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L’odore vicino della guerra, di Claudia Trimarchi, pag
by Domenico
reagire che con un altro dolore.
Comunque, l’importante è che ci lascino vivere la nostra vita, per ricorrere ad aggettivi già usati, a volte ardua e faticosa, e ci lascino davvero in una Pace, che abbiamo conquistato al grido e al silenzio di troppi morti ed eroi.
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Francesco D’Episcopo
L’ODORE VICINO DELLA GUERRA
di Claudia Trimarchi
Frascati, Roma, lunedì 7 marzo 2022 Carissimo Domenico, ricambio il tuo abbraccio con affetto grande e immutato nel tempo. Rivolgo a te e a Clelia un pensiero quasi ogni giorno; vi raggiungo con la mente molto più spesso di quanto farei se le mie dita battessero più spesso su questa tastiera. Chissà perché oggi le parole scorrono a fiotti e finalmente ti raggiungono. Servono le parole. Se vuote a nulla possono ma se cariche di sentimento allora si fanno tramite e dono. Direi che le parole, per chi come noi ama la poesia, stanno al sentimento come la presentazione di un piatto sta al sapore del cibo per uno chef. Chissà perché adesso... sono così felice di poterti fare questo piccolo dono, dopo tanto tempo. Servono le parole, scaldano il cuore, specialmente in un momento così buio e incerto. La sensazione di caducità forse. Lo spavento. Oggi, ancor più di sempre, mi sembra di affogare in questo tempo che corre e scorre così veloce da non dar modo agli occhi di guardare. Eppure in questi giorni tristi e folli poche immagini, viste di sfuggita, non mi si levano dalla testa. E mi viene da piangere, e ho pianto. L'avevo letta sui libri di storia, la guerra, nelle parole dei poeti, nel pensiero radicale di Gino Strada, nei video di Emergency. Ma non ne avevo mai sentito l'odore così da vicino. Questa guerra mi sembra più vicina di quanto non lo sia stata la guerra in Siria ad esempio, che dura ormai da quasi undici anni e non è stata certo meno crudele. Che poi, quale guerra non lo è. Forse è una questione culturale: il popolo ucraino è più "occidentale" di quanto non lo sia il popolo siriano. Guarda: nelle mie stesse parole quanta spontanea iniquità. "Tutti gli uomini sono uguali"..."abbattiamo le frontiere"... e invece ci portiamo dentro, pressoché tutti, un sentimento atavico di disuguaglianza. E non è forse questo il germe della guerra? Che creatura contraddittoria l'uomo, capace delle più belle e strabilianti arti, capace di toccare le vette più alte del pensiero umano e capace di fare la guerra. Ti abbraccio amico caro, oggi con più forza di sempre.
Claudia
Questa assurda e crudelissima guerra in Ucraina, Claudia Carissima, mi riporta agli strazi e agli incubi – mai del tutto assorbiti –di quando bambino, nelle vaste campagne boschive di aranci e di ulivi di Baldes, venivo trascinato dai genitori in cerca di un ambiente che ci riparasse dalle bombe. Ho sempre, indelebile, il fotogramma mentale di una notte in cui, abbandonata la colonica, insicura, sulla collina, ci siamo precipitati giù per la scarpata verso un pagliaio nel folto degli aranci, ove abbiamo trascorso ore e ore in mezzo al fieno, abbracciati per farci calore e coraggio, fino allo spuntare del sole. Ho ancora negli orecchi gli stridi delle civette; lo squittio di topi e ghiri; il tonfo sordo, di qualche frutto, ampliato al parossismo del buio illune. Pochi giorni dopo, le bombe praticamente ci sotterravano, anche se, per un vero miracolo, ne siamo usciti tutti con solo qualche graffio, procurato dai rami delle piante sfracellate, non già dalle schegge. L’odore della guerra, Carissima, io l’ho sentito reale, le narici intasate dalla polvere che si alzava allo scoppio delle bombe, da oscurare letteralmente il sole, da dover camminare a tentoni. Quell’odore è ancora in tutto me stesso presente, incancellabile. E, poi, la guerra fredda; il minacciarsi continuo tra USA e URSS; il pensare che, da un momento all’altro, potesse rovesciarsi addosso a noi l’apocalisse (la poesia, che qui di seguito
