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pag.L’obbligazione del chirurgo estetico, alla luce della legge Gelli-BiancoFabrizia Santini

Saggi e pareri Saggi e pareri pareri saggi e L’obbligazione del chirurgo estetico, alla luce della legge Gelli-Bianco

Fabrizia Santini Professoressa nell’Università del Piemonte Orientale

Sommario: 1. La natura dell’obbligazione del chirurgo estetico: un dibattito mai sopito. – 2. Le ricadute dell’applicazione della legge Gelli-Bianco. – 2.1. La natura (sempre) contrattuale della prestazione, nei confronti del paziente. – 2.1.1. Segue: e della struttura sanitaria. I profili di responsabilità disciplinare. – 2.2. Il superamento della distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato. – 2.2.1. Le ricadute sulla misura della “diligenza” richiesta nell’esecuzione della prestazione. – 3. La centralizzazione dell’obbligo di informazione e la (ri) definizione di una responsabilità (di risultato) aggravata.

Abstract: Nel perdurante dibattito in merito alla natura dell’obbligazione del chirurgo estetico, la legge Gelli-Bianco è intervenuta confermando la sua configurabilità quale obbligazione di risultato. In un contesto purtuttavia in cui la classica dicotomia obbligazioni di mezzi – obbligazioni di risultato non può che dirsi ormai ampiamente superata. La giurisprudenza ha infatti “rimodellato” quest’ultima nella forma di una responsabilità “aggravata o paraoggettiva”, verso il soddisfacimento prioritario di esigenze di deflazione del contezioso. Nessuno spazio sembra residuare per la responsabilità disciplinare del chirurgo nei confronti della struttura sanitaria.

In the ongoing debate on the nature of the cosmetic surgeon’s obligation, the Gelli-Bianco law intervened with precise indications, confirming in several ways its configurability as an obligation of result. In a context, however, in which the classic dichotomy can only be said to be widely outdated. The judges have in fact “remodelled” the obligation by introducing an “aggravated or para-objective” responsibility which, rather than the patient’s interest, is aimed at satisfying the deflation needs of the dispute. No space seems to remain for the surgeon’s disciplinary responsibility towards the healthcare facility.

1. La natura dell’obbligazione del chirurgo estetico: un dibattito mai sopito

La prestazione del chirurgo estetico è oggetto da tempo di un acceso dibattito. Pur a fronte di una consolidata giurisprudenza, connotata da rari ripensamenti, a favore del riconoscimento dell’esistenza di una obbligazione di risultato dello specialista nei confronti del paziente, la dottrina ha da tempo iniziato a sostenere la configurabilità di una obbligazione di mezzi. Ciò al fine di assimilare tra loro tutte le pratiche chirurgiche, che siano plastiche, ricostruttive od estetiche, di conferire dignità di intervento di cura anche alla chirurgia estetica ed uniformare, al contempo, i diversi regimi di responsabilità per danni.

La chirurgia estetica sconta infatti il pregiudizio, radicatosi fin dalla effettuazione dei primi interventi agli inizi del Novecento, ma per certi versi ancora attuale, di rappresentare nulla più che un “capriccio” 1 , una attività non connessa ad un profilo patologico, riabilitativo o di recupero funzionale dell’individuo, classificabile, in quanto tale, come meramente cosmetica. Il fatto in particolare che si presenti come una manomissione non necessitata del corpo l’ha resa per lungo tempo non legittimata e tutelata dall’ordinamento 2 . Praticata altresì non da studiosi ma da soggetti allenati ad una significativa manualità (non raramente il chirurgo estetico era un barbiere) se ne è innanzitutto negata la riconducibilità alla medicina 3 e la si è differenziata dalla chirurgia plastica. A quest’ultima, a tutt’oggi invero, vengono ricondotti gli interventi che tendono a ricostruire una condizione somatica preesistente deteriorata da infortuni oltreché gli interventi resisi necessari per correggere imperfezioni naturali, pregiudizievoli per la vita di relazione, affettiva, professionale o per la salute dell’interessato. Mentre la chirurgia estetica, slegata come è da qualsiasi esigenza funzionale/ricostruttiva, si è detto, viene fatta coincidere solo con quegli interventi rivolti a correggere delle imperfezioni fisiche in vista del soddisfacimento di un desiderio

1 Cfr. Mantovani, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, Padova, 1974, 100 ss.

2 Lega, Libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza, Milano, 1974, 867; Riz, Il trattamento medico e le cause di giustificazione, Padova, 1975; ed in particolare Dell a Casa, Liceità e fondamento dell’attività medico chirurgica a scopo terapeutico, in Riv. it. dir. proc. pen., 1980, 73, che sostiene la più corretta collocazione della chirurgia estetica tra le pratiche cosmetiche piuttosto che tra quelle mediche con finalità terapeutiche.

3 Per una ricostruzione storica della evoluzione della chirurgia estetica v. Posteraro, La responsabilità del chirurgo estetico, Sant’Arcangelo di Romagna, 2019, 11 ss. Timidamente nel 1994 la Corte di Cassazione, sentenza n. 25.11.1994, n. 10014, ha riconosciuto alla chirurgia estetica una dimensione e collocazione all’interno della ars medica precisando che non si può escludere “la legittimità della chirurgia estetica, che a prescindere dalle turbe psicologiche che potrebbero derivare da una dilatata considerazione degli aspetti sgradevoli del proprio corpo, tende a migliorare esclusivamente l’estetica”.

di bellezza declinato variamente a seconda dei periodi storici. Di qui, anche la progressiva e resistente definizione di un regime di responsabilità del chirurgo estetico differenziato e ben più gravoso rispetto a quello del sanitario in generale. È vero che la visione restrittiva della chirurgia plastica di cui si è tenuto conto finora dovrebbe dirsi ormai superata, alla luce del nuovo concetto di salute che implica un completo stato di benessere fisico e psichico della persona, stando alla definizione fornitaci già alla fine degli anni novanta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità 4 . Con il che anche l’etica ha genericamente superato i problemi di accettazione della chirurgia estetica recependone l’importanza in tutti i casi in cui sia idonea a modificare in positivo gli inestetismi che condizionano la vita sociale/affettiva e lavorativa dell’individuo. Negare purtuttavia oggi la natura voluttuaria della maggior parte degli interventi di chirurgia estetica, a fronte dei dati statistici che provengono dalle diverse associazioni professionali nazionali ed internazionali 5 , significa ignorare la portata di un

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O.M.S., Basic Documents, Forty second edition, 1999.

