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La fauna alloctona indesiderata
Un problema emergente
di ROBERTOBASSOe A. BOLZONETTI, foto ARCHIVIOMUSEOCIVICO DIJESOLO
Questa gravissima e nuova mi - naccia è stata più volte affrontata da 196 nazioni che hanno ratificato la Convenzione di Rio sulla Biodiversità, la quale impegna tutti gli aderenti a studiare il fenomeno con attenti monitoraggi e ad eradicare le specie invasive che costituiscono una minaccia per la bio di ver sità. In precedenza, la Convenzione di Berna sulla Conservazione della Vita Selvatica e degli Habitat naturali in Europa aveva previsto azioni analoghe. In diversi suoi lavori, il Dott. Piero Genovesi, Dirigente Responsabile del Servizio per il Coordinamento della Fauna Selvatica dell’I.S.P.R.A., figura ritenuta tra i massimi esperti italiani in merito alla fauna alloctona, più di una volta ha dichiarato: “Un pericolo minaccia un quinto di tutti i vertebrati considerati a rischio di estinzione nel mondo. Non è la distruzione degli habitat, e neanche l’inquinamento o la caccia eccessiva. Il 20% di questi animali è in realtà minacciato da specie alloctone, cioè originarie di altre aree ed arrivate in seguito all’azione dell’uomo.” L’Italia ha più volte rischiato di essere deferita alla Corte di Giustizia Europea proprio per non aver rispettato gli impegni internazionali sovra citati. Eppure, nonostante tutto ciò, in Piemonte è stato bloccato un piano di controllo numerico su una specie di scoiattolo, lo Scoiattolo grigio (Sciurus caroli nen sis) originario del Nord Ame
Soggetto adulto di Ibis sacro, foto: G. Boano
rica, il quale, introdotto in Liguria nel 1966 ed in Piemonte nel 1930, attualmente in quest’ultima regione risulta presente con oltre 10.000 esemplari naturalizzati. Esso arreca gravi danni alle specie arboree decorticandole, compromettendo lo sviluppo di giovani piante, ma in molti casi ne provoca la morte in quanto la porzione di corteccia asportata, sovente, comprende l’intera circon fe renza dei tronchi. Oltre a ciò, cosa ben più grave è la competizione che questa specie
Copertina dell’importante volume pubblicato dall’I.N.F.S.
alloctona ha nei confronti della nostra popo la zione autoctona di scoiattoli rossi: dove vi è lo scoiattolo grigio scom - pare quello rosso. Questo fenomeno è stato riscontrato anche in altri Paesi europei, i quali presentano lo stesso nostro problema, come Irlanda e Scozia, che in breve tempo hanno visto scomparire lo scoiattolo rosso in ampie porzioni del loro territorio. A questo punto, visto sinteticamente l’impatto e le problematiche che una sola specie invasiva sta arrecando al nostro Paese, non è chiaro il motivo per cui l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale competente in materia, dopo aver effettuato tutti i necessari studi preliminari abbia subìto una condanna, anche se poi annullata in appello, per aver cercato di far rispettare impegni internazionali e tutelare le nostre specie autoctone. Questa domanda andrebbe rivolta, con tutte le relative responsabilità etico-naturalistiche, a quelle frange estremiste di pseudo-animalisti che a seguito di una irrazionale campagna di disinformazione hanno addirittura ottenuto ragione in primo grado. E soprattutto a chi ha avuto il ruolo di amministrare la giustizia in questo caso paradossale. Intanto lo scoiattolo grigio continua ad espandersi numericamente e territorialmente mi nacciando di raggiungere le Alpi, dalle quali potrà espandersi in Fran - cia e Svizzera creando sempre maggiori danni alla biodiversità e facendo lievitare i costi di intervento quando si dovrà intraprendere la necessaria azione di controllo numerico o di eradicazione. Ed essendo la popolazione italiana
Gambero rosso della Louisiana, responsabile della drastica riduzione della nostra specie autoctona
l’unica di tutta l’Europa continentale, è nostra la responsabilità di rimuo - vere lo scoiattolo grigio prima che si espanda al resto del continente. Per questo, il Consiglio d’Europa – che è l’autorità che vigila sull’applicazione delle politiche di conservazione in Europa – ha minacciato di avviare una procedura d’infrazione contro l’Italia. Va sottolineato che la rimozione di una specie non è una decisione che può essere presa a cuor leggero; rappresenta comunque uno strumento estremo, che va valutato con molta cautela, analizzando i pro ed i contro. Ma non si può neanche chiudere gli occhi. Riguardo questa vicenda va riconosciuta l’opposta e coerente posizione che hanno però unanimemente tenuto i movimenti ambientalisti italiani: WWF, LIPU e Legambiente, che in questo caso hanno dimostrato di aver compreso la gravità del problema, al contrario delle frange estremiste dei movimenti animalisti che invece sono animati unicamente da impulsi emotivi incontrollati. Numerosi sono stati anche gli articoli apparsi negli ultimi anni su riviste scientifico-natu ra - listiche come Airone, Oasis, Focus, Habitat che hanno ampiamente trattato il problema, svolgendo un importante ruolo educativo e di sensibilizzazione nell’opinione pubblica sostenendo le scelte dell’I.S.P.R.A. Ma vediamo cosa prevedono su questo tema le normative nazionali vigenti. La legge sulla fauna selvatica omeoterma n.157 dell’11/02/1992 vieta implicitamente l’introduzione di specie estranee alla fauna indigena, ma teoricamente protegge tutta la fauna selvatica in grado di automantenersi. L’art. 19 della stessa legge prevede la possibilità di intervenire su specie non cacciabili nei casi in cui si comprovasse una dannosità alle colture, alla fauna o all’ambiente in generale. È chiaro che tale normativa presenta genericità e carenze che potrebbero essere strumentalizzate, ma consen - te comunque di intervenire. Vediamo ora quali altre specie alloctone di mammiferi stanno creando danni ambientali o minacciano le nostre specie autoctone.
