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margine di Cass., n. 28993/2019
Saggi e pareri Saggi e pareri pareri saggi e Dalla perdita di chances alla responsabilità proporzionale (osservazioni a margine di Cass., n. 28993/2019)
Marco Capecchi Ricercatore nell’Università di Genova
Sommario: 1. Natura della chance. – 2. Fondamento della chance. – 3. Incertezza del danno e nesso di causalità materiale. – 4. Soglie di rilevanza della chance perduta: un effetto collaterale dell’accertamento del nesso causale? – 5. La perdita di chance quale paradigma della responsabilità proporzionale? – 6. Responsabilità per perdita di chances vs responsabilità “ordinaria”: una valutazione di analisi economica.
Abstract: La Corte di Cassazione, con la decisione n. 28993 del 2019 resa nell’ambito delle c.d. sentenze di S. Martino 2019, ha ripreso e meglio precisato alcuni principi di diritto in tema di responsabilità per c.d. perdita di chance già enunciati con le sentenze 5641 e 6688 del 2018, offrendo una razionalizzazione dell’intero settore del risarcimento del danno conseguente a omessa/ritardata diagnosi/intervento in ambito di responsabilità sanitaria. Con il presente contributo si intende esaminare, in particolare, le ricadute in tema di nesso causale di alcuni principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.
The Court of Cassation, with decision no. 28993 of 2019 rendered under the so-called sentences of S. Martino 2019, has taken up and better specified some principles of law in terms of liability for so-called loss of chances already stated in sentence no. 5641 and 6688 of 2018, offering a rationalization of the entire sector of compensation for damage resulting from omitted / delayed diagnosis / intervention in the field of health liability. With this contribution we intend to examine, in particular, the effects on the causal link of some principles of law affirmed by the Supreme Court.
1. Natura della chance
La Cassazione conferma la tradizionale distinzione tra perdita di chance patrimoniale e non patrimoniale osservando che la prima presuppone una situazione preesistente “positiva” che non trova il suo sviluppo naturale a causa di un evento negativo imputabile al danneggiante (come nel caso del candidato cui sia illegittimamente impedita la partecipazione ad un concorso); la chance non patrimoniale-non pretensiva (o, come è stata più efficacemente definita, oppositiva 1 ), invece, si verifica in presenza di una situazione “non favorevole” (quale l’esistenza di una malattia) il cui naturale decorso non venga impedito dal danneggiante. Ciò che maggiormente interessa evidenziare ai fini della presente analisi è che tanto la sentenza del 2018 quanto quella del 2019 ribadiscono la configurabilità di entrambi i tipi di perdita di chances, confermando l’applicabilità generale del
1 Izzo, Il tramonto di un sottosistema della R.C. La responsabilità medica nel quadro della recente evoluzione giurisprudenziale, in Danno e resp., 2005, 130.
rimedio, a prescindere dalla tipologia di danno lamentato. La Cassazione sottolinea che la rilevanza di tale distinzione non è destinata ad esaurirsi solo sul piano concettuale, ma incide sulle modalità di quantificazione del danno che, nella chance patrimoniale, potrebbe essere liquidato in proporzione al valore del risultato atteso e non verificatosi mentre, nella chance non patrimoniale, il risarcimento dovrebbe compensare la perdita della possibilità di impedire il decorso negativo della patologia (e, quindi, pare di capire, dovrebbe essere liquidato secondo un criterio puramente equitativo). Sia consentito dubitare della rilevanza pratica di tale distinzione: in entrambi i casi la liquidazione del danno è destinata ad avvenire in via equitativa, quindi con ampia discrezionalità da parte del magistrato di valutare le circostanze del caso concreto. Certamente, prendendo ad esempio un caso di chance pretensiva quale potrebbe essere il caso di un candidato escluso da un concorso, l’esame delle statistiche (numero di candidati e tasso di superamento dell’esame) potrebbe indurre a una liquidazione da compiersi sulla base di una proporzione matematica, ma anche in tale ipotesi non mancherebbero margini di personalizzazione (ad es. la valutazione del grado di preparazione del candidato, suoi successi/insuccessi in altre procedure, etc.). Si pensi, ancora, al caso, che parrebbe inquadrabile nella chance pretensiva, dell’avvocato che lasci prescrivere i termini per un’azione risarcitoria. Il cliente non potrebbe certo basare la sua pretesa solo su dati statistici per dimostrare la fondatezza della sua pretesa: la individuazione della chance perduta così come la sua quantificazione avverrebbero valutando in modo equitativo le circostanze del caso e il fondamento della eventuale domanda risarcitoria. Insomma, in un caso come nell’altro, il ricorso alla valutazione equitativa dovrebbe consentire ampi margini di discrezionalità nella quantificazione del danno, senza mai doversi pervenire alla predeterminazione di criteri matematici, con la conseguenza che la rilevanza della distinzione sul piano pratico è destinata a sfumare, senza contare che, in molte occasioni, non si potrà avere una precisa quantificazione statistica della chance perduta ma solo una sua stima in via presuntiva che si tradurrà in una quantificazione discrezionale.
2. Il fondamento della chance
Della massima rilevanza è la posizione assunta dalla S.C. in relazione al noto dibattito circa il fondamento della chance: viene accolta la tesi c.d. ontologica secondo cui la chance deve essere risarcita in quanto consistente in un bene autonomo, distinto dal vantaggio finale di cui esprime la possibilità. Viene, invece, respinta la tesi eziologica secondo cui la chance sarebbe un bene omogeneo rispetto al bene giuridico finale, la cui lesione potrebbe sussistere a fronte di un grado di probabilità inferiore al più probabile che non. Sotto questo profilo, entrambe le sentenze prendono espressamente le distanze dalla c.d. scala discendente della causalità che era stata ipotizzata dalla stessa Suprema Corte nella sentenza n. 21619/2007 e dalla chance vista come una “stampella della zoppia causale”, ossia come un espediente per riconoscere il risarcimento del danno anche in casi in cui l’accertamento del nesso causale, secondo i criteri ordinari, sarebbe impossibile 2 . É noto come tale distinzione rilevi, in particolare, sotto il profilo processuale, in quanto la tesi ontologica permette la risarcibilità del danno solo a fronte di una specifica domanda della parte, mentre la tesi eziologica consente di procedere alla liquidazione di tale danno anche in assenza di specifica domanda, dovendo la stessa ritenersi compresa in quella volta ad ottenere il risarcimento del danno rappresentato dal verificarsi dell’evento che il comportamento imputabile al danneggiato avrebbe dovuto impedire 3 .