5 Secondo l’AICPE, l’Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica, nel 2018 sono state eseguite in Italia complessivamente circa 1.009.200 procedure estetiche, ovvero il 7% in più rispetto a quelle registrate da ISAPS, l’International Society for Aesthetic and Plastic Surgery americano, nel 2016 (in totale 938.000). In Italia si conferma un trend di crescita del settore della chirurgia plastica e della medicina estetica rimasto pressoché costante negli ultimi cinque anni. Sul totale delle procedure estetiche le pratiche di tipo chirurgico sono state il 31,8% (pari a 320.510), i trattamenti non chirurgici (il 68,2% del totale) sono aumentati dell’8%, con 688.690 procedure nel 2018. Al primo posto tra gli interventi di chirurgia plastica ai fini estetici più richiesti nel nostro Paese si conferma per il secondo anno la mastoplastica additiva: 52.600 le operazioni per aumentare il seno effettuate nel 2018, con un incremento rispetto al 2016 del 9%. Il secondo intervento più richiesto, in modo equamente ripartito tra pazienti donne e pazienti uomini, è la blefaroplastica, la cui pratica è aumentata del 21% in due anni, con 51.000 interventi nel 2018. La terza operazione chirurgica ai fini estetici più richiesta è stata la liposuzione, con 45.600 pratiche stimate, in diminuzione però dell’11% rispetto al dato 2016. In quarta posizione tra gli interventi più richiesti troviamo il lipofilling del volto (dato 2018: 24.300, +5%) e a seguire l’addominoplastica, con 21.800 interventi rilevati nel 2018, il 21% in più rispetto

fenomeno sociale che solo in minima parte può dirsi realmente caratterizzato da finalità di cura (soprattutto degli aspetti psicologici) di una specifica sofferenza dell’individuo. Se il trattamento di chirurgia estetica è realmente in grado di ridurre od eliminare quel malessere che si ripercuote negativamente in ambito comportamentale e sociale, non può negarsene la finalità di cura e la sua equiparabilità alla chirurgia plastica, riparativa-ricostruttiva e, per riflesso, alla chirurgia ordinaria. È purtuttavia assai problematico, si ripete, sia alla luce dei dati riportati, sia dell’esperienza quotidiana del chirurgo estetico stesso, avallare acriticamente questa conclusione, non essendo mai certo se l’intervento è determinato da motivo di ordine medico o meramente estetico. E proprio in virtù di tali considerazioni pare da tempo essersi assestata la posizione della giurisprudenza. Muovendo infatti dalla considerazione della “funzione tipica dell’arte medica, individuata nella cura del paziente, al fine di vincere la malattia, ovvero di ridurne gli effetti pregiudizievoli o, quantomeno, di lenire le sofferenze che produce, salvaguardando e tutelando la vita” 6 , i giudici qualificano la chirurgia estetica di natura voluttuaria, priva di finalità curativa o terapeutica, con scopi meramente estetici e cosmetici. Anche per costoro deve ritenersi “indubbio che chi si rivolge ad un chirurgo plastico lo fa per finalità spesso esclusivamente estetiche e, dunque, per rimuovere un difetto e per raggiungere un determinato risultato, e non per curare una malattia” 7 .

al 2016. A registrare una crescita decisamente più rilevante sono invece tutte quelle pratiche estetiche realizzate nello studio medico con l’utilizzo di apparecchiature biomedicali. Il totale dei trattamenti rilevati da ISAPS nel 2016 era di 67.000, mentre lo stesso dato stimato dall’Osservatorio AICPE per il 2018 è salito a 116.540, con un incremento vicino al 73%. Con questi dati, l’Italia si posizionerebbe stabilmente nelle prime 10 nazioni del mondo per numero di interventi “estetici”.

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Cass., 25.11.1994, n. 10014, cit.

7 In questo senso, Cass., 6.6.2014, n. 12830; Trib. Milano, 24.7.2017, n. 8243; Trib. Bari, 19.2.2018, n. 753; Trib. Bari, 4.9.2018, n. 3690; App. Roma, 10.1.2012, n. 89.

Sussistendo una richiesta “capricciosa” di modifica del proprio status, la giurisprudenza ha ritenuto, secondo la tradizionale distinzione, che le parti del contratto negoziano non una classica obbligazione di mezzi 8 , tipica di ogni rapporto terapeutico, ma una obbligazione di risultato 9 . Con la conseguenza che laddove il medico non riesca a soddisfare pienamente il desiderio del paziente, dovrebbe essere giudicato come personalmente responsabile per il mancato conseguimento del risultato estetico dedotto in obbligazione.

2. Le ricadute della applicazione della legge Gelli-Bianco

2.1. La natura (sempre) contrattuale della prestazione, nei confronti del paziente È difficile d’altro canto sostenere che proprio nell’ambito della chirurgia estetica non vi sia pattuizione alcuna tra medico e paziente, che non assuma particolare valore la volontà di quest’ultimo che si rivolge al sanitario richiedendo la rimozione di un difetto specifico o la modifica di un tratto del suo aspetto; la natura contrattuale della prestazione del chirurgo estetico, in altre parole. Fin dagli inizi del 1900 questa non è mai stata contestata, ed anzi, quando la giurisprudenza è stata chiamata per la prima volta a pronunciarsi in merito alla validità di un contratto con il quale una donna, in cambio di denaro, si sottoponeva ad una serie di interventi chirurgici finalizzati esclusivamente al miglioramento del suo aspetto fisico (si trattava in particolare, di “eliminare le rughe del viso, del collo e, più specificamente, di ridurre l’abbassamento e l’allungamento dei seni”) a fronte di un esito insoddisfacente dell’operazione, il Collegio giudicante ha dichiarato la nullità dell’accordo per illiceità della causa, aven

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Cass., 3.12.1997, n. 12253.

