POMEZIA-NOTIZIE
Agosto 2021
FABIO DAINOTTI: ULTIMA FERMATA di Marina Caracciolo ’arte di Fabio Dainotti è sempre consistita nel dono di saper costruire dalle (o sulle) piccole cose – quotidiane, semplici, talora persino insignificanti e apparentemente banali – un’opera poetica. E la “costruzione”, che non significa freddo artificio quanto piuttosto alchimia di un’ispirazione, deriva spesso da eserghi che fungono da agenti generatori: come, si direbbe, un piccolo corpo estraneo che introdotto in una conchiglia produce a poco a poco la perla. I versi tratti dai grandi autori – del passato come contemporanei – creano, come per germinazione inventiva, altri versi, altre idee e immagini lontane per spazio e per tempo, tutt’affatto differenti eppure collegate da uno stringente filo analogico, da un pensiero poetante che le abbraccia e le accomuna. E tutto ciò per mezzo di ««fulminei cortocircuiti mentali» – come scrive nella sua bella nota conclusiva Luigi Fontanella – che dipingono e rischiarano con lampi allusivi di inaudita capacità rappresentativa «singole situazioni, stati d’animo, gesti ricatturati psichicamente e come fermati per sempre nel tempo ... ». La poesia di Dainotti è invero allusiva per costituzione: vi compaiono figure, vicende, scene (c’è qualche pagina, nei suoi libri di versi, che richiama il teatro) che sono – se è consentito il paragone – come le nature morte o le celebri bottiglie di Morandi: ora un po’tozze, un po’ rustiche e senza grazia, ora invece slanciate ed eleganti con i loro colli lunghi; ognuna diversa dall’altra ma semplici sempre, dalle tinte neutre, accostate senz’ordine apparente su un piano di sostegno. Cose
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dappoco, si potrebbe pensare, e tuttavia esse divengono, nel loro insieme studiatissimo e armonioso, evocative di una storia, colme di valenze semantiche insospettate: possono farsi mito, tanto da emanare, così come stanno, un’indefinibile e fascinosa magia. Di esempi ce ne sono numerosi, in questo libro. Ma prendiamo il secondo brano, breve e bellissimo: Paesaggio sul Ticino. L’esergo è tratto da un breve componimento di Diego Valeri, quasi una filastrocca, intitolata Angelus,1 di cui riporto la prima parte (in corsivo i versi citati da Dainotti): «La campana ha chiamato / e l’Angelo è venuto. // Lieve lieve ha sfiorato / con l’ala di velluto / il povero paese; / v’ha sparso un tenue lume / di perla e di turchese / e un palpito di piume; / ha posato i dolci occhi / sulle più oscure soglie. [...]». I due versi citati da Dainotti isolano un particolare, il dato espressivo coloristico: una luce fioca che si tinge della delicata, soave bellezza di due pietre preziose. Ed ecco che questo tenue lume ricompare nei versi del poeta, ma qui l’aura sentimentale e fiduciosamente devota di Valeri è lasciata del tutto da parte, facendo emergere, fra inarcature ed assonanze, in un contesto molto diverso e più sobrio, uno scenario avvolto anch’esso dalle ombre della sera: Vibrazioni di luce scontornano le linee del paesaggio lungo il fiume; appena un tenue lume, tra le case brune, che i monti e le colline attorniano. Le poesie e racconti in versi di Dainotti risultano così originali “postille” elaborate a margine della poesia dei Grandi, geniali “annotazioni” che paiono tratte dalle pagine di un vecchio diario, divagazioni nostalgiche o ironiche, disincantate o dolci-amare, che