che in quel punto vi sia qualcosa di particolare nell’eumelanina bruna, pur essendo naturale, che ne consente la permanenza sia pure modificata. Si potrebbe ulteriormente azzardare l’ipotesi di un fatto attinente a tempi diversi della melanogenesi dell’eumelanina bruna, che in quel punto potrebbe corrispondere a quella mutata. L’eumelanina mutata in bruna pare avere una formazione più lenta, in seguito alla quale consentirebbe la presenza del disegno nel satiné, che come mutazione avrebbe azione precoce (ipotesi di Crovace e Canali). Per giunta bisogna anche ricordare che quel luogo, cioè la punta delle remiganti, è particolare anche in altri tipi. Nel nero pastello ali grigie la punta delle remiganti è l’ultimo posto dove arriva il grigio alluminio e spesso permane antracite. Non a caso le punte scure sono tollerate anche nell’ottimo, tollerate ma non gradite come alcuni vorrebbero. Anche nel perla tali punte sono più scure, come in altri siti. In entrambi i casi però si vede eumelanina non bruna ma nera ancorché modificata dalle mutazioni ulteriori che la rendono grigia in diversi toni. Vi sarebbe da considerare anche qualche altro caso, pure in altre specie, ma non mi dilungo. Dopo questo passaggio di base, che ho ritenuto necessario, riprendo la questione degli “apparenti satiné”, sempre che siano tali. Ebbene, come dicevo, in un allevamento vidi dei soggetti che sembravano satiné ma con un disegno che appariva leggermente più ridotto rispetto al solito, ma questo poteva essere solo un fatto selettivo, l’occhio regolarmente rosso; il problema grosso era che alcuni invece di avere il cosid-


detto sotto piuma bruno ridotto, l’avevano nero o quasi nero! Si parlava di agata satiné, ma agata con disegno: situazione non nota nel satiné comunemente inteso. Alcuni allevatori parlavano di interazione di diversi fattori, ma non sapevano dire quali. Del resto non conosco alcuna interazione che produca quell’effetto. Mi pare che quei soggetti siano andati dispersi, in quanto considerati insignificanti, ma forse non del tutto perduti. Potrei certo ricordare male, ma credo che da certe descrizioni di accoppiamenti, quella manifestazione sembrerebbe perfino non essere legata al sesso, ma sono estremamente dub-

I satiné senza disegno si distinguono dai phaeo diluiti poiché presentano tracce di melanina ridotta sulla punta delle remiganti Satiné bianco, foto: E. del Pozzo

bioso, per lo sbiadito ricordo e la scarsa precisione delle indicazioni stesse. Poi ogni tanto sento parlare di soggetti che potrebbero essere riconducibili a quelli. Recentemente ho avuto notizia di satiné con disegno e sotto piuma nero o quasi, da parte di Diego Crovace che li ha osservati negli anni 90 presso l’allevamento di Aldo Caruso. Gli accoppiamenti non hanno fornito certezze sulla loro natura, tuttavia una gradita conferma, per la quale non ho mancato di ringraziare entrambi. Sempre recentemente ho saputo di un soggetto ipotizzabile come agata satiné ma con disegno ancorché leggero, da parte di un tecnico, quale Ivo Cappellino, che pure ho ringraziato per la collaborazione. Già da un po’ si parla anche di neri satiné in vari modi. Mi pare si accenni anche a disegno leggero. Un mio sospetto è che si tratti di soggetti non satiné, bensì di altra mutazione così simile da indurre dubbi e classificazioni non esatte. Il mio pensiero torna sempre al ricordo lon-

Bruno satiné mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo

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Verdone satiné maschio, foto: P. Rocher

tano di cui sopra. Si potrebbe però pensare anche ad altro, come a fattori d’inscurimento (melanismo) o altro ancora. Fra le ulteriori ipotesi si potrebbe considerare la mutazione di un gene diverso da quello del satiné, o anche ad un gene non mutato, che produca un carattere in grado di interferire sull’espressione del satiné, poiché agente sulle melanine; però non tale da ingenerare differenze sul tipo normale, o almeno con differenze modestissime che possono passare inosservate. Quest’ultima ipotesi appare intrigante, anche se la tempistica fra canarino e verdone, con anomalie simili, come vedremo in seguito, lascia dubbiosi. Quest’ultima ipotesi è nata in una conversazione che ho avuto con il genetista dr. Pasquale De Luca, che mi onora della sua attenzione. Di cose certe penso che non ce ne siano molte, si può sicuramente dire che la mutazione satiné, anche se talora indicata come lutino, si manifesta allo stesso modo in varie specie, considerando tuttavia diversità eventuali della base normale. Importantissima è l’esperienza del Verdone, ripeto importantissima. Nel Verdone la mutazione satiné è apparsa prima, ripeto prima, della mutazione agata e precisamente su di un

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Verdone lutino maschio, foto: F.O.I.