9 Espressamente in tal senso Trib. Roma, 29.9.2016. Con il che il paziente dovrebbe più correttamente qualificarsi “un cliente” secondo cfr. Rizzo, Dal paziente al cliente, in Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino, Camerino, 2015, 35 ss.

do questa ad oggetto “pratiche di vivisezione senza utilità alcuna” 10 . Al di là del disvalore sociale riconosciuto all’epoca alle pratiche estetiche, di cui si è già detto, è interessante ora rilevare come la pronuncia apra per la prima volta alla considerazione del risultato estetico non come mero “motivo” ma “nucleo causale” del contratto concluso tra le parti, determinandone la natura 11 . Quasi univocamente la giurisprudenza ha confermato l’importanza del risultato dell’intervento estetico, a tal punto da identificarlo come “la cartina di tornasole” che consente di valutarne la correttezza 12 . Se “la finalità dell’intervento di chirurgia estetica è migliorare l’aspetto fisico del paziente ed incrementare la positività della su vita di relazione […] il mancato conseguimento del risultato […] equivale ad un inadempimento contrattuale” 13 , concludono i giudici. Viene dunque dato per scontato dai giudici che chi si rivolge ad un chirurgo estetico lo fa per finalità estetiche, per rimuovere un difetto o per raggiungere un determinato risultato e non per curare una malattia. Di tal che nel normale e fisiologico rapporto tra chirurgo estetico e paziente diviene naturalisticamente ed in via automatica insito uno speciale patto di risultato il quale obbliga il chirurgo al conseguimento del successo. Quest’ultimo non si può ritenere agire in considerazione del “fine socialmente apprezzabile della guarigione del paziente […] ma risponde contrattualmente del raggiungimento del risultato consistente nel miglioramento morfologico promesso” 14 . Gli esiti cui la giurisprudenza è approdata in questi anni hanno ben presto dovuto fare i conti con la l. 8 marzo 2017, n. 24 “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, con la cd. legge Gelli-Bianco. Sebbene questa intervenga a mutare radicalmente la natura dell’obbligazione del medico specializzato, proprio nell’ambito della chirurgia estetica finisce al contrario per confermare l’interpretazione fin qui consolidatasi in giurisprudenza, con non irrilevanti conseguenze, per quanto si dirà nel paragrafo successivo, sulla natura dell’obbligazione stessa. L’art. 7 della legge, al comma 3° prevede che l’esercente la professione sanitaria “risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”. La legge, intervenendo direttamente sulla responsabilità civile del medico, la qualifica in generale come aquiliana. Non sembrando opportuno, per ragioni di economicità, oltreché necessario, dato l’approdo ormai certo raggiunto dal legislatore, soffermarsi sulla evoluzione della responsabilità del medico 15 , basti rilevare ora la precisa scelta di campo effettuata, che riporta l’elaborazione della materia alla fase precedente la celebre sentenza della Corte di Cassazione n. 589 del 22 gennaio 1999 16 .

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Trib. Lyon, 27.6.1913, in Gaz. Pal., 1913, II.

11 Più recentemente Trib. Roma, 16.11.2018; Trib. Bari 4.9.2018; Trib. Milano, 24.7.2017, n. 8243; Trib. Bari, 19.2.2018, n. 753 e Trib. Bari, 4.9.2018, n. 3690; Trib. Milano 29.10.2015, n. 12113.

12 App. Roma, 10.1.2012; Trib. Genova, 30.6.2016; precisando altresì che questo comunque non deve residuare in inestetismi più gravi rispetto a quelli che si intendeva eliminare, Cass., 6.6.2014, n. 12830, o in “brutte cicatrici”, Trib. Milano, 23.10.2012.

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Trib. Genova, 30.6.2016.

Chirurgia plastica ricostruttiva. Aspetti tecnici, giuridici, medico-legali, Milano, 1988, 23 ss. Cfr. da ultimo, Trib. Bari 19.2.2018; Trib. Salerno 17.1.2018; Trib. Frosinone, 3.11.2017.

15 Per quanto concerne i contributi della dottrina si può fare riferimento alla rassegna di Corso, La responsabilità del chirurgo estetico tra salute e bellezza, in questa Rivista, 2018, 416, nt. 20.

16 La sentenza qualifica per la prima volta come “contrattuale” la responsabilità civile del medico sia che fosse dipendente che collaboratore di una struttura sanitaria pur in mancanza di un contratto concluso col paziente. Una scelta di campo questa imposta onde ovviare alle difficoltà istruttorie derivanti dalla incompleta compilazione delle cartelle cliniche prodotte. L’affermarsi dell’orientamento ha tuttavia non solo generato un acceso dibattito ma altresì la prassi della cd. medicina difensiva.

