ANNO L numero 3 2024
Canarini di Colore Schemocromi: fattore opale
Estrildidi Fringillidi Ibridi Qualcosa di incredibile
Canarini di Forma e Posizione Lisci Lizard blu
Ondulati ed altri Psittaciformi Il piumaggio nella stagione riproduttiva
Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus
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responsabilità delle affermazioni e delle immagini contenute nei loro scritti. Vietata la riproduzione, anche parziale, se non espressamente autorizzata. © F.O.I. In copertina: Lizard blu Serinus canaria Foto: FABIO MACCHIONI ANNO L NUMERO 3 2024 sommario Il valore delle parole Giovanni Canali 3 Schemocromi: fattore opale - 1ª parte Mimmo Alfonzetti 5 Qualcosa di incredibile Piercarlo Rossi 11 Lizard blu Antonio Di Tillio e Claudio Berno 15 Il piumaggio nella stagione riproduttiva Rafael Zamora Padrón 21 Mezzo secolo con i Diamanti di Lady Gould Piergianni Amerio 25 A.R.O. Roma MCMLIV - MMXXIV Alberto De Vita 29 Photo Show Le foto scattate dagli allevatori 34 Scuola ok - cantore ok Francesco Di Giorgio 35 Il colore nel Salentino Sergio Palma 37 Spazio Club Club Amici del Salentino 40 Il Sambuco (Sambucus nigra L.) Pierluigi Mengacci 43 Equivoci sulle categorie Giovanni Canali 49 Silvio Spanò Roberto Basso 55 OrniFlash News al volo dal web e non solo 58 Nomenclatura Zoologica e Cancel Culture Ivano Mortaruolo 61 Cronaca di un Convegno annunciato Fabio Esbardo 63 Estrildidi Fringillidi Ibridi Canarini di Forma e Posizione Lisci Ondulati ed altri Psittaciformi Canarini di Colore 11 15 21 49 Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 3 - 2024 è stato licenziato per la stampa il 27/3/2024
Editoriale
Il valore delle parole
di G IOVANNI CANALI, foto SOSTENIBILITADIGITALE
L’uomo comunica principalmente con la parola sia scritta che orale nonché in altri modi a volte involontari come il linguaggio del corpo o volontari come il gesto.
L’importanza della parola è nota anche in campo politico e sociale, non a caso la nostra costituzione all’art. 21 tutela il diritto di parola assieme ad altri fondamentali diritti. Qui però uso ricordare che quello di parola è appunto un diritto, non un obbligo; non essendoci l’obbligo di parlare, bisognerebbe astenersi dal farlo quando è inopportuno per educazione o diplomazia e fors’anche quando non è necessario, secondo il proverbio: “il silenzio è d’oro e la parola d’argento”, che non è sempre valido, ma talora sì. Soprattutto sarebbe bene astenersi dal parlare quando non si è competenti su di un determinato tema, al fine di evitare figuracce o risultare molesti.
A proposito di parola, ricordo una tradizione antica forse con qualcosa di vero che riguarda Esopo, ben noto autore di favole, che si dice essere stato uno schiavo deforme ma brillantissimo di mente. Si narra, io sintetizzo, che un re gli chiedesse di preparare una tavola per un pranzo, con quanto di meglio ci fosse. Ebbene, secondo questa tradizione, Esopo si sarebbe procurato ed avrebbe fatto preparare solo lingue (!) in vari modi. Interrogato sulla ragione della scelta, avrebbe risposto che non vi fosse nulla di meglio, visto che la lingua serve per tante cose fondamentali: comunicare, insegnare, trattare ecc. Evidentemente il re sarà stato persona di
spirito, ed allora gli chiese in un secondo momento di preparare una tavola con quanto di peggio ci fosse. Esopo ancora una volta avrebbe fatto preparare una tavola imbandita di sole lingue, anche qui cucinate in tanti modi. Nuovamente interrogato, avrebbe risposto che non vi era nulla di peggio, poiché la lingua serve a fare pessime cose: ingannare, calunniare, istigare, diffondere odio ecc. Il diffondere odio è quantomai attuale. Evidentemente la parola può essere usata per diversi anche opposti motivi, quindi può essere utilissima, diciamo pure insostituibile, ma anche dannosa. Prima o poi c’è il pericolo di incontrare uno Jago calunniatore, che indipendentemente dal fatto che dica o no “credo in un Dio crudel che m’ha creato simile a sé” può fare gran danno (ovviamente ricordo l’Otello di Verdi, libretto di Arrigo Boito da Shakespeare).
Giosuè Carducci stigmatizzava alquanto chi usava troppe parole, un suo aforisma più o meno era: “Chi riesce a dire con venti parole ciò che può essere detto in dieci, è capace di tutte le altre cattiverie”. Alcuni riportano in modo molto più pesante: “Colui che potendo esprimere un concetto in dieci parole ne usa dodici, io lo ritengo capace delle peggiori azioni”. Non so dire quale sia la più esatta versione, ne ho viste anche altre leggermente diverse. Direi espressioni molto efficaci ma, secondo me un po’ eccessive, specialmente la seconda. Certo chi “la racconta troppo bene” è sempre stato sospetto d’imbroglio, anche dalla saggezza popolare. Bisogna dire che talora può capitare di dover ripetere ed
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IT e TWPROJECT COM
Fake news, fonte: sostenibilitadigitale.it
Editoriale
ampliare spiegazioni su cose difficili da capire, ma questo è un altro discorso.
Oggi vediamo come, specialmente nei social, le più svariate persone e per i più svariati motivi dicono di tutto, sia nel bene che nel male.
Gravissimo l’aspetto delle false notizie, che possono essere seriamente fuorvianti. Oggi con l’intelligenza artificiale si può far dire a chiunque qualunque cosa, magari in contrasto con il suo vero pensiero. Si possono anche fare critiche eccessive o non giustificate. Gravissimo l’aspetto della calunnia, che può fare danni enormi e di cui ho già fatto cenno, che fa venire in mente non solo l’Otello verdiano con il suo Jago ma anche la romanza “La calunnia” del “Il barbiere di Siviglia” di Rossini, libretto di Sterbini da una commedia di Beaumarchais. Sui vari temi suddetti, non sto a citare casi di cronaca, talora da chiarire, di cui sentiamo parlare. Sorvolando sugli aspetti peggiori nei quali si distinguono i cosiddetti odiatori, vorrei segnalare gli interventi di persone non preparate che spargono concetti errati. Anche quando sono in buona fede, non si riduce il danno, semmai è una giustificazione o un’attenuante sul piano morale, ma il danno è quello.
che dir si volesse non c’erano, diceva: “vedee” con vedee intendeva vedere. Bisognava aprire il cassetto e non le bastava uno sguardo, vi rovistava e solo dopo adeguata ispezione si convinceva. Ebbene trattasi di ottimo metodo; bisogna sempre ben verificare, è l’unico modo per fronteggiare le false notizie o gli errori.
C’è chi dice che: “quando dici qualcosa, a qualcuno lo cambi”. Forse è eccessivo, tuttavia può accadere di arricchire, come cultura o informazione, ma ci può essere anche qualcosa di negativo; può capitare di indurre in errore, quindi è bene avere rispetto per i nostri interlocutori. Personalmente non perdo tempo con la modestia (troppo spesso suona falsa), ma pratico l’umiltà e prima di esprimermi uso consultare la letteratura attinente al tema trattato, quantomeno quella fondamentale. Inoltre amo consultarmi, come già detto in altre sedi, con quella che chiamo scherzosamente la “pulita dozzina”, vale a dire persone molto qualificate che stimo.
È necessario che chi intende usufruire del diritto di parola, lo faccia solo su argomenti che conosce e senza presumere di essere infallibile. Troppo spesso approvazioni reciproche di persone che commettono errori danno la falsa impressione che l’errore sia cosa esatta. Ne ho già parlato in altre occasioni (“Io do ragione a te tu dai ragione a me”, I. O. n°3 marzo 2019, “Cultura generale”, I. O. n°10 ottobre 2023).
È pure necessario che chi ascolta o legge sia sempre diffidente e vada sempre in verifica. Ricordo che mia figlia quando era molto piccola, e usava le prime parole, a volte puntava il ditino verso un cassetto e diceva “bembe” ove per bembe intendeva caramelle. Non serviva a nulla dirle che in quel cassetto caramelle o bembe
Confrontare le diverse opinioni è sempre importante. Si badi però che le opinioni si esprimono legittimamente solo se razionali e su cose opinabili, vale a dire non verificate o dimostrate. Quando un fatto è dimostrato non c’è più posto per l’opinione, ma solo per l’esattezza o per l’errore.
Ora forse qualcuno potrà pensare a certi miei articoli piuttosto complessi. Ebbene sappia che faccio sempre il mio massimo sforzo per semplificare, ma talora è davvero improbo rendere facile ciò che è oggettivamente complesso, specialmente per un perfezionista quale sono. Inoltre non è certo il caso di omettere argomenti importanti solo perché impegnativi. Non è neppure bene banalizzare, non sarebbe utile, anzi… In ogni caso se talora non fossi riuscito a fare il massimo, chiedo venia, comunque sono sempre disponibile a spiegazioni ulteriori.
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Semplificare i processi, fonte: twproject.com
Schemocromi: il fattore opale
testo di MIMMO ALFONZETTI, foto AUTORI VARI
Prima parte
Astratto
Nel mondo della canaricoltura esiste un’affascinante mutazione, a mio avviso tra le più belle, la mutazione opale detta anche comunemente fattore opale, la cui natura strutturale è prevalente su quella biochimica. Questo fattore determina notevoli cambiamenti nel colore e nell’aspetto delle penne di questi bellissimi uccelli, modificandone la struttura cromatica. La mutazione opale è, infatti, tra le più originali della canaricoltura per quella particolare proprietà del piumaggio di riflettere anche radiazioni luminose azzurrognole.
L’attenta analisi di alcune microfotografie (1) dispensatemi dalla CTN di Colore, che ringrazio, mi ha spinto a fare delle personali considerazioni sulla genesi delle radiazioni bluastre. Queste diffusioni sono generate dalle barbule e non dalle barbe e quindi non sono ascrivibili a fenomeni di diffusione incoerente (effetto Tyndall), bensì a interferenza costruttiva (diffusione coerente).
Un po’ di storia
Come molte altre mutazioni di colore, il fattore opale si è manifestato a seguito di una mutazione genetica spontanea. Intorno al 1949, in Germania, gli allevatori Rossner e Muller notarono qualcosa di diverso ma di straordinario nei loro nidi di canarini
Come molte altre mutazioni di colore, il fattore opale si è manifestato a seguito di una mutazione genetica spontanea
da canto Harzer. Improvvisamente, i canarini mostrarono un sorprendente colore grigiastro con riflessi azzurrognoli. Una scoperta sorprendente per chi come loro aveva trascorso anni ad allevare canarini verdi. Rossner si rese presto conto di aver trovato qualcosa di unico e decise di operare con altri allevatori di canarini per sviluppare ulteriormente le caratteristiche di questi nuovi uccelli. Tuttavia, il riconoscimento del fattore opale ha richiesto un po’ di tempo, anche perché gli allevatori esperti erano inizialmente riluttanti. Fu solo dopo il 1962, in seguito alla esposizione ai mondiali COM di Bruxelles, che gli allevatori
iniziarono ad allevare la mutazione opale su larga scala, in particolare il giudice Brokmeier in Olanda e Ascheri in Francia. Da allora, molti allevatori hanno ottenuto risultati notevoli, soprattutto in termini di miglioramento della struttura delle penne, che si era mostrata problematica.
Il nome “opale” proposto da Brokmeier pose fine al fiorire di varie denominazioni: Furter, Frei, Achat; fu accettato perché richiamava e ricordava la cromia del vetro opalino (Veerkamp) per la sua specificità fisica di mostrare opalescenza. L’opalescenza è un esempio di dicroismo (2), assor-
NUMERO 3 - 2024 5 CANARINIDI COLORE
Fig. 1 - Immaginealmicroscopioelettronicodellebarbeebarbulediuncanarinoneroopalegiallo. È evidente che le radiazioni bluastre originano dalle barbule, fonte: CTN di Colore
bimento della luce dipendente dalla direzione di propagazione, che appare in sistemi debolmente opachi dove il gioco di colori e di luce è dovuta ad effetti di interferenza ed alla diffrazione della luce. La cromia percepita, quasi lattiginosa, non è diretta conseguenza della riflessione selettiva dei pigmenti del piumaggio, bensì è quella che viene avvertita dopo l’elaborazione luminosa che le nanostrutture del corpo mettono in essere. In parole più semplici, nei canarini con il fattore opale il colore non “dovrebbe” essere percepito direttamente, ma indirettamente attraverso l’interazione della luce con le penne. Personalmente ho difficoltà ad associare la parola opalescenza nei termini sopra indicati alla cromia del piumaggio dei canarini. Ne viene che la mutazione genetica che sostiene l’opale, oltre ad agire come le altre mutazioni sulla biochimica delle melanine (riduzione?), deve essere supportata da una adeguata morfologia delle strutture delle penne, in guisa tale da riflettere radiazioni azzurrognole.
Il fattore opale
La mutazione opale per molti anni è stata priva di controversie per quanto riguarda le sue caratteristiche fenotipiche, ma oggi sembra entrata in un turbinio di discussioni. Da qualche anno a questa parte stiamo assistendo all’esposizione di alcuni opale che si caratterizzano a prima vista per una maggiore ossidazione dell’eumelanina, perdita di azzurrino e cambiamento del colore dell’eumelanina. Il Brasile si mette in evidenza per questa particolare selezione, in particolare per i Bruni opale, ma anche per la comparsa di nuovi fenotipi come gli Ebano e più recentemente i Mogano. Nella penna del canarino opale la distribuzione della melanina, oltre alla quantità decisamente minore, presenta una triplice differenza rispetto ad un classico canarino:
· La pagina superiore è estremamente povera di melanina, risultando più chiara di quella inferiore che, comunque restando coperta, non è direttamente visibile.
· La pagina inferiore ha nella sua parte profonda uno strato di melanina finemente addensata.
· L’eumelanina si trova principalmente nel nucleo delle penne. L’effetto strutturale che caratterizza il fattore opale è quindi dovuto alla diversa dislocazione delle melanine nelle penne. I pigmenti melanici, in particolare l’eumelanina, si dispongono massivamente nella pagina inferiore della penna ma si diradano nella pagina superiore. Questa profonda dislocazione del pigmento, per giunta associata a melanosomi quantitativamente più scarsi ma di aspetto diverso dalla norma (melanosomi cavi), dà origine ad un substrato particolare di cheratina rifrangente necessario alla genesi di quelle radiazioni opalescenti, o meglio azzurre, tipiche del canarino opale. La pre-
senza di questo particolare strato melanizzato dislocato in profondità fa apparire la penna più pigmentata nella parte inferiore che non in quella esterna (pagina superiore).
L’aspetto microscopico della struttura interna della barba è decisamente più interessante: le melanine affondano nel nucleo al contrario di quanto succede nei canarini classici, dove i pigmenti neri (di eumelanina) si dispongono sul contorno del nucleo. La personale raffigurazione di figura 3 sintetizza quanto detto prima. In sintesi, l’eumelanina si trova principalmente nel nucleo delle penne e nella parte inferiore di esse. Le modifiche alla colorazione esercitate dal fattore opale si esprimono al meglio su una penna con pigmentazione nera, come nei tipi nero e agata. Tuttavia, il risultato di questo fattore è estremamente variabile e talvolta possono verificarsi effetti collaterali come la scompostezza del piumaggio. Nella serie dei bruni ed isabella, il fattore opale sembra disperdere la feomelanina marrone e, riducendo l’eumelanina, fa apparire negli uccelli con questo fattore, in particolare nei soggetti selezionati anni addietro, un disegno molto ridotto nei bruni e quasi mancante o mancante negli isabella. La riduzione è tale che alcuni soggetti (isabella) a prima vista sembrano dei semplici lipocromici; si rilevava tuttavia, nei migliori, il perlaceo delle penne forti, residuo delle marcature.
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Fig 2 - NeroopaleGiallo,sezionetrasversalediunabarba dicopritricedorsale, le parti superiori delle piume sono pigmentate di melanina in misura decisamente minore rispetto alle parti inferiori, fonte: Kanarien-Schramm.de
Fig. 3 - SezioniaconfrontodiunabarbadiNeroOpale (sx) e Nero, in evidenza nel nero opale il nucleo ricco di melanine, l’addensamento nella pagina inferiore, la rarefazione nella pagina superiore, fonte: M.Alfonzetti,personalefigurazione.
Il fattore opale è ereditato in modo recessivo, il che significa che entrambi i genitori devono portare un gene responsabile del carattere opale affinché si trasmetta nella loro prole.
Melanofilina: biochimica del fattore opale
Nel novembre del 2022, all’Internazionale di Modena, la mia attenzione si concentrò su una gabbia dove era esposta una particolare mutazione delle quaglie giapponesi. Aveva una cromia completamente diversa dalle classiche, una accentuata riduzione melanica con una colorazione grigiastra, vagamente bluastra. Mi ricordava un po’ il piumaggio dei canarini opale. La faticosa ricerca sul web per ulteriori informazioni portò a risultati positivi: si trattava di una quaglia mutazione lavanda.
La lettura del relativo articolo (The lavender plumage colour in Japanese quail – BMC Genomics, Agosto 2012) mostrava che il fenotipo della quaglia mutazionelavanda è oggetto di una riduzione nelle penne sia dell’eumelanina che della feomelanina, che fa nascere un colore blu-grigio su un fondo di piume di tipo ancestrale. Affermava anche l’omologia col fenotipo di alcuni galli (vedi fig. 6) e che la mutazione fosse causata dal singolo cambiamento della coppia di basi del gene MLPH -melanofilina. Ricordavo di aver letto qualcosa di simile sulla nostra rivista Italia Ornitologica: rapida ricerca e ritrovo la pubblicazione: I.O., Onice e Opale, n° 1, Gennaio 2022, a firma di G. Bertarini.
In breve, l’articolo narra del Professor Luca Fontanesi e della sua équipe (Università di Bologna), che su incarico della FOI ha esaminato il genoma delle piume di canarini Opale ma anche di altri. L’ipotesi da me avanzata che il fattore Opale avesse qualche affinità con la quaglia giapponese lavanda trovava conferma: erano entrambi conseguenza di una mutazione del gene melanofilina (MLPH). In tale studio sono state identificate due varianti alleliche del gene. Una drastica (frameshift) che causa la mu-
tazione opale, e una variante meno grave (missenso), che corrisponde all’onice, recessiva verso la forma selvatica, interessante per la diffusione di eumelanina che induce. Entrambi sono allelici, nel senso che si trovano nello stesso locus genetico e sono tra loro alternativi e codominanti, poiché generano intermedi.
(La mutazione frameshift è un difetto genetico che provoca la produzione di proteine anormali. Si verifica quando viene aggiunto o rimosso un nucleotide in un filamento di DNA in formazione) La maniera più semplice di comprendere il frameshift, per chi come me ha problemi con la genetica, è immaginare il DNA come una collana di perline, dove ogni perla rappresenta un gene con i suoi nucleotidi: l’inserimento o l’eliminazione di una perla fa cambiare il “telaio lettura” della
trascrizione genetica. Di conseguenza, la proteina risultante può essere completamente diversa da quella prevista.