La nutria, originaria del Sudamerica, dall’inizio del 1920 ha iniziato a diffondersi in alcune regioni italiane con tutto un alternarsi di successi ed insuccessi sino ad arrivare ad oggi, quando la si vede ormai ampiamente diffusa in tutta Italia ove vi sia presenza di fiumi, torrenti, canali o invasi naturali ed artificiali. I danni alle reti idriche e di canalizzazione a volte sono incalcolabili in quanto rendono indispensabili continui e ripetitivi interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, con l’impiego di mezzi meccanici e notevole manodopera. Anche le produzioni cerealicole e ortofrutticole risentono della presenza invasiva di questa specie; lo dimostrano le sempre maggiori richieste di risarcimento danni avanzate dai titolari delle aziende agricole o da cooperative. Anche per questa specie, se si fosse intervenuti per tempo, la situazione sarebbe stata più facilmente ge - stibile; solo nel 2014 è stato modificato il suo statusnormativo ed è stata inserita nell’art. 2 della L. 157/1992, equiparandola a ratti e talpe. Questo consente una maggiore libertà operativa, ma con un colpevole ritardo; ora la presenza è segnalata anche in corsi d’acqua minori e nel sud Italia, in regioni come Calabria e Sicilia, ne sono stati documentati diversi nuclei naturalizzati. L’Amm. Prov. di Ferrara, Rovigo, Ravenna, Serv. Naturalistico Difesa del Suolo Protezione Flora e Fauna - Oasi e Zone Protette ha messo a punto diversi piani operativi che, dopo varie fasi di preparazione e l’abilitazione di un folto gruppo di qualificati operatori, dopo oltre 20 anni sono stati attivati, riuscendo a prelevare dal l’am biente naturale diverse decine di migliaia di esemplari, riducendo in questa prima fase la densità numerica della popolazione di nutrie e subito, parallelamente, hanno dimostrato una diminuzione dei danni ambientali, che comunque ogni anno ammontano ad alcuni miliardi. Danni che negli ultimi anni stanno interessando anche numerose specie avifaunistiche tipiche delle zone umide, soprattutto folaghe, gallinelle d’ac - qua, germani reali, volpoche, mignat -
L’ormai diffusa e ben nota nutria originaria del Sudamerica
tini piombati, svassi maggiori e tuf fet - ti; questi ultimi vedono con ti nua men - te affondati o calpestati i loro nidi, in quanto le nutrie durante i loro andirivieni notturni e crepuscolari fini scono inevitabilmente con il salire sulle piatta for me galleggianti realizzate da queste specie per nidificare, affondandole o calpestandone il con tenuto. Questi comportamenti sono stati negli ultimi anni attentamente stu diati e
Il visone, reale minaccia per tutti i nostri mustelidi autoctoni
seguiti da diversi ornitologi italiani e stranieri che ne hanno sottolineato il rilevante impatto sulla bio diversità. È noto che da anni nel nord Italia, a seguito di veri e propri raid vandalici compiuti da frange estremiste di animalisti a danno di laboratori di ricerca farmacologica o virologica, sono stati liberati migliaia di esemplari di visone. Questi mustelidi si sono anch’essi perfettamente ambientati e stanno cre
Non facciamoci ingannare da questa tenera immagine: lo scoiattolo grigio ha di fatto azzerato, dove è presente, il nostro autoctono scoiattolo rosso
ando un impatto predatorio inusuale sulle nostre specie autoctone, compresi i nostri mustelidi: dove sono presenti i visoni, tendono a rarefarsi o scomparire puzzole, faine e martore a causa della competizione sul piano alimentare e della difesa del territorio riproduttivo. In merito a questa emergenza sono numerosi gli enti o istituti italiani che si stanno interessando programmando ricerche, monitoraggi e campagne di sensibilizzazione o educazione. Quando si parla di specie alloctone, non si deve pensare solo ad uccelli o mammiferi, ma anche a tantissime specie di pesci, insetti, crostacei, molluschi, rettili, vegetali che con un ritmo incalzante stanno colonizzando ambienti sia marini che d’acqua dolce. L’I.N.F.S., in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente “Servizio Conservazione della Natura”, ha pubblicato il secondo numero dei Quaderni di Conservazione della Natura, dal titolo: “Mammiferi ed Uccelli