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Marcello Falletti di Villafalletto e i Savoia, di Tito Cauchi, pag

MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO I SAVOIA – ACAIA

di Tito Cauchi

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MARCELLO Falletti di Villafalletto è impegnato in molte attività culturali, è preside dell’Accademia Collegio de’ Nobili; è fondatore e direttore del periodico L’Eracliano, di Firenze. Il volume I Savoia-Acaia è riedizione revisionata della sua pubblicazione del 1990; è dedicato “Alla memoria della Beata Margherita e di tutti i membri del ramo dei Principi di Savoia-Acaia che tanto fecero e hanno lasciato nel nostro Piemonte sabaudo”. La prefazione è a firma di Claudio Falletti di Villafalletto, cui segue una nota dell’Autore (non conosco il rapporto di parentela fra i due omonimi); in essa si avverte che agli storici si richiede obiettività, pur riconoscendo che “Il giudice troppo severo rischia, spesso, di nascondere la verità […]”. Il Nostro espone un quadro storico in cui le famiglie protagoniste sono colte nella loro dimensione umana familiare e personale e con onestà intellettuale dichiara di avere interesse di portare alla luce un passato che riguarda anche la sua Casata, che altrimenti finirebbe nel dimenticatoio, come è spiegato nella dedica; questo è ciò che avviene per quasi la totalità delle famiglie comuni.

Giova premettere che la casata dei Savoia, fa parte della storia italiana, che ci appartiene, ed è bene approfondire. Era molto nota in Europa, già all’alba dell’anno Mille, fra le dinastie più prestigiose, particolarmente nel Regno di Borgogna, allora esistente in una vasta area territoriale compresa tra la Svizzera, la Francia e l’Italia occidentale, appunto parte del Piemonte settentrionale. Ebbene si attesta un Principato del Piemonte intorno al X secolo in un territorio denominato Savoia (nome suppongo derivato da trasformazioni grafiche e lessicali del toponimo Sapaudia, riferito agli abeti, già al IV sec., durante la decadenza dell’Impero Romano, che hanno poi prodotto Sabaudia).

Nel prosieguo non voglio impelagarmi con la denominazione dei titoli nobiliari e sulla loro gradualità (conte, duca, marchese, visconte, vassallo, feudatario, ecc., senza contare titoli effetti e titoli nominali). Conviene percorrere le tappe del testo. Voglio precisare che alla Casa Sabaudia (o Savoia) si affianca, in seguito, un secondo ramo denominato degli Acaia.

È l’evoluzione degli eventi che determina gli assetti, e sempre comunque precari, purtroppo come ai giorni nostri, attraverso conflitti di potere e di legittimità fra varie fazioni: ecclesiastiche e politiche, epidemie e guerre, l’avvicendarsi dei Papi e degli Antipapi (come Giovanni XXIII), l’inquisizione della Chiesa e superstizioni, Guelfi e Ghibellini, disastri e fame. L’Autore ammette la possibilità di fraintendimenti nella identificazione dei personaggi per via della ripetizione di nomi, anche perché è sempre difficile scriverne in assenza di documenti certi. Evidenzierò in grassetto i personaggi Signori del Piemonte, Principi d’Acaia e di

Morea, sperando che torni utile alla visione di insieme (sono quattro: Filippo, Giacomo, Amedeo, Ludovico). ***

(Primo Principe, capostipite) Filippo I

d’Acaia (1278 - 1334). Eccoci qui, al libro di Marcello Falletti di Villafalletto. L’Autore entra subito in argomento iniziando dalla fine del XIII sec. con Filippo di Savoia, figlio di Tommaso II, che a soli 17 anni ereditò il Piemonte con il titolo di Signore di quelle terre, dallo zio paterno Amedeo V, Conte di Savoia, che ne aveva la tutela, con la promessa di non escludere i propri fratelli dalla parte loro spettante della Contea di Savoia. Il giovane principe non diede seguito alla promessa, pur assegnando dei benefici ai propri consanguinei. Intanto con senso di giustizia ha affrontato i feudatari di alcune città del basso Piemonte (Monferrato, Saluzzo) e dei territori contigui, che pretendevano di espandersi, come anche di stranieri e perfino dell’Impero, poiché esso accampava diritti di sovranità. E non mancavano le interferenze dei cugini Sabaudi così si formavano e si disfacevano alleanze secondo convenienza.

