Italia Ornitologica Gennaio 2020

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Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

ANNO XLVI numero 1 Gennaio 2020

Canarini di Colore

Canarini di Forma e Posizione Lisci

Estrildidi Fringillidi Ibridi

Eumo: divagazioni sul tema

Norwich: Canarino secolare

I Pigliamosche del genere Niltava

Ondulati ed altri Psittaciformi

Il Cannella



ANNO XLVI NUMERO 1 GENNAIO 2020

sommario 3 5 11

Rapportarsi con gli altri Giovanni Canali

Eumo: divagazioni sul tema Mimmo Alfonzetti

Norwich: Canarino secolare Sergio Palma

Alfredo Brandolini Roberto Basso e Angelo Blancato

La Calendula officinale: un fiore polifunzionale Pierluigi Mengacci

Orni-flash News al volo dal web e non solo

Considerazioni sul rosso ed il mosaico Giovanni Canali

Tate dieci sorelle? Chi sono? Piergianni Amerio

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Canarini di Forma e Posizione Lisci

Ondulati ed altri Psittaciformi

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Una rivoluzione nelle casette di nidificazione Randy Berry, adattamento Guglielmo Petrantoni

La divulgazione è conoscenza Nicola Brunori e Ilana Rossetti

Gianluca Todisco

I Pigliamosche del genere Niltava Piercarlo Rossi

Il Cannella Giovanni Fogliati

Prebiotici, probiotici, postbiotici, microbiota… facciamo un po’ di chiarezza

27 Breve storia di una mancata “riscoperta” Ivano Mortaruolo 29 Diego Cattarossi

Standard provvisorio dell’Isabella jaspe diluizione semplice Spazio Club Club Diamante Codalunga

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Veterinario

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Canarini di Colore

Pagina aperta Argomenti a tema

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Editoriale

Rapportarsi con gli altri di G IOVANNI CANALI

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o più volte espresso la valutazione secondo la quale ci dovremmo rapportare maggiormente verso l’esterno: quella che spesso viene chiamata “società civile”, con una definizione opinabile, ma recepita e alla moda. I vantaggi sono evidenti: una migliore conoscenza, il superamento di pregiudizi negativi, la reciprocità di scambi culturali con associazioni o enti e certo la possibilità di avere più adepti. Un tentativo è stato fatto con la FOI scuola, che ben ricordo, visto che anni or sono ero fra quanti illustravano il comportamento da tenere e gli argomenti a coloro che venivano selezionati per tale bisogna. Non saprei dire se il progetto abbia dato i frutti sperati, certo qualcosa si fece. Io stesso sono andato in una scuola elementare per esporre temi attinenti al nostro hobby, così ampio di motivazioni. Abituato a tenere corsi per allievi giudici, il mio primo punto di attenzione fu quello di adeguarmi ai giovanissimi interlocutori. Poi mi premurai di coinvolgere anche gli insegnanti. Sempre rimanendo a livelli elementari, più che altro per suggerire argomenti accattivanti e semplici da ribadire in futuro. Certo, in una scuola per periti agrari mi sarei trovato meglio, potendo affrontare temi più pregnanti culturalmente. Tuttavia, anche a livelli elementari una certa soddisfazione c’è, quando si riesce ad interessare gli ascoltatori. Un aspetto che mi stupì fu il comportamento dei bambini; infatti, c’era una foresta di manine alzate per chiedere di intervenire, al fine di domandare spiegazioni o anche per contestare. Ai miei lontanissimi tempi delle elementari c’era molta più timidezza e ben pochi, in casi del genere, si azzardavano ad alzare la mano. Non so se oggi sia tutto meglio, ma allora non si dava del tu al maestro chiamandolo per nome, ma si diceva “signor maestro”, e quando prendevo uno scapaccione mi guardavo bene dal dirlo alla mamma, altrimenti rischiavo che me ne arrivasse subito un altro e poi avrei dovuto dare spiegazioni e magari subirne così un terzo. Quindi, “zitto e mosca”, rimanevo nel primo danno. Oggi i maestri rischiano proteste, talora facili. Ho fatto questa digressione perché penso che oggi vi siano aspetti migliori, ma non tutti. Ognuno può valutare come meglio crede. Ovviamente, sono cosa del tutto diversa i veri maltrattamenti, che vanno condannati senza riserve e puniti adeguatamente.

Di certo, attualmente, i bambini hanno meno remore ed intervengono a tutto campo. Nel caso di cui sopra, alcuni intervenivano a sproposito, magari solo per dirmi che un certo loro zio aveva un canarino, altri con domande più mirate su come tenere gli uccellini, altri ancora contestavano, parlando di sottrazione al cielo degli uccellini. Non sono certo digiuno di dibattiti, tuttavia dico di averci dovuto mettere un certo impegno; non sempre era una passeggiata. Fu importante sottolineare che i nostri uccellini sono nati in gabbia, non sono di cattura e che con l’allevamento si possono fare tanti studi e proteggere i selvatici, rendendo sempre meno interessanti gli episodi di bracconaggio. Certo, ho citato come sempre l’esempio delle specie salvate dall’estinzione grazie all’allevamento, classico il caso dell’oca nene. Il modo di spiegare deve essere a livello degli ascoltatori, come dicevo; inoltre, bisogna cercare di colpire la fantasia ed attirare l’interesse. Esemplificando: quando un maestro, anzi per me un “signor maestro”, mandò una diapositiva attinente ad uno scheletro di uccello chiedendomi di dare spiegazioni, fra le altre cose non esitai ad agitare le braccia come ali, spiegando che le ali corrispondevano alle braccia e con un certo sforzo (sfidando il ridicolo, non sono certo Bolle), mi alzai anche sulle punte per far capire che se gli uomini sono plantigradi come gli orsi, cioè camminano sulle piante, gli uccelli sono digitigradi, cioè camminano sulle dita, come i cavalli. Le scuole a volte vengono da noi per visitare il museo ed anche qui devono avere spiegazioni adeguate e proporzionate al loro livello, possibilmente con aspetti divertenti. So che Guglielmo Petrantoni se la cava benissimo come illustratore a tutto campo, anche quando ci sono scuole elementari; infatti, i bambini sono entusiasti, ho letto temi in tal senso. Spero di essermela cavata bene pure io in altri casi, sia con istituti che gruppi e specialmente quando è venuta la televisione di Canale 5, spiegando esaurientemente il contenuto delle varie vetrine, nei tempi brevi indicati e, se richiesto, pure con un aneddoto. Il segreto è capire ciò che desiderano gli interlocutori, facile da dire, ma non sempre da realizzare. Praticamente impossibile se si tratta di un gruppo eterogeneo con persone aventi livelli diversi e quindi esigenze diverse. In questo caso non

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Editoriale

Immagine tratta da: medium.com

resta che passare, per salto, dall’elementare all’elevato, rischiando di scontentare tutti e, se va bene, di essere accettabili a tutti. Un aspetto sempre o quasi sempre utile è quello di inserire nel discorso motti di spirito o immagini suggestive per sollecitare l’attenzione. Non manco mai, ad esempio, di recitare qualche verso della “Cavalla storna” davanti allo storno, per dire che da lì deriva il termine “storno”, riferito al mantello del cavallo, in analogia con la livrea dello storno. Vale a dire che nel cavallo il mantello grigio classico è bianco a punti scuri e il mantello storno è scuro a punti bianchi. Allo stesso modo recito qualche verso de “Il passero solitario” davanti allo stesso. Una cosa che considero utile è quella di fare analogie fra le diverse specie, sia per evidenziare aspetti simili come anche diversi. Questo metodo, però, richiede una preparazione profonda ed interlocutori di un certo livello, quindi non è sempre fattibile. Per valutare l’attenzione è bene osservare l’atteggiamento delle persone, gli sguardi annoiati sono spesso evidenti. Un buon metodo è quello di coinvolgere i presenti in una sorta di conversazione per farli partecipare attivamente. Questo aiuta anche ad affrontare i temi che sono per loro più interessanti e che emergono dalla conversazione stessa. Salvo pochi casi, è bene evitare di fare domande per non creare imbarazzo. A volte l’ignoranza rasenta livelli “sublimi” anche in persone che qualcosa dovrebbero sapere. Vanno

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bene le domande per conoscere gli argomenti che si vorrebbero approfondire. Il mio sogno sarebbe quello di rapportarmi con l’università, ma temo che rimarrà una chimera. Non che ci sia carenza di argomenti, tutt’altro, ma vi sono altre difficoltà che ritengo insuperabili. Forse all’estero ci potrebbe essere una situazione diversa, ma comunque ci sono sempre difficoltà, in questo caso anche linguistiche. Ovviamente, occorre avere disponibilità verso i visitatori delle nostre mostre di ogni livello, mettendo a disposizione accompagnatori che si rapportino come indicato per le scuole. Non facile trovare sempre persone idonee, ma ritengo sia possibile almeno nella maggior parte dei casi. Utilissimi gli inviti a visitare le mostre rivolti alle scuole. Se poi ci fosse un insegnante di biologia interessato sarebbe il massimo. A me è capitato una volta ed è venuto fuori un incontro veramente interessante. Venivo sollecitato da domande acute e questo mi dava l’occasione di approfondire temi che, senza la presenza di quell’insegnante, forse non avrei neppure toccato, essendo molto impegnativi. Tuttavia, devo aggiungere che la scolaresca (mi pare di ricordare liceali) per la maggior parte sembrava seguire con interesse, direi non simulato. Del resto, avevo cura di non trasformare l’incontro in un dialogo a due e mi rivolgevo spesso agli studenti, magari con semplificazioni abbastanza comprensibili. È importante non trascurare, in caso di incontri collettivi, la maggioranza. Accade talora che siano sempre solo 2 o 3 persone ad intervenire, e questo rischia di far sentire esclusi gli altri. Certo, quando si parla in pubblico è abbastanza facile che si guardi maggiormente una persona particolare, che diventa come un riferimento. Può essere utile ma se, come spesso accade, questi è di livello superiore alla media, si crea uno scollamento con la maggioranza che è bene non accada. Di conseguenza, è bene cercare di estendere l’attenzione. Se l’uditorio è poco numeroso, anche interpellando persone magari conosciute su qualche esperienza o sull’interesse che suscitano gli argomenti usati, eventualmente anche modificandoli o cercando di esemplificare. In effetti, l’esempio aiuta moltissimo. Non tutti hanno doti di comunicazione, ma se l’argomento è ben conosciuto e non si vuole strafare, di solito si riesce ad uscirne abbastanza bene, magari con qualche accorgimento come quelli che ho cercato di indicare. Preciso che non sono un esperto di comunicazione; quello che ho indicato corrisponde ad esperienze personali e alle mie opinioni. Chi, più esperto di me, volesse fare osservazioni, sappia che sarebbero molto gradite.


CANARINI DI COLORE

Eumo: divagazioni sul tema testo e foto MIMMO ALFONZETTI

Abstract Erano gli anni ’80 quando la mutazione eumo irruppe prepotentemente nei nostri allevamenti. Una mutazione di particolare originalità che, al contrario delle precedenti che influenzavano il tono delle eumelanine in termini di riduzione (in misura minore le feomelanine), provocava essenzialmente una drastica riduzione delle feo quasi prossima ad una inibizione. Numerosi sono gli articoli interessanti e completi sulla mutazione eumo e la disponibilità di materiale tecnico ben elaborato è facilmente fruibile; le digressioni che seguono sono frutto di laboriose ricerche sul web, quindi non vogliono aggiungere nulla a fatti già noti se non la modesta presunzione di perfezionarne la conoscenza. Forse l’approccio con cui descriverò le caratteristiche dei tipi influenzati dal fattore eumo sarà innovativo perché fatti rientrare nel capitolo più generale dell’albinismo. Un po’ di storia Correva l’anno 1981: la scena è l’allevamento del sig. Van Haaf a Radewijk (Paesi Bassi), la gabbia quella relativa ad una coppia gialla AGATA x ISABELLA, figlio per madre, la covata era la terza. L’obbiettivo era una prole di isabella con un disegno evidente. Nel cestino alla schiusa apparvero, tra gli altri, due pulli che destarono subito l’attenzione del sig. Van Haaf. Sembravano due isabella con occhi visibilmente rossi, ma c’era qualcosa di diverso. La presenza di eumelanina nera diventava evidente man mano che i pulli si arricchivano in piumaggio, ma

Il fattore EUMO è caratterizzato da una riduzione della eumelanina nera (nei neri e nel tipo agata), della eumelanina marrone (nei tipi bruno e isabella)

meno marcatamente rispetto alle agata classiche; per giunta gli occhi rimasero leggermente rossi. Era apparsa la mutazione “EUMO”. A fine muta, l’allevatore scoprì che i due mutanti erano un maschio e una fem-

Fig. 1 - Copritrice agata eumo mosaico giallo. In evidenza l’interstria che appare quasi bianca (tracce di lipocromo giallo) per riduzione della feomelanina e la ristrettezza della striatura

mina, deducendo che il fattore mutante fosse autonomo e recessivo, cosa che è stata confermata in seguito. Difficoltoso fu negli anni successivi l’accoppiamento in purezza: la salute dei pulli era scarsa, segno evidente della loro natura albinoide. Fu la ragione per cui divenne difficile creare un mutato in purezza negli anni seguenti. I risultati dell’allevamento hanno dimostrato, in seguito, che i novelli più sani sono coerenti con l’accoppiamento di puro x portatore. Soltanto nel 1992, presso l’allevamento di Mr. Van Boven in Wichelen (comune belga fiammingo) il fattore rosso fu trasferito nei canarini “EUMO”. Perché il nome “eumo” Nel momento in cui appare una nuova mutazione nasce il problema di come denominarla. Inizialmente, fu assegnato il nome di mutante di “VAN HAAF” rispetto all’allevatore che l’aveva concretizzata. Non è usuale, tuttavia, nominare una mutazione con il nome dello scopritore. Alla riunione del comitato tecnico dei Paesi Bassi, fu proposto il nome EUMO. La denominazione EUMO fu scelta in base alla particolarità del fattore genetico che lasciava visibile solo eumelanina. Eumelanina = EUM. La “O” (oeil) sembra che fosse stata aggiunta per ricordare che gli occhi sono rossi. Effetti della mutazione eumo Il fattore EUMO è caratterizzato da una riduzione della eumelanina nera (nei neri e nel tipo agata), della eumelanina marrone (nei tipi bruno e isabella) e cosa importante una

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riduzione massiva delle feomelanine così estrema da consentire la massima espressione del lipocromo di fondo. La riduzione delle eumelanine si traduce in striature sottili che si concentrano sull’asse delle piume (la rachide deve essere pigmentata nei neri). Il tenore colorimetrico delle melanine attinenti alle striature ha una gradazione minore del corrispondente tipo base. La riduzione estrema della feomelanina, insieme al restringimento delle dimensioni delle striature di eumelanina, consente agli EUMO un eccellente contrasto tra le stesse e il colore del fondo. Il colore degli occhi caratterizza fortemente questa mutazione: rosso prugna molto scuro nella serie dei neri, gradazioni di rosso vermiglio o rubino invece nella serie degli agata e dei bruni e isabella. Natura albinoide dell’eumo L’occhio rosso tradisce la natura albinoide dell’Eumo. L’albinismo in generale è causato da uno dei tanti possibili difetti (mutazioni) di quei geni, finora individuati, che danno all’organismo le istruzioni necessarie per la produzione o la distribuzione del pigmento melanico nella pelle (nelle piume degli uccelli) e negli occhi. È noto da tempo che ci sono diversi tipi di albinismo; ogni tipo di albinismo è causato da un determinato gene, difettoso in una delle sue parti. È sufficiente, dunque, che sia difettoso uno di esse perché non ci sia produzione di pigmento o che ce ne sia in quantità non sufficiente. Tutta la colorazione nera e marrone negli uccelli ha origine dalla melanina. Gli uccelli creano pigmenti di melanina usando un enzima (tirosinasi) e questa melanina si deposita nelle piume in crescita. La tirosinasi aviare è composta da 529 aminoacidi (Mochii, Yamamoto, Takeuchi, Eguchi-1992) ed è codificata dal gene locus-C (Oetting, Churchill, Yamamoto-1985), la cui eredità è autosomica recessiva. Il gene strutturale della tirosinasi è storicamente noto anche come locus albino (Locus ino), dal momento che le mutazioni a carico di questo locus sono associate all’albinismo, disturbo pigmenta-

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rio presente in tutto il regno animale, dagli invertebrati all’uomo. In qualsiasi fase e per molte diverse ragioni questo complesso processo di pigmentazione può interrompersi, portando a una varietà di limitazioni: • l’incapacità di produrre melanina e completa assenza di melanina • l’incapacità di depositare melanina nelle piume • un fallimento nell’ossidazione completa della melanina che porta a un cambiamento di colore da nerastro a brunastro • una perdita parziale di uno o entrambi i tipi di melanina e quindi una minore concentrazione di melanina nelle piume La letteratura scientifica riconosce in queste condizioni gli esseri affetti da albinismo. “L’idea tradizionale che molte persone hanno dell’albinismo è un mammifero con i capelli bianchi e gli occhi rossi o un uccello bianco con gli occhi rossi. Scientificamente parlando è un’idea sbagliata” (Inte Onsman-Mutavi). I canarini eumo appartengono al gruppo dell’albinismo definito tirosinasi positiva (Ty-pos), dove la presenza di pigmento nero (più o meno diluito) mostra l’azione della tirosinasi. Nell’albinismo tirosinasi negativo (Ty-neg), l’altro gruppo dell’albinismo, l’attività della tirosinasi può essere, invece, totalmente assente come nei canarini Phaeo (Inte Onsman - Mutavi). Per comprendere come nel canarino Eumo, in cui l’attività della tirosinasi è evidente e quasi normale, possa manifestare un fenotipo albinoide bisogna esplorare il processo della pigmentazione e quindi la melanogenesi. Melanogenesi dell’eumo Melanogenesi è il nome del processo che porta alla formazione della melanina. Procediamo con ordine, cercando di essere il più semplici possibile, e diamo risposta ad una prima domanda: cos’è la melanina? La melanina è definita come un gruppo di pigmenti naturali che si trovano nella maggior parte degli organismi viventi. Negli uccelli determina il colore delle piume, delle parti cornee ma anche degli occhi.

Le melanine dei canarini possono dividersi in due grandi gruppi: • Eumelanina: la più comune e si presenta sotto forma di due tipi diversi, marrone e nera. • Feomelanina: di tonalità beigerossa e principale responsabile, insieme al lipocromo, del colore di fondo del piumaggio Per la sintesi delle eumelanine servono grosse concentrazioni di tirosinasi e modeste, invece, per la feomelanina; per alcuni ricercatori, questa sembra essere scarsamente dipendente dalla tirosinasi (1964 Cleffmann G.). Le melanine trovano origine dalla formazione di granuli di pigmento, organelli noti come melanosomi, che addensandosi all’interno dei melanociti realizzano la colorazione nera. In ogni essere vivente il numero di melanociti è costante, al contrario dei melanosomi che mostrano variabilità (controllata dalla genetica) sia nel numero che nella forma. La realizzazione finale di un melanosoma colorato di nero avviene in più fasi, universalmente 4. La prima fase (formazione del premelanosoma) inizia dalla strutturazione di una matrice proteica costituita da filamenti spiralizzati incolori contenenti proteine; numerose e differenti sono le proteine che compongono questa matrice proteica. La produzione di queste matrici incolori è controllata da più di un gene (Zimmerman J.-1982), nel senso che ogni proteina ha un gene specifico che la supporta in una corrispondenza biunivoca. Dal punto di vista biochimico queste proteine svolgerebbero un ruolo regolatore a livello cellulare, controllando il tipo o la qualità della matrice del premelanosoma. Se durante la formazione della matrice proteica dei melanosomi (granuli di pigmento) una delle proteine necessarie viene a mancare per effetto della mutazione di un gene, il risultato sarà una matrice degradata (a volte più piccola) o comunque deformata. La conseguenza è che la formazione del normale pigmento nero, pur in presenza di tirosinasi, viene alterata; la melanina non potrà diventare nera, colore che rappresenta lo


stadio finale del processo di ossidazione delle eumelanine. Tutto ciò fa parte dell’albinismo tirosinasi positivo (Ty-pos) che attiene alla mutazione Eumo. Volendo trovare un esempio chiarificatore, si può immaginare la realizzazione di un melanosoma come la costruzione di un edificio in cemento armato (non me ne vogliano i genetisti ortodossi). Per prima cosa si realizzano i pilastri e le travi (filamenti di proteine) e poi si realizzano le murature (granuli di melanine) i cui conci verranno allettati con la malta (tirosina). Se una trave o un pilastro viene a mancare, pur in presenza di malta, la realizzazione finale delle murature dell’edificio sarà certamente compromessa. La degradazione della matrice proteica può spiegare anche la scomparsa quasi totale della feomelanina nella mutazione Eumo. Le indagini al microscopio ci mostrano che i granuli di eumelanina sono facilmente riconoscibili per la loro forma tondeggiante o ovale, ma anche bastoncellare. I granuli di feomelanina sono descritti invece come amorfi, cioè non mostrano una forma propria o un modello specifico; in generale, i granuli di feomelanina (feomelanosomi) appaiono più piccoli dei granuli di eumelanina (eumelanosomi) e, di contro, le matrici proteiche hanno un modello indiscriminato e quindi una forma indistinta. È evidente che una mutazione che interferisce con la formazione delle matrici di melanina influenzi maggiormente quelle già disordinate dei granuli di feomelanina e non quelle matrici, molto più grandi, che producono granuli di eumelanina. Una interferenza simile è stata riscontrata nei pappagalli, mutazione pale fallow (Janssen G.W., 1992) e anche nei polli (Branje H-Bird Joy -1995).

aleatorio da definire. Se è facile comprendere la corrispondenza biunivoca tra la tonalità del colore rosso degli occhi e quelle delle melanine del dorso, nel senso che il rosso è più vermiglio se le melanine sono più diluite e viceversa, non è, invece, agevole giustificare il legame chimico-istologico che sostiene questa corrispondenza. Di seguito, prospetto un’interpretazione personale, e quindi certamente discutibile, della variabilità della colorazione rossa degli occhi. Non ho conoscenze approfondite di biologia se non quelle assimilate da personali e ricorrenti indagini su pubblicazioni scientifiche. Le intuizioni che seguono sono un approccio elementare a cose più grandi di me; posso però assicurare che trovano spunto da nozioni rivenienti da fonti scientifiche accertate. Nell’uomo una delle mutazioni del gene (poliallelico) della tirosinasi (anche locus ino) è responsabile dell’albinismo oculocutaneo tipo-I (OCA), una sindrome autosomica recessiva. Ma in un quadro più generale l’albinismo oculocutaneo attiene anche ai topi, al mantello dei gatti e dei cani, al mantello dei bovini, ai pappagalli e

quindi anche ai nostri Eumo. Il termine Albinismo Oculocutaneo (OCA) identifica le condizioni caratterizzate da ridotta sintesi di melanina nelle piume, nelle parti cornee e negli occhi, con grado variabile di melanizzazione. Il termine Albinismo Oculare (OA), invece, identifica quello caratterizzato da una ridotta sintesi di melanina fondamentalmente negli occhi. I cambiamenti oculari, di entità variabile e non tutti sempre presenti, si ritrovano comunque in entrambe le forme di Albinismo (Albinismo.it). In conclusione, un canarino Eumo sarebbe affetto da albinismo oculocutaneo (OCA), tirosinasi positivo (T+) ad eredità autosomica recessiva e questo giustificherebbe la presenza dell’occhio rosso. Il gene OA1 In figura è rappresentata la sezione generica di un occhio di un uccello, da me modificata, con l’indicazione delle parti istologiche che interessano le nostre argomentazioni. Di particolare attenzione, ai nostri fini, sono la retina e la corioide. La retina è uno strato fotosensibile che giace nella parte

Fig. 2 - I vasi sanguigni della corioide riflettono la loro colorazione rossastra attraverso gli spazi vuoti lasciati dai macromelanosomi della retina nell’iride ipopigmentata

Occhio rosso: cause I criteri di giudizio dei canarini Eumo adottati dalle federazioni ornitologiche sparse nel modo si trovano tutte d’accordo nell’individuare nella colorazione rossa dell’occhio una caratteristica peculiare ed imprescindibile di questa mutazione. Ma la tonalità di questo rosso è l’elemento più