2 La felice espressione, ripresa testualmente anche dalla decisione in esame è di Pucell a, Causalità civile e probabilità, spunti per una riflessione, in Resp. civ. e prev., 2018, 64. Cass., 16.10.2007, n. 21619, ivi, 2008, 323.
3 Cass., 29.11.2012, n. 21245, in Ragiusan, 2013, 354 ss.: “la domanda per perdita di chance è ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato, perché in questo secondo caso l’accertamento è incentrato sul nesso causale, mentre nel primo oggetto dell’ indagine è un particolare tipo
Proseguendo nella lettura della motivazione, desta particolare interesse il passaggio in cui la Suprema Corte chiarisce gli ulteriori requisiti necessari per potersi addivenire alla perdita di chances: “Il risarcimento del danno da perdita di chance, pertanto, può essere riconosciuto solo nei casi in cui sia incerto il danno arrecato al paziente, non anche quando vi sia incertezza sulla relazione causale tra la condotta del sanitario e il danno subito”. Due, quindi, gli ulteriori requisiti necessari perché possa addivenirsi alla responsabilità per perdita di chances: –Il danno deve essere incerto; –Deve sussistere un nesso causale tra il comportamento del danneggiante e la perdita della chances. Tali requisiti e, soprattutto, la relazione tra gli stessi meritano alcune osservazioni. Innanzitutto, desta perplessità il requisito dell’incertezza del danno. La riconduzione della chance alla tesi c.d. ontologica implica che la perdita della stessa vada qualificata come danno ingiusto, con la conseguenza che la sussistenza di tale elemento della fattispecie dovrà avvenire in fase di accertamento degli elementi costitutivi dell’illecito e quindi dell’an. In tale fase, la presenza di un elemento incerto, come si vorrebbe fosse il danno, dovrebbe condurre alla reiezione della domanda 4 ,
di danno, e segnatamente una distinta ed autonoma ipotesi danno emergente, incidente su di un diverso bene giuridico quale la mera possibilità del risultato finale; La liquidazione di quest’ultimo non può essere operata d’ufficio dal giudice, non essendo la relativa domanda insita, come un minus in quella volta a far valere il pregiudizio derivante dal mancato raggiungimento del risultato sperato in quanto trattasi di domanda tutt’affatto diversa sulla quale, ove non proposta, il giudice non si può pronunciare”. Nello stesso senso v. Cass., 4.3.2004, n. 4400, in Resp. civ. e prev., 2005, 461 e in Giust. civ., 2005, I, 2115;
Cass., 14.6.2011, n. 12961, in Resp. civ. e prev., 2011, 2039; Cass., 9.3.2018, n. 5641, in Foro it., 2018, I,
1579. Contra, v. Cass., 21.2.2007, n. 4003, in Lavoro nella giur., 2007, 1141 e Cass. 14.6.2011, n. 12961, in
Resp. civ. e prev., 2011, 2039, hanno considerato la domanda da risarcimento per perdita di chances una
mera diminuzione di quella originariamente proposta finalizzata ad ottenere il risarcimento dell’intera
perdita subita.
in quanto ritengo che l’accertamento sull’an possa concludersi positivamente solo quando l’onere probatorio circa l’esistenza del danno ingiusto sia stato assolto, cioè sia stato provato che un diverso comportamento del convenuto avrebbe modificato la probabilità che l’evento sperato si verificasse (ad esempio nel caso di impugnazione tardiva) o che l’evento temuto venisse impedito (nel caso di omessa diagnosi di neoplasia). In altre parole, ciò che interessa, in tale prima fase di accertamento dell’an, è che la chance perduta esistesse, a prescindere dalla sua misura. Quanto alle modalità con cui tale prova può essere fornita, si pone il problema di stabilire se ciò possa avvenire solo mediante ricorso alla probabilità statistica ovvero anche mediante probabilità logica o presunzioni. Come già accennato, pare a chi scrive che circoscrivere la prova ai soli casi coperti da leggi scientifiche e statistiche comporterebbe una eccessiva restrizione della tutela risarcitoria e, pertanto, debba ammettersi la possibilità di fare ricorso anche alla c.d. probabilità logica, al pari di quanto già avviene per il nesso causale; pertanto, deve essere consentito al danneggiato di provare l’esistenza e la misura della chance an
to dannoso e conseguenze», in Riv. dir. comm., 1951, 409 in relazione alla responsabilità extracontrattuale ma la Suprema Corte la applica anche con riferimento a casi di responsabilità c.d. contrattuale, in particolare v. Cass., 16.10.2007, n. 21619, cit. e Cass., 21.7.2011, n. 15991, in Giust. civ., 2013, I, 1537. Con altra sentenza di S. Martino Bis, la n. 28991/2019, la Cassazione ha meglio precisato la rilevanza del nesso causale nell’ambito della responsabilità per inadempimento, distinguendo a seconda del fatto che l’interesse giuridicamente protetto di cui il danneggiato lamenta la lesione costituisse l’oggetto della prestazione rimasta inadempiuta o meno. Nel primo caso, “il nesso di causalità materiale, pur teoricamente distinguibile dall’inadempimento per la differenza tra eziologia e imputazione, non è praticamente separabile dall’inadempimento”. Nel secondo caso, invece, causalità e imputazione tornano a distinguersi anche sul piano funzionale (e non solo su quello strutturale) e, quindi, il nesso causale tra l’inadempimento e la lesione dell’interesse lamentata dal creditore si configura in termini analoghi a quanto avviene nella responsabilità aquiliana, con la conseguenza che il debitore è onerato di provare la sussistenza di tale rapporto eziologico. Cass., 11.11.2019, n. 28991, in Foro it., 2020, I, 210. Per ulteriori riferimenti, sia consentito rinviare a Capecchi, Il nesso di causalità. Dalla condicio sine qua
che in via presuntiva, fornendo al giudice tutti quegli elementi che dovranno essere dallo stesso prudentemente valutati al fine di stabilire sussistenza e consistenza della chance perduta. Solo una volta risolta positivamente l’indagine sull’an, si potrà passare a liquidare il quantum, operazione che, come osservato nel paragrafo precedente, avverrà solo pressoché esclusivamente in via equitativa ed è in tale sede che la misura della chance perduta rileverà concretamente perché dovrà essere apprezzata ai fini della quantificazione del danno. Altro passaggio che suscita qualche riflessione è quello relativo alla necessaria sussistenza del nesso causale. Nessun dubbio sul fatto che tale elemento della fattispecie debba sussistere anche in relazione alla perdita di chances, così come per qualsiasi altra fattispecie di responsabilità 5 . Tuttavia va chiarito che le modalità di accertamento