Il Principe Filippo, sposando Isabella Villehardouin, erede del Principato di Acacia e di Morea, ne aveva acquisito il titolo, ma per giochi di potere, gli è rimasto soltanto il titolo nobiliare nominale, titolo in uso già al tempo dell’Impero Bizantino riferito agli antichi territori nel Peloponneso (Grecia). Rimasto vedovo, sposa Caterina di Vienne [Austria, Casa degli Asburgo] desiderando rafforzare di più i legami. Aveva posto la sua residenza ufficiale e principale a Pinerolo, in cui esistevano banchi di cambio e di prestito, fra cui quelli dei Falletti. Località amena situata in prossimità di Torino, distante quanto bastava dai territori governati dai Savoia, allora turbolenti. Filippo I si è dimostrato avveduto e buon regnante regolamentando le entrate, favorendo la cultura e le condizioni del popolo secondo possibilità. È stato rimpianto come “vero italiano”.

A proposito della eredità di Filippo, Principe di Piemonte, passato come Filippo I d’Acaia (per brevità, giusto per ricordarlo) i fratelli gli restarono uniti e fedeli, vennero compensati ricoprendo cariche ecclesiastiche che assicuravano prestigio e stabilità economica: Pietro divenne Arcivescovo di Lione; Amedeo diventò Arcidiacono di Reims; Tommaso ricevette la nomina di Canonico di Amiens e poi fu eletto Vescovo di Torino; e il fratello minore Guglielmo fu eletto Abate di San Michele della Chiusa [le città francesi indicate stanno a dimostrazione della condivisione dei territori]. Filippo ebbe numerosi figli legittimi e naturali; in particolare si ricordano quelli avuti dalla seconda moglie, Caterina: il primogenito Giacomo che ne ereditò il Piemonte; Aimona che sposò Tomaso Falletti, signore di Villa [oggi Villafalletto in provincia di Cuneo]; infine Isondina che dette origine alla Linea illegittima di Collegno.

(Secondo Principe) Giacomo d’Acaia

(1319 - 1367). Aveva collaborato con il padre, Filippo I, ma alla morte del genitore, osteggiato dal Conte di Savoia, all’età di diciannove anni eredita il Principato stremato con il titolo di Principe d’Acaia e insieme con la madre Caterina era ridotto alla fame. Riuscì a superare le difficoltà grazie alla sua robusta tempra, all’intelligenza e agli aiuti dei Falletti, signori di Villa, così contravvenendo alla sua dipendenza dai Conti Savoia, in occasione della ricognizione dell’imperatore Carlo IV in Lombardia “si fece riconoscere quale vassallo imperiale” in tal modo poteva coniare moneta e ampliare i suoi poteri amministrativi. Entra in aperto conflitto con il cugino il quale lo priva dei territori e lo imprigiona insieme con il figlio Filippo (pronipote di Filippo I). E per rimediare ai contrasti gli viene imposto dallo zio Amedeo VI di Savoia di sposare Margherita di Beaujeu, di sedici anni, sorella di un suo fidato alleato, tanto più che Giacomo era vedovo due volte.

Dal matrimonio fra Giacomo e Margerita, nacque un erede al quale fu imposto il nome di Amedeo. Tuttavia il Conte di Savoia non riuscì a istituire un potere assoluto sui territori del Piemonte. Giacomo era rientrato nei

suoi diritti anche grazie all’aiuto di suo fratello Tommaso, il quale divenuto Vescovo di Torino e d’Aosta, fece in modo di passare al fratello Giacomo tutte le terre del vescovato torinese, coronando così l’antico sogno del capostipite Filippo I (il capostipite).