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posteriore dell’occhio, converte le immagini luminose in segnali nervosi poi trasmessi al cervello; la corioide è uno strato della parte posteriore dell’occhio che contiene vasi sanguigni che circondano e nutrono la retina. La retina è fortemente pigmentata di eumelanina, in particolare la faccia interna che appare molto scura; tale faccia è l’epitelio pigmentato retinico (RPE- conosciuto già nel XIX come “pigmentum nigrum”), tanto scura perché deve assorbire totalmente la radiazione luminosa proveniente dall’esterno, la cui eventuale riflessione disturberebbe il processo normale di visione. La massiva presenza di melanosomi nella retina è regolata dal gene OA1 che codifica una particolare proteina (scientificamente GPR143) che viene prodotta proprio nel RPE. La funzione di tale proteina non è ancora completamente chiarita ma sembra sia importante nel trasporto di un particolare segnale, il quale dice ai melanociti “Sintetizzate la melanina!”. Quindi questo gene ha una funzione di controllo della crescita, sviluppo e maturazione dei melanosomi. Una pubblicazione dell’Istituto di Genetica e Medicina di Telethon (Cortese K , Giordano F , Surace EM ed altri- Napoli) rende chiarezza sulla funzione del gene OA1. I risultati della ricerca indicano che l’OA1 è coinvolto nella regolazione della maturazione del melanosoma in due fasi. Agendo nelle prime fasi di maturazione, l’OA1 controlla l’abbondanza di melanosomi nelle cellule di RPE. Nelle fasi successive, OA1 ha una funzione nel mantenimento di una dimensione melanosomica corretta. La mutazione del gene GPR143 interrompe la funzione di controllo della crescita per cui i melanosomi nelle cellule della retina possono diventare anormalmente grandi. La produzione di macromelanosomi sta ad indicare che non è intaccata la produzione di melanina quanto la organogenesi del melanosoma. Variabilità dell’occhio rosso I granuli di melanina per realizzare un pigmento nerastro, degno di questo nome, devono addensarsi e compattarsi all’interno del melanocita. Maggiore è la compattezza dei melanoso-

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mi, maggiore sarà la gradazione del colore nero. Ma se la concentrazione e la compattezza si raggiungono facilmente con granuli di pigmento piccoli (basta riferirsi ai minuti rifiuti compattati in grande quantità dalle onde del mare) questo diventa improbabile con granuli più grandi, i macromelanosomi. La retina e l’iride appaiono ipopigmentati anche a causa degli spazi vuoti lasciati dal mancato addensamento dei grandi melanosomi. Attraverso questi vuoti la luce riflessa dai vasi sanguigni corioidei sottostanti rende rossastra la retina trasparente (perché ipopigmentata) facendo apparire rosso l’occhio. La proteina codificata dal gene OA1 regola sia il numero di melanosomi maturi che le loro dimensioni. Ferma restando la formazione di macromelanosomi, è logico pensare che nella serie Nera la maturazione dei melanosomi è maggiore di quella della serie Agata ma anche strutturalmente diversa dalla serie Bruna e Isabella. La tonalità dell’occhio rosso è quindi strettamente legata alla pigmentazione della retina. Nero Eumo Qui individuare la tonalità del rosso diventa una cosa tortuosa. I criteri di giudizio COM parlano di occhi rouge foncé (rosso scuro), mentre quelli italiani di rosso prugna. Faccio il giudice da molti anni e quindi ho visto Nero Eumo dalla loro comparsa fino ad oggi. A voler essere sincero credo di aver giudicato neri eumo con evidente occhio rosso scuro o prugna in numero non superiore alle dita di una mano. Nei soggetti buoni, ponendosi in particolare condizioni di luce, si intravede qualche radiazione color prugna ma nulla di evidente a distanza. Di contro il disegno, a volte, è qualcosa di eccezionale. Il tutto rientra nella logica: la retina oculare di questi neri è densamente pigmentata anche se i melanosomi hanno dimensioni più grandi e quindi la colorazione rossa dei vasi sanguigni si affaccia timidamente tra gli spazi vuoti. C’è un altro problema; la natura cerca spontaneamente di tornare in quelle condizioni di equilibrio che una eventuale mutazione ha modificato. La

Fig. 3 - L’immagine immortala un Nero Eumo bianco ancora novello. Se non fosse per il fondo quasi senza feo e le bordature delle timoniere quasi bianche si confonderebbe con un Nero ancestrale, (all. Pignatelli)

ricerca degli allevatori di disegni il più possibile pigmentati ha modificato la tonalità delle striature originarie dell’eumo. Non voglio pensare ad una vera e propria retromutazione ma ho la sensazione che, ferma restando la mutazione del gene, si stia tornando nei Neri Eumo a qualcosa che riporta al fenotipo ancestrale (inversione genica?). D’altra parte, dobbiamo ricordare che l’occhio rosso (evidente) è apparso in canarini diluiti (agata) e poi è stato inserito nei neri il cui substrato genico è decisamente diverso. Ritengo che fino a quando si pretenderà un canarino nero eumo con striature grigio scuro o antracite, sarà difficile rendere visibile un occhio rosso. È compito delle Commissioni tecniche trovare il giusto equilibrio tra le due caratteristiche o privilegiarne una: personalmente opterei per il disegno.


Agata Eumo Qui l’occhio rosso è da pretendere e deve vedersi a distanza. Ritengo che sia una caratteristica imprescindibile e di importanza primaria. Non ci può essere un agata eumo degno di questo nome se non mostra il suo occhio rosso. Cerchiamo di capirne il perché. La mutazione Agata (ed il suo allele Satiné) è anch’essa di natura albinotica OCA T+ (tirosinasi positiva) recessiva e sessolegata connessa al locus ino (Dirk Van den Abeele- Ornitho-Genetics). La proteina responsabile è codificata dal gene SLC45A2 o il suo sinonimo OCA4. È stato scoperto che SLC45A2 ha un ruolo nella pigmentazione in diverse specie. Nell’uomo, è stato identificato come un fattore della pelle chiara degli europei; SLC45A2 è anche il cosiddetto gene crema responsabile nei cavalli per la colorazione di pelle di daino, della tigre bianca, del pelo bianco nei cani. Orbene, il sinergismo tra la mutazione Agata e la mutazione Eumo provoca una degradazione molto spinta della struttura di quelle matrici proteiche prima menzionate, per cui molti melanosomi non andranno a maturazione e per giunta saranno molto piccoli. Il mancato addensamento dei melanosomi renderà la retina quasi trasparente perché decisamente ipopigmentata, permettendo ai vasi sanguigni della sottostante corioide di non trovare significativi ostacoli a proiettare la loro colorazione rossa all’esterno.

Fig. 4 - Raffronto tra copritrici di agata mosaico giallo e agata EUMO mosaico giallo a dx. In evidenza la ristrettezza della striatura e l’interstria quasi bianca per la rarefazione della feomelanina nell’eumo

Bruno Eumo Potrò sembrare ripetitivo ma anche la mutazione Bruno è generata da un fattore albinoide (più noto come Isabellismo). È un tipo di Albinismo Oculocutaneo pigmentato e quindi tirosinasi positivo. Il locus ino è decisamente poliallelico. Nei canarini Bruno le eumelanine sono marroni. Per sviluppare eumelanine brune, ahimè, è necessario l’intervento della mutazione di una proteina correlata al gene della tirosinasi. Questa proteina è codificata dal gene TYRP-

1 che è attiva nel genere umano (albinismo marrone africano), gatti, bovini, cavalli e chiaramente uccelli. Regola la polimerizzazione dei melanosomi; la sua mutazione impedisce ad essi il traguardo finale, fase 4-colore nero, rimanendo di colore marrone. I criteri COM parlano di occhio rouge foncé (rosso scuro) e mi sembra estremamente corretto. La retina oculare è pigmentata di eumelanosomi di colore marrone. I raggi luminosi che provengono dall’esterno non vengo-

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no totalmente assorbiti (la retina non è nera) ed una quota parte, quelli a frequenza marrone, verranno riflessi. I vuoti lasciati liberi dall’addensamento dei macromelanosomi lasciano trasparire il rosso dei vasi sanguigni della corioide, per cui l’occhio avrà una colorazione mescolanza di marrone e rosso. I criteri di giudizio della Commissione Tecnica Italiana descrivono, invece, un occhio genericamente rosso, anzi penalizzano con l’insufficienza l’occhio rosso scuro. Credo che sia una cosa poco praticabile in considerazione della istologia della retina anzi descritta.

Isabella Eumo Gli occhi degli Isabella Eumo dovrebbero essere dei “raggi laser” di colore rosso nella notte. Pensate che l’isabella Eumo è la sommazione della mutazione bruno, della mutazione agata e della mutazione Eumo. Quindi, assolutamente, occhio rosso vermiglio perché la retina è indiscutibilmente ipopigmentata. Conclusioni La mutazione Eumo, qualunque sia il tipo su cui agisce, non si mostra agevolmente ad una osservazione a distanza, anzi, la si può confondere con

Fig.5 - Confronto tra due copritrici, in alto Agata Topazio e Agata Eumo in basso, entrambe mosaico

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altri tipi. La confusione è manifesta tra l’Agata Eumo e l’Agata Topazio, che nel caso di scarsa tipicità sono quasi sovrapponibili. In figura, il confronto tra copritrici di agata Topazio e agata Eumo suffraga la difficoltà di un facile discernimento, in quanto sembrano prelevate dallo stesso soggetto. Ad una analisi attenta, però, può notarsi nel topazio una rachide più bianca in corrispondenza di una pigmentazione più spinta specialmente del sottopiuma che occupa una regione più estesa del vessillo. Le Commissioni Tecniche, per aiutare i giudici nelle loro mansioni, dovrebbero dare maggiori indicazioni anche sulla colorazione delle rachidi. Gli elementi che dirimono il riconoscimento, ossia i marker della mutazione Eumo, i codici di riconoscimento, sono l’occhio rosso e la riduzione della feomelanina. L’occhio rosso è lo stendardo della mutazione Eumo e poi il colore del fondo, che dovrebbe apparire nitido quasi come quello di un canarino lipocromico. Un topazio che mostra occhio rosso è da guardare con sospetto. Non meno importante è lo sviluppo delle bordature delle penne forti (timoniere e remiganti): sono asimmetriche nel canarino topazio e con confini irregolari con le melanine del centro delle penne, al contrario di quelle dell’Eumo che presentano confini uniformi e quasi ininterrotti. Più difficili sono i codici di riconoscimento tra Satiné e Isabella Eumo, che si assomigliano molto. Ambedue hanno gli occhi rossi per cui il colore degli occhi non può essere un marcatore di riconoscimento. Ferme restando le sottili striature, il marcatore Eumo è il colore del fondo terso (senza feomelanina visibile), fondo che diventa quasi bianco nel dorso dei mosaici. Gli Isabella Eumo hanno, anche, un sottopiuma un po’ più grigiastro. Nel nido questo è chiaramente visibile perché la base delle piume in crescita è leggermente più grigia, a differenza di ciò che accade nel Satiné. Un grazie agli amici Nicola C. e Piero V. per aver collaborato mettendo a disposizione i loro canarini per appagare i miei “capricci”. Un grazie anche ai lettori che sono arrivati fino in fondo.


CANARINI DI FORMA E POSIZIONE LISCI

Norwich: Canarino secolare testo e foto di SERGIO PALMA

U

na grande tradizione vecchia di centinaia di anni ed una lunga passione degli allevatori inglesi ci hanno tramandato questa straordinaria razza di Canarini. Il Norwich, attualmente poco allevato in Italia, dovrà comunque essere preservato attraverso le motivazioni e stimolazioni che il Club Italiano del Canarino Norwich, magistralmente presieduto da Antonio Beretta, sta cercando di suscitare. Ottima iniziativa è l’organizzazione in maniera itinerante di mostre specialistiche e collaborazioni con le Associazioni che di volta in volta le richiedono. Saggia fu la decisione di non fossilizzarsi su una sola, pur se prestigiosa, location. La Razza non è semplice da allevare, né da selezionare. Ma per quanti ne apprezzano la bellezza, studiando, amando e condividendo con entusiasmo l’allevamento secondo conoscenza, coscienza e naturalezza, questo canarino dovrebbe rappresentare per tutti gli allevatori una sfida, la filosofia del riuscire e del mettersi in gioco trasformando i propri allevamenti in veri e propri laboratori di arte viva. Ritengo altresì che la propensione ad allevare il Norwich non possa essere legata al semplice ritorno economico, che è comunque necessario per poter alleviare le sofferenze economiche che un allevamento potrebbe dare all’economia familiare. Importante è che l’economia non diventi il primo obiettivo dell’allevare. L’allevamento deve essere supportato da una grande passione e dal voler allevare soggetti sani ed equilibrati all’interno dei dettami dello standard, imponendoci di ridurre gli aspetti negativi del nostro ceppo e di esaltare quelli positivi. Oggi non basta riuscire ad ottenere una

Una Razza non semplice né da allevare, né da selezionare

nidiata di quattro soggetti per fregiarsi del titolo di allevatore di Norwich ma necessita competenza, oltre che nella tecnica di riproduzione, anche nella scelta dei soggetti per taglia, piumaggio e altre caratteristiche della razza. Persone che solo per monetizzare allevano senza alcuna competenza Norwich, o anche altre razze che al momento il mercato richiede, farebbero meglio a lasciare, per il bene di tutto il settore della canaricoltura. Non voglio essere critico verso niente e nessuno, quanto piuttosto sti-

molare a riprendere in mano il senso delle cose e a valorizzare il senso etimologico dell’essere allevatore, prima, e gruppo o Club che dir si voglia, poi. Bisogna darsi una regola primaria, cioè rispettare la storia della Razza e concorrere nella divulgazione della stessa, oggi più che mai a rischio rarefazione, considerando anche la particolare congiuntura economica ed un sempre ed inesorabile innalzamento dell’età media degli allevatori del Norwich. Questo porta ad un loro naturale decremento numerico. Troppe volte si ha a che fare con allevatori “meteore” in questa razza, persone che, raggiunti obiettivi espositivi di modesta portata, credono di monetizzare i risultati in maniera spropositata, urtando poi la realtà. Questi mi fanno più volte porre la domanda: si tratta di ornitofilia oppure “ornitofollia”?

Soggetto in fase di svezzamento

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Come detto sopra, il Norwich ricopre uno spazio veramente limitato: antichissima razza, viene puntualmente surclassato numericamente, nelle varie esposizioni ornitologiche, da altre razze, quali il Lizard, lo Yorkshire, i Fife Fancy, il Border e il Gloster. Addirittura l’Irish Fancy, uno degli ultimi arrivati, supera il Norwich. A chi l’onere di far tornare il Norwich ai fasti di qualche lustro fa, se non a noi “datati” allevatori? La mia esperienza ventennale con questa razza mi porta a suggerire, a coloro che desiderano iniziare l’allevamento del Norwich, di porre la scelta dei riproduttori con la tecnica della compensazione, cioè scegliere un grande maschio ed una femmina piccola, oppure due soggetti mediamente grandi. Comunque, nell’eventualità in cui non si dovesse disporre di Femmina riproduttrice due soggetti di circa 16 cm, bisognerebbe prediligere l’approssimazione a tale grandezza da parte del maschio. Questo dovrà avere anche un buon lipocromo e delle buone rotondità, con una testa ben tonda da qualunque parte la si osservi. Bisogna evitare fronti schiacciate o colli lunghi. La femmina deve eccellere nel tipo e con buona qualità del piumaggio, poiché normalmente è proprio quest’ultima a trasmettere i caratteri TIPO e PIUMAGGIO. La taglia ed il colore vengono trasmessi dal maschio. Logicamente, è inutile soffermarsi a dire che le coppie dovranno essere formate da un intenso ed un brinato, evitando intensi a piuma dura o brinati a piuma lunga e soffice. Bisogna osservare

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bene la carica lipocromica e la tessitura del piumaggio per diminuire o evitare del tutto la possibilità di formazione di lumps. Nello scegliere i riproduttori, tra un soggetto dal buon piumaggio ma dal tipo scarso ed uno con le caratteristiche opposte, io sceglierei sicuramente il buon piumaggio. Indubbiamente non sarà facile ricostruire un buon tipo, ma almeno i miei amati non saranno afflitti dalle devastanti cisti. Anche se io aborro gli accoppiamenti tra brinati, questo si potrebbe fare solo quando fossimo in possesso di ottimi piumaggi; si avrebbe l’opportunità di aumentare la taglia del nostro Norwich. Invece, l’accoppiamento tra intensi si potrebbe

osare quando il piumaggio è troppo lungo e scarso di lipocromo, il quale ci intima di incrementare il colore stesso. Con questo accoppiamento aspettiamoci però una diminuzione della taglia in maniera considerevole. Ai neofiti della Razza, consiglio di accaparrarsi due o tre femmine con un maschio, esigendo, possibilmente, la presenza di un soggetto verde o tre quarti verde per sostenere un piumaggio che potrebbe diventare cadente. A coloro i quali dovessero piacere i bianchi, non consiglio di accoppiarli tra di loro, poiché questo causerebbe una riduzione di taglia ed una degenerazione del piumaggio. Quanto al fatto che il piumaggio bianco, si dice, porti ad una slavatura del lipocromo, questo è assolutamente falso. Una volta acquisiti i soggetti, e prima dell’inizio della stagione cove, bisogna tolettare le piume della cloaca dei soggetti, sia maschi che femmine; questo per favorire l’accoppiamento e quindi la fecondazione delle uova, che altrimenti, a causa del folto piumaggio, non riuscirebbe o, qualora riuscisse, si avrebbe una bassissima percentuale di uova feconde. La scelta della coppia fissa è una garanzia per la fecondazione delle uova. Personalmente l’accoppiamento al salto (ovvero un maschio con più femmine) non mi è mai riuscito. L’uso delle balie è consigliato; io personalmente uso dei meticci tra Norwich ed altre razze quali Lizard o Fife Fancy. O anche Irish Fancy ed altre razze che normalmente allevo. Non condivido la scelta da parte di qualche allevatore di non colorare i giovani Norwich. Non a caso questo canarino era definito in età Vittoriana ed ancora adesso


“Bull-finch” o “Fire-ball”. Per chi non volesse usare i coloranti sintetici in commercio, si potrebbero tranquillamente usare, fornendole giornalmente, rape rosse (reperibili anche cotte) schiacciate ed amalgamate al pastone, peperoni rossi, farina di peperoni ma anche pomodori e carote. Consiglio inoltre di non affollare molto i gabbioni per lo svezzamento dei giovani Norwich in quanto questi, vigorosi, tendono a beccarsi per imporsi quali dominanti. Se tra di loro si strappano le piume aumenta la possibilità di formare lumps da trauma. Per la scelta dei riproduttori, dovremmo seguire il seguente criterio: 1) petto largo e tondo con una curva che, partendo dalla base del brevissimo e robusto collo, chiude, come disegnata con un compasso, sull’attaccatura della coda; 2) dorso largo e con bombatura appena accennata sul dorso, che rende i soggetti potenti; 3) testa tonda da qualsiasi angolo la si osservi, con fronte moderatamente alta; 4) ali chiuse sul codione e corte; 5) coda corta e con penne ben chiuse; 6) zampe corte ed attaccate indietro. Peculiarità meglio indicate nel disegno 1. La larghezza nel Norwich dovrebbe essere quanto più vicina alla lunghezza, coda esclusa. Infine, per ricapitolare, rifacendomi agli insegnamenti ricevuti da Tom Sharland (allevatore e Giudice Inglese del Canarino Norwich, oggi non più tra noi) e all’esperienza acquisita, mi permetto di dare alcuni suggerimenti su cose da fare e da non fare negli allevamenti di canarini, in generale, e in quelli di Norwich, in particolare:

e)

f)

g)

h)

i)

j)

di Norwich e tentare ogni anno di far allevare loro i piccoli, ponendo sempre attenzione a spostare i piccoli a balia quando ci si accorge che la femmina non imbecca; Ricordare sempre che il Norwich è uno dei Canarini di grossa taglia e che, quindi, ha bisogno di molte proteine durante la fase di crescita; Cercare di far mutare in maniera veloce, senza false mute, per evitare inutili stress e, quindi, far aumentare il rischio dei lumps; Mantenere sempre alto il livello di igiene del locale di allevamento per evitare inutili dispiaceri; Riportare tutti i nuovi nati nel relativo registro di allevamento per evitare confusione negli accoppiamenti e selezionare in maniera consapevole; Ricordarsi che ai successi espositivi contribuisce anche la gestione igienico-nutrizionale; Ricordarsi di pulire, tagliando le piume dalle parti cloacali dei soggetti, evitando di strapparle.

Cose da non fare 1) Ricordando che il Norwich è un canarino con il piumaggio abbondante, non bisogna far fare loro il bagno dopo le 12:00, perché potrebbero non asciugarsi fino a sera. Il livello dell’acqua nella vaschetta da bagno non deve superare i 10-12 mm. 2) Non accoppiare prematuramente i soggetti, si esporrebbero ad inutili stress; 3) Non ingabbiare nelle mostre Norwich non in perfette condizioni di salute e, comunque, non far gareggiare un soggetto in più di due mostre al mese; 4) Non far ingrassare i maschi durante la preparazione alle cove, si evitano così tante uova chiare; 5) Non far deporre più di tre volte, durante l’anno, le femmine; 6) Non usare la cantaxantina per la colorazione se si vogliono evitare colorazioni color mattone; 7) Non fornire molti semi grassi ai soggetti (i Norwich tendono ad accumulare grasso)

Disegno 1

Cose da fare a) Accoppiare sempre Intenso per Brinato; b) Accoppiare solo canarini che non hanno sbuffi di piume debordanti sui fianchi tanto da inglobare le ali; c) Accoppiare canarini che hanno una buona carica lipocromica; d) Fare incubare le uova alle femmine

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CANARINI DI FORMA E POSIZIONE LISCI

The Goodall’s Norwiches testo e foto GIANLUCA TODISCO

C

hris Goodall è stato uno dei maggiori allevatori di Norwich nella storia di questa razza. I suoi soggetti sono presi come esempio di perfezione e pubblicati spesso nelle riviste del settore e recentemente anche sulle riviste on-line e sui social. Ho avuto l’onore di conoscere personalmente Chris e visitare il suo allevamento alcuni anni fa nel corso di un “viaggio tecnico” di alcuni Giudici FOI in Gran Bretagna, organizzato dalla CTN-CFPL che in quel periodo avevo l’onore di presiedere. L’anno scorso, purtroppo, Chris ha deciso di smettere di allevare lasciando gli allevatori privi di un punto di riferimento importante per la selezione della razza ed è per questo che gli ho chiesto e ottenuto un’intervista, per lasciare una nota concreta, non

Femmina verde intensa

solo a noi appassionati della stessa razza, ma soprattutto a chi verrà dopo, affinché abbia una base solida su cui far crescere il proprio allevamento. Nota introduttiva (in prima persona) Nel 1951 avevo 6 anni quando mio padre comprò i suoi primi Norwich. Si procurò 2 coppie, tutti e quattro brinati, perché a quei tempi era molto difficile ottenere dei soggetti intensi.

Ho avuto l’onore di conoscere personalmente Chris e visitare il suo allevamento alcuni anni fa

Da ragazzino trascorrevo molto tempo in allevamento ad aiutare mio padre e quando lui lavorava nei weekend io mi occupavo di svolgere la pulizia settimanale delle gabbie. In esposizione gareggiavamo come “società padre & figlio”. Nel 1959 vincemmo il Best Norwich nella categoria Novice alla National e continuammo a esporre come padre e figlio, finché non sposai mia moglie Mary nel 1966. A quel punto Mary ed io ci trasferimmo nella nostra casa e portai con me 6 coppie per cominciare il mio personale allevamento; da allora in poi esponemmo separatamente. Ricordo ancora il primo canarino che comprai, un maschio giallo intenso del Dr. Smiter da Petersborough: lo pagai 15 sterline, che era molto di più della mia paga settimanale.

