Pomezia Notizie 2021_9

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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore responsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e successive modifiche) - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. - Il mensile è disponibile su: http://issuu.com/domenicoww/docs/

Anno 29 (Nuova Serie) – n. 9

- Settembre 2021 -

N° 9 della Serie online

Uomo fiero, ruvido, generoso, genuino e un grande scrittore:

ANTONIO PENNACCHI IL “FASCIOCOMUNISTA”! di Domenico Defelice

I

L 3 agosto 2021, nella sua casa di Borgo Podgora di Latina, colpito da un malore mentre stava al telefono, è morto strapazzando a terra lo scrittore Antonio Pennacchi. Era nato a Latina il 26 gennaio 1950. Figlio di un operaio umbro e di una colona veneta, ha fatto parte di una famiglia numerosa: sette figli, dei quali citiamo Gianni Pennacchi – giornalista - e Laura Pennacchi – studiosa di economia. Quest’ultima ha fatto anche politica e alla politica si è dedicato pure il giovane Antonio, che ha avuto sempre nelle vene almeno un po’ d’anarchia, se è vero che non ha mai


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All’interno: Ninì Bernardello, di Lorenzo Spurio, pag. 5 Rudy De Cadaval, di Domenico Defelice, pag. 8 Rudy De Cadaval Addio, di Tito Cauchi, pag. 18 Afghanistan, una lezione per l’Occidente, di Italo Francesco Baldo, pag. 22 Resistenza, il tuo nome è donna, di Giuseppe Leone, pag. 24 Erik Pesenti Rossi e Seminara, di Domenico Defelice, pag. 27 Il villaggio “Itaca”, di Antonia Izzi Rufo, pag. 30 Domenico Antonio Tripodi, pittore dell’anima, di Giuseppe Leone, pag. 31 Xi Ke, pag. 34 Notizie, pag. 45 Libri ricevuti, pag. 46 Tra le riviste, pag. 48

RECENSIONI di/per: Fabio Dainotti (Frammenti di vita, di Manuela Mazzola, pag. 41); Domenico Defelice (Dalla Sicilia alla Francia nell’Ars poetica di Pietro Nigro, di Isabella Michela Affinito, pag. 42); Manuela Mazzola (Antologia di poesia italiana vent’anni del Terzo Millennio, di Lucio Zaniboni, pag. 42); Manuela Mazzola (La costante lunare e spirituale nell’ars poetica di Isabella Michela Affinito, di Leonardo –Selvaggi, pag. 43); Lorenzo Spurio (Relativo ai misteri, di Lucia Lascialfari, pag. 43).

Inoltre, poesie di: Ninì Bernardello, Mariagina Bonciani, Corrado Calabrò, Antonio Crecchia, Rudy De Cadaval, Domenico Defelice, Antonia Izzi Rufo

militato a lungo in un solo partito, ma è passato dal MSI (dal quale viene espulso) al comunismo rosso che più rosso non si può: i maoisti dell'Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti), fortemente coinvolti nelle guerriglie del Sessantotto. Successivamente, negli anni settanta-ottanta, si iscrive al Partito Socialista Italiano, alla CGIL – da cui viene espulso - per passare, poi, alla UIL; da questa, nuovamente alla CGIL – dalla quale è nuovamente espulso – e al Partito Comunista Italiano. E non basta. Una vera altalena, la sua, ma non bisogna meravigliarsi, perché tra Fascismo (il MSI già non lo era più) e Comunismo (il PCI è stato un Comunismo attenuato!) non ci sono vere differenze, semmai solo sfumature, entrambi essendo facce della stessa medaglia: la dittatura. Pennacchi ne era consapevole, vi

ironizzava sopra, anche, ed è stata proprio tale conoscenza ad averlo portato alla moderazione. A non volerlo mai capire, invece, sono stati sempre gli altri e gli apparati politici; da ciò derivano le sue sempre instabili collocazioni, l’esser costretto, cioè, a cambiar casa e casacca a ogni piè sospinto e l’essere guardato con sospetto: un “fasciocomunista”! Se si comprendesse ciò veramente – come, ripetiamo, lui in parte l’ha compreso (e aggiungiamo “in parte”, perché non ha mai rinunciato a certe preferenze e animosità) -, nella nostra società ci sarebbe più rispetto dell’altro, più collaborazione, meno conflitti, meno odio. Occorre convincersi che il male è male e basta, nero o rosso, al di là delle sfumature del momento, e che la libertà non può stare nelle ideologie che, per esser tali, non


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permettono agli altri di pensarla con la propria testa. Fascismo e Comunismo si sono sempre equivalsi e se fra di essi è apparsa competizione, è stata solo apparenza, una sfumatura, semplicemente il tentativo dell’uno d’escludere l’altro, in quanto, da che mondo è mondo, due galli non possono dominare contemporaneamente nello stesso pollaio. La democrazia non è amata da entrambi, se non, a volte, a parole; nella sostanza, nessuno dei due può permettere che la si pensi e vi si comporti liberamente. Tutto ciò noi l’abbiamo scritto altre volte, scandalizzando più di uno, e ancora oggi il nostro pensiero non è mutato neppure di una virgola. Uomo fiero, in parte ruvido, ma generoso e genuino, Antonio Pennacchi; ha lavorato per trent’anni come operaio all'Alcatel Cavi di Latina (la "Fulgorcavi"), studiando nel contempo, e nel 1983 è riuscito finalmente a laurearsi in Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma, abbandonando definitivamente il lavoro per dedicarsi totalmente alla scrittura, pubblicando prima con Donzelli,

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poi con Mondadori, Vallecchi. Riceve numerosi Premi, tra cui: Premio del Giovedì Marisa Rusconi, per "Mammut" (1995); Premio nazionale letterario Pisa, per "Palude" (1996); Premio Napoli, per "Il fasciocomunista" (2003); Premio Strega, per "Canale Mussolini" (2010); Premio Acqui Storia, per "Canale Mussolini" (2010); Premio "Libro dell'anno del Tg1", per "Canale Mussolini" (2010); Premio "Asti d'Appello", per "Canale Mussolini" (2010). Sempre attivo, fino agli ultimi giorni e non soltanto in campo letterario e politico; tra le sue iniziative ci piace ricordare il suo progetto (del 2012) Pianura Blu per rendere navigabili i canali dell'Agro pontino e creare una rete ciclonavigabile. Tra le sue opere: Mammut (1994); Palude. Storia d'amore, di spettri e di trapianti (1995); Una nuvola rossa (1998); I borghi dell'Agropontino (a cura di e con Massimiliano Vittori, 2001); Guidonia, Pomezia. Città di fondazione (2003); Elogio del minimo (con Edoardo Albinati e Antonio Pascale, 2003); Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi (2003, dal quale è stato tratto il film Mio fratello è figlio unico, regia di Daniele Luchetti, interpreti Riccardo Scamarcio ed Elio Germano); Viaggio per le città del duce. I saggi di LiMes ed altri scritti (2003); L'autobus di Stalin e altri scritti (2005); Shaw 150. Storie di fabbrica e dintorni (2006); Fascio e martello. Viaggio per le città del duce (2008); Canale Mussolini (2010); Le iene del Circeo. Vita, morte e miracoli di un uomo di Neandertal (2010); Storia di Karel (2013); Camerata Neandertal. Libri, fantasmi e funerali vari (2014); Canale Mussolini. Parte seconda (2015); Il delitto di Agora. Una nuvola rossa (2018); La strada del mare (2020). Proprio per il suo romanzo più importante: Canale Mussolini, nel luglio 2011, con l’intervento dell’amico Aldo Cervo, PomeziaNotizie gli aveva dedicato la prima pagina. Cervo affermava che leggere quel romanzo equivaleva “a percorrere la storia del Novecento italiano – tutt’intero – nelle dovute


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connessioni con i contemporanei accadimenti europei e mondiali” e terminava: “Un romanzo, in definitiva, che si fa leggere, che mentre fa piazza pulita dei pomposi teologumeni di scuole storiografiche partigiane, racconta l’accaduto attraverso i fatti concreti quotidiani visti nella loro nudità, che senza bisogno di mediazioni interpretative offrono spaccati di vero ed esclusivo beneficio del lettore”. Ecco quanto ci scriveva da Latina il 10 dicembre 2011: “Caro Defelice, mi scuso innanzitutto per il colpevole ritardo con cui rispondo alla sua lettera, ma il successo di Canale Mussolini – successo imprevisto ed inaspettato, almeno in queste dimensioni – e la vittoria al Premio Strega 2010 hanno letteralmente ribaltato tutti i miei normali ritmi di vita. Io non ero abituato a ricevere lettere, mail e telefonate in questa quantità, e poi interviste, viaggi in Italia e all’estero, inviti a destra e sinistra, richieste di articoli e nuovi libri. Certo la cosa è stata anche gratificante, specie per le tante lettere

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e recensioni che mi hanno testimoniato come la storia dei Peruzzi – raccontata da me in Canale Mussolini – fosse sostanzialmente la storia condivisa di migliaia e migliaia di famiglie di ogni parte d’Italia che ci si sono riconosciute, specie se provenienti dalla civiltà contadina. Era questo, in fin dei conti, ciò che volevo fare: raccontare non solo la mia famiglia, ma raccontare nel bene e nel male – e sempre con pietas ed affetto – il cammino fascinoso di tutte le famiglie popolari del nostro Paese verso l’emancipazione ed il progresso. Un tributo ai nostri padri. La sua lettera e la recensione del prof. Aldo Cervo su “Pomezia-Notizie” mi hanno quindi fatto molto piacere e vi ringrazio per questo, mentre vi faccio i migliori auguri perché la vostra attività prosegua ancora proficuamente. Ora che il vortice si è un po’ attenuato (il successo, come si sa, è pericoloso anche a questa età: magari non ci si monta più la testa, ma lo stress e la pressione arteriosa si fanno sentire) posso finalmente sistemare ogni cosa, sincronizzare i ritmi e rimettermi a lavorare ad un nuovo romanzo. In questo anno 2011 ho ripubblicato – con l’editore Dalai – il romanzo Palude, che scritto quindici anni prima di Canale Mussolini ne costituisce però virtualmente il seguito. Se ha tempo e voglia lo legga, se le è piaciuto Canale non potrà non piacerle anche Palude. Nel rinnovarle le mie scuse, formulo infine a lei, a “Pomezia-Notizie” e a tutti i vostri cari i miei migliori auguri per le feste di Natale e per il nuovo anno che arriva. Tutti dicono che sono tempi brutti, ma io dico invece che anche questa volta noi ce la faremo. Stia bene e tanti auguri. Antonio Pennacchi” Pennacchi non si faceva montare facilmente dall’orgoglio e sapeva essere cortese e cordiale con tutti; la lettera su riportata lo dimostra. Anche per questo, la sua morte non rappresenta solo la perdita di un bravo scrittore. Pomezia, 4 agosto 2021 Domenico Defelice


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I poeti della fine del mondo (Terra del Fuoco):

NINÌ BERNARDELLO1 di Lorenzo Spurio

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A un lavoro saggistico sulla poesia della Terra del Fuoco argentina in fieri mi piace – e mi sembra idoneo in questo ambito – anticipare, estraendo alcuni

contenuti, il profilo letterario di una delle voci senz’altro più distinte di quella terra, assieme a quelle di Julio José Leite (Ushuaia2, 19572019) e di Anahí Lazzaroni (La Plata, 1957 – Ushuaia, 2019), ovvero Niní Bernardello. La poetessa – celebre anche come artista visiva – nacque a Cosquín, nella provincia di Córdoba, nel 1940 dove trascorse tutta la sua giovinezza e oltre e dal 1981 visse nella città di Río Grande de Patagonia, seconda città per importanza della Terra del Fuoco Argentina, sino Data l’impossibilità di reperire nel nostro Paese un qualsiasi libro dell’autrice – dove sembrerebbe che mai sia stata tradotta – nell’ottobre 2020 mi sono messo in contatto epistolare con alcuni centri di cultura di Río Grande che avrebbero potuto facilitare delle informazioni su come recuperare qualche opera: la Biblioteca de la Universidad Nacional de Tierra del Fuego, la Biblioteca Popular Kau Kren di Río Grande e il Museo Fueguino de Arte di Río Grande, quest’ultimo è uno spazio pubblico nel quale la Bernardello espose alcune sue opere. Sono riuscito in tal modo, anche grazie al 1

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alla sua morte sopraggiunta nel 2020. La Bernardello, che ha sempre evitato di chiamarsi poetessa, riconoscendosi prevalentemente come insegnate e artista, sollecitata da una domanda di un intervistatore poco prima di morire sul tema dei rapporti che intercorrono tra poesia e gesto grafico, tra lirismo e disegno, così ebbe a dire: «La poesia e le arti plastiche hanno relazione tra loro perché si localizzano nell’universo dell’arte; non so se sono cose veramente così differenti. Io, per un periodo, mi relazionai con questi due mondi [come fossero] separati, e con il tempo andarono via via familiarizzando e finirono per essere in competizione. Adesso, ciascun mondo ha il suo contesto e il suo lavoro. Riconosco, ormai da tempo, che il tratto di un poeta che disegna è totalmente differente da quello di un disegnatore che si sta incamminando solamente nell’ambito dell’[arte] plastica»3. Tra le opere pubblicate (nessuna di questa tradotta in italiano né disponibile in lingua originale in nessuna biblioteca nazionale) figurano: Espejos de papel (1981), Malfario (1984), Copia y transformaciones (1991), Puente aéreo (2001), Salmo y azahares (2005), Natal (2010), Yeso tango, edizione bilingue e illustrata (2011), Agua florida (2013), Antología íntima (2016) e Atardeceres marinos (2020). Nel 2001 curò il volume antologico Cantando en la casa del viento. Poetas de Tierra del Fuego (2001) che venne rieditato nel 2014 dalla casa editrice Tierra del Fuego nel quale risultano in-

contatto con la Segreteria particolare dell’Intendente (il Sindaco) di Río Grande, a ricevere alcune sue opere in digitale. 2 Oltre a Río Grande, l’altro grande centro urbano della Terra del Fuoco argentina è Ushuaia, sua capitale. 3 Tutte le traduzioni presenti nel corso del saggio, sia di opere della Bernardello che di citazioni dalla Stampa, sono eseguite dal sottoscritto. In questo caso la citazione è tratta da “Niní Bernardello: “La poesía es un amor a primera vista que no te abandona nunca”, «El Sureño en la web», novembre 2016.


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seriti i poeti contemporanei Nelly Iris Penazzo (n. Buenos Aires, 1936, residente a Río Grande sin dal 1967 dove morì nel 1996), Oscar “Mingo” Gutiérrez (n. Río Gallegos, 1953), Patricia Cajal (n. Bernal, 1957, residente a Río Grande dal 1987), Fredy Gallardo (n. Puerto Montt, Cile, 1957, residente a Río Grande dal 1980), Rosa Alba Lauret (n. Punta Alta, 1950, residente a Río Grande dal 1990), Laura Vera (n. Ushuaia, 1948), Manuel Zalazar (n. Buenos Aires, 1944, residente a Ushuaia dal 1973), Pablo Aguirre (n. Buenos Aires, 1962, risiede a Ushuaia dal 1982), oltre ai già citati Julio José Leite e Anahí Lazzaroni. Come ricorda la puntuale nota bio-bibliografica sul sito «El Rompehielos»4, la Bernardello prese parte a varie antologie prodotte in Argentina, Cile e Spagna tra le quali 200 años de poesía argentina (Alfaguara, 2010) a cura dello scrittore e critico letterario Jorge Monteleone, nonché a un numero della rivista «L’intranquille», presentata a Parigi nel 2014. Alcune sue opere ottennero dei riconoscimenti letterari: con la raccolta Agua florida ricevette la Menzione speciale della Giuria nei Premi Nazionali produzioni 20112014 del Ministerio de Cultura de la Nación nel 2015. Uno degli ultimi eventi al quale prese parte, poco prima della sua morte, fu nel novembre 2019 quando a Río Grande presentò la sua ultima opera poetica, Atardeceres marinos. Confessandosi in merito all’atto della scrittura rivelò: «Scrivo come per impulso di un desiderio intenso di voler esprimermi, di dire qualcosa, scrivo senza nessun progetto. Il titolo fuoriesce in un secondo momento, la coerenza interna la vado scoprendo mentre ordino le poesie. Questo ordine costituisce, poi, la chiave segreta dello stesso libro». Oltre ai suoi testi poetici, di cui a continuazione si fornisce una selezione di opere estratte da Agua florida, a raccontarcela è chi “El Rompehielos presenta a Niní Bernardello”, «El Rompehielos», 04/10/2019. 4

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l’ha conosciuta, chi l’ha intervista e questo è possibile approfondirlo anche per mezzo di alcune sue presenze su radio locali dove venne invitata a parlare dei suoi libri nell’imminenza della presentazione pubblica. Una donna apparentemente severa, dalle risposte per lo più telegrafiche ma munifica di sguardi illuminati verso il contesto ambientale da lei vissuto e poeticizzato, una poetessa del popolo, dalle tematiche diverse, curiosa e attenta anche alla sperimentazione, al saper ricostruire parti del suo dire per mezzo di un dire a tratti scisso e magmatico, non sempre lineare né dalla comprensione basica. Ritornano nelle sue poesie riferimenti all’ambiente della sua zona originaria, quella della provincia di Cordoba contraddistinta dall’imponente Sierra Chicas ai cui piedi è adagiata la nativa Cosquín e del mare, quell’oceano che lambisce Río Grande, lì alla propaggine ultima della Terra del sud America. Nelle poesie della Bernardello si ragiona sul tempo che passa, è vero, ma non è quello fugace e vano dei giorni abitudinari, si guarda spesso al passato, sia privato che collettivo della Nazione, tra asperità e sudditanza, difficoltà di esprimersi e negazione delle identità, stemperate in un continuo e passionale conforto nella bandiera nazionale e in un reverenziale rispetto nei confronti del concetto di patria, spesso richiamata dalla Nostra. Una poesia che scantona, forse, le linee più tradizionali e intuitive che la collocherebbero in un provincialismo comune o in una tendenza neo-popolare, per farsi, invece, ora testimonianza, ora canto di bellezza, finanche preghiera e confessione nei recessi della sua interiorità. La giornalista Silvina Friera della testata «Página 12» di Buenos Aires, presentando la poetessa che si approssimava a presentare al pubblico il suo volume Atardeceres marinos a febbraio 2020, domandò alla Bernardello il motivo per cui in molte delle sue poesie appare la “minaccia” o il pericolo (la paura) di


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non riuscire più a scrivere. La vera condanna, in fondo, per un poeta. La Bernardello, serafica e pronta come sempre, così le rispose: «Non so da dove viene ma è una sensazione che provo. La prima che si stupisce di quel che scrivo sono io stessa, perché molte volte mi sono domandata da dove viene questa voce che mi sussurra queste cose. All’inizio non mi importava più di tanto, ma adesso che ho pubblicato vari libri, mi domando: “Da dove estraggo tutto questo? Da dove viene tutto questo?” E mi dico che ho un canale aperto verso uno spazio dal quale ho la facoltà di recepire».5 Lorenzo Spurio

(Senza titolo) Dal verde al gelo c’è un fosso di sangue missione sottomarina di limpida bellezza. Il re di spade pronto per uccidere si nasconde nell’acqua che fluisce. Dal verde al gelo si addestra il pedaggio quel che saremo domani quando cadrà la notte su distese di gelo facendo marcire il verde. Ombre Le ombre che la vita destinò a Juan erano tue e mie e tue. Torna il dito cosmico a segnalarti, freddo, distante. Appena sfiorato, cadi timoroso dalla tua bicicletta, dal cavallo, dalla tua nicchia. Così una voce domanda: sono io lo stesso adesso, proprio ora, SILVINA FRIERA, “Niní Bernardello, poesía con un temblor vital”, «Página 12», 25/02/2020. 5

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che ritorna da una culla senza tempo?