La melanofilina, scoperta per la prima volta nel 1891 dallo scienziato venezuelano Vicente Marcano, è stata isolata e caratterizzata solo nel 2003; è una proteina che si occupa di trasportare e fissare i granuli di melanina (melanosomi), il pigmento che colora le penne degli uccelli. La melanina è prodotta da cellule specializzate, chiamate melanociti, che si ritrovano nelle strutture di cheratina. Nei melanociti wild-type, i melanosomi sono prodotti nella regione perinucleare (involucro nucleare) e traslocati sulle punte dei dendriti. Il trasferimento del melanosoma avviene quindi quando le punte dendritiche contenenti melanosomi si staccano e vengono fagocitate dalle cellule epidermicheadiacenti, i cheratinociti. In parole più semplici, la melanofilina aiuta a spostare i granuli di melanina dai melanociti verso le altre cellule della cheratina, dove vengono depositati per dare il colore caratteristico. La melanofilina è codificata da un gene chiamato MLPH. Le mutazioni di questo gene possono causare una distribuzione irregolare dei granuli di melanina, portando a una diluizione del colore del mantello in alcune specie di vertebrati (come cani e gatti). Studi al microscopio ottico ed elettronico hanno rivelato che, sebbene i melanociti lavanda possiedano una morfologia dei dendriti relativamente normale, vi è un accumulo periferico difettoso di melanosomi sui dendriti.
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Fig. 4 - MicrofotografiapennaAgataOpale, in evidenza il calamo colmo di melanina, fonte: CTN di Colore
Fig. 5 - A sinistra tipo selvatico, a destra quaglia giapponese mutazione lavanda, fonte: BMC Genomics
Fig. 6 - Pollo mutazione lavanda, fonte: Wikimedia.org
Ciò si traduce nel trasferimento irregolare dei melanosomi nei cheratinociti della penna in crescita. I melanociti della lavanda, sia invivo che in vitro, producono melanosomi normalmente ma sono difettosi nella traslocazione degli stessi. Questo difetto si traduce in una congestione dei melanosomi nel pigmento dendritico. L’effetto che ne consegue è una riduzione nel trasferimento nelle penne, il cui risultato è una miscela di regioni pigmentate e non pigmentate all’interno del vessillo. Sebbene i melanociti lavanda siano difettosi nella traslocazione melanosomica, non mostrano alcun difetto ultrastrutturale apparente nel sistema dei microfilamenti dei premelanosomi. A margine è opportuno significare che la lavanda è la prima mutazione della traslocazione di organelli intracellulari ad essere descritta, offrendo un’opportunità unica per studiare questo processo, essenziale ma poco compreso. In effetti, la modalità di trasferimento non è ancora completamente chiarita. Citofagocitosi, fusione, vescicolare, esocitosi è la variegata modalità biochimica associata a tale processo di traslocazione.
Il gene MLPH è decisamente multiallelico, coppia di basi nei gallinacei, frameshift nei canarini opale, missenso nei canarini onice, puntiforme nella quaglia giapponese.
Ontogenesi del piumaggio dei canarini opale (6)
La melanizzazione delle piume degli uccelli è un processo più complesso di quanto si possa immaginare, regolato da molti geni che possono influenzare ma anche disturbare il regolare processo produttivo delle melanine. Una semplificazione di tale processo potrebbe prevedere una suddivisione in tre fasi più o meno distinte:
· formazione di melanina in seno ai melanociti
· passaggio dei melanosomi ai cheratinociti circostanti
· trasferimento delle melanine alle penne
La prima fase porta alla formazione dei melanosomi tramite un processo di arricchimento, dovuto all’azione della tirosina su filamenti disponibili, i pre-
melanosomi, all’interno del melanocita, che predispongono il “confezionamento” della melanina. Successivamente un enzima (chiamato tirosinasi) viene chiamato nella cellula e provocherà l’eumelanina nera (o bruna) e la feomelanina (marrone, rossa o anche giallastra). La disponibilità di maggiore concentrazione di cisteina (aminoacido contenente zolfo) favorirà la formazione di feomelanosomi; di contro, la formazione di eumelanosomi è legata a bassi valori di cisteina. Il canarino opale si riconosce perfettamente in questa fase ma si discosta dalla generalità della classe Aves nella volumetria dei melanosomi.
Nei canarini classici i melanosomi ricevono la fornitura di melanina fino a quando la loro dimensione raggiunge le estensioni e quindi la volumetria programmata dall’assetto genetico. Opportuni geni intervengono a bloccare la fornitura di melanina attraverso un sistema di controllo di tipo feed-back (controreazione). Il controllo dell’intero processo è sintetizzato nel disegno che segue (Fig. 7).
Nei canarini opale la mutazione agisce sulla fornitura di melanina ai granuli pigmentari, fornitura che, per molti melanosomi, non si arresta quando raggiungono le dimensioni normali (ossia quelle programmate per il tipo selvaggio). L’alimentazione non è frenata e i granuli sono quindi più grandi, modificano la loro forma per realizzare un volume maggiore, si formano dei macromelanosomi.
I melanosomi, che contengono il pigmento di melanina, vengono trasferiti dai melanociti ai cheratinociti attraverso i dendriti (prolungamenti cellulari) mediante un processo di fagocitosi, concretizzando quindi la seconda fase sopra indicata.
In modo più esauriente lungo questo percorso, i cheratinociti ereditano il pigmento da una coorte relativamente piccola di cellule produttrici di pigmenti, i melanociti. Affinché il numero relativamente piccolo di melanociti compia questa impresa, usano lunghi dendriti per raggiungere e contattare molti cheratinociti (un melanocita epidermico alimenta il pigmento fino a 40 cheratinociti). Durante questo processo, una parte del citoplasma del melanosoma viene inglobata dai cheratinociti adiacenti. Causa le dimensioni dei macromelanosomi, questi si accumulano nelle ramificazioni dentritiche, si verifica un ingorgo nella zona apicale dei dendriti che riduce sensibilmente il trasferimento delle melanine ai cheranociti circostanti, traccia evidente dell’effetto del gene lavanda. La figura 8 sintetizza questo processo di accumulo, dove le zone apicali dei dendriti colorate di nero indicano l’intasamento.
Il trasferimento dei pigmenti melanici alle piume in crescita, terza fase, è forse quella di maggiore complessità nella pigmentazione delle strutture cheratiniche del piumaggio dei canarini opale. L’omeostasi nella papilla dermica è re-
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Fig. 7 - I genichecontrollanolavolumetriadeimelanosomiinterromponolachimicadellatirosinasistabilizzandocosì l’accrescimento finale dei melanosomi, il rombo a monte del diagramma simboleggia un ideale rubinetto. MC1R (4) quando attivato da una delle varianti di MSH (5) avvia un complesso flusso di segnalazione che porta alla produzione di eumelanina, fonte: M.Alfonzetti,personalefigurazione
Fig. 8 - Dendriticoningorgoapicale(macchienere)di macromelanosomi, fonte: M.Alfonzettipersonale raffigurazione da Esteticamente01.com
I melanociti si trovano all'interno della zona apicale della barba in crescita e trasportano il melanosoma nei cheratinociti adiacenti (Linetal., 2013 ), fonte: (4*)
golata principalmente dall’interazione cellulare tra cheratinociti e melanociti. I cheratinociti normalmente stimolano alcune importanti funzioni dei melanociti, in particolare la proliferazione, la differenziazione e la dendritogenesi. La variabilità di tali funzioni è autocontrol-
lata dall’omeostasi, che dovrebbe garantirne la continuità all’interno di un intervallo di valori predeterminato. Ma qualcosa non va nel verso giusto nelle penne dei canarini opale.
Le penne germogliano da una piccola escrescenza della pelle chiamata papilla dermica e man mano che si sviluppano le loro punte vengono allontanate dalla papilla dermica, per permettere in tale zona la formazione di nuove parti della penna. È in questo step che avviene il trasferimento dei melanosomi alle cellule cheratinizzate prima che queste si dispongano nelle strutture del piumaggio. Questo processo è forse alterato, non uniforme, forse perché i melanosomi, numericamente ridotti e di volumetria ampliata, si accostano in maniera ineguale ai cheratinociti per conformare quel pattern di pigmentazione prestabilito dal codice genetico della mutazione opale. Ciò comporta un trasferimento disomogeneo di melanosomi nei
cheratinociti della piuma in crescita. L’unità dermica che ne deriva fa addensare i melanosomi (che subiscono un processo di appiattimento) principalmente nel nucleo delle penne e in maniera minore nel vessillo, preferendo la pagina inferiore di queste. L’effetto di riduzione è essenzialmente il risultato di una miscela di regioni pigmentate e non pigmentate all’interno delle penne. Non è ancora chiaro come avvenga l’appiattimento.
Continua sul prossimo numero
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Fig. 9 - Papilladermicaconindicazionedellazonadiomeostasi tramelanocitiecheratina,Disegno schematico di un follicolo di piume.
Fig. 10 - SezionecopritriceAgataOpalebianco : in evidenza macromelanosomi, fonte: NorbertSchramm-AbouttheMogno
Qualcosa di incredibile
testo di PIERCARLO ROSSI, foto di MICHAEL KOPITSCH, DOMENICO CAUTILLO e P. ROSSI
In questi giorni piovosi ho deciso di dare una sistemata ad un po’ di materiale ornitologico accumulato negli anni.
Così facendo, ho sfogliato nuovamente alcune vecchie riviste dell’ENCIA e riguardato vecchi scatti fatti durante le innumerevoli mostre che ho avuto la fortuna di poter ammirare nel corso degli anni; ho ritrovato addirittura un vecchio piattino in argento che riportava la scritta “Mostra Ornitologica di Vallemosso 1994”, la prima mostra in cui fui convocato a giudicare: il Presidente di allora era il compianto Luigino Aprile e quello fu il mio ingresso in punta di piedi nelle mostre ornitologiche, quando per la prima volta mi trovai dall’altra parte del tavolo.
Erano stati esposti 27 soggetti nelle categorie I.E.I. (oggi E.F.I.); il campione di razza fu una femmina di Carpodaco (allora Ciuffolotto messicano) con una buona taglia ed un gran bel disegno; tante altre mostre hanno fatto seguito a quell’esordio ricco di emozioni
Il soggetto inizialmente mi ha lasciato senza parole: ho incominciamo a guardarlo e riguardarlo per alcuni minuti
ed anche un po’ di paura… a pensarci bene, sono passati trent’anni da allora.
Tanti ricordi affollano la mia mente: amici che hanno fatto parte di questo mondo, il mio mondo, come Franco Pozzi (colore) e Bruno Robbia (forma e posizione lisci), colleghi Giudici della mia città, Alessandria, ma anche Franco Dolza (forma e posizione lisci), compagno di viaggi indimenticabili per tanti anni, e come non ricordare Umberto Lippi (forma e posizione lisci), un amico di quelli con la A maiuscola.
Tra tutte queste scartoffie i ricordi scorrono lenti e come sempre gli ibridi la fanno da padrone; così mi torna in mente uno splendido stamm di Mozambico x Cardellino dell’Asnaghi e il primo Cardinalino x Crociere di Giampaolo Consonni. Una femmina satiné di Canarino x Ciuffolotto di Piero Castellanza, uno splendido ibrido di Guttato x Padda, campione di razza in diverse mostre. I primi Cardinalini mutati di Bruno Emilio, i Verdoni in varie mutazioni dell’amico Ezio Valfrè e gli splendidi ibridi del Dottor Bilardo.
Quanti uccellini, belli e bellissimi, ho avuto la fortuna di poter ammirare, e giudicare, in tutti questi anni, e quanti appassionati ho incontrato nel mio girovagare: con alcuni di loro ho stretto amicizie che si sono consolidate negli anni, di altri conservo soltanto un bel ricordo.
Ancora oggi, all’approssimarsi della stagione mostre, questa magia si ripete e mi ritrovo spesso a girare per l’Italia con nuovi amici o con colleghi
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L’ibrido dell’articolo
Lato sinistro dell’ibrido
Lato destro dell’ibrido
della mia stessa specializzazione; nella stagione mostre 2023 ho avuto la fortuna di poter giudicare nelle specialistiche più importanti del territorio ed in una di queste, a Trivignano Udinese, insieme all’amico fraterno Renzo Esuperanzi, durante il giudizio degli ibridi tra fringillidi mi sono trovato sul tavolo un ibrido a dir poco incredibile.
Il soggetto inizialmente mi ha lasciato senza parole: ho incominciamo a guardarlo e riguardarlo per alcuni minuti, poiché presentava su un lato le sembianze di Fanello x Ciuffolotto e sull’altro quelle di Fanello x Canarino, come si può vedere dalle foto. Ho chiamato Renzo e ne abbiamo discusso, abbiamo coinvolto diversi altri colleghi tra cui Bruno Zamagni ed il Presidente della CTN Carmelo Mon-
Il becco aveva la valva superiore nera e quella inferiore color carnicino grigiastra. Quello appena descritto era sicuramente un ibrido di Fanello x Ciuffolotto
tagno ed ognuno ha espresso la propria opinione, ma i dubbi a riguardo erano molti e la matassa non sembrava volersi dipanare.
Ho quindi deciso di spostarmi all’esterno con la gabbia, oltre che per osservare il soggetto alla luce natu-
rale, anche per effettuare un filmato con il cellulare.
Tutto questo ha confermato ciò che avevo intuito inizialmente: su un lato del soggetto era presente la calottina nera del Ciuffolotto leggermente infiltrata di rosso, il nero partiva dalla base del becco ed attraversava l’occhio come una lancia; la guancia era grigia con alcune tracce di rosso, era presente una sciarpa grigia, il rosso/rosato risultava più tenue sulla gola e andava ad intensificarsi sull’alto petto in maniera uniforme; il dorso era bruno e ben disegnato, le ali nere presentavano una leggera barratura bianca.
Il becco aveva la valva superiore nera e quella inferiore color carnicino grigiastra.
Quello appena descritto era sicura-
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Lato destro dell’ibrido
Lato sinistro
Particolare del lato sinistro della testa dell’ibrido
Lato destro
Ala destra
Ala sinistra
mente un ibrido di Fanello x Ciuffolotto.
Sul lato destro il soggetto presentava una leggera infiltrazione di rosso sulla nuca, un disegno marcato fino alla base del collo e piume più chiare attorno al bulbo oculare.
Le guance erano di un bruno più intenso e lasciavano intravedere un leggero disegno del Fanello; l’alto petto era inquinato di rosso così come la base del becco: quest’ultimo si presentava di color crema con l’apice della valva superiore nera. Il dorso marrone scuro, leggermente disegnato, tracce di striature anche sui fianchi.
Le ali risultavano essere nere ma, rispetto all’ala sinistra, quella destra non presentava la barratura alare biancastra (particolare ben visibile dalle foto); su quel lato il codione biancastro risultava essere infiltrato di rosso, la coda era nera.
Pertanto sul lato destro era visibile l’ibrido di Fanello x Canarino.
Tutto questo pare impossibile, anche se le foto lo confermano: ci trovavamo di fronte, sicuramente, ad un half-sider in cui erano presenti 3 parentali, ossia il Fanello, il Ciuffolotto ed il Canarino. Analizzando le cromie, entrambi erano di sesso maschile.
Una volta terminato il giudizio, ho cercato di scoprire chi fosse il proprieta-
Ci trovavamo di fronte, sicuramente, ad un half-sider in cui erano presenti 3 parentali rio del soggetto per avere maggiori informazioni a riguardo. Il proprietario era Michael Kopitsch, un allevatore austriaco, ma purtroppo non riuscimmo a scoprire di più in quel momento.
Una volta giunto a casa, decisi di inserire sulla mia pagina Facebook il video che avevo girato alla mostra del Club dell’Hornemanni, e tra i numerosi commenti, molti dei quali confermavano la possibilità che potesse trattarsi di un poliibrido, vi erano anche quelle dell’allevatore che aveva aggiunto le foto che potete ammirare a corredo dell’articolo.
Sfruttando Messenger, ho deciso di contattare l’allevatore, che ringrazio per la disponibilità: mi ha raccontato che questo soggetto è nato da Fanello x Ciuffolotto e che secondo lui presenta i tratti per metà maschili e metà femminili dello stesso ibrido e che in due anni non lo ha mai sentito cantare.
Rispetto a quanto detto dall’allevatore, in chiusura di questo mio breve scritto, osservando il soggetto alcuni dubbi mi sorgono: la femmina di Fanello x Ciuffolotto presenta tracce di calottina sulla testa, non presenti nel soggetto del lato destro; non presenta tracce di rosso, mentre nel soggetto in questione esso compare sul capo e sul petto; infine, ha un’ampia banda alare color panna, non presente nel soggetto in questione.
Il disegno sul petto dovrebbe essere leggermente marcato ed il dorso di un bruno scarico dove il disegno appare appena marcato. Il becco, inoltre, dovrebbe essere di un rosa non troppo carico, con la valva superiore più scura e la punta di colore grigio. Risulta comunque essere un soggetto molto interessante che in me ha generato forte stupore ed interesse; mi auguro che possa suscitare le stesse sensazioni ai lettori della nostra bella rivista.
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Fanello x Ciuffoloto, foto: D. Cautillo
Fanello x Canarino, foto: P. Rossi
Soggetto femmina di Fanello x Ciuffoloto
Lizard blu
Il convitato di pietra
testo di ANTONIO DI TILLIO eCLAUDIO BERNO, foto J. C. BLANCO, P. VICIDOMINI, G. VERWOERD eC. BERNO
Chi alleva canarini Lizard da molti anni ricorderà come, in un passato non molto recente, venissero allevate ed esposte quasi esclusivamente le due classiche varietà di questa antichissima razza: la dorata e l’argentata. Tuttavia, anche se non esposto, tornava ogni tanto a fare capolino, periodicamente, un terzo incomodo: il Lizard blu. Questo “nuovo” canarino, che aleggiava tra gli allevatori come un fantasma dalla figura pallida e quasi diafana, con il suo disegno privo di colore sembrava rappresentare il negativo di una fotografia di canarino Lizard: ove per secoli si erano ricercate nel colore di fondo le caratteristiche di massima intensità e profondità, ora quello stesso colore veniva ad essere eliminato del tutto; dove con il termine “ground colour” gli allevatori inglesi avevano da sempre inteso indicare “ciò che resta dopo aver rimosso idealmente il disegno melanico del corpo”, ora nella variante c.d. “blu” restava invece soltanto il disegno, che doveva risaltare su di uno sfondo che colorato non era più.
Come una sorta di convitato di pietra, dunque, il Lizard blu veniva a rappresentare, agli occhi di molti amanti della razza, una realtà incombente e sconcertante, che si preferiva spesso dimenticare o non affrontare.
Il Lizard blu rappresentava, agli occhi di molti amanti della razza, una realtà incombente e sconcertante
Tuttora, come vedremo, sussistono timori, in parte sicuramente giustificati, legati al rischio di inquinamento di un patrimonio genetico così antico, tanto che la massima istituzione a tutela della razza, la Lizard Canary Association of Great Britain, ancora oggi non riconosce tale varietà, così come non ammette nessun altro tipo di colore che sia diverso dal dorato e dall’argentato.