Maschio giallo intenso

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Maschio giallo macchiato brinato

• Chris, qual è stato il premio più prestigioso che tu abbia mai vinto? In Gran Bretagna il premio più prestigioso che puoi vincere è l’Haddon Trophy per il Best in Show al Campionato Nazionale inglese. Lavoravamo tutto l’anno in prospettiva di questa mostra, in cui ottenemmo il Best Norwich in ben 9 occasioni, più secondi Best e terzi Best per 5 volte. Abbiamo detenuto il record di Best canarino in mostra per 4 volte e siamo gli unici ad aver vinto l’Haddon Trophy per più di una volta. Questi risultati ci diedero la maggiore soddisfazione in assoluto. • Da quante coppie era costituito il tuo allevamento e che tipo di balie usavi? Mediamente avevo 20 coppie di Norwich e 8 coppie di balie, mio padre leggermente meno. Nel 1996 misi 25 coppie di Norwich e 12 coppie di balie: allevai 182 novelli, non è mai più successo di farne così tanti. Nella mia ultima stagione riproduttiva (2017) avevo 15 femmine e 6 maschi e ho allevato 76 novelli con 7 coppie di balie. Le balie sono costituite da meticci di Norwich, Fife e canarini di colore; è molto meglio farsi le balie da sé e non fidarsi troppo di quelle comprate. Noi abbiamo sempre usato poche coppie di balie, poiché preferivamo che i nostri Norwich allevassero da soli. Le balie sono utili solo quando le femmine Norwich si alzano dal nido e smettono di covare; questo succede soprattutto nella prima covata.

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Maschio giallo intenso

• Come scegli le coppie? Migliore x migliore o miri a compensare i difetti? C’è una regola per assortire i piumaggi? Ho sempre pensato che l’accoppiamento migliore x migliore non produca i migliori novelli. Mi è capitato spesso che i migliori soggetti nascessero dai fratelli dei campioni; questo è uno dei motivi per cui ogni anno vendo almeno la metà dei miei campioni alle mostre e mantengo per l’accoppiamento i loro fratelli e sorelle. Do la preferenza alla genetica più che all’aspetto fenotipico. Componi la coppia scegliendo i riproduttori confrontandoli con lo standard ufficiale, annota i principali pregi e difetti di ciascun uccello e accoppialo compensando i difetti. Un’altra cosa molto importante da tener presente quando si formano le coppie è il tipo di piumaggio: un buon allevamento dovrebbe avere sia uccelli a piuma lunga che a piuma corta, sia larga sia fine, sia dura sia soffice. • Come usi il cinnamon? Sia io che mio padre avevamo 2-3 coppie di cinnamon ogni anno, più che altro perché ci erano molto richiesti, così come pure i bianchi, oltre al fatto che in esposizione ci sono delle categorie dedicate solo a loro. Noi avevamo due regole d’oro nell’utilizzo dei cinnamons: la prima era non accoppiare mai cinnamon x cinnamon in quanto era nostra opinione

che il piumaggio fine che ne derivava accorciasse la lunghezza e con questa anche la taglia in generale, quindi accoppiavamo solo cinnamon x verde in modo da mantenere la giusta lunghezza. La seconda regola d’oro era di non mischiare mai il sangue dei nostri cinnamons con quello dei gialli, ma è molto difficile riuscire a controllare i portatori. • Ricorri alla consanguineità? L’ultima volta che mio padre comprò un canarino era il 1979. Negli ultimi 30 anni io ho utilizzato solo una coppia esterna. Mi sarebbe piaciuto acquistare qualcosa di “esterno”, ma non sono mai riuscito a trovare nulla di migliore dei miei, così tra me e mio padre, con poco più di 30 coppie, non abbiamo mai dovuto far ricorso ad acquisti. La consanguineità era soprattutto tra zii e nipoti e tra cugini; ho sempre resistito ad accoppiare madre e figlio o padre e figlia, perché secondo me si tratta di una consanguineità troppo stretta. • Che tipo di alimentazione adotti nelle varie fasi dell’anno? Proprio come avviene per il clima, anche nell’allevamento bisogna distinguere 4 stagioni. Ogni stagione ha un tipo di alimentazione e integrazione differente. Di base, i miei canarini mangiano scagliola in una mangiatoia dedicata: questo evita che gli uccelli scartino i semi meno graditi


a vantaggio di quelli più appetiti e mi consentono di controllare ciò che voglio che essi mangino semplicemente somministrandolo in un’altra mangiatoia. Non abbiamo mai usato stufa e allungamento del fotoperiodo per anticipare la riproduzione. Da gennaio a marzo un cucchiaino di semi condizionati due volte la settimana e un cucchiaino a testa di pastoncino all’uovo. Nel mese di marzo aumentavo il pastoncino a 3 volte la settimana. È possibile aggiungere del couscous ammollato in acqua per rendere il pastone più soffice, come anche utilizzare degli integratori liquidi nell’acqua del couscous o in polvere nel pastoncino. Io utilizzo probiotici due volte la settimana per tutto l’anno, calcio tre volte la settimana durante la riproduzione e la muta, un integratore vitaminico-minerale due volte la settimana per tutto l’anno. Da aprile a giugno: stagione riproduttiva. Colloco i nidi nella seconda settimana di aprile e i primi piccoli schiudono nei primi di maggio. L’alimentazione in aprile è uguale a quella di marzo, con l’unica aggiunta di vitamina E sotto forma di olio di germe di grano nel pastone per tutta la durata della riproduzione. Come cambiano le cose! Quando cominciammo con questo hobby era impensabile allevare senza somministrare una grande quantità di verdure e semi germogliati: dodici anni fa decisi di smettere di somministrare verdure, tranne i piselli, e cessai la somministrazione di semi germinati. In questi 12 anni ho perso solo 19 piccoli nel nido. Nella prima settimana di vita dei piccoli il maschio è separato dalla femmina nell’altra metà della gabbia, ma entrambi ricevono pastone con piselli e un misto di niger, ravizzone e farina d’avena. Dopo la prima settimana il maschio viene unito alla femmina e contribuisce a imbeccare i piccoli fino allo svezzamento. Dopo la prima settimana dei piccoli aggiungo anche girasole e grano. Da luglio a settembre: il periodo più brutto dell’anno, la muta. Tutti i novelli, dalla 6° settimana di vita fino all’approssimarsi delle mostre, sono alloggiati in voliera. Il colorante viene dato nel seguente modo: il primo giorno nel pastone, il secondo giorno nell’acqua, il terzo giorno niente colorante. In questo modo, anche se alcu-

dopo la fine della muta, più girasole e grano prima dell’arrivo del duro inverno. Somministro farina d’avena per due giorni prima della gara per evitare che si solidifichino le feci intorno alla cloaca. Al ritorno dalla prima mostra, tratto tutti gli uccelli con una goccia di ivermectina per prevenire la diffusione di acari che potrebbero aver contratto in mostra.

Maschio giallo brinato

ni uccelli non mangiano molto il pastone, sicuramente dovranno bere e quindi tutti assumeranno il colorante. L’alimentazione è più o meno la stessa, ma hanno bisogno di più proteine, così pastone e piselli tutti i giorni più integratori di calcio, vitamine e sali minerali. Ogni tre giorni aggiungo un cucchiaino di olio di fegato di merluzzo ogni mezzo chilo di semi condizionatori, agitando bene in modo da distribuire l’olio sui semi e aggiungendo un cucchiaino colmo di spirulina. Tutto questo aiuta il piumaggio, ma la ricetta per avere un ottimo piumaggio è nella genetica dei riproduttori. Quando gli uccelli hanno quasi terminato la muta, vengono alloggiati in gabbie singole e il colorante viene dato ogni tre giorni nel pastone. Da ottobre a dicembre. La stagione mostre. L’alimentazione di base è la stessa del resto dell’anno, l’alimento colorante è dato due volte la settimana anche

Chris a destra, con suo padre

• Come prepari gli uccelli alle mostre, qual è la tua tecnica di lavaggio? La preparazione alle mostre è essenziale. Devo dire di essere rammaricato per come sono stati presentati gli uccelli in alcune mostre dove ho giudicato ultimamente: non ci sono scuse per zampe e code sporche e nemmeno per uccelli che svolazzano sulle sbarre come se non avessero mai visto una gabbia da mostra prima di allora. Le mie gabbie da muta hanno sempre una show-cage appesa allo sportellino e ho l’abitudine di “maneggiare” i novelli affinché si abituino ad avere confidenza. Uso anche far fare piccoli giri in macchina in modo che si abituino agli spostamenti e ai viaggi per raggiungere la mostra. Non è un segreto che io lavi gli uccelli il fine settimana precedente la “National”; lavo 50 uccelli per sceglierne poi 24 da portare in gara. Un buon lavaggio migliora l’aspetto degli uccelli del 25%, la gente dice che nel gruppo della mostra i nostri si distinguono nettamente e noi crediamo che molto sia dovuto alla preparazione. Alcune fotografie di me che lavo i canarini sono state utilizzate in un libro di canarini di colore, tipo e canto di Geoff Walker e Dannis Avon; quest’ultimo è il fotografo che ha ritratto i nostri campioni alle National. A mio avviso il Norwich, insieme al Gloster, allo Yorkshire e al Border ha avuto un notevole miglioramento selettivo negli ultimi 40 anni; penso che gli uccelli con cui vincevamo le National negli anni ’80 non avrebbero mai potuto competere con gli uccelli che avevo, quando ho ceduto l’intero mio allevamento l’anno scorso. La genetica di Goodall è stata distribuita ovunque nel mondo e sono certo essere in buone mani per continuare a produrre ottimi Norwich anche in futuro. Grazie, Chris, del tempo che ci hai dedicato.

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

I Pigliamosche del genere Niltava di PIERCARLO ROSSI, foto P. ROSSI e F. Rigamonti

i sono uccelli che sembrano usciti da una tavolozza di un abile pittore; tra questi, il Diamante di Gould, molti pappagalli come i Lorichetti e, tra gli insettivori, il Niltava sundara. Il Genere Niltava è presente nel continente asiatico con ben 6 Specie, che grazie a colori sgargianti hanno sempre affascinato gli ornitologi ed i collezionisti di tutto il mondo. I rappresentanti di questo Genere sono:

V

1. Niltava davidi 2. Niltava sundara 3. Niltava sumatrana 4. Niltava vivida 5. Niltava grandis 6. Niltava macgrigoriae La Famiglia di appartenenza è quella dei Muscicapidi, detti anche Pigliamosche del Vecchio Mondo. Hanno un habitat moto vario che passa dalle foreste più fitte e cespugliose alle rade boscaglie, fino ai boschi umidi

Niltava sundara maschio, foto: P. Rossi

Maschio Niltava grandís, foto: P. Rossi

La Famiglia di appartenenza è quella dei Muscicapidi, detti anche Pigliamosche del Vecchio Mondo

sulle pendici dell’Himalaya. Lo si può trovare fino ad un’altitudine di 2000 metri circa. Questi colorati pigliamosche, inoltre, vivono lungo i corsi d’acqua e le lagune, dove spesso costruiscono il proprio nido, creando un rapporto simbiotico con l’elemento liquido, dato che nelle vicinanze possono reperire una moltitudine di insetti, i quali costituiscono buona parte del loro nutrimento. Non disdegnano, inoltre, i frutti e le bacche presenti nei boschi, soprattutto in quei periodi dell’anno in cui gli insetti incominciano a scarseggiare. Costruiscono nidi imbutiformi, dove depongono un numero di uova che può variare da 3 a 5, di colore pallido, macchiettate di rossastro sul polo più grande. L’incubazione dura 14 giorni; dalla nascita, i piccoli vengono alimentati con insetti di misura variabile a seconda dell’età. L’involo avviene tra il decimo ed il dodicesimo giorno di vita e, non riuscendo ancora a volare bene, i piccoli si arrampicano su steli e rami in prossimità del nido, risultando comunque vulnerabili e facilmente predabili.

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Nido Niltava grandís, foto: F. Rigamonti

Femmina Niltava grandís, foto: P. Rossi

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Le caratteristiche che differenziano le singole Specie risultano essere minime, vediamo ora la distribuzione e la loro descrizione: Niltava davidi è presente in Cambogia, Cina, Hong Kong, Laos, Thailandia e Vietnam. È stato precedentemente considerato conspecifico con uno o entrambi tra Niltava sundara e Niltava sumatrana. Monotipico; il maschio è blu intenso sul dorso mentre l’alto petto ed il ventre sono di colore bruno-arancio; ha una mascherina, che si estende dalla nuca alla gola, di colore blu scuro. Il colore blu della nuca sulla fronte si trasforma in azzurrognolo e vi è un accenno di collarino dello stesso colore. Le ali e la coda sono nere, le prime orlate di bruno-arancio, mentre sulla coda le penne sono orlate di azzurro; dello stesso colore è il codione. La femmina nel complesso presenta colori brunastri, molto mimetici, tendenti al rossiccio su ali e coda. Anche in questa Specie è presente un collarino bianco sulla gola ed azzurro ai lati del collo. Misura 18 cm. Il canto è un “ssssew” o “ssiiiii” molto sottile e acuto, ripetuto a lungo, e l’habitat è la foresta sempreverde a foglia larga, fino a 1700 metri. Il cibo include piccoli invertebrati e piccoli frutti. Di solito da solo o in coppia, solitario in inverno, cerca il nutrimento nel fitto sottobosco. Niltava sundara è uno dei più attraenti fra i pigliamosche del continente asiatico e tra i più ambiti uccelli da voliera. È presente in Bangladesh, Bhutan, Cina, India, Laos, Myanmar, Nepal, Pakistan, Tailandia e Vietnam. I suoi habitat naturali sono foreste umide subtropicali o tropicali di pianura e foreste montane. In precedenza, è stato considerato conspecifico con uno o entrambi tra Niltava davidi e Niltava sumatrana. Tre le sottospecie riconosciute: N. s. whistleri Ticehurst, 1926 - nord est dell’Himalaya, Nord del Pakistan e Nord dell’India. N. s. sundara Hodgson, 1837 - est dell’Himalaya, est dal Nepal, Sud della Cina. N. s. denotata, 1914 - est della Birmania e sud della Cina probabilmente anche nord ovest del Vietnam; nella stagione non riproduttiva è presente

nel nord della Thailandia e nord dell’Indocina. Ha fronte, tempie e gola nero vellutato; vertice, collo, spalle e groppone blu cobalto iridescente; resto delle parti superiori blu scuro; petto e parti inferiori castano brillante; ali bruno scuro marginate di blu; coda nera marginata di blu. Becco nero, zampe brune. Le femmine hanno colore brunooliva, più chiaro sulle parti inferiori, gola biancastra, coda castana; su entrambi i lati del collo è presente una zona blu brillante. Il cibo include piccoli invertebrati e larve, in particolare formiche (imenotteri), coleotteri (coleotteri) come ad es. maggiolini (Scarabaeidae) e bacche. La stagione riproduttiva va da aprile ad agosto: il nido è costruito da entrambi i sessi, utilizzando steli di felce Adiantum, foglie e radici fini, ed è collocato per lo più sul terreno. I soggetti che si riproducono in Himalaya passano a più basse quote dopo la stagione riproduttiva. Niltava sumatrana è presente a Sumatra e nella penisola malese. Il suo habitat è la foresta sempreverde di latifoglie, di solito sopra i 1500 m nella penisola malese, fino a 1000 mt. a Sumatra. Molto simile alla Specie poc’anzi descritta come abitudini e colori. È stato precedentemente considerato conspecifico con uno o entrambi Niltava davidi e Niltava sundara. Monotipico, è lungo 15 cm e pesa 17-24 g. Il canto è formato da una serie monotona di fischi ondulati chiari, simile al canto di Eumyias thalassinus. La dieta non è ben nota, ma include piccoli insetti e piccoli frutti. In coppia o solitario, al di fuori della stagione riproduttiva si unisce anche ad altre Specie durante la ricerca del cibo. La stagione riproduttiva va da dicembre a maggio: costruisce un nido utilizzando per lo più il muschio, posizionandolo in basso, o ad una altezza non superiore ai tre metri, spesso nell’incavo di un tronco d’albero. Non effettua nessuna migrazione. Niltava vivida è presente sulle pendici dell’Himalaya e sulle montagne di Taiwan. Finora trattato come


conspecifico con N. oatesi, è monotipico. Il suo habitat naturale è formato da foreste montane decidue sempreverdi temperate e miste. Simile alle Specie sopra descritte; unico particolare che la differenzia dalle altre è che il colore arancio/brunastro del petto arriva fino alla base del becco formando una piccola V. Lunghezza 18 cm. Il canto del maschio è formato da una serie di fischi acuti seguiti da un fruscio ed un cinguettio scarsamente melodioso. La dieta include piccoli invertebrati, frutti e bacche. Non vi sono informazioni certe per quanto riguarda la fase riproduttiva. Migrante altitudinale, si sposta a livelli inferiori al di fuori della stagione riproduttiva. Niltava grandis differisce dalle altre Specie in quanto il canto risulta essere poco melodico. Sono riconosciute quattro sottospecie: N. g. grandis, 1842 – Himalaya, sud della Cina, Birmania e nord est della Thailandia. N. g. griseiventris, 1921 – sud della Cina, Laos e nord est del Vietnam. N. g. decipiens, 1891 – sud della Thailandia, Penisola della Malaysia e Sumatra. N. g. decorata, 1919 – Vietnam. Risulta essere il più grande pigliamosche asiatico; il maschio è blu scuro, con maschera nera e fronte azzurro brillante. La femmina è marrone oliva scuro con il classico collarino azzurro. Le dimensioni variano dai 20 ai 22 cm. Il suo canto risulta essere una semplice sequenza di 3 o 4 fischi morbidi, in aumento, malinconici. Presente in boschi di latifoglie fitti, zone umide, submontane e montane, dove è alla ricerca costante di invertebrati di piccole e medie dimensioni, bacche e piccole cavallette. La stagione riproduttiva inizia a marzo e si protrae fino agli inizi di luglio. Il nido è una voluminosa coppa aperta a cupola di muschio verde, briofite, fibre vegetali e radichette, in posizione occultata, o in una cavità fino a 6 m da terra. Effettua brevi migrazioni post-riproduttive a livelli più bassi in Himalaya. Niltava macgrigoriae: originaria del subcontinente indiano e del sud-est

asiatico. Si trova in Bangladesh, Bhutan, India, Laos, Birmania, Nepal, Thailandia, Tibet e Vietnam. Sono riconosciute due sottospecie: N. m. macgrigoriae, 1836 - est dell’Himalaya (da Uttarakhand a Sikkim e nord Bengala). N. m. signata, 1840 - est Himalaya, India, Birmania, Sud della Cina e Thailandia. Lungo 11-14 cm, pesa 11–13 grammi. Questa Specie può essere considerata una versione più piccola (circa la metà) di N. grandis. Il maschio ha la fronte blu-chiaro brillante che raggiunge l’occhio e una piccola mascherina blu scuro supera l’occhio. Il dorso è di colore blu scuro iridescente, mentre il petto è azzurrognolo. Le penne scure della coda sono orlate di azzurro. La femmina ha colori più spenti tendenti al bruno con sfumature rossicce su ali e coda, il mini collarino è di un azzurro più intenso. Il canto risulta essere molto sottile, acuto, che sale e poi scende “twee-tweeee-twee” o “tuwee tee tweee”. Frequenta foreste sempreverdi di latifoglie, zone umide submontane è montane, zone limitrofe alle foreste

e radure. Si alimenta con piccoli invertebrati, comprese le mosche (Ditteri) e alcuni frutti, come ad esempio frutti di bosco. Solitario o in coppia, è abbastanza timido e schivo. La stagione riproduttiva va da marzo ad agosto. Il nido è costruito prettamente dalla femmina (il maschio assiste ed in alcuni casi porta il materiale per l’imbottitura), si presenta a forma di coppa, costituita principalmente da muschio ed è collocato in una cavità sulla riva del fiume, o su un albero ad una altezza media. Come altre Specie, dopo il periodo riproduttivo, effettua spostamenti di quota (verso il basso). Il Niltava in ambiente controllato Benché uno dei grossi ostacoli nell’allevamento dei Niltava consista nell’abituarli ad assumere del cibo alternativo alle prede vive, una volta avvenuta tale assuefazione raramente danno segni di “nostalgia” o di non gradire la nuova alimentazione. Per questi uccelli, ad un buon pastone per insettivori si può mescolare formaggio secco (grana ad esempio) grattugiato, carota e mela. Gli insetti sono indispensabili, le larve di tenebrione

Pullus di Niltava grandís, foto: Felice Rigamonti

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e le camole dovranno essere somministrate con moderazione, mentre altri insetti catturati in voliera arricchiranno la loro dieta. Gradiscono molto la frutta. Possono vivere in voliere esterne, purché dotate di ricovero e ricche di vegetazione. Essendo della famiglia dei pigliamosche, rimangono spesso immobili su un ramo in attesa che qualche preda passi a portata di

ne ho approfittato per visitare il suo splendido allevamento. Rigamonti è un vero appassionato ed i suoi soggetti sono perfetti come colore, disegno e piumaggio. Ho potuto ammirare ciuffolotti, cardellini e lucherini in diverse mutazioni, tutti veramente impeccabili. Oltre ad un locale interno, la vera magia appare alla vista delle sue splendide voliere esterne. Da

Pullus di Niltava grandís, foto: Felice Rigamonti

becco. Dopo il blocco delle importazioni, diversi allevatori del nord Europa hanno cercato di riprodurli regolarmente ed anche in Italia alcuni allevatori si cimentano ogni anno in questa affascinante esperienza. Ho conosciuto Felice Rigamonti, grazie all’amico fraterno Piercarlo Redaelli, ed in occasione del Campionato Regionale Lombardo di Monza

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alcuni anni, oltre alle specie poc’anzi citate, il bravo allevatore brianzolo ha arricchito i suoi aviari con alcune specie di Emberizidi (tra cui E. elegans, E. rutila, E. aureola, E. citrinella, E. hortulana) ed affascinanti insettivori esotici, tra cui i Niltava. Persona molto disponibile, nel periodo di Natale ha deciso di concedermi questa breve intervista che ci

aiuterà a conoscere meglio l’affascinante mondo delle Niltave: Che cosa hai allevato in passato? Come la stragrande maggioranza degli appassionati di ornitologia, ho iniziato con la classica coppietta di canarini, per poi passare ad allevare lucherini ed in seguito cardellini maggiori e ciuffolotti; inoltre, ogni anno allestisco sempre qualche coppia ibrida, utilizzando la femmina di Ciuffolotto. Quest’anno due miei ibridi hanno vinto il Campionato Italiano di Bari, Fanello X Ciuffolotto e Canarino X Ciuffolotto (già campione mondiale). Come ti sei avvicinato all’affascinante mondo degli uccelli insettivori? Tutto iniziò con una visita all’allevamento dell’amico Paolo Gregorutti: rimasi completamente ammaliato dalle Calliopi (Calliope calliope) che lui stava allevando. Tornato a casa, decisi di costruire le voliere esterne e di chiedere consiglio a Pietro Arena, grande esperto di insettivori: è da lì che, grazie anche ai suoi consigli e suggerimenti, ebbe inizio questa nuova avventura. Ho notato che allevi in voliere miste granivori ed insettivori: convivono tranquillamente? Alloggio i lucherini nelle voliere esterne soltanto per il periodo della muta, ma nel periodo riproduttivo lascio all’interno della voliera soltanto una coppia di cardellini Major ed una coppia di insettivori, che convivono tranquillamente. Non vi è competizione tra i maschi delle voliere adiacenti? No, non mi è mai capitato di assistere a schermaglie o vere e proprie litigate. Come li alimenti, che cosa somministri nei vari periodi? Fornisco loro due tipi di pastoncino, che considero la base della loro alimentazione quotidiana; inoltre, fornisco pinkies, buffalo e tarme della farina a giorni alterni, una ventina a voliera, nel periodo di riposo. Utilizzi bacche e, se sì, quali? No, non ne ho mai utilizzate. Dove reperisci gli alimenti vivi? Effettuo ordini sul web e li ricevo direttamente a casa. Le tue splendide voliere piantumate sono sicuramente un ambiente molto “naturale” ma agli inizi della stagione riproduttiva effettui qualche modifica?