L’esclusione della responsabilità contrattuale del medico non può comunque valere sempre, ammette lo stesso legislatore, ed in particolare ciò non può valere nei “casi in cui questi abbia assunto con il paziente una obbligazione contrattuale e che abbia agito nel suo adempimento”, ipotesi che sembra perfettamente riconducibile al caso di cui si discute, della prestazione del chirurgo estetico, come la giurisprudenza l’ha ricostruita. Questa invero, pur nei rari casi in cui ha anche inteso avvalorare una interpretazione contraria, non ha contestualmente mai escluso la possibilità di configurare l’obbligazione del chirurgo estetico come contrattuale, ipotesi che a parere di chi scrive non può che rappresentare la regola, anche sulla scorta del fatto che il rapporto tra medico “privato” e paziente non può che qualificarsi generalmente proprio in termini contrattuali 17 . I giudici hanno infatti riconosciuto che nel contratto avente ad oggetto una prestazione di chirurgia estetica, il sanitario può assumere due diversi tipi di obbligazione, in cui può essere dedotto o meno nella causa il risultato da raggiungere, da valutare caso per caso “con riferimento alla situazione pregressa ed alle obiettive possibilità consentite dal progresso raggiunto dalle tecniche operatorie” 18 . In conclusione, si deve ritenere la riforma Gelli-Bianco inapplicabile alla responsabilità (civile) del chirurgo estetico, con non irrilevanti ripercussioni anche da un punto di vista sistemico. Se infatti l’obiettivo dell’intervento normativo è stato quello di concentrare la responsabilità per danni al paziente e le relative conseguenze in capo alle strutture sanitarie, riducendo le ormai diffuse pratiche di medicina difensiva, ciò non può valere per il chirurgo estetico, la cui responsabilità risulta anzi appesantita nella prospettiva (forse) di richiamarlo all’esercizio della professione in maniera più responsabile.

17 Alpa, Dal medico all’équipe, alla struttura, al sistema, in Alpa (a cura di), La responsabilità sanitaria. Commento alla L. 8 marzo 2017, n. 24, Pisa, 2017, 222.

2.1.1. Segue: e della struttura sanitaria. I profili di responsabilità disciplinare

Ai sensi della legge Gelli-Bianco le strutture sanitarie, che “a qualsiasi titolo” si avvalgano dell’operato degli esercenti la professione sanitaria, vengono chiamate a rispondere ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., per responsabilità contrattuale, per le condotte di questi ultimi che abbiano cagionato un danno 19 . Anche in questo caso la legge interviene a mettere ordine in un panorama giurisprudenziale che non ha mancato di registrare interventi discordanti. Se infatti la giurisprudenza è parsa pressoché unanime nell’affermare il principio secondo cui anche nel caso in cui il paziente si rivolga direttamente al medico, concludendo con questo il contratto di “cura”, vi è, in caso di errore, una corresponsabilità della struttura sanitaria, chiamata a rispondere a titolo contrattuale nei confronti del paziente 20 , non mancano pronunce di segno contrario che condannano il solo medico 21 . E progetti di legge che avvalorano questo stesso orientamento 22 . Per quanto riguarda la giurisprudenza, questa esclude la responsabilità della struttura in ragione dell’esistenza di un contratto di prestazione d’opera professionale stipulato “direttamente con il sanitario” da cui deriverebbe che nessun inadempimento dell’obbligazione avente ad oggetto la prestazione chirurgica può essere imputato alla prima, la cui responsabilità resta circoscritta alle prestazioni accessorie (messa a disposizione di personale, attrezzature ecc.). Né, sotto un secondo profilo, può ritenersi sussistere una responsabilità della struttura per condotta dell’ausiliario in ragione, ancora una volta, del fatto che il sanitario in questione, liberamente scelto dalla pazien

19 L’art. 7 recita: “La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”.

20 Cass., 14.6.2007, n. 13953; Cass., 3.2.2012, n. 1620; da ultimo, Trib. Milano 2.8.2018.

te, non può dirsi un ausiliario della struttura non avendo questa assunto in proprio l’obbligazione di eseguire l’intervento. I giudici ancora una volta confermano la configurazione contrattuale della responsabilità del professionista escludendo purtuttavia la responsabilità della struttura, in aperto contrasto con il provvedimento normativo. E con il contratto di ospedalità 23 , dato che l’accoglienza del paziente non può che essere intesa come un sintomo inequivoco del perfezionamento dello stesso che determina l’assunzione in sé dell’integralità della prestazione erogata potendo, semmai, preludere al concorso della responsabilità del singolo professionista intervenuto, non certo al suo riassorbimento in essa 24 . La pronuncia cui si è fatto cenno deve dirsi certo isolata sebbene idonea a confermare un orientamento che ha trovato approdo nel Progetto di legge n. 2735 del 2017, avente ad oggetto la differenziazione della posizione debitoria del medico non subordinato rispetto a quella della struttura sanitaria. Secondo la proposta, il primo risponde dell’idoneità del trattamento effettuato in relazione agli scopi perseguiti stabiliti con il paziente, nonché della corretta esecuzione dello stesso; la seconda invece delle specifiche obbligazioni che emergono per le attività che le competono. Il complesso delle posizioni debitorie tratteggiato determina la configurazione, in capo al professionista, di doveri contrattuali nei confronti di soggetti diversi: il paziente da un lato ma anche la struttura sanitaria presso cui opera, dall’altro. E se il medico risulta vincolato da un contratto di lavoro subordinato, la responsabilità per errore medico nei confronti del paziente reca inevitabilmente con sé anche una responsabilità disciplinare nei confronti della struttura sanitaria presso cui opera che, a seguito del comportamento negligente, imprudente o imperito accertato, subisce un pregiudizio economico, di immagine o anche solo organizzativo. Si tratta di una responsabilità quest’ultima che trova naturale fondamento nel rapporto di lavoro che intercorre tra medico e struttura, che viene raramente presa in considerazione, restando in secondo piano rispetto al ben più annoso problema della responsabilità, dell’uno o di entrambe, nei confronti del danneggiato. La responsabilità disciplinare del sanitario, tranne casi eclatanti, è infatti raramente azionata e la cd. riforma Gelli-Bianco non sembra far altro che consolidare questa tendenza. La struttura sanitaria che intendesse infatti accertare la responsabilità disciplinare del medico si troverebbe a dimostrare la sussistenza di quegli stessi fatti da cui dipende la propria responsabilità nei confronti dell’utente. Il datore di lavoro/struttura sanitaria spesso rinuncia dunque ad avviare un accertamento autonomo della responsabilità disciplinare del medico per non influenzare con elementi probatori ulteriori gli esiti del giudizio civile o penale. La responsabilità disciplinare avrebbe invero possibilità di “riespandersi” al termine del giudizio civile o penale, riservando alla struttura, in caso di condanna, la possibilità di procedere nei confronti del medico sulla base dei fatti accertati in giudizio. Anche in questa fase purtuttavia all’azione disciplinare vengono preferite le azioni di rivalsa ed in materia contabile per i danni economici cagionati 25 , manifestando il perfezionarsi di una sorta di subsistema normativo di responsabilità del personale medico dipendente 26 esclusivamente fondato su logiche e categorie civilistiche 27 .

