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Intervista a Domenico Defelice, di Graziano Giudetti, pag

Intervista a

DOMENICO DEFELICE

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di Graziano Giudetti

ABBIAMO apprezzato l’opera letteraria “Alpomo”, acutamente satirica e al contempo coraggiosa, nell’aver saputo attivare il teatrino di un sistema politico e istituzionale inquinato dalla corruttela. Culmine di quella misura di intrallazzi del potere che si è condotta a straripare sulle coste impietose di “Tangentopoli”. Lo scenario descritto nell’opera è ridanciano perché tocca fisicamente i personaggi e li fa lievitare in una sorta di schizofrenia collettiva che li infastidisce nella gabbia dorata del “Palazzo” e, nominandoli, li stana. Un’opera nata nel tempo e suddivisa in sei canti, di cui due editi sulla rivista letteraria di “Pomezia-Notizie” nell’inserto il “Croco” di novembre 1996 e gli altri quattro nel mese di luglio 1998. Nel frattempo, gli autorevoli interventi critici di Maria Grazia Lenisa, Enrica Di Giorgi Lombardo, Vittoria Corti, Carmine Chiodo, Alfio Caucci, Adriana Scarpa, Rosalba Masone Beltrame, Walter Nesti, Adriana Mondo, Gabriella Frenna, Guerino D’Alessandro succedutisi nel tempo, hanno incoraggiato Domenico Defelice a rivolgersi a Case Editrici di maggiore spicco per tentare di ottenere un ambìto contratto di edizione. Nulla da fare, la risposta da parte degli Editori è stata univoca cioè negativa, quasi sempre condizionata da altri impegni presi e pur avendo apprezzato e riconosciuto la validità dell’opera. Un’avventura quella dell’opera “Alpomo” nella ventura di un percorso che si tinge di amarezza e delusione, come quella di chi nel proprio zaino di vita ha sempre conservato gelosamente i propri ideali di onestà per il proprio lavoro e la speranza di credere agli altri, senza ricevere in cambio né giustizia promessa, né risposte concrete. Tutte le vicissitudini di “Alpomo” con le Case editrici sono raccolte in un articolo del mese di febbraio 2000 nella rivista letteraria di “Pomezia-Notizie” e ci conforta che il titolo annunci la pubblicazione in volume dell’opera. La riflessione più immediata su “Tangentopoli” dopo aver letto l’opera di Domenico Defelice è che il tentato rinnovamento di pulizia radicale dell’Italia si sia ridotta ad un grosso polverone. Ad un costoso ed apparente lifting che salva la forma e non i contenuti, restando sulla parte superficiale della pelle, accomodando le pieghe, stirando la bandiera col vento dell’opportunismo. L’impressione è che resti convenientemente un’Italia rattoppata alla meno peggio, vigendo da parte della maggioranza di molti, una sorta di repulsione all’ordine, al rispetto, alla tutela di chi soffre, al vivere civile.

D.

Non Le sembra che quando uno scrittore

scriva di satira, la sua voce, nonostante sia robusta, si perda dopo le prime risate d’approvazione, nelle retrovie della folla, fino a spegnersi completamente nei meandri del potere?

R.

Purtroppo, oggi, Caro Amico, ciò avviene sempre e non soltanto quando si scrive di satira; perché le facce del potere non son più di pelle e carne, ma di gomma, come scrive Rudy De Cadaval. Così, tutto rimbalza, non solo la satira; anche la critica più o meno feroce, che, in passato, a volte, provocava suicidi per la vergogna, oggi lascia quasi indifferenti, anzi, spesso, per loro è un bene, trasformandosi in pubblicità! La faccia del potente è tosta o morbida quel tanto necessario che non arrechi danni qualunque cosa la colpisca. Occorre mettere in conto, inoltre, che neppure l’opinione pubblica, la maggioranza degli onesti è quella del passato; anch’essa si è modificata, anch’essa si è fatta meno sensibile, ci si indigna sempre meno allo scandalo e si tende a rimuoverlo, perché ripetitivo, costante, una catena; una corruzione fagocita l’altra, una vicenda si sovrappone all’altra, lasciando solo disamore e sfiducia. Che vale indignarsi, avvelenarsi il fegato? Tanto, non c’è rimedio! Insomma, Caro Graziano, si ha l’impressione che un po’ la faccia di gomma ce la siam fatta tutti!

D.

Può essere eccessivo pensare che la voglia di denaro e di potere possa essere dominato?

R.