5 La Corte costituzionale ha affermato la necessità del nesso causale in un caso che sembra di scuola: durante una battuta di caccia un partecipante rimane ferito da un colpo partito dal fucile di un compagno ma, avendo due suoi compagni sparato contemporaneamente, non è possibile stabilire da quale fucile sia partito il colpo che lo ha ferito. Il danneggiato ricorre allora alla Corte costituzionale lamentando la illegittimità dell’art. 2050 nella parte in cui gli addossa l’insostenibile onere di provare da quale dei due compagni di battuta fosse provenuto il pallino, anziché addossare ai convenuti la prova liberatoria. La Corte con sentenza, però, esclude che «sia possibile introdurre nel nostro ordinamento un nuovo criterio di imputazione fondato non già sul nesso di causalità, ma sulla mera partecipazione all’esercizio di attività pericolosa con distinte ed autonome condotte uniformi di più persone tutte simultanee e tutte teoricamente possibili cause di danno». (Corte cost., 4.3.1992, n. 79, in Foro it., 1992, I, 1347; in Arch. civ., 1992, 251; in Giust. civ., 1992, I, 1430; in Cons. Stato, 1992, II, 373; in Giur. it., 1992, I, 1202; in Giur. cost., 1992, 807; in Resp. civ. e prev., 1992, 348; in Dir. giur. agr., 1992, 472; in Riv. dir. sport., 1992, 73). Da notare che, negli Stati Uniti, casi analoghi erano stati decisi in modo opposto (individuando cioè la
responsabilità solidale in capo ai due che avevano fatto fuoco); cfr. Oliver v. Miles, 1927, 144 Miss. 852,
110 So 666 e Summers v. Tice (1948) 33 Cal.2d 80, 199 p. 2.
Pucell a, Concorso di cause umane e naturali, la via impervia tentata dalla cassazione, in Nuova giur.
civ. comm., 2012, I, 198, Id., La causalità incerta, Torino, 2007, 58 ss. osserva come nell’attuale sistema
della responsabilità civile vi siano alcune fattispecie che, sebbene non possano dirsi di responsabilità
stocastica, prescindono comunque da un puntuale accertamento del nesso causale, come ad esempio
accade nei casi in cui la responsabilità viene ripartita in parti uguali a prescindere dall’accertamento
dell’incidenza eziologica nel comportamento dei vari corresponsabili (ad es. art. 2054, comma 2°, c.c.),
ovvero nel caso dei casi decisi secondo la regola res ipsa loquitur.
dello stesso da impiegare in questo contesto sono diverse da quelle ordinarie, perché devono variare in funzione del fatto che si debba valutare la relazione tra il comportamento imputabile al danneggiante e la perdita di chances o il mancato verificarsi dell’evento sperato, in quanto varia la descrizione dell’evento e, quindi, il ruolo giocato dall’incertezza che, in un caso, si concretizza nel danno ingiusto mentre, nell’altro, investe il nesso causale 6 . Un esempio può essere utile a chiarire il concetto. Immaginiamo un caso in cui al sanitario venga imputata l’omessa diagnosi e quindi omessa terapia di una patologia che, correttamente trattata, avrebbe consentito una sopravvivenza a cinque anni del 10% dei pazienti. Sulla base di quanto esposto fino ad ora, il danneggiato dovrà individuare il danno di cui chiedere il risarcimento e potrà ricostruire l’accaduto nei seguenti termini: –Antecedente rappresentato dall’omesso intervento e danno ingiusto rappresentato dalla morte del paziente. Con questa descrizione del fatto, il nesso causale risulterà insussistente in quanto ben inferiore al “più probabile che non”. –Antecedente rappresentato dall’omesso intervento e danno ingiusto rappresentato dalla perdita di probabilità di sopravvivenza nella misura del 10%. Con questa ricostruzione del fatto, la probabilità persa dal paziente diventa il danno ingiusto, rispetto al quale il nesso causale finisce per essere in re ipsa, perché l’omissione del trattamento ha causato la perdita della possibilità di rientrare tra quel 10% di pazienti che sono sopravvissuti all’evento. Con quanto sopra, non si intende affermare che la responsabilità per perdita di chances prescinda dall’accertamento del nesso di causalità ma, più semplicemente, che non è necessario procedere ad un accertamento apposito in quanto, descrivendo l’evento in termini di perdita di chances, l’esistenza del nesso causale è implicitamente di
mostrata (potrebbe dirsi in re ipsa 7 ) fornendo la prova della consistenza della chance. Nel caso dell’esempio precedente, provare che l’intervento non eseguito avrebbe aumentato del 10% le chances di sopravvivenza significa riconoscere che c’è un rapporto di causalità tra l’omissione e la perdita di una chance di sopravvivenza del 10%. In ragione di tale osservazione, procedere ad un autonomo accertamento del nesso causale si rivelerebbe superfluo e, anzi, come si vedrà meglio in seguito, potrebbe essere fonte di fraintendimenti laddove venga impiegato l’ordinario criterio del “più probabile che non”. Peraltro, soprassedere a tale accertamento non comporterebbe alcun aumento del tasso di accoglimento delle domande risarcitorie perché queste ultime (nei casi che sarebbe istintivo ricondurre all’assenza di tale requisito e che si potrebbe temere vengano accolti in assenza dell’accertamento di causalità), sarebbero comunque respinte per assenza di danno: qualora ci si trovi a dover decidere un caso nel quale l’intervento omesso non avrebbe in alcun modo aumentato la chance di sopravvivenza, la domanda andrà respinta non (sol)tanto per l’insussistenza del nesso causale quanto, piuttosto, per l’assenza di danno, in quanto non è stata persa nessuna possibilità di un diverso decorso degli eventi. Un esempio volutamente assurdo spero possa aiutare a comprendere meglio il concetto: immaginiamo il caso in cui una persona malata terminale di tumore venga erroneamente esclusa dalla finale di un concorso di bellezza e che, dopo la sua morte gli eredi agiscano contro gli organizzatori del concorso di bellezza sostenendo che la mancata ammissione al concorso ha ridotto le chances di
7 Nello stesso ordine di idee pare Cricenti, op. loc. cit., laddove scrive “a ben vedere, l’impostazione più corretta presuppone risolto il problema causale e fa della chance solo una questione di incertezza del pregiudizio”. Non si condivide, invece quanto si legge in Cass., 9.3.2018, n. 5641, cit., ove è scritto: “Appare, pertanto,
