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Andriuoli, pag. 46); Roberta Colazingari (Frammenti di vita, di Manuela Mazzola, pag Domenico Defelice (Edward Lear Poems Nonsense & Songs, a cura di Virginio Gracci, pag. 47); Domenico Defelice (Carmelo Rosario Viola, di Tito Cauchi, pag. 48); Manuela Mazzola
by Domenico
poetica di Rombi dagli inizi fino alle ultime cose, cercando di mettere in luce alcuni aspetti di essa. Rombi ha sicuramente con la poesia un rapporto doppio. Il primo è intimistico, in cui ritroviamo il suo io più profondo, il suo dolore e le sue illusioni; il secondo ha a che fare con il suo sguardo che si posa sul mondo che lo circonda: da qui nascono liriche di critica e denuncia alla nostra società.
Il lavoro, diviso in due parti, si apre con la prima pubblicazione di Rombi “I poemi del silenzio” (1956), in cui ci racconta in versi la dolorosa vicenda della diaspora sarda. Ci sono descrizioni di stenti e sofferenze, un panorama cupo e tragico circonda il popolo sardo che è costretto ad emigrare. Si passa poi a “Oltre la memoria”, sicuramente più intimista. “Forse qualcosa” (1980) è invece una raccolta di frammenti lirici, in cui si evidenzia l’egoismo umano. Arriviamo poi ad “Un amore” (1992), una sorta di canzoniere dedicato alla donna amata (la moglie purtroppo scomparsa) a cui il poeta si sente ancora molto legato. Una denuncia ai mali che assillano la società la troviamo in “Otto tempi per un presagio” (1998): qui Rombi si sofferma sulla droga, sulla corruzione, sulla violenza e sull’egoismo. La seconda parte inizia con un omaggio allo scultore Costantino Nivola, le cui origini sarde lo avvicinano molto a Rombi. Si continua con “Il battello fantasma” (2001) in cui riflette sul senso della propria vita, guardando alla sua passata infanzia. “Fragments de lumiere” (2010) contiene, invece, versi molto intimistici ed ancora riflessioni sulla vita; “Il viaggio della vita (2011) dove Rombi fa il punto della situazione sulla sua produzione. L’ultimo scritto è datato 2018 “Quando muore un poeta?”. Qui Rombi sente il peso degli anni che avanzano, si pone domande assillanti sull’attesa del “terribile giorno”. Fa un bilancio di quello che è stata la sua vita, di ciò che ha dato e di ciò che ha ricevuto. Delusione e sconforto aleggiano dai versi che continuano a porsi domande a cui, forse, nemmeno la poesia riuscirà a rispondere.
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Roberta Colazingari
MANUELA MAZZOLA
FRAMMENTI DI VITA tra passato, presente e futuro
Il Convivio Editore, 2020, pagg. 40, € 8,00
Ripercorrono frammenti di vita passata, presente e futura i versi di Manuela Mazzola in questa nuova pubblicazione. Sono versi semplici e leggeri, in cui si riaffaccia il vissuto: “Giochi di bambina persi negli anfratti della mente….Essenze lontane, quasi ancestrali, che poi chiudo a fatica in un carillon, sopraffatta dall’emozione”, ma anche il presente e il futuro: “Un raggio di sole li attraversa e mille colori fuoriescono, illuminando la mia fantasia, che si libera nell’aria e tinge il futuro di speranza”.
Anche in queste poesie la poetessa guarda il mondo con un certo distacco, che le fa vedere le cose come sono in realtà: un mondo dove predomina l’egoismo, la cattiveria, l’ipocrisia, in cui difficilmente si tende la mano al prossimo, perché si è molto diffidenti ed ognuno vive al massimo per se stesso. Allora, ecco che la Mazzola preferisce al presente freddo e distaccato, i ricordi di fanciulla, che sono autentici e disincantati. Ritrova i giochi da bambina, i profumi di stagioni vissute con spensieratezza, i primi amori, i primi dubbi sull’esistenza, i sogni: “Sere stellate aspettando un sogno…Un bagno di felicità tra risate e giochi. Spensierati e leggeri ci preparavamo a vivere”. Versi spensierati e leggeri, ma comunque velati di malinconia, che la portano a riflettere su quello che sarà il futuro, che altro non è che “proiezione di desideri e speranze…”. Il segreto del domani non è altro che una scintilla che riaccende la speranza: è la vita, che va costruita mattoncino per mattoncino con i suoi lati di luce e i suoi lati oscuri.
