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Simone Riva, L’uomo degli ori, di Giuseppe Leone, pag

SIMONE RIVA

L’UOMO DEGLI ORI L’impossibile storia di un alter ego

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di Giuseppe Leone

HO letto d’un fiato L’uomo degli ori. Hommage à Luigi Mariani Vago. Artista d’istinto, che Simone Riva, ex giornalista, ora scrittore completamente votato alla letteratura, ha pubblicato allo scadere del 2020 con i tipi dell’Editore Bellavite di Missaglia. Un volume che l’autore, già nella prima aletta di copertina, si affretta a definire romanzo, non foss’altro che per distinguerlo da una qualsiasi biografia o da un qualunque altro testo critico, coi quali pure condivide profondità di analisi e capacità di giudizio.

Si tratta di un romanzo che Riva scrive non senza il timore di fallire, visto che L’uomo degli ori “non ha una storia” da raccontargli. Al suo posto, ha solo “tanti bloknotes pieni di abbozzi di scritti, disegni, appunti di ogni genere” (38), consistenti in “attimi di vita, pensieri carpiti e poi per sempre dimenticati, amori impossibili e amori ormai andati, raccolti in una narrazione la cui ragionata frammentarietà custodisce e preserva l’essenza profonda dell’uomo e dell’artista”; e un invito, a frequentare casa sua, dove potrà approfondire la conoscenza di “un artista vero, pittore, scultore, fruitore d’oro, aforista, fotografo, ma anche uomo enigmatico e profondo”.

Occasioni, senza dubbio, che fanno bene sperare, ma che non fanno ancora vincere allo scrittore il terrore dell’impresa, tanto che invoca i grandi romanzieri del passato affinché lo aiutino: prima, a trovare l’ispirazione e, poi, ad affrontare il pubblico dei lettori (8).

Eccolo, nella parte, ora, dell’autore onnisciente, che tutto sa del suo personaggio e a cui nulla sfugge della sua psicologia:

“l’uomo degli ori non è molto alto, è dotato di una barbetta ispida e brizzolata” (11);

“l’uomo degli ori sente il corpo lontano dai suoi pensieri” (12); “l’uomo degli ori è colui che ama la Francia, ma non mangia i formaggi (11); ora, mentre lascia la parte dell’io narrante al protagonista stesso, che vorrebbe concedersi momenti di alta riflessione e sincera confessione, ma che deve riconoscere, ahilui!, che tutto questo non è poi così semplice, tanto da dover ammettere: “Mi sono voluto spingere sull’orlo, solo per vedere quel che c’era nell’abisso, per scorgere la luce o il totale oblio, ma un ciottolo sdrucciolevole mi ha fatto precipitare, ora mancano appigli, la risalita si fa ogni istante più improbabile. Che le muse mi tengano lontano dal fondo, che mi aiutino a non sfracellarmi”; oppure: “certo, mi dicono che sono un uomo fortunato … ma non potrò mai essere soddisfatto di tutto quello che ho raggiunto: c’è sempre qualcosa che mi spinge sempre più in là di

quanto …” (34).

Il tutto, attraverso un modo di raccontare che esclude il metodo dialettico e punta invece sulle variazioni, per la semplice ragione che per esprimere qualsiasi condizione psicologica l’autore ha bisogno di attraversare sia quella condizione, sia quella contraria, perché non può dire nulla senza conoscere il contrario.

“L’uomo degli ori ama amare. Ama le attese, le telefonate interminabili. L’uomo degli ori ama le coccole, stare appallottolato sul divano per interi pomeriggi a parlare e a guardarsi … (83); l’uomo degli ori intende la tradizione come un fiume sotterraneo … ; l’uomo degli ori non sopporta la stragrande maggioranza dei giornalisti, li vede come dei gran sacerdoti della scienza della mistificazione (86); Ai francesi l’uomo degli ori stava sempre attento: tanto gentili e buoni, ma quando s’incazzano … ma l’uomo degli ori non è razzista (101);

Quello che colpisce, allora, sfogliando le 128 pagine di questo romanzo, impreziosito da una prefazione di Alberto Casiraghy che definisce affettuosamente l’uomo degli ori “un vero alchimista … che tende agli abissi … dove solo chi vede lontano può addentrarsi … un uomo buono e innocente che cerca l’Amore in tutte le forme del creato” (5), è la rete di relazioni che l’autore e l’uomo degli ori vengono annodando fra motivi perennemente umani, come la natura e la memoria, il viaggio e la lontananza, la terra d’origine e la sua storia, la realtà presente e il richiamo mitico del passato. Con al centro, ovviamente, l’uomo, che dovrebbe risolvere il contrasto tra l’angoscia della fine e la speranza del futuro, all’alba del nuovo millennio e impegnarsi in una simbiosi tra culture, liberandosi dal peso d’odio che si è accumulato sulle coscienze dei popoli nel corso dei secoli. E scriverne, come accade ora a Simone Riva e all’uomo degli ori, in questa nuova stagione artistica della loro vita, in cui continuano a domandare e a domandarsi perché si scrive, per quale motivo si concentri così tanto nella scrittura. E per quali vantaggi, che la parola orale non può dare.

Rispondono d’accordo con Maria Zambrano quando pensa che lo scrivere abbia come scopo quello di fissare per sempre i pensieri che le parole orali non riescono a trattenere; e non solo per difendere la solitudine in cui ci si trova. L’uomo degli ori sa benissimo che leggere e, di riflesso, anche scrivere, non è uno scappare dal mondo … ma è per vivere di più. Per avere più parole e aumentare le emozioni (38). Per avere, insomma, più storia, perché all’uomo degli ori è mancato sempre il come, mai il perché (37). A lui, al contrario, non è mai mancata la filosofia, o meglio, l’amore per la filosofia, grazie ai suoi intrattenimenti con Leopardi e Nietzsche, soprattutto col primo, a cui si devono i primi vagiti del nichilismo in occidente secondo Emanuele Severino; ma anche, l’idea di non classificare nettamente le cose, per permettere al pensiero una libera circolazione, per non avere paura “della comprensione del Nulla dell’esistenza, per scoprire così “il dolore derivante dalla ragione che prende coscienza della sua inutilità” (79).

E cosi, di capitolo in capitolo, da Si scrive per perdersi? a I pensieri appena nati, a Merlino il mago, accade che quello che sembrava la loro debolezza si riveli presto la loro forza, perché lo scrittore è riuscito a porre la parola fine al suo romanzo e L’uomo degli ori, nonostante temesse “di non riuscire a portare a termine un’opera che facesse tremare i polsi” (81), comincia a scrivere lettere ad amici e conoscenti, di cui, l’ultima, inviata a un suo non più giovane ma ancora aitante ammiratore, incominciava così: “Il dio dei giocattoli trova una storia di un giocattolo che giocava a fare l’uomo. Un uomo trova la storia trovata dal dio dei giocattoli … e l’engramma?” (118). L’engramma o il segno è che ora quella storia si trovi nelle mani del lettore che la sta sfogliando.

Giuseppe Leone

Simone Riva, L’uomo degli ori. Prefazione di Alberto Casiraghy. Bellavite Editore Missaglia. Euro 12.50. Pp. 128.

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