23 Cfr. Trib. Treviso, 5.10.2017; Trib. Milano, 29.10.2015, n. 12113.

24 Questa impostazione lascia ai convenuti la discussione in ordine alla distribuzione, concordata in via eventualmente diversa, della responsabilità, cui consegue che la struttura, accertata la responsabilità del singolo professionista, ha diritto di regresso, ex multis, Trib. Milano, 24.6.2010, n. 8333.

25 Tenore, La responsabilità amministrativo-contabile e disciplinare del personale sanitario, in Manuale di diritto sanitario, Castiell o – Tenore (a cura di), Milano, 2012, 126.

26 Così Zappalà, Il subsistema normativo della responsabilità sanitaria, in Riv. it. dir. lav., 2018, 399 ss.

27 Sul punto, funditus, sia consentito il rinvio a Santini, Responsabilità sanitaria e responsabilità disciplinare dopo la cd. riforma Gelli-Bianco, in corso di pubblicazione per Riv. it. med. legale, 2019, 1.

2.2. Il superamento della distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato Che la legge Gelli-Bianco confermi l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, frenando al tempo stesso il processo da tempo avviato di “rivalutazione”, sotto diversi aspetti, delle pratiche di chirurgia estetica, è confermato anche da un’altra disposizione della legge stessa. Se anche non si volesse attribuire rilevanza dirimente, nella definizione della natura della prestazione, alla previsione dell’art. 3, non potrebbe comunque ignorarsi il disposto dell’art. 5. Secondo la norma, l’operatore sanitario deve ritenersi responsabile in via extracontrattuale per qualunque fatto “doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto”, con il che dovrebbe dirsi dunque ininfluente la natura dell’obbligazione dell’agente, sia essa di mezzi o di risultato. Purtuttavia, il legislatore effettua subito dopo un passo indietro, precisando che la previsione vale salvo che questi (il sanitario) abbia agito “nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, […] salve le specificità del caso concreto, [attenendosi] alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate […] in mancanza […] alle buone pratiche socio-assistenziali”. La disposizione, in altre parole, torna ad attribuire rilevanza giuridica alla modalità di esercizio della professione svolta, identificando nel rispetto delle “raccomandazioni previste dalle linee guida” e “in mancanza […] dalle buone pratiche” i limiti entro i quali è comunque esclusa la colpa aquiliana nell’esecuzione della prestazione. L’esonero di responsabilità è però prevista solo per le prestazioni che abbiano finalità “preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale”. È di immediata evidenza come la finalità estetica non sia espressamente prevista tra quelle che consentono al chirurgo di invocare la mancanza della colpa prevista dall’art. 2043 c.c. con la conseguenza di escludere che in quel contesto il mero rispetto delle buone pratiche e linee guida possa esonerare da qualsiasi responsabilità per danni eventualmente occorsi al paziente. Viene in altri termini confermato che la prestazione di chirurgia estetica comporta sempre nella sostanza un obbligo di risultato. Come si è detto in precedenza, la chirurgia estetica non è “riparativa” perché non è finalizzata a ricostruire una condizione somatica deteriorata a causa di infortuni di vario genere e non è “ricostruttiva” nel senso di finalizzata a correggere difetti naturali pregiudizievoli per una persona. La prestazione del chirurgo plastico è “estetica” o “correttiva”, nella prevalenza dei casi. La si vorrebbe ripensare come “ricostruttiva-riparativa”, quindi “terapeutica”, ed il dibattito in materia è acceso 28 , o anche “terapeutica” come idonea a “lenire le sofferenze” della psiche dell’individuo che, se vive un disagio psicologico, è opportuno ricorra agli aggiustamenti estetici per guarire 29 . Nel dipanarsi del dibattito, il legislatore ci consegna indicazioni precise, secondo cui la chirurgia estetica deve ritenersi (confermata) come una prestazione di natura contrattuale, avente ad oggetto una obbligazione di risultato. Viene dunque sorpassato l’orientamento che a lungo ha qualificato la prestazione come obbligazioni di mezzi, al pari di qualsiasi altra prestazione intellettuale, ma anche ignorato il travolgimento della distinzione operata con la sentenza delle Sezioni Unite del 28 luglio 2005, n. 15781 30 ,

28 Cass., 3.12.1997, n. 12253; Cass., 8.4.1997, n. 3046; Trib. Firenze, 11.2.2015; Trib. Bari, 23.5.2011, n. 1780. In dottrina cfr. i contributi in Aa.Vv., Chirurgia plastica ricostruttiva e chirurgia estetica. Aspetti etici, giuridici e medico legali, Milano, 1988.

29 V. Disegno di legge n. 2753 del 16 marzo 2017 recante “Disposizioni in materia di chirurgia estetica” che ancora una volta, nell’affermare la chirurgia estetica come una disciplina medica, la identifica in un “insieme di tecniche chirurgiche” finalizzate alla “costruzione o [al] ripristino dell’equilibrio psico-fisico dell’individuo, che vive con disagio la propria vita per un inestetismo mal accettato e del raggiungimento e mantenimento della salute come espressione di benessere”. Resterebbe comunque chirurgia distinta dalla chirurgia funzionale in quanto non rappresenta la cura di una malattia o patologia.