fuorviante la distinzione tra chance cd. “ontologica” e chance “eziologica”, volta che la seconda delle
predette definizioni sovrappone inammissibilmente la dimensione della causalità con quella dell’evento
di danno, mentre la prima evoca una impredicabile fattispecie di danno in re ipsa che prescinde del tutto
dall’esistenza e dalla prova di un danno risarcibile”: il danno da perdita di chances non può considerarsi
in re ipsa e, anzi, deve essere puntualmente dimostrato dal danneggiato il quale è onerato di provare che
sopravvivenza del defunto. La domanda andrebbe respinta non tanto per l’assenza di nesso causale tra l’esclusione dal concorso e la morte, quanto, piuttosto, per l’assenza di danno in quanto gli attori non potrebbero provare la diminuzione di chances di sopravvivenza (sul presupposto che l’ammissione al concorso non le avrebbe comunque aumentate). In conclusione, non pare che la responsabilità per perdita di chance possa essere ammessa a fronte di un danno incerto. Pare invece l’esatto opposto, e cioè che tale responsabilità non debba essere riconosciuta a fronte di una incertezza sull’esistenza della chance e che proprio la necessità di una prova rigorosa al riguardo sia necessaria per evitare di scivolare verso l’accoglimento di domande infondate. In base a quanto osservato poc’anzi, situazione di danno incerto, significa che il danneggiante non è in grado di provare l’esistenza della chance perduta, ossia che un diverso comportamento del convenuto avrebbe modificato la probabilità che l’evento sperato si verificasse (ad esempio nel caso di impugnazione tardiva) o che l’evento temuto venisse impedito (nel caso di omessa diagnosi di neoplasia). Ma se il danneggiato non è in grado di fornire tale prova, avremo non solo una situazione di danno incerto ma anche di assenza di prova del nesso causale perché non sappiamo se un diverso comportamento del convenuto avrebbe potuto (almeno astrattamente, cioè con una certa probabilità) incidere sullo svolgimento dei fatti.
Altro passaggio degno della massima attenzione è quello in cui la Suprema Corte precisa che la perdita di chances vada risarcita solo qualora abbia ad oggetto probabilità serie e apprezzabili, non potendosi applicare nel caso di semplice speran-
za, dando continuità alla precedente giurisprudenza che aveva già richiesto tale requisito 8 . In particolare, viene esemplificato che non si potrebbe fare luogo al risarcimento in caso di sottrazione di un biglietto della lotteria perché si tratterebbe di mera speranza e non concreta probabilità. Questo passaggio della motivazione merita di essere approfondito innanzitutto perché non è chiaro cosa debba intendersi per “probabilità serie e apprezzabili” 9 . Alla luce delle considerazioni svolte nel paragrafo precedente, tale requisito dovrebbe interpretarsi nel senso di onerare il danneggiato della prova dell’esistenza della chance perduta (a prescindere dalla sua misura, purché superiore a zero) in quanto tale entità, non dovrebbe incidere sull’an ma soltanto sul quantum. Tuttavia, leggendo la motivazione nel suo complesso, in particolare, esaminando l’esempio della sottrazione del biglietto della lotteria, parrebbe che la locuzione “serie e apprezzabili probabilità” faccia riferimento ad una soglia minima di consistenza della rilevanza statistica della chance, al disotto della quale non sorgerebbe la responsabilità risarcitoria 10 , come peraltro è stato sostenuto in dottrina, ove è diffusa la preoccupazione di arginare la risarcibilità della perdita di chance 11 .
8 Ex multis Cass., 11.12.2003, n. 18945, in Mass. Giust. civ., 2003; Cass., 4.3.2004, n. 4400, in Contratti, 2004, 1094; Cass., 22.11.2004, n. 22026, in Mass. Giust. civ., 2004; Cass., 28.1.2005, n. 1752, ivi, 2005; Cass., 14.11.2017, n. 26822, ivi, 2018. Su tale requisito, v. Frenda, Errore o ritardo nella diagnosi: quanto devono essere concrete le chances perdute?, in questa Rivista, 2018, 269.
9 L’ambiguità della locuzione “serie ed apprezzabili probabilità” era già stato evidenziato in precedenza da Cricenti, op. loc. cit., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti.
10 Con riferimento a tale esempio, ponendosi nell’ottica ex ante rispetto all’estrazione finale, è indubitabile che il soggetto cui venga sottratto il biglietto abbia una minima chance di vittoria (diversamente sarebbe privo di causa il contratto di acquisto del biglietto), che viene persa con la sottrazione del biglietto. Negare che in tal caso sussistano i presupposti per farsi luogo alla perdita di chances, significa ritenere che la probabilità perduta non abbia superato la pretesa “soglia di sbarramento”.
Un requisito minimo di consistenza della chance è stato richiesto fin dal leading case in materia, giacché la sentenza n. 6506/1985 stabilì che fosse onere del danneggiato provare che la chance perduta rappresenti una percentuale di successo probabile e, cioè, pari ad almeno il 50%, poiché in presenza di possibilità sfavorevole superiore a quella favorevole, non vi è alcuna ragione che possa giustificare la prevalenza della seconda sulla prima e, quindi, la sussistenza di un danno” 12 . Chi scrive non ritiene che siffatta soglia sia compatibile con l’attuale disciplina della responsabilità civile 13 : come già osservato in precedenza, la misura della chance perduta (salva l’ipotesi della sua insussistenza) è destinata a riflettersi sull’entità del risarcimento; a fronte di una chance di ridotta entità, avremo un risarcimento di modesto importo mentre avremo importi crescenti al variare della consistenza della chance perduta fino ad una somma prossima al risarcimento del danno rappresentato dall’evento sperato. Il problema, quindi, diventa quello di capire se vi sia nel no
Ziviz, Quale modello per il risarcimento della perdita della chance di sopravvivenza?, in Resp. civ. e prev., 2016, 1490. Nella giurisprudenza amministrativa in tema di illegittima esclusione da gare e concorsi, il requisito di consistenza della chance è stato richiesto fin dal leading case in materia, giacché la sentenza Cass., 19.12.1985, n. 6506, cit. Più recentemente Cons. Stato, V sez., 30.6.2015, n. 3249, in Foro it., 2015, III, 440 e da Cons. Stato, V sez., 11.7.2018, n. 4225, in Resp. civ. e prev., 2018, 1646.