“La voglia di denaro e di potere” non può essere dominata. Chi possiede uno o entrambi, col tempo, entra in una specie di bulimia e vuole averne sempre di più. Diventa, la sua, la sola condizione di vita; tutto il suo essere, anima e corpo sono protesi allo scopo e per realizzarlo si è capaci di calpestare ogni principio e le persone più care, moglie e figli, figuriamoci gli estranei. A dominarsi è solo chi non ha nulla o appena il necessario, perché rassegnato, naturalmente a ciò condizionato.

D.

In “Alpomo” traspare il malessere ma anche l’umana sensibilità di un uomo che vive nell’onestà e nel rispetto delle leggi, subendo in silenzio il sacrificio quotidiano e la vocazione al dovere per la famiglia, per l’educazione dei figli, in una visione edificante del mondo e delle cose circostanti. La violazione di quel tessuto su cui si è sempre operato da parte dei politici e degli uomini del potere, assume le sembianze mostruose di un mondo in disfacimento. La ribellione è nelle parole, nei suoi versi satirici, nei cognomi e nomi, e nomignoli sempre decifrabili. Non crede che la pubblicazione con una nota casa editrice, com’era suo auspicio nell’articolo apparso nel mese di febbraio 2000 su Pomezia-Notizie, avrebbe potuto suscitare un certo clamore pervenendo al più vasto pubblico?

R.

Onestà, rispetto delle leggi, educazione, sacrificio, famiglia: in “Alpomo” ho riversato gran parte delle mie utopie, ma nella consapevolezza amara che rimarranno tali; anche per questo mi sono ispirato a un mondo da gran tempo scomparso, quello della cavalleria e la vicenda ha come “palazzo” un fantastico castello. Ubbie, le mie, perché la corruzione della società è tale da non esserci più rimedio. Noi Italiani, in particolare, siamo al vertice di questa diabolica cancrena, con la delinquenza organizzata più potente e intelligente, tale da fermentare e dominare il mondo: Mafia, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, Barbagia Rossa sono ramificate ovunque; la ‘Ndrangheta, addirittura, oggi ha superato per potere e ferocia anche la Mafia siculo-americana, un tempo ritenuta così potente da indicare, nel temine, ogni associazione criminale. La società italiana è così corrotta e assuefatta al crimine

da non rilevarne più la condizione; paradossalmente, l’Italia non è mai fallita, né del tutto mai fallirà, proprio per la delinquenza organizzata che ha lievitato di sé tutto e tutti, Chiesa compresa, ad ogni livello; il più onesto, tra noi, ha in sé, senza che lui se ne avveda, il bacillo della criminalità, che si manifesta magari nelle piccole cose, per esempio, non chiedendo la fattura all’idraulico, o semplicemente facendo finta di non vedere e non sentire per pavidità. La delinquenza, per l’Italia, è una specie di grande ombrello o paracadute, dal bilancio enorme, mostruoso, di gran lunga superiore a quello dello Stato. Sì, il mondo di “Alpomo” è al collasso; il mondo ideale è del tutto liquefatto e l’esortazione finale è pura utopia, aspirazione del mio incorreggibile carattere, perciò fallito, anche come autore, tanto è vero che, a un certo punto, gli stessi personaggi mi mandano a quel paese e proseguono da soli la surreale vicenda. Pure l’editoria è infetta. “Alpomo”, se edito da Mondadori, tanto per fare nomi, o da Rizzoli, avrebbe avuto successo e clamore impensabili, quelli che non gli può dare il giro limitato di Pomezia-Notizie.

D.

Rocco Scotellaro riuscì a firmare il contratto di edizione del suo volume “È fatto giorno” con la Mondadori, venticinque giorni prima della morte con l’intervento diretto o dichiarato di alcuni personaggi quali: Montale, Pavese, Remo Cantoni, la principessa Marguerite Caetani curatrice della rivista "Botteghe Oscure” e molti altri. Se la pubblicazione di opere letterarie da parte di Case Editrici affermate devono superare il setaccio redazionale ed anche altri ostacoli, non crede che la speranza si riduca al lumicino se non è da tempo già spento?

R.