esotici in Italia: analisi del fenomeno, impatto sulla biodiversità e linee guida gestionali”. Gli autori hanno con meticolosità svolto numerose indagini conoscitive su svariate specie di mammiferi ed uccelli alloctoni in Italia, nell’opera di 189 pagine. Con scrupolo e ob biet tività questo volume dà anche una chiara definizione di alcuni termini relativi alla presenza di fauna selvatica in Italia: Specie autoctona (o indigena): spe - cie naturalmente presente in una de - terminata area nella quale si è originata o è giunta senza l’intervento diretto (intenzionale o accidentale) dell’uomo. Specie alloctona(o esotica): specie che non appartiene alla fauna originaria di una determinata area, ma che vi è giunta per l’intervento diretto (intenzionale o accidentale) dell’uomo. Specie naturalizzata: specie alloctona per una determinata area ove è rappresentata da una o più popolazioni che si autosostengono. Specie acclimatata: specie alloctona per una determinata area ove è rappresentata da uno o più nuclei non naturalizzati. Specie invasiva: specie naturalizzata che determina un impatto rilevante sulle biocenosi. Introduzione: trasferimento e ri la - scio (intenzionale o accidentale) di una entità faunistica in un’area posta al di fuori del suo areale di documentata presenza naturale in tempi storici. Infine, non si può non citare la presenza dell’Ibis sacro che in Italia è in forte incremento numerico e rapida espansione territoriale. Nella sola Regione Piemonte nel 2019 si stima una popolazione di circa 10.000 individui; parrebbe che questa densità sia stata raggiunta in poco più di 30 anni, problema che sta interessando anche le Regioni Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Difatti, la specie sta progressivamente spostandosi e colonizzando il centro – sud Italia. Nel Delta del Po, Legambiente ha lanciato diversi messaggi di allarme e preoccupazione invitando gli organi competenti, ovvero Regioni e Ministeri, ad intervenire con misure drastiche di contenimento. In pressoché tutte le oasi naturalistiche dove negli anni si sono costituite colonie nidificanti di ardeidi sono stati rilevati casi di predazione di uova e pulcini con l’azzeramento di tutte le altre specie presenti. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio comunicava nell’aprile 2017: “Eradicazione dell’Ibis sacro (Threskiornis aethiopicus) – Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio 114/2014 del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire ed a gestire l’introduzione e la diffusione di specie esotiche invasive. Il regolamento di Esecuzione n. 2016/ 1141 dell’Unione Europea, recante prima lista di specie esotiche invasive di interesse unionale, include l’ibis sacro (Threskiornis aethiopicus). Ai sensi del Regolamento 1143/2014 tutti i Paesi dell’Unione Europea devono provvedere all’eradicazione, o laddove non possibile, al controllo efficace della popolazione delle specie esotiche invasive di interesse unionale…” “…La Legislazione vigente, attraverso gli art. 2 e 19 del L. 157/92 affida alle amministrazioni regionali il compito di impostare gli interventi di eradicazione e controllo in forma coordinata e organica. Per quanto sopra esposto, e tenuto conto che per il momento gli esemplari di Ibis sacro in Italia nidificano nelle Regioni settentrionali, si chiede alle Amministrazioni in indirizzo di voler porre in essere ogni utile ed efficace iniziativa per l’eradicazione della specie, anche avvalendosi della consulenza tecnica dell’ISPRA”. Successivamente l’ISPRA (Istituto Su - periore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), in data 31/05/2017 esprimeva parere di “Eradicazione IBIS Sacro Piemonte”; nel contenuto della
