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E poi infine al posto dei cavalli giunse un trattore a scoppio, a turbare nel cuore della notte i nostri sonni… Era iniziata l’era dell’automobile.

Eppure con tutto ciò era ancora bello il mio quartiere, ed era bella la mia strada, ed era bello e confortante il viverci.

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Si trasforma rapidamente adesso. Nuovi palazzi al posto delle siepi e un nuovo parco ove sorgevano gli orti. Più i bimbi non giuocano per le strade e più nessuno le percorre cantando. Ma sempre il Naviglio Grande scorre, incrociando la mia via, fino alla Darsena, a ricordo della vecchia Milano coi canali come Venezia, e della sua storia.

Mariagina Bonciani

Milano

FRAZIONE DI ZERO

Ho visto tutto: niente esiste per me se non in me.

Ho visto tutto ed il tutto era in me: in me, frazione unitaria di zero.

Corrado Calabrò

Da La scala di Jacob, Primo Premio Città di Pomezia 2017, Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie.

LA PECCHIA

Una pecchia, avida, si intrufola tra i gelsomini gialli della balaustra. E io, avido di sole e di dolcezza, la seguo. D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE

UN PARCO INTITOLATO A DON ANGELO ZANARDO – Martedì 22 giugno 2021, alle ore diciassette, il Comune di Aprilia (LT), finalmente, ha intitolato un pezzo di verde a don Angelo Zanardo. Diciamo finalmente, perché l’assegnazione avrebbe dovuto tenersi già il 29 ottobre 2020, poi, però, rimandata a causa delle restrizioni pandemiche (ne avevamo ampiamente trattato alle pagine 49 e 50 del numero di novembre dello stesso anno). Il Parco è l’area verde che si trova nel

quartiere Toscanini, tra via Brindisi, via Bucarest e via Bulgaria. Don Angelo Zanardo era nato a Soffratta di

Moreno di Piave il 21 marzo 1922 ed è morto a Vittorio Veneto il 14 maggio 2011. Ad Aprilia (Latina), don Angelo è vissuto a lungo, prodigandosi sempre per la crescita sociale e spirituale, ben voluto e rispettato da tutti. Parroco nella Chiesa Dei Santi Pietro e Paolo, ha diretto per più di trenta anni il Centro di Forma zione Professionale - prima al Centro della città e, poi, in via dell’Industria – che ha preparato migliaia di giovani per le fabbriche del luogo e non solo, nei rami della saldatura, della carpenteria, della chimica. Alla cerimonia dell’intitolazione erano presenti, tra gli altri: il Sindaco di Aprilia, dott. Antonio Terra; la Coordinatrice dell’evento, Eva Torselli; varie autorità locali in rappresentanza di GdF, CC, Polizia Municipale; ha benedetto la targa e i presenti, Don Alessandro Saputo, Vicario per la Città di Aprilia; sono intervenuti: il Sindaco, Eva Torselli, Ermanno Iencinella, Don Franco Marmando, Parroco di Aprilia e Vicario Generale della Diocesi di Albano; tra gli ex docenti e personale del Centro di Formazione Professionale: Ermanno Iencinella, Cinzia Cerulli, Cesare Buscaino, Luigi Spirito, Maria Raso, Angelo Lilli, Claudio Pigliucci, Quaresima Maria (moglie di quest’ultimo), Donato Holweger. *** 2a “Hortātĭo” (la 1a, su Pomezia-Notizie giugno 2021)

ONORARE IL POETA DOMENICO

CAPPELLI - L’avevano appena pensionato, quando la morte crudele lo ghermì. Domenico Cappelli amava Pomezia, la città di adozione che gli aveva dato lavoro e una famiglia che adorava; l’amava e godeva nel vedere che, finalmente, incominciasse a darsi “un vestito nuovo”, più bello e pulito, con meno smog e meno cemento. Fino allora, infatti, cemento e smog l’avevano frettolosamente gonfiata di brutti palazzi e capannoni; di troppi capannoni, i quali -lo si capiva - non avrebbero retto alla realtà dei fatti e, perciò, inevitabili le successive e repentine chiusure, frutto diuna crescita sproporzionata e selvaggia. Cappelli godeva nel riscontrare che Pomezia iniziasse a darsi più razionalità e verde e davanti al parco, “tra le sughere e i meli,/lungo la pista delle biciclette”, nel tripudio della primavera, poteva finalmente gonfiare il petto ed esclamare "Pomezia mia!”. Oggi, quella pista ciclabile originale, la parte più