Meridionale Vento irraggiungibile scarica incontenibile la tua memoria, mentre ci copre. Un manto enorme di acque nere distilla destini di fallimenti e nebbia sulla nostra pelle morbida, ferma ed esibita senza pudore all’oblio nazionale. [da NINÍ BERNARDELLO, Agua Florida, El Suri Porfiado, Buenos Aires, 2013] Traduzione di Lorenzo Spurio


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Ricordo di un Amico fraterno:

RUDY DE CADAVAL (Verona, 1933 – Altipiani di Arcinazzo, 2021) di Domenico Defelice

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ENERDÌ 13 agosto, nel caldo soffocante e carico d’umidità da non poter quasi respirare, alle ore undici ci giunge la triste notizia che alle due e mezzo della notte, sugli Altipiani di Arcinazzo, nei pressi di Roma, è spirato il nostro caro e indimenticabile amico Rudy De Cadaval, nome

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d’arte di Giancarlo Campedelli. A comunicarcelo, affranta, per telefono, è stata la moglie, la poetessa e scrittrice Claudia Formiconi, la quale ha pure aggiunto che il corpo del marito verrà cremato. Era nato il primo gennaio 1933 a Verona, da Giovanni Campedelli, operaio delle Ferrovie dello Stato, e da Carolina Elvira Carli; aveva compiuto, cioè, 88 anni. Poeta, scrittore, attore, sceneggiatore e tant’altro, Rudy De Cadaval ha frequentato celebrità internazionali del calibro di Ernest Hemingway, Enzo Biagi, André Mourois, Giuseppe Ungaretti, Giacinto Spagnoletti, Natalino Sapegno, Claudine Auger, Leonida Repaci, Catherine Spaak, Ursula Andress, Novella Parigini, Ira Fürstemberg, Julie Christie, Giovanni Comisso, Gina Lollobrigida, Giuseppe Saragat, Iva Zanicchi, Fred Bongusto, Lionello Fiumi, Salvatore Quasimodo, ma l’elenco sarebbe assai lungo a voler continuare. Ecco, di lui, una sintetica scheda, in parte tratta da Wikipedia: Autodidatta, inizia a scrivere versi nella giovane età. Nel 1959 pubblica la sua prima raccolta “Kocktail di poesie”, con cui vince il Premio D’Amico. Rimane però sconosciuto fino al 1964, anno in cui viene scoperto da Giuseppe Ungaretti. Nel corso della sua carriera frequenta circoli letterari e conosce numerosi esponenti del mondo artistico e culturale: della sua opera si sono occupati vari autori tra cui: Ungaretti, Quasimodo, Montale, Silone. Le sue opere sono state recensite su testate nazionali e riviste specializzate, tra cui “La Fardelliana” e “Sìlarus”, che gli ha dedicato una lettura per il 60° anniversario della


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sua attività letteraria. Il suo nome è inserito in numerose biografie (come Orazio Tanelli, Rudy De Cadaval, New Jersey, Rutgers university Press, 1988). Alcuni suoi testi sono stati pubblicati dagli editori Guanda e Giannotta. Ha collaborato con la Società Letteraria di Verona fin dagli anni Settanta. Scrittore prolifico e poliedrico, è autore anche di articoli, interviste, saggi e due opere cinematografiche: insieme a Nicolò Ferrari scrive la sceneggiatura del lungometraggio “Laura nuda” (1961), per la regia dello stesso Ferrari; è inoltre autore della sceneggiatura del documentario “Le isole della laguna veneziana” (1989), con la regia di Francesco Carnelutti e la fotografia di Dante Spinotti, trasmesso da Raiuno per RAI DSE (Dipartimento Scuola Educazione), oggi Rai Educational. Le sue opere sono registrate e catalogate presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.

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Onorificenze - Letto e apprezzato anche all’estero, ottiene vari premi e riconoscimenti, tra cui la “Penna d’Oro” (1968) dall’Académie des Poètes de France. Nel 1968 riceve anche l’Attestato di Benemerenza e Medaglia D’Oro dal Presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat. Nel 1977 vince il premio “Limone Arte e cultura” e il 20 dicembre dello stesso anno la Medaglia d’oro, conferitagli da Lorenzo Calabrese, Assessore alla Cultura della Provincia di Verona. Nel 1978 e nel 1989 gli viene conferito a Roma il “Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri”. Nel 1980 vince il premio “Lago d’Iseo” per la sua raccolta “Schiavo 1933”. Nel 1981 le edizioni La Vite di Catania pubblicano la cartella di acqueforti “Omaggio a Rudy De Cadaval” dell’artista Stefano Puleo, con scritto di Domenico Cara. Nel 1985, presso l’Università René Descartes di Parigi,


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l’ Académie Internationale de Lutèce, presieduta da Marceau Costantin, lo insignisce della Medaglia D’Oro. Nel 1989 il Presidente delle Repubblica Italiana Francesco Cossiga gli conferisce l’Onorificenza di Cavaliere per meriti letterari. Nel 2006 il Sindaco di Verona Paolo Zanotto gli consegna la “Medaglia D’Oro della Città per l’Attività Letteraria”. Nel 2010 il Professor Hadaa Sendoo dell’Università di Ulaanbaatar (Mongolia), fondatore del World Poetry Almanac, gli assegna il “Merit Award” per il contributo artistico e culturale dato alla World Poetry. Poetica - Influenzato dagli anni della seconda Guerra Mondiale, vissuti da bambino, la prima parte dell’iter poetico di De Cadaval è caratterizzata da toni drammatici e impegno civile, in un realismo lirico dai forti contrasti esistenziali. Il linguaggio di rottura degli anni ’70 colloca De Cadaval tra coloro che fanno della poesia un mezzo rivoluzionario dell’anima. È collocato tra i molti “irregolari” delle nostre Lettere che hanno movimentato la

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vita multiforme della scrittura. Le sue opere nascono dallo stesso impulso e dall’intenzione ideologica che sottendono il suo discorso poetico: la povertà, l’ingiustizia, i soprusi, visti e sofferti come scandalo esemplare dell’attuale realtà politico-sociale. Alla comparsa dei versi di “Terra di Puglia”, una delle poesie contenute nella raccolta “L’ultimo chiarore della sera” (1965), alcuni critici non a torto avvicinano implicitamente ai dannati della terra i “sotto-uomini” di cui il poeta si fa “storico” e portavoce: era ed è tuttora il recupero della civiltà degli emarginati. Opere - Cocktail di poesie (1959), Calvario della mia vita (1962), L’ultimo chiarore della sera (1965, prefazione di Carlo Betocchi), Stagione delle malinconie (1966), 23 Liriques contemporaines (1968, traduzione di Janne Legnani e prefazione di Andre Maurois), Schiavo 1933 (1979, prefazione di Paolo Ruffilli), Et après... (1981, traduzione e prefazione di Solange De Bressieux), Poesie d’amore (1983, prefazione di Roberto Sanesi),


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Colloquio con la pietra (1985, prefazione di Roberto Sanesi), L’albero del silenzio (1988), Il muro del tempo (1998), Viaggio nello specchio della vita (1994, prefazione di Giancarlo Vigorelli), Muro di pietra (2000), International Poetry (Madras, India, 2003), Mi assolvo da solo (2004), L’ultimo uomo (2004), Selected Poems of Rudy De Cadaval (2010, traduzione di O. Manduhai, Ulaanbaatar, Mangolia), Dove senza di loro (romanzo, 1978) e poi i racconti: Capodanno (Pandora, Cosenza, febbraio 1967), Una mattina a caccia (Il Corriere del Giorno, Taranto, 27 settembre 1970), Laura (Il Corriere del Giorno, 17 ottobre 1970), La solitudine dell’uomo fiume (Il corriere del Giorno, 30 ottobre 1970), 2 novembre (Il corriere del Giorno, 3 novembre 1970), Capodanno (Il Corriere del Giorno, 31 dicembre 1970), Un

uomo nel mare (Il Corriere del Giorno, 22 gennaio 1971), Sogno (Il Corriere del Giorno, 21 febbraio 1971), L’ultimo incontro (Il Corriere del Giorno, 28 aprile 1971), Il lampadario diabolico (Il Corriere del Giorno, 25 maggio 1971), Storia d’amore vietnamita (Il Corriere del Giorno , gennaio 1974), L’ultimo incontro

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(Il Corriere del Giorno, 28 febbraio 1974), La vendetta (Il Corriere del Giorno, settembre 1974), La penna turchese (La Procellaria, Reggio Calabria, ottobre 1986), L’ estate di Anselmo (Percorsi d’Oggi, Torino, novembre 1986), Il mio mare (Percorsi d’Oggi, luglio 1989), L’angelo d’ebano (Silarus, Battipaglia, aprile1998), La legenda di Bay of Chaleur (Alla Bottega, Milano, marzo-aprile 2001), Anche il paradiso ha la sua tristezza (Alla Bottega, maggio-agosto 2001), Lo strozzino (Alla Bottega, luglio-ottobre 2003), L’ amante d’ebano (Alla Bottega, novembre-dicembre 2003), Flop (Alla Bottega, gennaio aprile 2004), Incontri amorosi particolari (Alla Bottega, maggio-agosto 2004), Il mistero della saletta privé (Alla Bottega, settembre-ottobre 2005), L’onorevole (Alla Bottega, maggioagosto 2007). Ma anche sulle pagine di Pomezia-Notizie ne sono apparsi alcuni, come: Il mistero della saletta privée (marzo 2017), La leggenda di Bay of Chaleur (giugno 2017), Anche il Paradiso ha la sua tristezza (luglio 2017), Libri proibiti (settembre 2017), Lo studente americano (novembre 2017). Con lui abbiamo sempre insistito perché li riunisse in volume; egli ha sempre promesso, ma, per una serie di motivi, non l’ha mai fatto. Saggi - Chiaroscuri nella poetica di Omàr Khayyam (1963), Hemingway letterato e personaggio nella leggenda (1970), Mostri Sacri (1977), Orizzonte per parole - Biografia critica sul premio Nobel Vicente Aleixandre (1981, prefazione di Domenico Cara), Simboli e realtà nella poesia di Salvatore Quasimodo (1983, prefazione di Gilberto Finzi), Ezra Pound (1986), La vita “recitata” di Oscar Wilde (1988, prefazione di Ugo Ronfani), Sogni e realtà di Emilio Salgari (1992), Faulkner (1998), Kafka: un testimone inquiietante (2006), Pasolini - L’ odio ingiusto nei confronti del padre (2012). Testi teatrali - Ho condannato il mio amore (1960), La prima amante (1963), La gioia di tradire (1963), I condannati: i figli del Dio d’Israele (1973).


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Discografia - Un poeta, una donna e il mare (1984, poesie di Rudy De Cadaval lette da Arnoldo Foà, con musiche di Evelie Kherr, assoli di tromba di Cappy Lewis). Tralasciamo l’enorme bibliografia, tra articoli, enciclopedie, libre e antologie, siti elettronici eccetera. Negli ultimi anni aveva perso la vista, tanto che l’INPS, nell’aprile del 2014, gli aveva riconosciuto la condizione di cieco parziale, accordandogli la relativa prestazione.

Sull’opera di Rudy De Cadaval, negli anni novanta del secolo scorso, abbiamo scritto l’ampio saggio Rudy De Cadaval Una vita per la Poesia (presentato da Ugo Ronfani: “De Cadaval, o le ragioni del cuore”), edito nel dicembre 2005 dall’Istituto Editoriale Moderno di Milano, al quale inviamo coloro che volessero approfondire questo grande scrittore e poeta, ancora quasi del tutto inesplorato; qui di seguito riportiamo il brano (pagine 103 – 107) - Rudy De Cadaval – Dove senza di loro – Romanzo – Collana diretta da Gian Paolo Piccari – Ed. Forum/Quinta Generazione, Forlì, 1981 – Pagg. 156, L. 7.000. “…è un libro intrigante e sospetto – scrive Gilberto Finzi su Spirali dell’aprile 1982 -. Intrigante nel senso che “intriga” obbligando a un esame e una valutazione fuori delle norme: quindi “sospetto” non solo e non certo perché viene da un autsider della letteratura”. Alberto Moravia rileva – su Pensiero ed Arte del maggio 6

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relativo al suo romanzo Dove senza di loro, ambientato negli anni bui 1960/1970, che hanno inquietato e travagliato l’Italia. Il terrorismo, oggi, sembra definitivamente sconfitto, grazie alla collaborazione del popolo italiano, ma non sono affatto scomparsi i problemi di fondo e le cause che lo avevano generato. Rileggere questo romanzo decadavaliano, a nostro avviso, potrebbe essere, oltre che una medicina, uno stimolo a rimanere sempre vigili, allerta. Rudy De Cadaval è stato per noi più che un amico e oggi, affranti, ci uniamo al dolore e al cordoglio della famiglia e di tutti coloro che l’hanno apprezzato e voluto bene. Domenico Defelice *** Lasciando da parte la trama - pure interessante - mettiamo in risalto solo alcuni particolari di Dove senza di loro6, il bel romanzo di Rudy De Cadaval. Fin dall’inizio, i personaggi si presentano ben marcati. Antonio, quasi senza volerlo, si trova ad essere oggetto di un’aggressione morale, peggiore di quelle effettuate a colpi di manganello o di pistola, perché non uccide fisicamente ma incide profondamente la psiche e trasforma per sempre la persona, rendendola una macchina, un automa. L’autore ha un suo particolare modo di raccontare l’azione, sicché al lettore essa appare un rito, una vera e propria iniziazione al partito rivoluzionario, alla guerriglia urbana, alla banda armata. Antonio è un protagonista chiuso, introverso, sempre in disparte - sempre “ad osservare”, dice di lui lo stesso autore (pag. 126) -: poche sono, infatti, le frasi che De Cadaval gli mette in bocca, ma al lettore non per questo 1982 – che “Uno dei primi elementi che colpiscono il lettore di questa prosa è dato dalle ripetitività di situazioni o di scenari in cui il De Cadaval immerge i suoi giovani personaggi”. Giorgio Bárberi Squarotti afferma che Rudy De Cadaval è “narratore di grande efficacia e di straordinaria inventività di linguaggio e di modi (Dove senza di loro è davvero un ottimo romanzo, uno dei migliori di questi ultimi tempi)”.


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sfugge che tutto, nel romanzo, è su Antonio, di Antonio, in Antonio; un Antonio pensato, dunque, ironizzato e ironizzante, parlato (sembra il riflesso di tutti e riflesso non è); un Antonio che, alla fine, è l’unico che uccide - “Peccato”7, conclude De Cadaval - passando, dall’apparente figura di vittima, a vero e pro-

prio carnefice. In Dove senza di loro si respira la falsa calma della città di periferia o di media grandezza, dove sembra che il terrorismo e la delinquenza comune non esistano e dove, invece, tutti e due prosperano, fanno proseliti, preparano spedizioni, tornano a rifugiarsi dopo l’aggressione o - “…finisce infatti il romanzo con la parola “Peccato”, dopo lo sparo – evidenzia Cesare Zavattini su Il Ragguaglio Librario del novembre 1981 -. Una parola/battuta su cui ci pare appoggi tutto il romanzo, un modo scanzonato per demitizzare, ovvero: forse si poteva, ma non è stato”. 8 - Walter Nesti definisce Antonio “una povera vittima”, “perché non ha mai la piena coscienza delle 7

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per leccarsi le ferite o per mettere a frutto il successo. Città dove la base è più sicura perché più mimetizzata tra borghesi marci, amorazzi, ricchi che, non conoscendo il valore della ricchezza, perdono il tempo in incontri e contatti che sono veicolo vitale per terrorismo e delinquenza comune. Ce tanto da ricavare oltre le righe della prosa decadavaliana. Noi ricordiamo qualche esempio nell’incontro di Claudio, Franco, Antonio e altri compagni venuti da fuori, in casa della nonna di Silvana, la ragazza di famiglia benestante e sinistrorsa, con intruppamento anche di elementi di destra; nelle aste di quadri in conventi per rastrellar soldi per la rivoluzione; in preti che credono di essere moderni e di seguire il vero Cristo spruzzandosi addosso un po’ di rosso-falce–emartello e denigrando più o meno il Vaticano Secondo. De Cadaval tratta con l’arma corrosiva dello sfottìo continuo, dell’ironia, questi danarosi imbevuti di false ideologie e che comunque fanno il gioco del terrorismo e della delinquenza comune e mette alla berlina tutta una società fasulla e una gioventù senza profondi ideali o con ideali sballati, carne di macello nei conflitti di domani, oggi preda di tutti gli speculatori. Antonio è esempio lampante di giovane ingannato, irretito, intrappolato, per sempre rovinato.8 Ma dalle pagine del romanzo viene fuori anche il fermento che ha travagliato il PCI e dal quale è nata poi la nuova sinistra e il partito armato, i cani sciolti e le bande organizzate decisi tutti ad affossare il sistema con ogni mezzo e facendosi strada oltre il PCI che ritengono imborghesito, irrimediabilmente perduto nella rete della DC e di coloro che alla DC fanno corona9. sue azioni”. Ma Teresio Zaninetti non è del tutto d’accordo: “In nessun caso, malgrado tutte le possibili apparenze, Antonio potrebbe essere una vittima (…). Se egli è una vittima, lo può essere solo nella misura in cui tutti lo siamo”. 9 - Pomezia-Notizie – Anno 10° - n. 1-5, GennaioMaggio 1982.


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Riportiamo un brano di quanto, su Il Giorno, scrive Ugo Ronfani: “È romanzo scritto da un poeta, e si sente soprattutto a livello di linguaggio. Dietro la trama degli avvenimenti che ricostruiscono l’iniziazione ai miti sessatotteschi di Antonio, un giovane piccolo borghese - c’è una scrittura graffiante, risentita, dissacrante, a specchio delle lacerazioni e delle rivolte che avevano scosso, allora, i pilastri dell’ordine costituito nel Veneto cattolico e perbenista”. *** Dove senza di loro riceve ambiti premi. Ricordiamo il Premio Letterario Verona di Narrativa e Giornalismo, presieduto dal prof. Gian Paolo Piccari, con la seguente motivazione (firmata dallo stesso): “Dove senza di loro” è una attenta analisi, minuziosa del fenomeno del ’6810, condotta attraverso la storia di personaggi tipici e di fatti emblematici che lo fotografano in ogni direzione e ne mettono crudamente in luce le contraddizioni da un’ottica non già qualunquistica, ma per molti aspetti già storica. La posizione privilegiata dello scrittore permette già una ironizzazione discreta11, che non toglie al libro il suo valore di eccezionale documento. Il linguaggio è quello aspro ed esplodente dell’epoca tessuto di slogans, dissacrante e antipatico, condotto per rapide contrapposizioni, dialoghi serrati, e graffianti e in parallele aperture descrittive dall’ampio respiro lirico, come squarci liberatori e ad un tempo commento dei fatti, condotto da un angolo protetto al di sopra della mischia e al di là del contingente”. (Verona, 5 settembre 1981).