trascrivo, è di quel tempo e rende l’atmosfera di paura e d’apprensione che vivevo). Dire che la guerra sia barbarie, pazzia, è un eufemismo; può capire cos’è la guerra solo chi la vive e, in questi giorni, i giovani, le donne e i bambini dell’Ucraina. Le donne e i bambini, specialmente, sui quali pesa una doppia guerra, la tragedia nella tragedia, il dramma nel dramma, l’orrore dell’orrore: la deportazione nelle terre del nemico (cosa ne sarà di loro?), o la tratta da parte di bestie senza scrupoli del nostro “civile” Occidente, che promettendo loro, disperati, un tetto e un lavoro, in realtà rendendoli schiave del sesso o utilizzandoli per l’espianto degli organi, o costringendoli a lavori inadatti e stressanti, a volte senza neppure un pezzo di pane; tanto, non erano e non sono che povera carne da macello. Eccomi, Cara, a non dormire più la notte, come quand’ero bambino; eccomi a disperarmi, a piangere per l’impotenza a fermare l’orrore; eccomi a pregare a gran voce Dio. Dio. Dio. Dio. Ma cosa c’entra Dio, cosa mai possa fare Dio, poi mi domando nei rari momenti di quiete. Abbracciarsi, Cara, volersi bene è l’unico modo per sentirsi umani.
Domenico
CON LE MANI IN CROCE
Novaja Zemlja...La follìa ti dipinse a sangue in questi giorni, ti straziò le carni. L’occhio mite della renna si torse nella luce inquieta di un’alba risospinta al Caos. Lo zigolo nevoso sognava neve rossa, il grizzly vivo che si sciolse con la geometria del suolo bivaccando su scheletro di volpe.
Dal cielo livido tuonarono messaggi di sterminio per una terra ormai non più di Allàh, non più di Budda o Brama, non più di Cristo: “Un brillio d’acque, un gioco d’amori e di lusinghe, un susseguirsi d’ansie e di stagioni, sarà lavacro incandescente per le vostre carni martoriate dilaniate, rese luci e suoni...”
“Ma il vostro piede adunco non calcherà la terra che si fonde, l’acqua che brucia. Ipocriti sciacalli, non urlate con bocca d’inferno inalberando simboli di morte sui templi che frodaste degli Iddii: cinquanta e cento megatons anche noi confezionammo in doni per i fratelli Russi...
Così l’Este e l’Ovest. E noi dormiamo con le mani in croce, ci nutriamo di morte, coviamo acciacchi per i nostri figli.
Domenico Defelice
Da: Con le mani in croce, La Procellaria Editrice, 1962.
LA NINNA NANNA DE LA GUERRA
Ninna nanna, nanna ninna, er pupetto vò la zinna: dormi, dormi, cocco bello, sennò chiamo Farfarello . Farfarello e Gujermone che se mette a pecorone, Gujermone e Ceccopeppe che se regge co le zeppe, co le zeppe d'un impero mezzo giallo e mezzo nero. Ninna nanna, pija sonno ché se dormi nun vedrai tante infamie e tanti guai che succedeno ner monno fra le spade e li fucili de li popoli civili Ninna nanna, tu nun senti li sospiri e li lamenti de la gente che se scanna per un matto che commanna; che se scanna e che s'ammazza a vantaggio de la razza o a vantaggio d'una fede per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo ar Sovrano macellaro. Ché quer covo d'assassini che c'insanguina la terra sa benone che la guerra è un gran giro de quatrini che prepara le risorse pe li ladri de le Borse. Fa la ninna, cocco bello, finché dura sto macello: fa la ninna, ché domani rivedremo li sovrani che se scambieno la stima boni amichi come prima. So cuggini e fra parenti nun se fanno comprimenti: torneranno più cordiali li rapporti personali. E riuniti fra de loro senza l'ombra d'un rimorso, ce faranno un ber discorso su la Pace e sul Lavoro pe quer popolo cojone risparmiato dar cannone!