Le origini e la storia
Diversamente dalle origini del Lizard “classico”, misteriose ed antichissime, scaturite probabilmente da una mutazione sconosciuta e verosimilmente non ripetibile, quelle del Lizard blu sono più certe e recenti, sicuramente derivate dal meticciamento con altre varietà di canarino ed in particolare con il tipo “bianco dominante”. La comparsa nel mondo ornicolturale del fattore bianco dominante viene fatta risalire all’anno 1667, precisamente ad Augsburg (Augusta, Germania), nell’allevamento di un certo sig. Schroeckers: per tale motivo, questo tipo di bianco è stato defi-
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Lizard blu, foto e all.: Juan Carlos Blanco
geni alieni all’interno dell’antichissimo ed ancora in gran parte sconosciuto patrimonio genetico del Lizard, ovvero al meticciamento con altre varietà di canarino finalizzato all’ottenimento di altre colorazioni, compreso il “non colore” cosiddetto “blu”. Il decano della LCA John Scott, alla fine degli anni Novanta così si esprimeva in merito: “Se vogliamo che il Lizard si estingua come è successo nel passato per il London Fancy, lasciamo che gli ‘sperimentatori’ utilizzino insensati incroci”. Più recentemente Huw Evans, nel commentare un articolo pubblicato sulla rivista “Cage & Aviary Birds” del 5 ottobre 2016 (8), ha sconsolatamente affermato che era solo questione di tempo: “… una volta costituito un Club per il Lizard blu, il danno è stato fatto e, nonostante i proclami e le intenzioni iniziali (di non riconoscere ulteriori varietà di colore –n.d.r.), era inevitabile che a ciò seguissero altre varietà di colore” (nella fattispecie, veniva annunciata la nascita di un Club per il Lizard cinnamon). Sulla stessa linea il nostro Giovanni Canali, esperto del colore, riguardo al Lizard blu si era già espresso nei termini seguenti: “… ricordo che esso non è altro che un Ardesia soffuso (nero-bianco do-
minante, come diciamo oggi). Lo trovo poco interessante e molto pericoloso, poiché è il frutto di un meticciamento e pertanto può portare dietro una infinità di geni non graditi, anche se non stret-
tamente legati al gene del bianco dominante … Per gli stessi motivi, ritengo che siano ugualmente da scoraggiare le altre variazioni di colore … Penso che la razza Lizard sia un gioiello così com’è, e che non debba subire pericolosi inquinamenti: la considero adatta per allevatori tradizionalisti” (9). Come già accennato, il Lizard Canary Club Italiano si è sempre sostanzialmente attenuto alle regole dell’omologa associazione britannica (LCA), non ammettendo la varietà blu nel suo programma e nelle sue esposizioni. Tale orientamento è stato confermato da diversi questionari somministrati in passato agli associati, come quello del 2012, in cui la maggioranza dei soci del LCCI si è espressa in senso sfavorevole anche riguardo alla eventuale creazione di un Club distinto per il Lizard blu, come quello all’epoca già formatosi in Inghilterra (10). Viceversa, i sostenitori entusiasti della varietà pallida sostengono che, riguardo alla purezza della razza Lizard, in passato vi sarebbero stati reiterati incroci, ad esempio con canarini Norwich, soprattutto nel periodo post-bellico, al fine di incrementare il numero di esemplari per evitarne l’estinzione. Tra i più ferventi appassionati del blu possiamo
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Lizard blu in esposizione, foto e all.: Geert Verwoerd
Nidiacei di Lizard blu quasi senza calotta, foto e all.: Paolo Vicidomini
Lizard blu, in evidenza i rowings, foto e all.: PaoloVicidomini
citare sicuramente David Allen, giudice inglese esperto di Lizard il quale, a seguito del diniego da parte della LCA, nel 2010, di riconoscere il Lizard blu, l’anno successivo (2011) ha fondato il “Blue Lizard Canary Club of Great Britain”, insieme a Kevin Skinner e Andy Williamson (il Club attualmente conta una quarantina di soci). Lo stesso Allen rassicura: “Il bianco è dominante cosicché non ci sono portatori. È questo che preoccupa gli allevatori di Lizard tradizionale, che pensano che un Lizard ‘normale’ (dorato o argentato) ottenuto da accoppiamenti con i blu possa essere portatore del gene per il bianco”. In una posizione intermedia rispetto ai due gruppi precedenti di favorevoli e contrari, si pongono altri noti allevatori, come il Passignani, secondo cui il pericolo del meticciamento consisterebbe più che altro nello scadimento della qualità del piumaggio, dovuto alla perdita del particolare lipocromo del Lizard, con conseguente venir meno del caratteristico aspetto sericeo e vellutato rispettivamente dei dorati e degli argentati.
Tecniche di allevamento e precauzioni nella selezione Nel 1982 l’allevatore e scrittore britannico G.T. Dodwell, in un suo noto testo (11), affermava che “L’accoppiamento corretto è blu x normale, che risulterà nella produzione di una prole per il 50% blu e 50% normale”, descrivendo anche come ottenere i blu mediante l’accoppiamento, nel primo anno, di un maschio Lizard normale con una femmina di Border a fattore bianco dominante di buona qualità. Avendo il disegno del Lizard carattere recessivo, da tale primo accoppiamento sarebbero derivati il 50% di prole normale ed il 50% di prole blu. Il secondo anno si sarebbe dovuto accoppiare un Lizard maschio normale con una femmina dell’anno precedente blu. Secondo l’autore, soltanto alla sesta generazione si sarebbe potuto ottenere un vero Lizard blu. Lo stesso avvertiva però che i Lizard “normali” ottenuti da tali accoppiamenti non sarebbero dovuti entrare a far parte del ceppo dei Lizard classici da esposizione, per la possibilità di introdurre caratteristiche indesiderate legate all’utilizzo del canarino di razza diversa (Border); allo stesso
tempo, non si sarebbero dovuti vendere i medesimi esemplari derivati dal blu, senza avvertire i compratori della loro provenienza.
Più recentemente, David Allen ha riferito di aver introdotto il fattore bianco nel proprio allevamento di Lizard nel 1994, accoppiando una femmina Fife bianco dominante con un maschio Lizard argentato con calotta spezzata. L’anno successivo due femmine a fondo bianco così ottenute sono state accoppiate con il loro padre, con risultati soddisfacenti anche dal punto di vista espositivo. Secondo lo stesso allevatore, un Lizard blu dovrebbe essere accoppiato
preferibilmente con un Lizard dorato, perché con gli argentati bisogna fare più attenzione, in quanto tali accoppiamenti, se ripetuti nel tempo, possono portare ad un deterioramento del disegno delle scaglie in termini di nitidezza e intensità. Altrettanto sconsigliabile è l’accoppiamento tra due blu, che solitamente dà luogo ad una prole con elevata mortalità neonatale, per la presenza di un gene letale in omozigosi (ovvero se presente in entrambi i cromosomi omologhi). Da un punto di vista sia genetico che fenotipico, il Lizard si comporta diversamente se accoppiato con un canarino lipocromico o con un melaninico.
Infatti, dall’incrocio con un lipocromico, alla prima generazione (F1) si ottengono canarini pezzati, che presentano nelle parti melaniniche già il tipico disegno a scaglie del Lizard; gli F1 derivati dall’incrocio con un melaninico, invece, saranno tutti soggetti scuri con il disegno melanico tipico dei canarini di colore, ma non del Lizard, mentre dal reincrocio con il Lizard (R1), oltre ad un 50% di soggetti melaninici, si otterranno anche soggetti in cui ricompare il disegno caratteristico dovuto a quello che possiamo definire “gene atavico del Lizard”. Questi R1 presentano però spesso difetti quali timoniere e remiganti lipocromiche, unghie bianche e pezzature chiare più o meno estese sui fianchi ed ancor più sull’addome.
Come già consigliato dal Dodwell nel 1982, anche David Allen raccomanda di tenere separati i canarini di provenienza blu dal ceppo di Lizard puri, ritenendo che solo l’onestà degli allevatori possa impedire che il surplus dei primi venga venduto come Lizard allevati in purezza ad ignari compratori (per quanto riguarda la purezza della razza, Huw Evans calcola che oramai, in tutto il mondo, siano rimasti soltanto otto o nove ceppi di Lizard realmente puri in altrettanti allevamenti). In occasione della mostra ornitologica Nazionale inglese di ottobre 2019, la LCA è giunta comunque ad un accordo con il BLCC (Bleu Lizard Canary Club), come poi pubblicato sul numero del 6 novembre 2019 della rivista “Cage and Aviary Birds”, in cui tra i vari principi stabiliti appaiono rilevanti quelli che seguono:
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Nido con R1 a “gene Lizard atavico” dorato e blu, foto e all.: Claudio Berno
Un difetto di frequente comparsa negli R1 da melaninico, foto: ClaudioBerno
-ci sono fondamentali differenze genetiche tra il canarino Lizard classico ed il canarino Lizard blu;
-il canarino Lizard classico è il fondamento della qualità nei Lizard di tutti i colori ed è interesse di tutti gli allevatori di Lizard salvaguardare la purezza genetica del ceppo della vera razza;
-gli allevatori di Lizard di pura razza sono a buon diritto preoccupati del rischio di introdurre inavvertitamente geni alieni nel ceppo di Lizard classico. Il BLCC continuerà ad esortare i suoi membri ad usare i propri anellini chiusi ed a fare piena informazione sulla storia di un soggetto, cosicché potenziali compratori possano prendere una decisione consapevole sui soggetti che acquistano.
Sembra che il BLCC fino ad oggi abbia pienamente sostenuto e rispettato questo accordo, incoraggiando i propri associati ad utilizzare gli anellini chiusi predisposti dal Club per tutta la progenie proveniente da accoppiamenti con soggetti blu (12).
Considerazioni conclusive
In questo scritto non abbiamo voluto schierarci a favore o contro il Lizard blu poiché, senza alcuna preclusione, il fine era quello di stimolare una profonda riflessione nel lettore/allevatore su di una varietà o razza che, per molti aspetti, può risultare controversa e “scomoda” agli occhi degli amanti della tradizione e dell’antichità che il canarino Lizard classico esprime e rappresenta. Non si può dire che il blu sia una varietà qualsiasi di canarino Lizard, al pari di quelle classiche dorata e argentata, perché attraverso il meticciamento si è voluta eliminare una caratteristica peculiare della razza quale il colore di fondo che, come sappiamo, scaturisce da un meccanismo di deposizione del pigmento lipocromico nel piumaggio diverso da quello di tutti gli altri Serinus. Ciò a nostro avviso basterebbe a giustificare una collocazione sistematica del Lizard blu come razza a sé stante (alcuni distinguono il concetto di razza da quello di varietà, anche se i confini sono difficilmente delimitabili se non del tutto convenzionali ed arbitrari; lo stesso concetto di “specie” sfugge a
L’accoppiamento corretto è blu x normale, che risulterà nella produzione di una prole per il 50% blu e 50% normale
volte a rigide classificazioni, in considerazione delle non rare eccezioni a criteri, come quello dell’interfecondità, utilizzati per la definizione). La genetica è una materia complessa e, finché non verrà sequenziato l’intero genoma del Lizard, non sarà possibile stabilire quali e quanti geni vengano ad essere effettivamente persi o sostituiti attraverso il meticciamento. Appare quindi piuttosto semplicistico affermare che “il bianco è dominante cosicché non ci sono portatori”, poiché con il genoma del bianco possono essere trasmessi alla discendenza anche geni diversi da quelli agenti sul colore, anche di tipo recessivo, che non conosciamo e che potenzialmente possono interferire con altre caratteristiche e qualità del Lizard classico. Come per ogni attività umana, quindi, anche in questo campo la prudenza è d’obbligo, cosicché possiamo soltanto ricordare che la salvaguardia e
il destino della razza più antica di canarino oggi esistente restano affidati alla coscienza, onestà e capacità di chi la alleva.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
1)H.J. Veerkamp, “Coloured canaries breeder’s handbook”, 1967, N.V. W.J. Thieme & Cie, Zutphen, tradotto in italiano da G.P. Mignone, Ed. ENCIA, 1970.
2)D. Allen, “The Blue Lizard Canary”, 2021, pag. 12.
3)D. Tognarini, “Il Lizard – varietà e competenze”, Italia Ornitologica, 1991, n. 10, pag. 31.
4)G. Passignani, “Perché il Lizard abbia un felice destino”, Italia Ornitologica, 2000, n 6/7, pag. 12.
5)G. Passignani, “Il Lizard”, Italia Ornitologica, 1990, n. 5, pag. 24.
6)G. Falchini, “Ancora sul canarino Lizard”, Italia Ornitologica, 1991, n 1, pagg. 21-22.
7)D. Tognarini, “La forma e posizione al convegno O.M.J. a Paliseau”, Italia Ornitologica, 1999, n. 10, pag. 41.
8)Huw Evans, “Bird’s eye view: the Breckland Cinnamon Lizard Canary Club”, 09/10/2016, https://finespangledsort.com.
9)N. Giordano, P. Fanfani, “Quando la tradizione appartiene al futuro” Italia Ornitologica, 2000, n 10, pagg. 6-7.
10)A. Citro, “Blue Lizard and Lizards categories to the shows”, 28 agosto 2014, disponibile sul web all’indirizzo: https://lizardcanaryclubitalia.blogspot.com/2014/08/blue-lizard-and-lizards-categories-to.html.
11)G.T. Dodwell, “The Lizard Canary and other rare breeds”, Triplegate LTD, SAIGA Publishing CO. LTD, 1982, pagg. 35-36.
12)LCA Newsletter, Summer/Autumn 2023, Edited by Ian Adcock, LCA Secretary.
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Lizard blu, foto e all.: Juan Carlos Blanco
Il piumaggio nella stagione riproduttiva
testo di RAFAEL ZAMORA PADRÓN (*), foto MOISÉS PÉREZ (LPF)
Al Loro Parque Fundación la stagione riproduttiva è già iniziata; le coppie sono in pieno corteggiamento e molte stanno incubando le prime uova. Questo è un periodo importante in cui l’alimen-
(*)Direttore Scientifico Fondazione Loro Parque
Uno dei punti da osservare è lo stato del piumaggio degli uccelli. Bisogna contare sul fatto che le coppie che hanno risultati migliori nel ciclo riproduttivo sono quelle che hanno già il piumaggio definitivo ed in buone condizioni
tazione gioca un ruolo fondamentale, così come gli aggiustamenti dell’ultimo minuto adattati alle circostanze che si presentano ad ogni coppia. Uno dei punti da osservare è lo stato del piumaggio degli uccelli. Bisogna contare sul fatto che le coppie che hanno risultati migliori nel ciclo riproduttivo sono quelle che hanno già il piumaggio definitivo ed in buone condizioni. Prestare attenzione
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Phygissolitarius, foto: M Perez LPF
a questi dettagli è molto importante nei momenti critici come l’accoppiamento, il corteggiamento, la copulazione e l’incubazione.
Nei pappagalli, una piuma ordinata e lucente permette loro di metabolizzare meglio il nutrimento. Tali soggetti non perdono calore e quindi tendono a mostrare più energia. La fertilità in questi uccelli è generalmente elevata e anche la compatibilità con i loro compagni è maggiore. Per questo motivo, quando si scelgono le coppie o si decide se cambiare esemplari riproduttori che non hanno un buon risultato riproduttivo nel corso degli anni, è importante scegliere quelli con il piumaggio nelle migliori condizioni. Inoltre, questo piumaggio dovrebbe essere alla sua massima espressione, poiché molte specie impiegano più di due anni per raggiungere la colorazione e la qualità della piuma definitiva. Questo modo di gestire le coppie riproduttrici non esclude quegli uccelli che in passato hanno avuto problemi alle piume. Gli esemplari che a volte provengono da case private dove non sono state fornite le condizioni ideali, possono mostrare vecchie lesioni irrecuperabili nella crescita delle penne. Ma questo non è un motivo per cui non possano accoppiarsi con successo e completare il loro ciclo di vita. In questi casi è necessario tenere conto che necessitano di un ambiente più protetto e arricchito, bilanciando così le loro eventuali carenze dovute alla mancanza di piume in alcune zone. È necessario valutare anche il tipo di carenza che presenta ciascun esemplare. Un pappagallo che ha ali e coda complete non avrà problemi di equilibrio corporeo e potrà godere di buona salute perché può fare un buon esercizio fisico.
In generale è importante tenere d’occhio questo aspetto, soprattutto durante la fase riproduttiva. Controllare le piume della coppia riproduttiva può fornire indizi su cosa sta succedendo e in quale fase si trovano. Se le femmine arruffano il piumaggio e le penne del ventre risultano alterate, significa che è vicina la deposizione delle uova.
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Platycercusicterotis, foto: M Perez LPF
Northiellahaematogaster, foto: M Perez LPF
Se il maschio da un giorno all’altro mostra assenza di piume e piumaggio non ben pulito, può essere indice che la coppia ha subito un conflitto all’interno del nido e bisogna prestare attenzione nel caso dovessimo separarli o prendere altre misure. Le penne della coda macchiate sulle parti inferiori o le penne della coda divise in modo irregolare non sono buoni indicatori della futura fertilità. Non è importante disturbare gli uccelli in questo momento delicato; sarà meglio pulire la coda dai detriti e capirne il motivo osservando più da vicino quella coppia. Altro aspetto fondamentale è quello di offrire possibilità di balneazione agli uccelli anche durante il periodo riproduttivo, nelle prime ore della giornata, se il tempo lo permette. In questo modo si manterranno in buone condizioni e anche le femmine ne approfitteranno per inumidire le
Se le femmine arruffano il piumaggio e le penne del ventre risultano alterate, significa che è vicina la deposizione delle uova
uova quando si avvicina la schiusa. La stagione riproduttiva può anche causare il deterioramento del piumaggio, a volte a causa di nidi con scarsa igiene o mancanza di materiale interno adeguato.
Quando i pulcini lasciano il nido o mentre la femmina cova, è necessario offrire ai pappagalli tutte le possibilità per mantenere le loro piume in
buono stato.
I pulcini delle prime covate sono solitamente i più forti alla fine di ogni stagione. E questo è strettamente correlato alla crescita delle loro piume. Hanno avuto più tempo per svilupparsi e, se il loro primo piumaggio è cresciuto bene, faranno la muta meglio e con tempo sufficiente per affrontare il loro primo inverno. Coloro che hanno perso le piume in questa prima fase dovranno generarle fuori tempo massimo con conseguente dispendio metabolico e ritardi nella crescita. Inoltre, con difetti delle piume avranno difficoltà ad esercitarsi in volo, impedendo un buon sviluppo.
La nostra osservazione, in questo senso, ci darà dei vantaggi a fine stagione. Ecco perché dovremo prestare attenzione a questo aspetto cruciale anche nelle fasi avanzate dell’allevamento dei pappagalli.
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Mezzo secolo con i Diamanti di Lady Gould
testo e foto di PIERGIANNI AMERIO
Sul numero 12 del 2023 di Italia Ornitologica ho letto un piacevole articolo con riferimento ai Gould di Davide. Poiché in questo 2024 sono più di 50 anni che allevo questi uccellini, ed alcuni degli attuali soggetti rappresentano quasi la ventesima generazione rispetto alla coppia iniziale, ho deciso di descrivere questo mezzo secolo di ricordi.
