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Leggende di case e castelli
Ivan Pisoni facebook.com/pisoni.ivan.7
La leggenda della creazione di Casa del Mito
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Siamo nell’antica Tiphernum Mataurense, oggi Sant’Angelo in Vado (Pesaro Urbino), dove un tempo viveva un facoltoso patrizio, commerciante in legname. Il figlio del commerciante, Mennenio, si innamorò segretamente della loro serva celtica, Nicia, che ricambiava il sentimento. I due si vedevano di nascosto dalle rispettive famiglie, specialmente da quella di lui che, naturalmente, era contraria a quell’amore impossibile. Lui ricco, lei serva, lui moro dalla pelle olivastra, lei bionda con occhi azzurri, lui la notte, lei il giorno, praticamente un amore agli antipodi. Ma Mennenio era talmente innamorato che decise di confessare il suo sentimento al padre, che non prese molto bene la notizia. Il figlio, però, era coraggioso e sinceramente innamorato e insieme alla sua amata se ne andò, rinunciando alle ricchezze del padre. Davanti a questa scena gli Dei, per benedire un sincero amore osteggiato, in una sola notte fecero sorgere quella che oggi è conosciuta come la Domus del Mito, una grande casa gentilizia di circa mille metri quadrati. La Domus, tutt’oggi visitabile, è arricchita da bellissimi mosaici, tra i quali uno che raffigura la figura di un giovane (si pensa essere proprio Mennenio) con in mano un tartufo. Infatti, sempre secondo la leggenda, gli Dei, oltre alla Domus, regalarono a Mennenio un tartufo nero e a Nicia un tartufo bianco. Prodotti di gran vanto ai tempi odierni della zona di Sant’Angelo in Vado.
La leggenda di Mordello, il fantasma del castello di Bardi
Nel castello di Bardi (Parma) si consumava in segreto l’amore tra la figlia del castellano, Soleste, e il comandante delle truppe, Moroello. I due innamorati si vedevano di nascosto, persino con l’aiuto della balia della giovane, anche perché quest’ultima era stata promessa in sposa a un feudatario dal padre il cui scopo ero quello di allargare i propri possedimenti. Arrivò un giorno in cui Moroello dovette andare a difendere i confini del feudo e, durante la sua assenza, Soleste iniziò a stare con lo sguardo fisso all’orizzonte, dal punto più alto del mastio, per vedere per prima il ritorno del suo amato. Un giorno vide alcuni cavalieri sulla via del castello ma questi sfoggiavano vessilli nemici. Presa dal panico al pensiero della sconfitta di Moroello e di un probabile assedio, Soleste decise improvvisamente di buttarsi dalla torre, morendo. Ah, tragedia! Se solo avesse aspettato qualche istante avrebbe potuto riconoscere il viso del suo amato che sfoggiava vessilli nemici in segno di spregio e vittoria. Arrivato al castello, Moroello apprese del suicidio della sua innamorata e decise di unirsi a lei, suicidandosi a sua volta. Da allora l’anima del cavaliere vaga per il maniero.
La leggenda del castello di Donnafugata
Era perfido e scaltro, il conte di Modica (Ragusa), quel Bernardo Cabrera che solo a sentir nominare la regina Bianca di Navarra si “scioglieva” e al contempo si adirava! Si dice che il suo fosse amore sincero ma c’è chi pensa a un suo interesse politico verso la vedova del re di Sicilia, reggente. Ma la regina era sfuggente, e scappava di castello in castello, rifiutando le pressioni del conte. Purtroppo questa fuga non durò e il Cabrera riuscì a rinchiudere la nobile in una stanza del suo castello. Seppur molto elegantemente arredata, quella stanza era comunque una prigione e, anche se imprigionata nel lusso, la regina rifiutava ugualmente la corte del conte. Con l’aiuto di alcuni servitori, Bianca riuscì a intrufolarsi nelle gallerie del castello, fino ad arrivare, seminuda e stremata, alla costa. Qui, per sfuggire dalle grinfie del malvagio conte, si gettò in mare. Da
questa disperata “fuga” si deve il nome del castello di “Donnafugata” o “donna fuggita”. Alt, un attimo… C’è qualcosa che non quadra. Prima di tutto, il feudo già si chiamava Donnafugata dall’anno Mille, mentre il conte e la regina vissero circa trecento anni dopo. Poi c’è da dire che il feudo nacque dopo la sconfitta degli arabi, che chiamavano quella zona “Ayn al-Ṣiḥḥat” (Fonte della salute), che in siciliano divenne “Ronnafuata”. Ma c’è un’altra ipotesi in ballo. Ovvero quella legata a un tragico evento avvenuto in epoca antica che vede come protagonista il ritrovamento del cadavere di una donna morta per soffocamento (“donna affucata”, ovvero “donna soffocata”). Quindi? Che lo si debba a una fuga, a una fonte di salute o a un delitto, il nome di questo stupendo castello aggiunge ancor più valore alla spettacolare località che consiglio vivamente di visitare.