Ho già affermato che pure l’editoria è in gran parte gravata e offuscata da corruzione e lo prova l’esempio che Lei fa di Scotellaro. Se un’opera, seppure eccellente, per essere edita dalla Mondadori debba avere tanti e tali mallevadori, per la maggioranza degli scrittori e poeti, che non li hanno, la speranza di un’accoglienza è inesistente. Editare con editori importanti, per me, per Lei, non è possibile, non abbiamo protettori, raccomandazioni pesanti. Io ci ho provato senza successo, di ciò consapevole già prima d’inviare il testo. Ho voluto dare una dimostrazione. Né, per ora, può esserci cambiamento. Le grandi case editrici hanno il monopolio su tutto il territorio italiano e intendono mantenerlo; hanno un tale potere da non permettere che ne sorgano altre e far loro concorrenza. Potenti, ma soggette, a loro volta, a poteri più grandi, come quello economico e quello politico; ognuna di esse, a ben scavare, risponde, segue un certo colore politico.

D. Come è possibile secondo Lei riuscire a ridurre la tendenza all’egoismo imperante della vita di oggi per il recupero di valori morali. Qual è il metodo migliore per educare i giovani? Se fosse l’esempio quale ne è la fonte a cui attingere?

R.

Non è possibile, almeno in un tempo breve, correggere l’odierna società, le sue tendenze; lo si può fare con l’esempio e in tempi lunghissimi. L’Italia è nazione relativamente giovane e gli staterelli che l’hanno composta hanno avuto ognuno un passato diverso, ma in tutti puntellato di lotte lunghe e di rapine, di occupazioni, scorrerie di popoli, di stratificazioni di civiltà diversissime. L’atavica rassegnazione che contraddistingue gran parte della nostra gente, il suo manifesto o latente fatalismo dipendono in gran parte da una tale storia. Per degli amici dal sorriso sardonico, io esagero. Diciamo, allora, che noi Italiani siamo un popolo di conformisti, sempre a causa – come scrive Roberto Gervaso, che di ironia se ne intende – della “quasi bimillenaria soggezione allo straniero” che, nel passato, ha ciclicamente cal-

pestato il nostro territorio e che, in forma diversa, continua a farlo attraverso le immigrazioni da ogni parte del modo, magari solo di passaggio, per recarsi, poi, in altre nazioni. Noi tutto assimiliamo, da tutto e tutti ci lasciamo fermentare. Si muta con l’esempio e nel tempo, non ci sono miracoli. I giovani sono stati sempre e lo sono tuttora naturalmente idealisti; fino a una certa età, ancora oggi tanti amerebbero il mondo di “Alpomo” se avessero esempi; tale età, però, si assottiglia ogni giorno, perché i cambiamenti repentini fanno perdere loro sempre più ogni verginità. Gli esempi devono pervenire loro da ciascuno di noi, principalmente, e dalle famiglie, ma per i giovani sono esempi scontati; più efficaci sarebbero quelli di chi ci governa, a ogni livello, nazionale, regionale, comunale, circoscrizionale; invece, da tutti questi ambienti, vengono loro solo esempi di ruberie e corruzione, di amoralità.

D.

Quale ruolo può svolgere la fede cristiana nella crescita spirituale dei giovani, così presenti ai richiami di Papa Giovanni Paolo II° in occasione del IV° raduno mondiale della GMG (Giornata Mondiale della Gioventù)?

R.

Nella mia infanzia, la fede aveva ancora un’ascendenza sui giovani e sulla loro educazione; oggi non più, o, almeno, s’è ridotta a lumicino. Anche la stessa Chiesa, oggi, è in veloce decadenza, quasi un franare giornaliero su posizioni certo non fondamentali, ma da essa imposte nel tempo e che fino alla metà del secolo scorso sono state quasi granitiche. Per uno come me, educato a quelle rigidità, una vera e propria deriva. Tutto cambia prepotentemente sotto l’incalzare del progresso economico (anche il più misero di oggi è benestante rispetto al passato) e della comunicazione di massa. Lo stesso Papa fugge dal Vaticano, viaggia di continuo, va in montagna a sciare, sente e non nasconde il bisogno di un periodo di ferie nell’estate rovente. Le straripanti, oceaniche adunate giovanili inducono a diverse letture, come le medaglie hanno almeno due facce, una chiara, squillante, l’altra opaca o almeno offuscata, nebbiosa. Sul terreno calpestato dalla folla gioiosa, dopo l’abbandono, si son raccolti sacchi di preservativi. La religione, in passato, inculcava timore, frenava certi comportamenti, oggi non più. Non è mio compito giudicare se fosse, se è bene o male, non ne ho autorità e titolo; posso solo registrare una realtà in continua e veloce evoluzione.

D.