Nel mese di Luglio 2023 venne a farmi visita una giovane appassionata di Diamanti di Lady Gould. Osservando che nelle mie grandi gabbie, poste nel giardino di casa, erano presenti una sessantina di Gould ed in una gabbia a parte una dozzina di Passeri del Giappone, mi pose la domanda: ma lei alleva in purezza? La prima osservazione che feci fu che nella cosiddetta ornitologia amatoriale si usano diversi termini privi di significato. Il fatto che questi uccelli siano allevati dai Passeri del Giappone non li rende impuri ed usando la stessa terminologia per la giovane Giulietta, di shakespeariana memoria, allevata dalla cara balia, questa sarebbe stata giudicata allevata impuramente! Quindi il modo corretto di porre la domanda era: lei usa le balie o sono allevati dai loro genitori? Pertanto iniziai a descrivere questi decenni di allevamento partendo dalla coppia origine di tutto. Essa era formata da un maschio a maschera rossa proveniente dall’allevamento della nota allevatrice di Moncalieri signora Rosalba Robba contrassegnato con l’anellino RNA 4780 FOI 70-223. In quell’epoca i soggetti venivano inanellati con gli stessi anelli di misura B dei canarini e con questi partecipavano alle
Alcuni degli attuali soggetti rappresentano quasi la ventesima generazione rispetto alla coppia iniziale
mostre. La femmina era anche lei a maschera rossa, senza anellino, importata dal Belgio dal signor Peyron di Verrua Savoia in provincia di Torino. Fu subito amore a prima vista! Il primo anno allevarono tre soggetti, due maschi ed una femmina, il secondo anno sempre tre soggetti, due femmine ed un maschio,
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Foto 1 - Diamante di Lady Gould maschio a maschera rossa campione interregionale 1988 punti 92
tutti a maschera rossa, nelle uniche covate annuali a loro concesse. Alcuni di questi giovani li accoppiai con una bellissima femmina a maschera rossa del ragionier Adler Benini, famosissimo allevatore di Ravenna con RNA 1591, e con due maschi, uno a maschera rossa ed uno a maschera nera del signor Ives Anceschi RNA S314, di Rubiera in provincia di Reggio Emilia. I due maschi erano buoni allevatori, mentre il patrimonio genetico della femmina fu salvato dai Passeri del Giappone. Fra tutti gli acquisti fatti nel corso degli anni vorrei ricordare un grosso maschio a maschera rossa frutto di uno scambio con il signor Gianfranco Carattoni RNA 098A di Ravenna. Una sua figlia, a maschera rossa, fu la madre del soggetto maschio a maschera rossa allevato dall’amico Aldo Di Mari RNA 459M, che vinse al campionato mondiale ed italiano tenutosi a Pordenone nel 1989. Torniamo adesso alla domanda della giovane allevatrice circa il mio metodo di allevamento caratterizzato da un uso ridotto delle balie. Quando si vuole allevare una determinata specie, occorre conoscere bene le necessità di questa. Nel caso del Diamante di Lady Gould, a mio avviso, possono ridursi a tre principali che sono: gabbia piuttosto grande, ambiente tranquillo e caldo. Partiamo da quest’ultima considerazione. Questi uccelli sono originari dell’Australia del Nord, un vasto territorio, posto a destra ed a sinistra del Victoria river, grande
Questi uccelli sono originari dell’Australia del Nord, un vasto territorio, posto a destra ed a sinistra del Victoria river
quasi quattro volte l’Italia. Hombrom e Jacquinot li scoprirono sulla costa del golfo di Carpentaria, che è una zona con clima tipicamente tropicale e per loro di svernamento, mentre John Gould li trovò successivamente più a Sud, dove una coppia aveva nidificato dentro al grosso nido di un rapace.
Quando giunge il monsone, emigrano dalla costa verso Sud nella grande savana resa umida e rinverdita dalle piogge e qui si riproducono con temperature superiori ai 40 gradi. Osserviamo che questi uccellini sono privi di sottopiuma, in quanto le piume hanno funzione solo coprente, e come scriveva Brehm: quando gli altri uccelli cercano l’ombra, loro sono più vivaci del solito. Infine, quando il clima diventa caldo ma secco, si verificano le condizioni per la muta. La stanza dove allevo è una camera situata al piano terreno della casa, con due finestre, in inverno illuminata di giorno, dalle sette del mattino alle
otto di sera, da un neon e di notte da una piccola lampadina di pochissimi watt di potenza. In essa si trova un termosifone, un po’ sovradimensionato per l’ambiente, ed inoltre lungo due pareti corrono i tubi per il riscaldamento del piano superiore e della mansarda. Questa condizione di calore, fra gli altri motivi, è utile poiché verso le due settimane dalla schiusa, in genere, i genitori rientrano sempre meno nel nido per trascorrervi la notte. Probabilmente questo è un retaggio atavico dovuto al fatto che le loro zone di nidificazione sono caldissime e ricche di predatori, soprattutto serpenti. I giovani sono nutriti in un modo incredibile dai genitori e lasciano il nido verso le quattro settimane, subito autonomi al volo, e senza più rientrare in esso per la notte che trascorrono sui posatoi accanto ai genitori. Queste ultime osservazioni permettono il confronto con i Passeri del Giappone. Poiché il periodo di riproduzione che adotto va da Novembre ad inizio Marzo, coincidente con l’estate australiana, qui ad Asti alle cinque del pomeriggio all’esterno è già buio. I Passeri del Giappone, a quell’ora, si ritirano nel nido con i figli adottivi e ci rimangono fino alle sette del mattino successivo, quando riaccendo il neon. Inoltre i giovani dati a balia escono alcuni giorni dopo dal nido e sono più dipendenti dai genitori adottivi. I Gould invece imbeccano i nidiacei con continuità per tutte le tredici ore illuminate dal neon. Tuttavia anche
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Foto 2 - Sei fratellini con mamma e papà
in questi uccelli, come in qualunque specie animale, uomo compreso, ci sono genitori più solerti ed altri meno.
A volte qualche amico mi chiede: dammi una coppia che alleva. È abbastanza frequente che coppie che un anno prima hanno allevato anche sette figli con grande amore, l’anno successivo buttino fuori dal nido i nidiacei appena nati. Succede che Gould allevati dai Passeri del Giappone si sono dimostrati ottimi allevatori, altri allevati dai loro genitori sono stati pessimi genitori e viceversa. Consideriamo adesso le dimensioni della gabbia che deve essere piuttosto ampia e meglio se con la sola parte frontale aperta. Le dimensioni della gabbia permettono all’uccellino di osservare la posizione del nido, delle mangiatoie, effettuare piccoli voli, rendendolo così più naturalmente vivace e non costretto a battere istericamente le ali da un posatoio a quello immediatamente vicino. La collocazione e forma del nido sono molto importanti. Come è noto, nelle prime settimane di vita i pulcini presentano quattro sferette fosforescenti ai lati del becco il cui compito è di stimolare l’imbeccata al buio. Questo significa che il nido deve essere progettato e sistemato affinché internamente sia piuttosto scuro. Naturalmente ciò non deve compromettere la possibilità di inanellare i pulcini.
Anni addietro conobbi una signora di Antibes, in Costa azzurra, che come nidi usava balle di paglia, entro le quali ricavava delle cavità, che sistemava su un tavolo in una grande voliera. Ne allevava molti ogni anno! Non dimentichiamo dove avevano costruito il nido i soggetti scoperti da John Gould.
Veniamo infine alla tranquillità dell’ambiente di riproduzione invernale, poiché i miei Gould trascorrono l’estate dalla fine di Maggio alla fine di Settembre in gabbie lunghe 1,20 metri, con dentro una dozzina circa di esemplari, collocate all’aperto ed esposte a Sud-Ovest in zona molto soleggiata. Amano molto fare il ba-
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gno mattutino. Ambiente tranquillo non significa limitare al massimo la presenza in questo, ma abituare gli uccelli ai nostri comportamenti. Solitamente entro nella stanza d’allevamento verso le dieci del mattino, al fine di svolgere le incombenze della giornata. Ogni due giorni uso un’aspirapolvere molto rumoroso, ma gli uccelli abituati da anni a questo elettrodomestico non danno alcun segno di nervosismo: se covano continuano a covare, se imbeccano la prole continuano ad imbeccare. Consiglio sempre di acquistare questi uccelli nel periodo che va dal mese di Maggio ad Ottobre, in modo da acclimatarli ed affiatare le coppie molto bene, esclu-
Come pastone, da moltissimi anni, uso un prodotto secco, nella versione per canarini, che inumidisco leggermente. I Gould lo mangiano avidamente in ogni occasione, ma lo sospendo nei periodi più caldi dell’anno. Fondamentali sono l’osso di seppia ed il grit con scaglie di carbone di legna le cui proprietà per la digestione sono note. Da molti anni importo dalla California un preparato a base di Iodio, che non ho mai trovato in Italia. La dose consigliata dal produttore è di due gocce per gallone, mentre io uso quattro gocce diluite in un litro e mezzo d’acqua. I molteplici benefici apportati da questo elemento sono noti, tra cui quello di evitare le deplumazioni
dendo i soggetti che danno segni di nervosa irrequietezza. Ci sono sedicenti allevatori che non hanno ancora varcato la soglia di casa con i nuovi acquisti che già mettono i nidi. Le frasi che seguono sono sempre le stesse: mi sono morti gli uccelli o, quando va bene, non allevano! Concludo questo scritto con l’alimentazione. Personalmente uso una buona miscela per esotici ricca di diversi tipi di miglio, panico, scagliola e niger. Aggiungo una piccola percentuale di un estruso secco prodotto in Italia, formato da minuscole palline gialle e verdi, nella percentuale di circa il 10%. Un analogo prodotto, più colorato, lo importavo prima dagli Stati Uniti.
sul capo che in genere, se non dovute a parassiti, sono il sintomo della carenza di questa sostanza. Infine, come antiparassitario uso un prodotto, in commercio da anni, contenuto in una bomboletta spray e nei mesi invernali fornisco l’acqua leggermente tiepida e non gelida come sgorga dal rubinetto di casa. A conclusione di questo articolo, accludo tre fotografie di soggetti del mio allevamento. La prima mostra un maschio a maschera rossa, campione interregionale del 1988. La seconda fotografia, non bellissima, è del Febbraio 2022 e rappresenta una coppia formata da un maschio a maschera nera del 2020, figlio di un soggetto a maschera rossa e petto
Come pastone, da moltissimi anni, uso un prodotto secco, nella versione per canarini, che inumidisco leggermente
bianco, campione interregionale 2016, cedutomi dall’amico Lorenzo De Raco RNA PZ23, con la femmina a maschera rossa e petto bianco del 2020 ed i loro sei figli. Questi si sono rivelati due maschi a maschera rossa e petto bianco, uno a maschera rossa mentre le femmine sono due a maschera nera ed una a maschera nera e petto bianco. I due genitori hanno un grado di consanguineità di livello 4-3 su un mio maschio pastello a semplice diluizione con maschera rossa, che nel 2011 vinse il titolo di campione razza in una mostra interregionale. Non uso mai consanguineità più spinte della 3-3 poiché le giudico nocive sotto vari aspetti. Nella terza fotografia, scattata nel Febbraio di quest’anno 2024, sono ripresi uno dei due giovani maschi rivelatosi a maschera rossa e petto bianco, della fotografia precedente, con una femmina blu a maschera nera del 2018, valutata 90 punti in una mostra tenutasi a Farigliano in quell’anno, con uno dei loro tre figli appena uscito dal nido. L’età della femmina non deve stupire poiché, in salute, questi uccellini riproducono fino verso i sette anni, e chi li ha se li tenga preziosamente. Concludo con una domanda di tipo morale: è giusto lasciare morire a volte i pulcini cacciati appena nati dal nido? Consideriamo che con l’esperienza, non creandomi problemi di guadagno, questa possibilità si riduce e che l’osservazione della natura mi fornisce in parte la risposta. Su un acero del mio giardino, l’anno scorso (2023), una coppia di tortore ha deposto quattro volte. Dalla prima covata sono nati due piccoli che si sono involati, come il fratello della seconda nidiata. I due nati dalla terza covata come quello della quarta, ancora nel nido, ma già abbastanza cresciuti, sono stati catturati da predatori. La mia percentuale di successo è nettamente superiore al 50%!
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Foto 3 - Appena uscito dal nido con mamma e papà
A.R.O. Roma MCMLIV - MMXXIV
70 anni di storia ornitologica
testo di ALBERTO DE VITA, foto M. BONELLIE G.
ZIGIOTTI
L’Italia stava uscendo dalla triste storia della seconda guerra mondiale, i giovani avevano bisogno di vedere un mondo migliore e, per dimenticare le brutte cose appena passate come la fame, la rabbia e la cattiveria dell’uomo, una gabbietta con una coppia di canarini ci aiutò a veder rinascere la vita. Nel 1947 un gruppo di allevatori romani, tra i quali il Commendatore Raffaele Danza, decidono di creare un’associazione di appassionati ornicoltori per organizzare mostre e per condividere la propria passione, denominandola A.C.R. Associazione Canaricoltori Romani. Alcuni di loro, in collaborazione con altri uomini di buona volontà, pen-
sano che alla guida delle Associazioni che stavano nascendo sul ter-
ritorio nazionale si dovesse creare una federazione che racchiudesse l’affiliazione di questa nuova forma di associazionismo. Nel 1949 nasce la Federazione nazionale degli allevatori che prende il nome a tutti noto di Federazione Ornicoltori Italiani, F.O.I.
Nel 1953 in FOI si pensa di creare un registro degli allevatori nazionali. L’intento è quello di dare a questo registro un ruolo di raccolta delle iscrizioni di tutti gli allevatori italiani, conseguendo così un codice univoco che li accompagnerà per tutta la loro vita. Questo codice venne chiamato con l’acronimo RNA ovvero Registro Nazionale Allevatori. Nel 1953, appunto, si iniziarono a registrare le
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L'ARO consegna al Presidente FOI un ricordo della celebrazione
L'attuale Consiglio Direttivo ARO con il Presidente FOI A. Sposito e la Presidente Raggruppamento Lazio R. Blasi
Grafica 70° Anniversario ARO
iscrizioni dei pionieri della nostra passione. Da una foto scattata dal primo registro nazionale possiamo vedere i primi RNA assegnati dalla Federazione e, con orgoglio, l’ARO vede al primo rigo degli iscritti per gli anelli 1954 il socio Commendatore Raffaele Danza con il codice RNA 0001, allevatore di cardinalini del Venezuela e canarini di colore.
Da questa immagine e questi istanti possiamo dire che ha inizio la nostra lunga storia in FOI.
Nel 1995 alcuni soci ARO che costituivano l’allora direttivo si recarono presso uno studio notarile per aggiornare e registrare il primo Statuto societario nelle cui pagine troviamo
scritta la data di nascita della nostra Associazione, ovvero il 1954. Leggendo in questo documento, possiamo comprendere che solo dal 1954 si costituisce l’A.R.O., che aveva
modificato il suo precedente nome da “Associazione Canaricoltori Romani” ad “Associazione Romana Ornicoltori”. Ciò era forse dovuto a un cambiamento che si stava vivendo nei tempi anche per gli allevatori. Infatti, nel dopoguerra si allevavano prevalentemente i canarini nelle loro varietà di forma e posizione e di colore ma, grazie anche alla allora libera importazione, gli allevatori iniziavano a spostare il loro interesse verso altre tipologie come indigeni ed esotici, studiandone le varie ibridazioni, e verso i coloratissimi psittacidi.
Come siamo arrivati ad oggi? In una città come Roma è difficile trovare una sede, un punto di incontro per permettere a tutti gli abitanti del territorio di recarsi “facendo una passeggiata” ad incontrare gli altri, scambiarsi le esperienze e i consigli e programmare gli impegni futuri. Ma un’associazione vive grazie all’impegno di pochi uomini, quelli che si prendono cura di organizzare, di relazionarsi e di intraprendere scelte nell’interesse di tutti gli allevatori; ed è solo grazie a questi uomini pieni di fantasia, spirito aggregativo, disponibilità e volontà, che l’ARO ha potuto vivere per tutti questi anni. È sempre stato difficile nel nostro mondo riuscire ad ottenere la partecipazione di molte persone. Tutti siamo appassionati, tutti siamo interessati ad avere opportunità di in-
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Intervento del Presidente FOI A. Sposito Da sx: G. Falaguasta, A. De Vita, M. Gamberini, A. Sposito, G. Iannuccilli, P. Bernardi Consegna Pergamena all'ex Presidente Iannuccilli
Gruppo Soci A.R.O.
contro e di scambio con altri allevatori, ma sono sempre pochi quelli che, oltre a chiedere, danno un loro contributo per la realizzazione di questi sogni. Detto questo, dobbiamo dire grazie a tutti quegli uomini che negli anni hanno preso per mano l’Associazione e l’hanno guidata per un tratto di questo lungo percorso che l’ARO, domenica 3 marzo, ha voluto degnamente celebrare. Al Ristorante del “Casale Bel Poggio” di Roma, sulla Via Ardeatina, si è tenuta infatti la “festa” dell’ARO per il suo settantesimo anniversario. 70 anni portati bene, sempre con la dedizione a supportare gli allevatori romani nella loro passione e nel loro hobby.
Il Direttivo ARO ha nei giorni precedenti invitato personaggi della storia associativa contattando alcuni Presidenti del passato fino ad alcuni personaggi dei giorni nostri. Intervistati telefonicamente, molti di loro hanno saputo raccontare momenti importanti della storia della nostra Associazione. Momenti nati in tempi più difficili, ma più semplici per quanto riguardava le normative allora vigenti. In passato si poteva organizzare una mostra in una scuola come il “Serafico” (centro scolastico della capitale) oppure nelle sale della Stazione Termini. Tutto era più semplice, più a portata d’uomo. Le mostre soddisfacevano gli allevatori sebbene contassero pochi soggetti esposti, ma tutti coloro che hanno vissuto quell’epoca ornitologica portano ancora un bel ricordo di tali manifestazioni. Oggi, se non organizzi una mostra da 5.000 soggetti non stai proponendo nulla di interessante, secondo coloro che si titolano come “grandi allevatori”. Resta la sensazione che questa mentalità stia spegnendo il movimento. Dovremmo tornare a gareggiare
anche nelle “piccole mostre”, piccole di numero ma sicuramente grandi per quanto riguarda la socialità. Mostre dove ci si incontra e dove ci si mette insieme per aiutare a creare una manifestazione, dove a fine giornata ci si ferma a mangiare un boccone prendendosi una pausa dalla vita frenetica che ci sta cancellando queste soddisfazioni.
Domenica 3 Marzo 2024, alla festa ARO erano presenti, tra i partecipanti, i seguenti Soci che meritano una citazione in questo articolo. In ordine alfabetico: Agrimi Umberto, Angelelli Mauro, Attanasio Raffaele, Bernardi Paolo, Bonelli Marco, Buttinelli Alberto, Campodonico Adolfo, Capriotti Mauro, Ciccotti Gerardo, Corrado Francesco, De Crescenzo Mauro, De Vita Alberto, Falaguasta Giampiero, Fontana Claudio, Gamberini Marco, Graziosi Paolo, Iannuccilli Gennaro, Intermite Francesco, Margiotta Alfredo, Maroni Maurizio, Massucci Aldo, Matte Bon Francisco, Muset Emanuel, Pelicella Fabio, Perugini Giorgio, Placidi David, Satolli Mario, Scardazza Alessandro, Silvestri Marco, Trionfera Marino, Ziriola Enrico. Con loro erano anche presenti alcuni personaggi che hanno fatto parte della nostra storia, come il decano dell’ornitologia Gino Cortese e la nostra collaboratrice Giulia Zigiotti. Tra gli ospiti, possiamo sottolineare la gradita partecipazione della Presidente del Raggruppamento Ornitologico FOI del Lazio, la Signora Rosamelia Blasi e, con molto onore e senso di ringraziamento, possiamo evidenziare la presenza del Presidente Federale Antonio Sposito, che ha portato alla nostra Associazione il calore e la stima di tutta la squadra Federale che rappresentava. Il Presidente FOI Sposito ha donato all’ARO una targa che ha
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GP-ARO 1° classificato F. Intermite
GP-ARO 2° classificato P. Bernardi
GP-ARO 3° classificato E. Muset
consegnato nelle mani del Presidente Alberto De Vita, con questa citazione: “La Federazione Ornicoltori Italiani è orgogliosa di essere presente in questo anniversario, nella convinzione di aver preso parte all’appuntamento con la storia dell’ornitologia italiana. Auguri affettuosi al Presidente, al Consiglio Direttivo ed a tutti i Soci.”
