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Fabio Dainotti: Ultima fermata, di Marina Caracciolo, pag
by Domenico
FABIO DAINOTTI:
ULTIMA FERMATA
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di Marina Caracciolo
L’arte di Fabio Dainotti è sempre consistita nel dono di saper costruire dalle (o sulle) piccole cose – quotidiane, semplici, talora persino insignificanti e apparentemente banali – un’opera poetica.
E la “costruzione”, che non significa freddo artificio quanto piuttosto alchimia di un’ispirazione, deriva spesso da eserghi che fungono da agenti generatori: come, si direbbe, un piccolo corpo estraneo che introdotto in una conchiglia produce a poco a poco la perla. I versi tratti dai grandi autori – del passato come contemporanei – creano, come per germinazione inventiva, altri versi, altre idee e immagini lontane per spazio e per tempo, tutt’affatto differenti eppure collegate da uno stringente filo analogico, da un pensiero poetante che le abbraccia e le accomuna. E tutto ciò per mezzo di ««fulminei cortocircuiti mentali» – come scrive nella sua bella nota conclusiva Luigi Fontanella – che dipingono e rischiarano con lampi allusivi di inaudita capacità rappresentativa «singole situazioni, stati d’animo, gesti ricatturati psichicamente e come fermati per sempre nel tempo ... ».
La poesia di Dainotti è invero allusiva per costituzione: vi compaiono figure, vicende, scene (c’è qualche pagina, nei suoi libri di versi, che richiama il teatro) che sono – se è consentito il paragone – come le nature morte o le celebri bottiglie di Morandi: ora un po’tozze, un po’ rustiche e senza grazia, ora invece slanciate ed eleganti con i loro colli lunghi; ognuna diversa dall’altra ma semplici sempre, dalle tinte neutre, accostate senz’ordine apparente su un piano di sostegno. Cose dappoco, si potrebbe pensare, e tuttavia esse divengono, nel loroinsieme studiatissimo e armonioso, evocative di una storia, colme di valenze semantiche insospettate: possono farsi mito, tanto da emanare, così come stanno, un’indefinibile e fascinosa magia.
Di esempi ce ne sono numerosi, in questo libro. Ma prendiamo il secondo brano, breve e bellissimo: Paesaggio sul Ticino. L’esergo è tratto da un breve componimento di Diego Valeri, quasi una filastrocca, intitolata Angelus, 1 di cui riporto la prima parte (in corsivo i versi citati da Dainotti): «La campana ha chiamato / e l’Angelo è venuto. // Lieve lieve ha sfiorato / con l’ala di velluto / il povero paese; / v’ha sparso un tenue lume / di perla e di turchese / e un palpito di piume; / ha posato i dolci occhi / sulle più oscure soglie. [...]». I due versi citati da Dainotti isolano un particolare, il dato espressivo coloristico: una luce fioca che si tinge della delicata, soave bellezza di due pietre preziose. Ed ecco che questo tenue lume ricompare nei versi del poeta, ma qui l’aura sentimentale e fiduciosamente devota di Valeri è lasciata del tutto da parte, facendo emergere, fra inarcature ed assonanze, in un contesto molto diverso e più sobrio, uno scenario avvolto anch’esso dalle ombre della sera:
Vibrazioni di luce scontornano le linee del paesaggio lungo il fiume; appena un tenue lume, tra le case brune, che i monti e le colline attorniano.
Le poesie e racconti in versi di Dainotti risultano così originali “postille” elaborate a margine della poesia dei Grandi, geniali “annotazioni” che paiono tratte dalle pagine di un vecchio diario, divagazioni nostalgiche o ironiche, disincantate o dolci-amare, che
vanno infine a costruire, in una trama complessa e ricca di “riferimenti e suggestioni intertestuali” (Fontanella), una galleria di piccoli quadri i cui soggetti sono in apparenza molto comuni ma riemergenti, tuttavia, da una memoria che li ha riesumati e rimessi a fuoco, rinnovandoli alla luce di una limpida rifrazione poetica.