Nel Verdone la mutazione satiné è apparsa prima, ripeto prima, della mutazione agata

nero, come riportato in letteratura. Questo nero mutato venne chiamato lutino, certo era comunque un satiné senza disegno. Accoppiando i lutino con bruni si ottennero i satiné con disegno, da ritenere bruni che vennero chiamati solo satiné. Successivamente, nel verdone, apparve la mutazione agata e di conseguenza il tipo isabella facendola interagire con il bruno (l’isabella è un bruno + agata); ebbene accoppiando con agata i lutino (cioè satiné senza disegno) ed anche i satiné (satiné con disegno), non si avevano maschi neri ma agata schiariti, a dimostrazione certa, ripeto certa, della condizione allelica di agata e satiné (o lutino). Nei verdoni lutino di allora non ho visto tracce di disegno, come nei dei canarini già noti come satiné senza disegno. Tuttavia non

ricordo di aver visto neppure tracce di melanina sulla punta delle remiganti, a differenza dei canarini. Oggi invece, nei verdoni lutino, si notano tracce di melanina sulle ali, come asseriscono anche esperti del settore. La ragione per la quale nel verdone lutino si è avuto questo cambiamento lascia davvero perplessi, riecheggiando i dubbi che si hanno nel canarino. Appare quindi logico porsi dei grossi problemi sul come inquadrare canarini, simili al satiné, ma con condizioni anomale, come nel cosiddetto sotto piuma o in presenza di disegno non previsto. Personalmente ritengo abbastanza probabile una mutazione diversa ed ingannevole, pur non escludendo altre ipotesi, come quelle indicate sopra. Del resto ci sono in giro altri casi di mutazioni certe o probabili non rilevate ufficialmente. Io ritengo certa quella che ho chiamato ossidiana, allelica all’opale di cui ho parlato in altre sedi. Inoltre si sono visti canarini neri strani ed ingannevoli, in qualche caso giudicati erroneamente come neri topazio da ottimi giudici. Errore che non ci deve stupire, stante l’ingannevole somiglianza che giustifica l’equivoco. Direi che, in qualche caso, solo un tono grigiastro delle


remiganti o poco più, magari qualcosa su becco e zampe, poteva mettere in allarme, ma certo col senno di poi, nell’immediato ben difficilmente. Comunque chi polemizzava lo faceva commettendo un errore ben più grave, parlando di portatori di topazio, visto che il topazio non interferisce sui portatori. Non è mica un satiné, e poi il satiné interferisce solo sui portatori diluiti, non sugli ossidati. A proposito di portatori e domande attinenti, ricordo che il satiné latente schiarisce agata ed isabella (sarebbe meglio parlare di codominanza), ed è molto rilevante in brinati e mosaico; non a caso gli agata brinati e mosaico portatori di satiné (come si dice) possono essere confusi con degli agata pastello. Gli isabella brinati o mosaico portatori di satiné non sono confondibili con gli isabella pastello, ma comunque molto schiariti. Semmai possono apparire quasi degli intermedi. Negli intensi il piu-

maggio, essendo più stretto, consente al disegno di reggere sia negli agata che negli isabella, che di conseguenza appaiono come degli iper tipici, direi una concorrenza sleale verso gli omozigoti ed è bene non farsi ingannare. Mi sembra il caso di ricordare che nell’isabella classico ci deve essere certo la massima riduzione della feomelanina, che diventa caffelatte chiaro, ma l’eumelanina del disegno deve essere concentrata di tono ben più scuro della feomelanina, che viene definito nocciola. È la stessa storia della concentrazione del nero nell’agata. Nell’isabella classico, disegni di bruno debole che talvolta fanno pensare a portatori di satiné, indipendentemente che lo siano oppure no, sono difettosi come lo sono parimenti agata con disegno grigiastro. Ho ricevuto anche strane ulteriori domande sui portatori. Preciso cose essenziali: se si usasse l’agata portatore per fare satiné è necessario che il gene re-