Dove senza di loro vede la luce nell’agosto del 1981, quando aveva appena conquistato gli onori delle prime pagine la Loggia P2 di Licio Gelli; a quasi tre anni (16 ottobre 1978) dell’elezione al soglio pontificio di Karol Wojtyla, che distruggerà il Comunismo, e dell’uccisione (9 maggio 1978) di Aldo Moro e della sua scorta in via Fani (16 marzo 1978) a Roma; a due anni (gennaio 1979) dall’uccisione del giudice Emilio Alessandrini (a Milano – il Commando era guidato da Marco Donat Cattin) e (a Genova) dell’operaio Guido Rossa. Potremmo proseguire nell’elencazione. Sono anni terribili, di piombo e di fango (come li definisce Indro Montanelli nella sua monumentale Storia d’Italia), nei quali, agli attentati e alle beghe politiche – in Parlamento e fuori – si alterneranno gli arresti eccellenti (Pietro Calogero, per esempio, metterà in galera – 7 aprile 1979 – il professore Toni Negri, e per odio e per disprezzo sarà scritto sui muri con la K, come si faceva con Kossiga). Dove senza di loro è un’opera di quasi attualità, riguardando la genesi delle Brigate Rosse e la quasi storia di Potere Operaio e dei tanti Gruppi dei Comunisti Combattenti.12 E’ un romanzo nevrotico e paranoico, anarchico, ironico, satirico, con un linguaggio assai vario, misto di rottura – dagli schemi tradizionalmente letterari – e poesia. Nel 1981 il ’68 poteva sembrare lontano, ma non lo era. Il ’68 non è neppure lontano da questi primi anni del dopo 2000. Può sembrare assurdo, ma la realtà descritta dal romanzo decadavaliano è attualissima, dei nostri giorni,

- “…il romanzo ci conduce all’interno del fenomeno e possiamo cogliere anche la genericità e la superficialità con cui taluni giovani si sono accostati e se ne sono investiti – scrive Michele Prisco su Il Mattino, di Napoli, del 6 gennaio 1983 -: come quella Silvana, d’estrazione altoborghese, che si esprime con i più futili luoghi comuni e sembra più preoccupata di conquistarsi certe libertà sessuali che far valere certe ragioni ideologiche”. 11 - “È fin troppo evidente – afferma Aldo Di Lello su Il Secolo d’Italia del 13 giugno 1982 – l’intento dell’autore di trattare con distaccata ironia un fenomeno politico per restituircelo nelle sue dimensioni

umane, lontano dai luoghi comuni con cui è stato continuamente dipinto”. 12 - Giancarlo Pandini, su Corriere del Giorno, del 27 ottobre 1981, scrive: “Un romanzo che rivisita le spinte e le illusioni del ’68, i miti su cui si è infranta la speranza di una generazione, vista al microscopio da De Cadaval nel momento stesso che recupera la suggestione della vita, al di là e al di sopra dei miti e delle infatuazioni, nel suo perenne e tragico riflusso di memoria e di speranza, di lacerazione e di speranza.”

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quando si incominciava erroneamente a pensare, dopo gli arresti e le condanne, che il terrorismo fosse definitivamente vinto (tanto che da più parti si prospettava l’ipotesi di aprire le porte delle carceri agli ultimi irriducibili), in seguito alla presa di coscienza dell’intero popolo italiano, al di là dei colori politici, che aveva – si pensava definitivamente – prosciugato l’acqua nella quale il pesce velenoso si nutriva e viveva. Il terrorismo, invece, non è per nulla sconfitto. Ha semplicemente messo in pratica un detto mafioso: quando passa il

vento (o la tempesta), piegati. Così, allontanatosi il tempo dell’aspro conflitto e della vigilanza a 360 gradi, abbassata, come suol dirsi, la guardia, e continuato come prima e peggio di prima a gestire la società con intrallazzi, ruberie, negazione di ogni giustizia, e con strumenti che, invece di affiancare l’uomo, aiutandolo a risolvere i drammi quotidiani, lo opprimono e lo mercificano, il terreno fertile, sul quale le Brigate Rosse hanno prosperato per decenni, ha trovato nuova linfa, si è rivitalizzato e gli insanguinati frutti sono – per ora – 13

- Dove senza di loro, pag. 13.

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gli assassini di D’Antona e Biagi. Quando la società è senza ideali, senza nobili e tonificanti esempi, senza prospettive, appiattita sul precario presente e obnubilata dal sesso fisiologico – non dalla poesia dell’amore -, l’unico risultato non può essere che il nichilismo. Quali sogni può nutrire una gioventù costretta, per mancanza di lavoro o di stimoli, a vivere a lungo alle spalle dei padri, che corre indifferente sulle strade della morte (droga, AIDS, gare mortali nelle notti assurde delle città disumane)? L’uomo si chiude sempre più in se stesso. L’introverso Antonio di Dove senza di loro, che “non si ritrovava in alcuno dei vari anelli”13 in cui si raggruppava la società della sua sonnolenta provincia (Antonio, ripetiamo, non è quasi mai partecipativo, presente in modo diretto nei dialoghi del romanzo, i veri dialoghi sono degli altri protagonisti), non può che proliferare all’infinito, clonarsi magari nei no-global, le tute colorate, i tanti alienanti girotondi. I giovani che, apparentemente, sembrano aperti ed espansivi, camerateschi, continuando con l’attuale politica,


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non potranno che finire nel pernicioso e nella ribellione violenta, scavalcando una sinistra ottusa che non pensa ad altro che a irreggimentarli e a sfruttarli: ad usarli. Così come è avvenuto nel ’68. L’unica differenza sta nel fatto che i pescicani che, allora, scorrazzavano” con Lamborghini e le Ferrari, quelli che portavano capitali all’estero, quelli che con le loro puttane sculettanti fanno chi-chi nelle riviere”14, oggi si sono moltiplicati e appartengono anche a quei partiti che si fregiavano della falce e martello e che oggi, a fianco dei yankees, vanno per il mondo a reprimere ribellioni planetarie. Perché anche loro corrono ormai verso un capitalismo forsennato, pure ipocriti a tal punto da spolverare, in ogni circostanza che rischia di metterli alle corde, un eterno e troppo logoro fascismo: “E’ bene far entrare nella testa della gente – dice Silvana – che quello di adesso, la nostra democrazia, è il fascismo, il massimo fascismo sopportabile”15. Nulla è cambiato dal ’68 ad oggi. I nuovi tempi hanno permesso a quegli ambienti di mascherarsi meglio, oppure di buttare la maschera e lavorare allo scoperto (perché si sono allentati alcuni principi, o perché ciò che prima era assolutamente proibito oggi non lo è più o lo è di meno). Antonio, anzi: gli Antonio appartengono a una classe borghese colta e pacifica (in apparenza), ma che le continue menzogne del potere e le

eterne ingiustizie logorano. Gli Antonio del romanzo decadavaliano sono una classe disprezzata dai rivoluzionari di indole e di professione – più svelti a metabolizzare perché con meno lacci interiori -, perché, nella loro follia, la considerano marcia e ipocrita (e, nell’analisi, c’è della verità), se non rivoluzionaria al contrario: “la vostra depravazione – dice Claudio tra ironia e disprezzo -, viene dal vizio della sapienza che vi siete fatti con ignobili alfabeti. Avete fermentato un’anima reazionaria nelle descrizioni psicanalitiche, ebbri che nelle storie il bene vincesse sempre e senza il vostro contributo, abituati al male quasi fosse in provetta. Siete entrati nel castello della letteratura vendendovi le brache, pugnalando vostro padre e vostra madre. Sarà bene che roviniate al suolo, sepolti da una valanga di antologie. Vi coprirà una melma di epistolari. L’epigrafe è il vostro futuro culturale”16. Si lavorerà sugli Antonio – dai fatti, più che dalle persone, come superficialmente sembrerebbe; tutta la prima parte del romanzo è di preparazione, è una specie di laboratorio interiore -, come un pugile fa sui fianchi dell’avversario, e, alla fine, gli Antonio cadranno, presi da una febbre di follia, nemesi inevitabile in personaggi che non conoscono vie di mezzo. Antonio, alla fine, si comporta in modo febbrile, irrazionale, sconvolgendo anche Claudio, il quale, da Antonio, mai si sarebbe aspettato tanto, egli che lo aveva caparbiamente cercato perché doveva essere la via di mezzo, “bilanciare”, perché non si finisse “nei casini”17. Il romanzo, infatti, si chiude con lo sparo. Antonio uccide e Claudio gli grida – convinto, non dubbioso, con l’interrogativo, ma nell’assoluta certezza, col doppio esclamativo -: “Sei impazzito!!”18. Claudio è come scandalizzato. Eppure, nel romanzo, egli, con la donna, è il più cinico, e quante, quante volte parla di pestaggi e ammazzamenti? “pianteremo nel loro culo una baio-

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- pag. 107. - pag. 17. 16 - pag. 10.

- pag. 21. - pag. 151.


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netta, li spediremo al creatore” (con la minuscola, perché anche questo tipo di anarchismo e nichilismo doveva far parte del bagaglio dei “marmocchi folli di madri con l’amico radicale”19); “Ecco cos’è che devi dire in giro: Claudio è per spaccare il cranio al prossimo. E’ per il sangue”20. Gli Antonio decadavaliani sono tutti bombe ad orologeria, non ancora innescate. Ci vuole un nulla, un pretesto insignificante per farle deflagrare. Antonio – che si potrebbe clonare nei noglobal, nelle tute colorate e via dicendo – è sempre in bilico tra l’apparato del Partito e coloro che dal Partito sono praticamente fuori, perché lo ritengono inadeguato alla realizzazione della loro visione storica. All’azione (non al Partito) si decide soltanto all’ultimo, deludendo anche coloro che si erano assunto il compito di sconvolgere “il sistema”? La chiusa – Antonio che spara, Claudio che grida “Sei impazzito!!” – ci dice che tutto era e rimane ambiguo. Il pittore era o non era un simbolo della società che si doveva abbattere? O forse la delusione di Claudio è solo perché lo sparo doveva avvenire nel corso della lotta, dell’azione, non quasi a freddo, nel cortile di casa? A parte i caratteri dei protagonisti, in Dove senza di loro si potrebbero scoprire, addirittura, teorie legate al filo lungo delle filosofie (non ci si scandalizzi) salgariane (non eroiche, però, non sociali), non proprio idealiste (Antonio, in effetti, non ha grandi ideali), ma da cui certamente mediano le guerre e le guerriglie che hanno, nel mondo, affollato tutto il Novecento. Ma, non meno, l’Ottocento, è un salgariano si potrebbe vedere in Mazzini, ancor di più in Garibaldi. Tutti mediamo a questo mondo. Viviamo di lasciti, materiali e morali e ci nutriamo di frutti nati sulle scorie fertilizzanti di miliardi e miliardi di cadaveri. Molti hanno mediato da Salgari, Salgari ha mediato da altri. Domenico Defelice

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ARDEATINE ’63

Eroe senza senso preso chissà perché tra la gente, preso mentre uscivi di casa e avevi in bocca il sapore della prima colazione e nel cuore l’ansia di fare qualcosa; preso e portato, ombra nel muro senza scopo finito. Eroe senza significato senza gesta, senza lucidità: non una fronte alta da mostrare o qualcosa da rinnegare ma uomo di fronte al muro segnato nell’argilla limacciosa della casa. Eroe senza ideologia ma con una luce interiore che tutta rischiara l’umanità: un sacrificio per essa. Ti sei sacrificato per essa come si è mai sacrificato nessuno: il tuo morire è grande perché non dovevi morire. La tua tomba raccoglie preghiera perché eri solo nella preghiera quotidiana. Piccolo impiegato, imprenditore, funzionario, chissà chi eri, studente, professore, uomo, donna, non ha importanza nell’anagrafe del martirio. Simbolo d’amore prima ancora di essere simbolo immagine di sofferenza prima ancora di essere immagine faccia senza rotocalco parole senza prima pagina vittima semplice nel crepitare dei luoghi comuni. Rudy De Cadaval

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- pag. 27.

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- pagg. 102 – 103.


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Adesso comprendo perché, trascorso oltre un anno di pandemia, un paio di mesi fa, mi ha telefonato, insieme con Claudia, ricordando alcuni incontri e progetti letterari: a pensarci bene doveva sentirsi vicino al grande viaggio, significava lo stile di congedarsi dagli amici. Quando una persona di nostra conoscenza ci lascia, ci prende la tristezza; se poi riguarda un caro amico è come se andasse via una parte di (1° gennaio 1933 – 13 agosto 2021) noi stessi, segnando un gran dolore. Nella doppia veste di recensore e di amico, non posso di Tito Cauchi fare a meno di evocare alcuni ricordi. La mia esperienza letteraria è iniziata con la rivista ON sentimenti di amicizia e rispetto Pomezia-Notizie, attraverso la quale cominnei confronti della poetessa Claudia ciavo a conoscere il nome di Rudy De Cadaval Formiconi, moglie di Rudy De Cadache, ben presto, intuii nativo di Verona e a val, vergo queste righe che mai avrei voluto pubblicare le mie impressioni sulle sue opere. segnare, tuttavia per quanti l’abbiano conoFu così che a una mia recensione il Poeta mi sciuto diffondo la seguente notizia. Rudy De scriveva (in data 2 agosto 2001, al recapito Cadaval se n’è andato nelle prime ore di vedella Rivista, non conoscendo il mio indinerdì 13 agosto, in Arcinazzo Romano, era anrizzo): “Lei apre il Suo intervento citando il ricora buio. L’annuncio si è propagato fra amici conoscimento ricevuto Il poeta del Millennio. ed estimatori, a cominciare da Pasquale MonRicevere un riconoscimento fa sempre piatalto, Domenico Defelice, nonché dalla stessa cere. Ma, onestamente, le sembro un poeta Claudia Formiconi alla quale, mia moglie e io, così importante? Nel mondo ci sono altri poeti abbiamo telefonato, non solo per fare sentire la assai di valore che meriterebbero un tale riconostra vicinanza, ma perché increduli, speranoscimento. Sono candidato al Nobel. E alvamo di avere capito male. Non so se ci siano lora? Per la mia pochezza è come averlo riceforze misteriose che trasmettono messaggi fra vuto. Non ci spero.” Proseguendo spiegava: “E gli spiriti o le intelligenze, fatto sta che la notipoi al di là dei riconoscimenti o dei premi c’è zia mi giunge mentre stavo meditando su una la parola scritta. Infatti ritengo che la parola bozza di lavoro riguardante l’Amico e ne rifescritta è l’unica che rimane, tutto il resto se ne rivo a mia moglie. va con il vento e il trifoglio.” Senza atteggiarsi da intellettuale o da star, tutt’altro. Devo riconoscere che è merito del prof. e amico Domenico Defelice fare sì che lettori e scrittori della Rivista che dirige, non rimangano semplici nominativi stampati; così alla prima occasione incontriamo, lui e io, i coniugi De Cadaval durante una visita a Roma (EUR, 26 Da sinistra: Tito Cauchi, Rudy De Cadaval, Domenico Defelice giugno 2002). Da quel e Claudia Formiconi, moglie di De Cadaval - Roma

Rudy De Cadaval

Addio Autore Antipoeta all’anagrafe Giampaolo Campedelli

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momento i nostri scambi letterari si intensificano e nel contempo l’amicizia si consolida con una nutrita corrispondenza, telefonate e perfino con l’incontro ad Anzio, presso uno stabilimento ristorante balneare dove i coniugi Rudy e Claudia trascorrevano una vacanza; e qualche giorno dopo rinnoviamo l’incontro a cena, in casa mia, con altre mie amiche scrittrici (agosto 2007). Segnerò due brevi tracce per indicare la complessità artistica e umana di Rudy De Cadaval. Breve profilo letterario di Rudy De Cadaval Nel panorama culturale non saprei come definire in modo condensato Rudy De Cadaval, difatti l’ho conosciuto come poeta e scrittore, saggista e traduttore, e man mano autore di opere teatrali e non solo. Ha avuto una vita complicata fin dall’infanzia, vissuta durante la Guerra; una vita costellata di eventi di varia natura, in ambito affettivo, sentimentale, cinematografico; nel mondo della cultura ha conosciuto personaggi considerati “mostri sacri”, attori e artisti, scrittori nazionali e internazionali. Ha intessuto amicizie fra i più in vista nel mondo dello spettacolo e della cultura; per esempio ha avuto l’attenzione critica da parte di cinque Premi Nobel (Ernest Hemingway, Salvatore Quasimodo, André Maurois, Vicente Aleixandre, Eugenio Montale) e di moltissimi altri ancora. La sua produzione è fortemente impregnata di autobiografismo, in ciò potremmo vederci una sorta di ricerca di sé. Un uomo dagli aspetti molteplici e dalla vita avventurosa, fattosi da sé; dal garzone di bottega alla bella vita in tutto il mondo e al comando di uno yacht. Il fisico prestante e la bella figura lo fecero partecipare ad alcuni film e alcune rappresentazioni teatrali. Emerge l’impegno sociale, la rabbia verso la società e il desiderio di migliorarla. Perciò non ci meravigliano per le numerose sfaccettature, di romantico sentimentale e impetuoso, e cittadino legato alle sue origini. Nelle sue opere è percepibile un suo calvario

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personale e la condivisione dei mali che affliggono l’umanità. La sua vita avventurosa me lo trasfigurava in un personaggio e non nell’autore di cui cercavo di individuare il profilo. Sia come poeta, sia come un personaggio si colloca fuori dal tempo, entro un vasto panorama comprendente personaggi di spicco nel mondo delle arti e della letteratura e protagonista di avventure. De Cadaval è coerente con il suo essere uomo nelle sue opere. Nelle sue vicende umane la vita e la morte si specchiano, si ripetono, si rincorrono, viaggiano insieme; e lui, il Poeta, reclama il suo esserci in una intensità interiore varia. E si potrebbe continuare. Rudy De Cadaval quale Critico lo vediamo nei saggi, fra cui, su Omar Khayyam, Vicente Aleixandre, Salvatore Quasimodo, Oscar Wilde, Emilio Salgari, Kafka, Pasolini. E quale oggetto di critica lo vediamo in: Orazio Tanelli, 1988, che lo colloca tra i grandi in Rudy De Cadaval; Liano Petroni, 2001, La certezza della poesia; Domenico Defelice, 2005, Una vita per la poesia. Vasta è la sua produzione di cui alla Bibliografia di Rudy De Cadaval, a cura di Claudia Formiconi, del 2008. Non ho fatto in tempo ad aggiungere all’elenco la mia monografia, di cui il mio Amico era a conoscenza. Breve biografia di Rudy De Cadaval Rudy De Cadaval, figlio di Giovanni Campedelli operaio delle ferrovie (come Quasimodo), e di Carolina Elvira Carli, nasce a Verona il 1° gennaio 1933. La biografia è interessante ai fini di una esegesi rigorosa, volendo porre le opere in relazione con la vita dell’Autore; ripeto, la sua vita è un romanzo per la ricchezza di episodi cui è costellata. A dieci anni (5^ elementare) mostra vivace fantasia, viene castigato dal maestro perché non viene creduto autore di un poemetto scritto dal fanciullo. Da lì a poco viene allontanato dalla scuola per avere sputato sul gagliardetto fascista durante una sfilata. Fa da garzone di bottega presso uno stampatore, si