Roberta Colazingari
VIRGINIO GRACCI (a cura di)
EDWARD LEAR POEMS NONSENSE & SONGS
Campanotto Internazionale Editore, 2020, pagg. 158, € 16,00
Ex-docente di Lingua e Civiltà Inglese, Virginio Gracci è autore di articoli e saggi di didattica e letteratura, apparsi in riviste e giornali italiani e stranieri. Ha curato, tra l’altro, per la Loescher di Torino, un testo di Mary Shelley: Maurice, or the Fisher’s Cot, con un saggio in inglese sull’autrice. Poeta in lingua italiana e in dialetto veneto; narratore (alcuni suoi racconti brevi sono contenuti in antologie come “La Pentola dei Nodi”); ha ottenuto diversi riconoscimenti e tra le opere ricordiamo L’Urlo di Munch, e altre Storie (2015; nel 2016 finalista al Premio Acqui Terme).
Gracci è un profondo conoscitore di Edward Lear, del quale ha tradotto molto, sul quale ha molto scritto; ricordiamo, per esempio, il suo saggio breve “Edward Lear e il periodo romano”, apparso su Pomezia-Notizie del settembre 2020 e con il quale egli ha conquistato il secondo posto al Premio “Il Croco” dello stesso anno.
Questo suo nuovo lavoro, edito da Campanotto di
Pasian di Prato, si compone di un saggio che occupa le prime 67 pagine e dei Poems/Poesie, con a fianco la traduzione in italiano dello stesso Gracci. Le poesie comprendono: “Rovine del Tempio di Giove, Aegina, Grecia”, <<‘Quando la luce svanisce in una calma sera d’estate’>>, 24 Nonsense, e tre canzoni: “Il gufo e la gattina”, “I Jumblies (I Mischiati)”, “Il Dong dal naso luminoso”; tutti i 24 Nonsense sono illustrati da altrettanti bozzetti dello stesso Lear, divertenti, estrosi, surreali, ed è proprio sui Nonsense e sui bozzetti che Gracci maggiormente si sofferma nel suo gustoso e scorrevole saggio.
Edward Lear amò e praticò poesia e grafica fin da piccolo. “Visto l’interesse per il disegno e la pittura – scrive Gracci -, egli ebbe modo di apprezzarne la bellezza e il valore fin da ragazzino quando si recava a visitare l’esposizione con la sorella Ann, dato che anche lei era appassionata d’arte e in possesso di una certa abilità pittorica”.
Grafica e poesia in lui, dunque, procedono spesso in parallelo. Edward Lear iniziò, a un certo punto “ad accompagnare ogni suo testo poetico con un’illustrazione, e viceversa ogni bozzetto o disegno con un testo scritto, secondo un metodo di operare che lo accompagnò lungo tutta la vita ed incluse, non solo i suoi nonsense e canzoni, ma anche i suoi libri di viaggio, le cui illustrazioni sono seguite da alcune righe di commento”. Egli è convinto – afferma Gracci - che la comunicazione può “sfociare o nell’indifferenza”, o “nel rifiuto di ascoltare in quanto ciò che si sente dall’interlocutore non corrisponde a quanto ci si aspetta di sentire” e l’unione di parola e immagine può agevolare, ma anche complicare, ingarbugliare, rendere più problematico il comprendere, accrescendone la fascinazioneo la ripulsa. In Lear, a nostro avviso, entrambe le intenzioni o le casualità si equivalgono, hanno valore e interesse, perché alla base della sua ironia, dell’inesplicabile, dell’indovinello, ai quali l’artista pervenne - secondo quanto afferma Gracci -, anche perché, fin da bambino, ebbe sempre a scontrarsi “con i pregiudizi” di chi gli stava intorno, “Perché ognuno di noi è quello che è, un essere umano con i suoi tic, le sue manie, le “sue” normalità, le sue stravaganze” .