bella e suggestiva, che gli apriva il cuore al canto, è quasi abbandonata, in parte franata; il ponticello in legno ha tavole sconnesse che scricchiolano quando vi transitano uomini e donne in corsa per tenersi in forma, mamme con carrozzine, bambini lieti, esuberanti. Prima di costruirne di nuove – oggi, avrebbe detto, con noi, il bravo poeta operaio -, non sarebbe stato saggio, logico e razionale assicurare e curare l’esistente? Domenico Cappelli frequentava spesso quella pista ciclabile e, specialmente, il tratto più in basso nell’autentica selva d’alberi; il rigagnolo tra le spine, le edere e gli altri rampicanti; lo zirlo dei merli; il canto dell’usi-

gnolo. Luogo veramente suggestivo per l’animo di un poeta, e, Cappelli, poeta lo era e veramente e, perciò, ora, dalla sua e nostra città va degnamente onorato. Invitiamo il nostro Sindaco a provvedere e preghiamo, che glielo ricordino, la Dottoressa Teresa Di Martino - che cura efficacemente il Servizio Stampa del Comune -, i consiglieri e gli assessori, i politici d’ogni colore; invitiamo il Quartiere, dove Cappelli abitava, a istituire un Comitato per la raccolta di firme da presentare all’Amministrazione comunale perché gli si innalzi un vero monumento. Ecco, intanto, un sonetto dedicato a Torvaianica, nel quale il poeta non può fare a meno di accennare alla violenza e allo scempio che, negli anni passati, si sono arrecati al paesaggio, per fortuna sempre e comunque ancora bello, ancora “una visione”:

“TORVAJANICA

Giovane donna, che non ha pudori, alla solatia estate ti distendi, a tutti t’offri, nulla tu pretendi sian ricchi o poveri i tuoi amatori.

Da gente bene, giunta d’ogni dove fosti violentata ancor fanciulla, t’han posseduta senza darti nulla, né un fiore, né un ricovero se piove.

Spoglia t’han presa, straccia t’han lasciata ma godi dell’estiva confusione sapendo d’esser presto abbandonata. Eppur venendo a te, da Pappagone, la notte io ti vedo ingioiellata che più che vera sembri una visione.” Anche in questi versi è da leggere quel che Domenico Cappelli auspicava: che Torvaianica, cioè, non fosse più una “estiva confusione”, con l’autunno “presto abbandonata”; solo una quasi babele nella “solatia estate”, insomma, ma una località viva e fervorosa per tutto l’anno, sia per presenze turistiche che per risorse e attività economiche.

Domenico Defelice

*** QUARANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA TRAGICA MORTE DI ALFREDINO RAMPI – Il 10 giugno 1981, a Vermicino, vicino Roma, la tragica fine del piccolo Alfredino Rampi, che ha commosso il mondo. Incancellabili, in noi, quelle oltre quaranta ore di autentica agonia, durante le quali la voce della piccola vittima, ampliata da un microfono, ci ha dato ansia e l’illusione che potesse essere salvata; che un miracolo,

e la tanta generosità della gente, potessero riportarla in superficie e fra noi, restituirla alla madre e alla famiglia. Ogni sforzo, invece, è stato inutile e tanti imbecilli – così come è sempre avvenuto, avviene e avverrà nelle tragedie – si sono comportati come ad una sagra; lo stesso Presidente della Repubblica, senza volerlo, con la sua presenza ha contribuito ad ampliare il palcoscenico della demenza. Ecco quanto allora scrivevamo, frutto del nostro - mai sopito - dolore e della nostra indignazione. Rigopiano, lo sfracellarsi della cabina vicino a Stresa… L’incuria, l’insensatezza, il profitto: la pazzia dei tanti e il dolore che in noi si ripete e che ci strazia. NENIA E BALLATA VELENOSA IN MORTE DI ALFREDINO RAMPI

Un salto, come il tuo eroe di cartone, sulla terra smossa e fu subito notte. Alfredino, mille volte mio figlio.