missiva vengono argomentati vari aspetti e indicazioni tecnico-operative. Il Piemonte già in quella data aveva la popolazione di Ibis sacri più numerosa d’Italia, pertanto segnalava necessità di attivare con urgenza operazioni di contenimento della popolazione, suggerendo inoltre di considerare “… l’abbattimento sul nido in fase di incubazione, con carabina calibro 22 in modo da escludere effetti di disturbo all’intera garzaia…”; inoltre, sempre l’ISPRA richiedeva un fattivo coinvolgimento dei guardiaparco delle aree protette interessate. Non bisogna però dimenticare che in Italia è vietato l’uso venatorio della carabina calibro 22, “come anche del silenziatore”, a differenza degli altri Stati europei dove è liberalizzato come qualsiasi altro calibro e il silenziatore è di frequente in dotazione per casi o situazioni di prelievo che hanno criticità. Per tutta una serie di complicazioni tecnico – burocratiche e per mancanza di fondi parrebbe che le regioni abbiano disatteso queste indicazioni date dal Ministero dell’Ambiente e dall’ISPRA. Pertanto, oggi l’Italia nuovamente rischia di incorrere in sanzioni da parte della Comunità Europea per aver trascurato aspetti legislativi e preventivi rivolti alla tutela della nostra biodiversità e quella degli Stati confinanti. Non bisogna quindi lasciarsi ingan nare dall’attraente piumaggio e comportamento di questa specie invasiva, bensì considerare l’impatto fortemente negativo che sta producendo a danno della nostra biodiversità. I fondamentalisti animalisti e gli pseudo-ambientalisti che si lasciano emotivamente condizionare da senti mentalismi privi di fondamento tecnico – scientifico spesso riescono ad avere spazi sui mezzi di comunicazione, dove pubblicano articoli fasulli enfatizzando il “ritorno” dell’ibis sacro. Invece, dovrebbero prendere esempio dai loro colleghi d’oltralpe che hanno dimostrato e dimostrano ben maggiore sensibilità e responsabilità nella tutela della preziosa biodiversità. Oca egiziana, cigno nero, anatra mandarina, anatra sposa, anatra muta, tutte queste specie abbondantemente allevate in cattività o semi-cattività
Il parrocchetto dal collare è una specie ormai naturalizzata in Italia con popolazioni consolidate in Liguria, Sicilia, Campania, Puglia, e Lazio; è in espansione in molte altre regioni. Questa specie è la principale causa della distruzione dei nidi del passero domestico
sono soggette a facili fughe e conseguente riproduzione, nonché acclimatazione in natura. In particolare, il cigno nero per la sua indole terri - toriale – aggressiva durante il periodo riproduttivo - impedisce ad altre specie autoctone di riprodursi su vasti territori da lui occupati, con conseguenti gravi squilibri. Rilevante anche la diffusione di psitacciformi: in Italia sono numerose le colonie nidificanti di parrocchetto alessandrino, parrocchetto dal col - lare, inseparabile d’Abissinia, parrocchetto monaco che hanno costituito colonie più o meno numerose in diversi parchi e giardini di città ita - liane. Numerose sono anche le specie esotiche di piccoli passeriformi che hanno colonizzato il territorio ita liano; i più significativi sono bengalino comune, diamante mandarino, domino, estrilda becco di corallo, vedova paradisea, tessitore dorato, gen dar - me vescovo rosso. Molte di queste specie alloctone sono entrate in competizione alimentare e per i siti di ni - di ficazione con le specie autoctone che da sempre popolano i nostri parchi e giardini urbani e suburbani. L’evolversi di questo fenomeno è attentamente seguito da tecnici non solo italiani, che collegialmente nutrono preoccupazione. La prevenzione di nuove introduzioni rappresenta indubbiamente la misura più efficace ed economica per limitare i rischi complessivi legati alla diffusione di specie invasive. Per questo fine è necessario controllare l’importazione delle specie alloctone potenzialmente invasive, collegando tale possibilità ad una procedura autorizzativa. Al tempo stesso, occorre impedire e vigilare per evitare il rilascio in natura, intenzionale o accidentale, di esemplari esotici già presenti nel nostro Paese. Sarebbe utile, da parte degli organi competenti, iniziare a valutare la possibilità di assegnare alle specie e so - tiche invasive lo stesso statusgiuridico attribuito a topi, ratti e nutrie; in questo modo risulterebbe molto più agevole intervenire in maniera tempestiva, evitando tra l’altro delle possibili odissee giudiziarie a chi abbatte animali che rappresentano un pericolo per la no stra biodiversità.
La Trachemys scripta è concausa della drastica riduzione della nostra specie autoctona Emys orbicularis