Un passato che in molti hanno costruito, ma anche di fiducia verso un futuro aperto ad una lunga serie di intenti propositivi
Queste parole incise sulla targa, hanno lasciato un chiaro segno di ringraziamento per un passato che in molti hanno costruito, ma anche di fiducia verso un futuro aperto ad una lunga serie di intenti propositivi per noi e per tutti gli allevatori romani e non solo.
La festa è proseguita con la consegna da parte dell’ARO al Presidente Antonio Sposito di un ricordo della giornata; successivamente, il Presidente De Vita ha consegnato insieme al presidente FOI tre pergamene a tre illustri rappresentanti dell’ARO che, negli anni dal 1999 al 2018, si sono succeduti alla guida della nostra Associazione. Un primo ringraziamento è stato dato a Giampiero Falaguasta per aver guidato l’ARO dal 1999 al 2004, poi a Marco Gamberini che ha diretto l’ARO dal 2005 al 2010 e infine a Gennaro Iannuccilli che, con il sottoscritto come segretario, ha condotto l’Associazione dal 2011 al 2018, anno in cui è stato chiamato nel Direttivo FOI per gestire e guidare anche la redazione di questa rivista, Italia Ornitologica. Un grazie speciale a tutti loro per aver accompagnato l’Associazione Romana nel percorso di questi anni!
La festa è proseguita con la premiazione del GP-ARO 2023. Su un’idea del Presidente De Vita, il Direttivo ha organizzato per questa ultima stagione mostre un campionato in-
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Panoramica dei partecipanti
Premiazioni e gadget 70° anniversario ARO
Da sinistra: il Presidente ARO De Vita con gli ex Presidenti Iannuccilli, Gamberini e Falaguasta
terno che permetteva a tutti i propri soci di raccogliere punti per una classifica su 5 diversi appuntamenti nazionali. L’ARO per la stagione 2023 aveva scelto di inserire nel GPARO queste mostre: la Mostra Nazionale di Pontecorvo, la Mostra Nazionale di Arezzo, la Mostra Internazionale di Salerno, la Mostra Internazionale di Modena e infine il CAMPIONATO ITALIANO di Lanciano (CH). Va sottolineato il fatto che proprio per il Campionato Italiano l’ARO è stata tra le 10 Associazioni organizzatrici, apportando la propria esperienza in collaborazione dei colleghi delle altre associazioni, costituendo con loro un Comitato organizzativo che ha conseguito un grande successo per tutti noi ornicoltori.
L’ARO ha poi consegnato a tutti i partecipanti dei gadget a ricordo di questa importante celebrazione e
La festa è proseguita con la consegna da parte dell’ARO al Presidente Antonio Sposito di un ricordo della giornata
ha distribuito un libro, redatto dal sottoscritto Presidente De Vita con il contributo del dott. Fabio Pelicella, che raccoglie alcuni documenti storici in una composizione di notizie e immagini della nostra Associazione.
Tra questi, il viaggio in ammodernamento dei loghi che nel tempo sono stati le icone della nostra Associazione, fino all’attuale caratteristico logo che rappresenta un canarino
intento all’imbecco posizionato su un nido a forma di “Colosseo”, uno dei simboli più noti di Roma. Da questo logo, mio figlio Andrea, che ringraziamo per la sua creatività e disponibilità, ha creato la grafica del 70° anniversario ARO 1954-2024. La giornata è volata tra piacevoli conversazioni e si è conclusa con il taglio della torta a coronamento di un compleanno raggiunto con orgoglio:
70 anni di ARO - AUGURI a tutti noi e grazie a tutti coloro che si sono uniti a questa festa. Adesso il nostro direttivo ha un solo compito: andare avanti aprendo le braccia a quegli appassionati che comprenderanno la storia di un’Associazione storica e sappiano percepire il senso di appartenenza e il senso di collaborazione per essere il futuro dell’A.R.O. Associazione Romana Ornicoltori.
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•Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it
•All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.
(*)Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione
Questo mese, il protagonista di Photo Show è:
SALVATORE SUGAMIELE R.N.A. 6EEX con la fotografia che ritrae il soggetto: “Carduelis carduelis frigoris (Cardellino major)”
Complimenti dalla Redazione!
Scuola ok - cantore ok
di FRANCESCO DI GIORGIO, foto G. MARSON
Quando il canarino cantore specialista nasce, possiede un insieme di dati primitivi di origine genetica.
Questo capitale di potenzialità è l’insieme delle capacità che si riveleranno attraverso le interazioni e interrelazioni del soggetto con il suo ambiente.
Alcune di queste possibilità generali, come il ricevere l’imbeccata, sono mediamente operazionali, ma altre (è il caso del raddrizzamento e della prensione) sono programmate durante lo sviluppo temporale; ciò significa che il cliente scolastico deve farne esperienza piena prima di utilizzarle in modo progressivamente più adeguato.
In altre parole, il beniamino piumato, come tutti gli esseri viventi, possiede fin dalla nascita due sistemi complementari:
-un sistema innato di motivazioni, che è il desiderio di vivere, comune a tutti gli esseri viventi;
-un sistema di controllo, che gli permette di percepire ciò che va bene oppure no, per sé stesso in quanto organismo.
In realtà, possibilità latenti e capacità di valutazione sono inseparabili. Che cosa fa il pullus quando l’uovo viene rotto?
Si muove liberamente e subito per effettuare una certa distensione muscolare delle zampe e del corpo. Lo sviluppo delle capacità psicomotorie illustra che cosa sia lo sviluppo dell’aspirante cantore: un’autoregolazione che parte dai dati predeterminati, si realizza in un ambiente e produce delle competenze particolari. La lingua canora, come il raddrizzamento e la precisione, è program-
mata durante lo sviluppo temporale; il canarino possiede soltanto la possibilità di integrarla.
Questa integrazione – il suo apprendimento – lo realizza in maniera notevolmente differente da quanto porta alla padronanza della posizione eretta e dalla prensione, poiché il linguaggio canoro ha due aspetti, quindi due significati complementari:
a)un significato affettivo (le tonalità del tour, la melodia della frase); b)un significato semantico o informativo (il senso dei tour espressi e l’organizzazione della frase).
Detto vocabolario espressivo non può apparire e svilupparsi che nel mondo della comunicazione, intesa nel senso originale del termine: partecipare a…, essere con…
Questa costruzione è strettamente vincolata all’organizzazione funzionale del sistema nervoso; ciò spiega la motivazione di sensibile diversità di tempo nell’affinamento della lingua.
L’allevatore-preparatore deve facilitare le interazioni canarino-ambiente, creando intorno ai sottoposti un’atmosfera di fiducia e di “linguaggio” al quale l’allievo desidera partecipare. Il buon uso della lingua si realizza, dunque, nel mondo della comunicazione, che provoca il desiderio di appropriarsi del modello dell’altro: della sua azione, del suo linguaggio, del suo comportamento.
Affinché il cantore principiante integri (laddove integrare significa “fare proprio”) le informazioni che proven-
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gono dall’attività proposta del canarino adulto o immaginata da lui stesso, è necessaria condizione sine qua non che egli si impegni individualmente nell’azione collettiva o individuale che apprende o comprende qualcosa.
Nessuno può apprendere o comprendere al suo posto, tanto meno costringerlo a farlo.
Il cantore novizio si sente coinvolto quando l’attività proposta corrisponde, ad un tempo, sia ai suoi interessi sia alle sue possibilità; ciò implica che l’attività abbia un significato per lui.
Il soggetto comprende e apprende perché dispone di un sistema particolare, ossia il sistema nervoso, che gli permette di percepire le informazioni che gli provengono dall’ambiente, di selezionarle in funzione della loro importanza e di associarle all’informazione esistente per adat-
Il cantore novizio si sente coinvolto quando l’attività proposta corrisponde, ad un tempo, sia ai suoi interessi sia alle sue possibilità
tare le sue risposte, cioè la sua attività, alla situazione contestuale. Ci sono dei momenti nella giornata, alla fine della mattinata o all’inizio del pomeriggio, per esempio, in cui i giovani interlocutori sono incapaci di interessarsi alle attività proposte anche quando l’operatore della scuola le considera importanti.
Ognuno ha potuto notare che, più si moltiplicano gli esercizi dello stesso
tipo, con la lodevole intenzione di accrescere gli stimoli, e meno l’utente del servizio si interessa a ciò che gli viene proposto.
All’opposto, ci si accorge a volte che un’attività che sembrava non aver dato alcun risultato si rivela positiva l’indomani e qualche giorno dopo. In un gruppo di pari che agiscono insieme ci sono dei fenomeni di imitazione, ma l’imitazione non diventa mai dipendenza perché in un insieme funzionale ognuno è costretto, pena l’esclusione, a dare qualcosa agli altri.
Ecco perché il desiderio di appropriarsi del modello, del linguaggio dell’altro rappresenta un fattore essenziale dello sviluppo del soggetto discente.
In chiusura, esplicito ulteriormente la portata della tematica trattata: “una buona scuola avvalora il canarino allievo geneticamente dotato”.
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Il colore nel Salentino
“La cultura non si può ottenere se non si conosce la propria storia” (Dario Fò)
testo e foto di SERGIO PALMA
La storia della creazione del Canarino Salentino è stata più volte scritta ma, visto che alcuni non l’hanno mai letta, oppure l’hanno dimenticata, voglio applicare il detto repetita iuvant, sperando che, a furia di ripeterla, rimanga nella memoria dei più. Il Salentino nasce per caso da una coppia di balie formata da un maschio Bossù belga e da una femmina di Ciuffato tedesco a fattore rosso. L’inquadramento genetico della varietà rosso arancio è multifattoriale; infatti, in molti testi si parla di fattori rossi e non di fattore rosso. Nei canarini di colore, la selezione è principalmente rivolta alla ricerca di un colore perfetto. Quando però ci troviamo di fronte ad una razza che oltre al colore deve anche, e principalmente, pensare a sele-
NUMERO 3 - 2024 37 CANARINIDI FORMAE POSIZIONE LISCI
Soggetti con carica cromatica rossa differente QCD (acronimo dell'inglese quantumchromodynamics)
zionare altri fattori e caratteristiche quali la forma del corpo, la lunghezza, la posizione ed altro, il colore passa in secondo piano. Il rosso è un fattore poligenico e per questo è chiamato anche multifattoriale. Inoltre, c’è anche l’influenza di fattori ambientali (alimentazione colorante). Questi hanno una variabilità continua.
Per il Salentino la preferenza è stata data a quei fattori di riferimento per il gruppo al quale appartiene, ossia la forma, la posizione e la lunghezza. Rimane il fatto, comunque, che i geni detenuti dalla progenitrice a fattore rosso siano rimasti nei discendenti in maniera latente ma, grazie alla tecnica dell’inbreeding, sono saltati fuori negli ultimi anni dei soggetti che hanno una maggiore capacità di sintetizzare il colore rosso rispetto alla media.
Certo che per un “monomaniaco” non poteva passare inosservata tale peculiarità, che a parere dello scrivente dà alla razza una valenza maggiore. Quindi, vista la prospettiva futura che è quella di avvicinarsi sempre più allo standard, dove si descrive come peculiarità imprescindibile e caratteristica di riconoscimento la colorazione rossa, tanto da renderla obbligatoria, si ritiene di continuare nella selezione anche di questa caratteristica che potrebbe dare solo una nota di valore ai soggetti e non certo di disvalore. Va
comunque precisato che la voce “Piumaggio e Colore” è solo la quinta nella scala valori e ha solo il valore pari ad un decimo del totale; si deve quindi dare maggiore importanza a quelle che la precedono e che sono Posizione, Forma del Corpo, Taglia, Ciuffo-Testa ma non per questo si dovrebbero penalizzare soggetti che esprimono una varietà più accesa o vicina al rosso. Certo, è difficile stabilire le interazioni tra geni e ambiente e le relazioni col fenotipo. Fattori ambientali interagiscono con i geni e determinano variazioni del fenotipo. Due o più geni contribuiscono al fenotipo, in modo additivo, come nei canarini rossi. L’effetto esercitato da ciascun allele può essere minimo e restare inosservato per molto tempo; infatti, occorrono strette interazioni tra genotipo ed ambiente per determinare una modifica
È difficile stabilire le interazioni tra geni e ambiente e le relazioni col fenotipo. Fattori ambientali interagiscono con i geni e determinano variazioni del fenotipo
del fenotipo. Dove l’ambiente, oltre al cibo, comprende anche la capacità dell’uomo di cogliere piccole variazioni nei diversi soggetti. I caratteri multifattoriali hanno importanti attributi oltre ad essere poligenici. I geni controllano il carattere, agiscono in maniera additiva ed ognuno di essi contribuisce in piccola parte al fenotipo.
Mediando fra i fenotipi si ha una regressione verso la media; infatti, possiamo affermare che l’ereditarietà poligenica fornisce la maggior parte dei figli con peculiarità mediane e pochi individui con i fenotipi estremi che presentano i genitori. Questo fenomeno, noto appunto come regressione verso la media, è causato dalla stessa natura poligenica del carattere e dall’influenza di fattori ambientali sull’espressione del genotipo.
Per studiare i caratteri multifattoriali sono impiegati diversi metodi e, sebbene sia difficile stimare il grado delle interazioni tra il genotipo e l’ambiente, studi familiari indicano chiaramente che queste interazioni esistono. Infatti, come più volte riportato da eminenti autori quali Menassé (Enciclopedia del Canarino) e Giovanni Canali (I Colori nel Canarino), si possono avere più tonalità di colorazione rossa:
1)Rosso-arancio, dove il rosso e il giallo si fondono, con una prevalenza netta del primo colore;
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2)Arancio-rosso, dove il rosso prevale sul giallo e si fondono quasi in egual modo;
3)Arancio, dove tra il giallo ed il rosso prevale il primo colore;
4)Giallo arancio, dove troviamo un giallo leggermente inquinato dal rosso.
Anche se c’è da dire che il rosso nel canarino è un pensiero utopico perché, anche nel Cardinalino del Venezuela, se non supportato da una idonea alimentazione, la livrea rossa diventa arancio-rosso. Per comprendere tale meccanismo, sarebbe utile confrontare la frequenza con la quale dall’accoppiamento tra un canarino rosso ed uno giallo gli individui di quella popolazione si discostino sia da uno che dall’altro genitore e quanti si avvicinino ai due. Confrontando tra di loro anche le varie e successive generazioni, se di primo grado (genitori-figli) hanno metà dei loro geni in comune, mentre quelli di secondo grado (nonni-nipoti) ne hanno un quarto e quelli di terzo grado (cugini) un ottavo. Man mano che diminuisce il grado di parentela, diminuisce la probabilità che siano presenti le stesse combinazioni alleliche e quindi diminuisce di molto la possibilità di avere soggetti capaci di sintetizzare i carotenoidi rossi.
Per misurare le interazioni tra genotipo e ambiente, si dovrà prima di tutto esaminare la variazione fenotipica circa la carica di carotenoidi rossi dell’intera popolazione invece di soffermarsi su singoli soggetti. La variazione fenotipica dipende sia dalla presenza di genotipi diversi che dalla presenza di interazioni ambientali in cui si esprimono i genotipi. Si capirà così che ogni fattore ha un diverso ruolo da esercitare nel determinare la variabilità fenotipica e quindi si può arrivare al concetto noto come ereditabilità.
L’ereditabilità misura il contributo del genotipo alla variabilità fenotipica. La variazione fenotipica determinata dalla presenza di genotipi diversi è chiamata varianza genetica. Se invece esiste variazione fenotipica tra individui che hanno lo stesso genotipo, si parla di varianza ambientale.
L’ereditabilità si calcola sulla base di osservazioni effettuate tra parenti, in
L’ereditabilità misura il contributo del genotipo alla variabilità fenotipica
quanto sappiamo qual è la frazione di geni condivisa da individui con un certo grado di parentela. Come abbiamo già detto, genitori e figli condividono metà dei loro geni, nonni e nipoti un quarto e così via. Queste relazioni sono espresse come coefficienti di correlazione. Molte volte il giallo arancio viene confuso con il giallo dorato.
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Rappresentazione grafica di quello che dovrebbe essere l'andamento della selezione del colore nel Canarino Salentino, auspicando, in un futuro non molto remoto, una omogeneità selettiva tendente al rosso-arancio
Club di Specializzazione
S pazio Club
La mia prima volta
Anno 2023: la mia prima volta… anzi, la nostra prima volta, perché sia per me personalmente che per il Club Amici del Salentino è stata la prima specialistica. Il palcoscenico dove si è svolta è stato quello del Meeting Ornitologico Campano a Nocera Inferiore, tenutosi nei giorni 1-2-3 Dicembre 2023. Colgo l’occasione per ringraziare tutto il corpo organizzatore per l’invito che ci ha esteso come Club e complimentarmi per la ottima organizzazione di questa bellissima rassegna sui canarini di Forma e Posizione che ha ospitato ben 17 Specialistiche. Questa specialistica è stata molto importante per me, che ho ricoperto più ruoli: come segretario e convogliatore del Club, come espositore e come aiuto portagabbie per l’altra razza che io allevo, il Norwich. In quel fine settimana ho conosciuto tanti nuovi amici e ognuno di loro mi ha dato un consiglio, un suggerimento, una nozione da aggiungere al mio bagaglio sulla canaricoltura. Tutto ciò nella condivisione di questi tre giorni con il mio Maestro, il giudice Sergio Palma, e con l’amico giudice Carmelo Caroppo.
La qualità dei 31 Salentini ingabbiati è subito saltata all’occhio dell’esperto giudice designato, il signor Vulzio Lazzarini, che più volte ha giudicato il Salentino in giro per l’Italia. Sarebbero stati di più
gli ingabbi se non fosse stato che alcuni nostri soci del Club, essendo giudici, fossero stati convocati a giudicare altre razze nello stesso evento.
Una delle note positive di questa specialistica è stato veder fare un primo di categoria ad un soggetto di Salentino Ciuffato Intenso, di proprietà del giovane allevatore Giancarlo Ambrosino, alla sua prima esperienza con il Salentino. Un’altra nota positiva è stata vedere più di qualche allevatore presente all’evento mostrare interesse verso il Salentino; con qualcuno ci siamo anche accordati sulle modalità per poter consegnare qualche coppia di canarini Salentini. Colgo l’occasione per dare il benvenuto a due nuovi soci: gli allevatori Giancarlo Ambrosino e Adriano Beltran.
Ci auguriamo che anche il 2024 sia di buon auspicio per tutto il Club Amici del Salentino, in modo da poter soddisfare le richieste di tutti gli amici allevatori che vogliono avvicinarsi a questa bellissima razza.
Salentino testa liscia intenso
Salentino testa liscia fondo bianco
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Salentino testa ciuffata brinato
S pazio Club
Per qualsiasi informazione è possibile rivolgersi ai contatti riportati di seguito:
-Iacovizzi Marcello (Presidente) - e-mail: marcelloiacovizzi@gmail.com - cell. 3388664702
-Lezzi Alessandro (Segretario) - e-mail: alessandrole@icloud.com - cell. 3381513999
-Caroppo Carmelo (Consigliere) - e-mail: jaco.caroppo@libero.it - cell. 3397018064
-Palma Sergio (Socio Fondatore) - email: norwich@libero.it - cell.3400737767
Il Segretario del Club Alessandro Lezzi
Club di specializzazione
Salentino testa liscia intenso
Salentino testa ciuffata Fawn a fondo bianco Salentino testa ciuffata intenso
Foto di gruppo del Club
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Locandina dell’evento
Il Sambuco (Sambucus nigra L.)