Ogni anno, in primavera, eseguo una bella potatura delle piante presenti all’interno dell’aviario; inoltre dal fondo di ogni voliera rimuovo circa tre o quattro centimetri di terra e ne inserisco della nuova. Dove posizioni i nidi e di che tipo sono? I nidi vengono sempre posti nella parte “coperta” della voliera al riparo dalla pioggia, a circa due metri dal suolo e sono quelli in legno aperti sul frontale. Come materiale fornisco muschio e foglie secche per la struttura esterna e sisal per la finitura interna. Quanto dura l’incubazione e di che colore sono le uova? L’incubazione dei Niltava grandis dura 13/14 giorni e le uova sono di colore nocciola chiaro. Nel 2019 i N. g. hanno deposto molte uova, di cui alcune infeconde, che io ho donato al Museo di Lentate sul Seveso, che ha un’ala dedicata all’ornitologia, dove è possibile

ammirare, oltre a diversi soggetti imbalsamati, una bella collezione, appunto, di uova. Che alimentazione fornisci dalla nascita dei piccoli? Oltre ai pastoni già citati, aumento la fornitura di pinkies e buffalo ed aggiungo alla dieta i grilli Acheta di misura media, molto graditi. Al tutto unisco un multivitaminico del commercio. Il maschio collabora all’allevamento dei novelli? Moltissimo, quando nascono i piccoli non mi occorre ispezionare il nido, mi basta osservare il comportamento del maschio; infatti, come fornisco l’alimento vivo, lui prima di cibarsi vola immediatamente al nido, per alimentare i pulli. Quante sono generalmente le cove annue? Nel corso del 2019 ho effettuato diverse covate, perdendo purtroppo alcuni novelli entro il settimo giorno di vita nelle

prime, ma sono riuscito a svezzare tre piccoli di N. grandis. Quali altri insettivori allevi? Per la prossima stagione riproduttiva ho deciso di cimentarmi anche con l’Usignolo, il Pettirosso Giapponese ed ovviamente ancora i Niltava. Se riuscissi ad ampliare le voliere, il mio sogno sarebbe quello di riprodurre quello che l’amico Alfonso di Chieti definisce “il fuoriclasse”: il Codirosso dal mantello bianco, una specie riprodotta da pochissime persone nel mondo. BIBLIOGRAFIA - Handbook of the Birds of the World – Volume 11, Old World Flycatchers to Old World Warblers Edited by Josep del Hoyo, Andrew Elliott, David A. Christie - A Field Guide to the Birds of China, John Mc Kinnon, Karen Phillips, Dave Showler, OUP Oxford - Pocket Guide To The Birds Of The Indian Subcontinent by Richard Grimmett - Helm Field Guides

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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI

FORMA & POSIZIONE PARTIAMO DALLE BASI

Il Cannella

Le piume dei Cannella appaiono più strette dei corrispettivi Normali, dando in tal modo un aspetto setoso

Testo e foto di GIOVANNI FOGLIATI

L’

arrivo fortuito nel 1930 di un maschio portatore di una variazione cromosomica, nell’area del Middlesex, ex contea vicino Londra, permise nel 1933 di vedere l’apparizione della mutazione Cannella, quasi contemporaneamente, in tre diversi allevamenti. Ad onore del vero erano già emersi alcuni soggetti mutati anni prima, ma non avevano avuto seguito selettivo. Da più parti venivano illustrati animali con melanine più chiare (non diluite), simili al color Terra di Siena. Anche in Germania e Australia furono segnalati in quegli anni soggetti dalle caratteristiche “Cinnamon” (cannella in inglese) e ciò porta a presupporre che questa varietà sia apparsa inizialmente verso la fine degli anni 20’ del secolo scorso. La Budgerigar Society approvò lo standard nel 1934. Descrizione In questa mutazione, tutte le marcature che appaiono nere o grigio scuro nelle corrispondenti varietà Normali, si presentano di un bel Marrone Cannella. Ciò è dovuto al fatto che la mutazione fa sì che venga prodotta solo eumelanina bruna e non nera, l’eumelanina bruna prodotta non è diluita ma carica, come l’eumelanina nera nei soggetti comuni. Generalmente i maschi tendono ad essere notevolmente più scuri rispetto alle femmine che in ogni caso non sono diluite ma solo di un marrone più chiaro. Le Timoniere centrali della coda sono più chiare che nei Normali, anche il colore del corpo appare più chiaro, fenomeno dovuto esclusivamente al

Maschio Cannella viola

fatto che viene prodotta solo eumelanina bruna (colore visivamente più chiaro del nero) e ripeto non a una diluizione delle melanine stesse e così pure i marchi guanciali. Le piume dei Cannella appaiono più strette dei corrispettivi Normali, dando in tal modo un aspetto setoso. Sono queste sfumature morbide e la bellezza del piumaggio che conferiscono alla varietà il suo intramontabile fascino. Anche gli occhi dei Cannella alla schiusa non sono neri, ma color prugna profondo. Questo colore può essere visto attraverso la pelle prima che gli occhi si aprano, e immediatamente dopo l’apertura si può facilmente vedere un bagliore rossastro. Pochi giorni dopo l’occhio si scurisce e si distingue a

Maschio Cannella grigio

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vi. Come si può vedere dalle foto, l’eumelanina bruna non è diluita ma pienamente formata.

Femmina Cannella azzurro

malapena da quello di un pulcino normale, ma a questo punto la differenza di colore è ben visibile. I pulli dei Cannella, esattamente come gli Opalini e gli Opalino/Cannella, presentano un piumino da nido di colore Bianco a differenza dei Normale che lo presentano Grigio. Analogamente anche la pelle dei pulcini Cannella è più rossastra che in altre varietà e permane tale anche in età adulta; le zampe sono carnicine e il becco tende ad essere più aranciato. Tutte conseguenze del fatto che viene prodotta solo eumelanina bruna. Superficialmente, questa mutazione è molto simile ai due tipi di Fulvo; il Fulvo tedesco e il Fulvo inglese, ma l’occhio del Cannella è marrone scuro con iride bianco mentre gli occhi di entrambe le varietà di Fulvo sono rossi (con iride bianco nel tedesco, pieno nell’inglese), a tutte le età; anche il colore del corpo dei Cannella presenta una tonalità di verde o blu più profonda rispetto a quella dei Ful-

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L’ereditarietà La mutazione Cannella è legata al sesso e fa parte del gruppo “sex linked” che comprende anche: l’Opalino, l’Ardesia, gli Ino e il Texas Corpochiaro. Molti annoverano anche l’Ala Merlettata, che non è una mutazione a sé stante, ma il risultato del crossingover tra Ino e Cannella. Il locus del suo gene è trasportato sul cromosoma Z . Negli uccelli, il maschio ha due cromosomi Z mentre la femmina ha un cromosoma Z e uno W. Quindi nelle femmine, qualunque sia l’allele presente sul singolo cromosoma Z è completamente espresso nel fenotipo. Le femmine sesso legate non possono essere portatrici per il Cannella (o per qualsiasi altra mutazione legata al sesso). Nei maschi, l’allele Cinnamon deve essere presente su entrambi i cromosomi Z (omozigoti) per esprimersi nel fenotipo. I maschi eterozigoti per il Cannella sono identici al normale corrispondente e sono portatori della mutazione. Accoppiamenti ideali per ottenere il Cannella Cannella X Cannella Cannella X Opalino Cannella Opalino Cannella X Cannella Cannella X Opalino

Maschio Cannella grigio

Le mutazioni sex linked possono combinarsi fra loro variando i rapporti a seconda della probabilità che avvenga un cross-over, probabilità che dipende dalla distanza genetica tra i locus delle mutazioni interessate.

Maschio

Femmina

Maschi

Femmine

Cannella

Cannella

Cannella

Cannella

Cannella

Normale

Normale/Cannella Cannella

Normale/Cannella Cannella

Normale/Cannella Normale

Cannella

Cannella

Normale/Cannella Normale Normale/Cannella Cannella Normale

Normale

Normale

Cannella

Normale/Cannella Normale

Normale

Normale

Normale

Normale


VETERINARIO

Prebiotici, probiotici, postbiotici, microbiota… facciamo un po’ di chiarezza di DIEGO CATTAROSSI (direttore sanitario Clinica Veterinaria Casale sul Sile), foto FOI

S

i discute spesso negli ultimi anni sulla reale utilità dei prebiotici, probiotici, postbiotici e “fermenti lattici” utilizzati come integratori alimentari in ambito ornitologico. Capiamo innanzitutto di cosa stiamo parlando in termini semplici e facilmente comprensibili. Vediamo poi a cosa servono. Per prebiotici si intendono le sostanze utili allo sviluppo della flora intestinale. Per probiotici si intendono i microrganismi costituenti la flora intestinale. I postbiotici sono le sostanze utili all’organismo animale prodotte dai probiotici.

I detrattori e gli scettici sull’utilizzo di queste sostanze ritengono che nell’intestino sano-normale di un uccello granivoro non ci siano batteri o quasi

Sempre più aziende produttrici di diete per uccelli hanno introdotto nel mercato in questi anni delle linee di alimenti arricchite con queste sostanze.

La difficoltà principale che le aziende incontrano nella integrazione con questi prodotti sta nel reperire studi, scientifici ed attendibili, sulle molecole-organismi realmente utili nelle diverse specie di uccelli ornamentali. Come sempre, chi si dedica al mondo degli uccelli da compagnia può contare su poche ricerche, condotte su pochi esemplari da singoli ricercatori appassionati. I detrattori e gli scettici sull’utilizzo di queste sostanze ritengono che nell’intestino sano-normale di un uccello granivoro non ci siano batteri o quasi. Per questo motivo non vedono la necessità-utilità di metterceli. Si è

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sempre ritenuto che la flora batterica normalmente isolabile in un uccello granivoro fosse costituita da rari batteri cocchi gram positivi (es.: diplococchi). Che la presenza di batteri gram negativi fosse da considerarsi condizione para-fisiologica o patologica in presenza di sintomatologia correlata. Recentissimi studi sul microbiota sembrano scardinare definitivamente questa come molte altre certezze mediche! È possibile infatti che il laboratorio non riesca ad isolare batteri intestinali dei nostri volatili non tanto perché non ci siano, ma più probabilmente perché non abbiamo ancora sviluppato le tecniche corrette di isolamento, oppure perché i batteri non riescono a sopravvivere fuori dall’intestino o a contatto con l’aria. È invece assolutamente probabile che ci siano moltissimi microrganismi e che questi svolgano importantissime funzioni non solo a livello intestinale, ma a livello di salute globale di tutto l’organismo! Ma come è composto il microbiota ed in cosa consiste? Il microbiota è l’insieme di tutti i microrganismi presenti nell’intestino. Questi sono rappresentati da batteri (circa 80%), funghi e lieviti (circa 15%) parassiti e virus. Ancora non sono stati neppure tutti classificati e non è stato

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chiarito il loro ruolo, ma sappiamo che ad esempio i batteri che abbiamo potuto isolare fino ad ora in laboratorio sono una frazione infinitesimale rispetto a quelli che la microscopia elettronica in questi anni ci ha permesso di vedere. Tra pochi anni sarà folle pensare che avendo isolato ad esempio dalle feci di un canarino un E.coli con qualsivoglia problema di salute, avremmo in mano il responsabile del problema di salute del nostro amico pennuto. Si può invece ipotizzare che quell’ E.coli possa essere l’unico tra le migliaia di specie di batteri presenti nell’intestino del nostro canarino capace di sopravvivere fuori dall’intestino, resistendo in ambiente con ossigeno, oppure capace di crescere nelle piastre usate in laboratorio per la batteriologia. Sappiamo anche che definire tutta questa enorme massa di vita (in una persona rappresentano circa 1 chilo del nostro peso!!!) solo “fermenti lattici” utili in caso di diarrea è risibile. Sono ospiti che ci aiutano a mantenere le difese immunitarie, a digerire il cibo, a difenderci dalle aggressioni infettive e infestive, a smaltire tossine e veleni, ecc. È oramai dimostrato che la loro distruzione a carico di trattamenti antibiotici, alimentazione errata e stile di vita, non solo predisponga

a disturbi gastro-intestinali ma anche a tutte le malattie della nostra epoca (dalle demenze senili alle insufficienze d’organo, al diabete e molte altre gravi malattie). Da prove fatte in vivo su pappagalli, passeriformi (Passer domesticus, Serinus serinus e Carduelis chloris), polli, rapaci (civette), si è potuto dimostrare che il microbiota cambia prima e dopo un qualsiasi trattamento medico, ovvero viene regolarizzato nei suoi valori, riportando le varie specie ed i vari Taxa a quelle che erano le loro proporzioni originarie in soggetti sani. La pratica di integrare l’alimentazione dei nostri animali con questi prodotti è quindi fortemente consigliata. Ancora non sappiamo esattamente quali siano i microrganismi specifici per le diverse specie, ma sicuramente una supplementazione ed un supporto al microbiota è pratica da consigliarsi in ambito ornitologico. Sempre per lo stesso motivo, è vivamente sconsigliato l’utilizzo di antibiotici quando non servano, fuori dal controllo medico veterinario, senza l’ausilio di esami che comprovino la loro utilità ed efficacia. Per contatti web: www.veterinaricasalesulsile.com blog: www.diegocattarossi.com


DIDATTICA & CULTURA

Breve storia di una mancata “riscoperta” Le immagini del Cacatua bianco sul trattato De arte venandi cum avibus di Federico II di Svevia (1194-1250) testo di IVANO MORTARUOLO, foto AUTORI VARI

P

er oltre trent’anni ho segnalato su questa rivista le novità librarie, proponendo, tra l’altro, il volume “L’universo degli uccelli” (a pag. 25 del n.2/1990), pubblicato nel 1988 dall’Editoriale Giorgio Mondadori. L’opera costituisce un’articolata disamina del trattato di Federico II di Svevia De arte venandi cum avibus, il quale si compone di una parte introduttiva, attinente ai vari aspetti generali dell’ornitologia, e di una parte più specifica, relativa ai rapaci e alla falconeria. Nel volume recensito si prende in esame soltanto il testo introduttivo, il cui originale è custodito presso la Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma, con la sigla Ms. Pal. Lat.

Immagine parziale della recensione pubblicata su I. O.

Una delle quattro miniature di cacatua presenti nell’opera De arte venandi cun avibus, custodita presso la Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma. Fonte: Dalton et al. 2018

1071, noto anche come “Codice di Manfredi” (Manfredi era uno dei figli di Federico II, che ebbe il merito di riordinare e arricchire l’opera paterna). Alla realizzazione del libro hanno contribuito diversi esperti di eterogenee discipline, fra i quali spiccano l’etologo Danilo Mainardi, l’ornitologo Sergio Maria Frugis, il latinista Sergio Tarquinio. Dopo alcune note in cui viene analizzata la complessa figura del sovrano e anche gli avvenimenti che hanno caratterizzato il suo tempo, viene proposta l’immagine di ogni singola pagina del trattato, sia il verso sia il recto, a fianco della quale (a sinistra) vi è la traduzione del testo (ovviamente

dal latino) e un commento del prof. Frugis. La quasi totalità delle pagine è a margine decorata da numerose e ben realizzate miniature che, per buona parte, ritraggono gli uccelli segnalati nell’opera.

L’opera costituisce un’articolata disamina del trattato di Federico II

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Nell’esaminare tale parte iconografica, s’imposero alla mia attenzione quattro raffigurazioni di cacatua bianco, tutte realizzate con il profilo rivolto verso sinistra, il disegno pressoché uguale con le zampe dotate di un sol dito posteriore, ma con qualche variabile cromatica nella livrea. Naturalmente, data l’essenzialità dei tratti e l’incertezza delle tonalità, risultava estremamente ardua l’attribuzione della specie di appartenenza. Poteva difatti trattarsi di un esemplare di Cacatua ciuffogiallo Cacatua galerita o anche di un Cacatua sulfureo Cacatua sulphurea, ipotesi suggerite anche dalla lunghezza e dal giallino delle penne apicali (in posizione di riposo) di tutte le ornitografie. Sta di fatto che tali pappagalli vivono in areali compresi fra l’Australia, la Nuova Guinea e l’Indonesia, luoghi per quei tempi pressoché sconosciuti agli occidentali: si pensi che il De arte venandi cum avibus fu realizzato circa a metà del secolo XIII e che l’Australia fu “scoperta” agli inizi della seconda metà del secolo XVIII. Va, inoltre, evidenziato che queste due specie non possono considerarsi migratrici. Un altro elemento che attirò la mia attenzione fu costituito dalla breve segnalazione del pennuto nel testo, che così venne tradotto: “Altri uccelli hanno una cresta di piume come l’Upupa, la Cappellaccia o come certi pappagalli importati dall’India. Uno di questi ci fu mandato dal sultano di Babilonia. L’esemplare aveva un piumaggio bianco che nella parte inferiore dei fianchi diventava giallino”. Ma quello che mi sorprese ulteriormente fu il commento ornitologico al brano riportato: il prof. Frugis non fece alcun cenno a questa singolare presenza alla corte di Federico II. Decisi, allora, d’intraprendere una ricerca fra il materiale bibliografico in mio possesso e fra quello eventualmente disponibile in qualche istituto universitario vicino. Ma, nonostante l’entusiasmo che mi suscitava tale nuova avventura storico-ornitologica, dovetti accantonare per il momento i miei propositi, perché in quel periodo ero già impegnato nella realizzazione di varie note di taglio veterinario. In quell’anno

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(1990), infatti, pubblicai su questa rivista l’articolo “Le manifestazioni patologiche ad eziologia psichica negli uccelli” (sui nn. 1-2-3-4); segnalai per la terza volta in Italia la presenza del parassita Collyriclum faba (un trematode responsabile di numerose formazioni cistiche cutanee), rinvenuto in una Passera d’Italia Passer italie (n.6/7); proposi alcune considerazioni sull’utilizzo dello iodio (n. 10), sul torcicollo quale sintomo di diverse malattie degli uccelli (n.5) e sulla somministrazione dell’Ivermectina (n. 8). Inoltre, scrissi una nota attinente a curiosità storiche e scientifiche sulle cosiddette tarme della farina Tenebrio molitor (n. 4) e recensii sei libri.

Brano tradotto del trattato di Federico II di Svevia

Insomma, il 1990 fu per me un anno molto impegnativo ma, nel contempo, pieno di soddisfazioni. Sta di fatto che il mio iniziale proposito di approfondire la questione del cacatua di Federico II cadde involontariamente in un lungo oblio, dal quale mi sono ridestato solo di recente, venendo a conoscenza della pubblicazione di una ricerca sull’argomento (Frederick II of Hohenstaufen’s Australasian Cockatoo: Symbol of Detente beetween East and West and Evidence of the Ayyubids’ Global Reach in Parengon 35/1 -giugno 2018- pagg. 35-60), realizzata da Heather Dalton, Jukka Salo, Pekka Niemelä e Simo Örmä. Sin dalla lettura delle pagine introduttive risulta evidente che gli autori, coadiuvati da altri tre ricerca-

tori universitari, hanno realizzato uno studio impegnativo, concentrandosi su aspetti storici, artistici, ornitologici e commerciali, dal quale sono scaturite numerose osservazioni, informazioni e anche spunti di riflessione di una certa originalità. Ne propongo alcuni, in rapida sintesi. Nel trattato in questione è indicato che il cacatua fu donato dal sultano di Babilonia; in realtà, si trattava di alMalik Muhammad al-Kamil, della dinastia araba degli Ayyubidi, che invece governò prevalentemente l’Egitto. Tra Federico II, il quale peraltro aveva una buona conoscenza della lingua araba, e il sultano nacque un’amicizia che durò oltre venti anni (dal 1217 fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1238), caratterizzata da scambi di lettere, libri, vari oggetti di pregio e animali non comuni. E il cacatua, data la sua rarità e la sua bellezza, costituì un dono degno di un imperatore. Gli autori riferiscono inoltre che non è possibile stabilire il luogo di origine e la specie (o sottospecie) di appartenenza del volatile, né il periodo in cui fu donato al sovrano. Tuttavia, dopo aver rilevato nelle ornitografie originali tracce di pigmenti rossastri nelle iridi, affermano che verosimilmente trattasi di un soggetto di sesso femminile. Le femmine del Cacatua ciuffogiallo e del Cacatua sulfureo, infatti, si differenziano dai maschi per la presenza del colore rosso-bruno in tale area oculare. Difficoltosa è altresì la ricostruzione del lunghissimo viaggio, sicuramente durato molti mesi e forse vari anni, intrapreso dal cacatua alla volta della Sicilia, che costituiva un regno ereditato da Federico II e ufficialmente acquisito con l’incoronazione a soli quattordici anni, avendo raggiunto la “maggiore età”. La dottoressa Dalton e la sua équipe evidenziano che nelle isole indonesiane, in quel periodo sconosciute al mondo occidentale, vi fosse una fitta rete di scambi commerciali, praticati con imbarcazioni di piccole dimensioni, che interessavano principalmente tessuti, animali vivi e pelli. Il fulcro di tali attività era l’isola di Giava dove


zare che, data la prezioconfluivano anche mersità di tale singolare canti arabi, persiani e “merce”, le sia stato cinesi. Ed è in Cina che si riservato il miglior trathanno le prime segnalatamento possibile. zioni attinenti alla prePertanto, grazie a quesenza del cacatua bianste caratteristiche e co alla corte degli espocondizioni, si può ritenenenti della dinastia Tang re che il volatile sia riusia nel III e VII secolo. scito a superare i forti e Inoltre, è documentato prolungati stress fisici e che nel IX secolo un psichici, derivati dal luncacatua bianco, apparteghissimo tragitto, senza nente all’imperatore Xuansubire gravi danni. zong (Hsuan-Tsung) Tang, Ho inoltre maturato la fu ucciso da un astore. convinzione che questi La città di Canton costiuccelli, se non privati di tuiva, infatti, un centro di compagnia e di un ristorilevante importanza ero affettivo, sappiano conomica sia per i suoi reagire adeguatamente collegamenti con le magalle situazioni avverse. giori località del Sud-Est E, in proposito, proponasiatico, sia perché vi go una significativa eaffluivano notevoli ed sperienza occorsami cireterogenee merci, papca trentacinque anni fa. pagalli compresi. Gli auErano le prime ore del tori ritengono, poi, che il mattino (mi ero addornostro volatile abbia mentato da poco) quancontinuato il suo viaggio do ricevetti una telefoverso l’Italia partendo, nata dal mio amico veteappunto, dalla Cina per rinario Daniel, che mi il Medio Oriente, attraversando l’India. Peral- Immagine parziale del foglio (verso) indicato con il numero 18. Le numerosissime miniature del trattato (oltre chiedeva un consiglio sull’orientamento teratro, nel XIII secolo le rot- 900) sono state realizzate da artisti di scuola pugliese-campana. Fonte: Dalton et al. 2018 peutico da adottare per te del Medio Oriente un Cacatua ciuffogiallo divennero più sicure e strema docilità, un forte attaccache vomitava in continuazione. Al che organizzate a seguito dell’ascesa delmento alle persone che si prendevano gli chiesi che attività svolgesse il prol’Islam in tali aree. cura di lui e un’innata capacità di imiprietario e mi fu risposto che era un Il cacatua, una volta giunto alla corte tare la voce umana e di fischiettare agente del commercio, il quale viagdi al-Malik Muhammad al-Kamil, fu poi qualche motivo (queste ultime pecugiava per gran parte del giorno. Repliimbarcato a Il Cairo per la Sicilia. liarità, a quei tempi, avranno verosicai seccamente (anche perché stravolDa quanto esposto sorge spontaneo milmente esercitato un’ulteriore vis to dalla stanchezza) consigliandogli di un interrogativo: il pennuto com’è riuattractiva su tutte le persone che, in praticare “iniezioni di affetto” e poi scito a superare per lungo tempo i vario modo, sono venute in contatto riattaccai il telefono senza esitazione. disagi e gli stress derivati dal viaggio con il cacatua). Inoltre, si può ipotizDopo alcune ore il mio amico mi richiae arrivare alla corte di Federico II in mò per avere spiegazioni, perché non buona salute e, verosimilmente, con aveva ben capito che cosa intendessi un bell’aspetto? con la mia affermazione. Gli consigliai, Va preliminarmente rilevato che tali così, di non lasciar solo il pappagallo volatili sono robusti, longevi, non molNel trattato a casa e che il male minore sarebbe to esigenti a livello alimentare e in questione stato portarselo in macchina per tutto hanno attitudini gregarie. Escluderei è indicato che il giorno. che il nostro pappagallo sia stato catIl mio suggerimento si rivelò utile, poiturato già da adulto o in uno stadio di il cacatua ché il pennuto non manifestò più tale subadulto. Mentre è più agevole penfu donato dal sultano sintomatologia e sembrò adattarsi sare che sia stato allevato “a mano” e, di Babilonia bene alla sua nuova collocazione: dieconseguentemente, che si sia imprintro al conducente! ted sull’uomo, sviluppando così un’e-

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CANARINI DI COLORE

Standard provvisorio dell’Isabella jaspe diluizione semplice testo C.T.N. CANARINI DI COLORE, foto FERNANDO ZAMORA (fotosdecanarios.com)

Premessa L’Isabella Jaspe è un canarino di colore presente in numerosi allevamenti e che può anche contare su un novero di allevatori che ha avviato un serio processo selettivo finalizzato a costituire ceppi che evidenziano in maniera netta e inequivocabile le peculiarità della mutazione. Al fine di favorire la divulgazione e la conoscenza di questo canarino, meritevole di considerazione in quanto,

Isabella Jaspe bianco

L’Isabella Jaspe è un canarino di colore presente in numerosi allevamenti

nella tipicità propria dei soggetti a diluizione semplice, evidenzia caratteristiche tali da differenziarlo e distinguerlo in maniera netta, si rende necessaria un’iniziativa che possa incentivare gli allevatori ad esporli nelle mostre ornitologiche. La predisposizione di uno standard da parte della commissione tecnica è certamente lo strumento tecnico più adeguato al raggiungimento dello scopo. Lo standard che segue presenta il con-

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notato della provvisorietà e, come tale, presuppone successive modifiche e integrazioni che saranno suggerite dalla selezione operata dagli allevatori e seguita dalla CTN. Per quanto concerne la tonalità del disegno, dalle esperienze degli allevatori contattati e che si sono cimentati nella selezione dell’isabella jaspe non risulta univocità nella descrizione. Pur considerando che la mera descrizione di una tonalità di colore è cosa non facile e contiene margini di imprecisione che possono condurre a interpretazioni soggettive, risulta che il colore di base predominante è più diffuso sia beige o, se vogliamo, nocciola diluito, con una tonalità fredda, più accentuata nei soggetti derivanti da accoppiamenti con l’agata. In ogni caso, nel valutare la voce tipo il giudice dovrà innanzitutto tener conto delle peculiarità della mutazione in tema di conformazione del disegno e di espressione tipica della barratura alare e di quella caudale.