30 Secondo questa pronuncia, l’impostazione dicotomica “non è immune da profili problematici, specialmente se applicata proprio alle ipotesi di prestazione intellettuale, in considerazione della struttura stessa del rapporto obbligatorio e tenendo conto, altresì, che un risultato è dovuto in tutte

poi ripresa proprio nell’ambito della responsabilità medica con la sentenza sempre delle Sezioni Unite dell’11 gennaio 2008, n. 577 31 . Si continua a fare riferimento alla tradizionale dicotomia per definire la responsabilità del chirurgo estetico anche perché la progressiva configurazione di una responsabilità “paraoggettiva o quantomeno aggravata” 32 del chirurgo, come si spiegherà a breve, non muta sostanzialmente la conclusione.

2.2.1. Le ricadute sulla misura della “diligenza” richiesta nell’esecuzione della prestazione

Il temuto aggravamento della posizione debitoria del sanitario dovuto alla qualificazione della obbligazione come di risultato, si riflette, in senso diametralmente opposto, sul profilo disciplinare. Secondo le regole generali, nei confronti dei professionisti tenuti ad una obbligazione di mezzi, devono ritenersi operare le regole generali secondo cui l’adempimento non può desumersi ipso facto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare del rispetto del dovere di diligenza, in relazione alla natura della prestazione dovuta 33 . Ciò anche qualora il professionista/medico chirurgo non sia inserito stabilmen

le obbligazioni. In realtà, in ogni obbligazione si richiede la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato, anche se in proporzione variabile, sicché molti autori criticano la distinzione poiché in ciascuna obbligazione assumono rilievo così il risultato pratico da raggiungere attraverso il vincolo, come l’impegno che il debitore deve porre per ottenerlo”.

31 La pronuncia è stata riccamente commentata, cfr. la nota bibliografica di Corso, La responsabilità del chirurgo estetico tra salute e bellezza, in questa Rivista, 2018, 411, nt. 14.

32 La definizione è stata coniata dalla Cassazione con la sentenza 19.5.2004, n. 9471 e vi si ritornerà ampiamente infra.

33 Così Cass., 8.8.2000, n. 10431. La configurazione della obbligazione del sanitario tra quelle di mezzi può leggersi come il tentativo di alleggerire l’onere probatorio in capo al danneggiato in quanto la prova del risultato non conseguito non solo può ritenersi più gravosa ma, soprattutto, non è spesso indizio di colpa professionale, non essendo trascurabile la rilevanza del caso fortuito nella specifica attività professionale e una serie di variabili non controllabili e di non facile accertamento nella loro specifica funzione causale.

te in struttura, in quanto ai sensi dell’art. 1228 c.c. “salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”, con conseguente azione di regresso. Con il che, il medico nella esecuzione della prestazione deve ritenersi tenuto “ad una diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia ex art. 1176, comma 1°, c.c., ma è quella specifica del debitore qualificato come prescritto dal secondo comma, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica, ivi compreso l’obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato anche nella fase post-operatoria” 34 . Pur trattandosi di una diligenza “qualificata”, quella di cui al comma 2° dell’art. 1176, non è però sempre la medesima, ma varia col variare del grado di specializzazione di cui sia in possesso il medico e del grado di efficienza della struttura in cui si trova ad operare. Dal medico di alta specializzazione ed inserito in una struttura di eccellenza è esigibile una diligenza più elevata di quella esigibile, dinanzi al medesimo caso clinico, da parte del medico con minore specializzazione od inserito in una struttura meno avanzata 35 . Il rinvio alla misura della diligenza come misura della prestazione di mezzi non può che configurare dunque una posizione debitoria ampia del medico nei confronti della struttura che può valutare l’errore medico anche in caso di colpa lieve, in mancanza di danno provocato agli utenti o alla struttura, al solo fine di assicurare il rispetto della disciplina aziendale posta a presidio dell’interesse organizzativo – produttivo. Tutti profili questi che risulterebbero al contrario assorbibili dal raggiungimento del risultato, inteso come obiettivo della prestazione professionale. Si ricordi purtuttavia che, proprio con il fine di oggettivare il criterio generale astratto della diligenza richiesta, s’inserisce ancora una volta, la

legge Gelli-Bianco, che attribuisce un particolare rilievo al rispetto di linee guida e buone pratiche assistenziali, come misura della perizia richiesta all’esercente la professione sanitaria 36 . In prospettiva lavoristica, la cristallizzazione in modelli di comportamento oggettivati della gestione dell’atto medico, se da una parte riduce l’ambito di esercizio del potere direttivo tipico del datore di lavoro, dall’altro consentirebbe, o almeno dovrebbe consentire, maggiori spazi per l’accertamento delle responsabilità disciplinari. La previsione non ha mancato di generare un acceso dibattito, implicando, in altre parole, che la violazione delle linee guida dovrebbe dirsi sufficiente per l’accertamento delle responsabilità (anche disciplinari) dei diversi operatori; ed, al contrario, il rispetto dovrebbe dirsi sufficiente per escludere qualsiasi responsabilità dell’operatore.

3. La centralizzazione dell’obbligo di informazione e la (ri)definizione di una responsabilità (di risultato) aggravata

A valle di quanto finora sostenuto, continuare ad interrogarsi sulla natura dell’obbligazione del chirurgo estetico si ritiene oggi operazione fine a sé stessa, si potrebbe dire financo anacronistica. La fondatezza dell’assunto risulta ancor più solida se la si argomenta dal punto di vista probatorio. Si è detto che secondo le regole generali, conformemente alla sua assimilabilità alle prestazioni intellettuali, la prestazione medica è stata a lungo qualificata come una obbligazione di mezzi. Con la conseguenza che il creditore della prestazione, in caso di danno, era tenuto a provare l’inesatto adempimento e di conseguenza l’assenza di diligenza del sanitario nell’esecuzione della operazione. Questo ha continuato a valere, sebbene solo per la chirurgia generale 37 . Per quanto riguarda la chirurgia estetica, un’opera di manipolazione, sotto più aspetti, è infatti sfociata ben presto nella riconduzione della obbligazione stessa entro quella di risultato, anche per il tramite di una serie di aggiustamenti progressivi del regime probatorio che grava sul paziente danneggiato. In un primo momento viene temperato l’onere della prova con la previsione di una presunzione semplice di non diligenza nell’adempimento in caso di interventi operatori di routine o comunque di non difficile esecuzione. In questo caso si è richiesta al paziente la mera dimostrazione “dell’aggravamento della sua situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie” idonea a “fondare una presunzione semplice in ordine alla inadeguata o negligente prestazione, spettando all’obbligato fornire la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile” 38 . Così ragionando la colpa del professionista veniva fatta derivare direttamente dall’esito negativo dell’intervento; esito che entrato a far parte dell’elemento causale del contratto e dunque dell’obbligazione di risultato richiesta al sanita