cessivo del bruno e quello satiné siano posti sullo stesso cromosoma. Così accoppiando con satiné, nascono in prevalenza agata (se maschi, portatori) e satiné, pochi satiné senza disegno e pochi isabella classici. La ragione è che il crossing-over non agisce sempre. Altrimenti se i due geni latenti fossero su cromosomi diversi, nascerebbero in maggioranza satiné senza disegno e isabella classici (ancorché portatori se maschi). Spero che i soggetti di cui sopra, che destano dubbi, vengano considerati con attenzione e competenza. È bene disquisire di questi argomenti complessi solo con tecnici molto preparati. Assieme a questo articolo mi permetto di raccomandare la lettura di quello sopra citato, visibile anche su internet, nel sito F.O.I., dove “Italia Ornitologica” è pubblicata anche in versione sfogliabile.

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CRONACA

OrniDay - Divulgazione ornitologica dedicata per i più piccoli testo e foto di MICHAEL GABRIEL MICCICHÈ

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omenica 12 novembre 2023 si è svolto a Caltanissetta, nel quartiere San Luca, l’evento OrniDay, organizzato da FederEventi Caltanissetta, BS Event, Comitato di quartiere di San Luca e Associazione Pescarese Ornicoltori. L’evento, interamente ideato e realizzato dalla presidente della BS Event Barbara Messineo, ha avuto come obiettivo quello di sensibilizzare i bambini e le famiglie alla tutela e la conoscenza del mondo dell’ornicoltura. Nel corso del pomeriggio, i bambini hanno partecipato a un laboratorio ornitologico, durante il quale hanno im-

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Interamente ideato e realizzato dalla presidente della BS Event Barbara Messineo

parato a conoscere le principali specie di uccelli che vivono in Sicilia. Nel laboratorio sono stati realizzati più di 60 oggetti tra spaventapasseri e cornici con materiale di riuso, nello specifico del cartone con cui sono state create le sagome di una cornice con all’interno un

volatile. Una volta contornato con del nastro di vari colori lucidi che rifletteva la luce del sole, in un secondo momento i bambini hanno colorato con dei colori a tempera a loro piacimento le sagome, che una volta realizzate sono state portate a casa per essere appese sui balconi. I più piccoli, inoltre, hanno colorato delle immagini raffiguranti degli uccelli con dei pastelli a cera. Per l’occasione, è stata anche installata un’opera dell’artista Sabrina Messineo presso il Giardino della Legalità. L’opera, chiamata “Natura”, raffigura una donna con attorno vari uccelli. A conclusione dell’evento, il sottoscritto


Michael Gabriel Miccichè, presidente FederEventi Caltanissetta, ha spiegato cos’è la Federazione Ornicoltori Italiani (FOI) e la passione che ogni giorno i tesserati esprimono attraverso la cura e la selezione. L’evento OrniDay, con la partecipazione di oltre 100 persone, è stato accolto positivamente dalla città. I bambini hanno dimostrato di essere molto interessati agli uccelli e hanno imparato a conoscerli in modo divertente e coinvolgente. L’obiettivo di sensibilizzare alla tutela degli uccelli è stato raggiunto e i partecipanti hanno espresso la volontà di prendere parte a nuove iniziative in futuro. Uno degli aspetti più caratteristici dell’evento OrniDay è stata la realizzazione di oltre 50 spaventapasseri. I bambini,

con l’aiuto degli adulti, hanno utilizzato, come già accennato, oggetti di riuso, come vecchi vestiti, cartoni, tappi di bottiglia e cannucce per creare dei veri e propri capolavori. Gli spaventapasseri sono stati poi esposti nel quartiere San Luca, per attirare l’attenzione dei passanti e sensibilizzarli alla tutela degli uccelli. L’iniziativa si inserisce nel solco di una sempre più necessaria sensibilizzazione alla tutela della natura e degli animali. Gli uccelli sono un elemento fondamentale dell’ecosistema e la loro presenza

è importante per l’equilibrio ambientale. È quindi necessario promuovere la conoscenza e il rispetto di questi animali, soprattutto tra i più giovani. L’evento OrniDay è un esempio di come si possa fare informazione e sensibilizzazione in modo divertente e accattivante. I bambini hanno imparato a conoscere gli uccelli in modo attivo, partecipando a un laboratorio. Questa è un’esperienza che difficilmente dimenticheranno e che li porterà a essere più attenti e rispettosi verso gli animali. Si auspica che iniziative come OrniDay possano essere ripetute in altre città per raggiungere sempre più persone e sensibilizzarle alla tutela della natura. Felici di aver riportato a Caltanissetta l’ornicoltura. Altre iniziative arriveranno nel 2024.