Caratteri tipici I migliori soggetti osservati presentano disegno eumelanico di una tonalità beige “fredda” con un tenue effetto c.d. “di dispersione” verso la parte esterna della penna corrispondente a quello che si osserva nell’Agata Jaspe. Il disegno, corto e sottile, deve creare un contrasto con il fondo e interessare il piumaggio con la caratteristica manifestazione ed estensione già riscontrata nell’Agata Jaspe che interessa testa, guance, fianchi e petto. Tale effetto è apprezzabile nei soggetti apigmentati e mosaico mentre nel giudizio di brinati e degli intensi si dovrà tener conto che l’interazione dei pigmenti lipocromici ostacola l’estrinsecazione di questa caratteristica. Riguardo agli intensi, i pochi soggetti finora osservati evidenziano il difetto di un disegno poco o per nulla evidente. Al fine di stimolare la corretta selezione, il giudice dovrà essere scrupoloso attenendosi rigorosamente ai criteri di giudizio e penalizzando i sog-

getti che non evidenziano chiaramente il disegno e le caratteristiche peculiari della mutazione. La barratura alare dovrà essere evidente e interessare la parte centrale delle remiganti primarie. La barratura caudale dovrà essere limitata alla parte superiore. Difetti - Penne non interessate dalla mutazione; - Penne depigmentate (anche quanto la porzione della penna prossima al calamo risulta pigmentata); - Barratura assente, poco estesa o eccessivamente estesa; - Feomelanina visibile (da non confondere con l’eumelanina “dispersa” che appare di tutt’altra tonalità); - Disegno confuso o lungo e largo, determinato da un eccesso di effetto di “dispersione” già riscontrato nell’agata jaspe; - Disegno impercettibile o non sufficientemente evidente

Disegno eumelaninico di colore beige, tonalità fredda, completo ed evidente, uniforme, con effetto di dispersione e con la caratteristica estensione tipica della mutazione che, soprattutto nei mosaici e negli apigmentati, interessa in maniera caratteristica testa (zona pileare), guance, petto e fianchi. Ottimo

Assenza di feomelanina.

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Barratura evidente che interessa le remiganti e le timoniere le cui estremità dovranno mantenere la normale tonalità melaninica. Parti cornee carnicine. Buono

Saranno considerati buoni i soggetti che rispetto all’ottimo si discostano leggermente da una o più caratteristiche sopra descritte per l’ottimo.

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Il soggetto deve comunque possedere i caratteri tipici descritti in premessa. Disegno eumelaninico non uniforme, o lungo e largo; presenza evidente di feomelanina. Sufficiente

Barratura eccessivamente estesa o eccessivamente ridotta che comunque non arriva a interessare l’estremità delle penne.

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Distribuzione ed estensione del disegno non conforme alle caratteristiche della mutazione pur consentendo l’individuazione del tipo. Assenza dei caratteri tipici della mutazione in soggetti che tendono ad altri tipi come l’isabella opale o l’isabella pastello (soprattutto nei soggetti intensi). Disegno eccessivamente marcato. Insufficiente

Eccessiva presenza di feomelanina. Piumaggio che presenta un eccesso di penne non interessate dalla mutazione Barratura che interessa in maniera eccessiva le timoniere e le remiganti intaccando anche la parte terminale. Zampe brunastre

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Ulteriori chiarimenti Per quanto riguarda la barratura alare e caudale, premesso che, come già chiarito, l’estensione eccessiva che arriva a interessare la punta delle remiganti e delle timoniere determina insufficienza, nelle altre situazioni in cui non si è in presenza di estensione tipica, il difetto dovrà essere valutato tenendo conto delle altre caratteristiche possedute dal soggetto. Ad esempio, in presenza di soggetti che presentano un’ottima tipicità del disegno e dell’espressione delle melanine in genere, ma una ridotta (ma percettibile) o maggiore estensione della barratura, la valutazione non potrà essere “ottimo” ma potrà essere senz’altro “buono”. In caso di barratura non percettibile, la valutazione potrà essere “sufficiente” in soggetti che presentano un’ottima espres sione del disegno e della melanina in genere (per fare ulteriore chiarezza, in soggetti che se avessero la giusta estensione della barratura sarebbero ottimi). Per quanto riguarda la presenza di penne vistosamente depigmentate, anche se presentano melanizzazione nella parte inferiore (difetto molto ricorrente nel Jaspe), comporta la non giudicabilità del soggetto. Riguardo alla presenza di penne non interessate dalla mutazione è già stato chiarito

Isabella Jaspe intenso giallo

che il difetto determina insufficienza quando risultano eccessive in termini quantitativi e di visibilità. Negli altri casi il difetto sarà penalizzato tenendo conto della sua effettiva consistenza (più grave se interessa remiganti e timoniere in quanto più evidente) in relazione alla misura in cui il soggetto manifesta complessivamente la tipicità (ad esempio, un soggetto che presenta una o due penne non mutate ma che senza quel difetto sarebbe “ottimo”, potrà essere valutato “buono”).

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S pazio Club Club Diamante Codalunga

Club di Specializzazione

I

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l 2019 è stata un’annata particolarmente importante per il Club del Diamante Codalunga, molto attivo nell’organizzare momenti di crescita, informazione per i soci ed interazione con la Commissione Tecnica che è l’unico organo specifico nazionale con il quale interagire sinergicamente, per sviluppare progetti che valorizzino il Diamante Codalunga e che ne aumentino la conoscenza e la diffusione. Abbiamo iniziato la stagione incontrando, il 30 dicembre 2018, il Presidente della CTN, che dalla Sicilia è volato a Guastalla (RE) per incontrare il nostro Club. Durante la riunione, l’Ing. Carmelo Montagno Bozzone ha illustrato lo standard attuale e le categorie delle mostre 2019 del nostro amato esotico e le motivazioni di tali suddivisioni. Il Club ha poi presentato in anteprima al Presidente una proposta pilota per istituire in futuro un gruppo di studio denominato “tavolo permanente di specializzazione”, dedicato al Diamante Codalunga; l’incontro si è poi concluso visionando collegialmente alcuni soggetti che gli allevatori avevano portato per l’occasione. La giornata ha ribadito ancora una volta come Club e Commissione Tecnica debbano interagire in modo sinergico costruttivo/interattivo: il Club per mettere a disposizione dati o progetti di accoppiamenti per definizioni del comportamento genetico dei soggetti ora definiti come Feomelanico, Topazio e Ino-Bruno, mentre la CTN per elaborare dati e formulare ipotesi che aumentino la conoscenza e il comportamento delle mutazioni nel Codalunga o la messa a punto di standard sempre più moderni e profondi. L’attività del Club è proseguita in giugno con il convegno di Prato di Correggio (RE), organizzato con la presenza di Gabriele Ragni, membro della attuale Commissione Tecnica EFI in qualità di referente nazionale per gli estrildidi, e con i nostri soci (già presentato su Italia Ornitologica di ottobre-novembre 2019 come secondo evento dell’anno 2019). L’incontro si è sviluppato sul giudizio collegiale degli esemplari portati dai soci presenti all’incontro, analizzandone l’attinenza allo standard e discutendone gli indirizzi selettivi corretti per le varie mutazioni attualmente presenti nel Diamante Codalunga.

Incontro di Lanciano: i relatori


S pazio Club Incontro di Lanciano, Francesco Faggiano

Dopo il convegno di Prato di Correggio è stata la volta, in ottobre, di una grandissima passerella espositiva del Diamante Codalunga, ospite nel tempio del Gould in quel di Lanciano, animato e gestito “magicamente” dal mitico Luciano Di Biase e dal suo team, un gentiluomo di altri tempi che ha dimostrato come ormai Lanciano sia diventata una mostra di prestigio internazionale unico. Meta ambita di “pellegrinaggio” da parte di allevatori neofiti che vogliono migliorarsi, di professionisti veterani che vogliano confrontarsi sportivamente con i vertici nazionali e puntare alla leadership assoluta, nonché di giudici emergenti che vogliono diventare super-specialisti del Gould, trovando in questa cornice speciale il giusto elevatissimo livello tecnico per cimentarsi con quesiti di giudizio collegiale di particolare complessità. Chi vince a Lanciano è spesso di livello superiore ad un Campionato Italiano. In questo contesto, da far tremare le gambe ai neofiti allevatori e giudici, quest’anno tante novità positive nel programma spettacolare della mostra Erythrura: la specialistica dei Codalunga, alla prima emozionante edizione, è stata subito evento di massa ineguagliato, più Codalunga che al Campionato Italiano, mai visti da nessuna parte… con mia grande felicità ed emozione. Ma vediamo nel dettaglio i valori in campo: tanti nuovi allevatori e vecchie conferme. La categoria più importante è risultata essere l’ancestrale Hecky singoli, con animali bellissimi a contendersi il primo posto; ha vinto Giorgio Valentini, battendo di stretta misura Daniele Zanichelli e Luca Bianchi. Zanichelli ha poi trionfato con lo stamm di Hecky ancestrali davanti allo stesso Valentini. Il soggetto di Valentini è risultato di grande pregio, in quanto dotato di un grande equilibrio dei pigmenti melanici, caratteristica sempre più rara in un’era dominata dagli eterozigoti/portatori di pigmenti, sempre più sbilanciati o troppo diluiti. Per troppo tempo si è parlato solo del becco del Codalunga ma l’aspetto maggiormente in pericolo attualmente, per la salute dell’ancestrale Hecky, è la feomelanina che nell’ancestrale deve essere ben rappresentata, unitamente all’eumelanina nera e bruna. Nei mutati bella gara nei grigi singoli, vinta da Zanichelli davanti a Faggiano, mentre nei soggetti Ino si è registrata la vittoria di Di Cicco. La settimana di Lanciano si è distinta per un approccio promozionale multimediale particolarmente efficace; giornali locali e televisioni hanno setacciato e radiografato l’evento in ogni sfaccettatura, da quello tecnico sportivo a quello sociale ricreativo, facendo il punto su come Lanciano, rispetto al panorama orniculturale nazionale, un giorno all’anno, diventi un picco senza eguali per il numero di soggetti ingabbiati, per il numero di Regioni italiane coinvolte nell’evento, per l’accoglienza speciale che viene riservata ad allevatori e giudici, per la ricca e creativa premiazione ed infine, ma non per ordine di importanza, per il convegno scientifico che anche

Club di specializzazione

Incontro di Lanciano, Luigi Montini e Sergio Lucarini

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S pazio Club

Club di Specializzazione

Incontro di Lanciano, Sergio Lucarini

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Codalunga esposti alla Specialista “La Fenice”

quest’anno ha garantito un pubblico attento ed interattivo. Nel pomeriggio del sabato lancianese abbiamo avuto tra i relatori Luigi Montini che ci ha parlato del suo itinerario fotografico in Australia, la terra del Diamante di Gould e del Diamante Codalunga, e Sergio Lucarini che ha relazionato insieme a Francesco Faggiano sulle mutazioni e combinazioni del Diamante Codalunga e del Diamante del Gould. Il tempo per la cena è arrivato troppo presto: avremmo voluto continuare ancora, ma già ci sono idee per il prossimo momento di approfondimento sulla pet therapy con i Diamanti di Gould, da sviluppare con Ivano Mortaruolo. Lanciano… settimana meravigliosa che ci dà alcuni insegnamenti per continuare ad organizzare tante specialistiche interessanti e di livello straordinario come in nessun altro posto, o quasi! Qualche settimana dopo, appena ripresi dal sogno di Lanciano, arriva la specialistica della Fenice e ancora il Codalunga è protagonista: siamo dalle parti di Reggio Emilia (Prato di Correggio) ma la passione è la stessa, il numero dei Codalunga è appena più basso, ma la qualità è sempre alta, soprattutto nei grigi dominati da un bellissimo singolo e da un ottimo stamm di Gildo Tomasin e di Zanichelli, splendido padrone di casa Mentre scriviamo si sta inaugurando la terza e ultima manifestazione specialistica della stagione mostre 2019 del Diamante Codalunga ad Agrigento, in Sicilia, con la 14^ Mostra Ornitologica Nazionale “Città di Agrigento” organizzata dall’Associazione Ornitologica Agrigentina e seguita dal nostro Vicepresidente e giudice Internazionale Antonio Oliva. I segreti di manifestazioni così riuscite: i convogliamenti e le collaborazioni tra persone che condividono la stessa passione e per questo percorrono centinaia di km. L’unione fa la forza, le grandi specialistiche rendono possibile anche le sperimentazioni creative ed ardite di nuovi eventi che da soli sarebbero impossibili! Grazie, Lanciano e Prato di Correggio, per essere interpreti di così grandi passioni; lavoriamo insieme per essere ancora uniti nel progetto per il 2020. Due settimane straordinarie dedicate al Diamante Codalunga pervase da una sottile tristezza per un amico che ci ha lasciato: Jean Pichon, francese bretone, il più grande allevatore di Diamante Codalunga che abbia mai conosciuto, ci ha lasciato troppo presto, a 70 anni, dopo una lunga malattia. In sua memoria con Il Club del Diamante Codalunga organizzeremo, negli anni, qualche iniziativa specialistica alle quali avrebbe senz’altro partecipato e vinto! Jean Pichon, il più fulgido esempio dell’orgoglio di essere allevatore di Codalunga! GIANLUCA MORONI Club del Diamante Codalunga Italia


DIDATTICA & CULTURA

I Padri dell’Ornitologia italiana

Alfredo Brandolini (Ravenna 15.2.1892 - 6.3.1965) di ROBERTO BASSO e ANGELO BLANCATO foto ARCHIVIO CIVICO MUSEO DI STORIA NATURALE DI JESOLO

A

lfredo Brandolini nacque a Ravenna e visse sempre nella Bassa, ove trascorse tutti i suoi settantatré anni. Discendente da una famiglia benestante di possidenti terrieri che gli poterono garantire le risorse necessarie per i suoi studi e per finanziare le sue passioni, dopo aver frequentato il liceo classico si laureò brillantemente all’università di Bologna in agraria e sin da giovane fu attratto dal variegato mondo delle scienze naturali, in particolare l’ornitologia e la botanica. Già all’età di quattordici anni incominciò ed arricchì nel tempo una importante collezione tassidermico-ornitologica che, attraverso una costante ricerca e indagine conoscitiva, riuscì a rendere una tra le più importanti del Ravenna-

Fu attratto dal variegato mondo delle scienze naturali, in particolare l’ornitologia e la botanica

te e dell’Emilia, collezione ricca di insolite ed accidentali catture. Compì anche numerose spedizioni a scopo di ricerca e raccolta in molte regioni italiane, del Nord, Centro e Sud Italia, fatta eccezione per le località dell’arco alpino. Rimase particolarmente affascinato dalla Sardegna ove si trat-

Ingresso del Museo dedicato ad Alfredo Brandolini in località Sant’Alberto di Ravenna

Copertina del raro catalogo della collezione ornitologica Brandolini, pubblicato nel 1961 di 183 pagine

tenne a lungo. Fece anche una spedizione scientifica nel centro Africa ed in particolare trascorse tre mesi in Eritrea. Ben presto si trovò ad aver costituito una collezione, in continua crescita, di oltre 1000 esemplari, preparati dai più valenti tassidermisti dell’epoca nonché scrupolosamente corredati da dati morfologici. In questa collezione spiccano anche diversi esemplari affetti da anomalie della colorazione del piumaggio e teratologiche; nella ricerca di questi insoliti e rari soggetti dedicò molto tempo ed energia, scrivendone poi con grande rammarico quando, giungendo troppo tardi alla fonte, apprendeva che erano stati oggetto di utilizzo alimentare anziché scientifico. Raccolse anche molte uova, nidi e pulli che abbinò ad ogni specie; con pazienza e meticolosità riuscì progressivamente a costituire una biblioteca ed emeroteca tematica in cui erano presenti i più importanti lavori pubblicati dall’inizio dell’800 sino alla seconda

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Scorcio di una sala dedicata all’ornitologia e agli ambienti lacustri

metà del ‘900; tra questi volumi molti erano prime edizioni, pubblicati anche in lingua straniera. Fu inoltre un appassionato cacciatore, come pure allevatore di specie autoctone ed esotiche, come testimoniato da alcune sue pubblicazioni sulla R.I.O. (Rivista Italiana di Ornitologia). Riuscì con successo ad ibridare in ambiente controllato alcune specie silvane (“Ibridi Carduelis spinus x Serinus canarius serinus ottenuti in cattività”, per l’epoca un risultato non usuale); praticò a lungo la caccia al capanno, curando amorevolmente una batteria di richiami nella sua azienda agricola, batteria che egli selezionò sapientemente, al punto da essere invidiata da molti. Fu anche un appassionato cinegeta, in particolare di razze italiane, e il suo

grande amore furono soprattutto gli spinoni. Egli fu persona saggia e dall’indole mite e socievole; ciò gli permise di entrare in contatto con molti direttori di musei di storia naturale, ornitologi e tassidermisti dell’epoca con i quali consolidò fitti scambi di materiali e di notizie. Grazie ai diversi suoi articoli pubblicati sulla R.I.O., allora curata dall’esimio ornitologo Edgardo Moltoni, poté ricevere importanti stimoli e suggerimenti. Per riconoscenza, il Brandolini donò a sua volta al museo di Milano diversi esemplari del Ravennate, montati o in pelle. Egli fu sempre in contatto con il variegato mondo dei ricercatori e il suo nome comparve frequentemente anche a firma di articoli e saggi quasi sempre riferiti a osservazioni e studi

Alcune delle tante vetrine che custodiscono le collezioni ornitologiche

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Dettaglio della collezione di uova e pulcini

inediti sul Ravennate e sulla Romagna che interessavano sia riviste ornitologiche che venatorie. Ben presto seppe ritagliarsi credibilità, stima e considerazione che gli consentirono di collaborare al primo censimento completo dell’avifauna romagnola. Dopo diverse peripezie, parte della collezione Brandolini è oggi custodita nel Museo di Sant’Alberto, che vi ha dedicato una sala. La sua fu un’ornitologia strettamente legata al territorio, fatto che accresce notevolmente il valore scientifico del suo operato e dei risultati conseguiti. Con estrema diligenza e caparbietà aggiornò quanto di conosciuto vi era sull’avifauna del Ravennate, in quanto l’ultimo scritto in materia risaliva al 1737 (“Delle uova e dei nidi degli

La sala dedicata alla biblioteca Alfredo Brandolini


uccelli” di Giuseppe Zinanni). Dalla mescolanza tra le sue competenze agronomiche e la passione per gli studi ornitologici nacque una delle conclusioni che anticiparono ampiamente i problemi e i danni a cui ancora oggi stiamo assistendo: la sua sensibilità verso la natura lo portò ad affermare che la diminuzione di molte specie di insettivori e di alcuni rapaci diurni e notturni era necessariamente da collegare all’uso indiscriminato dei pesticidi in agricoltura, dannosi e velenosi per l’intera catena alimentare. Alfredo Brandolini, quando si rese conto che la malattia non l’avrebbe risparmiato, manifestò il vivo desiderio che la sua collezione, la sua biblioteca ed i suoi appunti fossero donati alla sua città affinché venissero utilizzati e valorizzati per scopi didattici, premurandosi di dare tutta una serie di indicazioni cosicché il tutto non venisse disperso o alienato. Pubblicò, inoltre, nel 1962 un catalogo monografico della sua collezione, impreziosito da tutta una serie di osservazioni, anche inedite, sulla presenza di ogni singola specie documentata nel ravennate e la rispettiva etologia. In quest’opera si premurò di indicare anche le località in cui furono effettuate le osservazioni e le catture e, in alcuni casi, chi fu il preparatore. Alla sua morte emerse una collezione costituita da oltre 1400 esemplari appartenenti a circa 400 specie differenti, patrimonio scientifico che le sorelle Maria e Bianca donarono nel 1867 al comune di Ravenna. Per lui scrisse un necrologio Camillo Valentini sulla rivista “Diana”, di cui riportiamo di seguito una parte delle splendide parole: “Il suo amore per il mondo alato giungeva al punto che nel magnifico giardino della sua casa aveva apprestato una voliera grandiosa, con laghetto e rivoli d’acqua corrente, dove aliavano tutte le specie di anatidi e di trampolieri, di rallidi ed uccelli acquatici, anche i meno comuni. E lui stesso li sorvegliava e amorevolmente li accudiva… Oltre che cacciatore ed ornitologo, Alfredo Brandolini fu, come abbiamo detto, un grande agricoltore e la sua memoria sotto questa

Immagine storica delle collezioni ornitologiche. Si noti in primo piano un combattente in livrea estiva

benefica e generosa luce di redenzione resterà imperitura nel cuore della gente di Romagna, che per tutta la vita

lo vide pioniere di costante fatica in questa grande opera di sociale benessere”.

Foto che ritrae il Dott. Alfredo Brandolini

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ALIMENTAZIONE

L’orto-ornitofilo

“Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la Primavera” - PABLO NERUDA

La Calendula officinale: un fiore polifunzionale testo e foto di PIERLUIGI MENGACCI

Premessa A far compagnia al nasturzio, nelle aiuole predisposte nel mio orticello, da alcuni anni, nel mese di marzo, semino anche la Calendula officinalis, seguendo il consiglio che mi diede a suo tempo l’amico Massimo, agronomo: “La calendula è uno dei fiori che non deve mancarti nell’orto: è polifunzionale”- mi disse -. Alla mia richiesta del perché, questa è stata la risposta: -“Per te che cerchi di fare un orto biologico è una pianti-

Cespuglio di calendule

cella ideale; ecco le funzioni: sottoterra le radici allontanano alcuni parassiti dal terreno sopratutto i nematodi (minuscoli vermi); fuori terra il profumo allontana le zanzare e attira anche insetti utili come i sirfidi (insetti tipo mosche con colori simili ad api e vespe) le cui larve si nutrono di afidi; non ultimo, potrai gustarne foglie e fiori in cucina o utilizzare l’intera pianta secondo i dettami della medicina naturale, tra cui fitoterapia e omeopatia, dove è molto utilizzata.

In più hai un barometro nell’orto: se al mattino trovi i fiori chiusi… sicuramente minaccia pioggia! E non è tutto! - E salutandomi, ripeteva: - “Al bando insetticidi vari e.. vai col biologico!”-. “Con tutte queste funzioni, - mi sono detto - caro Gigi, questa pianticella bisogna conoscerla meglio” - Ed ecco che i miei libri sulle erbe officinali ed internet mi sono venuti incontro. Classificazione botanica Regno: Plantae Divisione: Magnoliophyta Classe: Magnoliopsida Ordine: Asterales Famiglia: Asteraceae Tribù: Calenduleae Genere: Calendula Specie: C. Officinalis Volgare: Garofano di Spagna, Cappuccina, Callandria, Calta Origine: Europa Meridionale, Marocco Etimologia Sull’etimologia del nome Calendula esistono pareri differenti. Secondo una teoria, il termine calendula deriva dalla parola greca kàlanthos che significa “coppa” o “cesta”, riferito alla forma del fiore. Un’altra, invece, sostiene che derivi dal calendario poiché segna il ritmo del giorno aprendosi al mattino e chiudendosi al calar del sole e per questo motivo nei testi medievali veniva chiamata solis sponsa (sposa del sole).