Trilussa
ACCANTO AL POPOLO UCRAINO
Rattrista e addolora la notizia di quei tredici bambini bruciati dal fuoco dei missili e cannoni, calcinati fra i rottami delle case crollate; penso e mi addolora la notizia che altri hanno visto la luce accecante calare dal cielo e spandersi tra le mura domestiche, bruciare i loro sogni di vivere il diritto alla vita e alla libertà. Rattrista e addolora il passo del vecchio che cerca scampo nella fuga dal fragore delle bombe che si susseguono a ritmo ossessivo e calcolata precisione. Ovunque neri segni di morte e distruzione. Avvilisce e addolora la fretta delle donne e dei bambini di raggiungere un autobus, un treno un mezzo sicuro per sfuggire dalla spirale atroce della guerra e presto raggiungere una terra amica, un fuoco per scaldare le membra, un pasto per vincere il digiuno, un letto per sedare il tremore del corpo, la paura della morte. Sgomenta e rattrista l’attesa dei soldati e patrioti ucraini d’immolarsi per un ideale di libertà, presente e godibile laddove non vige la legge dell’oppressione, non incombe l’ombra tetra del boia al soldo di un criminale dittatore, ma brilla il sole del dialogo, fiammeggiano amore e solidarietà. Rattrista e addolora il crudele pestaggio che si fa del diritto alla fede nei valori della propria terra e civiltà, la barbara devastazione di villaggi e città, la famelica arroganza del lupo che ha decretato il martirio dell’agnello. L’Europa, novella Maddalena, è prostrata dolente ai piedi della croce, con gli occhi al Cristo che le chiede angosciato: “Perché mi hai abbandonato?” Più eloquenti d’ogni silenzio, le mani tese ad accogliere gente che fugge dalle spire del grande serpente, dalle granate esplodenti e strazianti, dall’apocalisse aizzato dall’angelo nero. Chi attizza quel fuoco infernale non può essere un essere umano. Non può sedere sul trono dell’onore chi si vota alla profanazione della pace; egli non otterrà né gaudio né gloria, ma vile caduta nel fango della storia.
Antonio Crecchia
Termoli, 2 marzo 2022 Da: Primo Piano Molise, 5 marzo 2022
TEMPESTA SULLA STEPPA RUSSA
Tempesta sulla steppa russa vento sibilante scuote gelida erba
voci sepolte nella ghiaccia neve
“Fermati vento, non andare oltre, raccogli le nostre voci…
Noi fummo uomini, giovani baldi mandati qui, per il disegno oscuro di potenza
Ogni passo d’andata ci rese dubbiosi, quelli del ritorno cementarono i nostri cuori e i piedi nel gelo.
La nostra invocazione una parola sacra “mamma”
Tu che non trovi ostacoli sul tuo cammino porta il nostro lamento oltre la steppa a Ovest
fallo risuonare come le trombe dell’Apocalisse”
Wilma Minotti Cerini
Pallanza, Verbania
LA LETTERA DEL FANTE
Sono stanco, mamma, sono tanto stanco.
Mi hanno inchiodato qui stanotte a guardia di polveri e questo fucile mi pesa più che una croce.
Mi dissero: Uccidi! E a questo detto abbrividì il mio sangue, perché io non so uccidere, o mamma!
Ed è per questo ch’io tremo e per il tuo schianto, se il Sindaco venisse alla tua porta a listare di lutto i margini sfioriti dei tuoi giorni.
Dimmelo tu, o mamma bianca, chi è il mio nemico? Se penso alla madre di lui io vedo te vestita di nero e d’angoscia. Se guardo in alto la pietà vedo di tutte le madri specchiarsi ad ogni squarcio di nuvola.
Che ala di morte non copra questo spiraglio d’azzurro ancora aperto sul cuore; che io non uccida stanotte, prega che io non uccida!
Ricordi quando fanciullo tremavo al bagliore dei lampi? Eccomi: sono il tuo bimbo d’allora che trema, in attesa dell’alba!
Francesco Fiumara
Da “Le favole hanno occhi di pietra”, Edizione Pagine, 1960
Domenico Defelice: “Le favole hanno occhi di pietra”, china. ↓