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appassiona della stampa artistica, conosce alcuni pittori che lo prendono a ben volere; uno di essi assassinato, viene scoperto in una pozza di sangue dal giovane poeta. Fanciullo scampa ben quattro volte la morte a seguito di crolli finendo sotto le macerie durante i bombardamenti; una quinta volta viene minacciato al bar da un maggiore delle SS con la pistola puntata sul viso. Ancora, l’anno successivo una caduta gli compromette la vista, con conseguenze durature. Adolescente lavorava presso la sua città di Verona, o si recava a piedi presso un bar a Quinzano, località distante otto chilometri dalla città; ha lavorato a Genova presso un hotel, a Gardone (in provincia di Brescia), ecc.; intanto crescendo si appassiona della lettura di Voltaire, Dickens e dei nostri scrittori classici (Dante, Foscolo, Leopardi, ecc.); nel frattempo interpreta piccoli ruoli in film come ‘Spartaco’, ‘Giulietta e Romeo’, ‘Le signorine dello 04’. Nasce in lui la passione per Marx, Gorkj e Shakespeare. A diciotto anni presta servizio militare di leva in marina. (1953-1960) Giovane fra i 20-27 anni continua le sue partecipazioni a film come ‘La luna e tu’, ‘Laura nuda’ (di cui ha scritto la sceneggiatura) e intanto scrive poesie. Viaggia in Europa (Spagna, Svizzera, Monaco, Salisburgo, Parigi, Venezia, Bari), va a New York, India, Sud America, poi Sud Africa; va a Bucarest quale delegato della Camera Confederale del Lavoro, ove partecipa al Congresso della Gioventù Democratica Mondiale. In ogni luogo incontra, conosce e ha frequentazione o intrattiene rapporti di amicizia con personaggi di notorietà internazionale; solo per fare degli esempi, Ernest Hemingway, Kirk Douglas, Lex Barker, Rock Hudson, Igor Strawinsky, Charlie Chaplin, Henry Belafonte, Ezra Poud scrittore americano che viveva in Italia, Jean Cocteau accademico di Francia, Salvo Randone, Ignazio Silone, Enrico De Nicola ex Presidente della Repubblica presso cui è ospite, Neda Naldi, Mario Del Monaco, Maria Callas, Alberto Sordi, Marisa Allasio, Michel Morgan e Claudia Cardinale,

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Chelo Alonso e Manuela De Cadaval ballerine. Di quest’ultima si innamora, ma il loro amore non potrà coronarsi perché lei muore in seguito ad un incidente stradale; il nostro poeta, al secolo Giampaolo Campedelli, in sua memoria ha assunto lo pseudonimo che conosciamo. (1961-1970) Un nuovo amore: sposa Grazia Corsini che gli darà due figli (Alex e Laura). Continua a conoscere personaggi del jet set internazionale come Alain Delon e Romy Snaider, Nino Castelnuovo, Katherine Spaak, Pier Paolo Pasolini, Leonida Repaci, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Dino Buzzati, Alberto Moravia, Fulvio Tomizza, Sylva Koscina, Raf Vallone, Jaques Prévert. Intanto dirige un night club a Matera. (1971-1980) Si stabilisce definitivamente a Verona ove apre una prima Agenzia editoriale, poi in sostituzione di essa, una seconda. Intanto fra le sue conoscenze si ascrivono Primo Levi, Mario Di Biasi che gli dedica una monografia (“R. De C. in controluce”); una monografia gli viene dedicata da altri scrittori “R. De C. visto da Silvio Micheli, Domenico Defelice e Osvalda Rovelli De Riccio”; non smette di viaggiare, in particolare con la sua ‘barca’ per le coste dei Balcani. (1981-1988) Viene incisa una edizione discografica di “Un poeta, una donna e il mare” con la voce di Arnoldo Foà e commento sonoro di Evelin Kheer, artista vincitrice di Oscar. La sua attività non si esaurisce qui. L’ultimo lavoro, a me noto, è del 2018, Il turbinio della vita, abbinato alla silloge del poeta psicoterapeuta Pasquale Montalto, Le ragioni del vivere, le cui recensioni sono inserite nel mio volume “Pasquale Montalto, Sogni e ideali di vita nella sua poesia” (edito nel 2020). Rudy De Cadaval mi aveva parlato più volte delle sue vicissitudini familiari e nominava frequentemente i due figli, Alex e Laura, cui vanno le mie condoglianze. Fin da quando ci siamo conosciuti lamentava la debolezza della vista e negli ultimi anni era preso da sconforto; per uno scrittore è come


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essere un’aquila dalla vista acuta che abbia le ali tarpate. La sua assenza lascia un grande vuoto nel panorama culturale italiano, ma l’immenso suo patrimonio letterario continuerà a mantenerlo fra noi; ragione di più per non disperderne la memoria. Grazie Rudy, per quello che ci hai lasciato, rendi orgogliosi tutti quelli che ti hanno conosciuto. Poeta e non poeta; poeta fuori dall’ordinario; forse sei solo un antipoeta. Spero che tutto ciò sia di conforto a Claudia Formiconi, moglie, poetessa e scrittrice. Tito Cauchi VISITA ALLA CLINICA Tiravamo i fiammiferi per stabilire chi ci doveva andare

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Con l’aspetto di uno che si vergogna di morire. Non so di cosa si parla a uno come lui. Ci incrociavamo con gli occhi come in un fotomontaggio. Non mi chiese di rimanere, né di andarmene Non mi chiese di nessuno del nostro tavolo Né di Renzo, né di Omero, né di Camì. Insomma, chi sta morendo? Lodavo la medicina e le tre viole nel bicchiere. Raccontavo del sole e mi spegnevo. Come è bello che ci siano le scale da scendere di corsa Che ci sia il portone ad aprirsi. Che mi aspettiate al tavolo. L’odore dell’ospedale, nausea. Rudy De Cadaval

È toccato a me. Mi alzai dal tavolo. Si avvicinava l’ora delle visite. Non risponde niente al mio saluto. Volevo prenderlo per la mano – la tirò indietro come il cane affamato non dà l’osso.

Lavinio, casa Cauchi, agosto 2007. Ivana D’amore, Rudy De Cadaval, Claudia Formiconi, Concetta Cauchi, Diana Cristadoro Parra, Tito Cauchi, Olimpia D’Amore. ↓


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Settembre 2021

AFGHANISTAN, UNA LEZIONE PER L’OCCIDENTE E IN FUTURO… di Italo Francesco Baldo

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ON siamo riusciti a raggiungere ciò che ci eravamo prefissati” Così Angela Merkel, cancelliere della Repubblica Federale tedesca ha sentenziato il fallimento chiaro e veloce di far diventare l’Afghanistan uno Stato, ossia un popolo secondo i dettami della cultura “detta” occidentale. In realtà si trattava di una dimensione solo politica, ossia l’affermarsi nello Stato orientale della prassi della democrazia in politica. L’errore è palese, chi ha tentato ciò ha sbagliato e non si tratta di individuare chi abbia sbagliato, tutti hanno sbagliato, perché hanno assunto la prospettiva della sola politica per raggiungere una nuova realtà per un popolo che ha radici culturali diverse e soprattutto ben radicate come ben dimostra la storia. L’occidente, un temine un po’ generico, ha dopo l’11 settembre 2001 portato avanti la prospettiva che il cambiamento politico di certi Stati, tra cui appunto l’Afghanistan potesse dare direzioni nuove, più moderne, più attinenti al mondo occidentale che si auto-considera, leibnizianamente, il migliore dei mondi possibili, dove il meglio di quanto può avere l’uomo esiste ed è praticato. Non a caso proprio l’occidente ha puntato tutto sulla politica

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con quella nota espressione “tutto è politica”, e non ha nemmeno considerato quanto il suo mentore, quanto Voltaire ha scritto nel suo “Candido”. Quale la ragione del fallimento? La principale è quella di aver elevato un modo di governare, appunto la democrazia, come assoluto, l’unico possibile per tutti, dimenticando la grande lezione che ci viene dai pensatori greci, in particolare Aristotele, che con semplicità affermava che diversi sono i modi di governare un popolo, uno Stato. Essi sono. monarchia, aristocrazia, politica, che oggi chiamiamo democrazia. Tutti validi sé portano il bene alla popolazione. Essi degenerano in tirannide, oligarchia, democrazia, che oggi invece chiamiamo demagogia o, meglio oclocrazia. L’assolutizzazione di una modalità non è sempre possibile e non sempre è fonte di benessere. Le forme di governo dipendono da una cultura che è propria di una popolazione, nel caso afghano da una cultura che affonda le proprie radici nel Corano e nella prassi che da esso deriva. È una visione del mondo che ha almeno 1300 anni e se non appare così radicata nelle città, ma è discutibile, lo è invece nell’animo stesso della gran parte della popolazione. Questa ha subito le invasioni, le pressioni di diversi popoli, ultimi i Russi e di coalizioni, quella del recente fallimento. Nessuna è stata una vera proposta che all’interno della dimensione culturale propria del popolo afghano. Sono apparse sempre come una imposizione, da “sopportare”, ma anche da combattere, mentre ministri degli esteri immaginavano una realtà che non esisteva e soccorritori lo facevano proprio in nome di quel cambiamento che non era né sentito né vissuto dal popolo. L’esempio ultimo ne è la prova, un esercito foraggiato, addestrato dagli “occidentali” si è di fatto sciolto in qualche giorno, ovvero è ritornato ad essere “afghano”, indipendente dal volere di chi aveva occupato il territorio della nazione. Questo risultato forse può inse-


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gnarci che i processi di cambiamento culturale, tra cui appunto la politica, non possono essere imposti, ma se adeguatamente proposti, forse accettati e fatti propri da un popolo. L’aspetto più importante è che i processi culturali non sono veloci, talora possono apparire tali, come nel caso delle dittature totalitarie, ma è più un adeguamento un “tirare spesso a campà”, che non una vera accettazione e introiezione di quei contenuti. Il caso dell’Unione Sovietica ce lo dimostra. Una dittatura imposta con le armi e la forza, attraverso un controllo poliziesco, una costrizione culturale ad accettare contenuti non propri, la distruzione quasi sistematica dell’avversario anche fisicamente (gulag, in altro Stato lager), tra tutti il caso Pavel Aleksandrovic Florenskij, non ha prodotto dopo quasi 75 anni una nazione, uno Stato “comunista” come orgogliosamente aveva proclamato Leonid Breznev. E per rimanere in Italia, 20 di fascismo non hanno fatto gli Italiani tutti fascisti, come la dittatura del politically correct, che oggi sembra dominante e che altro non è che una moda, uno smart, di breve durata nei suoi contenuti, proposti e subito consumati. I cambiamenti culturali sono lenti, anche se possono avere delle accelerazioni, ma queste lo possono essere perché vi è già un “terreno” disponibile”, altrimenti cadono. In secondo luogo i contenuti culturali profondi non mutano in qualche decennio, basti ricordare quanto tempo ha impiegato il cristianesimo ad essere un riferimento pressoché generalizzato nell’ Impero Romano, circa 300 anni, ma, come ricordano i martiri dell’Anaunia non di tutte le valli, trentine in questo caso. Forse dalla chiara sconfitta dell’obiettivo che l’occidente si era prefisso di raggiungere, potremo imparare che la via della coesistenza tra popoli, culture diverse passa da ben altre vie, compresa quella della seta, queste sono quelle della proposta di una coesistenza pacifica, di una non ingerenza nella cultura e nella prospettiva degli Stati, e di un rispetto anche di quello che “non ci piace”, verso il quale un atteggiamento di proposta alternativa può essere più efficace delle bombe e dei mille miliardi di

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dollari spesi in Afghanistan. Infine che la politica e la sua realizzazione, la democrazia che è una realizzazione di vita sociale contingente e non assoluta, ha dei grandi limiti e che essa dipende, ben lo scriveva pure A. Rosmini, prima di tutto dall’assunzione di una dimensione morale, che non è quella della moda e delle convenienze singolari. Italo Francesco Baldo

In libreria, ma acquistabile anche in Internet:

…pregevole pubblicazione dalla quale emerge la personalità versatile del maestro Tripodi, artista eclettico, spirito creativo, il cui talento ha varcato i confini nazionali. Domenico Defelice, giornalista e direttore di Pomezia Notizie ne traccia un profilo completo ed appassionato… Anna Manzi Su Fiorisce un cenacolo, aprile-giugno 2021.


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RESISTENZA, IL TUO NOME È DONNA Il bel libro di Pati Luceri di Giuseppe Leone

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ON una presentazione di Anna Caputo, presidente dell’Arci provinciale di Lecce, che dichiara subito la sua soddisfazione per il presente lavoro, perché “mette fine all’idea che le donne abbiano avuto un ruolo solo complementare nella Resistenza, che siano state risparmiate alle atrocità in quanto donne, che il loro lavoro sia stato tutt’altro che secondario” (5); e una prefazione, in cui l’autore invita le giovani generazioni … a ricercare, nelle sei province pugliesi i figli e le figlie, i nipoti e le nipoti, i parenti, delle settantamila donne che parteciparono alla Resistenza nel nostro Paese, per restituire un nome e un cognome a tutti i tasselli

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mancanti” (7), Pati Luceri, già scrittore di altri testi come Partigiani e antifascisti in terra d’Otranto (2012), I deportati salentini leccesi nei lager nazifascisti (2015) o, ancora, Partigiani e deportati deceduti di Bari e provincia (2019), ha pubblicato nel marzo 2021 Brillan nel cielo … Le donne della Resistenza, le decorate al valore, le partigiane pugliesi, edito dalle Grafiche Giorgiani di Castiglione (Lecce). Un volume, nel quale si propone di ricostruire quel bellissimo mosaico che prende il nome di Resistenza, che non sarebbe stata, come l’ha descritta finora la storiografia ufficiale, una guerra combattuta solo al maschile, con le donne sullo sfondo e in penombra, ma che è stata, a tutti gli effetti, una lotta di popolo e del popolo, per la prima volta in Italia, con la partecipazione di uomini e donne nello stesso tempo. Lo fa, in otto capitoli di varia lunghezza, con tanto di note e bibliografia, attraverso i quali recupera i giorni della Resistenza, partendo dal territorio pugliese, per poi espandere la ricerca anche in altre regioni italiane e raccontare, in particolare: “L’attività antifascista prima dell’8 settembre; “Il 1943, un anno decisivo nella Storia italiana”; quindi, “Le efferatezze dei tedeschi, in Puglia, durante la ritirata, dal 9 settembre al 20 ottobre 1943. E poi, ancora, i nomi delle “134 … pugliesi, fra partigiane, patriote, staffette e benemerite”, “Invisibili, dimenticate, ignorate”; e la “scarsa considerazione se non addirittura, pettegolezzo, infamità, umiliazioni, emarginazione”. Infine le 119 partigiane decorate con la Medaglia d’oro al valore militare tra cui 15 alla memoria. Il tutto attraverso centinaia di biografie, la maggior parte corredate di fotografie delle donne resistenti, di lapidi che ne testimoniano il sacrificio, di attestati di medaglie d’oro, d’argento e bronzo, al merito civile e al valor militare, per attività partigiana; di testate di giornali e riviste, “perché non si è ancora saputo, e diversi sono stati i motivi: - scrive l’autore - perché le partigiane non vollero che si sapesse; perché non seppero della domanda da inoltrare; perché ritenevano di aver compiuto


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soltanto ciò che andava fatto e quanto bastava; perché pur avendo collaborato e rischiato più volte la vita, non avevano impugnato le armi” (7-8). Chiudono il libro due interviste: la prima, a Rosi Romelli, partigiana già a tredici anni, assieme al padre, vice comandante della 54ª brigata “Garibaldi”, e alla madre, che condivideva con babbo Luigi gli stessi ideali di resistenza, che rievoca gli anni terribili della lotta partigiana, svoltasi in condizioni disagiate, con poco vestiario e poco cibo, e poche armi, ma tanta voglia di libertà (157-158); l’altra, a Maria D’Itria Licheri, oggi ex maestra in pensione, che, non ancora novenne il 26 settembre del ’44, aveva assistito al ferimento a morte della madre Maria Teresa Sparascio, staffetta partigiana, a Langhirano, dove viveva allora la sua famiglia e dove suo padre Efisio prestava servizio di carabiniere; e che così descrive quel tragico giorno: “un plotone di tedeschi, venuti (dalla vicina) Parma, in seguito ad informazioni sulle attività partigiane di papà, ma anche e soprattutto della mamma … si piazzò proprio di fronte alla nostra casa e puntarono la mitragliatrice verso i finestrini della soffitta dove abitavamo: videro la mamma che cercava di chiudere le imposte e subito spararono più e più volte colpendo lei ai polmoni e punteggiando la parete di fronte di decine di fori in cui le pallottole si disperdevano. Io mi trovavo dietro la mamma e solo per fortuna non venni colpita alla testa. Mi gettai su di lei, immersa in un lago di sangue che ancora ricordo rabbrividendo. Le mie sorelle erano riuscite a scappare in cantina, poi, su i tedeschi assassini per verificare se l’obiettivo fosse stato raggiunto. La mamma respirava ancora ma non vollero trasferirla all’ospedale. Io non volevo separarmi da lei, e alcune persone amiche, dopo la partenza dei tedeschi, mi staccarono a fatica dal corpo di mamma. Ero anch’io tutta insanguinata” (161-162). Quello che colpisce, allora, sfogliando le 168 pagine di questo volume, impreziosito in prima di copertina da un’illustrazione della professoressa Francesca Leo, che dilata spazi

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e tempi della Resistenza, attraverso un medaglione in cui compaiono in senso orario dal basso verso l’alto i volti di Angela Davis, Rosi Romelli, Monica Erti, Ada Gobetti, Ebru Timtik, Carla Capponi, Leyla Rhaled; e in quarta, da alcuni aforismi sulla Resistenza a firma di Piero Calamandrei, è la passione umana e civile che spinge Pati Luceri a raccogliere materiali, aneddoti, storie da raccontare, documenti … per dare un senso alla micro-storia affinché ogni memoria sia traccia indelebile, testimone della Resistenza … e perché ognuno dei lettori e delle lettrici di quest’opera possa farsi un’idea di ciò ch’è successo e, con lo sguardo rivolto al passato, diventare ancora di più protagonista del futuro (7). Un testo bello e interessante che Luceri ha voluto pubblicare in tempo per l’8 marzo scorso, per onorare la giornata internazionale della donna, con l’obiettivo di fornire un contributo alla conoscenza delle donne nella Resistenza, in particolare, di quelle settantamila partigiane italiane, fra centinaia di cittadine pugliesi, combattenti della Guerra di Spagna, partigiane, patriote, staffette e donne deportate decedute nel lager, persino suore, come suor Enrichetta Alfieri, suor Caterina Del Savio, suor Maria Luigia Pucheria, suor Cecilia Vannucchi, suor Jole Zini, che non si sono sottratte al sacrificio. Ma non solo bello e interessante, Brillan nel cielo … è anche un libro utile e pedagogico, perché insegna a considerare la Resistenza nella sua effettiva, completa realizzazione, come un fatto che ha riguardato uomini e donne, e non l’epopea di soli uomini. Ed era ora, per esprimere, se non una polemica, almeno un forte risentimento nei confronti di questa smemorata e ancora incompiuta Repubblica come la nostra, se dopo 75 anni si contano 12 presidenti uomini e donne nessuna. Dodici, quanti gli apostoli nei vangeli, le ore del giorno e della notte, i mesi dell’anno, le case dello zodiaco, le stelle nella bandiera dell’Unione Europea: un numero dalla beneaugurante simbologia per indicare la fine di un ciclo e l’inizio di una trasformazione?