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Ai più sembra evidente la derivazione dalle calendae romane, che indicano il primo giorno di ciascun mese nel calendario romano, quello della luna nuova quando il calendario era un ciclo lunare. Infatti, la calendula fiorisce ogni mese. Dai latini e dai greci era solitamente chiamata solsequium (“seguace del sole”), in quanto i fiori si aprono e si chiudono al sorgere e al calar del sole. Riporto inoltre quanto descritto nel vocabolario Treccani: calèndula (o calèndola) s. f. [der. del lat. calendae «calende» (da cui anche il lat. scient. Calendula), perché, nella bella stagione, fiorisce ogni mese]. – 1.Erba perenne del Mediterraneo (Calendula officinalis), detta anche fiorrancio o calta, spesso coltivata per aiuole; i suoi fiori, di colore giallo o arancio, si usano come sedativi, emmenagoghi e sudoriferi. 2. In botanica, genere delle composite tubuliflore (lat. scient. Calendula), con una ventina di specie, della regione mediterranea: sono erbe annue o perenni, o suffrutici, con capolini a fiori gialli, quelli esterni femminili ligulati, quelli interni ermafroditi tubulosi. Ne fanno parte la comune calendula e una specie più piccola di questa (Calendula arvensis), frequente in Italia, chiamata anche calta selvatica o fiorrancio dei campi. Descrizione e Coltivazione È una pianta erbacea che può essere annuale o biennale, la cui altezza non supera i 20/30 cm. In botanica, viene definita “polimorfa” in quanto la forma di foglie, fusto e fiori può variare. Il fusto generalmente si presenta ramificato e carnoso con foglie oblunghe, di color verde lucente, con margine irregolare. La semina può essere effettuata a marzo per la fioritura estiva, oppure a settembre-ottobre per quella invernale, sia in vaso che in giardino o nell’orto. Non ha particolari esigenze di concimatura, purché il terreno sia soffice e ben drenato senza ristagni. Per ottenere uno sviluppo regolare ed una bella fioritura è bene diradare le piantine e distanziarle di circa 10 cm sia nelle aiuole che nei vasi. Inoltre, gradisce l’esposizione al sole ma va innaffiata tutti i giorni; se è posizionata

a mezz’ombra, ogni due o tre giorni. È bene tener presente, quando la coltiviamo in giardino o nell’orto, che è una pianta tendente a disseminarsi spontaneamente. I fiori sono riuniti in capolini circondati da brattee pelose, di colore gialloarancio, e contengono dei pigmenti coloranti che vengono usati anche in sostituzione dello zafferano. La fioritura avviene dal mese di maggio a tutto novembre in pieno campo e, se le piante sono ben protette, in vaso anche durante l’inverno. I frutti sono degli acheni unghiosi o muniti di aculei, di forma variabile. Nelle buste che ho acquistato ne ho trovati semplici, arcuati ed alati. Storia, leggenda, mitologia Ci sarebbe molto da scrivere su questi tre argomenti. Fin dai tempi più antichi la calendula è stata sia idolatrata che utilizzata per le sue infinite proprietà e virtù; come si può ben immaginare, molti antichi scrittori ne hanno decantato i numerosi benefici, ma anche tramandato credenze e superstizioni. Per i greci e per i latini, il fatto che i fiori si aprissero al mattino per richiudersi al tramonto era considerato un simbolo di sottomissione e di dolore per la scomparsa del sole. Questa credenza ha fatto sì che la calendula sia stata associata nel corso dei secoli ai sentimenti di dolore, dispiacere e pene d’amore.

Nella mitologia greca, la calendula nacque dalle lacrime della dea Afrodite (Venere per i latini) disperata per la morte del suo amante Adone, che era stato trafitto da un cinghiale mandatogli contro da Ares, suo gelosissimo marito. Pianse così tanto che le lacrime, toccando terra, si trasformarono in una pianticella dal fiore giallo-arancio; da questa leggenda, nella Grecia antica, la calendula è diventata il simbolo del dispiacere e del dolore che veniva raffigurato con un giovane adornato da una corona di calendule. Nella mitologia latina la stessa leggenda ha anche un’altra versione, decisamente più completa ma che non muta il significato della calendula. Storicamente, invece, gli Egizi consideravano la calendula una pianta capace di far ringiovanire. Gli Indù ne ornavano i templi. Persiani e Greci ne utilizzavano i petali per decorare i cibi. Troviamo riferimenti alla calendula negli scritti di Virgilio, Plinio il Vecchio e Dioscoride con il nome di caltha (il nome calendula viene usato a partire dal XIV-XV sec) riferito a fiori giallodorati dal forte profumo e dalle svariate proprietà salutistiche sia per uso interno che esterno, in alcune ricette culinarie, ed anche impiegati per scopi commerciali. Infatti, veniva usata dai romani nell’arte tintoria per tingere lane e stoffe. Nella cultura indiana, con i fiori di calendula venivano create ghirlande per incoronare le divinità. Nel

Aiuola di calendula e nasturzio ai bordi dell’orticello dell’autore

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Medioevo la calendula veniva chiamata “oro di Maria” ed era dedicata alla Madonna, essendo considerato il fiore dell’amore e in quanto usato come rimedio per i problemi femminili. Anche l’uso decorativo che al giorno d’oggi ne facciamo con i fiori nel potpourri risale al Medioevo, quando fu scoperto che i fiori, adeguatamente essiccati, rimangono inalterati nei loro colori, senza alcuna degradazione, per molti anni. Non sto ad elencare usi e leggende di alti paesi. Proprietà ed utilizzo Come accennato nel capitolo precedente, fin dall’antichità le proprietà terapeutiche di questa pianticella erano conosciute e utilizzate sia per uso interno che esterno e, prima la medicina popolare poi omeopatia, fitoterapia e farmacologia le hanno recepite e migliorate. Principi attivi: la Calendula (capolini, sommità fiorite e foglie)è ricca di principi attivi che ne fanno un ottimo rimedio contro molti disturbi. Tra i principi attivi troviamo: Vit. C, resine, flavonoidi, polisaccaridi, caroteni, fitosteroli, mucillagini, acido salicilico, acidi grassi, sostanze amare e oli essenziali, dal tipico profumo che hanno una potente azione antinfiammatoria. Nei fiori, inoltre, troviamo il licopene, lo stesso potente antiossidante presente nei pomodori, e il betacarotene, per cui venivano usati come sostituto dello zafferano.

Fiore di calendula in primo piano

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Gli studi in farmacologia hanno confermato che gli estratti di Calendula officinalis possono avere effetti antivirali, antigenotossici e antinfiammatori. Test in vitro hanno dimostrato le proprietà antibatteriche e antimicotiche degli estratti naturali di Calendula. (Lo studio citato risale al 2006. “A new extract of the plant Calendula officinalis produces a dual in vitro effect: cytotoxic anti-tumor activity andd lymphocyte activation“, una pubblicazione a cura del BMC Cancer). Proprietà curative: coleretica, colagoga, antisettica, antimicrobica, antivirale, antinfiammatoria, diuretica, cicatrizzante, emmenagoga, depurativa ed aiuta la sudorazione. L’attività antibiotica, dovuta ai flavonoidi e alle saponine, è diretta verso svariati microorganismi, in particolare contro i batteri Gram-positivi, quali Staphylococcus aureus e Streptococcus betahaemolyticus. (Tratto da https://www.my-personaltrainer.it/integratori/calendula.html) In omeopatia, la calendula officinalis è apprezzata per le sue proprietà antinfiammatorie, antivirali e astringenti. Un decotto o un infuso di fiori e foglie per alcuni giorni ottengono l’effetto desiderato. In fitoterapia, viene utilizzata tradizionalmente per via orale sotto forma di decotto o infuso per eliminare gli spasmi dei muscoli, per i disturbi mestruali e le infiammazioni del cavo orale faringeo, ma anche come antifebbrile e nei

casi di colite, gastrite e ulcere. L’applicazione topica di oli, tintura madre, creme e decotti, oltre a favorire la cicatrizzazione delle ferite, a ridurre l’infiammazione nella cura delle vene varicose, delle emorroidi e le infiammazioni ano-rettali, è altresì utile per il benessere della pelle nei casi di punture di insetti, ferite, scottature e irritazioni della pelle. Gran parte dei prodotti per la cura del corpo vengono realizzati sfruttando le proprietà della calendula. Come tutte le altre erbe officinali, anche la calendula trova posto sul tavolo della cucina. Le piante intere possiamo lessarle e ripassarle in padella con del buon olio extravergine, aglio ed anche peperoncino; con la cottura le foglie perdono il loro sapore forte e acquistano un gusto dolce. Le foglie, raccolte tenere, possiamo usarle per misticanze di insalate o per aromatizzare verdure o carni. Con foglie, fiori e mandorle possiamo fare un pesto dal sapore e colore molto particolare. I fiori messi nel brodo di carne, oltre al colore, aggiungono sapore e profumo gradevole. Con i petali dei fiori possiamo colorare risotti in sostituzione dello zafferano. Nel mio allevamento di canarini di colore, essendo il fiore della calendula ricco di licopene (ottimo protettivo del fegato, pelle ed altri organi), di beta carotene… nonché antibatterico, mi sono detto: perché non fare qualche infuso di fiori e darlo da bere per qualche giorno ai canarini durante la muta? Detto e fatto: metto 2 cucchiai di fiori essiccati all’ombra in un litro di acqua bollente per 10-15 minuti a recipiente coperto; filtro in una bottiglia di vetro e, una volta raffreddato, lo metto nei beverini. Risultato? Viene bevuto volentieri! Ed ho riscontrato essere un ottimo aiuto naturale alla colorazione ed un valido contributo alla brillantezza del colore e alla sericità del piumaggio. Inoltre, lo reputo molto utile contro le infiammazioni del sistema gastro-intestinale e soprattutto del fegato che generalmente, a mio avviso, sono causate dall’uso di pastoncini alquanto grassi durante la muta e da sementi molto polverose. Riscontri negativi non ne ho avuti.


A tutt’oggi, non si ha conoscenza di controindicazioni o effetti collaterali per l’assunzione o utilizzo di prodotti a base di Calendula officinalis; comunque, se una persona ha delle intolleranze, come per qualsiasi alimento, è bene consultare il proprio medico curante e… nel caso di volatili, il proprio veterinario. Conclusione Sacrosante sono state le parole di Massimo ed ogni volta che ci incontriamo non faccio altro che ringraziarlo perché i suoi consigli, prima di tutto, mi hanno convinto a seminare la calendula nell’orto; poi mi hanno spinto a documentarmi sulle proprietà di piante che conoscevo solo superficialmente ed infine a mettere in pratica le nozioni acquisite, portando in tavola anche questa pianticella avendo sempre presente il detto che “è meglio curarsi mangiando che mangiare per curarsi!”. All’inizio mia moglie era un pochino riluttante, ma poi, da assidua spettatrice della trasmissione televisiva Geo&Geo, dove per diverse puntate sono state trasmesse interviste e consigli sull’utilizzo di fiori ed erbe selvatiche da esperti nutrizionisti e ristoratori, anche lei ha iniziato a seguirmi, prima nell’orto, poi in cucina ed infine nella tavola con misticanze, tisane, infusi… di piante precedentemente mai utilizzate, in quanto, per tradizione, considerate non commestibili! Fra queste, la calendula era conosciuta solo come un fiore bello e profumato da recidere e tenere nel vaso del salotto assieme ad altri fiori. Grazie al programma televisivo suddetto, ai consigli di Massimo e alle mie ricerche, la calendula è stata rivalutata, e pian piano è entrata nel nostro piatto… e non solo! Per cui, ecco ancora la massima di mia nonna Ersilia: “Quel c’an stroza, ingrasa” nel senso che, se non fa male, probabilmente farà bene. Massimo aveva pienamente ragione: la calendula è veramente un fiore polifunzionale!

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O rniFlash Il rallo di Guam è risorto dall’estinzione

News al volo dal web e non solo

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razie a un programma di ripopolamento in cattività, il rallo di Guam è tornato a colonizzare due isole: Rota Island e Cocos Island, non lontane dall’isola di Guam da cui ha ereditato il nome. La storia del rallo di Guam è davvero sorprendente, proprio come la sua rara “promozione” che lo ha fatto tornare indietro dall’oblio. Solo un altro uccello, il condor della California, è riuscito nella stessa impresa. E ora il rallo è pronto a tornare a far parlare di sé. Localmente questo rallo è conosciuto come ko’ko’. Stiamo parlando di un uccello che non sa volare ma che corre molto velocemente. I pulcini sono precoci, e abbandonano il nido entro 24 ore dalla schiusa. I genitori richiamano la loro attenzione per indicare le sostanze con cui alimentarsi, ma poi i piccoli scelgono loro cosa mangiare. Caratteristiche che non lo hanno di certo aiutato nella conservazione della specie. A fare il resto sono stati i serpenti arrivati a Guam con l’occupazione dai militari giapponesi, e gli indigeni dell’isola. Un cambiamento che il ritorno del rallo non potrà contrastare, anche se tutti sperano che questo sia un buon auspicio per il 2020, segno che per la biodiversità c’è ancora qualche speranza. Fonte: https://www.ilsecoloxix.it/animal-house/2020/01/20/news/il-rallo-di-guam-e-risorto-dall-estinzione-e-torna-a-sfidare-la-sorte-1.38357214

Identificate nuove specie di uccelli in Indonesia

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n team di scienziati ha scoperto su un gruppo di piccole isole indonesiane ben 10 nuovi uccelli canori. In genere, solo cinque o sei nuove specie di uccelli vengono descritte ogni anno in tutto il mondo. Quindi, la scoperta di queste cinque nuove specie e cinque nuove sottospecie ha dell’incredibile. Il biologo evoluzionista Frank Rheindt della National University di Singapore aveva intuito che queste remote isole (Taliabu, Peleng e il gruppo Togian) che si trovano nel mezzo della Wallacea, una regione geologicamente e biologicamente complessa del sud-est asiatico, ospitavano specie ancora sconosciute alla scienza. Mentre non è necessariamente sorprendente che ci siano luoghi in Indonesia che non sono stati ben esaminati, la scoperta è insolita perché “questi uccelli sono esistiti a lungo senza essere documentati”, afferma Rheindt. “Sono rimasti pochissimi posti con così tanti uccelli sconosciuti”. Purtroppo molte delle creature appena descritte sono minacciate dalla perdita di habitat causata dal disboscamento e da incendi boschivi sempre più frequenti e gravi. In particolare, una specie chiamata Locustella portenta “potrebbe non sopravvivere oltre alcuni decenni”, afferma Rheindt. Tuttavia, studi del genere sono importanti anche per aiutare a preservare queste specie che, adesso, sono riconosciute ufficialmente. Fonte: https://tech.everyeye.it/notizie/identificate-nuove-specie-uccelli-isole-semi-sconosciute-indonesia-421550.html


O rniFlash L’inquinamento acustico modifica il canto degli uccelli n recente studio ha dimostrato che il canto degli uccelli nelle città si è dovuto trasformare in più complesso a causa dell’inquinamento acustico. Non solo noi possiamo risentirne di questo inquinamento acustico, ma anche e soprattutto gli animali, che hanno un miglior udito. Particolari piattaforme subacquee, infatti, causano la sofferenza di quei mammiferi marini che fanno largo uso di comunicazione subacquea. Ma lo stesso vale anche per gli uccelli nelle grandi città che hanno difficoltà a comunicare col canto. Un gruppo di ricercatori della School of Forestry and Wildlife Sciences di Auburn, in Alabama, ha studiato gli effetti dell’ANP (anthropogenic noise pollution) su 322 specie di uccelli nel continente americano. I risultati, pubblicati sul sito eBird, hanno portato alla dimostrazione di due aspetti, ovvero che, come si presupponeva, l’inquinamento acustico nelle città è il doppio rispetto a quello presente in una foresta, e che il canto degli uccelli che vivono a stretto contatto con l’uomo è molto più complesso di quello dei loro compagni selvatici. Questo dunque significa che gli uccelli “di città”, a causa dell’alto inquinamento, per poter cantare e distinguersi dal continuo rumore acustico di sottofondo, hanno dovuto elaborare metodi di espressione molto più complessi. Fonte: https://focustech.it/2020/01/14/linquinamento-acustico-nelle-citta-rende-difficile-ilcanto-degli-uccelli-270756

Piccolo dinosauro piumato scoperto in Cina

È

stato pubblicato sull’Anatomical Record lo studio che ha annunciato la scoperta di una nuova specie di piccolo dinosauro piumato, vissuto all’incirca 120 milioni di anni fa, eseguita tramite le analisi di un fossile che ha fornito diversi importanti dettagli riguardanti le ossa e le piume. La nuova specie di dinosauro piumato è stata denominata Wulong bohaiensis: il primo termine è una parola cinese che sta per “drago danzante”. Il dinosauro risultava poco più grande di un odierno corvo e presentava una caratteristica coda ossuta che andava più che a raddoppiare la sua lunghezza. La bocca era piena di denti aguzzi mentre le ossa risultavano abbastanza sottili e relativamente piccole. Secondo i ricercatori si tratta di uno dei primi antenati del Velociraptor, il noto dinosauro teropode vissuto 75 milioni di anni fa. Il parente più stretto del Wulong è tuttavia il Microraptor, una sorta di uccello a quattro ali vissuto più o meno nella stessa epoca del Wulong. I ricercatori hanno scoperto che si trattava di un esemplare giovane, cosa che ha in parte sorpreso in quanto questo esemplare mostrava una notevole dose di piume, anche di quelle appariscenti; caratteristica inusuale, almeno per quanto riguarda gli uccelli giovani odierni nei quali le piume più vistose crescono solo in età avanzata, quando l’animale è pronto per l’accoppiamento. Lo studio delle piume e del corpo di questo nuovo piccolo dinosauro potrà tra l’altro essere molto utile per comprendere come si è sviluppato il volo nel lontano passato dei primi uccelli. I fossili di dinosauri piumati sono da sempre tra i più importanti per comprendere la fase di transizione evolutiva che è occorsa tra i dinosauri stessi e l’avvento degli uccelli. Fonte: https://notiziescientifiche.it/nuovo-piccolo-dinosauro-piumato-vissuto-120-milioni-dianni-fa-scoperto-in-cina/

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CANARINI DI COLORE

Considerazioni sul rosso ed il mosaico di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZO, F.O.I. e FREENATUREIMAGES.EU

Se non colorati, le differenze dei canarini sono palesi Cardinalino del Venezuela femmina

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o letto l’articolo “Il Canarino a fattore rosso”, I. O. n°12 2019, dell’amico Lucarini, con il quale sono spesso d’accordo, ma in questo caso non condivido la sua opinione

sull’aspetto mosaico, e quindi, data l’importanza dell’argomento, ritengo opportuno intervenire. Sull’aspetto del rosso apprezzo, ma avrei titolato “a fattori rossi” dato che sono coinvolti più geni. Il fatto che poi alcuni alleli siano più espressivi di altri non inficia questo aspetto, né la vicinanza di loci di alcuni di loro. Mi spiace, però, non veder citato un articolo importantissimo: “La base genetica del colore rosso negli Uccelli”, I. O. n°2 2017 di Marco Baldanzi, nel quale, fra altri aspetti, si citano studi fondamentali sull’argomento in parte corrispondenti a quelli citati sull’articolo in oggetto. Dopo antichi errori in seguito ai quali si inquadrava il rosso come se fosse un semplice carattere mendeliano, ci si è ben presto resi conto del coinvolgimento di più geni. Del resto, le diverse espressioni del rosso, che sarebbe poi un arancio, non possono lasciare dubbi. Se non colorati, le differenze dei canarini sono palesi; si va da un giallo appena inquinato di arancio ad un arancio carico e le ali bianche si associano alla situazione più ricca di rosso. Sarebbe anche opportuno ricordare che il complesso meccanismo biochimico che conduce all’arancio ed al rosso, è molto più lungo di quello che porta al giallo. Da qui la questione “ali bianche”. Non mi dilungo; dico solo che anche il Cardinalino non è del tutto rosso; infatti, se non colorato si palesa arancio. Gli aspetti di disparità di vedute ci sono sul mosaico.


Prima di segnalare i punti che non condivido, per razionalizzare il discorso, intendo definire bene il mio pensiero sul funzionamento del mosaico e del dimorfismo (due forme), o meglio dicromatismo (due colori) sessuale nel canarino. Prima di tutto bisogna dire che il canarino è una specie con dimorfismo e soprattutto con dicromatismo. Magari di un dicromatismo non evidente ad una osservazione superficiale, ma indubbiamente presente. Semmai, essendo un dicromatismo quantitativo, può essere talora ingannevole specialmente in taluni ceppi domestici. Il canarino selvatico, nei maschi, ha una morfologia più snella ed una taglia leggermente maggiore; nel colore c’è dicromatismo a tutto campo. A livello di melanine, che tecnicamente chiamiamo tipo seguendo una regola generale, il maschio ha più eumelanina (nero) e la femmina più feomelanina (bruno), circostanza legata al fatto che la crescita delle penne nelle femmine è più lenta e favorisce il deposito di feomelanina (Trinkaus, 1953). Sempre a livello di melanine, il maschio segna maggiormente i mustacchi, mentre la femmina segna maggiormente le striature del petto e soprattutto dei fianchi; anche le piccole striature fra i mustacchi sono maggiori nella femmina. La testa è leggermente più striata nella femmina, mentre la fronte è più ampia nel maschio, nel senso che non ha o ha in misura minore piccole strie. A livello di carotenoidi, che indichiamo tecnicamente come varietà, il maschio presenta un’espressione maggiore. A livello di quella che in gergo tecnico chiamiamo categoria ci sono pure differenze. Prima di indicarle è bene dire cosa si intende per categoria: si intende la saturazione delle penne da parte dei carotenoidi. Inoltre, per causa di una straordinaria mutazione genetica indicata come “intenso”, facciamo riferimento anche alla struttura delle produzioni cutanee. Valutiamo quindi penne in primo luogo, poi becco, unghie e squame dei piedi. Tuttavia, quest’ultimo aspetto lo mettiamo momentaneamente da parte, poi-

ché la mutazione intenso non è presente in natura. Di conseguenza, per ora, parliamo solo di saturazione delle penne ad opera dei carotenoidi. Ebbene, nelle penne tettrici (erroneamente indicate come piume fra gli allevatori) i carotenoidi, nella maggior parte del piumaggio, non raggiungono l’apice della penna. Tale apice appare quindi non pigmentato. Questa punta biancastra ha fatto pensare ad un cristallo di brina ed in alcuni paesi come l’Italia si definiscono i soggetti con questa naturale caratteristica

Nei maschi è più ampia, specialmente sulla fronte. Le spalline non riguardano la spalla, ma l’ala, attengono alle piccole copritrici ed alle copritrici marginali. Quando l’ala è chiusa ed aderente al corpo danno l’impressione di spalline. Nei maschi sono più evidenti. Il codione è la terza zona di elezione, anche in questo caso è più evidente nei maschi. A volte si parla di zone di elezione intense, ma questo non deve far pensare alla mutazione intenso; infatti, la

Canarino selvatico, immagine tratta da: www.freenatureimages.eu, autore: Dirk Hilbers

come brinati. In altri paesi si parla di schimmel. Attenzione, però: non tutte le parti del corpo sono interessate dal carattere detto brinatura. Vi sono zone che sono saturate di carotenoidi ed assumono una colorazione più intensa. Queste zone sono dette zone di elezione. Trattasi di: maschera facciale, cosiddette spalline (in realtà parte dell’ala) e codione. La maschera facciale attiene alla fronte, al mento e parte delle guance, inoltre c’è un notevole ciliare.

struttura delle penne è normale e non ristretta come nel mutato intenso. Importantissimo sottolineare che la brinatura è più abbondante nelle femmine rispetto ai maschi. Si noti che i carotenoidi costituiscono varietà per la loro colorazione, ed anche ricchezza di colorazione, ma non per la saturazione o meno della penna, ove sono attinenti alla categoria. All’osservazione molto superficiale di un canarino selvatico, le suddette caratteristiche dicromatiche possono

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sfuggire, ma non all’osservazione attenta, specialmente se unita ad un esame alla mano. Il problema è che il canarino, allo stato domestico, ha subito diverse mutazioni, sia a livello di melanine (tipo), sia a livello di carotenoidi (varietà), sia a livello di categoria. Per la categoria la prima mutazione è stata l’intenso. Mutazione violenta che è da ritenere abbia modificato con effetto paramutagenico il brinato domestico, rendendo necessario l’accoppiamento misto intenso x brinato per avere un equilibrio, che invece in natura si perpetua con l’accoppiamento fra brinati (vedere: “L’unicità

