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Isabella Michela Affinito, Redenzione, di Antonio Crecchia, pag
by Domenico
ISABELLA MICHELA AFFINITO REDENZIONE
di Antonio Crecchia
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CON una sua stringata e illuminante prefazione, l’autrice confessa che a motivare “l’idea di una silloge di poesie rivolte al cielo e destinate a contemplarlo” sono stati i primi tre versi del trentatreesimo Canto del Paradiso di Dante: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio”. Da qui l’organicità e la linearità della costruzione poetica imperniata sulle figure sacre di Maria e Gesù, Madre e Figlio, viste in una prospettiva artistica che accomuna testi poetici e opere scultoree o pittoriche di Grandi artisti, quali Michelangelo Buonarroti e Van Gogh.
Vari gli omaggi a Michelangelo, autore di opere immortali, a ricordo delle sofferenze della Vergine che ha seguito da vicino “il patimento” e il martirio del Figlio: la “Pietà Rondanini”, la “Pietà” e di altri soggetti sacri osservabili nella Cappella Sistina in Vaticano.
Un viaggio intimo nella sfera del sublime, artistica, poetica, religiosa. Nella Pietà Rondanini (pagg. 7-8), raffigurante Maria vestita con in grembo Cristo morto, la poetessa esalta le “due anime pure…// nell’incompiuto, / epilogo e inizio si / contraddicono pur parlando di / gloria eterna / semplicemente abbozzata”. L’opera è unanimemente considerata una delle più alte meditazioni sulla morte e la salvezza dell’anima.
Le “afflizioni” del Cristo hanno inizio nell’orto degli Ulivi, luogo di pace e “delle ultime preghiere / prima della Pasqua”, come testimoniato da Matteo: Gesù, con la tristezza dipinta in viso, una prima volta, «si prostrò a terra e pregava, dicendo: “Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice… Poi si allontanò per la seconda volta e pregò, dicendo: Padre mio, se non è possibile che si allontani questo calice, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà» (S. Matteo, 26-39,42).
“Esistenza” (pagg. 11-12). Terza lirica, a ricordarci che il ritmo della vita si snoda tra la nascita e la morte, ognuno bevendo al calice del proprio destino. Come Cristo. Esistenza che scorre “piano piano” tra le due sponde del fiume della vita; da non sciupare, da rendere vitale, da perpetuare attraverso le “impronte” che sappiamo lasciare dietro di noi, camminando senza mai perdere di vista la profondità del proprio io e il vasto mondo delle apparenze.
“Una poesia-tributo – Gli angeli di S. Giuliano (pagg. 13-14) – ispirata alla drammatica vicenda del terremoto in Molise del 31.10. 2002, che vuole considerare come angeli tutti i bambini rimasti vittime sotto la loro scuola crollata”. Nel Vangelo secondo Marco si legge la predizione di Gesù delle grandi catastrofi della Storia. Nemmeno il Tempio di Gerusalemme sarà risparmiato. È inevitabile che ci siano “guerre, terremoti in vari luoghi e carestie”. Ma non è la fine. Questi tragici eventi sono soltanto “il principio dei dolori”; verranno tempi in cui “Il fratello tradirà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli si leveranno
contro i genitori e li uccideranno…”. Infamie che noi, figli del Duemila, registriamo con incredibile frequenza, quasi quotidianamente.
La tragedia di S. Giuliano fu un grande olocausto per un piccolo centro abitato del Molise. Chi lo visita, ha la sensazione d’avvertire il movimento delle ali che “la schiera degli angeli”, quel giorno, “conquistarono come un bel voto”.
“Il Mosè di Michelangelo” (pagg. 15-16) – scolpito per la tomba di papa Giulio II. Quinta lirica, in cui Mosè troneggia “come ieri / nelle vesti di / patriarca d’Israele”, di cui conserva “la forza in quelle vene sporgenti / come ti pensò Michelangelo”, mentre “la lunga barba” esprime “saggezza antica e / divina per aver / calcato la strada / fino al Sinai, / per aver ascoltato / la voce di Dio / per aver ubbidito / senza sapere”.
