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Klimt. La secessione e l’Italia, di Isabella Michela Affinito, pag
by Domenico
KLIMT. LA SECESSIONE E L’ITALIA
a cura di Isabella Michela Affinito.
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IL Palazzo Braschi di Roma, sede storica del Museo di Roma – realizzato su progetto dell’allora architetto italiano Cosimo Morelli (1732-1812) su commissione del nipote del Papa Pio VI Braschi su Piazza San Pantaleo, nei pressi della suggestiva Piazza Navona dove c’è il trionfo dello stile Barocco con le opere del Bernini e Borromini, mentre in controtendenza ai tempi in cui fu costruito, tra il 1790 e il 1804, il Palazzo Braschi possiede la facciata in stile cinquecentesco – ebbene, ospita attualmente una splendida sequela di dipinti non solo del celebre artista austriaco, Gustav Klimt (18621918), ma anche quadri e sculture di suoi amici e colleghi dell’epoca quali Josef Hoffmann, Franz von Matsch, Carl Moll, Johann Victor Krämer, Koloman Moser ed altri ancora.
Quando si nomina Gustav Klimt ciò che viene subito in mente è l’oro, quel componente fondamentale del suo linguaggio artistico sviluppatosi in seno a un’epoca, a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, captante il succedere di qualcosa d’inevitabile e d’irreversibile su larga scala che avrebbe scatenato conseguenze rilevanti sotto tutti i punti di vista.
L’oro profuso nei suoi dipinti, da Gustav Klimt, deriva dal fatto che suo padre, Ernst Klimt, era un orafo incisore ma non per questo ricco, anzi, egli formò una numerosa famiglia di sette figli, di cui Gustav era il secondo, con Anna Finster, una donna che aveva intrapreso la strada della lirica senza ottenere nessun successo.
Gustav Klimt si trovò a nascere il 14 luglio 1862 in un sobborgo di Vienna ed essendo stato uno dei primi figli certamente osservò il delicato e paziente lavoro del padre, restandone molto affascinato. Così si iscrisse alla scuola d’arti applicate, tra grafica, intaglio e lavori d’oreficeria di cui era già esperto, seguito a breve da suo fratello
Ernst. Ma, Gustav più di tutte preferì la pittura e di conoscere al meglio anche l’arte del mosaico e della foggiatura del metallo in genere.
Nel 1879 si costituì una specie di società tra i due fratelli Klimt e Franz Matsch, un compagno di studi, che chiamarono la
Compagnia degli Artisti – Künstler Compagnie,più che altro per iniziare a lavorare richiamando l’attenzione di importanti committenti che fossero interessati alle grandi opere decorative per teatri, scuole, musei e, infatti, s’avviò un giro di richieste del genere fino a quando nel 1892 morì
Ernst, che seguì il padre omonimo a pochi mesi di distanza dalla sua scomparsa, segnando per sempre l’animo di Gustav che scelse di non sposarsi mai durante la sua breve vita, poiché morì a cinquantasei anni
quando stava per terminare la Prima guerra mondiale e si era propagata l’epidemia della ‘spagnola’, cui rimase vittima, nel medesimo anno 1918, l’amico artista di Klimt, Egon Schiele, più giovane di lui di ventotto anni e ancora in quell’infausto anno se ne andarono per sempre il compositore tedesco Richard Wagner, il pittore austriaco secessionista Koloman Moser e il pittore svizzero simbolistadecadentista Ferdinand Hodler.
Se in Francia nell’aprile 1874 c’era stata la mostra, nelle stanze dello studio del fotografo Nadar, degli audaci artisti le cui opere erano state scartate dall’Accademia vigente e dai Salon ufficiali, tra cui Claude Monet, Edgar Degas, Alfred Sisley, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Berthe Morisot, etc, che diedero vita alla corrente dell’Impressionismo, in Austria altresì l’associazione Künstlerhaus dettava legge su come doveva procedere il mercato dell’arte, nel cui circuito restarono a ‘galla’ soltanto gli artisti il più aderenti possibile allo stile ufficiale dell’epoca; una specie di classe degli artisti più rispettosi delle norme elargite dalla suddetta associazione causante, tra le altre cose, d’impermeabilizzare l’arte austriaca dai neoinflussi artistici circolanti contemporaneamente in Europa.