36 Art. 5, l. n. 24/2017: “Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali”.

37 Nonostante la chirurgia ordinaria e quella estetica, operando sul corpo umano, abbiano pur sempre in comune elementi di incertezza e di aleatorietà, soggetti al progredire della scienza con la possibile insorgenza di complicanze e reazioni. Verso una completa assimilazione della chirurgia estetica e quella ordinaria, Ronchi, Né obbligo di risultato né dovere di più ampia informazione al paziente da parte del chirurgo estetico, in Resp. civ. prev., 1998, 851; Princigall i, Chirurgia estetica e responsabilità civile, in Foro it., 1986, I, 121; Quadri, Profili contrattuali e responsabilità civile nell’attività del chirurgo plastico, in Dir. e giur., 1987, 761.

rio 39 , profilo di cui si è già ampiamente detto, ne dimostrava l’inadempimento. Ben presto la distinzione tra interventi operatori di routine e caratterizzati da problemi tecnici di particolare difficoltà cessa di rilevare quale criterio di distribuzione dell’onere della prova per divenire criterio generale di valutazione del grado di diligenza richiesto nella prestazione, gravando il sanitario dell’obbligo di dimostrare la particolare difficoltà dell’intervento 40 . Si afferma così un primo superamento della distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato, in un contesto in cui la stessa giurisprudenza andava progressivamente superando la dicotomia. Non si fa però in questo momento tanto riferimento alle perplessità suscitate dalla distinzione che, radicate nella sentenza delle Sezioni Unite n. 15781 del 2005, ne hanno, almeno formalmente, indotto l’abbandono. La pronuncia ravvisava infatti come “un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni” in quanto “in ogni obbligazione si richiede la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato […]” cosicché in ciascuna obbligazione “assumono rilievo così il risultato pratico da raggiungere attraverso il vincolo come l’impegno che il debitore deve porre per ottenerlo”. Ci si riferisce piuttosto al fatto che contestualmente l’obbligazione di mezzi, oggetto della prestazione del professionista, subisce da parte degli stessi giudici una manipolazione atta a trasformarla in una “obbligazione paraoggettiva o quantomeno tale da assumere una dimensione aggravata”. “[…] Attraverso l’individuazione di doveri di informazione e di avviso […] definiti accessori ma integrativi rispetto all’obbligo primario della prestazione, ed ancorati a principi di buona fede, quali obblighi di protezione” i giudici arricchiscono la responsabilità contrattuale del professionista di prestazioni ritenute indispensabili per il corret

39 Trib. Milano, 29.10.2015, n. 12113; Trib. Milano, 26.2.2015, n. 2612; Trib. Bari, 4.9.2018, n. 3690; Trib. Bari, 19.2.2018, n. 753; Trib. Milano, 24.7.2017, n. 8243; Trib. Modena, 16.6.2011, n. 1026.

40 Cass., 28.5.2004, n. 10297; Cass., 19.4.2006, n. 9085; Cass., 14.2.2008, n. 3520; Cass., 26.1.2010, n. 1538; Cass., 12.9.2013, n. 20904; Cass., 20.10.2015, n. 21177.

to adempimento della prestazione professionale in senso proprio. L’identificazione di una responsabilità paraoggettiva o aggravata non allontana invero la giurisprudenza dal proprio consolidato orientamento: se il medico non ha raggiunto il risultato scatta con immediatezza la responsabilità presunta o paraoggettiva, per difetto di diligenza. In altre parole, l’inadempimento di una obbligazione di risultato. La tendenza muove invero dalla sentenza dell’8 aprile 1997, n. 3046, che ha ad oggetto specificamente la responsabilità professionale del medico, si consolida nella sentenza delle Sezioni Unite n. 15781 del 2005 e viene infine cristallizzata per la prestazione medica in generale con la sentenza sempre delle Sezioni Unite dell’11 gennaio 2008, n. 577. Al professionista in generale, ed al chirurgo nello specifico, viene chiesto ora dai giudici di indirizzare il “paziente” verso l’effettiva utilità dell’intervento, rispettandone le scelte nel senso di assecondarle e guidarle con competenza ed onestà. Ciò determina che al fine della valutazione dell’adempimento della prestazione nel suo complesso diviene cruciale l’ottenimento del consenso informato del paziente sulla scorta di una corretta informativa. Il paziente non vedrebbe in questo senso limitata la sua autonomia, rimanendo libero di decidere se intervenire oppure continuare a vivere con il proprio disagio, a fronte però di una rappresentazione tecnica di rischi e vantaggi puntuale operata dal chirurgo. Di qui, la configurazione in capo al chirurgo, sulla base della riconosciuta necessarietà dell’intervento, di appurare, con gli strumenti che ha a disposizione, la possibile buona riuscita dell’operazione, la effettiva possibilità di una pronta guarigione ovvero la sua inutilità chirurgica, intesa come inadeguatezza degli strumenti rispetto alle attese del paziente 41 . Con il che, parrebbe perdere qualsiasi ulteriore significato anche la distinzione tra medico chirurgo