Agata jaspe mosaico rosso femmina, foto: E. del Pozzo

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Il mosaico non aumenta il dimorfismo o meglio il dicromatismo sessuale, ma lo mette solo in evidenza

della mutazione intenso”, I. O. n°8/9 2018; inoltre, anche in inglese sul sito internet: adop-parma.com). La mutazione intenso riduce le produzioni cutanee: penne, becco, unghie e squame dei piedi. In particolare, accorcia le barbe, restringendo il vessillo, e

questo concentra i carotenoidi, saturando in tutto o in parte anche gli apici e di conseguenza cancellando in tutto o in parte la brinatura. Il dicromatismo sessuale non è del tutto annullato, poiché è ben più facile che le femmine abbiano tracce di brinatura rispetto ai maschi. La mutazione intenso è dominante e subletale. I soggetti omozigoti sembrano striminziti per l’esasperazione delle caratteristiche della mutazione. Accoppiando intenso x brinato si mantiene l’equilibrio, mentre accoppiando brinato x brinato si accentua la brinatura, in senso degenerativo, e possono essere intaccate anche le zone di elezione. Successivamente è apparsa la mutazione mosaico, leggera, che ha accentuato la brinatura (in buona sostanza si ha un “superbrinato”). Questa accentuazione è presente dove è la brinatura, e non riguarda le zone di elezione, a meno che non si accoppi in purezza, cioè mosaico x mosaico e non con intensi. C’è un parallelo perfetto con il brinato. Trattasi di mutazione dominante nei confronti del brinato. Non è ben chiaro il rapporto con l’intenso, è dubbio se sia allelica recessiva verso l’intenso, oppure che non sia allelica ma ipostatica verso l’intenso (che venga cioè coperta). Sono prospettabili entrambe le ipotesi, poiché il brinato (forma selvatica) non è da ritenere essere un carattere monogenico, bensì poligenico. L’azione del mosaico quando l’espressione è al minimo è così modesta che si può confondere facilmente con un brinato molto abbondante di brinatura. Il segno più distintivo è il “taglio netto” nella zona ventrale, vale a dire che anche nei mosaico peggiori l’addensamento di brinatura in tale zona è nettamente separato dalle espressioni superiori. Queste espressioni del brinato e del mosaico sono possibili per la presenza di più geni coinvolti; è da ritenere che ve ne siano anche molti complementari o modificatori. Purtroppo, molti hanno fatto confusione pensando che le zone di elezione siano state create dal mosai-


co, mentre sono preesistenti anche nel brinato, compreso il selvatico. il mosaico le mette solo in maggiore evidenza. Il punto cruciale è che il mosaico non aumenta il dimorfismo o meglio il dicromatismo sessuale, ma lo mette solo in evidenza. In buona sostanza, quando la brinatura è così accentuata da rendere il colore delle penne biancastro, soprattutto nelle femmine (già in natura più brinate) le zone di elezione, rosse o gialle che siano, diventano molto evidenti con le loro diversità preesistenti ed il dicromatismo sembra aumentato. Anche altre mutazioni mettono in evidenza il dimorfismo o meglio dicromatismo sessuale, ad esempio la phaeo. La phaeo, inibendo l’eumelanina quando è massima l’espressione, lascia la sola feomelanina, che è diversa fra maschi e femmine e così si ha una accentuazione, solo apparente, del dicromatismo, in realtà solo una messa in evidenza. Fenomeni parzialmente analoghi, anche se diversi come meccanismo, si verificano in altri casi di mutazioni di melanine (come onice e cobalto). Il fatto è che con il mosaico si è esasperata la selezione fino a gradire fenomeni degenerativi, derivanti dall’accoppiamento fra mosaico. Volendo molto bianco, non ci si contenta della selezione ortodossa, a favore dei geni complementari o modificatori, ma si accoppia in purezza fra mosaico, per aumentare la brinatura in modo anomalo e degenerativo. Non a caso, così facendo, si intaccano anche le zone di elezione. È andata a finire che ci si è inventati i ciliari, che sono considerati caratteristica femminile tipica, mentre sono solo i residui della mascherina femminile, corrosa dalla brinatura eccessiva e degenerativa. Nei maschi va un po’ meglio, ma anche qui ci si è inventati una somiglianza con la maschera del cardellino che induce a punire i ciliari lunghi che sono propri del canarino. È andata a finire che ci si è inventati anche una duplice selezione, una per fare maschi ed una per fare femmine. Caso unico in tutte le specie e razze allevate.

Chi visitasse una mostra ed osservasse i lipocromici mosaico maschi e femmine vincenti, potrebbe davvero pensare ad un aumento di dimorfismo o meglio di dicromatismo, ma il fatto è che i suddetti non sono neanche parenti e vengono da due linee selettive diverse. Le madri dei maschi vincenti hanno la maschera e i padri delle femmine vincenti hanno la maschera bassa o addirittura spezzata. Talora hanno più maschera le femmine della linea maschile che i maschi della linea femminile! È da rilevare che, in alcuni ceppi, specialmente di lipocromici, si è fatta una selezione che riesce, in parte, a contenere l’aspetto degenerativo dell’accoppiamento in purezza, soprattutto nella linea maschile. Nei melanici, a volte, specialmente in

alcuni ceppi, in particolare il phaeo, avendo sottovalutato la categoria a favore della massima attenzione al tipo, va a finire che fra brinati e mosaico la differenza sia davvero minima, tanto che non è raro che vi siano errori di classificazione. Se non si guardasse il taglio netto nella zona ventrale, la differenziazione fra mosaico e brinati sarebbe davvero problematica. In questi casi non si può neppure dire che il dicromatismo sia stato molto sottolineato, visto che guardati dall’alto, certi brinati e certi mosaico appaiono quasi uguali, sia che siano maschi che femmine. Quando si è ibridato e re-ibridato con il Cardinalino del Venezuela, sono state notate femmine che somigliavano anche se solo parzialmente alla Cardinalina. Erano femmine mosaico.

Agata onice mosaico rosso maschio, foto: E. del Pozzo

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Frutto di mutazione, probabilmente preesistente all’ibridazione, ma non notata poiché poco evidente, se non selezionata, specie nei gialli. Non è che i maschi mosaico mancassero, ma si voleva che fossero dei “brutti brinati”. Del resto, se l’origine del mosaico fosse stata quella non avrebbero potuto esserci. Si andò avanti molto a lungo negando l’esistenza dei maschi mosaico, poi di fronte alle evidenze più lampanti anche i più riottosi dovettero riconoscerli, magari aggiungendo strani discorsi, come: “non avrebbero dovuto esistere”. Anche la presenza di mosaico gialli in un primo tempo venne negata a lungo: “ci si allontanava troppo dal Cardinalino..”, poi ammessa, con difficoltà. Moltissimi sono ancora convinti che il canarino mosaico abbia ereditato il dicromatismo del cardinalino. Eppure la differenza è evidente nelle femmine ed abissale nei maschi! La femmina Cardinalina non ha ciliari né tantomeno maschera, le spalline sono dimezzate (le copritrici marginali non sono rosse), corrisponde solo il codione. Ulteriore differenza sul petto, che non esprime una zona di elezione, ma presenze di lipocromo; infatti, se la Canarina ha uno scudetto o la carena o nulla, se degenerata, la Cardinalina presenta una sorta di ferro di cavallo, parte alta del petto e zone laterali. Il maschio poi è talmente diverso dal mosaico da esserne quasi l’esatto opposto; infatti, somiglia molto ad un intenso, ma con piumaggio ed altre produzioni cutanee normali; l’unico aspetto che può riecheggiare il mosaico è l’addensamento di brinatura nella zona ventrale, circostanza presente in tante specie. Si noti che nel Cardinalino, nella zona ventrale, vi è la parte biancastra ed attorno un alone di brinatura fine, visibile quasi solo alla mano. C’è stato chi ha affermato essere il maschio Cardinalino intenso, circostanza impossibile, se non altro poiché l’intenso del Canarino è una mutazione subletale e non può essere quindi forma selvatica. Inoltre, è presente anche nelle femmine. Aspetto

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pure evidente e fondamentale è che la struttura delle produzioni cutanee del cardinalino maschio sono normali, come ovvio. Lucarini non è certo caduto in questi evidenti errori, e questo è un merito, ma ha supposto che l’ibridazione con il Cardinalino abbia fatto riaffiorare un antico maggiore dicromatismo, appartenente ad un progenitore ancestrale, quindi estinto. Questo per il più elevato dicromatismo del Cardinalino. Personalmente non condivido questa ipotesi per diversi motivi, il primo dei quali è che non vedo un effettivo aumento del dicromatismo, ma solo una sottolineatura. Vi possono essere anche ulteriori aspetti, anche ammettendo che l’aumento di dicromatismo vi fosse. - Uno è che il mosaico si comporta geneticamente come una mutazione permanente e non come un semplice dicromatismo accentuato. Che, ritengo, non potrebbe avere un comportamento ben definito. - Di solito si ritiene che il dimorfismo ed il dicromatismo aumentino con la selezione naturale, non il contrario. Tuttavia, questa è una osservazione

non molto forte, visto che ci possono essere comunque eccezioni. - Se il meccanismo fosse quello, cioè un sostanziale atavismo innescato, il fenomeno si dovrebbe ripetere con frequenza elevata, probabilmente sempre, anche con altre specie molto dimorfiche. Invece, quando si accoppia il cardinalino con femmine mosaico si hanno ibridi mosaico (nessuna traccia di intensi o simili intensi), mentre quando si accoppia il cardinalino con femmine intense provenienti da ceppi in cui si accoppia intenso x brinato senza presenza di mosaico, si ottengono solo ibridi intensi e brinati. Si noti che le femmine brinate sono abbondanti di brinatura, mentre i maschi brinati spesso sono dotati di una brinatura fine ed uniforme. Quest’ultimo è un esito che non si verifica mai quando si fanno mescolanze fra brinato e mosaico. Nei ceppi in cui si bada solo all’intenso e si mescola il brinato con il mosaico, gli intensi sono intensi, più o meno belli, ma i non intensi, si fa fatica a capire quando sono brinati o mosaico. Spero di aver fatto un discorso chiaro e costruttivo.

I NOSTRI LUTTI “L’Ass. Ornitologica La Leonessa di Brescia” piange uno dei suoi soci fondatori, Pietro Maffioli (Pierino), volontario, Presidente Onorario nonché apprezzato storico giudice F.O.I. Un profondo dolore per i tanti amici che lo hanno ammirato, un immenso dolore, per la sua dipartita lo sentono anche tutti i Soci dell’Associazione Ornitologica la Leonessa con il Presidente e i Consiglieri i quali si stringono, tutti, attorno alla famiglia, per testimoniare l’affetto e la riconoscenza per un uomo che è stato una guida sicura e generosa nel perseguire gli alti valori dell’amicizia e del servizio al di sopra di ogni interesse. Ci mancherà il suo instancabile richiamo ai valori dell’associazionismo, che cercheremo di raccogliere come sua eredità morale e spirituale.


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Tate dieci sorelle? Chi sono? di PIERGIANNI AMERIO, foto P. AMERIO e WIKIMEDIA

D

a molti anni colleziono libri e stampe di scienze naturali degli ultimi cinque secoli. Qualche tempo fa sfogliavo il volume di Arthur Gardiner Butler intitolato Foreign Finches in Captivity, edito a Londra da Brumby & Clarke nel 1894,

A. G. Butler, F. W. Frohawk. London 1894. The Bengalee

quando mi è capitata sotto gli occhi la litografia di Frederick William Frohawk intitolata The Bengalee, cioè “il Bengalese”, con i vecchi nomi scientifici di Aidemosyne malabarica e Uroloncha striata. Quando ero ragazzo, negli anni Sessanta, il termine “Ben-

In Inghilterra vengono chiamati “Bengalesi” gli originali Passeri del Giappone, mentre sono chiamati “Bengalesi continentali” i moderni Passeri del Giappone

galino” era usato per indicare diverse specie di uccellini esotici. La mia prima coppia di Bengalini era in realtà formata da due Diamanti mandarini, che con il Bengala hanno poco da spartire, essendo loro di provenienza australiana. Bisogna osservare che un paio di secoli fa la navigazione era a vela, non esisteva il canale di Suez, quindi tutte le navi, soprattutto britanniche, ma anche olandesi e portoghesi che provenivano da oriente, cioè da Cina, Australia, Sud Est asiatico, facevano evidentemente scalo nei porti indiani situati nel golfo del Bengala, da cui questo termine, poco scientifico, ad indicare diversi tipi di uccellini esotici. Sarà il vizio contratto da ingegnere di pormi degli interrogativi, quando i conti non tornano, per cui mi sono chiesto: come mai in Inghilterra vengono chiamati “Bengalese finches” e analogamente, guarda caso, anche in Giappone, mentre in Francia e Belgio “Moineaux du Japon”, in Germania “Japanische Mövchen”, in Italia “Passeri del Giappone”? Inoltre, in Inghil-

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terra vengono chiamati “Bengalesi” gli originali Passeri del Giappone, mentre sono chiamati “Bengalesi continentali” i moderni Passeri del Giappone, in quanto è documentata la loro origine ibrida, avvenuta qualche decennio fa in Belgio e Olanda accoppiando fra loro diverse specie di Lonchura quali atricapilla, maja ecc.. In un articolo pubblicato sull’Avicultural magazine del febbraio 1922, il principe Nabusuke Taka-Tsukasa di Tokio dice di aver scoperto in un vecchio libro l’origine cinese di questi uccelli, senza però approfondire il problema. In Giappone non sono mai esistiti in natura uccelli del genere Lonchura. Questo genere è presente, con varie specie e sottospecie, in un vasto areale che va dall’India al Sud Est asiatico, alla Cina meridionale verso l’Oceano Pacifico fino a Taiwan, cioè molto più a Sud del Giappone. Questo Paese per molti secoli era geograficamente considerato una feudale provincia orientale del grande impero cinese. Era quello che Marco Polo chiama Cipango e che descrive come molto chiuso agli stranieri. E’noto il fatto che per farsi pagare le tasse dai signorotti locali, l’imperatore cinese Kubilai Khan, conosciuto da Marco

Polo, approntò una piccola flotta, di sole 4000 navi e 140.000 soldati, che venne bloccata da un gigantesco tifone noto come Vento divino, in giapponese “Kamikaze”. Quindi è chiaro che per approfondire la ricerca bisogna andare in Cina. Ricordo che i famosi bonsai, la cui traduzione è “coltivare in ciotola”, furono introdotti in Giappone da monaci buddisti che erano andati a studiare in Cina circa 1500 anni fa. Le famose carpe Koi, che divennero in Giappone un simbolo della religione Zen, esistevano in Cina da più di due millenni. E che dire della grande varietà di pesci rossi e di cani come i pechinesi, i chow chow ecc.? Ma torniamo all’argomento dello scritto. La dottoressa Erica Elsner lavorò su un folto gruppo di Bengalesi ad Oxford e pubblicò un completo studio sull’Avicultural magazine nei mesi di maggio e giugno 1957. Produsse esperimenti accoppiando varie sottospecie di uccelli del genere Lonchura e specie striata provenienti da aree geografiche diverse, concludendo che il Bengalese è una forma domestica “pura” della Lonchura striata squamicollis (Sharpe, 1890), dimorante nel Sud Est della Cina e non il risultato di supposte ibridazioni con altre specie. In internet

Sharp-tailed Munia (Lonchura striata squamicollis) in libertà. Immagine tratta da: Wikimedia.org, autore: Dibyendu Ash

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sono visibili fotografie della Lonchura striata squamicollis cioè la sharp-tailed munia, in italiano Munia dalla coda appuntita, in libertà, scattate in Cina, a gruppi di qualche decina di esemplari. Oggi, cosa che non poteva eseguire la dottoressa Elsner, esiste l’esame del DNA che può confermare questo studio. Qualora i risultati fossero gli stessi, il nome scientifico del Bengalese, o se si vuole Passero del Giappone “puro”, dovrebbe essere Lonchura striata squamicollis domestica. Naturalmente lo stesso nome scientifico non può essere attribuito ai Bengalesi continentali, o moderni Passeri del Giappone, poiché si tratta di specie ibride. Una spedizione di questi uccellini risulta effettuata dal porto di Zhapu, situato in Cina nella provincia dello Zhejiang, verso Nagasaki in Giappone, nel 1763. L’acquirente era un monarca federato, della prefettura di Kyusyu, appassionato collezionista di uccelli. Penso che il motivo dell’acquisto di questi uccellini, più che per motivi estetici, fosse utilitaristico, cioè per usarli come balie per specie più restie ad allevare la prole. Successive importazioni dalla Cina verso il Giappone avvennero, con il crescere degli appassionati giapponesi, fra il 1804 ed il 1829. In Cina questi uccellini sono noti come shÍ jiĕ-mèi che significa “dieci sorelle”. Negli attuali cataloghi online di alcuni commercianti di uccelli di questo paese sono presentate in inglese come ten sisters nannies, cioè “tate dieci sorelle”, grazie alla loro indole, come già detto, di fare da balia ad altre specie più problematiche. Sono presentati nel classico colore marrone della specie selvatica, oppure bianco pezzato con varie tonalità del nero e del marrone, totalmente bianchi con occhi neri o rossi, ciuffati. Considerazioni sull’allevamento di specie in ambiente controllato, dove poi hanno presentato mutazioni, pur restando sempre geneticamente pure, possono essere fatte per il Canarino selvatico. Cosa ha spinto secoli fa gli appassionati ad allevare un abbastanza insignificante uccellino verde come tanti altri? Una caratteristica che i profani domandano sempre agli allevatori: canta


bene? Duemila anni fa i latini usavano il verbo canĕre per dire “cantare melodiosamente”. Pertanto è chiaro che i Canarini si chiamino così non perché vengono dalle isole Canarie, ma perché sono i piccoli canori cantori verdi ad aver dato il nome a quelle isole! Già più di quattro secoli fa erano avvenute in cattività mutazioni gialle, bianche, brune. Accoppiando un canarino con i colori della specie selvatica con un lipocromico giallo si ottenevano dei più o meno pezzati giallo verdi come gli Harzer roller. Tuttavia, si trattava sempre di individui geneticamente puri, cosa poi scomparsa nell’ibridazione con il Cardinalino del Venezuela fatta per introdurre il fattore rosso. Personalmente possiedo, da molto tempo, un gruppetto di Bengalesi che uso come balie per i Diamanti di Lady Gould, quando questi rifiutano di allevare la loro prole. Le piccole tate sono commoventi nella cura che dimostra-

no verso creature non sempre loro. Meriterebbero più rispetto da parte di molti allevatori. La stessa dedizione non l’ho osservata, ma anche alcuni amici mi hanno confermato la medesima impressione, nei cosiddetti moderni Passeri del Giappone. Per concludere: perché Moineaux du Japon, Japanische Mövchen, Passero del Giappone? A mio parere nella seconda metà dell’Ottocento qualcuno ha importato in Europa dal Giappone alcuni di questi uccellini. Probabilmente non era al corrente dei nomi precedenti, per cui decise di chiamarli con il nome del paese esportatore ed il termine si è diffuso anche in Italia. Ma quanto trovo poetico il loro vero nome di “Tate dieci sorelle”!

J. L. Frisch (1666-1743).Canarino bianco, giallo, bruno, selvatico, ibrido con Cardellino

BIBLIOGRAFIA Jim Warburton: The Origins and History of the Bengalese Finch. http://sibagu.com/china/estrildidae.

Conoscere i volatili Visita presso l’allevamento “Diamanti di Gould” di Fabrizio Cortinovis, socio A.O.B. (Torre De’ Roveri, BG)

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a scuola dell’infanzia di Torre De’ Roveri è stata invitata dall’allevatore a trascorre una mattinata diversa, all’insegna del divertimento e della curiosità. Erano circa 70 i bambini accompagnati dalle loro maestre che, intorno alle ore 11 di un venerdi dello scorso Maggio, sono arrivati all’allevamento; qui si sono divisi in gruppi da 10 e hanno pian piano incominciato i diversi tour, seguiti da Fabrizio e dalla figlia Veronica. I restanti gruppi, intanto, attendevano incuriositi. Durante i minitour i bambini sono stati davvero partecipi: vi era chi domandava, chi aiutava e chi invece in silenzio ascoltava e apprendeva; le domande più frequenti, dati anche i colori di questi uccellini, sono state: - Come e quando si riproducono gli uccellini? - Perché sono così colorati? - Chi è il maschio e chi la femmina? - Cosa mangiano? Altri invece erano anche interessati alle attrezzature da lavoro. Alla fine della visita, Fabrizio e la sua famiglia hanno offerto una merenda ai bambini che, ancora increduli

per lo splendore di questi volatili, si sono radunati in cerchio per porre ulteriori domande. Fabrizio ha regalato ai piccoli vari opuscoli FOI, nei quali vengono illustrate le storie dei vari uccelli. È stata una mattinata di pura ornitologia e di insegnamento, sperando che le accurate spiegazioni dell’allevatore Fabrizio portino, in un futuro, qualche bimbo ad appassionarsi come lui.

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articoli da autori e riviste estere

ORNITOLOGIA INTERNAZIONALE

Una rivoluzione nelle casette di nidificazione testo di RANDY BERRY, adattamento e foto GUGLIELMO PETRANTONI

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l nido per Ara è spesso un aspetto dell’avicoltura che viene trascurato. Ciò è dovuto principalmente agli allevatori che utilizzano cassette di nidificazione tradizionali costruite con pannelli o compensato o con elementi comunemente disponibili come botti di legno e fusti di metalli. Sebbene questi tipi di nido siano stati usati con successo per allevare le Ara, ci sono diverse problematiche. Le cassette nido in legno non durano a lungo a causa della capacità di masticazione delle Ara e, a meno che non si aggiunga legno duro molto spesso, ciò causerà interruzioni a causa della sostituzione. L’uso di legno duro comporterà nidi molto pesanti che, se non installati bene, possono diventare pericolosi sia per i pappagalli che per l’allevatore. Se si utilizzano assi di legno, ciò può consentire a troppa luce di entrare tra le assi e scoraggiare l’annidamento. Il legno incoraggia anche gli insetti, la

Tappo di chiusura del nido in multistrato di legno

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Le ara ispezionano il nido appena posto

Il PVC può resistere alle Ara che tendono a masticarlo

Il tappo di chiusura munito di telecamera a circuito chiuso

crescita dei funghi e non è possibile disinfettare adeguatamente senza eliminare il rischio che gli uccelli possano ingerire sostanze chimiche dalla masticazione del legno.

Sportello di ispezione inserito nel tappo di chiusura


Tubo in Pvc prima del taglio (6 m totale) a misura per la costruzione del nido

Le cassette di metallo hanno alcuni dei problemi simili a quelli che ho citato per le cassette di legno, uno è che anche loro sono pesanti. Altri svantaggi sono che possono diventare molto caldi, il che può portare a scoraggiare la coppia dall’entrarvi o alla morte di embrioni nelle uova o nei pulcini nati. Gli spigoli vivi lasciati nel processo di fabbricazione del nido possono anche tagliare la pelle degli uccelli. Sulla base della mia esperienza maturata negli anni negli allevamenti di Ara, so che un nido di successo deve soddisfare i criteri di base affinché una coppia sia riproduttiva. Alcuni di questi aspetti sono: • Le Ara, come altri psittacidi, non ama-

Tubi a seguito di taglio con inserimento entrata nido

Tubi a seguito di taglio

no la luce eccessiva nella camera di nidificazione. • Alle Ara non piace vedere le persone quando sono nella cassetta. • Le Ara devono capire che è una cassetta di nidificazione e che possono entrare e deporre senza paura. • Il disturbo dall’ispezione del nido deve essere minimo. Tenendo presente questi criteri che ho menzionato sopra, ho iniziato a progettare un nido orizzontale privo di svantaggi ma focalizzato sui vantaggi. Ho iniziato selezionando il materiale, cloruro di polivinile, noto anche comunemente come PVC. È un materiale molto duro e può resistere alle Ara che tendono a masticarlo. È relativamente

poco costoso se si considera che sopravvive al legno. Il PVC è molto leggero. Infine, puoi lavarlo e disinfettarlo prima di ogni stagione riproduttiva. Dopo aver selezionato il materiale, dovevo scegliere il colore, la dimensione e la forma corrette. Ho finito per selezionare il grigio, perché evita che gli uccelli si spaventino per le ombre che appaiono all’interno delle cassette, proiettate dagli oggetti all’esterno. Ho scelto un diametro di 50 cm (6 mm di spessore) in quanto è stato un compromesso tra qualcosa di più piccolo, che poteva provocare il surriscaldamento per gli uccelli, e qualcosa di più grande, troppo pesante, troppo costoso e non pratico. Dopo aver selezionato il mate-

Posizionamento esterno del nido con catene, completo degli accessori

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La telecamera a circuito chiuso evidenzia gli animali al nido, senza che essi ne siano disturbati

riale, ho dovuto trovare un modo per trasformarlo in un nido.