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Non occorre molto tempo per scoprirlo. Pochi mesi ancora e il Parlamento italiano sarà convocato per eleggere il nuovo capo dello Stato. Pati Luceri non lo dice espressamente, ma che attraverso il suo libro invochi, tra le righe, una donna al Quirinale, non è poi così difficile immaginarlo. Giuseppe Leone Pati Luceri: Brillan nel cielo …, Grafiche Giorgiani Castiglione Lecce, 2021, Pp. 168.

RITO FUNEBRE Venivo qui, viandante senza progetto d’avventura, nei giorni gravi d’autunno, ad assaporare la quiete dei viottoli deserti, del bosco e degli ulivi spogli di drupe, immersi nella scarna luce d’albe umide di guazza e profumate di ciclamini. Natura abbandonata, con segni di malinconia tra rami perdenti foglie a soffi di venti boreali. Venivo a primavera quando il sole s’inarcava sulla collina e fiero volgeva a Mezzogiorno il sorriso. Torno ora, laico sacerdote, a celebrare il rito funebre di questa Amica bruciata viva, messa al rogo per l’esercizio di bontà, castità e amore che elargiva a suoi figli d’ogni specie, veste e colore. Inerte, su nero immenso catafalco, giace supina, arsa e inaridita, vittima incolpevole di biechi folli figli assassini. A te, Madre, questi versi a ricordo d’un dolore che ti colse e ti estinse a lampi di fiamme, che ancora avvampano nei cuori di quanti ti videro morire. Antonio Crecchia 4 agosto 2021, Termoli, CB

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Il 1° agosto, a Termoli e dintorni, abbiamo avuto una giornata d’inferno: 100 ettari di pineta distrutta a Campomarino, 500 ettari di terreno bruciato a Guglionesi, altri a San Giacomo, alle porte di Termoli, per un totale di quasi mille ettari di terreno divorati dalle fiamme, molti dei quali coltivati a ulivi. Antonio Crecchia

. LA MUSICA Bastano i suoni della sua melodia a comunicare sentimenti e sensazioni e con il ritmo esprimere allegria o sofferenza, dolcezza o dolore. La musica col ritmo e con la melodia comunica senza parlare, perché è la musica un discorso fatto senza parole. 23 giugno 2021 Mariagina Bonciani Milano

LA SCALA DI JACOB Siamo portati su una scala mobile, ne scorriamo i gradini stando fermi fino a che rientra l’ultimo scalino. Ti lascio, figlio, una scala di legno; è una scala a pioli fatta a mano eretta in verticale verso il cielo: devi scalarla come un sesto grado. Ogni gradiente ne genera un altro perché è una scala che non può finire finché senti il bisogno di salire. Corrado Calabrò Da La scala di Jacob, Premio Città di Pomezia 2017, Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie.


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ERIK PESENTI ROSSI FORTUNATO SEMINARA lettore e critico di Domenico Defelice

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N saggio onesto, che mette a fuoco pregi, difetti e contraddizioni di uno scrittore che visse quasi sempre in solitudine nella campagna di Maropati; i tentativi, quasi sempre senza successo, di allacciare e consolidare amicizie senza, però, dover uscire da quell’ambiente; fallimenti dovuti, anche se in parte, al suo carattere e al suo orgoglio e non soltanto alle chiusure da parte degli altri. Questo e altro e il tutto attraverso rimandi alle opere e sulla base sapiente del riporto, sicché il grosso volume è pure una ghiotta antologia. Erik Pesenti Rossi si serve anche dei più minuti appunti vergati da Fortunato Seminara, e non solo dei diari, delle tante testimonianze. L’indagine è corale, come corale e nitida emerge la figura dell’artista giornalista e critico. Pesenti Rossi è uno degli investigatori che più ha lumeggiato negli anni

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l’ombroso maropatese, sempre sulla scorta dell’abbondante materiale - non del tutto ancora esplorato -, messogli gentilmente a disposizione dalla Fondazione al Seminara intestata; un altro importante suo lavoro è, infatti, Vita di Fortunato Seminara, scrittore solitario, edito sempre dalla Pellegrini nel 2012. Fortunato Seminara lettore e critico è composto da una breve Introduzione, da quattro lunghi e corposi capitoli e da una Conclusione; quasi trecento pagine che si leggono volentieri per il contenuto e per la chiarezza dell’esposizione. Il primo capitolo riguarda la “formazione dello scrittore”; nel secondo, il critico evidenzia il rapporto di Fortunato Seminara con i sicuri suoi modelli, gli autori russi, Tolstoj e Dostoevskij in testa, ma anche gli italiani Pirandello, D’Annunzio e Manzoni e ancora stranieri: Hamsun, Zola. Il mondo misero, depravato e per certi aspetti anche perverso (lo sfruttamento e la sottomissione, per esempio, di donne e bambini) della società russa e calabrese quasi si equivalgono; mondo che, in parte, anche noi abbiamo vissuto, essendo quel che Seminara definisce “inferno calabrese” -, ancora presente negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. Fortunato Seminara è uomo orgoglioso, consapevole del proprio valore, ma non esente da una punta di superbia quando afferma di non conoscere alcuno “che possa stare al (suo) confronto”, anche se le sue osservazioni sul comportamento altrui sono esatte (il far finta, per esempio, quando li va a trovare, di essere eternamente impegnati con editori e quant’altro). In lui non manca la contradizione, a volte mitigata dall’ironia, come quando, pur disprezzando gli scrittori salottieri e sempre presenti sugli schermi televisivi, propone, o prevede, che nel futuro i poeti e gli scrittori debbano leggere le proprie opere negli stadi. Ma chi è esente da contraddizioni? Prendiamo, per esempio, Piromalli, suo parente e critico, che, anche secondo Seminara, non fa altro che menare fendenti a poeti e scrittori per aspetti che, poi, pari pari si trovano, se le si leggono – e noi


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l’abbiam fatto -, nelle sue poesie! Scrive Pesenti Rossi: “È strano che Seminara, sempre molto sensibile all’adesione della lingua alla materia e ai ceti descritti, critichi la lingua usata da Malerba il quale cerca di raccontare le cose come sarebbero raccontate da personaggi dei posti evocati, con una lingua parlata”; se, poi, circa il contenuto e il linguaggio usato da Malerba, egli avesse o no ragione, è altro discorso, e qui non lo si intende fare. “Nei primi due capitoli di questo studio – afferma Pesenti Rossi nella “Conclusione” -, mi è sembrato opportuno ricordare quale fu la formazione intellettuale e umana di Fortunato Seminara, anche a costo di ripetere quello che già scrissi nella mia biografia dello scrittore”. C’è, però, tra l’uno e l’altro qualche importante differenza. Mentre il secondo capitolo, come abbiamo accennato, è particolarmente quello dei modelli letterari, il terzo, poi, è dei letterati incontranti quasi tutti direttamente e delle frequentazioni, anche se, quasi sempre, assai sporadiche. L’autore con il quale ha avuto la relazione più stabile è forse Mario La Cava. In questo terzo capitolo troviamo personaggi e fatti che ci hanno almeno sfiorato. Diciamo, per esempio, del giovane e sfortunato poeta Rosario Belcaro, morto in un ospedale napoletano, affetto da un morbo devastante e implacabile. Di lui abbiamo recensito le poesie; con lui abbiamo intrattenuto una fitta corrispondenza, specie nel periodo del ricovero, e molte delle sue dolorose lettere a noi indirizzate oggi si dovrebbero trovare nella Biblioteca di Anoia (Reggio Calabria), perché facenti parte di una donazione di libri e materiale documentario richiestici da quella Amministrazione nel febbraio del 2009. O come, ancora, il Miracolo dell’immagine sanguinante della Madonna in una casa di Maropati, da noi visitata, e sul quale abbiamo pubblicato, nelle nostre edizioni di Pomezia-Notizie, nel 1982, il corposo volume di Cristoforo Laganà: Le tre ipotesi di un prodigioso evento. Anche questo volume fa parte della Donazione al Comune di Anoia, come lo è una lettera dello stesso Seminara. Per non dire de La Procellaria, la bella rivista

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reggina fondata e diretta da Francesco Fiumara, alla quale abbiamo collaborato abbondantemente, assai più di quanto non l’abbia fatto Seminara, del quale Pesenti Rossi, in questo libro riporta, tra l’altro, l’articolo “Ricordo di Silone”, apparso sul numero 3-4 del 1979, interamente dedicato a questo scrittore abruzzese. Gli scrittori e i poeti dei quali Seminara si interessa come critico, in questo capitolo, sono tanti e tutti degni di rilievo; annotiamo, comunque, i nomi di Corrado Alvaro; il già ricordato Antonio Piromalli, che noi abbiamo incontrato spesso a Roma, in conferenze tenute, per esempio, presso l’Editore Gangemi, del quale su Pomezia-Notizie abbiamo ospitato diversi saggi; Riccardo Bacchelli; Carlo Bernari; Giuseppe Berto; Italo Calvino; Lorenzo Calogero; Carlo Cassola; Vasco Pratolini; Libero De Libero; Alfonso Gatto, Giuseppe Gironda, Mario La Cava, Eugenio Montale, Elsa Morante, Alberto Moravia, Giovanni Papini, Pier Paolo Pasolini; Cesare Pavese; Michele Prisco; Domenico Rea; Leonida Repaci; Rocco Scotellaro; Saverio Strati; Gilda Trisolini; Elio Vittorini; Domenico Zappone… Non di tutti si è interessato a fondo e per alcuni ha avuto un vero e proprio odio. Moravia, per lui, era un “culo rotto!”; avrebbe voluto incontrare Montale, ma solo per “vederlo davanti, grosso e massiccio, forse flaccido (…) scrutare la sua faccia, capire di che cosa è fatto il successo mondano”; Pasolini, un “sinistro”, perché vide nei calabresi solo “vermi e biechi delinquenti”, il motivo, cioè, per il quale anche noi l’abbiamo attaccato ferocemente attraverso “Calabria”, “epigramma per un denigratore” apparso in 12 mesi con la ragazza, silloge edita da La Procellaria nell’aprile 1964: “Pure un certo Pier Paolo,/quaggiù venuto a “pasolineggiare”,/madre ti vide e ti descrisse/di ladri, d’assassini e sensuali”. Anche di Repaci ne dà il carattere azzeccato: sempre tronfio e pronto agli scherzi, come quello architettato, insieme ad Aldo Palazzeschi, nei nostri confronti, allorché, presso la sede centrale della SIAE a Roma, sedevamo allo stesso tavolo, assieme all’amico carissimo Vincenzo Fraschetti e a


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Giulio Andreotti. Pochi veramente i rapporti positivi tra Seminara e gli altri; egli è stato scostante anche con quei poveri che sceglie come protagonisti dei suoi romanzi. “Infatti – scrive Pesenti Rossi -, nella vita, non si amavano. (…) Questo è vero, ma riguarda soprattutto – prosegue il critico – la solitudine e la sofferenza che condivideva con i suoi personaggi più importanti, i quali non sono contadini, ma già piccoli borghesi”. Nel quarto capitolo abbiamo “Gli articoli di critica” di Seminara, naturalmente commentati, dove si scende più nei particolari grazie anche alla concretezza dei riporti – spesso pezzi completi -, su scrittori, poeti, pittoriscultori (tra cui Alessandro Monteleone, del quale, per esempio, è la statua di Giuseppe Garibaldi posta a Reggio Calabria di fronte alla stazione centrale). Nello scrivere d’arte, “Seminara sembra perfettamente a suo agio – afferma Pesenti Rossi - (…); forse perché si sente più libero. Molto spesso, parlando di un’arte che non è la sua, lo scrittore si sente disinibito, e sentendosi meno osservato, ma anche fuori di ogni rivalità e competizione, non ha più nessuna necessità di essere severo e di pronunciare giudizi recisi (a volte ingiusti).” Sebbene – come chiarisce più volte il critico -, Seminara parli e discuta sempre pro domo sua, parli, cioè “sempre della sua” narrativa, noi ci sentiamo d’accordo quasi in tutto su quel che afferma in “Succhi nativi della letteratura meridionale”, giacché quel tema non è né vecchio, né superato e basta prendere una qualunque antologia, tra quelle pubblicate a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso fino ai nostri giorni, per rendersi conto quanti poeti e narratori meridionali siano del tutto ignorati. La questione, cioè, già dibattuta anche più volte sulle pagine de La Procellaria da Francesco Fiumara e altri, c’era, c’è e resterà ancora a lungo e sarebbe semplicemente cieco e sordo uno che caparbiamente continuasse a ignorarla. A pagina 209, alla nota 104, Pesenti Rossi scrive: “Articolo pubblicato forse su La Procellaria sicuramente nel 1969. Sulla fotocopia

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dell’articolo pubblicato non appare nessuna testata di giornale o rivista”. Lo rassicuriamo: l’articolo recensivo di Seminara è a pag. 247 di quella ormai mitica rivista, Anno XVII – N. 4, ottobre-dicembre 1969. Domenico Defelice ERIK PESENTI ROSSI: FORTUNATO SEMINARA lettore e critico, Luigi Pellegrini Editore, 2018 – Pagg. 296, € 18,00

PRIMO AGOSTO 2021 La prava genia dei piromani, che ogni brutalità avanza per anima sordida e cruda, ha mani di fuoco d’odio per la Natura; mani agenti per stimoli di follia; tizzoni d’inferno accesi da soffi di bieco rancore verso il sacro verde, rifugio e dimora d’innocui pacifici esseri viventi… Con la stupidità dei dementi, col furore dei rifiuti dell’umano genere, con l’arroganza dei demoni adoratori d’incendi e fiamme, deturpano e stuprano la Madre che tutto ci dona e nulla ci chiede, se non rispetto per quel tesoro di valore immenso che racchiude a godimento d’ogni forma di vita in terra. Genera mostri questa civiltà affollata d’insipienti maestri. Arde questa reietta terra per rovesci d’infamie che in menti di stolti si generano, s’attizzano, e al giorno che nasce, tristemente, focosamente si manifestano. Antonio Crecchia Termoli, CB


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IL VILLAGGIO “ITACA” di Antonia Izzi Rufo

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'è un paese nell'Abruzzo, ai confini con il Molise, che si distingue da tutti gli altri per le sue splendide bellezze naturali (palmeti, oliveti, vigneti, frutteti, ortaggi) e si eleva su di una roccia, di fronte e al di sopra del mare. Si divide in due: la parte bassa e la parte alta. La parte bassa è quella nuova. Si trova lungo la riva del mare, per accedere al quale si attraversa un boschetto di eucalipti e ci si ritrova su ampie spiagge, pulite, con ombrelloni, cabine, bar, fontanelle, docce, tutto quanto può essere utile ai villeggianti. Prima di entrare nel boschetto c'è un elegante, colorato lungomare con negozi, alberghi, ristoranti, giochi per bambini, piste ciclabili, biciclette. La strada che lo attraversa è ampia, comoda, funge anche da parcheggio per le macchine. È ombreggiata da palme altissime. Intenso è il passeggio in ogni ora del giorno, anche di sera quando la gente preferisce muoversi nella parte alta. Questa s'innalza, dal livello del mare, ad oltre cento metri. È costruita su una roccia dalla cima pianeggiante (molto ampia) su cui sorgono piazze, torri, chiese, biblioteche, musei, castelli, palazzi nobiliari, un parcheggio coperto che può ospitare centinaia di macchine. Il tutto è dedicato a Rossini, personaggio molto stimato dai cittadini. È il paese vecchio. Intorno c'è una strada che segue il belvedere: da questo si scorge, a distanza, tutto il circondario, si vedono paesini, lontano nel mare (quando non c'è la nebbia), le isole Tremiti e poi le campagne verdi, i paesi vicini e lontani. Nella zona bassa, a pochi metri dalla riva, si nota la "Bagnante", scultura artistica molto bella, che qualcuno, di primo acchito, scambia per la Sirenetta. Vi sono diverse "boutique" eleganti e visitatori tutto l'anno, non soltanto nella stagione balneare. Dal paese, lungo la riviera, parte la strada dei 'trabocchi'. Lungo questa strada si può ammirare

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la casa dove abitò Gabriele D'Annunzio: c'è, in corrispondenza, una lapide dedicata allo scrittore. Il villaggio "Itaca" si trova tra la parte alta e quella bassa del paese, isolato, tra il verde, in piena campagna. Ha di fronte, nella parte bassa, il mare e dietro, nella parte alta, il paese. Ovunque "volge lo sguardo" ammira le meraviglie verdi-azzurre, iridate della natura. Ha una piscina al centro, circondata da palme ed ulivi, e intorno ville con terrazzi da cui viene ammirata, insieme al vasto mare, dai villeggianti, e giardini in cui prevalgono, tra gli altri, i fiori di bucanville. Tra le ville c'è un vecchio casolare che, strano, non stona ma armonizza con l'ambiente. Non si odono rumori di motori, ma soltanto canti d'uccelli e frinire di cicale. La piscina, con docce, uno spazioso gazebo con salotto e poltroncine, è un luogo di ritrovo, d'incontro; vi si fanno feste spesso e vi si va non solo per fare il bagno e per prendere sole, ma per incontrare gli amici, i ragazzi per giocare. Antonia Izzi Rufo

COME IN UNA FIABA Quando più non sarò sul pianeta terra, vorrei trovarmi in un luogo magico, di fronte, come questo: una siepe di bucanville dai fiori rosa denso, un vecchio casolare cadente e le ville intorno, una piscina dall'acqua blu, immobile, ulivi e palme dovunque, il mare immenso, liscio come tavola, il tutto protetto da un cielo azzurro, ornato di rade nuvole stanche, e il sole aggressivo già dal mattino. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo IS


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DOMENICO DEFELICE DOMENICO ANTONIO TRIPODI Pittore dell’anima di Giuseppe Leone

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ON è nuovo Domenico Defelice a queste monografie su pittori contemporanei. Dopo averne scritto su Eleuterio Gazzetti (1980); Saverio Scutellà (1988); Michele Frenna (2001); Giuseppe Mallai (2004); Ottavio Carboni (2009), tanto per citarne alcuni, eccolo discorrere ancora d’arte in questo suo nuovo saggio dal titolo Domenico Antonio Tripodi. Pittore dell’anima, edito dalla Gangemi Editore International, Roma, nel dicembre 2020. Un volume, a metà strada fra biografia e racconto, attraverso il quale Defelice ricostruisce la vita e l’opera di un artista a cui è legato da immensa stima e profonda amicizia. Lo fa, attraverso un andirivieni di giudizi e note, ora, sull’uomo Tripodi, la sua nascita a Sant’Eufemia d’Aspromonte nel 1930 e i suoi primi studi in Calabria; ora, sulla crescita e la formazione in Toscana, dove si era

