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Edith Dzieduszycka, di Isabella Michela Affinito, pag

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Cha Shanging, pag

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EDITH DZIEDUSZYCKA A PENNELLO

di Isabella Michela Affinito

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PER la poetessa, artista, fotografa, con basi di studi classici, d’origine francese e da molto tempo residente in Italia, Edith Dzieduszycka, l’Arte, letta e “filtrata” da lei nella sconfinatezza della compagine pittorica, è diventata un percorso d’apprendimento per chi saprà intuirla, decifrare i dettagli (indizi) suggeriti dalle numerose sue poesie di questa particolare raccolta, A pennello, fino a – con buone probabilità – riuscire a pervenire al nome dell’autore dell’opera artistica versificata.

Dapprincipio in lei non c’era un vero e proprio progetto editoriale di poesia sul tema dei pittori d’ogni epoca e delle loro opere di qualsiasi corrente, perché «[…] in modo istintivo e quasi sotto forma d’indovinelli, mi è venuto in mente che poteva essere più interessante lasciare quei testi nell’ordine spontaneo e disordinato in cui li avevo elaborati, con un andirivieni continuo tra secoli e generi. Potrà forse sconcertare ma, spero, rendere più divertente e imprevedibile il loro susseguirsi, alla scoperta del protagonista.» (Dalla Presentazione dell’Autrice, pag. 5).

Senz’altro la silloge si rivolge alla platea degli “addetti ai lavori”, ma anche chi non è ferrato nella storia dell’arte può esercitarsi nel dilettevole espediente alla ricerca della Bellezza manifestata in pittura, che va, secondo la preferenza personale dell’autrice, da Giotto agli artisti dei nostri tempi, come Maurizio Cattelan, Ch. Javacheff detto Christo, Fernando Botero, Mimmo Rotella ed altri ancora menzionati nella silloge della Dzieduszycka.

«[…] La loro cura formale nasconde l’intento giocoso e certe volte ironico di solleticare e stimolare l’ingegno di chi legge. Nei fatti il gioco letterario parte e torna al dato reale, perché tutto il rappresentato esiste già nelle opere sottese, ma è la mente del giocatore a doverlo ritrovare. Riconoscere un artista e il suo lavoro per il tramite di un gioco di parole è un esercizio mentale sublime, nel testo è racchiuso al tempo stesso un dettaglio e il complesso di una intera esistenza d’autore.» (Dall’Introduzione di Elisa Govi, pag. 8).

Solo alla fine del libro si potrà finalmente scoprire a chi o a quale opera artistica italiana, o internazionale, si riferisce ciascuna poesia dell’autrice, dacché nell’Indice si riscontrano gli abbinamenti da lei effettuati (titolo della lirica accanto al nome dell’artista) e nella sezione della Galleria addirittura compaiono le innumerevoli riproduzioni dei dipinti presi da lei in esame, attraverso i quali è defluita la trasmissione dell’alito di vita poetica.

Il repertorio dei dipinti è vastissimo e affascinante: da Claude Monet a Francisco Goya, a Pieter Bruegel il Vecchio, a Diego Velázquez de Silva, a Balthus, a Paul Delvaux, a Pablo Picasso, a Gustave Courbert, a Gaspare

Vanvitelli, a Egon Schiele, El Greco, Giuseppe De Nittis, Amedeo Modigliani, Alberto Burri, Aubrey Beardsley e l’elenco potrebbe occupare un’intera pagina.

Diciamo che codesto “percorso” inventato di tappa in tappa senza tanta prolissità, abilmente dalla Dzieduszycka, potrebbe rappresentare una piacevole alternanza allo studio diretto della stessa storia dell’arte, o comunque un’importante strada parallela fatta di “quiz” celati nei versi che, anche per un esperto del settore, si rivelano utilissimi e divertentissimi.

Ecco cosa le ha ispirato il pittore e disegnatore austriaco, Egon Schiele, morto ad appena ventotto anni a causa dell’allora “febbre spagnola” (probabilmente cominciata in Spagna) diffusasi a macchia d’olio negli altri Stati europei in concomitanza con la Prima guerra mondiale.

«Poco vissi/ a cavallo dei secoli/ e troppo presto// in tempo feci però/ prima che t’annientasse/ la spagnola/ a contemplare/ attraverso lo sguardo/ tagliente dei tuoi/ nudi/ scarni personaggi// lo scenario feroce/ del tuo tempo nonché/ erotica/ scandalosa/ la lotta/ in cui deve/ per forza/ qualcuno soccombere.» (Pag. 86).

Nelle poesie serpeggia l’essenziale della biografia e dello stile dell’artista a cui è stata destinata la composizione ed è proprio l’essenzialità a creare interesse, voglia di pronosticare, d’apprendere e di ciondolare con la fantasia oltre ciò che è stato vergato, e magari andare ad approfondire altrove quel determinato creatore artistico.

Allora il medesimo tracciato lo si guarda sotto l’aspetto circonferenziale, una specie di carosello in azione dove l’inizio e il traguardo sono la stessa cosa: così è stato per l’autrice e così sarà per il lettore.

Un cerchio fatto di immagini descritte a parole e parole che suscitano visioni legate a quadri famosi, e non si finirebbe mai di “circuitare”!

«Forse ghiotto/ un bel divertimento/ hai scoperto con/ frutta e ortaggi/ alberi piante pesci/ pure acqua e fuoco/ perfino libri aperti// tutti quanti hai piegato/ mago illusionista/ al tuo capriccio/ plasmato/ trasformato/ regalando loro/ vita/ volto/ carattere.» (Pag. 97).

Stavolta è stato encomiato il pittore della Milano tardo-rinascimentale, Giuseppe Arcimboldo (1527-1593), che molto si distinse nei suoi elaborati lavori ad olio proprio per aver ripreso sulla tela originalissime allegorie delle quattro stagioni e quant’altro, realizzati con l’ausilio d’elementi tratti dal regno animale, vegetale, floreale, varia oggettistica in metallo, dorsali di libri e libri aperti, stuoie, armi, portacandele, pezzi staccati di caraffe, di botti, etc.; lui volle stupefare l’osservatore del suo tempo dando l’illusione d’aver ritratto qualcuno o qualcosa che nella realtà non esisteva.

«Con un’operazione intermodulare e intersemiotica come A pennello, Edith Dzieduszycka ha costruito – forse anche per un qualche misterioso input del suo nome, pressoché impronunciabile per un italiano – un meccanismo di speciosa intelligenza riflesso su un insieme di facce, e di facies, che continuano a moltiplicarsi e a sfuggire al controllo del riguardante-lettore-indovino.» (Dalla Postfazione di Mario Lunetta, pag. 131).

Isabella Michela Affinito

Edith Dzieduszycka: “A PENNELLO”, La Vita Felice di Milano, 2013, pagg. 140.

PRESENZE

Più prezioso il silenzio della campagna se un remoto potare zappare gli dà voce, se il moto di un trattore rivela presenze. Amo il silenzio abitato da suoni lontani. Amo la mia gente l’eco del suo lavoro.

Ada De Judicibus Lisena

Da: Omaggio a Molfetta, Edizioni Nuova Mezzina, 2017

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