Anche qui intervenendo il coraggio di uomini eclettici, tra cui lo stesso Gustav Klimt, stanchi di sottostare alla tradizione dell’arte viennese e di non voler rincorrere il danaro semplicemente mercificando le loro creazioni artistiche, ad un certo punto diedero vita alla Secessione viennese – ricordiamo che in Austria regnava l’imperatore asburgico Francesco Giuseppe che in precedenza premiò Klimt per il suo dipinto Interno del vecchio Burgtheater e per la cui consorte, l’imperatrice Sissi, Gustav Klimt al tempo della società col fratello e Franz Matsch decorò la Hermes Villa viennese, purtroppo mai abitata dall’imperatrice – che materialmente doveva avere una sede e Joseph Maria Olbrich progettò l’edificio consono insieme all’altro grande artefice secessionista, l’architetto designer (arredatore e illustratore), Josef Hoffmann, che fu anche l’arredatore dell’atelier di haute couture dell’edificio chiamato Casa Piccola in una delle strade più trafficate di Vienna delle sorelle Flöge, di cui Helene era stata la moglie di Ernst fratello prematuramente scomparso di Gustav.
Aprendo una breve parentesi sulla vita privata di Klimt, abbiamo detto che lui non si sposò mai ma stabilì un forte legame amicale, fino alla fine della sua esistenza, con la sorella di sua cognata Helene, Emilie Flöge, una donna emancipata e co-creatrice (insieme alle sue due sorelle, Pauline ed Helene) di abiti d’alta moda nel loro salone aperto nel 1901 che arrivò ad assumere un’ottantina di aiutanti tra sarte e modiste, ma chiuse i battenti nel 1938 quando l’Austria fu assorbita dalla Germania nazista e le sorelle Flönge continuarono privatamente in forma ridotta nella loro abitazione, in Ungargasse 39 a Vienna. Anche Klimt, per via indiretta, contribuì alla creazione di capi d’abbigliamento femminile moderno e di motivi per le stoffe adoperate nell’atelier di moda sunnominato – concepì persino il logo per la carta da lettera intestata con cui comunicavano le sorelle Flönge con le clienti e i fornitori – soprattutto i caffettani lunghi indossati sia da Emilie, sia da Gustav quando era intento a dipingere nel suo studio. Un’abitudine quella d’indossare il lungo camicione abbondante mentre lavorava al cavalletto in parallelo all’usanza d’indossare il lungo saio da parte dello scrittore Honoré de Balzac quando s’accingeva a scrivere – il suo capolavoro è stato La Commedia umana raccolta in volumi pubblicati dal 1842 – e così eternato nella scultura monumentale in bronzo del 1898 realizzata dal controverso scultore Auguste Rodin, poiché l’opera al momento della consegna non fu accettata e provocò diverse polemiche e proteste.
Nel ritratto olio su tela del 1902 di Emilie Flöge, il vestito della compagna di Klimt pare sia stato disegnato da lui e così la fantasia del tessuto, formata da una ricorrenza di prolungate ondulazioni verticali dalle nuance
dell’acqua marina dove spiccano moduli geometrici, quadrati cerchi spirali in giallo, bianco, verde chiaro e anche piccole forme a ‘chicchi di caffè’ sul davanti del petto a contrasto col resto della fantasia tessutale. Il risultato è stato che l’abito in un certo qual modo ha ‘fagocitato’ l’intera anatomia femminile perché Klimt non badava al ritratto veridico delle fattezze umane, ma all’ornamento prevaricante sull’insieme. Solo il viso di Emilie è rimasto attendibile nel dipinto coi suoi capelli ramati corti e ricci.