Qui Marcello Falletti di Villafalletto si sofferma su un episodio che lui stesso definisce da romanzo. La giovane sposa di Giacomo, si era invaghita di Filippo II, figlio dell’anziano marito, volle perciò vendicarsi contro il giovane Filippo raggirando lo sposo, mettendolo contro il figlio, facendo sparire il giovane con l’aiuto del Conte di Savoia, Amedeo VI. Questi ne ha orchestrato un falso tradimento portandolo al processo e facendolo condannare a morte; giusto per nominarlo, fra i presenti si trovava il poeta Francesco Petrarca, il quale non credette alle accuse. Così, il Conte, ancora una volta, poteva accentrare nelle sue mani il potere assoluto del Piemonte. La fine di Filippo II è rimasta avvolta nel mistero; fra le varie ipotesi si racconta che egli, sotto mentite spoglie di un vecchio prelato, di ritorno dalla Terra Santa, si sveli alla nipote Margerita di Savoia-Acaia rimasta vedova. (Terzo Principe) Amedeo d’Acaia (1363 – 1402). Il piccolo Amedeo, figlio di Giacomo e protetto dal Conte Savoia stesso, raggiunta la maggiore età, si era allineato alla politica della Contea di Savoia. Nel susseguirsi degli intrecci fra i discendenti Sabaudi (Savoia e Acaia) si avvicendano principi e conti dello stesso nome “Amedeo”, fino a crearsi confusione, anche fra le fonti; tra cui un illustre Amedeo VI detto Conte Verde e un Amedeo VII detto Conte Rosso morto giovane, un Amedeo Conte di Ginevra la cui figlia Caterina sposa l’Amedeo d’Acaia che, a sua volta, fa da coreggente con Amedeo VIII bambino (il numero ordinale viene riferito ai conti del ramo Savoia), fin quando l’Amedeo bambino raggiunge la maggiore età e contende il governo del Piemonte; in tal modo il potere dei principi del ramo Acaia andava svanendo.

Il soprannominato Amedeo d’Acaia non ebbe eredi (maschi) per la successione, ma ebbe quattro figlie: due morte in tenera età (Bianca e Caterina) e due altre, una di nome Matilde o Melchide o diversamente (13891420) e l’altra Principessa, di nome Margherita (1390-1464, la futura Beata). Margherita è molto votata alla religione, rivelando doti diplomatiche, prodiga di consigli, ben accolta dalle corti. Assunse una posizione importante a livello europeo, adoperandosi per la riappacificazione fra le opposte fazioni e dirimere le contese fra i sabaudi per ragioni di legittimità. Abbracciò il Terzo Ordine Regolare dei Domenicani seguendo la regola agostiniana. Rimase vedova del marchese di Monferrato ereditandone il titolo. Rimpianta come una santa, sarà beatificata nel 1670.

(Quarto Principe, ultimo della dinastia)

Ludovico d’Acaia (1364 – 1418). Subentrato alla morte del summenzionato fratello Amedeo, al quale sopravvissero due figlie (Matilde e Margherita), è riuscito a mantenere saldo il Piemonte. Si è rivelato un saggio principe anche grazie alle unioni matrimoniali fra i detentori del potere, e alle doti diplomatiche della nipote Margherita (futura beata). Ludovico, principe munifico e generoso, uomo illuminato, ha istituito corsi di studi anche universitari, occupandosi degli alloggi per gli insegnanti e gli studenti, soprattutto a Torino; fra l’altro curò l’amministrazione giudiziaria, punendo e multando la bestemmia, già allora. Frattanto doveva affrontare epidemie, eccessi e ruberie alle casse dello Stato. Ma dopo la sua morte, calò l’attenzione da parte di Amedeo VIII, Duca di Savoia e suo coreggente. (Non incluso fra gli Acaia, Luigi Racconigi, 1390 - 1459). Ludovico d’Acaia, l’ultimo reggente del ramo Acaia, ripetiamo, non lasciò eredi per la successione se non consideriamo il figlio omonimo Ludovico, avuto extraconiugale a Napoli e pertanto soprannominato Bastardo d’Acaia, come era nell’uso, o solo Luigi Racconigi. Si avverte che per le solite contaminazioni linguistiche si trova a volte la grafia di Ludovico o Lodovico o Luigi o Ludwig; questo fenomeno si verifica in generale. È doveroso ricordare che questo