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trasferito a 17 anni; ora, sugli anni della maturazione in Lombardia: prima, a Milano, dove lavorerà nel restauro, e poi a Como, dove assumerà la cattedra all’istituto superiore di restauro e dove “produrrà opere pittoriche dalle pennellate sempre più leggere e fluttuanti” (21). Il tutto in una prosa dai toni distesi e colloquiali, assai più tipici della letteratura da viaggio, che non del saggio critico, dal quale sembrerebbe presto allontanarsi per l’ironia e l’autoironia che lo ispira, almeno nelle pagine iniziali, dove Defelice, descrivendo i preliminari del suo incontro con Tripodi a Roma per un’intervista, ha modo di parlare anche di sé e dei suoi acciacchi per l’età avanzata: “le gambe dolorano, al par delle piante dei piedi e la schiena è infreddolita come se avessimo dormito sopra un cubo di ghiaccio; della spremuta d’arancia, preparatagli da Clelia, che così giustifica: “in gioventù non abbiamo mai fatto colazione; ora, dovendo, ogni mattina, ingoiare una pastiglia e mezza per la circolazione e un’arteria semi calcificata, il dottore ci ha consigliato di accompagnarle almeno con una fetta biscottata e, nell’inverno, usiamo la spremuta al posto dell’acqua”; e sull’indebolimento della memoria, almeno da quello che si evince dalle premure di sua moglie che lo aiuta a prepararsi per non dimenticare nulla a casa, “Prendi i soldi, non girare senza denaro in tasca, com’è il tuo solito. Portati il telefonino. Non fare troppo tardi” (9). Né si può dire che l’ironia l’abbandoni una volta uscito da casa: lo accompagna anche quando descrive la varietà delle persone che incontra per la strada: da quell’indiano, con turbante, (che) se ne sta in disparte a una decina di metri, vicino a un’insegna pubblicitaria, fermo, quasi fosse di pietra lavica, e che così tanto somiglia al filosofo Profeta di Tripodi … ; a quelle


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ragazze, con facce belle alla Beatrice tripodiana” (10); alla folla nel traffico cittadino, dove può enumerare i tanti guasti e difetti di una precaria amministrazione pubblica e privata: dal pullman, che tarda da mezzora … al marciapiede disastrato, sconvolto dalle radici dei pini; all’impresa che devono compiere i viaggiatori prima di scoprire il punto esatto dove parte il pullman per Roma: quella mattina, non dal solito posto, ma da un altro, perché “da giorni, da quando, sul largo s’è aperta, una voragine, i pullman fanno sosta su Via del Mare. Ma l’ironia non lo lascia nemmeno quando il viaggio sembrerebbe finito: basta che varchi la soglia della casa di Tripodi perché la veda balenare nel suo “sorriso quasi timido … nonché nella fronte e gli occhi del pittore, anche se un po’ affossati, che brillano di pensiero alto, mobili, con guizzi da furetto” (12), come nei dipinti, appesi alle pareti, dedicati a Dante, che sale verso l’Empireo, risucchiato ora dall’amore di Beatrice, ora, dalla pietà verso Manfredi, con “il suo capo (che) ha appena toccato il terreno nell’improvviso gelo della morte,” (23); ora,

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dall’ammirazione verso Ulisse “mentre contempla Troia che brucia: i suoi occhi sono sbarrati e la sua bocca semiaperta nello stupore di un avvenimento atteso da dieci lunghi anni” (24). E così, di ironia in ironia: da quella narrativa di Defelice, con la quale egli si prende gioco di sé come del suo personaggio; a quella del pittore dallo sguardo fiero; a quella comica, quale emana dai dipinti relativi alla commedia dantesca; all’ironia tragica, che Tripodi fa emergere durante l’intervista, quando rivela che il filosofo senza nome è un amico di Sofocle. Quello che colpisce, allora, scorrendo le 96 pagine di questo volume, arricchito in copertina dal volto del Filosofo e, all’interno, da numerose tavole di cavalli e teste di cavalli, uccelli soprattutto, in posizioni e atteggiamenti vari … cormorani colombe, germani reali, gabbiani che dolorano, paesaggi verdi e brulli, e volti di figure antiche e moderne” (17), è come questo saggio, da esaustiva e puntuale monografia sull’ironia di Domenico Antonio Tripodi, divenga al tempo stesso una riflessione sull’ironia più in generale.


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Un saggio agile e snello, in fieri, che non si conclude, né con l’intervista, né con l’approdo finale del pittore a Dante, ma che continua, infinito e inarrestabile, come lo stesso Tripodi ammette al termine dell’intervista: “La mia pittura, quella precedente al mio impegno con Dante, ha guardato verso due poli. Da un polo, ho guardato all’uomo impegnato nei suoi pensieri e nelle quotidiane faccende; dall’altro polo ho guardato agli animali, cogliendoli nel volo, nel gioco, nel riso, nel dolore e nei rantoli della morte” (32). Tripodi - scrive Defelice - non completa se non volti, trascura tutto il resto, alla ricerca

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spasmodica, attraverso occhi, labbra, zigomi, movimenti impercettibili di nervi, dell’interiorità del personaggio. Non conosciamo l’intera produzione del pittore, ma ci sembra ci siano in essa solo poche figure intere, non braccia, torso, gambe, ma solo testa, volto, appena il collo e neppure del tutto lavorato ... Son pitture d’anima (22-23). Ne è prova il volto di filosofo che adorna la copertina, che riassume fisicità e anima a un tempo, perché il corpo non è quello dell’animale, ma è il corpo sede dell’anima, non è l’involucro destinato a perire, esso è prezioso nella sua presenza, nell’attimo. Questo volto di filosofo, beninteso, è il suo, del pittore in persona. Come avrebbe potuto, sennò, Domenico Defelice, giungere a queste conclusioni? “Come ogni poeta, scrittore, musicista, anche Tripodi, dipingendo, fa autobiografia, così ogni sua composizione è carica di armonie, filosofia, di messaggi vari che corrispondono al suo vissuto” (13). Giuseppe Leone Domenico Defelice: Domenico Antonio Tripodi Pittore dell’anima, Gangemi Editore International, Roma, 2020. Euro 20, Pp. 96.


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XI KE [中国]西可 西部大山中的客栈(外一首) 我抵达了这座客栈 店家穿着粗布长衫,不辨年代 我看看气喘嘘嘘的马匹 笑话里包含许多实话 店家可能要分娩了 她的肚皮紧挨案板用刀切着猪头肉 霎时,又来得一彪人马 首领用手枪柄敲着格子窗 咋的,这厮慢腾腾的样子。其中一个高喊 着 我看到他们把手枪放在桌子上,喝酒 然后用手去摸女招待的腿根 反正已经下过崽了吧!那些人下流地喊着 每年收入百万元。店家说 男人们都要奔赴沙场 战争是谁也保不住的事 函谷关距京城太远太远了 全国的邋遢汉和婊子都要聚到门口来了 有个婊子大叫:兄弟,你的裤子前门儿开 了 那个懒汉脱下裤子,把阳物戳到那些人的 面前 …… 杀死他!杀死他 学生们叫喊着冲出电影院 这样的影片还是不要看得好

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我看到学生们亢奋的脸上挂满汗珠 无数个保安用力维持秩序 有人把一顶大盖帽子抛向空中 最后天空慢慢黑了下来 大伙儿再见喽,我朝着大学的校门望去 一个保安手里提着一根警棍一副茫然的样 子 [China] Xi Ke Guest House in the Western Mountains (and another poem) I arrived at this inn The shopkeeper wore a long rough cloth shirt, age unclear I look at the panting horses Jokes contain a lot of truth The storekeeper may have to go into labor Her belly close to the board Where she was cutting pork head meat with a knife In a flash, another group of people came The chief knocked on the lattice window with the pistol handle What the –, move your slow butt! One of them shouted I saw them put their pistols on the table and drank And then touched the waitress’s heel with their hands Anyway, you’ve whelped! Those people shouted nastily Millions of dollars in revenue per year. The storekeeper says Men are born for battlefield War is something likely to happen The Hangu Pass is too far away from the capital The nation’s slobs and bitches are coming to the door A bitch yelled: Dude, it’s snowing down south! The loafer pulled down his pants And took out his penis in front of those people ... Kill him! Kill him! Students shouted rushing out of the cinema It’s better not to watch such a film


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I saw the beads of sweat on the students’ exuberant faces Numerous security guards exerted themselves to maintain order Someone threw a large cap into the air And the sky slowly darkened Goodbye everyone, I look towards the university gates A security guard with a baton in his hand looked bewildered Let’s go! I finally said to the rickshaw driver [Cina] Xi Ke Guest House nelle montagne occidentali (e un'altra poesia) Sono arrivato in questa locanda Il negoziante indossava una lunga camicia di stoffa ruvida, l'età non è chiara guardo i cavalli ansimanti Le battute contengono molta verità Il negoziante potrebbe dover entrare in travaglio La sua pancia vicino alla tavola Dove stava tagliando la carne della testa di maiale con un coltello In un lampo è arrivato un altro gruppo di persone Il capo bussò alla finestra a grata con il manico della pistola Ma che –, muovi il tuo culo lento! Uno di loro ha gridato Li ho visti mettere le pistole sul tavolo e bere E poi hanno toccato il tallone della cameriera con le mani Comunque, hai partorito! Quelle persone gridavano in malo modo Milioni di dollari di fatturato all'anno. Il negoziante dice Gli uomini sono nati per il campo di battaglia La guerra è qualcosa che probabilmente accadrà L'Hangu Pass è troppo lontano dalla capitale Gli sciatti e le puttane della nazione stanno arrivando alla porta Una cagna ha urlato: Amico, sta nevicando a sud! Il fannullone si è tirato giù i pantaloni

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E ha tirato fuori il suo pene davanti a quelle persone ... Uccidilo! Uccidilo! Gli studenti hanno gridato correndo fuori dal cinema È meglio non guardare un film del genere Ho visto le gocce di sudore sui volti esuberanti degli studenti Numerose guardie di sicurezza si sono adoperate per mantenere l'ordine Qualcuno ha lanciato in aria un grande berretto E il cielo lentamente si oscurò Arrivederci a tutti, guardo verso i cancelli dell'università Una guardia di sicurezza con un manganello in mano sembrava sconcertata Andiamo! Alla fine ho detto all'autista del risciò. 颂歌 把早餐送到床头来吧,牛奶外加鸡蛋 我必须听任老太婆的摆布 一副女王的派头 她是那种受过良好教育的女人 她会去乡村参加合唱团的野餐晚会 她会在南环路上下车时扭伤了左脚 她死气白赖非要我住在她的卧室聊天 她用那老姑娘的嗓门儿说话 她仿佛因为我的缘故去考虑死的问题 门外来的是谁 我反复想象自己某一时刻的面孔 那天傍晚沿着泾河走着 她使劲攥着我的手 不过我只是笑笑 然后跟她跳舞,一块儿坐在外面 让我整理好自己的衬衫领子吧 临出门最好去吻她一下


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千方百计让她相信自己没有被冷落 再正经的也一样 年龄差异永远无法消除

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你知道,一个男人的野心决不是一个女人 青藏高原没有修建公厕 驻守在高原的士兵蹲着小便

你们忍心去把一个女人绞死吗

我试着画一些动物儿的图案

她会犯什么罪呢

要是能记住种种传说就可以写一本小说

炉火还没有熄灭 到处可见新鲜的马粪

那位老主教在祭坛上大肆布道 女人应尽的最高职责是生殖

让我看看你们做事的那个地方

太阳从岩石下面钻出来

旁边的墙壁上刻着裸体女人的图像

情人、情妇全都分开了

她问我懂不懂那是什么意思

我回过头把这些细节一一说给你听

而在同一时刻,我推开了那扇门

我看到淫妇扭曲的脸

你怎么把衣服都脱光了 肮脏、邋遢、落满皱纹的身躯 我只好说,这副样子真见不得人啊 某月某日是我的诞辰 假定没有人事先告诉我 我沿着一处幽静的月台走去

村姑这会儿坐在床边梳辫子哪 狗在窗外撒尿 那天我正躺在高高的艾草之间 水手们在打水漂子

我多么希望有一个熟悉的面孔出现在夜幕

阴暗的台阶上

下的窗口

模模糊糊的身影,运水的牛车

无比愚蠢的眼神,张着嘴呆呆地看我

轱辘,还有几千年的古堡

我们将去远离尘世的一处小岛

请你到小店坐坐吧

今晚唱起十分忧伤的歌

客栈那一扇扇古老的窗户

让我重新想到许多过去的事儿

窗格后藏着一双明媚的流盼

战争会让我发一笔小财 从一座山巅眺望大洋彼岸 景色太可爱啦 还有在荒芜人烟的河西走廊举行模拟战

让她的情人亲亲那铁栏杆吧 还有夜半掩着门的酒店 打更的老人拎着灯转悠 可是为什么没有灯光啊

我既然给了她许多

流水永远是清澈的

我就要有收获

此刻,我正浸泡在这冰冷的水里 为谁哭泣


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Ode Bring breakfast to the bedside, milk with eggs I must be obedient to my old woman, a queen’s pose She’s the kind of woman who is well educated She would go to the countryside for picnic parties of the choir She sprained her left foot getting off the bus at the South Loop She wanted me to stay in her bedroom and chat for no reason She spoke in that old girl’s voice It’s as if she’s thinking about dying because of me Who’s at the door? I repeatedly imagine my face at a certain moment Walking along the Jing River that evening She clutched my hand tightly, but I just laughed Then danced with her and sit outside together Let me straighten my shirt collar Before leaving the house, you’d better give her a kiss Endeavoring to convince her that she is not left out Even the more serious ones are the same Age differences can never be eliminated Can you bear to hang a woman? What crime could she have committed? The fire is not yet extinguished Fresh horse manure can be seen everywhere Let me see the place where you work Images of naked women are carved on the wall next to it She asked me if I knew what that meant And at the same moment, I pushed open the door Why did you take off all your clothes? Dirty, unkempt, wrinkled bodies I had to say, this look is really embarrassing A certain day in a certain month is my birthday Assuming no one told me in advance I walked along a secluded platform

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How I wish a familiar face would appear in the window at night The incredibly stupid eyes, staring at me with open mouths We will go to an island far away from the world Singing a very sad song tonight Reminds me of many things in the past War will make me a small fortune Looking across the ocean from the top of a mountain The scenery is so lovely There was also a mock war in the deserted Hexi Corridor Since I have given her a lot I’m about to get something in return You know, a man’s ambition is never a woman No public toilets were built on the Tibetan plateau Soldiers stationed on the plateau squat to urinate I tried to draw some animal pictures If you can remember all the legends you can write a novel The old bishop was preaching a sermon on the altar The highest duty a woman should perform is reproduction The sun bursts out from under the rocks Lovers and mistresses are all separated I’ll go back and tell you all these details I saw the twisted face of the slut Village girl is now sitting on the edge of the bed combing braids Dogs peeing outside the window That day I was lying among the tall mugwort The sailors are playing ducks and drakes On the shady steps Blurred figures, water-carrying ox carts


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Gulu wheels, and thousands of years of ancient castles Please come in the store and sit The old windows of the inn Behind the window pane hides a pair of bright expectations Let her lover kiss the railings And the hotel with the door closed at midnight The watchman carrying the lamp around clapering But why is there no light Flowing water is always clear At this moment, I am immersed in this cold water Crying for somebody (Translated by Brent O. Yan) Ode Porta la colazione al capezzale, latte con le uova Devo obbedire alla mia vecchia, la posa di una regina È il tipo di donna che è ben educata Sarebbe andata in campagna per i picnic del coro Si è slogata il piede sinistro scendendo dall'autobus al South Loop Voleva che restassi nella sua camera da letto a chiacchierare senza motivo Ha parlato con la voce di quella vecchia ragazza È come se stesse pensando di morire a causa mia Chi c'è alla porta? Immagino ripetutamente la mia faccia in un certo momento Camminando lungo il fiume Jing quella sera Mi strinse forte la mano, ma io mi limitai a ridere Poi abbiamo ballato con lei e ci siamo seduti fuori insieme Fammi raddrizzare il colletto della camicia Prima di uscire di casa faresti meglio a darle un bacio Cercando di convincerla che non è esclusa Anche i più seri sono gli stessi

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Le differenze di età non possono mai essere eliminate Puoi sopportare di impiccare una donna? Quale crimine potrebbe aver commesso? Il fuoco non è ancora spento Ovunque si può vedere il letame fresco di cavallo Fammi vedere il posto dove lavori Immagini di donne nude sono scolpite sul muro accanto Mi ha chiesto se sapevo cosa significasse E nello stesso momento, ho spinto la porta Perché ti sei tolto tutti i vestiti? Corpi sporchi, trasandati, rugosi Devo dire che questo look è davvero imbarazzante Un certo giorno in un certo mese è il mio compleanno Supponendo che nessuno me l'abbia detto in anticipo Ho camminato lungo una piattaforma isolata Come vorrei che un volto familiare comparisse alla finestra di notte Gli occhi incredibilmente stupidi, che mi fissano a bocca aperta Andremo in un'isola lontana dal mondo Stasera canto una canzone molto triste Mi ricorda molte cose in passato La guerra mi farà una piccola fortuna Guardando attraverso l'oceano dalla cima di una montagna Il panorama è così incantevole? C'era anche una finta guerra nel deserto Hexi Corridor Dato che le ho dato molto Sto per ottenere qualcosa in cambio Sai, l'ambizione di un uomo non è mai una donna Non sono stati costruiti bagni pubblici sull'altopiano tibetano I soldati appostati sull'altopiano si accovacciano per urinare Ho provato a disegnare alcune immagini di


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animali Se riesci a ricordare tutte le leggende puoi scrivere un romanzo Il vecchio vescovo stava predicando sull'altare Il dovere più alto che una donna dovrebbe svolgere è la riproduzione Il sole scoppia da sotto le rocce Amanti e amanti sono tutti separati Torno indietro e ti racconterò tutti questi dettagli Ho visto la faccia contorta della troia La ragazza del villaggio ora è seduta sul bordo del letto a pettinarsi le trecce Cani che fanno pipì fuori dalla finestra Quel giorno ero sdraiato tra l'artemisia alta I marinai stanno giocando alle anatre e ai draghi Sui gradini ombrosi Figure sfocate, carri trainati da buoi che trasportano acqua Ruote Gulu e migliaia di anni di antichi castelli Per favore, vieni in negozio e siediti Le vecchie finestre della locanda Dietro il vetro della finestra si nascondono un paio di brillanti aspettative Lascia che il suo amante baci la ringhiera E l'albergo con la porta chiusa a mezzanotte Il guardiano che porta in giro la lampada sbattendo Ma perché non c'è luce? L'acqua che scorre è sempre limpida In questo momento, sono immerso in quest'acqua fredda Piangendo per qualcuno (tradotte da Antonia Petrone) 作者简介: 西可,中国当代著名诗人,本名杨维周, 1962年出生,祖籍甘肃崇信。中国作家协 会会员。上世纪八十年代开始诗歌创作, 九十年代曾赴深圳主持流浪诗人诗展。作

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品散见于多种刊物。2012年受邀赴以色列 参加第32届世界诗人大会。作品主要有诗 集《汭河弯弯》《铜壶》《故垒》《风铃》《我和 我的一些日子》《今生无需告别》《西可诗歌 集》《乡村往事》(中英对照),散文集《谷 地》《我的生活与你无关》《我还活着》等十 多种。部分诗作被翻译成英语、法语、德语 、俄语、阿拉伯语、西班牙语、日语、荷兰 语、乌克兰语、印地语、阿尔巴尼亚语、韩 语等外国文字。现居西安。 About the author: Xi Ke, a famous poet in contemporary China, was born as Yang Weizhou in 1962 from a family of Chongxin ancestry in Gansu Province of China. He is a member of the Chinese Writers Association. He began to write poetry in the 1980s and went to Shenzhen to host the “Wandering Poets Poetry Exhibition” in the 1990s. In 2012, he was invited to Israel to attend the 32nd World Poets’ Congress. His works have been published in a variety of journals, and his published poetry collections include The Bend of Ruihe River, The Bronze Pot, Old Forts, The Wind Bell, Some Days of Mine and Me, No Need to Say Goodbye to This Life, The Collection of Xi Ke Poems, Village Past (Chinese-English), etc., besides his prose collections The Valley, My Life Has Nothing to Do with You, I Still Live. Some of his poems have been translated into English, French, German, Russian, Arabic, Spanish, Japanese, Dutch, Ukrainian, Hindi, Albanian and Korean, etc. He now lives in Xi’an. Biografia dell’autore: Xi Ke, un famoso poeta della Cina contemporanea, è nato Yang Weizhou nel 1962 da una famiglia di origini Chongxin nella provincia cinese di Gansu. È membro dell'Associazione degli scrittori cinesi. Ha iniziato a scrivere poesie negli anni '80 e negli anni '90 si è recato a Shenzhen per ospitare la "Mostra di poesia


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dei poeti erranti". Nel 2012 è stato invitato in Israele per partecipare al 32° Congresso Mondiale dei Poeti. Le sue opere sono state pubblicate in una varietà di riviste e le sue raccolte di poesie pubblicate includono The Bend of Ruihe River, The Bronze Pot, Old Forts, The Wind Bell, Some Days of Mine and Me, No Need to Say Goodbye to This Life, The Collection of Xi Ke Poems, Village Past (cineseinglese), ecc., Oltre alle sue raccolte di prosa The Valley, My Life Has Nothing to Do with You, I Still Live. Alcune delle sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, tedesco, russo, arabo, spagnolo, giapponese, olandese, ucraino, hindi, albanese e coreano, ecc. Ora vive a Xi’an.