Lo stile di Klimt è stato una miscela esemplare tra l’Art Nouveau, o meglio detto in Germania Jugendstil in riferimento alla rivista “Jugend” nata nel 1896 a Monaco, e della corrente del Simbolismo sorta nel 1890 che coinvolse letterati e artisti per una rinascita del principio spirituale e nel voler rendere tangibile ciò che va al di là della realtà, finanche a dare voce all’inesprimibile. Col simbolismo c’è stato il recupero della mitologia e degli argomenti religiosi, da cui la Giuditta I (1901) e II (1909) di Klimt riproducenti sembianze femminili estrapolate dalla tradizione biblica per sintonizzarsi con la donna reale che stava, invece, accedendo nel Novecento ‘modernizzandosi’. Nella «[…] seconda versione Klimt fonde ulteriormente i ruoli di Salomè e di Giuditta in un’eroina ibrida dall’aspetto rapace, in cui la nudità da velata diviene esplicita. Oloferne più che un guerriero pare ora la vittima di un potere femminile efferato.» (Dal volume monografico Klimt – Giuditta I della Collana editoriale “Cento Dipinti” a cura di Federico Zeri, RCS Rizzoli di Milano, Anno 1998, pag. 6).
Proprio la figura femminile divenne per l’artista austriaco una celebrata ossessione biondaurata; lui che visse con la madre e le sorelle respingendo i legami seri a lungo termine, in realtà pose la donna sul piedistallo dell’ispirazione più nobile erigendo per lei un ‘regno’ ultraterreno composto di tessere di metalli preziosi, conchiglie, pietre dure, smalti, pezzi di ceramica e altro materiale eterogeneo se non altro per riportare in auge l’arte musiva bizantina – soprattutto dopo il suo viaggio in Italia dove soggiornò anche a Ravenna, che fu la capitale del Sacro Romano Impero d’Occidente presieduto dall’imperatrice reggente Galla Placidia durante la minore età di suo figlio Valentiniano, e sorella di Onorio Flavio di Costantinopoli, fino al 476 d. C. quando fu conquistata la città dal re barbaro Odoacre – allorquando si presentò l’occasione di disegnare i cartoni preparatori per il fregio decorativo sulle pareti della camera da pranzo del Palazzo Stoclet a Bruxelles, abitazione progettata da Josef Hoffmann su richiesta dell’industriale nel settore del carbone ferrovie e metallurgia anche finanziere, Adolphe Stoclet.
È stato nel Fregio di Palazzo Stoclet, degli anni 1905 (periodo della divulgazione della teoria della relatività di Einstein) - 1909, che Klimt introdusse il tema de L’Attesa, le ripetute spirali dell’Albero della Vita con L’Abbraccio pervenendo al pieno risultato di soddisfazione dello stesso industriale belga. «[…] Il simbolismo dell’albero della vita, che si espande sulle pareti con grandi volute, riecheggia la soluzione di Lotto negli affreschi della Cappella Suardi a Trescore. Nel fregio confluiscono influenze diverse: dall’arte musiva bizantina alle stampe giapponesi. Ma soprattutto domina la cultura egizia, nella posa delle figure e nell’iterazione di motivi decorativi.» (Ibidem, pag. 45).
Con la morte di Gustav Klimt finì l’epoca splendida della Belle Époque e s’intravide l’opaca scia del dramma esistenziale umano riflettersi sulle rovine causate dal Primo conflitto mondiale, che aveva spazzato via l’impero absburgico di Francesco Giuseppe durato sessantotto anni fino al 1916 e l’avvento dell’Espressionismo dai toni cupi in sottofondo. Intanto l’altro austriaco famoso, invece, nella psichiatria, Sigmund Freud, più grande di Klimt di sei anni, aveva dato vita all’indagine dell’inconscio umano con tutti i suoi significati legati alla libido a cui s’associarono in seguito i Surrealisti.