“Pianta dalle sette virtù”
testo di PIERLUIGI MENGACCI, foto P. MENGACCI, WWW LAVALLEDELMETAURO IT, WWW VOGLEZWARTE CH, WWW ETSY COM
Premessa
Il Sambuco (Sambucus nigra), fino a qualche anno fa, è sempre stata una pianta a cui non ho mai dato alcuna importanza, anzi, mi lasciava completamente indifferente, pur suscitando in me ricordi giovanili contrastanti. Oggi, ogniqualvolta passo davanti ad un vecchio e maestoso Sambuco che si trova lungo il percorso primaverile, alla ricerca di erbe mangerecce, mi fermo e faccio sette inchini,come facevano i contadini all’inizio del secolo scorso quando il Sambuco era considerato
Dal libretto dei miei appunti orto-ornitofili e non solo
“pianta dalle sette virtù”. Mentre ne ammiro la bellezza e gusto l’intenso profumo emanato dalle “ombrelle” piene di morbide e profumatissime stelline che inebria l’aria circostante, la memoria rievoca diversi e contrastanti ricordi
legati a questa pianta. Il pensiero va subito al “gigantesco” Sambuco della casa colonica dei bisnonni paterni posto vicino alla porta della stalla, rimasto indenne, assieme alla stalla stessa e a parte del fabbricato, dai bombardamenti aerei della Linea Gotica. Siamo a fine anni ‘40 del secolo scorso. Ai miei occhi di bambino di 5/6 anni, assumeva la forma di un gigante imbiancato con due grossi rami ricurvi, come se volessero abbracciarmi.
I bisnonni dicevano che quel vecchio Sambuco era lì per proteggere il be-
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Pianta di Sambucusnigra ad inizio fioritura, foto: P.Mengacci
Cespuglio di Sambucus ebulus, fonte: www.lavalledelmetauro.it
stiame e gli altri animali domestici dai serpenti e dai topi, ma anche il fabbricato, da ogni male, dal fuoco, dai fulmini, dalle pestilenze e disgrazie varie. Mentre con i miei cugini si giocava a nascondino anche fra i suoi folti rami, ecco che compariva la bisnonna… Guai a spezzarne i rami o strapparne le foglie: le galline, anatre ed oche non avrebbero fatto più le uova e gli animali si sarebbero ammalati! Guai a bruciarne i rami secchi nel camino! Avrebbe portato sfortuna, mal di testa e sonnolenza (superstizione che mi è rimasta tuttora).
A questi ricordi, mentre raccolgo alcune rosette di erbe mangerecce, se ne aggiungono altri dove riaffiorano sentimenti di amore e odio per il Sambuco.
L’ho amato perché mio zio Federico, calzolaio-tuttofare del paese, fratello di mia nonna Marietta, mi aveva insegnato a svuotarne i fusti del midollo per realizzare zufoli e cerbottane. Quante “battaglie” per le vie del paese a “sparare” con le cerbottane palline di cartapesta! E che divertimento con il fischio acuto degli zufoli da improvvisati “orchestrali” nella piazzetta ghiaiosa del paese!
“Fedrìc”, cosi veniva chiamato lo zio, mi ha insegnato anche a realizzare una tinta naturale con le bacche violacee macerate e filtrate che utilizzava nel suo lavoro per tingere le scarpe che risuolava e che io utilizzavo come inchiostro perfino nel calamaio del banco delle elementari. Nonostante le sgridate di mia madre per le mani annerite per via del fatto che “sgranavo” le bacche e le macchie violacee nei pantaloncini corti e nelle ginocchia, nonostante le liti con mio fratello per l’uso degli zufoli e delle cerbottane, il Sambuco non riuscivo ad odiarlo. Invece lo odiavo quando a pranzo i fiori fritti proprio non mi andavano giù: il sapore dolciastro e di erba mi era indigesto! Ma soprattutto l’ho odiato per lo sciroppo di Sambuco fatto in casa, che mia madre mi obbligava a bere quando avevo il raffreddore ed il mal di gola: per me aveva “profumo di tabacco” simile a quello delle sigarette “nazionali” che fumava mio padre, e quel “profumo nauseante” mi dava il voltastomaco!
sette inchini “… perché sette sono i doni che si ricavano dai germogli, dai fiori, dalle foglie, dalle bacche, dal midollo, dalla corteccia e dalle radici del sambuco.” (**)
Curiosità storico-leggendarie
Le origini del Sambuco si perdono nella notte dei tempi, come il suo utilizzo e le leggende sorte attorno alla pianta. Tracce di bacche di Sambuco sono state trovate in insediamenti del Neolitico. Egizi, Greci e Romani e Fenici ne usavano legno, fiori, foglie e bacche. Ne troviamo testimonianza nei testi di Ippocrate e Plinio il Vecchio anche per le sue proprietà benefiche antinfiammatorie, emollienti e purificanti.
L’etimologia del suo nome latino, Sambucus si ritiene che derivi dal greco sambykè (strumento musicale simile al flauto che veniva realizzato con i suoi rami) e nigrum = nero (colore del succo delle sue bacche).
Per anni e anni questi ricordi contrastanti mi hanno accompagnato nell’incontro primaverile con questa pianta ed è sempre rimasto in me quel senso di repulsione acquisito da bambino. Ma, da quando ho acquistato il volume Il prato è in tavola: le piante selvatiche commestibili d’Italia, scritto da Dafne Chanaz (*), dove con mia grande meraviglia ho trovato l’articolo sul Sambuco, ho iniziato a “rispettarlo e riverirlo”. L’articolo è stato talmente interessante, coinvolgente e convincente sia nella descrizione storico-botanica che nell’utilizzo terapeutico-gastronomico che me lo sono letto e riletto più volte, fino a rimuovere i miei preconcetti verso questa pianta. Infatti, da quel giorno, anche io davanti alla pianta del Sambuco, come i contadini nel secolo scorso, mi tolgo il cappello e faccio
Era credenza che un Sambuco sano e vigoroso fosse la prova che le persone che abitavano nelle vicinanze erano felici
Il Sambuco è una pianta che ha ispirato molte leggende e superstizioni in tutta l’Europa. Alcune mi sono sembrate interessanti da essere riportate. Durante il Medioevo, il Sambuco era oggetto di svariate pratiche magiche ed era considerato portatore di sventura e morte o di buon auspicio e vita, a seconda della cultura, della nazione e della zona.
Era consuetudine coltivarlo intorno ai monasteri, alle fortezze e alle abitazioni rurali per proteggere ambienti, abitanti e animali da serpenti, topi, esseri maligni e incantesimi vari. Foglie e rametti con i fiori venivano posti intorno all’ingresso delle abitazioni per scacciare gli spiriti maligni. Dai rami venivano ricavate bacchette “magiche”, come i frustini di Sambuco dei conducenti dei carri funebri inglesi che usavano per proteggersi dagli spiriti malevoli dei morti.
In Germania era chiamato l’albero di Holda, una fata del folklore germanico medievale, dai lunghi capelli d’oro, che abitava nei sambuchi situati vicino a laghi e corsi d’acqua ma che talvolta poteva apparire con le sembianze di una vecchia strega. Anche il famoso flauto magico della tradizione germanica non era altro che un ramoscello di Sambuco svuotato del midollo.
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Sambucusnigra- Racemi in fase di fioritura, foto: P.Mengacci
Era credenza che un Sambuco sano e vigoroso fosse la prova che le persone che abitavano nelle vicinanze erano felici. Dormirci sotto una notte, inoltre, era l’occasione per vedere gli spiriti che lo abitano.
Nella mitologia scandinava, il fiore di Sambuco era considerato sacro perché al suo interno dimorava la dea Freya, divinità della seduzione e della fertilità.
Secondo la tradizione popolare danese “Madre Sambuco”, Hyldemoer, spirito guardiano, perseguitava chi abbatteva un albero senza chiederle il permesso. Nel calendario celtico, il Sambuco rappresentava il tredicesimo mese lunare che terminava in corrispondenza del solstizio invernale: il tredici per loro significava passaggio, rigenerazione, rinnovamento.
Anche la religione cristiana non è da meno: una leggenda racconta che il suo legno fu utilizzato per costruire la croce su cui Gesù venne crocifisso e che l’albero al quale Giuda Iscariota si impiccò dopo il tradimento fosse di Sambuco ed è per questi motivi che è diventato un simbolo di sofferenza.
Oltre alle leggende e superstizioni, esistevano anche credenze positive. Fino all’inizio del secolo scorso, i contadini in tutta Europa si levavano il cappello quando incontravano un Sambuco sul loro cammino e molti si inchinavano sette volte perché sette venivano considerate le virtù del Sambuco: germogli
per le nevralgie, foglie per la cute, fiori per una tisana, bacche per i polmoni, corteccia per l’intestino e gli occhi, radice per la diuresi, midollo antinfiammatorio.
In poche parole, nella medicina tradizionale il Sambuco era considerato una vera e propria panacea, un rimedio che guariva ogni male, tanto da essere definito “farmacia degli dei” dagli agricoltori dell’alto Tirolo.
Atra credenza positiva in campo agricolo era che la fioritura del Sambuco indicasse il momento più auspicabile
per tagliare l’erba dei prati e garantire una buona ricrescita senza danneggiare la flora, ottenendo un ottimo fieno. Tuttora in alcune zone viene considerato un arbusto sacro e benedettosimbolo della pace domestica e protettore della casa.
Una curiosità scientifica: ll termine “cellula” (piccola cella) fu coniato dal fisico inglese Robert Hooke nel 1665 osservando al microscopio delle fette sottili di midollo di Sambuco; altri testi asseriscono sia stato usato il sughero.
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Fiore di Sambucus ebulus, fonte www.lavalledelmetauro.it
Bacche di Sambucusnigra,, foto: P.Mengacci
Bacche di Sambucus ebulus, fonte: www.lavalledelmetauro.it
Descrizione botanica del Sambucus nigra
Il Sambuco è una pianta o arbusto legnoso perenne, appartenente alla famiglia delle Adoxaceae e al genere Sambucus. È una specie caducifoglia e latifoglia molto diffusa in Italia ed Europa, la cui altezza può raggiungere oltre 6 metri.
Lo troviamo nei boschi umidi, nei fossi, tra le siepi ed in ambienti ruderali in pianura, collina e montagna fino ad una quota di circa 1500 metri.
Il tronco si presenta rugoso e fessurato, con una scorza grigio-bruna con rami opposti ricadenti con una conformazione simile al sughero, mentre i ramoscelli giovani sono verdi e lisci. Una caratteristica dei rami è la presenza di un midollo centrale di colore bianco e di consistenza elastica e soffice come una spugna. Quando il ramo cresce, il midollo si secca e diventa polvere lasciando una cavità all’interno. Le foglie, di colore verde brillante o scuro, composte da 5 o 7 foglioline picciolate e seghettate sul bordo, sono caduche e si rinnovano in primavera. I fiori (racemi) sono ombrelle (corimbi) che si formano generalmente nel mese di aprile con palline verdi che successivamente sbocciano in tante stelline color bianco crema con stami gialli pieni di polline che emanano un intenso profumo ed attirano api ed altri insetti impollinatori. I frutti, nel mese di agosto, sostituiscono i fiori e diventano delle bacche (drupe) nerastre lucide con 2 o 3 semini per bacca, a piena maturazione a partire dal mese di settembre; durano per tutto l’inverno e sono molto appetiti da molti uccelli, mentre i gambi
delle ombrelle diventano rossastri. La riproduzione può essere fatta per seme o per talea in primavera e la diffusione avviene anche per il seme rilasciato dagli uccelli che ne mangiano le bacche nel periodo autunno-inverno.
Valori nutrizionali e proprietà Tutti conosciamo il detto: del maiale non si butta via niente; ebbene, questo vale anche per il Sambuco. Dalla radice e per finire con il midollo, tutte le parti del Sambuco, secondo la medicina popolare e non solo, sono considerate importanti ed utilissime. Questa pianta, per i contadini, era anche una vera e propria farmacia domestica; tutte le sue parti, infatti, erano considerate medicamentose. Ecco di seguito un sintetico riassunto degli utilizzi su cui ho trovato riferimenti:
- Il midollo, ridotto in poltiglia insieme a farina e miele, è ritenuto utile per lenire il dolore causato dalle lussazioni;
- La radice bollita e pestata per curare la gotta;
- La corteccia applicata fresca sugli occhi per curare le irritazioni;
- Le foglie, applicate come impacchi per curare malattie della pelle, lenire dolore e infiammazione causati da scottature e ferite;
- I germogli, preparati in decotto caldo, sono utili per calmare le nevralgie; Le parti del Sambuco che vengono maggiormente utilizzate ad uso terapeutico, supportato anche da riscontri scientifici, sono sicuramente i fiori e le bacche, che contengono la maggior parte dei principi attivi.
Ciascuna parte contiene nutrienti peculiari che conferiscono proprietà differenti:
- I fiori (ricchi di vitamina C, flavonoidi e acidi organici) e loro derivati sono principalmente indicati negli stati influenzali, raffreddori, tossi, bronchiti, come protezione dalle affezioni respiratorie; contribuiscono ad abbassare la febbre e esplicano attività diaforetica (sudorifera), diuretica ed emolliente. Ai fiori (decotti e infusi) sono attribuite altre proprietà anche per applicazioni esterne quali infiammazioni articolari, gonfiore di mani e piedi, occhi stanchi e arrossati, gambe con vene varicose e emorroidi.
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Base del tronco e rami del maestoso Sambucusnigra, foto: P.Mengacci
Beccafico sul Sambuco fonte: www.vogelwarte.ch
Tutt’oggi la moderna ricerca scientifica riconosce una virtù medicinale prodigiosa del Sambuco: i suoi fiori hanno proprietà antivirali, potrebbero quindi essere l’unico rimedio naturale per combattere il raffreddore.
-Le bacche (ricche di vitamina A, B, C, ferro, antociani, bioflavonoidi, ecc. – vedi tabellina nutrienti allegata) sono considerate degli ottimi antiossidanti. Recenti studi hanno evidenziato che l’estratto di bacche di Sambuco rinforzi il sistema immunitario e che abbia proprietà antibatteriche ed antivirali. È risultato efficace per i Gram-positivi, come Staphylococcus sp. o Bacillus cereus e per i Gram-negativi, come Salmonella poona o Pseudomonas aeruginosa.
Valori
del Sambuco
Fonte:USDA Department of Agriculture, Agricultural Research Service. 2011, USDA National Nutrient Database for Standard Reference, Release 24 (http://ndb.nal.usda.gov).
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per 100 gr
Sambuco Grassi g 0,50 Carboidrati g 18,40 Fibre g 7 Minerali Calcio mg 38 Ferro mg 1,60 Magnesio mg 5 Fosforo mg 39 Potassio mg 280 Sodio mg 6 Zinco mg 0,11 Vitamine Vitamina A IU 600 B1 mg 0,070 B2 mg 0,060 B3 mg 0,500 B6 mg 0,230 Vitamina C mg 36 Folati mg 6
Nutrizionali principali
di bacche di
Cardellino americano sul Sambuco, fonte: www.etsy.com
Contiene flavoni e flavonoli come la quercetina e gli antociani. Altri composti che troviamo nel Sambuco sono l’acido clorogenico e l’acido cinnamico. Aminoacidi: acido glutammico, acido aspartico, alanina, arginina, cistina, glicina, isoleucina, lisina, prolina, serina, tirosina, treonina, triptofano e valina quelli presenti in quantità maggiore.
Utilizzi vari della pianta di Sambuco Uso terapeutico: l’uso medicinale del Sambuco è bene sia consigliato dal proprio medico o da persone specializzate in materia presenti nelle erboristerie o fitofarmacie dove esistono preparati di Sambuco testati per le diverse terapie. Per “il fai da te” va tenuto presente soprattutto che, oltre alle indiscusse proprietà medicinali-erboristiche delle bacche e dei fiori, avvalorate anche da studi internazionali, tutto il resto della pianta (semi compresi) contiene il glicoside sambunigrina, una molecola che può produrre effetti tossici.
Uso in cucina: è limitato ai fiori e alle bacche, anche se i germogli erano utilizzati al pari della radice per ottenere un coulis (termine francese che indica una salsa utilizzata per guarnire o accompagnare diverse pietanze o dessert).
I fiori si raccolgono in tarda primavera e si possono utilizzare in moltissimi modi. È famoso lo sciroppo ai fiori di Sambuco, realizzato con fiori freschi, ottimo per addolcire tisane, per gustose e dissetanti bevande, ma anche per aromatizzare torte, gelati, cocktail e macedonie. E che dire del “Sambuchino” (cugino ecologico della gassosa), una bibita frizzante dal sapore di fiori!
I fiori freschi, oltre ad essere utilizzati per preparare liquori, confetture, aceti aromatici, si possono impiegare anche per ricette salate, come risotti e carne, per essere fritti con pastella come i fiori di acacia e serviti salati oppure come dessert, con una spruzzata di zucchero a velo. I fiori si possono essiccare mettendo le ombrelle a testa in giù in un canovaccio riposto in un luogo ombreggiato e arieggiato; il colore giallo indicherà che sono asciutti e andranno conservati in sacchetti di carta o in vasetti di vetro: saranno perfetti per aromatizzare dolci e preparare profumatissime tisane.
Le bacche si raccolgono a fine estate, ben mature, quando sono di un bel colore nero–violaceo e belle succose; vanno separate dai gambi e vanno cotte prima di utilizzarle. La cottura è necessaria per disattivare dei principi attivi tossici contenuti nella sambucina, una sostanza che in presenza di acqua sprigiona acido cianidrico, che è tossico. Una volta cotte e prive dei semini, (nei quali permane la presenza di glicosidi cianogenetici), si possono utilizzare per preparare confetture, sciroppi, liquori, vini o salse da accompagnare a piatti di carne o formaggi.
N.B.: Utilizzare le bacche solo previa cottura.
Altri utilizzi del Sambuco:
-fiori e bacche sono ingredienti assieme ad altri aromi di anice, liquirizia ed erbe aromatiche di una bevanda molto nota.
-Ancor oggi in Italia con il Sambuco si producono la zampogna, manici per attrezzi agricoli (badili, zappe, forche da fieno ecc.), martelli ed altri utensili.
-Il midollo è usato nell’orologeria per la pulizia degli ingranaggi e utensili vari
-Le bacche sono impiegate per tingere fibre naturali nelle tonalità del viola
-Estratti di fiori e bacche vengono usati nella industria cosmetica per la cura del corpo.
-Bacche di Sambuco essiccatesono commercializzate anche ad uso ornitologico per la dieta degli uccelli, sia in confezioni singole che in mix con altri frutti di bosco. “Il mix di frutti di bosco
è una bomba di vitamine nella dieta degli uccelli. Il sambuco è una fonte di vitamine A, B1, B2, C e carotenoidi, oltre che di iodio. Tra le altre cose, il frutto ha proprietà diuretiche, antipiretiche e disintossicanti” (descrizione presente sul prodotto di una nota ditta commerciale).
Precauzione nell’usodel Sambuco
-Fare attenzione alle parti verdi della pianta, che sono velenose per la presenza di glicoside cianogenetico. Fanno eccezione i fiori e le bacche che sono commestibili.
-Fare attenzione a non confondere il Sambucus nigra con l’Ebbio o Sambuchella (Sambucus ebulus), pianta del tutto tossica.