12 Cass., 19.12.1985, n. 6506, in Riv. dir. comm., 1986, II, 207, stabilì che fosse onere del danneggiato provare che la chance perduta rappresenti una percentuale di successo probabile e, cioè, pari ad almeno il 50%, poiché in presenza di possibilità sfavorevole superiore a quella favorevole, non vi è alcuna ragione che possa giustificare la prevalenza della seconda sulla prima e, quindi, la sussistenza di un danno. La presenza di siffatta soglia nella giurisprudenza precedente è stata evidenziata da Frenda, op. cit., 277, che osserva: “Sorge perciò il dubbio che, a dispetto dei proclami della Cassazione, la determinazione del limite minimo di possibilità (perdute) risarcibili non sia appesa ad una non meglio specificata concretezza, bensì dipenda, caso per caso, dalla gravità della colpa di colui per mano del quale tali possibilità (concrete o meno) sono irrimediabilmente sfumate. Sicché, nel decidere della risarcibilità o meno delle possibilità perdute, la concretezza della chance sembra cedere il passo, soprattutto a fronte di chances “inafferrabili”, alla “gravità della colpa”.
stro ordinamento un principio in forza del quale non si debba accogliere una domanda avente ad oggetto un danno minimo e mi pare che la risposta non possa che essere negativa. Inoltre, come accennato in precedenza, ulteriori limitazioni alla risarcibilità della perdita di chances di ridotto importo potrebbero discendere da una discutibile impostazione dei rapporti tra perdita di chance e accertamento del nesso causale condotto secondo il criterio del più probabile che non 14 : ciò sembra evidente nella sentenza n. 6506/1985 (in cui la limitazione della chance risarcibile discende da una applicazione “ante litteram” del principio del più probabile che non), ma anche in alcune recenti decisioni della S.C. in tema di responsabilità civile dell’avvocato, laddove si legge che “In tema di responsabilità per colpa professionale consistita nell’omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza, o “del più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, posto che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa” 15 . A prescindere dalla discutibile applicazione del criterio del “più probabile che non” in fase di quantificazione del danno, pare evidente l’inopportunità dell’applicazione di tale criterio laddove si pensi che:
14 In ambito medico legale, si esprimono nel senso della opportunità di utilizzare il medesimo criterio di accertamento del nesso causale Fiori, Marchetti, La Monaca, La causalità civile ed i suoi perduranti problemi medico legali, in Riv. it. med leg., 2014, 1073: “Il danno da perdita di chance è dunque solo un modo per individuare con maggiore precisione gli interessi da tutelare del danneggiato, rimanendo però invariato il criterio di accertamento del nesso causale civilistico tra la condotta e la chance perduta secondo il parametro del più probabile che non”.
–Le chances inferiori al 50% potrebbero non essere risarcite per la pretesa insussistenza del nesso causale (ove accertato secondo il criterio del “più probabile che non”); –Le chances superiori al 50% potrebbero non essere neppure domandate, in quanto il danneggiato, a fronte di chances “più probabili che non” troverebbe più conveniente tentare di sostenere la sussistenza del rapporto causale direttamente con l’evento del quale la chance costituisce la probabilità del verificarsi. L’opportunità di siffatta soglia non si giustifica neppure nella diversa prospettiva di limitare le domande risarcitorie 16 : come già è stato osservato in precedenza, l’onere probatorio a carico del danneggiante non è svuotato ma solo modificato rispetto alla responsabilità per mancato verificarsi dell’evento, potendo la domanda essere accolta solo a fronte della prova della sussistenza e della consistenza della chance perduta. La fondamentale importanza della prova della esistenza e della misura della chance non può condurre fino al punto di doversi richiedere al danneggiato di fornire prove ulteriori rispetto al dato statistico. Autorevole dottrina pare ritenere che il danneggiato dovrebbe fornire elementi di prova tali da provare che sarebbe potuto rientrare nella percentuale “dei fortunati” 17 . Pare a chi scrive che tali circostanze non debbano essere necessariamente
16 Temono una deriva verso la tutela del paziente a tutti i costi Buzzi, Il medico tra Scilla (la perdita di chances) e Cariddi (gli interventi compassionevoli) con l’incombente naufragio dell’accertamento medico legale del nesso di causalità e della valorizzazione delle linee guida, in Riv. it. med. leg., 2011, 563 ss. Locatell i, Le diverse vesti della chance perduta e i suoi criteri di risarcibilità, in Resp. civ. e prev., 2008, 2360 ss. Si esprime in termini di “valvola di sicurezza risarcitoria”; Zeno Zencovich, La sorte del paziente. La responsabilità del medico per l’errore diagnostico, Padova, 1994, ritiene che ha la perdita di chances sia stata “introdotta più per semplificare l’onere probatorio per il paziente che per una effettiva fondatezza”.
17 Pucell a, L’insanabile incertezza delle chances perdute, cit., 1685: “al danneggiato che lamenti la perdita di una chance del 10% non sembra allora sufficiente, sul piano della prova processuale, l’allegazione di un asettico dato statistico, perché essa non è ancora dimostrazione dell’effettivo possesso (e della conseguente distruzione e perdita) della chance stessa”.
