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Antonio Crecchia e il sommo Dante, di Isabella Michela Affinito, pag

ANTONIO CRECCHIA CON IL SOMMO DANTE

di Isabella Michela Affinito

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SE per il poeta fiorentino Dante Alighieri l’ossatura del suo capolavoro letterario, la Divina Commedia, fu imperniata totalmente sul numero “tre”, ebbene, per il poeta ricercatore storico saggista traduttore, Antonio Crecchia, il suo poema, omaggiante il solco dei settecento anni dalla scomparsa di Dante, s’incardina sul numero “otto”, ché ogni stanza del suo lungo componimento poetico è fatta, appunto, di otto versi, sulla scia dell’ottavo giorno che arriverà, secondo il credo cristiano, col sole senza tramonto perché sarà il giorno dell’eternità.

Al di là del significato simbolico del numero fondante prescelto da Antonio Crecchia, il suo poema è la parallelizzazione di due universi: quello dantesco e quello personale (dell’autore di Termoli), nonché di due stati d’animo che hanno assorbito i mali e le conseguenze negative delle rispettive lontanissime società; ovvero la medioevale di Dante e la contemporanea di Crecchia, il quale, per accostarsi con un certo vezzo al garbo stilistico letterario del poeta toscano, ha intrufolato qua e là nei versi una certa sonorità di bellezza antica come se l’intero suo lavoro poematico fosse stato composto in epoca addietro. «[…] Per fede e per grazia ti fu concesso/ di scendere e salire nel profondo/ degli inferi e dei cieli, con guide/ predestinate a fecondar le radici/ della tua saviezza, già così alta/ e distesa, quale nessun mortale/ ebbe l’onore d’esserne ripieno,/ dacché nel mondo favella risuona.» (Pag. 13).

La ragione-cardine per cui s’è concretizzata l’idea del poema in questione è stata che il Centro Studi Molise “N. Perrazzelli” di Guardialfiera, provincia di Campobasso, ha esteso a tutti i poeti del territorio italiano, nell’anno 2021, l’invito a scrivere qualcosa in versione lirica per dare valenza proprio ai sette secoli che ci separano dalla morte di Dante Alighieri, avvenuta la notte del 15 ottobre 1321 quando il ‘sommo’ si trovava giustappunto in esilio, a Ravenna, a soli cinquantasei anni. Di tassativo c’era che il componimento non doveva superare i venticinque versi e così il poeta Crecchia ha deciso di rinunziarvi, mentre s’era già avviata in lui l’idea illuminante di comporre più di una semplice poesia per unirsi al travagliato spirito dantesco, così di raccontare «[…] d’un mondo che schiuma/ miserie e acri fumi da bolge oscure./ Vedo, odo, reclamo trasparenza;/ e poiché non ho ascolto, né udienza,/ nella mia tristezza mi chiudo,/ dinanzi al muro d’insania e orgoglio/ che il mondo fan nero di vergogna.» (Pag. 14).

Quell’immagine speculare del profilo storico di Dante a colori, scelta per la copertina del Quaderno realizzato in edizione fuori commercio da Antonio Crecchia, spinge la mente ad un bellissimo ed interessante confronto Dante-Crecchia, e come scenografia nel poema ci sono i soliti peccati umani tra cui l’Avarizia, la Superbia, l’Invidia, la corruzione, la frode, di cui l’Alighieri fu ingiustamente accusato al punto da venire esiliato dalla sua Firenze, a cui non fece più ritorno.

Rileggere la Divina Commedia in questo nostro discordante tempo venato da eventi sfavorevoli e quasi irreversibili, come i fenomeni estremi del clima peggiorato negli ultimi decenni, ritroviamo i mali di sempre e i peccatori di sempre, solo che Dante è stato così abile e ricco d’acume nell’evidenziarli e nel rendere oggettivi i Tre Regni ultraterreni quasi più delle Sacre Scritture e la lingua volgare, da lui adoperata al posto del latino, ha fatto sì che l’opera letteraria diventasse in

breve tempo un vero best-seller apprezzato anche dalle persone di ceto meno abbiente. «[…] Quando l’insania umana mi disgusta,/ la tua bibbia prendo tra le mani/ e leggo a voce spenta le terzine/ che compongono il gran poema sacro./ Fuori dalla crudeltà che sovrana/ regna in questa selva di lupi in guerra/ contro cielo e terra, lieto assaporo/ la dolcezza dei tuoi smaglianti versi.// Come non ammirare l’alto progetto/ di redimere con te la perversa/ stirpe di Caino, che di mali appesta/ il mondo, e demoniaca superbia/ alza a vessillo di somma ignoranza?/ Tu, che t’abbagliasti al fulgor dei santi,/ vedi ch’io di versi non ho dovizia,/ ma sai quanto a leggerti m’è letizia!» (Pag. 19).

Antonio Crecchia ha fatto ‘sue’ le sofferenze interiori di Dante per esporre a nuova luce il suo territorio molisano; l’inferno della società attuale con l’Inferno dei gironi occupati dai dannati descritti dall’Alighieri, coi personaggi cinti ai vizi e ai difetti che li avevano resi pessimi in vita.

L’arte dell’immedesimazione usata da Crecchia lo ha persino spinto a (ri)provare le amarezze che albergarono per anni nel cuore di Dante, tradito e allontanato per sempre dalla sua amata città natia e questo esperimento d’interiorità ‘ferita’, l’autore l’ha potuto effettuare soltanto attraverso la fortuita stesura poematica, seguendo un preciso modello di perfetta corrispondenza. «[…] Tu, padre Dante, con il tuo canto,/ intero mi riporti nella stanza,/ dove il mio giorno trascorre lento,/ nell’esilio volontario dal mondo,/ che sempre più al gelo m’abbandona,/ da sé m’estrania, oppure mi offende/ con la lingua bifida dei serpenti,/ ch’han la turpitudine a nutrimento.» (Pag. 29).

In effetti, la persona di Dante Alighieri, nonostante la grandezza delle opere letterarie da lui scritte e divulgate già in vita, nonostante i suoi sforzi di uomo che per un certo periodo, grazie all’alto grado culturale che possedeva, si dedicò alla politica nell’ambito della sua città – fu Guelfo bianco a favore di una certa indipendenza dalla Chiesa e fu nominato anche Priore nel suo Comune – ebbene, non si può dire sia stato felice almeno per un certo lasso della sua breve vita. Felice nel senso d’appagamento per gli sforzi intellettuali compiuti e forse nemmeno per essersi formato una famiglia, quando sposò la nobile Gemma Donati con la cui famiglia s’era stipulato il contratto dotale quando Dante aveva appena dodici anni nel 1277, e figura femminile per la quale Egli, probabilmente per motivi di riservatezza, preferì non dedicarle alcun verso. «[…] Tre figli nacquero da te e Gemma/ Donati: Jacopo, Pietro e Francesca./ Questa sempre t’amo d’amor filiale,/ e quando volle farsi monacale/ suora, scelse il nome di Beatrice,/ in omaggio alla bella Musa antica/ che nell’animo di Omero, Virgilio/ e tuo, semi sparse di poesia.» (Pag. 35).

Isabella Michela Affinito

Antonio Crecchia: CON IL SOMMO POETA DANTE, Ed.ac.<>2021, Stampato in proprio, Ottobre 2021, pagg. 59.

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