Luigi, figlio illegittimo di Ludovico d’Acaia, del quale ci parla la competente Maria José di Savoia (p. 110), fu veramente importante per l’intera storia sabauda; da lui ebbe origine la linea illegittima denominata “di Racconigi”.

***

La dinastia del ramo Acaia, è durata quasi un secolo e mezzo nel governo del Piemonte (senza considerare il ramo illegittimo di Racconigi). Ai suoi Principi si deve l’avere portato nel Regno di Casa Savoia il Piemonte. Si sono curati della regione con saggezza, regolamentando la giustizia e l’amministrazione dello Stato, emanando precetti in materia di pubblica igiene. In Piemonte la cultura non fu messa in disparte tanto che “Non va dimenticato un certo Guido” (p. 136) per avere scritto “la prima poesia d’amore in Italia dopo il Mille”. (Mi scuso per la seguente chiosa: se il poeta Guido è lo stesso citato da Dante, penso si tratti del poeta variamente denominato: Guido da Messina, Guido Giudice, Guido delle Colonne, ossia Guido dell’attuale città di Gela, in Sicilia, di quando la città nativa era distrutta, e fu denominata Terranova, soprannominata “delle colonne” per abbondanza di colonne doriche, per quanto ne sappia) Probabilmente avrò fatto qualche cattiva interpretazione, me ne scuso. Osserviamo che tutti i Principi d’Acaia non hanno vissuto molto a lungo e che ciascuno ha dovuto fronteggiare un Conte Savoia.

Ritengo giovevole per la cultura il volume di Marcello Falletti di Villafalletto, I SavoiaAcaia, Signori del Piemonte, Principi d’Acaia e di Morea, è un contributo alla storia. Il Nostro ha attinto in vari archivi e autori tra cui: L. Della Chiesa, D.A. Della Chiesa, F. Cognasco, P.L. Datta, L. Cibrario, N. Gabiani, E. Gabotto, Maria José di Savoia moglie di Umberto II [soprannominato il Re di Maggio] (L’Autore mi perdonerà se alla lineetta del titolo ho sostituito il trattino d’unione). Le foto riprodotte riguardano stemmi, sigilli, monete, monumenti e costruzioni antiche degli Acaia. Mi piace concludere con questa noticina: “Il tramonto dei Savoia-Acaia portava in sé quel germe generatore di un singolare Stato Unitario per tutta la penisola italiana che, dal tempo dell’imperatore Berengario, nessuno aveva mai vagheggiato” (p. 116).

Tito Cauchi Marcello Falletti di Villafalletto: I Savoia – Acaia Signori del Piemonte, Principi

d’Acaia e di Morea, Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili Editore, Firenze 2022, Pagg. 162 + 36 per foto.

NEVICA

E' sera. Tutto tace., tutto è immobile. Non un volo d'uccello nel cielo buio, non una voce umana sulla terra muta. Nell'aria, però, qualcosa di magico, d'insolito, danzando, appare: mille e mille fiocchi candidi di neve si scontrano, volteggiano, scendono a terra e il tutto ricoprono d'un terso lenzuolo. Domattina il sole si desterà, osserverà il mondo tutto bianco, tutto nitido e dirà: <<Torno a dormire: i miei raggi non scopriranno l'anomalo della nostra terra>>.

Antonia Izzi Rufo

Castelnuovo al Volturno, IS

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