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Una farmacologa a tu per tu con...
from Meet Science
by dscuola
Quando non stiamo bene possiamo quasi sempre essere certi che esista un farmaco che fa al caso nostro. Chi ci assicura che sia così? I ricercatori come Silvia De Francia, farmacologa clinica. L’abbiamo intervistata per conoscere meglio il «dietro le quinte» della ricerca dei farmaci che ci fanno stare bene, e ci ha svelato un particolare interessante su farmaci e differenze di genere.
Di che cosa ti occupi, Silvia?
Insegno Farmacologia generale e speciale e lavoro in ospedale, occupandomi di monitorare l’andamento delle terapie per patologie diverse. Questo lavoro serve a capire se il paziente risponde al trattamento farmacologico. Faccio anche molta ricerca, studiando il modo in cui agiscono i farmaci. Scrivo e pubblico le mie ricerche e mi impegno a comunicarle, attraverso libri e interviste. Il mio ambito di divulgazione è soprattutto la farmacologia sesso e genere specifica, che studia l’impatto delle variabili di sesso e di genere in risposta ai farmaci.
Ci puoi spiegare meglio?
La dieta: alimenti semplici ma ricchi di tutto Tanta frutta, cereali, fagioli, tortillas, uova e raramente carne. A questo si aggiunge acqua di fonte ricca di sali minerali, tra i quali calcio e magnesio. Zuccheri, grassi e cibi raffinati? Quasi del tutto assenti.
Lo stile di vita: positività e leggerezza È difficile incontrare un nicoyano stressato. I ritmi di vita in Costa Rica sono molto rilassati e per ogni cosa ci si concede il «giusto» tempo. Forse anche per questo tanti anziani oltre gli 80 anni preferiscono spostarsi a piedi – anche se si impiega di più –anziché prendere l’auto.
Uomini e donne rispondono in modo differente alle terapie farmacologiche. Al momento, queste differenze non vengono pienamente considerate nella routine di cura, anche se l’uomo e la donna sono molto diversi.
Come siamo arrivati a questo?
La sperimentazione dei farmaci nella fase preclinica (cioè in laboratorio su modelli cellulari e animali) e nella fase clinica (su volontari sani e pazienti) è quasi sempre avvenuta su modelli maschili, perché più semplici da analizzare e studiare. Il modello femminile presenta infatti cicli di vita molto variabili dal punto di vista ormonale: la donna può avere una gravidanza, allattare, entrare in menopausa.
Qual è stata la tua formazione?
Ho frequentato il liceo classico e poi mi sono iscritta al corso di Scienze biologiche all’Università di Torino. Dopo la laurea ho conseguito il Dottorato di ricerca in Medicina e Terapia sperimentale. E, per ultimo, ho frequentato la Scuola di specializzazione in Biochimica clinica.
Come vedi il futuro della sanità?
Ritengo che l’unico approccio per far fronte alle sfide presenti e future sia l’approccio One Health. Deve diventare la base dei futuri modelli sanitari: un fronte comune con cui operare per il benessere di tutti e tutto. Soltanto un progetto sanitario fortemente integrato tra le varie discipline può essere la risposta ai bisogni odierni: i sistemi chiusi non funzionano più.