provate ai fini dell’ammissibilità della domanda ma che potrebbero essere utili per quantificare la chance (e, quindi, sarà interesse di ciascuna delle parti fornirne prova in funzione dello scostamento dalla mediana). Immaginiamo che cinque candidati si presentino ad un concorso per titoli: la probabilità di superamento del concorso è astrattamente del 20% per ciascuno. Se, però, uno dei candidati potesse provare di vantare titoli molto superiori a quelli degli altri, ciò significherebbe non tanto che la sua probabilità di rientrare nel 20% “fortunato” siano maggiori, quanto, più correttamente che le sue chance di superamento del concorso sono molto maggiori del 20% e prossime al 100% (e sarà, quindi, suo interesse dare prova della maggiore “forza” dei suoi titoli rispetto a quelli degli altri). Al contrario, se si trattasse di un candidato con pochi titoli, potrebbe essere interesse del danneggiante dimostrare che l’esiguità dei titoli del candidato fosse tale da rendere molto esigue o addirittura nulla le sue chances di superamento del concorso. In tema di risarcimento dei danni derivanti da ingiusta esclusione da concorso, la Cassazione ha talvolta quantificato il danno in misura proporzionale al numero di candidati (Cass., 6.6.2006, n. 13241), ma in altre occasioni ha ritenuto insufficiente tale impostazione, stabilendo la necessità di valutare gli specifici titoli posseduti dai candidati (Cass., 3.3.2010, n. 5119), traendo argomenti di convincimento circa il grado di probabilità favorevole anche dal comportamento processuale delle parti e dalle carenze di allegazione e prova dei fatti rientranti nell’ambito delle rispettive conoscenze e possibilità di attestazione (Cass., 5.3.2012, n. 3415). Chi scrive ritiene che non vi sia alcuna ragione logica o giuridica che debba condurre a porre una soglia minima di rilevanza della chance e che, simmetricamente, neppure possa individuarsi alcuna soglia “massima” superata la quale la domanda diventi irricevibile o legittimi il danneggiato a cambiare petitum individuandolo nel mancato verificarsi dell’evento sperato 18 : perdita di chance e responsabilità civile “ordinaria” hanno due oggetti diversi, sono due binari destinati a non incrociarsi mai. In altri termini, la responsabilità per perdita di chances si pone come alternativa alla tradizionale domanda risarcitoria e non come un “diminutivo astratto” della stessa 19 : sarà il danneggiato a dover decidere se domandare la “responsabilità proporzionale” che può derivare dalla perdita di chance (sapendo che il risarcimento non potrà mai spingersi a coprire l’intero valore dell’evento sperato, neppure a fronte di casi di probabilità particolarmente elevate) o se, invece, puntare al risarcimento integrale del danno rappresentato dal mancato verificarsi dell’evento sperato, assumendosi in toto il rischio della reiezione della domanda che potrebbe derivare dal mancato accertamento del nesso causale. Sostenere, come si legge nelle sentenze Cass. n. 5641/2018 e Cass. n. 28993/2019 che la perdita di chances possa essere invocata solo in caso di danno incerto (e interpretando tale locuzione come sinonimo di nesso causale incerto), significa ridurne l’ambito applicativo, relegandola nell’ambito del “meno probabile che non”, condannandola a quel ruolo di “diminutivo astratto” della domanda risarcitoria o di “stampella della zoppia causale” che la stessa S.C. ha più volte negato di voler attribuire alla chance. Se la perdita di chance è
l’evento di danno sia costituito non da una possibilità – sinonimo di incertezza del risultato sperato – ma dal (mancato) risultato stesso (nel caso di specie, la perdita anticipata della vita), non è lecito discorrere di chance perduta, bensì di altro e diverso evento di danno, senza che l’equivoco lessicale costituito, in tal caso, dalla sua ricostruzione in termini di “possibilità” possa indurre a conclusioni diverse”. A giudizio di chi scrive, deve essere il danneggiato a decidere se impostare la domanda risarcitoria lamentando la perdita di chance o il mancato verificarsi dell’esito sperato, senza che il maggiore o minore grado di probabilità possa consentire di modificare una domanda di perdita di chances in una domanda avente ad oggetto il mancato verificarsi dell’evento sperato. Tale passaggio riceve l’autorevole adesione di Pucell a, L’insanabile incertezza, cit., 1686.
19 L’indicazione della perdita di chances come “diminutivo astratto della responsabilità civile” che si legge al punto 6.1.1 nella sentenza n. 5641/2018 è espressione stata impiegata da Cricenti, op. cit., il quale alla nota 1 illustra come la stessa provenga dalla tradizione francese.
un danno ontologicamente diverso dal mancato verificarsi dell’evento sperato, tale differente natura deve rimanere a prescindere dalla dimensione quantitativa della chance.
Abbiamo visto che la responsabilità per perdita di chance si fonda su quella che è stata efficacemente indicata come “reificazione” delle probabilità perdute 20 , e abbiamo altresì visto che è un istituto di applicazione relativamente generale potendo avere ad oggetto tanto chances pretensive quanto impeditive, patrimoniali e non. Sorge allora spontanea una domanda: l’ambito applicativo di questo modello risarcitorio deve essere circoscritto alle sole fattispecie caratterizzate dal mancato verificarsi di un evento auspicato (mancata guarigione, mancata partecipazione ad un concorso/gara)? La risposta, a giudizio dello scrivente, non può che essere negativa. È verosimile che il modello della perdita di chance si sia sviluppato in relazione ad eventi di c.d. causalità omissiva favorito dal fatto che tale ambito è notoriamente regolato dalla c.d. teoria “normativa” (che consente l’accertamento del rapporto causale secondo criteri totalmente giuridici, ben distinti da quelli pseudo-naturalistici impiegati per il normale accertamento del nesso di causalità tra un’azione positiva e un evento) e ciò ha liberato gli interpreti dagli (apparentemente) vincolanti criteri utilizzati per l’accertamento del nesso di causalità, consentendo maggiore fantasia nella ricerca di soluzioni innovative 21 .
20
Pucell a, L’insanabile incertezza, cit., 1684.