Conclusione
A chiusura di questo mio breve excursus sulle “sette virtù del Sambuco” vi dico che, da alcuni anni, mi sono convinto che questa pianta meriterebbe un ulteriore e più profondo inchino. Un ottavo inchino, per la grande valenza ecologica che ha, secondo me, nel campo della flora e fauna. È una pianta che andrebbe rivalutata e reintrodotta nei giardini pubblici e privati. Infatti, come ho già scritto sull’utilità ecologica delle “erbacce infestanti” in miei precedenti articoli, anche il Sambuco contribuisce alla sopravvivenza della biodiversità ed ecosostenibilità ambientale. Con i suoi fiori ricchi di profumo e di nettare che attraggono api, bombi ed altri impollinatori contribuisce alla loro esistenza; con le bacche, cibo nel periodo autunno-inverno, è di aiuto al sostentamento per uccelli come tordi, merli, storni, pettirossi, cince, codirossi ecc. ed inoltre, tramite gli uccelli stessi, concorre alla diffusione del seme per la nascita di nuove pianticelle che a loro volta produrranno “sette virtù” per il benessere umano! Ad maiora, semper.
Alcune fonti:
(*)Dafne Chanaz,docente universitaria, cuoca e giornalista
(**) Il prato è in tavola, di Dafne Chanaz, Terra Nuova Edizioni
-https://www.mr-loto.it/sambuco.html
-https://www.dietabit.it/alimenti/frutta/sambuco
-https://it.wikipedia.org/wiki/Sambucus_nigra
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Beccofrusoni sul Sambuco, fonte: www.etsy.com
Equivoci sulle categorie
di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZOE WIKIPEDIA.COM
Spesso ci sono errori di classificazione, da parte degli allevatori, per via di equivoci frequentemente reiterati, nonostante le segnalazioni. Vi sono anche equivoci giustificabili fra tipi a volte veramente molto simili come: agata/satiné, agata pastello, agata topazio ed agata eumo. Nonché diversi altri casi, ma non desidero soffermarmi in questa sede sui tipi, del resto trattati in altre occasioni. Vorrei soffermarmi sulle categorie ove ci sono errori non solo da svista, ma proprio per errata valutazione concettuale.
A questo proposito, visto che bisogna partire dall’inizio, ricordo e sottolineo che il Canarino selvatico è brinato. Il dicromatismo sessuale è evidente; infatti la brinatura è maggiore nella femmina e le zone di elezione sono
Il Canarino selvatico è brinato.
Il dicromatismo sessuale è evidente
In particolare la maschera della femmina è più bassa di quella del maschio (ma non ci sono solo ciliari), in entrambi i sessi lunghi ciliari. La brinatura è abbondante ed è accentuata in alcune parti, come: collare e ventre.
La brinatura consiste nel fatto che il pigmento carotenoide non raggiunge l’apice della penna che rimane bianco. Il mosaico consiste in una accentuazione della brinatura. Sappiamo tutti che un brinato in eccesso ed un mosaico molto diffuso finiscono con essere tanto simili da ingenerare dubbi di classificazione, anche da parte di allevatori navigati. Ebbene, i giudici maestri dell’ottima vecchia scuola (da non dimenticare), suggerivano una non troppo pesante ginnastica: l’alzata della gabbia. Perché l’alzata della gabbia? Perché nei casi dubbi viene in aiuto il taglio netto sulla zona ventrale, tipico del mosaico. A farlo eravamo più d’uno, mi sembra giusto
un ricordo particolare per il compianto Otello Mori, che lo raccomandava efficacemente ai suoi allievi, che ancora se ne ricordano, come ho constatato recentemente conversando con Antonio Villucci. Anche altri, me compreso, ai loro allievi raccomandavano pure tale esercizio. Intendiamoci, l’addensamento della brinatura nella zona ventrale è presente sempre in diverse misure, invece non è presente sempre il taglio netto, che è proprio del mosaico. I brinati hanno un addensamento di brinatura in quella zona, più o meno elevato, ma a degradare. Certo nei brinati abbondanti l’addensamento è maggiore, ma degradante, e comunmaggiori nel maschio. Le zone di elezione sono: maschera, cosiddette spalline e codione.
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Mosaico giallo maschio linea femminile, foto: E. del Pozzo
que senza il salto definito dal taglio netto.
Anche negli intensi difettosi la brinatura residua spesso e si nota meglio in alcuni punti come: il collare e la zona ventrale. Certo non solo in quei punti, ma spesso si.
La brinatura il più possibile uniforme è una scelta dell’allevamento di colore, che si ottiene con la selezione. Non bisogna tuttavia dimenticare mai le caratteristiche del Canarino selvatico che si ripercuotono sempre sul domestico, compreso il dicromatismo sessuale, come vedremo.
Tornando all’intenso, quando è molto difettoso può presentare una brinatura residua molto abbondante che spesso si accentua nei luoghi suddetti. Qualche caso può essere imbarazzante poiché, sia pure raramente, l’accentuazione localizzata potrebbe essere limitata pur avendo una brinatura rilevante, e questo potrebbe indurre in errore. Ricordo una femmina melanica (non ricordo il tipo esatto) rossa intensa, ma con molta brinatura residua abbastanza uniforme e fine, di un mio amico. Eb-
bene, venne giudicata brinata ma non si poteva criticare troppo il giudice, poiché era molto difettosa ma con
brinatura fine e singolarmente uniforme, tanto da poter indurre in errore anche un esperto. Come capire
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Mosaico giallo femmina linea maschile, foto: E. del Pozzo
Mosaico rosso femmina linea maschile, foto: E. del Pozzo
Canarino selvatico maschio, fonte: commons.wikimedia.org, autore: Juan Emilio
che era un’intensa pessima? Tutt’altro che facile, forse guardando la zona ventrale, ove c’era certo brinatura ma in misura minore rispetto a quello che ci si aspetta da una femmina brinata. Inoltre, le femmine brinate è ben difficile che abbiano una brinatura fine ed uniforme. Certo, a pochi sarebbe venuto in mente di alzare la gabbia, come di solito si fa, anzi si deve fare, di fronte a brinatura abbondantissima, ma non in presenza di un aspetto abbastanza uniforme e fine. Direi da assolvere chi ha commesso l’errore, data la situazione davvero molto ingannevole.
Per quanto riguarda l’errore di classificazione fra brinato e mosaico, ho ben detto dell’alzata di gabbia ma c’è un aspetto da ricordare importante, talora oggetto di errori sconcertanti e si badi concettuali. Trattasi delle
Anche negli intensi difettosi la brinatura residua spesso e si nota meglio in alcuni punti
zone di elezione intense. Purtroppo, sulla categoria mosaico si sono commessi una serie di errori, anche gravi e, ahinoi, talora consolidati. Non consolidato e non ammissibile l’errore di pensare che il mosaico oltre a produrre il bianco, più o meno spinto per accentuazione della brinatura, abbia creato anche le zone di elezione intense: è sbagliatissimo!!! Il bianco si, le zone di elezione intense no; infatti sono preesistenti al mosaico ed appartengono al brinato, selvatico compreso! Il mosaico, accentuando la brinatura, le mette soltanto in evidenza. Da qui si comprende la carenza di osservazione che c’è stata e che doveva partire dall’inizio. Se si fosse valutato bene il brinato selvatico, non si sarebbero commessi certi errori. Mi capita di visitare allevamenti e di sentirmi dire che un certo canarino è mosaico anche se diffuso. Allora, a seconda dei casi, a volte ne convengo,
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Canarino selvatico femmina, fonte: commons.wikimedia.org, autore: Juan Emilio
Brinato giallo, foto: E. del Pozzo
a volte no e faccio notare che è un brinato per le ragioni sopra esposte. Talora però mi sento obiettare più o meno: “ma vedi che ha la maschera intensa” e magari con l’aggiunta dell’intensità anche delle spalline e del codione. In questi casi francamente mi arrabbio un poco, anche senza darlo a vedere, e faccio tutto il discorso di cui sopra che a volte viene capito, a volte solo ascoltato ma con evidenti perplessità.
Il problema è che nel brinato le zone di elezione sono meno evidenziate dal colore generale, nel mosaico di più, ma sono la stessa cosa, selezioni a parte. Visto che bisogna partire dall’inizio, non manco di sottolineare che il Canarino selvatico è un brinato con forte brinatura e zone di elezione intense evidenti, come dicevo. Non a caso ho sentito dire da qualche visitatore delle Canarie che i canarini selvatici sono mosaico. Si badi, anche da parte di persone abbastanza navigate nel nostro campo. Evidentemente la brinatura abbondante e le zone di elezione evidenti possono trarre in inganno.
Il problema è che nel brinato le zone di elezione sono meno evidenziate dal colore generale, nel mosaico di più, ma sono la stessa cosa
Sugli equivoci suggeriti dal mosaico ho già scritto molto, ma per qualcuno evidentemente invano. Cerco quindi di sintetizzare le risposte da dare ai più ricorrenti.
Primo - il mosaico non crea le zone di elezione intense. Secondo - il mosaico non aumenta ma solo sottolinea il dicromatismo sessuale.
Terzo - Il mosaico è una categoria e non esistono mosaico intensi.
Sul primo punto non dico oltre avendo ampiamente spiegato precedentemente il tutto.
Sul secondo punto faccio ancora notare che: il mosaico, aumentando la brinatura, crea più bianco e maggiormente nella femmina che già nel brinato è più brinata. Inoltre vengono messe in evidenza le zone di elezione intense, già presenti e diverse nei due sessi. L’apparente aumento di dicromatismo è legato alle due linee selettive, maschile e femminile. Queste due selezioni accentuano apparentemente il dicromatismo. Anche un ottimo biologo che vedesse i maschi vincenti e le femmine vincenti nei lipocromici alle mostre, penserebbe ad un aumento del dicromatismo, ma non dopo aver saputo che le madri dei maschi vincenti talora hanno più maschera dei padri delle femmine vincenti. Quest’ultima selezione per le femmine è solo una selezione a favore di un eccesso di brinatura che corrode la maschera. Nulla a che fare con ipotizzate anomalie ormonali o comunque sessuali; infatti, i maschi della linea femminile corteggiano le femmine e le fecondano del tutto regolarmente. Una situazione anomala a livello sessuale penso che incide-
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Nero mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo
Brinato rosso, foto: E. del Pozzo
rebbe quantomeno sulla fecondità. Da qui la totale infondatezza di certe spiegazioni attinenti ad anomalie sessuali. Sul terzo punto preciso che i cosiddetti mosaico intensi sono solo più equilibrati o meno eccessivi, la struttura è sempre corrispondente al brinato. L’accoppiamento fra mosaico come quello fra brinati fa degenerare in eccesso la brinatura. Nel mosaico purtroppo si accoppia quasi sempre in purezza, mosaico x mosaico. Quindi nel mosaico vi sono diversi livelli di eccesso e quelli più equilibrati, meno eccessivi, vengono scambiati per intensi. Se esistesse il mosaico intenso vorrebbe dire che il mosaico non sarebbe una categoria. Inoltre dovrebbero esistere i mosaico doppi intensi che non esistono. Accoppiando
intenso x mosaico si mantiene l’equilibrio come accoppiando intenso x brinato. Nessuna traccia di doppi intensi, anche quando si accoppia intenso x mosaico ed il mosaico è intensissimo nelle zone di elezione. Fra gli equivoci ulteriori c’è da citare il problema maschera e ciliari. La lotta che si fa contro i ciliari lunghi, anche se consolidata, non avrebbe ragione di esistere. Il Canarino selvatico ha ciliari lunghi sia nel maschio che nella femmina. Nel maschio mosaico la lotta contro i ciliari lunghi, come ho già detto in altre sedi, ritengo sia il frutto di un mero equivoco. Qualche autore per descrivere la maschera del maschio deve aver pensato ad un paragone con la maschera del Cardellino. Ora il Cardellino, genere Carduelis, ha una maschera Bruno mosaico rosso femmina,
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foto: E. del Pozzo
squadrata, parzialmente simile a quella del Canarino, genere Serinus, se vista di fronte, ma non certo di lato. Di lato il Cardellino non presenta ciliari, il Canarino invece sì e molto evidenti e lunghi. Suppongo che il guaio della lotta contro i ciliari derivi da questa descrizione, puramente utilitaristica e valida solo se considerata di fronte. Per i ciliari della femmina non so a cosa ben pensare. Si diceva che il mosaico fosse dato dal trasferimento del dimorfismo sessuale del Cardinalino al Canarino, tesi del tutto superata, ma così non si spiegano i ciliari; infatti, la femmina del Cardinalino non ha ciliari, avendo la testa del tutto priva di zona d’elezione, mentre la Canarina ha la mascherina. Ci si chiede quindi da dove siano usciti i ciliari, visto che non esistono in natura in entrambe le specie. Forse sono sempli-
cemente piaciuti come idea, senza alcun supporto reale ulteriore. Di fatto oggi, nella femmina, si richiedono ciliari ridotti e niente fronte pigmentata. Si assiste quindi ad una lotta fra le femmine, poverine, che vorrebbero fare la loro mascherina naturale e la selezione che vuole imporre gli innaturali ciliari corti, senza interessamento della fronte.
Ora ci si chiederà, come appare il mosaico equilibrato? Appare come quello che deriva dall’accoppiamento corretto intenso x mosaico, così come il brinato domestico dall’accoppiamento intenso x brinato. Vale a dire maschi piuttosto diffusi, cioè non bianchissimi, ma con zone di elezione strepitose per espressione ed intensità, nonché lunghi ciliari. Femmine che possono anche essere molto bianche ma con mascherina femminile uguale a quella della brinata, nonché zone di elezione intensissime. Viste specialmente dall’alto sono deliziose. Quando allevavo accoppiando intenso x mosaico nei melanici, non ne ho avute con la carena ma con uno scudetto meno evidente di quello maschile. Alcuni allevatori mi hanno mostrato anche qualche femmina mosaico, proveniente dall’accoppiamento misto, con carena certo forte. Oggi la carena sta diventando sempre più rara, per il resto non aggiungo altro se non che l’intensità delle zone di elezione è abbastanza rara, specialmente per il codione. Nei maschi mosaico, lo scudetto del petto spesso diventa solo una carena, anche se abbastanza evidente. Qualche navigato ed abile allevatore di melanici usa l’intenso anche nei ceppi di mosaico, guadagnando in: piumaggio, varietà ed intensità delle zone di elezione, magari con accoppiamenti misti in alternanza a quelli in purezza, accettando soffusioni maggiori specialmente nei maschi, ciliari lunghi in entrambi i sessi e fronte pigmentata nelle femmine. Si consideri la minore incidenza della categoria nei melanici e la minore evidenza delle soffusioni in presenza di melanine, specialmente se elevate. Il bilancio finale può essere vantaggioso.
Il Cardellino, genere Carduelis, ha una maschera squadrata, parzialmente simile a quella del Canarino, genere Serinus
Ora vorrei parlare di tante altre cose ma intendo limitarmi agli equivoci di cui sopra, per il resto rimando alle pubblicazioni precedenti, come il mio testo e vari articoli: “Dimorfismo e dicromatismo sessuale” I. O. n°11 nov. 2022, “Domande sul mosaico” I. O. n° 2 feb. 2021, “L’unicità della mutazione intenso” I. O. n°8/9 ag. set. 2018, “Un dubbio sul mosaico” I. O. n°4 apr. 2017. Sempre ben lieto di eventuali confronti, concludo.
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Bruno cobalto mosaico giallo maschio, foto: E. del Pozzo
I Padri dell’Ornitologia italiana
Silvio Spanò
(Genova, 1938 - 2024)
testo di ROBERTO BASSO, fotoARCHIVIO CIVICO MUSEODI STORIA NATURALEDI JESOLO
Questo febbraio ci ha lasciati, all’età di 85 anni, l’esimio Prof. Silvio Spanò. È stato per molti anni Docente Ordinario presso l’Università di Genova, Facoltà di Zoologia Applicata. È stato guida formativa per più generazioni, che ne hanno sempre rispettato l’autorevolezza e il rigore scientifico. Non dimenticherò mai le sue oculate critiche e costruttivi consigli: a lui tanti come me devono molto, poiché è stato un faro, una guida e indirizzo
Monografia pubblicata dalla Regione Liguria nel 1987, impreziosita da tavole ottocentesche sull’avifauna italiana
È stato guida formativa per più generazioni, che ne hanno sempre rispettato l’autorevolezza e il rigore scientifico
comportamentale nel rapporto con l’ambiente e con la sua tutela. Tante
Pubblicato nel 2010, fornisce importanti aggiornamenti sullo status di popolazione di questa specie e sulle tecniche riproduttive in cattività. Edito da Il Piviere Edizioni
sono state le tesi sperimentali da lui indicate e seguite sul tema dell’avifauna ligure stanziale e migratoria. Nella sua lunga carriera ha prodotto centinaia di pubblicazioni scientifiche, abstract e volumi, alcuni ancora oggi ricercati e apprezzati per la loro originale rilevanza di approfondimento. Fu anche socio fondatore, nel 1975, Presidente ed infine Presidente onorario a vita del “Club della Beccaccia”, una sua creatura, cui è stato legato sino alla fine della sua
Anche su tale specie questa è una pubblicazione molto approfondita sull’allevamento, biologia e migrazione nonché densità di popolazione molto interessante. Edito da Carlo Lorenzini Editore
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Tanti sono stati i convegni e le tavole rotonde su svariate tematiche da lui promosse
vita. Nel 2004 fu promotore e ideatore del progetto del santuario per la beccaccia nell’Isola di Vormsi, in Estonia, e proprio in questa incontaminata isola per anni fu promossa un’attività di inanellamento e studio della migrazione sulla beccaccia. Una volta raggiunta l’età della pensione, si è ancor più dedicato all’approfondimento dello stato di popolazione della beccaccia (Scolopax rusticola) nel Paleartico.
Tanti sono stati i convegni e le tavole rotonde su svariate tematiche da lui promosse, visto che da sempre era molto attento all’inanellamento di questa specie e all’elaborazione dei dati che ne derivavano.
È stato colui che maggiormente si è impegnato a creare un costruttivo rapporto collaborativo con i caccia-
tori e ricercatori in Europa. Dietro quella piccola statura si muoveva e operava un uomo di grande levatura umana e caratteriale. A volte pareva burbero e intransigente, ma in realtà lo contraddistinguevano una grande
umanità e disponibilità nel momento in cui qualcuno avesse avuto bisogno di lui, dei suoi contatti e delle sue conoscenze. Amava, per lunghi periodi, trasferirsi nella sua casa in campagna ad Acqui Terme, non solo per passione venatoria ma anche, come amava dire, per trovare quella concentrazione e serenità necessarie per lavorare all’elaborazione dei dati e per la consultazione di pubblicazioni lontano dalla caotica Genova, città che comunque lui ha sempre amato e a cui si sentiva profondamente legato.
Presso la sua casa nel capoluogo ligure, a dimostrazione della sua grande generosità e spirito d’accoglienza, gli incontri informali e formali erano frequenti, come pure le riunioni tra addetti ai lavori. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una figura che ha dedicato gran
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Prima edizione del 1982, in cui l’autore affronta con grande competenza gli aspetti etologici della specie. Edito da Editoriale Olimpia, Firenze
Trattasi della seconda edizione aggiornata del 1993. Edito da Editoriale Olimpia, Firenze
Locandina che presenta uno dei tanti simposi voluti da Silvio Spanò e organizzati dal Club della Beccaccia Italia
È questo uno dei volumi più recentemente pubblicati da S. Spanò, datato 2021. Edito da Il Piviere Edizioni
Ci troviamo di fronte ad una figura che ha dedicato gran parte della sua vita allo studio e alla difesa dell’ambiente e della fauna selvatica
parte della sua vita allo studio e alla difesa dell’ambiente e della fauna selvatica e in particolare alla beccaccia, specie di cui era profondamente innamorato, che ha studiato e approfondito come naturalista e ornitologo, carpendone le più recondite intimità come ornitologo, cacciatore e cinegetico.