Versi e bozzetti di Lear che, a una prima lettura, disorientano, ma, nel prosieguo, convincono e appagano. Ogni nonsense sembra avere uno sbocco nella fiaba, nello stravagante, nell’onirico, sia nella parola che nel disegno e, volta per volta, il lettore è spinto, costretto a pensare una soluzione.
Gracci, nel suo saggio, dà personali aperture e congetture; tuttavia, in noi rimane il dubbio se i bozzetti Lear li abbia composti in supporto ai versi o viceversa. TITO CAUCHI
CARMELO ROSARIO VIOLA Vita, Politica, Sociologia (22 settembre 1928 – 4 gennaio 2012)
In prima di copertina, a colori, “Il mondo in culla”, foto dello stesso Cauchi; in quarta, sempre a colori, foto di Cauchi e di Viola - Editrice Totem, 2021, pagg. 214, € 15
Con una Prefazione quasi conversevole, leggera, ma ricca di notizie, spesso appena accennate e per questo più ghiotte, stimolanti la curiosità, Cauchi ci introduce nel mondo e nelle opere di un uomo e di un sociologo che per tutta la vita ha lottato per la difesa della libertà, della verità e di tutti quei diritti umani che la politica, principalmente, in collusione affaristica con l’economia, a livello mondiale ha da sempre calpestato.
Carmelo Rosario Viola è stato un vero combattente, consapevole che la Sinistra, nella quale egli ha sempre militato, aveva da tempo smarrito il suo DNA, divenendo, in pratica, cattiva interprete di temi e problemi cari al Capitalismo e meglio portati avanti dalla Destra. Viola “giudica l’impresa nell’ottica capitalistica tra sfruttatori e sfruttandi: ciò che muove la produzione è il profitto nei primi, il bisogno nei secondi”; perfino un politico come Romano Prodi –rammentano prima lo studioso e poi lo stesso Cauchi - <<esortava a “inventarsi qualcosa”, con il rischio che qualcuno ha provato a spacciare droga o a fare militanza nella malavita, per non morire di fame, ovvero “per fare qualcosa”>>.
“Carmelo Rosario Viola – scrive Cauchi – non sopportava alcuna sopraffazione”, così battagliando di continuo e con coraggio contro tutto e contro tutti fossero lontani dalle proprie idee libertarie. Ha militato nel PCI e nel Partito Radicale, ma allontanandosi da entrambi e combattendoli appena capiva che si stavano imborghesendosi e inquinandosi di ciò che egli continuava a considerare ingiusto e disonesto. Onesto anche intellettualmente, sapeva rispettare l’avversario, riconoscere le sue ragioni, intavolando, così, preziose amicizie anche con coloro con i quali, prima, si era a lungo e ferocemente scontrato.
Cauchi imposta il suo lavoro su Viola dividendolo in tre parti: le “Opere Autobiografiche” (nelle quali, tra l’altro, il sociologo “Propone una città-campagna per un futuro più a misura d’uomo”; “mostra il suo interesse per parole dialettali e costumi”; “Giudica lo sfruttamento del lavoro minorile fino al crimine commesso da un padre-padrone che finisce a suon di botte il proprio figlio”); le “Opere Sociologiche” (nelle quali distingue l’anarchia dall’anarchismo e afferma che la nostra “società è ancora ado-
lescente e come tutti gli adolescenti vive di conflittualità”. L’opera sua più importante è La Biologia sociale, o Biologia del sociale, nella quale afferma che “Il capitalismo è una forma ereditata dalla giungla, mira all’accumulo della ricchezza e al profitto predatorio, a discapito del lavoro altrui”); e, infine, le “Opere Politiche”, tra le quali, a nostro avviso, le più importanti sono I Barbari di Nagasaki (feroce accusa agli USA per l’uso dell’atomica in Giappone, non sufficientemente criticati neppure dalla nostra Sinistra, se è vero che personaggi come Bertinotti, D’Alema, Cossutta, Orlando, Veltroni “si sono lasciati abbagliare da una sorta di capitalismo, inteso come propulsore di benessere economico”) e Dalla giungla allo Stato (in cui “affronta argomenti di attualità politica, sotto molteplici aspetti”).
