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Misurare il BENESSERE
from Meet Science
by dscuola
I soldi fanno la felicità? È facile rispondere «no» dal calore delle nostre case. Certamente un po’ di denaro permette di gettare le basi per vivere serenamente, ma la soddisfazione per la propria vita si misura anche, e soprattutto, con altro: il tempo, gli affetti, il senso di inclusione... Come definireste, quindi, il benessere? E, secondo voi, sta crescendo?
Benessere vuol dire felicità?
Periodicamente ci imbattiamo in qualche classifica dei «Paesi più felici», che di solito vede ai primi posti alcuni degli Stati del Nord Europa (nel 2022 al primo posto c’era la Finlandia, seguita dalla Danimarca e dall’Islanda). Spesso queste notizie lasciano però il tempo che trovano, perché si basano sul confronto tra i vari Stati e sul livello di benessere socio-economico percepito dai cittadini, e meno su valori come il senso di appartenenza a una comunità, l’avere uno scopo e degli ideali nella vita, sentirsi vitali e impegnati in qualcosa. Certamente un buon livello di benessere economico aumenta la possi- bilità di acquistare beni e servizi necessari o desiderati, ed è una fondamentale base di partenza per quella che definiamo felicità. Ma non è il suo unico ingrediente. E per te, che cos’è la felicità?
Benessere sì… ma sostenibile
Da tempo gli studiosi hanno capito che i parametri considerati per valutare il progresso di una società non possono essere solamente di carattere economico. Per esempio, alcune statistiche economiche dicono che l’Italia si trova nel gruppo dei Paesi più prosperi, ma compare solo al 31° posto (su 146 analizzati) secondo il World Happiness Report (la classifica dei Paesi più felici) del 2022. Come mai?
Nel caso dell’Italia, si è visto che pesano in particolare la percezione della corruzione e la scarsa libertà di compiere scelte di vita (perché il mercato del lavoro poco efficiente e la scarsa trasparenza nei meccanismi di selezione non lo permettono).
Da decenni per misurare il benessere economico ci si basa sul PIL, il prodotto interno lordo, cioè il valore di tutto ciò che produce un Paese (beni e servizi) in un dato periodo di tempo (di solito un anno). Comprende tutte le attività economiche svolte all’interno del Paese (da imprese nazionali o estere) ed esclude beni e servizi prodotti da imprese e lavoratori nazionali all’estero.
Da alcuni anni è stato introdotto un nuovo indice per misurare anche il benessere sociale e ambientale: è il BES, il benessere equo e sostenibile «misurato» attraverso un insieme di indicatori che valuta il progresso di una società non solo dal punto di vista economico, come fa il PIL, ma anche sociale e ambientale. Intende quindi misurare anche la qualità della vita degli abitanti, con una particolare attenzione a come la ricchezza, i servizi, i beni naturali e culturali sono distribuite tra le persone. Dal 2016, agli indicatori e alle analisi sul benessere si affiancano gli indicatori per il monitoraggio degli obiettivi dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile.
Gli indicatori del BES sono 12:
1. salute
2. istruzione e formazione
3. lavoro
4. benessere economico
5. relazioni sociali
6. politica e istituzioni
7. sicurezza
8. benessere soggettivo
9. paesaggio e patrimonio culturale
10. ambiente
11. innovazione, ricerca e creatività
12. qualità dei servizi.
Il PIL, quindi, non basta a misurare l’effettiva condizione dei cittadini di uno Stato, che deve tener conto anche della salute, dell’istruzione, dei livelli di povertà, della fiducia nelle istituzioni, quindi di tutti gli elemen- ti che contribuiscono al nostro benessere, come fa il Better Life Index. Questo indice consente di confrontare il benessere tra i Paesi sulla base di 11 indicatori che l’OCSE ha identificato come essenziali: housing (condizioni abitative), reddito (e sostenibilità finanziaria), lavoro, comunità, istruzione, ambiente, governance (democrazia), salute, soddisfazione di vita, sicurezza, bilancio lavoro-vita.
Povertà e disuguaglianze
Tutti questi aspetti del benessere non possono essere raggiunti nelle realtà e nelle regioni del mondo fortemente toccate dalla povertà. Ancora oggi 1,5 miliardi di persone (quasi un essere umano su 5) vivono con l’equivalente di meno di 1,25 dollari al giorno e probabilmente un altro miliardo vive con meno di 2 dollari al giorno. In alcune regioni del mondo queste cifre bastano forse per mangiare, ma per uscire dalla povertà serve molto altro: istruzione, sanità e altri servizi di base, libertà e possibilità di partecipazione sociale e politica… Con la crescita economica dei Paesi in via di sviluppo la disparità di reddito tra le varie regioni del mondo tende a ridursi, ma non altrettanto si può dire delle disparità interne a ogni singolo Paese. In pratica, anche quando la ricchezza cresce, resta concentrata nelle mani di pochi e le disuguaglianze si fanno più profonde. Invece la crescita dovrebbe essere inclusiva e abbracciare le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale e ambientale