Quando s’intesero i tuoi lamenti, Nando improvvisò canzoni e fiabe per sottrarti alla morte. Alfredino, mille volte mio figlio, cuore prosciugato dal pianto e dall’implorazione. Salvarti vollero con mezzi di fortuna, con eroi improvvisati e ti spinsero in fondo. Alfredino, mille volte mio figlio, cuore prosciugato dal pianto e dall’implorazione, fino a ieri sconosciuto figlio, in me nato improvviso come

fiore.

Furono lunghi giorni di passione e spettacolo lungo come al tempo di Cristo. fiore, Alfredino, mille volte mio figlio, cuore prosciugato dal pianto e dall’implorazione, fino a ieri sconosciuto figlio, in me nato improvviso come

mille volte mio figlio, cuore del mio dolore.

Fragile libellula, anima di paradiso, fosti solo la morte a contrastare sospeso sull’abisso. Alfredino, figlio mio crocifisso.

Salvarti vollero con mezzi di fortuna, ma i tonfi della geosonda - ampliati tonfi - furono echi strazianti al cuore tuo impazzito. Alfredino, figlio mio crocifisso, figlio del mio vicino, figlio del mio nemico.

Per l’etere, come bandiera, a lungo sventolò la tua camicia a strisce.

Alfredino, figlio mio crocifisso, figlio del mio vicino, figlio del mio nemico, figlio del galeotto, figlio mio spezzato.

La tua camicia, sola messaggera al mondo della tua preghiera di vita. Alfredino, figlio mio crocifisso, figlio del mio vicino, figlio del mio nemico, figlio del galeotto, figlio mio spezzato, scorticato, raggomitolato al centro della terra.

Sopra di te c’era anche il pianto, ma sovrastavano festa e indifferenza. Alfredino, figlio, figlio mio afflitto.

Così l’ombra circondò il tuo cuore e sull’omero il capo reclinasti, smunte le labbra, vitreo. Alfredino, figlio, figlio mio afflitto, figlio del santo, figlio dell’affamato. Così chiudesti gli occhi in un freddo sudario d’azoto, domo non dal calvario agghiacciante, ma dal sospetto nell’uomo. Alfredino, figlio, figlio mio afflitto, figlio del santo, figlio dell’affamato, figlio del nuovo Creso, figlio dell’offeso. Sì, la nostra leggerezza t’uccise, la mia, e vivere più non posso la vita, ché, se al sorriso m’invita, tu dentro me sprofondi macigno. Alfredino, figlio, figlio mio afflitto, figlio del santo, figlio dell’affamato, figlio del nuovo Creso, figlio dell’offeso, figlio mio lacerato, assetato al centro della terra.

Il buio è calato in me della tua tomba. Amare come si può dopo il tuo dramma, come si può odiare? Alfredino, figlio mio derelitto, figlio di Cristo, figlio di Budda e Brahma, figlio della Sacra Trimurti. Perdona se siamo venuti tutti al tuo altare non per salvarti, ma per immolarti candida ostia al centro della terra. *** Chi lo spinse nella buca? Chi ha voluto la sua morte? Chi giocò alla malasorte? Se ne intesero di cotte, se ne scrissero di crude, raccontando di madonne, ma di iene, anche, e di drudi. Sì, l’ho scritto proprio io, sì, l’hai detto proprio tu, sui giornali e alla TV. Quasi tutti i mass-media un elenco di perfidia.

No. Io no, non sono stato. In poltrona rannicchiato, invocavo il Padreterno che allungasse la Sua mano per sottrarlo dall’inferno. Or t’assalgono i rimorsi? Su, che arrivano i soccorsi. Sta dicendo quel droghiere che ci sono già i pompieri. C’è un signore col badile; c’è, con tutto il suo apparato d’uno Stato d’eccezione, la Civile Protezione: corde di gomma e canapa silana, stringhe di seta, ombrelli, palloncini, tavolette, tubicini... Fate largo, vi prego - grida il capo con sussiego. Grosso premio a chi lo salva e la promessa d’impiego. Una folla, lesta lesta, è arrivata per la festa: venditori di noccioline,

il Presidente Pertini, il Ministro dell’Interno e della Protezione Civile. C’ero io, c’eri tu, c’eran tutte le TV.