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È IN TRADUZIONE NEGLI STATI UNITI D’AMERICA la silloge di poesie

12 MESI CON LA RAGAZZA di Domenico Defelice A tradurla è la dottoressa scrittrice e poetessa

Aida Pedrina Ecco, di seguito, un brano nell’originale e nella bella traduzione:

SOLI E NUDI Ed è tornato ottobre, rosso e giallo come pazzia d’amore!

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Riscopriremmo pascoli di sogni ove il trifoglio non arrossa in questo mese di mosto e di mirtilli... Ma tu mutato hai già capelli, labbra e ciglia! Pure ancora bella sei quasi una fata in elegia di foglie. Si sciolgono i miei occhi: al tuo pensiero drudo non sono in vorticosa danza, non ti bacio nei sogni e tu non fremi di passione. Al di là delle lacrime stasera c’è un enigma a scacchi.

ALONE AND NUDE And October is back, red and gold like love's madness! I don't have anything but this broken heart to offer you, and more than a hundred sorrows. I have nothing but hope to hold me back from the brink of despair. If you would want we could still be us, alone and nude, without hypocrisy or pretending. We would rediscover the meadows of dreams where the clover does not redden in this month of new wine and berries.... But you have already changed hair, lips and lashes! But you are still beautiful almost a fairy in the elegy of leaves.

Non ho che questo cuore chiodato da offrirti e più di cento pene. Non ho che la speranza a trattenermi sull’orlo dell’abisso.

My eyes are melting: in your thoughts I am not the rake in a wild and twirling dance I am not kissing you in dreams and you are not trembling with passion.

Se tu volessi, saremmo ancora noi, soli e nudi, senza infingimenti o ipocrisie.

Beyond the tears tonight there is an enigma of chess.


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Recensioni MANUELA MAZZOLA FRAMMENTI DI VITA Tra passato, presente e futuro Presentazione di Marina Caracciolo, Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia, 2020, 39 pagg., euro 8. Il titolo del libro di poesie di Manuela Mazzola, Frammenti di vita. Tra passato, presente e futuro, è ricco di informazioni. La poesia di Mazzola si configura, infatti, come una meditazione sullo spazio/tempo. Si legga, solo a titolo esemplificativo, Una crepa nel tempo. In questo componimento l’importanza del fatto visivo, la cui centralità è indubbia nella poetica dell’autrice, cede il campo alla visionarietà, con l’incontro di là dal muro, in una “atmosfera fredda” e nebbiosa, con i cari scomparsi “intenti/nei loro gesti quotidiani…come in un ciclo ossessivo”. Ma anche ne Il ponte del tempo i momenti, i “frammenti” significativi di un’intera esistenza sono “cristallizzati”. La visionarietà ritorna in La folla, dove un io osservatore di un insensato andirivieni di “individui soli” che “si agitano, fremono”, senza mai incontrarsi, preferisce spostarsi in una specola alta e godersi dall’alto (viene i n mente il despicere lucreziano) lo spettacolo, non senza una punta di compiacimento per la propria saggezza e di compatimento per l’altrui incomunicabilità. Si rifà per certi versi alla letteratura sapienziale anche qualche altro testo della raccolta. La Presentazione di Marina Caracciolo è come la

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chiave che ci schiude lo scrigno del mondo poetico di Manuela Mazzola, che si dispiega nel suo recente (è stato licenziato alle stampe nel 2020) libro di poesie. Le tematiche sono state individuate con acuzie infatti dalla Caracciolo: l’infanzia, la ricerca di un senso, l’amore per la Natura La prefatrice parla poi di “un circuito vagamente labirintico al fondo del quale ella [la poetessa] cerca di ritrovare sé stessa, il proprio vissuto, ma anche, soprattutto, delle storie, dei frammenti di vita appunto, degni di essere ricondotti al presente e allusivamente narrati”. Lo sguardo di Manuela colloca gli esseri umani spesso in una condizione di creaturalità. Di un caso di proustismo si potrebbe parlare per alcune liriche come Giochi di bambina, dove sono gli odori, le “essenze lontane” (Il termine “essenze”, parola gozzaniana, ritorna, con un raccordo fantastico a breve distanza, anche nella successiva poesia) a far rivivere il “passato”; “Essenze…che poi chiudo a fatica/in un carillon”. Bella immagine, che unisce sinesteticamente, come spesso nel libro, il “profumo” e il suono. Un altro aspetto caratteristico del fare poetico della poetessa romana è il cromatismo; si vedano ad esempio i “fiori colorati”. Nel dittico costituito da Il battito del tuo cuor e dal testo Pietre, forse non a caso situato nella pagina allato, c’è l’orgoglio dell’emancipazione, della crescita, ottenuta liberandosi dal peso delle pietre come altrove dai granelli che si trovano nel “fondo del passato/come quello del caffè”; o dal “cumulo di ceneri”. Dove si osserva che le similitudini sono spesso ricavate dalla vita di tutti i giorni; altrove abbiamo “come un diamante”; (si veda anche, in Cose perdute, l’efficace metafora della scatola in cui vengono gettai i ricordi, ma invano: “peccato che tu, /giocando a dadi, /hai scelto una vita/che non esiste più”); ma anche dal mondo naturale. In Un luogo speciale continua l’imagerie di Pietre; anche qui ci sono “pietre”, ma sono “lisce, /levigate dall’acqua”. In Uno zampillo si affaccia un tema importante, di stringente attualità; quello ecologico. Il rapporto padri/figli, presente come Nemesi storica in Echi, si ripresenta variato, come abbraccio e lascito, ma anche come desiderio di perpetuazione e quasi di immortalità in Il futuro e in Il contatto. È interessante infine notare che la parola “vita”, presente nel titolo e in testi posti all’inizio, ritorni anche nell’ultima composizione, Ultimo capitolo: come insegna la critica semiotica, centrale è l’importanza delle soglie; e c’è la conferma quindi che il tema portante, come suggerito dalla Caracciolo, è proprio quello indicato dalla parola chiave: vita. Fabio Dainotti


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ISABELLA MICHELA AFFINITO DALLA SICILIA ALLA FRANCIA NELL’ARS POETICA DI PIETRO NIGRO Prefazione di Giuseppe Manitta, Il Convivio Editore, 2021, pagg. 232, € 16,00 Un buon lavoro, composto da trenta recensioni e una lunga intervista a Pietro Nigro. Attraverso l’esame delle singole opere da parte dell’Affinito e le dichiarazioni dell’intervistato, risalta la figura di un poeta che la stessa autrice osa definire “statua michelangiolesca da osservare per essere descritta a livello universale”. Isabella Michela Affinito ha una cultura multiforme e vasta e ne dà prova, anche in quest’opera, attraverso le tante citazioni inerenti la pittura, la musica, l’astronomia e non solo la poesia, la narrativa e la critica. Si è interessata, negli anni, di centinaia di artisti, sicché, a voler raccogliere le recensioni su ciascuno di essi ed assemblarle come ha fatto per Nigro, potrebbe già confezionare decine di altri volumi similari, uno dietro l’altro. Che le recensioni siano semplicemente assemblate - neppure cucite e organizzate come dovrebbero essere perché si possa parlare di “saggio” e non di antologia, di semplice raccolta -, lo dimostrano le troppe ripetizioni, delle quali accenniamo solo al “professore avolese, ma residente a Noto”, “professore, saggista, poeta, scrittore, Pietro Nigro, di Noto”, “nato ad Avola e residente a Noto”, “poeta di Avola, residente a Noto” eccetera. Cucendole e organizzandole, di queste e di tante altre ripetizioni ne sarebbero rimaste solo alcune. Non è un appunto, il nostro, ma una costatazione, che potrebbe tornare utile alla nostra cara e stimata giovane amica in successivi lavori. Le opere di Nigro, delle quali l’Affinito si interessa, sono numerose; ne ricordiamo alcune: Il deserto e il cactus, Versi sparsi, Miraggi, L’attimo e l’infinito, Alfa e Omega, Riverberi, Astronavi dell’anima, I Preludi (sei volumi), Paul Valéry, Canti d’amore, Il tempo e la memoria, Sintesi di storia della musica, Notazioni estemporanee e Varietà (cinque volumi), La porta del tempo e l’infinito. Di ciascuna dà una chiara anche se sintetica esposizione, arricchita di rimandi e di riporti. Alla fine, la figura del poeta è a tutto tondo e grande nel lettore il desiderio di approfondirlo, che, poi, questo è il compito basilare di una critica calda e stimolante, partecipativa, come quella auspicata da Charles Baudelaire, secondo quanto riportato dalla stessa Affinito: “Credo in coscienza che la migliore critica sia quella che riesce dilettosa e poetica; non una critica fredda e algebrica, che, col pretesto di tutto spiegare, non sente né odio né amore, e si spoglia deliberatamente di ogni traccia di temperamento”.

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Il volume è impreziosito da numerose fotografie. La parte più ghiotta, però, è la seconda, l’intervista accurata e a campo vasto, attraverso la quale Nigro si racconta e come artista e come uomo, non tralasciando i tanti incontri, durante gli anni, con personaggi importanti, come, per esempio, quello con Nino Ferraù, anche nostro indimenticabile amico e poeta veramente universale, al quale l’appellativo di “siciliano” è andato sempre stretto. “E che dire del fratello di Giorgio De Chirico, Alberto Savinio – confessa l’intervistato -, che non si dedicò solo alla letteratura, ma anche alla pittura. Nel 1940 alla Galleria Il Milione di Milano presentò una mostra di ritratti. Oppure del poeta dell’Ascendentismo e pittore Nino Ferraù di Galati Mamertino, in provincia di Messina, paesino che io conosco per esserci andato da adolescente con i miei genitori. Morto a 61 anni nel 1984 era cugino da parte materna di mio cugino Fiorenzo Nigro. Lo conobbi nel 1982 in quanto ambedue facevamo parte della giuria del premio di poesia e narrativa del Centro Artistico Culturale Internazionale di Modica. Fu molto amico di Salvatore Quasimodo che vegliò nel momento della morte e di cui lasciò un disegno del viso del premio Nobel mentre lo assisteva.” Aperture del genere se ne incontrano a bizzeffe e anche per questo la lettura del libro non è soltanto interessante, ma piacevole. Domenico Defelice

LUCIO ZANIBONI (a cura di) ANTOLOGIA DI POESIA ITALIANA VENT’ANNI DEL TERZO MILLENNIO Edizioni Giuseppe Laterza, 2021, Pagg 117, € 20,00 L’antologia rappresenta uno spaccato, in versi, del pensiero, dei sentimenti e delle reazioni dei poeti in questo periodo di lutto. Comprende cinquantatré liriche con rispettiva biografia degli autori, tra i quali Domenico Defelice, Lorenzo Spurio, Imperia Tognacci, Gianni Antonio Palumbo e il curatore Lucio Zaniboni, il quale nella presentazione scrive: “Il lavoro vuole essere anche un atto di fede nell’uscita dal tunnel della pandemia, il corona virus, che ha causato più morti di una guerra mondiale e ha costretto l’intera umanità a rinunciare alle libertà individuali e agli affetti e, ancor peggio, a far intravedere nell’altro un apportatore di contagio mortale, contrastando così il dettato evangelico d’amore al prossimo”. Una delle poesie che più colpisce e che può rappresentare il sentimento, le paure, la precarietà di questi ultimi anni è Eclipse di Paolo Staglianò. Nel fluire dei versi il poeta suggerisce che basterebbe


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ritrovare le cose semplici e fondamentali della vita. Ad esempio, prendersi per mano, un gesto umano, ma significativo che indica vicinanza, affetto e che fa capire all’altro quanto sia importante. Mano nella mano, un’unione solida che si basa sull’amore che può essere tra mamma e figlio, tra due fratelli, tra due amiche, tra un uomo e una donna. Prendendo la mano dell’ipotetica interlocutrice, il poeta vuole seguire i suoi pensieri, dandole forza e immaginare i volti delle persone che ha amato e che probabilmente non ci sono più a causa del coronavirus. Vorrebbe ascoltare le sue paure e le cose non dette perché basterebbe prendersi/ per mano/ senza entrare nella vita/ così/ come due foglie che il vento ha avvicinato/ così/ come due foglie che un attimo ha disperso. Lo stile semplice e asciutto, senza punteggiatura dà risonanza ai contenuti così delicati, così umani, velati da una lieve amarezza. L’autore ha saputo restituire, senza falsi orpelli, l’atmosfera di un periodo quasi inverosimile per il genere umano e di cui ancora ce ne chiediamo il motivo. Zaniboni, laureato in Medicina alla Sapienza di Roma, vive e lavora a Lecco. Tra le sue opere: “Il foulard rosso”, “Coriandoli di pietra”, “Proxima del Centauro”, “Mathema”, “Gioco tondo”, “Hypenerotomachia”, “L’ultima Yale” e “Poi si vive”. Non tutto è oro, ma anche l’ombra è utile a dare risalto alle luci, afferma Zaniboni e continua, il valore della poesia come arte è in grado di evidenziare l’origine divina dell’uomo e di elevarlo dalla ferinità. Manuela Mazzola

LEONARDO SELVAGGI LA COSTANTE LUNARE E SPIRITUALE NELL’ARS POETICA DI ISABELLA MICHELA AFFINITO Edizioni EVA, 2005, Pagg 23, € 4,00 Il breve saggio di Leonardo Selvaggi è un’interpretazione dell’arte poetica di Isabella Michela Affinito con due poesie dello stesso, dedicate proprio all’autrice: Il viso della luna e Notturno canto. La costante lunare nell’ispirazione poetica è presente in molti autori. Chi non si è mai fermato a guardare la luna affascinato dalla sua luce argentea, dai suoi movimenti e dalla misteriosa faccia che nessuno può vedere. Forse proprio per questo il suo mistero ha saputo ispirare molti poeti, che nella loro solitudine notturna si sono aggrappati alla Casta diva. “Guardare la luna è/ anticipare una poesia/ nell’astrattezza del cosmo […] La luna è dei poeti,/ solo se essi riescono ad/ enumerare le sue/ mutevolezze”.

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Selvaggi fa un’attenta disamina sul rapporto della poetessa con la luna: “In punta di piedi, per entro i velami del silenzio si muove Isabella Michela Affinito, per angoli reconditi, dietro voci impercettibili”. Non c’è solo la luna, però, nei versi colmi di eccitazione e ansia, mossi da ritmi estrosi e densi di parole raffinate, è presente anche l’amore per la Natura, per la pittura attraverso grandi artisti come Modigliani, Raffaello, Van Gogh, Gauguin. Nelle sue liriche c’è un profondo legame tra parola, poesia, arte e Natura che si tramuta nell’espressione di una spiritualità libera e raffinata. Scrive l’Affinito nell’introduzione: “E’ vero che la costante lunare e di conseguenza anche quella spirituale sono ben inserite e palpabili nei versi che mi appartengono, ma è anche vero che restano incessanti perché mi ripropongo di non farli scivolare laddove inizia il mio disinteresse, ad esempio, per una versificazione troppo concreta”. Leonardo Selvaggi è uno scrittore, poeta, saggista, antologista e collaboratore di importanti testate editoriali; dal 1955 ha pubblicato numerose opere in prosa e poesia. Nel 1988 il Centro Studi “Mario Pannunzio” gli ha assegnato il Premio Speciale del Presidente della Repubblica Italiana e il 2 giugno 1989 gli è stata conferita l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana per la letteratura”. Dalla realtà estrema di mali e barriere/ vado con la luna per tutte le strade/ del mondo, leggo i pensieri della gente./ Accese le passioni dell’arte, le poesie,/ inespresse si destano germogli floridi, così Selvaggi, tra i suoi versi, incarna l’ideale immaginario suscitato in lui dalla lettura delle opere dell’Affinito. Manuela Mazzola

LUCIA LASCIALFARI RELATIVO AI MISTERI Porto Seguro, Firenze, 2021. Piacevole e curiosa si è rivelata essere la lettura del nuovo libro di poesie della fiorentina Lucia Lascialfari che, dopo Sandali azzurri (Ladolfi, 2014), ha pubblicato con i tipi di Porto Seguro il volume Relativo ai misteri. Titolo che, così, d’emblée, in qualche modo stupisce e ci trova impreparati. Sembrerebbe quasi una sorta di risposta, quale possibile argomentazione, a una domanda che, comunque lo si voglia, effettivamente non c’è o, diversamente, un’indicazione di non poco conto da dover in qualche modo tenere in considerazione, quale probabile avvertimento, nel corso della lettura. Cosa troveremo in questo libro? Quali sono i misteri di cui l’autrice