21 Significative a questo proposito, per chiarire i motivi per i quali la responsabilità per omissione si è prestata a fungere da laboratorio sono le parole di Donini, La causalità omissiva e l’imputazione per l’aumento del rischio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 50, che nel commentare le innovazioni giurisprudenziali in tema di omissione rileva che: «la causalità omissiva – a differenza di quella commissiva – è una causalità ipotetica, e per ciò solo più probabilistica di quanto non sia la causalità commissiva che peraltro – come sappia
Esaminando la struttura della responsabilità per perdita di chances nella configurazione da ultimo accolta dalla S.C., essa consiste nella reificazione (e conseguente risarcibilità) della perdita delle probabilità di ottenere un risultato positivo che il danneggiato ha perduto a causa di un fatto imputabile al danneggiante: non pare vi possa essere alcun problema ad individuare, in modo del tutto simmetrico, una responsabilità consistente nell’aumento del rischio del verificarsi di un evento dannoso che consegua ad un fatto imputabile al convenuto. In altri termini, una responsabilità basata sulla reificazione dell’illecito aumento del rischio del verificarsi di una lesione anziché sulla perdita delle probabilità del verificarsi di un evento positivo. É noto che lo stato attuale della conoscenza consente solo di esprimere una relazione quantitativa in ragione della quale ad un antecedente segue, secondo una percentuale statistica, una conseguenza. Perciò, il verificarsi di un antecedente non può dirsi (a meno di fare ricorso a finzioni giuridiche quale si ritiene essere il criterio del “più probabile che non”) causa di un evento ma può dirsi che abbia aumentato la probabilità che quest’ultimo avvenga. Mutuando quanto già avviene nell’ambito della perdita di chance, si può procedere ad una reificazione di tale aumento di probabilità, configurandolo come un danno in
mo – presenta anch’essa un valore epistemologico di tipo statistico e probabilistico. Una valenza doppiamente probabilistica (probabilità logica del valore delle leggi di copertura e probabilità storica della ricostruzione controfattuale) pertanto caratterizzerebbe l’omissione come condizione di significato eziologico. La conseguenza di tale premessa pare scontata alle decisioni che si commentano e trova in alcune elaborazioni dottrinali un supporto argomentativo autorevole: trattandosi di un accertamento probabilistico e ipotetico non è possibile richiedere una certezza probatoria veramente identica o corrispondente a quella che si può esigere dalla prova della causalità “reale” delle condotte attive. Questo asserito dato di fatto, quindi, suggerisce subito una proposizione prescrittiva o meglio autorizzativa: il giudice – prosegue la tesi che si commenta – nella causalità dell’omissione può “accontentarsi” legittimamente di qualcosa di meno sul piano delle garanzie probatorie, perché la causalità omissiva è meno certa». Per ulteriori riferimenti, sia consentito il rinvio a Capecchi, Il nesso di causalità. Dalla condicio sine qua non alla responsabilità proporzionale, cit., 135 ss.
giusto (anche in questo caso, come nella perdita di chances, autonomo e distinto da quello consistente nel verificarsi della lesione della situazione giuridica protetta), giacché chiunque sia titolare di una situazione giuridicamente protetta può pretendere che altri non ne incrementino illecitamente il rischio di lesione. Così inquadrato il problema, laddove si verifichi la lesione di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento, il titolare della stessa è legittimato a far valere la responsabilità di tutti coloro che abbiano illecitamente posto in essere comportamenti tali da incrementare il rischio del verificarsi dell’evento che costituisce la lesione subita dal danneggiato. Naturalmente a tali danneggianti non potrà essere imputata la responsabilità di aver causato la lesione subita dal danneggiato, ma solamente quella di aver provocato l’illecito aumento del rischio del verificarsi di tale evento e, pertanto, saranno chiamati a tenere indenne il danneggiato solo dal danno rappresentato dalla “reificazione” di tale illecito incremento di rischio. Così individuato il danno ingiusto, il giudizio circa la sussistenza del nesso di causalità materiale diventa più correttamente gestibile perché il giudice è tenuto a verificare la sussistenza del rapporto (statistico) tra fatto imputabile e aumento del rischio, potendo invece disinteressarsi del rapporto tra antecedente e verificarsi dell’evento (che, invece, attualmente è chiamato a verificare). In ragione di quanto sopra, non pare vi possano essere difficoltà ad impiegare la responsabilità per perdita di chances quale paradigma sul quale modellare quella responsabilità proporzionale che lo scrivente ha ipotizzato da tempo come auspicabile evoluzione dell’attuale sistema della responsabilità civile 22 .
22 La tesi della responsabilità proporzionale è stata sostenuta dallo scrivente in Il nesso di causalità. Da elemento della fattispecie “fatto illecito” a criterio di limitazione del risarcimento del danno, Padova, 2002. Nella prima edizione del testo si era ipotizzato che alla responsabilità proporzionale potesse pervenirsi
tenendo conto dell’intensità del nesso causale in fase di liquidazione del danno, riducendone in via
equitativa l’importo. Le critiche ricevute da tale prima soluzione hanno portato a perfezionare la tesi,
mantenendo fermo l’obiettivo di pervenire alla responsabilità proporzionale ma modificandone le moda
Chiarito che le due responsabilità (quella per perdita di chances e quella “ordinaria”) sono differenti, sorge spontaneo l’interrogativo di capire quale tra le due meglio risponda alle finalità risarcitoria e deterrente proprie della responsabilità civile 23 . Sotto tale profilo, ritengo che l’attuale funzionamento della responsabilità civile secondo la logica “all or nothing”, basata sull’accertamento del nesso causale mediante il criterio del “più probabile che non”, conduca a risultati sempre e comunque insoddisfacenti, determinando alternativamente un effetto di sotto o di sopra risarcimento di ammontare tanto maggiore quanto maggiore sia l’incertezza del rapporto causale (tale distorsione sarebbe assente solo nei casi estremi di assoluta certezza di sussistenza/insussistenza del nesso causale, casi che, però, sono teoricamente inesistenti). Per meglio spiegare tale aspetto si pensi al caso di una persona che contragga una patologia a genesi multifattoriale e agisca nei confronti di un soggetto cui sia imputabile un antecedente che può ritenersi “causa” della malattia, nel senso che può aver incrementato il rischio di contrarla. Dal punto di vista scientifico, le cause della malattia possono essere molteplici (immaginiamo: fattori genetici, stile di vita, alimentazione, cause ignote) oltre a quella imputabile al preteso danneggiante. Nella logica attuale, al giudice verrà chiesto di stabilire se l’antecedente imputabile al danneggiante raggiunga la soglia del “più probabile che non”: nel caso di risposta affermativa, il danneggiante sarà tenuto a risarcire l’intera perdita subita dal danneggiato senza che venga in alcun modo valorizzata la possibilità che la causa del sinistro vada individuata negli altri rischi (che
rivista nella terza e ultima sezione), è stato proposto di attuare la responsabilità proporzionale mediante
una diversa descrizione dell’evento e il risarcimento del danno ingiusto consistente nella perdita di
chances e/o nell’illecito aumento del rischio, come ipotizzato anche in questa sede.