Saltimbanchi ed imbianchini, tappezzieri ed indovini, carognacci e poliziotti, ragazzini un po’ invadenti, venditori di gelati... Voglio quello col pistacchio! No! Alla crema e alla vaniglia. Sì, limone e cioccolato. Pure mamma se lo piglia. Io mi compro un maritozzo. Soffrirà quel ragazzino conficcato dentro il pozzo? Tu? Un panino alla salsiccia. Dammi pure una bottiglia d’aranciata. A me una birra. Queste paste son poltiglia, oggi ognuno ne approfitta. Guarda un po’ quant’è commosso il vegliardo Presidente. Rosa, andiamo al “Girasole” se hai “Control” nella borsetta? Già, la madre si dispera. Poveraccia, che disgrazia! Fin da ieri ho prenotato in Sardegna, ho una villetta. Nooo, la Volvo non mi piace, son fedele alla Ferrari. Hanno detto adesso adesso che più giù è precipitato. Vuoi la pizza con i funghi? Sì, e un quartin di quel rosato. Poveretto, che calvario! Per lui, ormai, non c’è speranza. Ha ragione Forlinori, l’Adriatico è una fogna. Gina è amante del barbiere e lui crede ch’è una santa! Caleranno azoto liquido, sarà un fossile ghiacciato. Io, fra poco, andrò a dormire, questo dramma m’ha stressato e la gente è un po’ infantile. Dammi ancora un’altra birra. Forse non ci crederete, ma quel povero bambino dentro il pozzo aveva... sete!

(Come dopo il varietà, sopra questi bei signori si son spenti i riflettori).

Domenico Defelice

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Padre Maffeo Pretto: è morto il cantore

della pietà popolare calabrese - Mercoledì 9 giugno 2021, nella casa dei Padri Scalabriniani ad Arco, in provincia di Trento, ha concluso la sua vita terrena padre Maffeo Pretto, era nato nel 1929 a Cologna Veneta (Verona). Dal 1979 è stato una presenza significativa a Briatico, centro del Tirreno vibonese, dove aveva costituito il Centro studi emigrazione dedicato a mons. Scalabrini. Autore di numerosi libri, tutti pubblicati dalla casa editrice Progetto 2000 di Cosenza, che tra l’altro ha in corso di stampa un suo nuovo saggio: La Calabria e la sua cultura popolare tradizionale. Padre Pretto, con la sua personalità e i suoi studi, lascia un’eredità davvero unica. I suoi amici stanno organizzando una serie di iniziative in agosto per ricordarlo e rilanciarne il suo messaggio.

Il ricordo dell’editore Demetrio Guzzardi (Progetto 2000)

Ho incontrato per la prima volta padre Maffeo Pretto a Briatico il 21 giugno 1986, poche ore prima che venisse celebrato il mio matrimonio. Rimasi colpito dalla quantità di libri presenti nella sua stanzetta che fungeva da ufficio parrocchiale ma anche sede del Centro studi sulle emigrazioni calabresi. Da quell’incontro è nato un rapporto intenso e fecondo, non solo i libri che la mia casa editrice ha edito, ma soprattutto per l’amore che il sacerdote scalabriniano mi ha fatto scoprire verso il mondo popolare. A lui ho voluto dedicare la mia mostra dei santini calabresi perché quella gente che lui amava è diventata anche per me, parte del mio vissuto. Tantissimi i viaggi in macchina per presentare i suoi studi e, in quelle occasioni, padre Maffeo mi

parlava in anteprima delle sue scoperte sull’affascinante mondo della fede popolare. L’ultima volta che l’ho incontrato ad Arco gli ho chiesto qual era il ricordo più bello della Calabria, mi ha risposto: «Quando confessavo alcune vecchiette, ascoltando la fatica del loro vivere quotidiano, mi sarei voluto inginocchiare, baciando loro le mani e chiedendo per me una benedizione dalla loro vita santa, nel seguire gli insegnamenti del Vangelo».

*** SARA E MICHELE SPOSI – Alle ore 13,00 del 10 luglio 2021, nella Basilica Minore dell’Addolorata di Castelpetroso, tra l’esultanza di parenti e amici, Matrimonio dei

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