Il mistero dell’anima, della sua sopravvivenza allo sfacimento del corpo, il suo destino nell’Ignoto, la sua purezza spirituale una volta entrata nel regno dell’eternità, con i ricordi vivi e indelebili degli anni e delle esperienze vissuti, costituiscono le delicate riflessione che danno vita a ”Anima mia”(pag. 17-18).
“Il pensiero mistico” (pagg. 19-20), si origina e “viaggia tra / spazi sconfinati / della mente”. Indiscorribile e irrappresentabile, è appannaggio degli spiriti eletti, contemplanti, i quali, nella solitudine dei “monti senza nome”, trovano “la strada” che “porta in un’altra dimensione”. Quella della Verità e della Vita vera, che è, poi, la strada che porta alla REDENZIONE.
La Sibilla delfica (pagg. 21-22). Nuovo omaggio a Michelangelo Buonarroti. “La lirica – annota l’autrice – è dedicata alle Sibille, affreschi di soggetti femminili posti nelle campate della volta della Cappella Sistina in Vaticano”.
Si apre con l’invocazione della poetessa alla Sibilla affinché la porti “fra l’umanità in / bilico tra la salvezza / e il peccato” e le faccia edotta sul mistero del Giudizio Universale”, dipinto da Michelangelo sulla scorta delle “pagine” della Bibbia. Il calore e la forza espressiva della lirica risiedono nell’anelito della poetessa a percorrere “la strada azzurra del cielo”, al fine di poter godere, quando ci sarà “il grande Giudizio”, della vicinanza e della “voce del Cristo Giudice”.
La nona lirica, dedicata a “San Pietro” (pag. 23-24), caratterizza la figura carismatica, quasi paterna, dell’apostolo soggetto alla “tentazione // di rinnegare / l’uomo che fu / il Messia”, ma che ebbe il coraggio di morire come il Maestro, “su una croce / degnamente capovolta”. Simone (ebraico Shim’on, colui che ha ascoltato) da privato e modesto pescatore sul lago di Galilea, divenne “pescatore di uomini / fino a Roma per / predicare, convertire e morire” martire durante le persecuzioni dell’imperatore Nerone; si richiamò “Pietro, / perché su quella pietra / oggi c’è la sua Chiesa”.
La decima lirica “C’era una volta Michelangelo” pagg. 25-26), ci introduce nel luminoso e numinoso mondo del Rinascimento, in cui, in ambito artistico, giganteggia la figura di Michelangelo (1475-1564), architetto, poeta, “pittore e scultore / di allegorie / madonne, schiavi e / profeti e Maria della / Pietà... // Era il tempo del / Giorno e della Notte”, ossia di grandi fatiche, senza soste per il geniale artista, obbligato a soddisfare le manie di grandezza del papa, Giulio II della Rovere, che ebbe fama di “papa guerriero” (fu lui, da cardinale, a convincere e guidare il re di Francia Carlo VIII alla conquista del Regno di Napoli), o di “papa terribile”, per le macchinazioni contro il papa Alessandro VI, spagnolo, padre di Cesare Borgia, Lucrezia, Giovanni e altro. “Era il tempo dell’Uomo”, di prodigiosi cambiamenti, ardite formulazioni di concezioni umanistiche e vigoroso sviluppo degli studi classici. Era, soprattutto per Michelangelo e i protagonisti di quel tempo, “il Rinascimento / universale di / altisonante marmo e / colori astrali”.
La redenzione da colpe, peccati e errori commessi in vita, passa anche attraverso la mediazione di “Maria (pag. 27-28)”, madre di Gesù e dei credenti. “Maria semplice / di ragazza pudica”, estasiata dall’incontro con il “Messo
del Signore” per rivelarle “il suo destino di Maria”, è immortalata nell’atto in cui, affacciata alla finestra, segue il “volo di ritorno” dell’angelo, “con il consenso stretto / fra le sue mani celesti / da portare lassù dove / è il Dio di ogni cosa”.