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parla? Hanno a che fare con un’ambientazione gotica o sottendono a una situazione di perenne dubbio e, dunque, di voluta ambiguità? Forse alcune risposte possono essere dedotte – non tanto dalle poesie che lo compongono – ma dalla nota di chiusura del volume, che l’Autrice ha definito come “conclusioni” e che appare come una sorta di confessione personale di poetica. L’autrice, infatti, con un atteggiamento molto virtuoso nella sua morigeratezza, sostiene: “Far poesia [è] lavorare duramente su se stessi scarnificando parole che di senso poco ne ostentano se non quello interno, viscerale, che si esprime oggettivandole” (113). Dunque leggendo le poesie della Lascialfari dovremmo dimenticarci del mondo rissoso di fuori, della convenzionalità, della patina spesso assurda e insignificante delle cose, per affrontare le questioni nel loro nucleo, celarci in visuali che fuoriescono da un mondo intimo e, in quanto tale, impossibile da conoscere nella sua forma e completezza. Il volume è articolato in alcune sotto-sezioni che possono essere concepite come possibili piste contenutistiche sebbene – ancora una volta – la materia sembra sfuggire spesso tra le mani, fluire tra i versi che, inesorabili, si susseguono. Una certa contiguità e affinità di immagini è riscontrabile in tutta la prima parte che va sotto la definizione di “Ritmo circolare”, una sorta di calendario in versi dove stagioni, meteo differenti e, con essi, vari stadi emozionali, trovano collocazione seguendo la ciclicità del tempo. Poesie vedutistiche che si focalizzano sulla presenza, in forma diversa, di un sole al quale si demanda l’unicità dei contenuti e il loro inanellamento temporale. C’è un sole d’agosto che poco ha a che vedere con quello di novembre, eppure l’Autrice intende partire da questo, dalla presenza luminosa che consente a tutte le specie terrestri di vivere e prosperare. La sezione successiva – il suo titolo – pone qualche dubbio in merito alla possibile decifrazione del significato. Si legge a pagina quarantatré “Diventare uccelli”. Poesie, queste, che rintracciano il loro valore testimoniale nel senso d’appartenenza ai luoghi, nei viaggi fatti, nelle permanenze più o meno lunghe avute in altri contesti geografici. Una poesia che non è più vedutistica come in antecedenza ma che si fa ritrattistica degli spazi, della toponomastica dei contesti geografici vagliati dall’esperienza. L’ultima sezione del volume è “Il latte e il fuoco” la cui comprensione ci viene favorita da alcune indicazioni della stessa autrice che nella conclusione ha scritto: “una testimonianza in questo momento dove le cose in cui credo si sono smaterializzate fino alla negazione dell’evidenza e dove a tratti almeno l’ironia può servire allo scopo poetico” (115). Vi si ritrova anche una giocosa e funambolica poesia sullo stile del

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“Lonfo” di Fosco Maraini presentata come divertissement col titolo “Metacomunicazione” ad intendere un linguaggio simultaneo altro, la cui decodifica va forse ritrovata in sistemi di richiamo e interrelazioni di codici interpersonali non solo linguistici. Di questa sezione due mi sembrano i testi che, forse più degli altri, risaltano, entrambi costruiti a partire da un impegno etico saldo verso la vita: “Ho idea non si sappia bene” che, in una lirica abbastanza lunga da strofe di diversa lunghezza, pone in risalto alcune dei più spregevoli episodi che attanagliano l’attualità quali ad esempio i rigurgiti fascisti o le tragedie nel Mediterraneo. L’autrice si riferisce nel corso della poesia all’ecatombe passata alla storia come naufragio della notte di Natale 1996, meglio nota come naufragio della F174: la strage nelle acque internazionali a circa 35 km dalla costa di Porto Paolo nel Siracusano che provocò il decesso di circa trecento persone. La sciagura per mare di dimensioni più grande della nostra età contemporanea, per lo meno sino al 2013. L’altra poesia è “Il corpo del poeta all’idroscalo” dedicata a Pier Paolo Pasolini che nel 1975 venne ritrovato cadavere ad Ostia, assassinato da un gruppo della malavita romana (sembrerebbe). L’Autrice coglie il momento di dolore attraverso la desolazione e il terrore profondo di una madre, Susanna Colussi, che sopravvisse all’amato figlio – che le aveva dedicato l’accorata e lirica Supplica a mia madre nel 1962 – sino a ricongiungersi a lui qualche anno dopo, nel 1981. La poesia passa anche attraverso forme del ricordo, sistemi che ci consentono in maniera seria e sentita di testimoniare chi siamo stati (scoprendo chi siamo) e trovo che queste due componimenti, in particolare, siano molto significativi e tesi a una coralità di sentimenti nei quali il lettore potrà riscoprirsi o trovarsi. Lorenzo Spurio

SPETTACOLO EDIFICANTE Un nugolo di gialle farfalle s'accanisce su una siepe fiorita: succhia il nettare, ma la pianta, generosa, non si lamenta, dice: <<Fate pure! Ne resta ancora per le api che daranno il miele per i pasticcini dei golosi bambini>>. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo, IS


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D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE LA DISFATTA DELL’OCCIDENTE NELLE TERRE MARTORIATE DELL’AFGHANISTAN - Quelle immagini di persone che si aggrappano alle ruote del carrello dell’aereo americano, in decollo dall’aeroporto di Kabul, e dei due fratelli, venditori di cocomeri, che precipitano sfracellandosi al suolo; gli attentati, le stragi e la gente nelle limacciose acque delle fogne a cielo aperto che si arrossano di sangue, sono monito straziante e sconfitta cocente per tutto un Occidente che - nell’agosto infuocato di quest’anno e pur nella pandemia alla quale, a quanto pare, assai pochi ancora ci pensano - continua a ingozzarsi e a sprecare, incurante della miseria degli altri, delle loro paure, della loro sete di giustizia e di vera libertà, non di quella a lavabocca di coloro - italiani compresi – che non accettano neppure un green pass, perché giudicato strumento subdolo e anticamera della dittatura. Quelle immagini ci dicono quale è veramente la miseria e quale la vera sete di libertà; ci dicono che noi la libertà non sappiamo apprezzarla, proprio perché ne facciamo un abuso, la snaturiamo, la violentiamo e perché, ignorando la vera miseria, la vera fame, la vera indigenza, sfidiamo stupidamente regole e

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buon senso, agevolando, così, il diffondersi della pandemia, pur di divertirci oltre ogni misura e pur di strafare e strafogarci senza ritegno. Quelle immagini ci ricordano che ci sono luoghi e popoli che ancora non hanno raggiunto neppure un briciolo della nostra ricchezza e neppure un tenue respiro della nostra incosciente e sbracata libertà. Ci dicono, ancora, quelle immagini, ch’è vera follia pensare si possa esportare la democrazia (democrazia? O non piuttosto anarchia?), come follia è continuare a pensare che le guerre possano servire a qualcosa oltre a incrudelire e seminare odio e rancore; ci dicono che ogni Popolo debba essere aiutato a risolvere da sé direttamente, al proprio interno, ciò che concerne l’assetto politico e sociale, non bombardandolo, inondandolo di migliaia e migliaia di soldati, di armi sofisticati e quale idiozia! – “intelligenti”, imponendogli formule avulse dal suo contesto e che fanno a pugni con i suoi usi e costumi; in altri termini, inutilmente e semplicemente violentandolo; è come - a fare un paragone non sappiamo quanto calzabile - voler tentare d’introdurre ai poli flora e fauna del deserto. Vani sforzi, follie, e il risultato - volendo considerare solo il nostro sforzo in Afghanistan – sono le 54 vittime cadute in missioni, tutte in giovane età, alcune di appena ventitré anni, cinquantenne solo Cristiano Congiu, il più anziano. Costoro non sono morti inutili, sono degli eroi, ma è falso dire che sono morti per la libertà, per dar libertà o altre utopie; son morti inconsapevoli, seguendo ordini politici e folli, sotto i quali si annidano gli interessi e le ingordigie di molti (a scavare, quante losche rapacità!), oltre che per la dabbenaggine di voler crederci superiori e di atteggiarci a maestrini del mondo. Occorre rovesciare tutto; occorre essere meno scialacquatori, sprecare meno ricchezza; usare la nostra cultura e il nostro sapere per aiutare i popoli a casa loro, a crescere a casa loro, non imponendo loro alcunché: corpi estranei che, come tali, sono quasi sempre, o prima o poi, destinati al rigetto. Saremmo così veramente democratici; capiremmo e useremmo meglio


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la nostra libertà (che riconosciamo solo a parole essere quella che si ferma prima di calpestare la libertà degli alti) e, forse, allora veramente insegneremmo qualcosa. Domenico Defelice *** GINO STRADA, PIERA DEGLI ESPOSTI - Gino Strada, Piera Degli Esposti, Rudy De Cadavcal, Antonio Pennacchi: questo agosto, appena trascorso, s’è portato via molti personaggi illustri. Di Antonio Pennacchi e Rudy De Cadaval ci interessiamo in queste stesse pagine in modo più diffuso; qui vogliamo brevemente ricordare che Piera Degli Esposti (Bologna, 12 marzo 1938 – Roma, 14 agosto 2021) è stata una grande attrice, colta e geniale, sensibile e, per certi aspetti, perfino schiva, giacché lontana dalle vane e plateali apparizioni tipiche del mondo dello spettacolo, dove vuoti e, per cultura, in-

significanti imbonitori radunano folle oceaniche, perché la massa va cercando non contenuto, ma evasione e futilità. Ha fatto cinema (da “Questi fantasmi”, 1967 a “I santi giorni”, 2019), teatro (da “10 minuti al buio”, 1968, a “Il mondo di Patty”, 2010), televisione (da “Ritorna il tenente Sheridan”, 1963, a “L’ultima de’ Medici”, 2020). Aveva 83 anni. Gino Strada (21 aprile 1948 – 13 agosto 2021) era nato a Bologna; medico chirurgo, aveva lavorato anche negli Stati Uniti d’America. Si può dire che egli abbia consumato l’intera sua vita per dar salute agli altri, sempre presente nei Paesi più travagliati dalla miseria e dalla violenza, instancabile nell’affermare che le guerre erano sono e saranno sempre una follia, che nulla, proprio nulla di buono possano arrecare all’umanità oltre al dolore e alla morte. Un uomo che

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muore, anche uno solo, per causa della violenza e dell’odio, non è che una cocente sconfitta dell’intera umanità. Con la Croce Rossa è stato in tutti i Paesi martoriati del mondo: Pakistan, Etiopia, Tailandia, Afghanistan, Perù, Somalia, Bosnia eccetera. Nel 1994 ha fondato Emergency, con ospedali da campo aperti a tutti, curando negli anni più di undici milioni di persone ferite, alleviando, così, anche miserie, senza chiedere tessere e passaporti, senza guardare al colore della pelle, senza distinguere fra carnefice e vittima, perché, davanti al dolore, alla sofferenza, siamo tutti e solo creature bisognose di essere soccorse. D. Defelice

LIBRI RICEVUTI ELIO GRANILLO – Chiave cifrante – Prefazione di Sandro Gros-Pietro; in copertina, a colori, “Piccola russa”, di Mario Cavaglieri – Genesi Editrice, 2021, pagg. 74, € 10,50. Elio GRANILLO è nato a Trento nel 1936 da famiglia di schiette tradizioni partenopee. Sua parente la scrittrice Matilde Serao. È morto improvvisamente nel 1976. Giovanissimo, entrò nella redazione di un giornale piemontese dove si occupò in tempi successivi di cronaca nera e di critica letteraria e cinematografica. “Chiave cifrante” è la sua unica raccolta di versi, scritti tra il 1955 e il 1965, pubblicata la prima volta da Rebellato nel 1971, e, a cinquant’anni di distanza, in versione ampliata, da Genesi, 2021. A inviarci il volumetto è la figlia, la Dottoressa Eliana Granillo, Linguist, Subtitler and Localization Specialist. ** PIERRE DUCOURET – Désirs d’aurore et d’infini – Poesie, Prefazione di Kthlee Hyden-David; in


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copertina, a colori, “Intermezzo”, di Gyuri Lohmuller – Editions France Libris, 2021, pagg. 80, € 10. Pierre DUCOURET, biologo, docente ricercatore delle università di Poitiers e di Caen, è nato nel 1946 e ha iniziato a scrivere qualche anno prima del suo pensionamento. Vari i suoi interessi: la storia, le arti, la letteratura, l’astronomia, i viaggi (nel 1967 ha fatto il giro del mondo) e la donna e l’amore. Molte sue poesie sono apparse su riviste (come Florilège, Friches eccetera). ** NADA SKAFF – Nusa – Premio di Poesia 2021 Yolaine & Stephen Blanchard, Collezione Florilège, Edition France Libris, 2021, Prefazione di Yolaine et Stephen Blanchard, pagg. 48, € 10. Nada SKAFF è nata a Beyrouth nel 1969, città nella quale ha studiato Microbiologia nella locale Università americana, collaborando per quattro anni a un “hebdomadaire” di lingua francese. Nel 1998, con suo marito, un italiano, si stabilisce a Napoli. Creatrice di gioielli, da sempre appassionata di poesia e di letteratura, ottiene un master in lingua e letteratura francese all’università “orientale” di Napoli; membro di giuria del Premio “Léopold Sedar Senghor”; ha insegnato francese nelle scuole italiane. Ha pubblicato due novelle con le edizioni dell’università Orientale di Napoli e le raccolte: Fleur de sel (in francese, 2013), Il punto di rugiada (in italiano, 2020), Nusa (in francese, 2021). ** TITO CAUCHI – Edio Felice Schiavone/Lucia Schiavone. Il Poeta Pediatra (1927 – 2016) La Restauratrice Scultrice – Introduzione di Isabella Michela Affinito; in prima di copertina, a colori, “Le ali della donna”, di Lucia Schiavone – Editrice Totem , 2021, pagg. 76, € 15. Tito CAUCHI, nato l’ 11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma). Ha svolto varie attività professionali ed è stato docente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubblicazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchiglia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003), “Isola di cielo” (2005), “Il Calendario del poeta” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobaleno” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima” (2012), Palcoscenico” (2015). Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone” (2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Angelone” (2010), “Michele Frenna nella Sicilianità dei mosaici” (monografia a cura di Gabriella Frenna, 2014), “Profili critici” (2015), “Salvatore Porcu Vita, Opere, Polemiche” (2015), “Ettore Molosso tra sogno e realtà. Analisi e commento delle opere pubblicate” (2016), “Carmine Manzi Una vita per la cultura” (2016), “Leonardo Selvaggi, Panoramica sulle opere” (2016), “Alfio Arcifa Con Poeti del Tizzone”

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(2018), “Giovanna Maria Muzzu La violetta diventata colomba” (2018), “Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce” (2018), Graziano Giudetti, Il senso della poesia (2019), Profili Critici 2012. Premio Nazionale Poesia Edita Leandro Polverini, Anzio. 163 Recensioni (2020), Pasquale Montalto. Sogni e ideali di vita nella sua poesia (2020), Angelo Manitta e Il Convivio (2020), Lucia Tumino una vita riscattata (2020), Silvano Demarchi Fine letterato e poeta (2020), Carmelo Rosario Viola. Vita, Politica, Sociologia (1928 – 2012) (2021), Piaf. Pagine Intime Ansia Femminile (2021), Clio. Conversazioni Letterarie Italia Oggi (2021). Ha inoltre curato la pubblicazione di alcune opere di altri autori; ha partecipato a presentazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’aperto. È incluso in alcune antologie poetiche, in antologie critiche, in volumi di “Storia della letteratura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e 2013), in “World Poetry Yearbook 2014” (di Zhang Zhi & Lai Tingjie) ed in altri ancora; collabora con molte riviste e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ottenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero ed è stato insignito del titolo IWA (International Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. È presidente del Premio Nazionale di Poesia Edita Leandro Polverini. Ha avuto diverse traduzioni all’estero. ** WILMA MINOTTI CERINI (a cura di) - Peter Russell Vita e Poesia – Edizioni Il Foglio, 2021, pagg. 822, € 30,00. Il grosso volume antologico è quanto di meglio si potesse fare – e, infatti, nessun altro l’ha fatto! – per onorare il grande poeta inglese che ha scelto l’Italia per vivere gli ultimi anni della sua vita. Wilma Minotti Cerini si è assunto un compito arduo, veramente da far tremare le vene e i polsi, e l’ha portato a compimento nel migliore dei modi possibili. Bisogna dargliene atto e congratularci con lei. Naturalmente, il corposo libro verrà recensito sulle nostre pagine, ma, intanto, ci piace riportare la lettera d’accompagno inviataci assieme al dono, perché essa accenna con chiarezza ad alcune delle tante difficoltà che la scrittrice ha dovuto superare. Wilma Monotti Cerini è stata una vera amica nei confronti di Peter Russell, e l’ha aiutato in tutti i sensi in momenti difficili. “Caro Domenico – ci scrive da Pallanza il 10 agosto 2021 – Eccomi finalmente a te con la tanto attesa Antologia su Peter Russell “VITA E POESIA”, che a dire il vero mi è costata tantissima fatica al limite dello sfinimento per le tante ore passate sul computer, per i 4 controlli necessari prima di andare in stampa, ma finalmente ce l’ho


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fatta.//Aver messo insieme quasi la complessa e articolata composizione poetica, le conferenze, le recensioni (tra queste la tua) non è stato facile, se è pur vero che il mio rapporto con Russell di grande amicizia e di condivisione filosofico-spirituale ha qualcosa di miracoloso in quanto quello che non avevo l’ho trovato, ovviamente ho solo citato due opere molto importanti in quanto edite e non ho voluto interferire, salvo citarle.//Ho realizzato anche tanta parte di te e del tuo rapporto con Russell di grane impatto amichevole, gli hai sempre dato uno spazio alle sue opere che erano di grande valore.//Mi auguro quindi che questa Antologia possa risvegliare le menti e dare il giusto valore alla personalità del nostro amico Peter Russell considerato un grande o forse il più grande dei modernisti del secolo scorso e possa in questo caso essere riconosciuto come tale.//(…)”. Un augurio – questo di Wilma Minotti Cerini - che non possiamo che far nostro. Wilma MINOTTI CERINI è nata a Milano nel 1940. Attualmente vive a Pallanza (VB). Ha all’attivo diverse pubblicazioni. Per la poesia: La luce del domani; Alla Ricerca di Shanti (1993); La strada del ritorno (1996), L’alba di un nuovo giorno (2020). In campo saggistico: Caro Gozzano (1997); Una questione di dosaggio (1998). Nella narrativa: Rajana (romanzo, 1998); I figli dell’illusione (racconto filosofico, 19981 e 20182); Ci vediamo al Jamaica (romanzo, 2010); Le verità nascoste (2021). L’Autrice è presente nella Storia della Letteratura Italiana, nel Dizionario Autori Poeti scelti a livello Europeo -, in varie riviste letterarie e nel sistema www.Literary.it. È Senatrice dei Micenei.

TRA LE RIVISTE KAMEN’ – Rivista di poesia e filosofia diretta da Amedeo Anelli – viale Vittorio Veneto 23 – 26845 Codogno (LO) – E-mail: amedeo.anelli@alice.it – Riceviamo il n. 59, giugno 2021, del quale diamo il sommario: Filosofia/Dino Formaggio – Dino Formaggio, “Frammenti e valori dell’Arte in Lucian Blaga”; Dino Formaggio, “Mike vivant”. Poesia/Guido Oldani – Guido Oldani, “Uomo in scatola”; Amedeo Anelli, “Guido Oldani e l’uomo in scatola”; Roberto Vignolo, “Agganciando il cielo. A proposito dell’ultima rac-

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colta di poesie di Guido Oldani”. Umorismo/”Bertoldo” – Guido Conti, “L’umorismo del “Bertoldo” 1936 – 1943, fra tradizione e avanguardia europea”. * IL CONVIVIO – Trimestrale fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza Conti – via Pietramarina – Verzella 66 – 95012 Castiglione di Sicilia (CT) – E-mail: angelo.manitta@tin.it; enzaconti@ilconvivio.org – Riceviamo il n. 85, aprile-giugno 2021, ricchissimo di articoli, rubriche, recensioni, pittura eccetera. Tra le numerosissime firme, a vario titolo, segnaliamo: Angelo Manitta (tra l’altro, “Dumitru Gǎleşanu The lights of man”), Enza Conti, Maria Luisa Daniele Toffanin, Elio Andriuoli (“Corrado Calabrò Quinta dimensione”), Aldo Marzi, Antonia Izzi Rufo, Gabriella Frenna, Manuela Mazzola, Anna Aita eccetera.

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