Al marasma di fitta corruttela emersa da “Tangentopoli”, è seguito un timido rinnovamento nella Pubblica Amministrazione nonostante le ingiustificate resistenze. È l’Italia che cambia? Se è così, ritiene che “Alpomo” possa conservare nel tempo una sua attualità oppure esiste il rischio reale di essere superato?

R.

Gentile Amico, non per contraddirLa: ma dove l’ha visto il “timido rinnovamento”? Francamente, io non l’ho avvertito. La corruzione, in Italia, è così endemica, che un gruppetto di magistrati, per giunta un tantino faziosi (non si è indagato, né si indaga in tutte le direzioni e i partiti di sinistra sono del tutto risparmiati), non riuscirà neppure a intaccarla. La criminalità non può essere debellata perché è criminale l’acqua nella quale sguazza. Sarebbe facile abbatterla se non ci fossero criminali tra i giudici, i magistrati, i poliziotti, i carabinieri e specialmente tra i politici e gli amministratori. Stanno qui le vere resistenze e per niente “timide”. “Alpomo” è soltanto un’aspirazione, un sogno, un desiderio, un’illusione e se qualcuno continuerà ancora a leggerlo, lo farà come una favola. “Alpomo” non corre “il rischio reale di essere superato”, lo è già. Io non mi son mai fatto illusioni di poter raddrizzar le gambe ai cani con i miei versi satirici. Una risata subito spenta, come è avvenuto nel transatlantico del Parlamento, dove,

mi si dice (ma sarà stato, poi, vero?), qualcuno l’ha letto. Ai primi entusiasmi (Lenisa, Corti, Nesti, Chiodo) avevo pensato di ricavarne pure un libretto teatrale (sarebbe facile, ci sono già i dialoghi, i personaggi son vivi, reggerebbe la scena), ma poi ho desistito subito, consapevole dell’inutilità, non avrebbe mai il battage necessario dei media per avere successo.

D.

La validità riconosciuta di tutte le Sue opere finora edite ci ha più vote fatti soffermare nella riflessione personale e critica, per i toni e i contenuti di denuncia, non sempre sottesi, verso una società ingiusta nel rendere ad ognuno dei suoi cittadini quello che veramente meritano. Quanto, secondo Lei, può aver influito sulla formazione delle generazioni più recenti il malcostume di alcuni politici e la corruzione di alcuni pubblici funzionari?

R.

La mia battaglia è stata sempre combattuta a viso aperto, con l’arma della scrittura, senza infingimenti o ipocrisie e senza paure di fare, quando è stato necessario, nomi e cognomi. Il malcostume di molti non di “alcuni” politici e di molti funzionari pubblici ha contribuito assai, assai, assai, procurando un danno morale incalcolabile, insanabile. Io assisto, sempre più, a fenomeni di disaggio sociale giovanile e chi continua a non vederlo è cieco. Può darsi – e lo si spera – che non sfocerà in violenze come nel sessantotto, giacché la tecnologia sta divenendo, specialmente per i giovani, una specie di nuova droga (per esempio, i telefonini), che li occupa e li distrae, ma il disagio è palpabile, reale e loro meriterebbero ben altro, ben altra attenzione.

D. Cosa si può dire ai nostri figli dei buoni sentimenti e della rettitudine nella condotta personale, di fronte alle denunce pubbliche degli scandali continuamente reiterati, dentro i santuari del potere?

R.

Parole poche e molti esempi. I nostri figli sono più intelligenti e svegli di come lo siamo stati noi alla loro età; come da noi apprendono più velocemente le negatività, così da noi dovrebbero apprendere le cose positive, i “buoni sentimenti” e la “rettitudine”, ma noi glieli dobbiamo porgere con esempi. Poi, saranno loro ad entrare nei “santuari del potere” e sanificarli. Se noi seguiteremo, con loro, solo a chiacchierare, a definirli fannulloni e a tenerli buoni con la paghetta, non potranno esserci cambiamenti in meglio. “Alpomo” è allegra, scoppiettante utopia e con un’utopia si chiude: “La democrazia, la vera,/anche è mettere in prigione/- in prigione per davvero -/i corrotti e i corruttori”. In prigione per davvero! In Italia, costoro, non solo non li mettiamo in prigione e li lasciamo a marcire, ma li osanniamo, li invidiamo, non facciamo che aspirare ad essere come loro (sotto sotto magari, ma tale è la realtà). Cosa possiamo, allora, pretendere dai nostri figli? I bei discorsi sono stati e saranno sempre inutili; l’unica cosa da fare è continuare a rettamente operare, a dare l’esempio, sperando che, così facendo, altri o prima o poi facciano altrettanto, consapevoli che il coro serve, rumore non facendo una sola noce nel sacco.