E Maria, nella famosa scultura di Michelangelo, La Pietà (pag. 29-30), conservato nella Basilica di S. Pietro, è la Mater dolorosa che accoglie “sulle sue ginocchia” il Figlio morto, dopo la deposizione dalla croce. Lirica struggente, in cui s’invita Maria a “non piangere di lutto / ma di gioia / di quella gioia che / Lui ci ha regalato”, e a “non reclinare il capo / come sconfitto / perché da questa posa / Lui risorgerà!”.
Ed eccoci a “Redenzione” (pagg. 31-32), la lirica che dà titolo alla raccolta di cui si parla. Qui, l’accorato invito all’Uomo di uscire, “come Lazzaro / dal sepolcro del peccato”, a fare saggio uso del libero arbitrio, a rimanere fedele ai doni dello Spirito Santo, affinché possa indossare “le vesti / della Redenzione”, con le quali presentarsi davanti al giudizio di Dio.
La concezione dell’anima che vive come “rinchiusa e custodita in un carcere” (il corpo fisico) è di origine orfico-pitagorica; ne parla anche Platone nel Fedone. Isabella ne rileva i “colori” che la connotano nel tempo in cui vive “nel fango” della vita: giallo sabbia, marrone bruciato, grigio antracite; macchie che deturpano la sua essenza divina. Monologa la Nostra, rivolta all’anima: “Respiravi il / monossido di quella / vita terrena e / ti nutrivi di grigie / illusioni; gli altri / colori appartenevano / all’arte soltanto e il / cammino di ogni / giorno era tutto / in saluta”. Soltanto al momento del “tramonto / dell’espiazione”, l’anima, “salendo i gradini dell’empireo” e giunta alla presenza di Dio può riassaporare la sua primitiva celeste purezza e diventare “Anima blu” (Pagg. 33-34).
La lirica conclusiva, “Le mani della Madonna” (pagg. 35-36), si rivela una pacata e profonda venerazione di Maria, immaginata con le mani giunte, mentre stringe “grani di Rosario / con dentro ogni goccia / del suo amore. Amore grande per quel Figlio da cui ha “cercato di allontanare il calice / in quell’ultima notte prima della condanna”. Mani di tenerezza e di pietà per il corpo di Gesù senza vita adagiato sulle sue ginocchia, come nella rappresentazione marmorea di Michelangelo; mani bagnate di lacrime versate “per tutta l’Umanità”; mani elevate al cielo che “implorano le grazie” che i fedeli porgono sui suoi “piedi come suppliche”; mani che racchiudono “i segni dell’immortalità / e della vita eterna”. A Lei l’accorata preghiera di stringere con le sue mani “la nostra fragilità” e farla “diventare Fede”. E sarà la Fede a indicare la strada che porta alla Redenzione.
Una prova maiuscola questo itinerario creativo di Isabella Affinito, in cui ha saputo magistralmente coniugare cultura biblica, arte raffigurativa e poesia.
La copertina è opera del pittore Vittorio (Nino) Martin, dal titolo: Figlia del Tuo figlio.
Antonio Crecchia
Isabella Michela Affinito: REDENZIONE Casa Editrice Menna – Avellino, luglio 2003
IL COVONE
Repentine scendono le gocce sulla città, l’Estate colora ancora una volta Pomezia ed il tuo ricordo cresce all’improvviso in noi. Col covone nel cuore, parole e gesti indelebili ci conducono ancora una volta nel centro storico, al Monumento dei Padri fondatori, per celebrare la storia, il lavoro e la speranza. Nel loro ricordo, nel tuo desiderio calchiamo solenni la nostra terra di bonifica; suggellando l’eterno anello tra il passato ed il futuro, fatto di uomini e donne di sconfinata volontà, legati per sempre ad immensi campi di grano biondo cenere.
Emilia Bisesti
Pomezia, 2021