pure sussistono) cui il danneggiato sarebbe stato sottoposto a prescindere dal comportamento del convenuto, determinando un sovra-risarcimento derivante dall’azzeramento del disvalore di questi ultimi. Specularmente, se il giudice dovesse ritenere che l’antecedente imputabile al danneggiante non raggiunga la fatidica soglia del “più probabile che non”, dovrebbe respingere in toto la domanda risarcitoria, azzerando il valore economico della potenzialità lesiva dell’antecedente imputabile che finirebbe per restare integralmente a carico del danneggiato. Inoltre, quale ulteriore conseguenza, la responsabilità civile viene a perdere la propria funzione deterrente in tutti i casi rientranti nel “meno probabile che non”, come è possibile capire meglio con un ulteriore esempio: immaginiamo che un imprenditore produca un bene di grande diffusione avvalendosi di materiali notoriamente nocivi (ipotizziamo che abbiano effetto cancerogeno nel 5% dei casi). Se tale soggetto si rivolgesse al proprio legale chiedendo un parere circa l’eventuale responsabilità in cui potrebbe incorrere continuando la produzione, la risposta, alla luce delle modalità di accertamento del nesso causale attualmente in auge (cioè il criterio del “più probabile che non”), sarebbe che la domanda di risarcimento dei danni che dovesse essere proposta dai consumatori sarebbe verosimilmente respinta per difetto del requisito del nesso causale perché la probabilità che le lesioni che i danneggiati potrebbero lamentare siano state causate dal prodotto si attestano al 5% e sarebbero quindi molto inferiori alla soglia del “più probabile che non”. Ipotizzando che il prodotto venisse diffuso in 10.000 esemplari, il comportamento del produttore potrebbe causare l’insorgenza di forme tumorali in 500 persone, ma il produttore non potrebbe essere chiamato a rispondere di tali danni per difetto di nesso causale. Addirittura, il legale potrebbe spingersi ad osservare che il produttore non dovrebbe rispondere dei danni derivanti dal suo prodotto neppure nel caso in cui la percentuale dei danneggiati crescesse ulteriormente, a patto che non superi la fatidica soglia del 51%. Risposta ben diversa verrebbe fornita dal legale laddove la responsabilità fosse imputata sulla base dell’aumento di rischio: l’imprenditore dovrebbe risarcire (seppure con somme relativamente modeste) tutti coloro che potessero provare di aver impiegato il prodotto e subito il danno, facendosi altresì carico delle spese legali, rendendo così meno allettante la continuazione della produzione. In tale prospettiva, l’attuale sistema “ibrido” (in cui la responsabilità per perdita di chances non è alternativo alla responsabilità “all or nothing” ma convive con la stessa, nell’ambito del “meno probabile che non”) produce delle notevoli distorsioni: al danneggiato è consentito formulare la domanda risarcitoria sia puntando a dimostrare la sussistenza del “più probabile che non” (confidando che, in caso di accoglimento, otterrà un sovra- risarcimento) sia, in via subordinata, secondo la logica della perdita di chances, in tal modo dotandosi di una stampella (o, forse meglio, di un paracadute) per il caso in cui non riuscisse a dimostrare la sussistenza del nesso causale. Combinando insieme le due domande, il danneggiato si pone, rispetto al convenuto potenziale danneggiante, in una situazione di vantaggio perché al primo spetta un risarcimento per il danno subito il cui ammontare, in caso di accoglimento della domanda fondata sulla dimostrazione del nesso causale, potrebbe anche eccedere il valore astratto del danno subito e diventa corretto solo scendendo nel campo del “meno probabile che non”. Tale distorsione merita di essere corretta non tanto osteggiando la configurabilità della perdita di chances o cercando di limitarne l’impiego con discutibili soglie minime o/o massime, quanto abbandonando (anche per i casi caratterizzati da un nesso causale rientrante nel “più probabile che non”, analogamente a quanto già avviene con la perdita di chances per i casi rientranti nel “meno probabile che non”) il meccanismo “all or nothing” che, giova ricordarlo, è stato messo a punto in un’epoca in cui le conoscenze di epistemologia erano molto diverse dalle attuali e nessuno dubitava dell’esistenza di quel principio di causalità che, oggi, si è appurato non esistere 24 .
È noto come, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, l’accertamento del nesso causale costituisca un ossimoro, non potendo l’uomo determinare con certezza le cause di un evento ma avere solo una conoscenza probabilistica delle conseguenze di un dato antecedente (c.d. tramonto del principio di causalità). Purtroppo, la formulazione delle fattispecie di responsabilità civile risale ad un periodo storico nel quale ancora non si era coscienti di tale limite della conoscenza umana, cosicché le norme sono state redatte richiedendo quell’accertamento del nesso causale di cui è oggi nota l’impossibilità. É altrettanto noto come la giurisprudenza, abbia sopperito a tale situazione individuando dei criteri, rectius finzioni (per il settore civilistico il “più probabile che non”), mediante i quali dare per accertato quel requisito della fattispecie imprescindibile per l’accoglimento della domanda risarcitoria. Tuttavia, come si è visto poc’anzi, la soluzione messa a punto dalla giurisprudenza determina risultati tutt’altro che ottimali sotto il profilo dell’analisi economica. Al contrario, una responsabilità che, fermo restando il requisito del nesso causale (e, quindi, senza richiedere modifiche della disciplina vigente), individui il danno ingiusto nella perdita di chances del verificarsi di un evento auspicato e nell’aumento del rischio che si verifichi un evento non voluto, consente una ricostruzione dell’evento più corretta sia sotto il profilo logico sia sotto quello dell’analisi economica: sotto il profilo logico, perché le scienze naturali sono in grado di stabilire una relazione causale tra un evento e la probabilità che se ne verifichi un altro, mentre non sono in grado di stabilire una relazione causale (in termini di logica “all or nothing”) tra un evento e un altro; sotto il profilo dell’analisi economica perché la responsabilità proporzionale consegue quelle finalità risarcitorie e deterrenti che la responsabilità tradizionale dimostra di non essere in grado di perseguire. Perché, dunque, la responsabilità civile, deve continuare a essere interpretata nel senso di prevedere quale elemento della fattispecie un elemento naturale che è stato dimostrato non esistere? Non è più corretto adeguare l’interpretazione delle norme sulla responsabilità civile allo stato delle conoscenze scientifiche, individuando un autonomo danno ingiusto rappresentato dalla perdita di probabilità di ottenere un evento sperato oppure, simmetricamente, dall’aumento di rischio del verificarsi di un evento dannoso, realizzando il tal modo un sistema di responsabilità proporzionale che sembra essere più logico e corretto sotto il profilo economico?