L’autore dell’articolo Randy Berry

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Una volta acquistato il tubo da 50 cm, che normalmente ha una lunghezza di 3 metri, ho deciso di tagliarlo in tre sezioni uguali. Ho proceduto prima a fare un taglio appena sotto la flangia di 10 cm, poiché non è necessario, quindi ho diviso il resto del tubo in tre parti uguali. Il risultato è stato di tre sezioni di circa 90 cm. Vorrei sottolineare di prendere le misure appropriate e utilizzare il nastro protettivo come guida durante il taglio, altrimenti si rischia di “rottamare” un tubo costoso. Ho trovato il modo migliore per tagliare il tubo usando una smerigliatrice di metallo con una lama molto sottile. Successivamente, ho proceduto a tagliare un foro di ingresso di 20 cm di diametro. Sono stati scelti 20 cm per compensare il livello di luce e lo

scambio di calore. Un buco più piccolo sarebbe più scuro, ma renderebbe il nido più caldo e viceversa. Ho quindi proceduto alla realizzazione dei tappi terminali. Sebbene i tappi terminali in PVC si trovino in commercio, ma sono molto costosi, ho optato invece per una combinazione di lamiera e compensato marino. Ciò è stato fatto tracciando l’interno del tubo sul legno. Quando si ritaglia, assicurarsi di tagliare all’esterno della linea per evitare di raschiare il foglio di legno. Lo stesso è stato fatto con la lamiera. Fare molta attenzione perché ci si può tagliare. Bisogna realizzare anche due cappucci terminali, uno dei quali è un lato di ispezione. Per la porta d’ispezione, ho usato il mio stile standard a “ghigliottina” che consiste in una porta, un bullone e un blocco di legno con una piastra di sostegno. Vedendo la foto, è chiaro il funzionamento. Le viti mantengono in posizione i tappi di chiusura. Sarà necessario praticare i fori pilota prima di installare le viti. Ho deciso di verniciare i tappi in legno all’esterno, poiché le scatole successive sarebbero state parzialmente esposte agli elementi. Uso installare una telecamera in ogni nido. Uso telecamere “antivandalismo” realizzate in alluminio. Si prega di leggere il mio articolo sull’uso dei sistemi di telecamere nelle voliere, intitolato “Telecamere, dentro e intorno alle voliere” che sarà presentato in una prossima edizione di questa rivista. Le catene vengono utilizzate per appendere le scatole. Utilizzare almeno cinque viti con rondelle attraverso la catena per fissarla nella voliera. Aggiungo il “faggiolino” come materiale di allevamento nei nidi, comunemente usato per box di cavalli. Ho trovato questo sistema il migliore, in quanto non crea polvere nella cassetta e crea un fondo più stabile. Per aiutare a stimolare la coppia, aggiungo anche alcuni blocchi di legno morbido da distruggere. In conclusione, vorrei dire che noi come avicoltori dobbiamo continuare a spingere i confini delle pratiche standard e pensare più “fuori dagli schemi”, usando la tecnologia a nostro vantaggio in modo da poter migliorare la gestione degli allevamenti.


CRONACA

La divulgazione è conoscenza testo e foto di NICOLA BRUNORI E ILANA ROSSETTI

I

l 5/6 ottobre 2019, in occasione della seconda mostra divulgativa dell’Associazione Ornitologica Perugina a Bastia Umbra, è stato fortemente voluto e realizzato uno spazio didattico. Abbiamo partecipato con la convinta intenzione di mettere in luce un nuovo approccio, per fare comprendere più da vicino il mondo degli uccelli, che nell’immaginario comune, purtroppo, sono ancora considerati solo degli animali belli da tenere in gabbia. Il nostro scopo era quello di dare l’opportunità al maggior numero di persone possibile di conoscere ed interagire con questi animali, capendo come le loro esigenze psico-fisiche differiscano da quelle di un cane o di un gatto, senza esserne certamente minori. Per riuscire nell’intento, abbiamo creato uno spazio didattico composto da un laboratorio ludico – ricreativo, dove i bambini potevano sia disegnare il loro uccello preferito che costruire dei giochi per pappagalli, e da una voliera didattica arredata con elementi naturali.

Si è spiegato alle persone come il pappagallo possa essere un eccellente pet I protagonisti sono stati: Ping e Pong (Inseparabili roseicollis), Pulce e Sushi (Calopsitte), Rita (Ondulato di colore), Abu e Peppe (Ara ararauna), Pedro (Amazzone auropalliata) e Zoey (Cacatua ducorpsii). Nel laboratorio ludico – ricreativo abbiamo accolto le persone curiose, sensibili ed interessate a scoprire l’immenso mondo dei pappagalli. Tramite il gioco e la diretta interazione con Pedro, Abu e Zoey puntavamo ad educare e creare consapevolezza riguardo le enormi capacità cognitive dei pappagalli, dimostrando che la loro intelligenza eleva le loro esigenze, esattamente come succede agli esseri umani. Per fare questo c’è stata la graditissima e preziosa presenza di Ilana Rossetti, esperta in volo libero e gestione dei pappagalli. Con l’utilizzo di materiali idonei alla creazione di giochi utili al necessario arricchimento mentale della vita di un pappagallo, i bambini hanno costruito dei giochi per partecipare al concorso “Il gioco più bello”. Tutte le creazioni sono state giocosamente giudicate da Pedro, Abu e Zoey e la premiazione del vincitore è stata stupefacente agli occhi dei bimbi stessi: una grande corona di piume di ara ed una foto ricordo per i genitori. I visitatori invitati ad entrare nella voliera didattica ponevano il pappagallo

di fronte ad una scelta e lui decideva in piena autonomia se incontrare o meno i nuovi umani. I pappagalli gradivano ogni interazione, a riprova della loro indole sociale e dinamica. Si è spiegato alle persone come il pappagallo possa essere un eccellente pet, se tenuto conto delle sue esigenze e particolarità etologiche, come la longevità, l’importanza di un’interazione quotidiana e la necessità di volare. La voliera rappresentava uno spazio sicuro, trovandoci all’ingresso del centro fiere, a ridosso della biglietteria, con il passaggio di un gran numero di persone e direttamente comunicante con l’esterno. È stato altresì indispensabile differenziare la taglia dei pappagalli, perché qualche bambino era intimidito dai grandi pappagalli, mentre con i piccoli si superava ogni titubanza. Felici e certi del sodalizio e della bellezza delle idee, ci auguriamo di avere messo le basi per crescere attraverso una divulgazione informata e partecipata. Al prossimo anno! Grazie!

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Se desideri proporre un argomento scrivi a: redazione@foi.it

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Argomenti a tema

Gentile Redazione, sono alle prese con il tentativo di formare un mio ceppo di canarini Agata Opale (bianchi e gialli). Dopo aver letto tutto quello che potevo, mi sono procurato, all’ultima mostra di Reggio Emilia, dei canarini Agata bianco recessivi (M e F) portatori di Opale, Agata Opale bianco recessivi (M e F) e Agata Opale giallo intenso omozigote) (M) da diversi allevatori. A questo punto pensavo di avere abbastanza chiaro come creare le coppie, ma la settimana scorsa ho trovato a casa di mio padre un libretto del 1973 che si intitola “I Canarini Opale” Ed. Encia scritto da G. Vaccari. Ora, io pensavo di accoppiare gli Agata bianchi (recessivi) con gli Agata Opale bianchi (Recessivi) per ottenere sia Agata portatori di Opale che Agata Opale Bianchi. Purtroppo la lettura del libretto suddetto ha smontato le mie già traballanti sicurezze. Infatti a pag. 23 c’è scritto (riassumendo): “Il maschio Opale Argento (oggi, se non sbaglio equivale al bianco recessivo) lo si dovrà accoppiare a due femmine Agata Opale di colore giallo limone”. Poco più avanti il criterio è ribadito: “Siccome non è possibile l’accoppiamento Argento per Argento si dovranno conservare, ogni anno, femmine di varietà diverse dai maschi.” Il Vaccari non spiega perché, quindi mi domando, visto che sono passati molti anni, cosa può accadere accoppiando come sopra indicato? Oppure, se quello che è scritto nel libretto è ancora valido, perché? Forse mi sono un po’ dilungato, ma ho cercato di essere chiaro su argomenti che banali non sono per loro natura. In attesa di un vostro cortese riscontro, invio saluti a tutta la Redazione. Sergio Bellaccini (R.N.A. 7HHV)

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Risposta di Giovanni Canali Cortese sig. Sergio Bellaccini, sono a rispondere al suo quesito. Comincio subito col dirle che oggi ci sono testi più recenti di quelli del Vaccari come: il “Manuale del Canarino di colore” Edizioni Alcedo s.r.l. Brugherio Milano 2005 di Diego Crovace, nonché il bellissimo “Grande atlante del canarino di colore”, in tre volumi Edizioni Alcedo Brugherio Milano 2009 di Massimo Natale, Leone Pidalà e Diego Crovace, anche se oggi di non facile reperimento; inoltre c’è sempre il mio testo “I colori nel Canarino” (Giovanni Canali) ed. F.O.I. Piacenza 1999, reperibile presso la segreteria F.O.I. Il Vaccari diceva anche cose giuste, ma commetteva pure errori talora gravi. Non a caso il mio primo articolo era di contestazione ad un articolo del Vaccari (“Perché l’agata…?” Il giornale degli uccelli ed. Encia Udine luglio/agosto 1972 di Paolo Franzosi e Giovanni Canali). Sul testo da Lei citato (che sono andato a reperire nella mia biblioteca) non ci sono errori particolari nel passaggio indicato, tranne quello di escludere l’accoppiamento fra bianchi, in effetti rilevante, ma comunque spiegabile. Inoltre ci sono imprecisioni che possono essere fuorvianti. Quando si dice “argento” si fa riferimento al bianco nei melanici, tranne il nero ove si diceva ardesia unendo tipo e varietà; mi pare che Lei lo abbia ben capito. Il Vaccari è stato impreciso, e quindi non è chiaro se si parla di bianco recessivo o dominante o di entrambi. Ebbene, il bianco dominante veniva indicato come “argento soffuso” ed il bianco recessivo semplicemente come “argento”. Quindi la sua valutazione è corretta, c’è stata una carenza del Vaccari che non ha considerato le due possibilità e non ha differenziato i risultati degli accoppiamenti fra “argento” ed “argento soffuso”. Non posso esserne certo, ma forse il Vaccari parlando di “argento” si è espresso male, forse pensava ad un “argento soffuso”, cioè dominante. L’impossibilità di tale accoppiamento in purezza, tuttavia non sussiste. Si sconsigliava l’accoppiamento fra bianchi dominanti poiché la mutazione bianco dominante è appunto dominante, ma anche letale; questo comporta la morte embrionale dei bianchi dominanti omozigoti, che però, nell’accoppiamento in purezza, sono solo il 25% della prole; il resto è: 25% pigmentati e 50% bianchi dominanti eterozigoti, del tutto normali. Vale a dire che sulla prole viva si ha: un terzo di


pigmentati e due terzi di bianchi dominanti. Uso il termine generico di pigmentati, poiché non è detto che siano tutti gialli, talora vi potrebbero essere anche inopportune presenze diverse, come degli arancio. Il fatto è che allora, non tutti conoscevano esattamente queste percentuali e talora ipotizzavano “stragi” maggiori, non ricordo bene come valutasse la questione il Vaccari. Tuttavia non posso essere sicuro di quanto detto prima, poiché anche l’accoppiamento fra bianchi recessivi non era visto bene, poiché si diceva che indebolisse la prole. Oggi si accoppia senza problemi in purezza con i bianchi recessivi, senza evidenze negative, ottenendo tutti bianchi recessivi. Non posso però non dire che personalmente preferisco l’uso dei portatori, anche se i bianchi recessivi che nascono sono la metà, del resto per un purista come me sarebbe strano il contrario. Semmai è importante tenere presente che la categoria esiste anche nei bianchi, sia dominanti che recessivi, non importa se lipocromici o melanici, vale a dire che ci sono: gli intensi, i brinati ed i mosaico. Nei bianchi, i brinati e i mosaico non si distinguono, gli intensi si, osservando la strutture del piumaggio e delle altre produzioni cutanee, specialmente le squame dei piedi. Gli accoppiamenti vanno quindi impostati di conseguenza. Un altro aspetto fondamentale è quello che il bianco recessivo non distrugge i pigmenti carotenoidi, ma semplicemente li inibisce, cioè li blocca, e quando si accoppia con un pigmentato riemergono. Tanto per capirci se il bianco recessivo provenisse dai rossi e venisse accoppiato con un giallo nascerebbero dei giallo-arancio. Ho assistito ad un fatto del genere, quando un Phaeo bianco recessivo bellissimo, ma proveniente dai rossi, inserito in un ceppo di Phaeo gialli, combinò un disastro a livello di carotenoidi (varietà). Anche il bianco dominante inibisce anche se non del tutto i carotenoidi e non li distrugge di certo. Semmai nel bianco dominante le soffusioni denunciano, in parte, la latenza che è nascosta. Per quanto concerne l’accenno alle femmine giallo limone, trattasi solo di un esempio, poiché partiva da un maschio bianco. I bianchi, sia il dominante che recessivo, sono autosomici (non legati al sesso), quindi è del tutto irrilevante che nell’accoppiamento misto la femmina sia bianca o gialla. Semmai interessa che la varietà sia giallo limone, poiché nei dominanti la soffusione è richiesta di tale tonalità. Certo il Vaccari sbagliava molto (erano anche altri tempi), ma certe cose le aveva capite e le diceva giuste; ad esempio aveva capito che gli ossidati dovessero essere scuri ed i diluiti chiari. Concetto fin troppo ovvio, eppure oggi c’è chi viaggia diversamente. Proprio nell’Agata Opale, specialmente all’estero, si vorrebbero disegni duri, poco diluiti per vedere più azzurro… Questa assurda linea selettiva va per la maggiore ed i portatori sono scadenti. Si badi bene, non perché portatori di Opale, che essendo un carattere recessivo non incide sul fenotipo dei portatori, checché se ne dica, ma perché provenienti da una selezione errata. L’uso dei portatori è comunque molto consigliabile, per avere una migliore espressione di azzurro. Tuttavia l’accoppiamento misto, negli Agata Opale, non è perentorio, come invece lo è nei Neri Opale (quelli veri) e si può avere un buon esito anche accoppiando in purezza. Ricordo che negli Agata Opale apigmentati, cioè nei bianchi, sia dominanti che recessivi, non si ha una vera tonalità azzurra, che invece appare (è un fatto strutturale) nei fattori rossi e nei fattori gialli. Spero di essere stato abbastanza esauriente. Sul mio testo i suddetti argomenti sono trattati in modo ben più ampio. Agata opale bianco recessivo

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Attività F.O.I. Sintesi verbale del consiglio direttivo federale del 13-14 settembre 2019 (La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali) - Calendarizzazione data Campionati Regionali/Interregionali 2020; Il CDF delibera la tenuta dei Campionati Regionali ed Interregionali per la stagione mostre 2020 nella settimana dal 2 al 8 novembre 2020. - Revisione art. 3 del Regolamento Generale Mostre successiva alle specificazioni pervenute dalle CTN EFI ed O&aP e dal Direttivo Club di Specializzazione; Il CDF preso atto delle osservazioni, delle considerazioni e dei suggerimenti pervenuti dai Presidenti delle CTN EFI e O&aP nonché dal direttivo Club di Specializzazione delibera la revisione modificativa dell’art. 3 del Regolamento Generale Mostre secondo il seguente testo: E - MOSTRA SPECIALISTICA INTERNAZIONALE DI ASSOCIAZIONE O DI CLUB Aperta alla partecipazione di tutti i Soci iscritti alle Federazioni riconosciute dalla COM, con tipologia di giudizio a scelta fra analitico, globale o a confronto e con obbligo di ammettere a concorso all’interno della medesima sezione: omissis - una sola Famiglia o Genere (così come individuati dalla competente CTN) o singola Specie (comprensiva di eventuali Sottospecie o Razze), negli EFI e negli O&aP. F - MOSTRA SPECIALISTICA DI ASSOCIAZIONE O DI CLUB Aperta alla partecipazione di tutti i Soci iscritti alle Associazioni affiliate alla FOI, con tipologia di giudizio a scelta fra analitico, globale o a confronto e con obbligo di ammettere a concorso all’interno della medesima sezione: omissis - una sola Famiglia o Genere (così come individuati dalla competente CTN) o singola Specie (comprensiva di eventuali Sottospecie o Razze), negli EFI e negli O&aP. G - MOSTRA ORNITOLOGICA NAZIONALE Aperta alla partecipazione di tutti i Soci iscritti alle Associazioni affiliate alla FOI, con tipologia di giudizio analitico, con Giuria nominata dall’Ordine dei Giudici FOI, con obbligo di ammettere a concorso almeno tre sezioni (con l’esclusione del canto nel periodo antecedente il primo di novembre). Quando la mostra è organizzata da Associazioni geograficamente confinanti con Stati esteri è consentita la partecipazione di allevatori stranieri purché iscritti a Federazioni riconosciute dalla COM e la cui residenza rientri nel raggio di 100 chilometri dal luogo di svolgimento della manifestazione. H - MOSTRA SOCIALE O INTERSOCIALE Aperta esclusivamente agli iscritti all’Associazione organizzatrice affiliata alla FOI, con tipologia di giudizio a scelta fra analitico, globale o a confronto, con Giuria composta da Giudici FOI invitati direttamente dall’organizzazione, con relativi costi a carico di quest’ultima e con obbligo di comunicare al Presidente dell’Ordine dei Giudici l’elenco dei Giudici invitati. Tale mostra può essere organizzata congiuntamente da più Associazioni dislocate su territori geograficamente limitrofi: in tale ultimo caso sarà definita mostra intersociale.

- Commissariamento del Raggruppamento Regionale Sardegna, nomina Commissario; Il CDF, preso atto della determinazione del presidente del raggruppamento Regionale Sardegna sig. Gianfranco Manunza di aderire ad altra Federazione divenendone uno dei fondatori, in applicazione dell’art. 11 del Regolamento Organico, dispone il commissariamento del predetto raggruppamento, nel contempo nominando il Commissario nella persona del Presidente FOI Antonio Sposito. Il Presidente uscente del Raggruppamento Sardegna ha altresì dichiarato di aver rassegnato le dimissioni dalla sua carica a mezzo mail impropriamente inviata dall’indirizzo pec del Raggruppamento all’indirizzo mail ordinario del Presidente Federale. Nonostante tale mail non sia mai pervenuta al Presidente Federale anche perché l’indirizzo utilizzato risultava errato, il CDF prende atto della decisione di Manunza e conferma, anche in virtù di tale ultima evidenza il provvedimento innanzi assunto. Il CDF, pur non ritenendo né esaustiva né algebricamente corretta la rendicontazione sulle spese del Raggruppamento regionale Sardegna fatta pervenire dal presidente dimissionato prende atto dell’esistenza di un avanzo di cassa del quale si richiede la restituzione secondo modalità che verranno comunicate. - Varie ed eventuali. Il CDF a seguito della modifica dell’art.11 del Regolamento Organico, come da verbale CDF del 12-14 luglio 2019, delibera la seguente parziale modifica: “Gli iscritti alle Associazioni federate, oltre all’osservanza degli obblighi di carattere generale prescritti dall’articolo 13 dello Statuto, sono tenuti ad attenersi alle norme di cui al precedente articolo 9, lettere a) e c). Nel rispettoso ossequio dei principi sanciti dalla Costituzione Italiana in ordine alla libertà di associazionismo, i Soci allevatori, i Soci allevatori allievi ed i Soci di ogni altra tipologia delle Associazioni federate che richiedono liberamente di essere tesserati alla FOI hanno l’obbligo di esclusività e, pertanto, non possono tesserarsi ad altre Federazioni insistenti ed operanti sul territorio nazionale con scopi congruenti o similari a quelli della FOI e, comunque, interagenti nel medesimo ambito di quest’ultima. Per converso il tesserato ad altre Federazioni insistenti ed operanti sul territorio nazionale con scopi congruenti o similari a quelli della FOI e, comunque, interagenti nel medesimo ambito di quest’ultima non potrà essere tesserato alla FOI per il tramite di una delle Associazioni alla stessa federate. Il medesimo principio si applica anche alle Associazioni con riferimento alla libera scelta dell’affiliazione. La violazione di tale principio determinerà la decadenza dal tesseramento con effetto immediato. I Soci allevatori, i Soci allevatori allievi ed i Soci di ogni altra tipologia delle Associazioni federate devono inoltre astenersi dal partecipare a manifestazioni ornitologiche organizzate in contrasto con i Regolamenti della FOI”.

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Attività F.O.I. Il CDF delibera la concessione di un contributo pari ad euro 500,00 all’A.O. Sulmonese per la tenuta del concorso per la realizzazione grafico pittorica di un manifesto divulgativo FOI. Il concorso sarà aperto agli studenti di scuole di secondo grado secondo i requisiti previsti dal relativo bando. Il contributo viene concesso a condizione che tutti gli elaborati prodotti, nessuno escluso ed eccettuato vengano ceduti in proprietà alla Federazione e che sugli stessi compaia il simbolo federale. Il CDF delibera il riconoscimento del Club Italiano del Canarino Agata, riscontrando la regolarità giuridica ed amministrativa della documentazione prodotta e rimanendo in attesa del pagamento della quota annuale. Il CDF, con riferimento alla richiesta di riconoscimento della razza di canarino GIRALDILLO SEVILLANO avanzata dalla CTN CFPA, ottenuto per le vie brevi il parere favorevole dell’ODG, delibera il riconoscimento disponendo la pubblicazione del presente provvedimento sul sito ufficiale. Il CDF, nello specifico scopo di ottimizzare l’utilizzo delle strutture a disposizione della FOI, dispone che tutte le attività degli organi Federali che prevedano l’uso di attrezzature si svolgano presso il capannone di Calendasco. All’uopo nel predetto locale saranno poste in essere attività di riattamento al fine di renderli pienamente fruibili per le predette occorrenze. Quanto innanzi anche per evitare le onerose trasferte per lo spostamento delle attrezzature ed il successivo riporto delle stesse a deposito. Si dispone che il presente deliberato sia trasmesso all’ODG ed alle CTN

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nazionali. Il CDF dispone altresì che in caso di necessità l’allestimento delle sale e dei locali con tavoli, scrivanie, sedie e quant’altro necessarie per le riunioni di tutti gli organi federali da tenersi sia in sede che a Calendasco siano effettuati a turno dai dipendenti FOI. Il Presidente, nella qualità di Direttore Responsabile di Italia Ornitologica, di concerto con il CDF, conferma la composizione dell’ufficio di Redazione della rivista nelle persone di Gennaro Iannuccilli (Capo Redattore) e di Giovanni Canali, Renzo Esuperanzi, Maurizio Manzoni (Collaboratori di Redazione). Ai Collaboratori di Redazione viene aggiunto Francesco Rossini. A tutti loro viene rivolto dal CDF pieno apprezzamento e vivo ringraziamento per l’opera fin qui svolta e per quella a svolgersi. Il CDF esamina la richiesta pervenuta dal Club Malinois circa l’organizzazione della mostra “Canto in Festa”, osservando che, fra le opzioni ivi proposte con riferimento alla stagione mostre 2020, quella maggiormente attuabile si appalesa la tenuta itinerante della stessa, in tal caso potendosi confermare il periodo dal 27 al 30 dicembre. Ancora per quest’anno (stagione 2019) la mostra verrà tenuta nella sede federale così come da calendario e secondo le consuete modalità. Per quanto attiene al contributo economico richiesto si osserva che la mostra dovrà avviarsi verso la piena autosufficienza e quando, dalla prossima stagione, la mostra diverrà itinerante si valuteranno gli eventuali contributi ad erogarsi. Il Club del Malinois a conclusione della mostra depositerà presso la Segreteria federale un resoconto dettagliato, corroborato dai documenti giustificativi delle spese.




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