Amava seguirla e scovarla nel folto del bosco o nei canaloni più impervi e impenetrabili, laddove la beccaccia è davvero la regina di quell’am-
biente. Lo incuriosivano e attraevano molto le anomalie legate alla colorazione del piumaggio o quelle teratologiche legate al becco “brevirostro”. Ma quante volte abbiamo parlato e ragionato sulle beccacce infermiere, quelle che con incredibile abilità, nonostante il lungo becco, riuscivano a medicare e steccare gli arti fratturati o feriti? Un’altra cosa che amava molto e che gli interessava era scovare, nelle antiche collezioni museali o private, i dati morfologici di detti soggetti, da cui estrapolava informazioni sulla migrazione, sul peso corporeo, sul dimorfismo sessuale etc. È sempre stato uno studioso a trecentosessanta gradi, dato che ben poco trascurava e che per lui tutto poteva diventare utile per delle comparazioni o degli approfondimenti. Silvio, hai lasciato un grande vuoto e ti ricorderemo sempre anche per la tua espressione sorridente e ironica che, da buon genovese, ti caratterizzava.
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Il Prof. Silvio Spanò in attività presso l’Isola di Vormsi, Estonia
al volo dal web e non solo
O rniFlash
La nidificazione della ghiandaia negli oliveti
Il
degrado e la perdita di habitat a causa dell’intensificazione dell’agricoltura o dell’installazione di impianti fotovoltaici stanno mettendo alle corde la ghiandaia europea. Per porre fine a questa situazione, attraverso il progetto LIFE Olivares Vivos +, coordinato da SEO/BirdLife, è stato avviato (in Spagna) uno studio pilota in aree semi-aride per elaborare una tabella di marcia per favorire la ripresa della specie. L’azione si è concentrata sull’installazione di 9 cassette nido appositamente progettate per le ghiandaie a Campos de Uleila e Oro del Desierto (Almeria) e a Cortijo Torre Guájar (Granada), tre oliveti dimostrativi di LIFE Olivares Vivos + situati in aree semi-aride dove si sta studiando l’adattamento del loro modello a scenari particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici. I risultati ottenuti hanno superato le aspettative fin dall’inizio, in quanto le coppie nidificanti hanno accettato rapidamente le cassette nido e, soprattutto, c’è stato un successo riproduttivo in cui 13 pulcini sono riusciti a prendere il volo.
La ghiandaia europea sta attualmente affrontando una moltitudine di minacce. Dalla mancanza di siti di nidificazione, alla distruzione dell’habitat e, in anni come il 2023, a una siccità seguita da piogge torrenziali che hanno portato alla perdita di molte covate. Inoltre, visto l’aumento del numero di installazioni di impianti fotovoltaici nella zona di Campo de Tabernas, l’installazione di cassette nido con design adattati potrebbe essere un’azione importante per alleviare la distruzione di aree di nidificazione adatte a questi individui il cui habitat è stato frammentato o è scomparso del tutto.
Fonte: https://www.teatronaturale.it/tracce/ambiente/41845-la-nidificazione -della-ghiandaia-negli-oliveti.htm
Come fa il condor a volare per molto tempo senza sbattere le ali?
Ilcondor delle Ande (Vultur gryphus) è uno degli uccelli volatori più grandi e pesanti del mondo. Può raggiungere i 3,3 metri di apertura alare, la più grande tra tutti i rapaci del pianeta, e pesare anche oltre 12 chilogrammi. Si tratta di un maestoso avvoltoio nero con una gorgiera di piume bianche che circonda la base del collo e, soprattutto nel maschio, che possiede grandi macchie chiare sulle ali.
Come altri avvoltoi la sua testa è “nuda” e nei maschi sono presenti anche un bargiglio sul collo e una grossa cresta carnosa sulla testa.
Vive esclusivamente tra le montagne delle Ande, in Sud America, e come altri grandi rapaci e avvoltoi, per volare sfrutta soprattutto le correnti d’aria calda ascendenti, le cosiddette “termiche”, che sorreggono il suo peso e le sue enormi ali aperte, un po’ come accade per un deltaplano o nel parapendio. Uno studio recente, pubblicato su PNAS, ha permesso però di svelare come mai prima d’ora i limiti, i vantaggi e le prestazioni sbalorditive di questi uccelli, documentando ogni singolo battito d’ali di alcuni individui equipaggiati con alcuni speciali registratori di volo.
E in maniera a dir poco sorprendente, i ricercatori hanno scoperto che questi uccelli battono le ali solo per l’1% del loro tempo di volo, in particolare durante la fase di decollo e quando sono vicini al suolo, ma c’è di più. Un individuo in particolare è riuscito a volare ininterrottamente per più di 5 ore senza mai battere nemmeno una volta le ali, coprendo una distanza di oltre 170 chilometri. Numeri a dir poco eccezionali, che ci permettono di capire davvero quanto possono essere abili gli uccelli veleggiatori, ma soprattutto quanto può essere vantaggioso, in termini energetici, volare in questo modo.
Fonte: https://www.kodami.it/come-fa-il-condor-a-volare-per-molto-tempo-senza-sbattere-le-ali/
News
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O rniFlash
Gli uccelli tropicali potrebbero tollerare il riscaldamento globale meglio del previsto
Ciaspettiamo che gli animali tropicali sopportino un certo grado di caldo, ma non sbalzi di temperatura e questo sembra essere vero per gli ectotermi – animali “a sangue freddo” – come anfibi, rettili e insetti, ma lo studio “Equivocal support for the climate variability hypothesis within a Neotropical bird assemblage”, pubblicato su Ecology da un team di ricercatori delle università statunitensi dell’’Illinois – Urbana-Champaign, Montana e George Mason, sugli endotermi “a sangue caldo”, ha scoperto che «Gli uccelli tropicali possono gestire bene le variazioni termiche». Il cambiamento climatico può aumentare la temperatura media annuale nei tropici, così come nei microclimi come i margini delle foreste o le chiome degli alberi. Lo studio fornisce una certa rassicurazione sul fatto che, almeno per quanto riguarda la temperatura, gli uccelli tropicali dovrebbero stare bene.
All’università dell’Illinois fanno notare che «Molti uccelli tropicali trascorrono la vita nel sottobosco della foresta. I loro grandi occhi suggeriscono che sono ben adattati al buio, dove le temperature rimangono relativamente fresche e stabili. Al contrario, altri gruppi di uccelli sfrecciano tra la chioma della foresta e il suolo, o dentro e fuori dagli spazi e dai margini della foresta».
Osservazioni a lungo termine indicano che la frammentazione in aumento delle foreste tropicali porta alla diminuzione di alcuni gruppi di uccelli e che gli uccelli insettivori del sottobosco sono tra i più colpiti. Per decenni, gli ornitologi tropicali hanno creduto che la ristretta tolleranza alla temperatura potesse essere la causa del declino degli uccelli del sottobosco, ma il nuovo studio suggerisce il contrario.
La variabilità climatica e il microclima sembrano non essere tra le cause del declino degli uccelli tropicali: « … In realtà non è una sorpresa; gli uccelli sono molto adattabili. La tolleranza al caldo da sola presenta una situazione incompleta, ma questa è un’ulteriore prova empirica che, se dovesse diventare più caldo, gli uccelli tropicali potrebbero essere in grado di tollerare un certo livello di caldo».
Fonte: https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/gli-uccelli-tropicali-potrebbero-tollerare-ilriscaldamento-globale-meglio-del-previsto/
I gufi/barbagianni hanno questo superpotere ed ecco per cosa lo utilizzano
Come è facile immaginare, ciascun esemplare emette dei suoni differenti in volo per intensità. Le cause? Principalmente le proporzioni di ciascun uccello. Il piccione ha ali piccole rispetto al suo corpo che lo costringono a sbatterle disperatamente per rimanere in volo causando un gran rumore. Al contrario, il barbagianni sostiene il suo piccolo corpo con ali relativamente grandi. Tutto ciò gli consente di planare con un singolo colpo d’ala, creando meno turbolenze d’aria e di conseguenza meno rumore. Proprio qui risiede la loro particolarità. Si sono in realtà evoluti per avere piume che smorzano il suono. Come spiega la rivista Audubon, i bordi anteriori delle penne delle ali del barbagianni, presentano dentellature che interrompono il flusso d’aria mentre gli uccelli volano. Ecco spiegato perché il suono prodotto dalla turbolenza d’aria viene praticamente silenziato. La consistenza morbida delle altre piume presenti sul corpo, attutisce ulteriormente il suono. Secondo i ricercatori la motivazione principale risiede nel facilitare la caccia. In tal modo riescono infatti ad avvicinarsi di soppiatto alle prede e, contemporaneamente, riescono ad ascoltare e triangolare la posizione della preda mentre volano senza alcuna distrazione.
Fonte: https://tech.everyeye.it/notizie/gufi-superpotere-cosa-utilizzano-706454.html
News al volo dal web e non solo
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Nomenclatura Zoologica e Cancel Culture
di IVANO MORTARUOLO, foto LE SCIENZE/MICHAEL MUNICH, THE NEW YORK TIMES/ MUSEODI STORIA NATURALEDI LONDRA, ZOOINSTITUTES.COM
La cosiddetta cancel culture (in lingua italiana “cultura della cancellazione”) ha ormai coinvolto vari ambiti sociali e del sapere, compreso il mondo della zoologia e della botanica. Una caratteristica di questa nuova espressione culturale, che sta coinvolgendo prevalentemente il mondo anglosassone, è costituita dal netto rifiuto di valori, ideali e personaggi che hanno caratterizzato i tempi passati e che si ritengono non più attuali o addirittura contrari al comune senso etico e morale. Questo enorme impulso emendatorio, che in alcuni casi può assumere
Questo enorme impulso emendatorio, che in alcuni casi
può assumere connotazione di damnatio memoriae, si avvale di un proprio lessico
Anophthalmushitleri - Come suggerisce la prima parte del nome scientifico, questo coleottero è privo di occhi. Fonte iconografica: The New York Times/ Museo di Storia Naturale di Londra
Anophthalmushitleri - Un coleottero che vive nelle grotte della Slovenia, molto ricercato da alcuni ammiratori del furher (per un esemplare sono disposti a pagare anche 2000 dollari). Il Museo di Storia Naturale di Monaco di Baviera, che ne possedeva una collezione intera, ha subito un grave danno a causa di un furto, fonte iconografica: Le Scienze/Michael Munich
connotazione di damnatio memoriae, si avvale di un proprio lessico, rispettoso e attento a non offendere la sensibilità di categorie di persone che hanno subito gravi nocumenti in varie fasi storiche o che attualmente sono discriminate per la loro condizione sessuale, sociale e così via.
Per offrire al lettore qualche esempio concreto che ci introduce nel mondo zoologico, segnatamente nell’ambito dell’entomologia, mi avvalgo di alcune informazioni fornite da Telmo Pievani nell’articolo “Coleottero Hitler e farfalla Mussolini”, pubblicato su “Le Scienze” nel dicembre 2023. Esiste un rarissimo coleottero privo di occhi, che vive nelle grotte della Slo-
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di
venia centrale, al quale lo scopritore, il naturalista austriaco Oscar Scheibel, nel 1937 attribuì il nome scientifico di Anophthalmus hitleri. La seconda parte di questa denominazione, detta anche epiteto, sta a significare “di Hitler” e, naturalmente, costituisce un omaggio e un gesto di ammirazione verso il personaggio nazista. E un’analoga gratificazione scientifica ha ricevuto Benito Mussolini, al quale è stata dedicata una farfalla libica descritta come Hypopta mussolinii
Secondo l’orientamento della cancel culture questi due nomi scientifici, insieme a numerosissimi altri che attengono a personaggi in qualche modo condannati dalla storia (si pensi a schiavisti, colonialisti, sessisti ed altro), andrebbero sostituiti con altrettanti non lesivi della sensibilità collettiva. Questa esigenza è sentita anche da un rilevante gruppo di studiosi di varie branche zoologiche e botaniche, e ciò non può non suscitare viva perplessità. Infatti, al fine di promuovere la stabilità e l’universalità dei nomi scientifici e di fare in modo che la denominazione di ogni taxon sia unica e distinta, il Codice Internazionale di Nomenclatura Zoo-
logica (ICZN ovvero International Code of Zoological Nomenclature) ha stabilito delle regole ben precise che, salvo casi rarissimi, vietano la possibilità di successivi cambi.
Non meno ingarbugliata, anche se apparentemente più agevole, è la situazione attinente ai nomi degli uccelli in lingua volgare
In altre parole, se tali richieste venissero accolte, si prospetterebbe un’anarchia in cui la logica scientifica si piega sotto il peso del rigore morale.
Non meno ingarbugliata, anche se apparentemente più agevole, è la situazione attinente ai nomi degli uccelli in lingua volgare (in questo caso in inglese). Infatti, l’American Ornithological Society, sensibile a tali istanze di cambiamento, sta progettando di revisionare i nomi che si rifanno a personaggi screditati come, ad esempio, schiavisti e razzisti.
Molto verosimilmente, i criteri di valutazione saranno ispirati a paradigmi attuali, mentre le persone contestate sono vissute in ambiti sociali, economici e culturali ben diversi dai nostri. Ipotizzo, inoltre, che tale screening morale non avrà un percorso lineare e non raramente sarà difficoltoso capire se l’ago della bilancia tende dalla parte dei “buoni” o dei “cattivi”. Cito un sol esempio per tutti. A George Washington (1732-1799), primo presidente e padre fondatore degli Stati Uniti d’America, è stato dedicato il nome scientifico e volgare di una sottospecie di aquila: l’Haliaeetus leucocephalus washingtoniensis, nota anche con la denominazione di Washington’sSea Eagle. Se consideriamo che il Presidente nella sua tenuta “ospitava” 317 schiavi, di cui 124 di sua proprietà e il restante quantitativo, pur essendo utilizzato, apparteneva ad altri, quale potrà essere la nostra “valutazione morale”? Quale sarà l’orientamento che i nostri amici ornitologi d’oltre oceano adotteranno?
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Aquila
mare testabianca Haliaeetusleucocephaluswashingtoniensis. Questa sottospecie fu descritta da J.J. Audubon nel 1827 e occupa un areale che comprende Canada e la parte settentrionale degli USA (Alaska inclusa), fonte iconografica: zooinstitutes.com
Codice Internazionale di Nomenclatura Zoologica. Un’importante guida per gli studiosi di zoologia, foto e collezione di Ivano Mortaruolo
Cronaca di un convegno annunciato
di FABIO ESBARDO, foto G. RICCIO
Si è tenuto nella sala consiliare del Municipio di Feroleto Antico, un convegno divulgativo che ha avuto per oggetto la canaricoltura. È stato un piacevole pomeriggio nel quale, dopo una pregevole introduzione fatta da Duilio Rialti, ex sindaco di Feroleto Antico, la parola è passata a Pasquale Leone, che è stato relatore unico della manifestazione.
Leone, che è cresciuto e vive a Feroleto Antico, nelle ultime due edizioni del Campionato mondiale di ornitologia si è aggiudicato il primo posto con le sue femmine di mosaico lipocromico rosso avorio.
Un evento non comune, specialmente per gli abitanti del piccolo paesino dell’entroterra calabrese, che hanno vissuto un momento d’orgoglio quando il loro concittadino e i suoi canarini hanno raggiunto per la seconda volta un traguardo così prestigioso. È stata anche un’occasione affinché la cittadinanza potesse vedere dal vivo i canarini che hanno portato lustro a questa piccola comunità e per porre una serie di domande sulla canaricoltura sportiva, della quale le persone al di fuori del mondo degli ornicoltori, per ovvi motivi, sanno poco o nulla.
La canaricoltura, dunque, è stata il leit motiv di una gradevole serata passata a parlare dei canarini vincitori del mondiale e del loro allevatore, ma anche di come si allevavano i canarini un tempo, del rapporto che c’era tra i ragazzi di una volta e la natura, nonché di come oggi si sia presa consapevolezza che i canarini e gli altri piccoli uc-
È stata anche un’occasione affinché la cittadinanza potesse vedere dal vivo i canarini che hanno portato lustro a questa piccola comunità
celli domestici siano esseri senzienti e che pertanto debbano essere mantenuti con le dovute attenzioni. Della manifestazione è stato magistralmente dato conto sui giornali locali dalla giornalista Valeria Bonacci, ottenendo un riscontro mediatico importante.
A questo va aggiunto che Pasquale Leone, nel circuito ornitologico, è una persona conosciuta nonché impegnata. Da oltre un decennio Presidente dell’associazione ornitologica Brutia di Lamezia Terme, già Vicepresidente della commissione per il benessere animale del comune di Lamezia Terme, collaboratore di varie riviste su cui scrive esclusivamente di uccelli d’affezione, nonché lecturer di vari progetti che coinvolgono le scuole di ogni ordine e grado, sempre sullo stesso ed unico argomento, i canarini. Si può facilmente immaginare come, quando al riverbero mediatico si sono uniti anche i gruppi social, l’evento stesse prendendo una piega completamente diversa da quella con cui era stato pensato in origine.
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La locandina del convegno divulgativo
Pasquale Leone, relatore del dibattito
Per quanto Leone non abbia voluto né confermare né smentire, pare che si siano proposti di partecipare al dibattito (allo scopo di dare un valore aggiunto all’evento, in virtù del rapporto
di amicizia con lo stesso Leone) operatori e professionisti aventi legami con l’ornitologia, provenienti anche al di fuori della regione. Voci di corridoio hanno parlato di operatori di etologia
relazionale, dirigenti di stazioni ornitologiche e veterinari.
È stato necessario fare paradossalmente una sorta di controinformazione per ridimensionare l’affluenza prevista, specificando il focus, la tipologia di persone alle quali il dibattito era rivolto ed il fine col quale si era proposto il convegno.
Sono rimasto basito - racconta Leonedi come siano andate le cose. La maggior parte dei giornali locali ha scritto dei miei canarini e del convegno. Non facevo in tempo a ringraziare la redazione di un giornale che già partiva il comunicato stampa di un’altra testata. Non nascondo che la cosa mi abbia fatto piacere. I motivi sono tanti; sia per l’interesse dimostrato verso la mia persona, sia perché ciò significa che il gruppo che compone l’Associazione ornitologica che presiedo pare stia raccogliendo i frutti di quanto seminato nell’arco degli anni. In molti dicevano che la canaricoltura è un hobby destinato a morire. Beh, così non sembra, almeno dall’interesse che questo dibattito ha stimolato nell’area dell’hinterland lametino.
In effetti, i fatti sembrano dare ragione a Leone, poiché l’interesse c’è stato ed è stato un interesse che è andato ben oltre la presenza al convegno in sé.
Forse tutto ciò è una buona occasione per fare una riflessione. L’interesse per la canaricoltura, di certo, è stato palese; se in passato noi ornicoltori non lo abbiamo riscontrato, probabilmente o non ci siamo posti nella maniera giusta ai nostri interlocutori o non abbiamo individuato gli argomenti giusti da dibattere.
Di certo, ciò che si evince è che la tendenza attuale sembra dare ragione ad un approccio come quello proposto da Pasquale Leone oggi e da Giuseppe Albergo già da alcuni anni.
Un approccio informale, leggero e soprattutto che mantenga vivo l’interesse per tutta la durata degli eventi, rendendoli quindi un momento estremamente gradevole.
Per questo c’è bisogno di proporre gli argomenti avendo le dovute nozioni ma anche con un approccio che non solo abbia i modi, ma anche i “profumi” d’altri tempi.
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Pasquale Leone affiancato da Duilio Rialti, moderatore della manifestazione
Notevole affluenza di pubblico per un dibattito sulla canaricoltura
Lo stamm di canarini campioni del mondo a Talavera de la Reina