ordinario ed estetico, in relazione alla natura della obbligazione assunta 42 . La regola generale, ancora una volta, viene purtuttavia rimodellata per il caso in cui debba applicarsi alla prestazione di quest’ultimo, permeando l’informazione il contenuto dell’obbligazione del chirurgo estetico 43 . In caso di chirurgia plastica infatti il chirurgo assolverebbe i propri obblighi ove renda edotto il paziente di quegli eventuali esiti che potrebbero rendere vana l’operazione non comportando un effettivo miglioramento rispetto alla situazione preesistente; in caso di chirurgia estetica, il medico deve prospettare realisticamente le possibilità di ottenimento del risultato perseguito 44 . Ne consegue un radicale ribaltamento di valori. La corretta esecuzione dell’intervento acquisisce ora un peso del tutto relativo rispetto al dovere di informazione. La giurisprudenza è infatti arrivata a stabilire che “quando ad un intervento di chirurgia estetica consegua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad attenuare, all’accertamento che di tale possibile esito il paziente non era stato compiutamente e scrupolosamente informato consegue ordinariamente la responsabilità del medico per il danno derivante, quand’anche l’intervento sia stato correttamente eseguito”. Con la precisazione – proseguono i giudici – che “la particolarità del risultato perseguito dal paziente e la sua normale non declinabilità in termini di tutela della salute consentono infatti di presumere che il consenso non sarebbe stato prestato se l’informazione fosse stata offerta e rendono pertanto superfluo l’accertamento (necessario quando l’intervento sia volto alla tutela della salute e la stessa risulti pregiudicata da un intervento pur necessario e correttamente eseguito) sulle determinazioni cui il paziente sarebbe

42

Cass., 25.11.1994, n. 10014, in Foro.it, 1995, I, 2914.

43

Cfr. Trib. Torre Annunziata, 14.5.2018.

44 Cass., 8.4.1997, n. 3046, in Foro it., 1997, I, 1801. Cfr. Cittarell a, Obblighi di informazione e responsabilità del chirurgo plastico, in Resp. civ. prev., 1998, 677.

addivenuto se dei possibili rischi fosse stato informato” 45 . Seppure non si possano non menzionare pareri difformi, si è dunque giunti al consolidamento di un orientamento secondo cui l’informazione in caso di chirurgia estetica deve essere “particolarmente pregnante” 46 poiché strettamente correlata alla possibilità del paziente di “conseguire un effettivo miglioramento dell’aspetto fisico che si ripercuota positivamente sulla sua vita professionale o di relazione” 47 . Proprio dunque in considerazione delle caratteristiche dell’intervento estetico non necessario, ancora più forte è avvertita la necessità di una informazione puntuale, completa e capillare, che sia realmente funzionale alla delicata scelta del paziente: se rifiutare l’intervento o accettarlo correndo il rischio del peggioramento delle sue condizioni estetiche 48 . In questa prospettiva, il sanitario che arbitrariamente scegliesse di non rappresentare certi rischi specifici, limiterebbe l’esercizio del paziente del proprio diritto di autodeterminarsi rendendo l’atto medico “sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente, e questo perché la pratica del consenso libero e informato rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo

45 Cfr. Corte Cost., 23.12.2008, n. 438; Cass., 28.7.2011, n. 16543; Cass., 27.11.2012, n. 20984; Cass., 6.6.2014, n. 12830; Trib. Bari, 19.2.2018, n. 753; App. Bologna, 24.3.2015, n. 593.

46 Cass., 6.6.2014, n. 12830, secondo cui “Può parlarsi nella maggioranza dei casi di interventi non necessari che mirano all’eliminazione di inestetismi e che, come tali, devono essere oggetto di un’informazione puntuale e dettagliata in ordine ai concreti effetti migliorativi del trattamento proposto […] le caratteristiche e le finalità del trattamento medico-estetico impongono un’informazione completa proprio in ordine all’effettivo conseguimento del miglioramento fisico e – per converso – ai rischi di possibili peggioramenti della condizione estetica. La necessità di una informazione puntuale, completa e capillare è funzionale alla delicata scelta del paziente: se rifiutare l’intervento o accettarlo correndo il rischio del peggioramento delle sue condizioni estetiche. È questa la fondamentale caratteristica dell’intervento estetico non necessario”.

47 Cass., 6.10.1997, n. 9705, ma anche Cass., 8.8.1985, n. 4394.

e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi” 49 . Concludendo, la necessità di ricondurre la chirurgia estetica alle obbligazioni di risultato intendeva far fronte a quelle ipotesi in cui un intervento pur andato a buon fine, tecnicamente ben eseguito, non poteva dirsi rispondente ai risultati attesi dal paziente, che finiva in tal senso per trovarsi però privo di qualsiasi tutela. O, come esplicitato in alcune pronunce, quale utile deterrente, quale valida conseguenza punitiva 50 nei confronti dei comportamenti scorretti dei sanitari che inducevano i propri pazienti a sottoporsi ad interventi non necessari solo per mero interesse economico “senza ammonirli prima riguardo al possibile non raggiungimento finale di soddisfacenti risultati sperati (e richiesti) ovvero rispetto all’inutilità medica dell’intervento stesso” 51 . L’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale dimostra come, nell’alternativa, una estrema rigidità è stata assunta in particolare verso la malpractice medica rendendo dunque gli obiettivi deflattivi del contenzioso prevalenti su quelli di tutela degli interessi del paziente.

49 Il consenso informato non costituisce più dunque una scriminante dell’attività medico chirurgica che si autogiustifica in funzione della sua utilità sociale, ma attiene al piano dei diritti della personalità, quale è quello della autodeterminazione. Cfr. Cass., 28.6.2018, n. 17022; Cass., 13.2.2015, n. 2854; Cass., 16.10.2007, n. 21748; Cass., 6.10.1997, n. 9605, Trib. Venezia, 4.10.2004. Contra, Cass. pen., 21.4.1992, n.5639.

50 In questo senso, Barale, La responsabilità del chirurgo estetico, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, 1364.

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