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Attività F.O.I. Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale del 20 e 21 ottobre 2023 (La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali) - Attività Organizzative del Campionato Italiano di Lanciano (CH) e del Campionato Mondiale di Talavera (Spagna): Previsione di Spesa; Il CDF, in considerazione del momento di difficoltà generato dal perdurare della crisi economica, conferma il proprio sostegno al Comitato Organizzatore del Campionato Italiano di Lanciano (CH) 2023. La Federazione pertanto, per consentire la massima partecipazione alla manifestazione da parte degli allevatori interessati, organizzerà i convogliamenti da tutte le regioni d’Italia, sia per l’ingabbio che per lo sgabbio, coordinati direttamente dai Presidenti di Raggruppamento Regionali ed Interregionali. Sono state inoltre affrontate le varie problematiche relative alla partecipazione al Campionato Mondiale di Talavera (Spagna) 2024 ed in particolare al convoglio degli uccelli fino a Piacenza relativamente ai percorsi attraverso la dorsale tirrenica ed adriatica. Sono stati altresì precisati i diversi punti di raccolta degli uccelli dislocati nei vari Raggruppamenti che saranno successivamente resi pubblici mediante apposito comunicato sui canali ufficiali. - Varie ed eventuali; - Il CDF, in riferimento alla mail pervenuta in data 3 ottobre 2023 dal sig. Giuseppe Pascucci, concede al Comitato Organizzatore della 6ª mostra

Internazionale dei Tre Mari alcune pubblicazioni edite dalla FOI. - Il CDF, con riferimento alla proposta di convenzione per sessaggio molecolare aviario, pervenuta con mail del 5 ottobre 2023 da parte del Laboratorio Gentras di Prato, osserva che la Federazione è disponibile ad esaminare la convenzione che dovrà necessariamente contenere l’indicazione dei costi per i servizi offerti concorrenziali rispetto a quelli ordinari di mercato. - Il CDF delibera la concessione ai Raggruppamenti Regionali ed Interregionali i seguenti contributi per attività di convogliamento per il Campionato Italiano di Lanciano (CH): - Piemonte Valle d’Aosta, Liguria e Toscana euro 1.860,00; - Veneto Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia euro 400,00; - Emilia Romagna, euro 1.500,00; - Lazio, euro 500,00; - Campania, euro 1.800,00; - Puglia Basilicata, euro 1.400,00; - Calabria, euro 2.500,00; - Sicilia, euro 2.400,00; - Sardegna, euro 500,00.

Stralcio del verbale del Consiglio Direttivo Federale del 12 e 13 gennaio 2024 - Assegnazione Campionato Italiano 2024: determinazioni; Il CDF, ancora una volta ritenendo di applicare il principio dell’alternanza territoriale e nel preciso intento di conferire al Campionato Italiano valore itinerante, delibera l’assegnazione organizzativa del Campionato Italiano 2024 all’associazione Ornitologica La Leonessa di Brescia con tenuta presso l’Ente Fiere del Garda in Montichiari (BS). Il CDF ringrazia l’ADOP di Parma ed il Comitato di Associazioni siciliane per aver offerto la loro disponibilità organizzativa per il medesimo evento, invitandoli a proseguire in tale loro intendimento al fine di consentire alla FOI la scelta che annualmente andrà compiuta per la mostra più rappresentativa del calendario. - Attività di aggiornamento del Regolamento Organico e del Regolamento Generale Mostre; Il CDF indice una sessione di aggiornamento del Regolamento Organico e del Regolamento Generale Mostre nella quale vanno considerati coinvolti tutti gli Organi della Federazione che potranno far pervenire proprie osservazioni ovvero richieste di integrazione e di modifica all’indirizzo mail segreteria@foi.it Tale sessione si concluderà il 15 marzo 2024. Il CDF riserva, alla scadenza del predetto termine, una seduta di lavoro esclusivamente dedicata agli aggiornamenti al fine di razionalizzare i contributi pervenuti, esaminarli uno per uno e compendiarli, qualora ritenuti efficienti, in una proposta definitiva.

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