D.

Abbiamo la prova di molte valide opere letterarie recensite sulle pagine di piccole ma prestigiose riviste letterarie, precluse però al grande pubblico. Secondo Lei, l’emarginazione della poesia e dell’arte in genere fino a che punto ha subito la prevalenza dell’invadenza televisiva, facendo assumere ai potenziali lettori, un atteggiamento di distacco dalla partecipazione attiva e critica fino a relegarli nel ruolo inanimato di “utenti”?

R.

Sì, di opere valide, sconosciute al grande pubblico, ce ne sono a bizzeffe e le riviste letterarie svolgono un grande compito, ma nulla possono nei confronti dello strapotere

televisivo, che si insinua e lavora come un farmaco nel nostro cervello, ottundendolo e disamorandolo alla lettura, giacché il suo linguaggio è coadiuvato e surclassato dalla immagine. Così, si finisce col credere che vera arte e vera poesia siano solo quelle pubblicizzate dalla televisione, quando, invece, e spesso, ne sono la spazzatura. Si diventa “utenti”, come lei giustamente esprime. Godere veramente l’arte e la poesia abbisogna spesso di silenzio, anch’esso arte, anch’esso poesia; Leopardi si annegava nella immensità e nella dolcezza solo perché conosceva e praticava il silenzio sovraumano.

D.

E la marea di giornalisti-scrittori televisivi sistematicamente accolti dalle note case editrici, i comici, i politici dei “salotti tarlati”, non crede che l’abbiano fatta da padroni con le grandi Case Editrici, sottraendo spazi ad altri più validi Autori senza mezzi pubblicitari, visto che i personaggi più in vista, hanno la certezza “in prima serata”, di sventolare al pubblico copertine patinate di pubblicazioni nuove e riedizioni infilando i videi di ogni canale?

R.

Ai giornalisti televisivi, ai politici, ai comici, ci può aggiungere anche gli attori e le attrici, i calciatori, i cantanti e via elencando. Fan tutti parte del gran circo Barnum della cultura usa e getta, gridata; circo/circolo vizioso di chi, occupando giorno e notte i salotti e i canali d’informazione, fanno vendere milioni di copie e ingrassano le case editrici che mirano solo al profitto, non a scoprire talenti. Case editrici e imbonitori oggi si sostengono a vicenda. Va bene se si è nel giro, altrimenti si è irrimediabilmente spacciati. Chi ama veramente l’arte e la poesia, pur consapevole di tutto questo, non si scoraggia, rivolgendosi, obtorto collo, a piccoli editori/stampatori e contribuendo a pagare di propria tasca ed è in questo autentico mare che si trovano le opere valide, in grado di sfidare il tempo. Le opere strombazzate da salotti e tv, in genere, son fuochi di paglia, in poco tempo dimenticate. Non solo: non sono neppure vero frutto dei loro autori. Sono prodotti, spesso suggeriti dalle stesse grandi Case Editrici, e confezionati da gruppi, segreterie, schiere di collaboratori e d’impiegati alle dipendenze degli editori o degli stessi giornalisti-politici-comici-cantanti-attori-calciatori-e-via-elencando, i quali, infine, vi appongono la firma. Chi sta giorno e notte nei salotti e in trasmissione non ha il tempo materiale per pensare e sfornare uno o più libri all’anno, a volte di migliaia di pagine. Ci sono impiegati che per loro ricercano, ascoltano, registrano, cuciono, assembrano, digitano, impaginano, scelgono o creano immagini, pubblicano, propagandano, distribuiscono… Niente altro che un prodotto commerciale, confezionato a puntino su commissione, suggerimenti, supporti per rastrellare ricchezze, incanalare fiumi di denaro nelle casse elastiche di chi fa e sa fare solo business, non già Cultura; un prodotto qualunque. Come un orologio, un’automobile, una lavatrice son della tal marca, pur avendoci lavorato numerosi tecnici, ingegneri, operai, così è la maggioranza dei libri di chi è sempre presente sui Media.

Domenico Defelice è nato ad Anoia nel 1936.

Graziano Giudetti

VOGLIA D’AMARE

Voglia d’amare mi serpeggia e, prima che avvenga, un palpito mi sovrasta in ribelle distonia.

Sono eterno fanciullo con scudo di verso: m’ammanto, l’abbraccio, e mai sguscerò via dalla svelata sintonia.

Graziano Giudetti

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