Chiudiamo con un brano di Cauchi su La Biologia Sociale, opera che ha suscitato tanti consensi e polemiche, anche perché, più di uno, ha scritto che essa deriva, o, almeno, si avvicina, al“Famismo” di Gino Raya: essa, scrive il saggista, “Richiama così le tre fasi (principali) delle età evoluzionistiche: primitiva (o para-animale), adolescenza (o antropozoica), adulta (o umana propriamente detta). Richiama le costanti: il bisogno di nutrirsi (costante strumentale, fame), di rassicuranza affettiva (religione o altro cui profittatori fanno campo), di proiettarsi (per non morire anche il potere), di autoidentificarsi (a completamento della persona). Richiama le pulsioni esistenziali, i processi bio-dinamici, le (quattro) costanti biosociali o imperativi biologici o bisogni essenziali ai quali aggiunge il movente sessuale che, insieme, costituiscono i (cinque) motori della vita”.
Un esame a volo d’aquila, il nostro, e perché il lavoro di Cauchi è particolareggiato, e perché il personaggio è tutto ancora da inquadrare, e noi lo sappiamo benissimo, avendo pubblicato, sulle pagine di Pomezia-Notizie, molti interventi di Viola e con lui ferocemente polemizzato, senza però che venisse mai, da entrambi, minimamente intaccata la nostra antica e solida amicizia.
Domenico Defelice
GIUSEPPE MANITTA
GIACOMO LEOPARDI PERCORSI CRITICI E BIBLIOGRAFICI (2004-2008)
Il Convivio Editore, 2015, Pagg 294, € 35,00
Il saggio, Giacomo Leopardi. Percorsi critici e bibliografici, è composto da una parte critica e una bibliografica, che va dal 2004 al 2008 con appendice.
Giuseppe Manitta ci presenta un volume che nasce da un’attenta analisi su Leopardi, uno dei maggiori poeti italiani studiati all’estero.
Ilvolume, dallo stile elegante e dal linguaggio raffinato, propone uno studio completo cominciando dall’analisi strutturale e linguistica delle opere stesse. Comprende, infatti, la biografia, i Canti, le poesie, le Operette morali e l’epistolario.
Le epistole hanno un grande valore letterario, poiché da esse si è potuta conoscere la capacità del poeta di utilizzare la lingua moderna a differenza dei suoi contemporanei. Si evince, inoltre, che il Leopardi riesce abilmente a adeguarsi, a seconda del corrispondente, al suo modo di esprimersi, al suo pensiero, al suo stile e anche il lessico, viene da lui usato e modificato a seconda dei carteggi.
Trapela anche, secondo Rolando Damiani, che Antonio Ranieri avrebbe avuto un rapporto più intimo con Giacomo e che Pietro Giordani, invece, fosse una sorta di figura paterna e affettuosa.
E sempre dalle lettere si capisce il rapporto sincero e meno formale con i fratelli Carlo e Paolina, mentre quello con il padre Monaldo risulta meno autentico.
Il carteggio è stato fondamentale per ricostruire le teorie delle illusioni, il concetto di natura, del nulla, del dolore, l’ironia, ma anche la straordinaria capacità di costruire e mantenere rapporti sociali, politici e intellettuali dalla periferica Recanati.