Esemplare, fra gli altri, il brano dal titolo Cucina di Fratta. Anche qui l’esergo (“e cigola per vento che va via”), che cita un verso del prediletto Dante Alighieri, funge da illustre scintilla evocativa da cui scaturisce l’invenzione (così pure accade nella poesia Ultima fermata, che dà il titolo a tutta la raccolta); e il contenuto non rimanda per nulla all’episodio dell’Inferno, gira invece attorno, per così dire, al soggetto della similitudine dantesca,2 creando uno scenario suggestivo che al suo interno se ne appropria pur allontanandosene del tutto:
Grande camino dell’antica casa patrizia dalle arcate rosse!
Il fuoco rugghia, con il suo dire incantatorio, lento.
E il tizzo verde cigola, tra un odore di muffa e di liscivia.
Dopo la pioggia, l’acqua ruscella al centro della strada, dove i monelli giocano; il bambino che è da solo, li guarda dalla grata, prigioniero di un carcere mentale, d’uno sgomento che sempre l’assale.
Ma c’è la grande madre che lo aspetta, vestale minuta in gramaglie, laggiù nella grande cucina.
Nel brano che ha il titolo tedesco Das Geheimnis (Il segreto), il poeta crea due piani concettuali differenti, tra cui gioca con pensosa e pur sorniona ironia. Il segreto diviene il nodo di un’associazione di idee che porta rapidamente lontano: all’inizio (v. 1) viene connesso al francese secrétaire, che fin dal XVIII secolo conteneva, camuffati da particolari meccanismi, scomparti nascosti nei quali si custodivano documenti, chiavi, monili preziosi... Ma ecco che compare, già al secondo verso, una donna che di fronte a questo scrittoio, completo di specchio, si toglie pian piano i gioielli che aveva indossato per uscire. Allora il pensiero del poeta va subito ad altri segreti, non più concreti ma dello spirito: quali misteri mai svelati potrebbero nascondersi nell’animo di questa donna, nei pericolosi doppifondi –egli dice –della sua femminilità? (I gioielli che l’adornano – si chiede nascostamente il poeta – sono, come un belletto, una sorta di mascheratura? O il segno di un atteggiamento vano che richiama forse un’intima doppiezza?). L’ultimo verso, lapidario, scandaglia la parola segreto nella sua origine latina, approdando infine, sempre per conseguente associazione di idee, ad un significato diverso: segreto perché non si deve dire, perché non si deve fare, e che dunque si vieta: “Secretum. Separato. Proibito”. Un divertissement dal fascino sottile, vagamente montaliano.
Dice a ragione, Luigi Fontanella, che qui siamo in presenza di un libro davvero singolare, «abbastanza avulso dall’attuale panorama poetico italiano». Ed è il caso di sottolineare come il dialogo misterioso e multiforme che il poeta ama instaurare fra sé e coloro che sceglie come “interlocutori” nel firmamento della grande Poesia, nulla tolga – né nulla ha mai tolto anche in opere precedenti – all’unicità, alla piena originalità della sua scrittura; anzi, al contrario, esso contribuisce in certo qual modo a darle forma particolare e a consolidarla, donando ulteriore ricchezza e spessore a tutto l’immaginario e alla «personale riflessione poietica» che è alla sua origine.
Marina Caracciolo
FABIO DAINOTTI: Ultima fermata. Poesie e racconti in versi. (Con una nota di Luigi Fontanella. La Vita Felice, Milano, 2021; pp. 60, euro 12,00).
NOTE
1 - Da Poesie vecchie e nuove. Milano, Mondadori, 1930. 2 - «Come d’un stizzo verde ch’arso sia / da l’un de’ capi, che da l’altro geme / e cigola per vento che va via / sì de la scheggia rotta usciva insieme / ... ». (Dante, Inferno, XIII, vv. 40-43).