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Sul filo della passione
L’identità di un ristorante si valuta anche in base alla qualità delle materie prime che impiega nella preparazione dei suoi piatti. Ne parliamo con Matteo Scibilia, dirigente FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), delegato Confcommercio, docente e chef di lunga esperienza: una conversazione che apre molti orizzonti e risponde a interrogativi cruciali
di Marina Caccialanza
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Incontro Matteo Scibilia nel suo ristorante milanese – Piazza Repubblica – luogo d’incontro per pranzi di lavoro o riunioni familiari, meta ideale per soddisfare il palato di buongustai della cucina tradizionale, davanti a un delizioso piatto di spaghetti con missoltini.
“Domani vado sul lago – esordisce chef Scibilia – a comprare i missoltini, pesciolini secchi della tradizione gastronomica lariana, bruttini a vedersi ma straordinari cucinati. Costano 40 euro al kg, metà si butta via perché puliti di lische e spine il loro peso cala della metà. Poca resa, quindi il costo sale fino a 80 euro al kg ma, se vuoi crearti un’identità nel mondo della cucina, non puoi utilizzare un’anonima acciuga. La logica di questo discorso è che la materia prima di qualità costa, che sia pesce o carne”.
Pugliese di origine ma milanese da 45 anni, Matteo Scibilia è famoso in città (e non solo) per la sua cotoletta di vitello e racconta: “Io sono curioso, vado nella gdo e mi guardo attorno. È interessante perché la gdo ti offre le anticipazioni di mercato, le proiezioni di consumo e le sue modalità. Al supermercato la carne costa meno delle verdure di IV gamma e le fettine di manzo 12 euro al kg. Chiediamoci se si tratta di carne di qualità. Poi domandiamoci perché la mia cotoletta resta alta e morbida. Perché, aldilà del saperla cucinare, resta il fatto che la carne è di qualità”.
Spesso i giovani non si appassionano alla storia del cibo e non si rendono conto che è la passione a fare la differenza. Cucinare non vuol dire assemblare materie prime
Naturalmente non basta, qui si apre una parentesi doverosa sulla capacità di realizzare un piatto secondo i dettami della buona cucina, ma anche secondo l’affinità con tali dettami di chi sta ai fornelli. “Oggi manca la passione – afferma con un pizzico di rammarico Matteo Scibilia - spesso i giovani non si appassionano alla storia del cibo e non si rendono conto che è la passione a fare la differenza. Cucinare non vuol dire assemblare materie prime. Prendiamo l’esempio della coto-
Matteo Scibilia premiato dal presidente della Repubblica Napolitano e dal ministro Lorenzo Ornaghi per meriti culturali sulla difesa della enogastronomia italiana letta: prendi un buon vitello, del buon pangrattato, del buon burro e fai la cotoletta, ma se non sai capire, guardando e annusando, il profumo del burro che cuoce, il colore del pangrattato, se non hai l’arguzia di pungere con uno stuzzicadenti per vedere vicino all’osso se esce sangue o siero e di che colore è il siero che ti dice quando la cotoletta è pronta, insomma, se non hai la passione e l’istinto, puoi fare il cuoco fin che vuoi ma non sarai mai un cuoco”.
Morale: l’esperienza ti è d’aiuto ma se non hai passione anche l’esperienza è sprecata. Il discorso vale anche per altri ambiti. Per esempio, vale se affrontiamo il tema dell’allevamento. Matteo Scibilia spiega il suo punto di vista: “Ci sono tanti allevamenti di valore in Italia, dove il benessere animale sta alla base della qualità delle carni prodotte. Il problema per gli allevatori è che oggi bisogna portare a casa i soldi della fatica. Alleva-
È indispensabile valorizzare e rispettare il ruolo dell’allevamento all’interno di una sistema alimentare che riconosce il merito
Indispensabile puntare su standard di allevamento alti per ottenere un prodotto finale eccellente che avrà un costo elevato ma sarà in grado di provocare un’emozione gastronomica di gusto e sapore impareggiabile tori e agricoltori, spesso e purtroppo, non vedono riconosciuto il costo del loro lavoro. In questo modo subiscono la concorrenza di altri Paesi dove il costo della manodopera è inferiore. È un problema che coinvolge tutto il mondo dell’artigianato in Italia, che avrebbe bisogno di una spinta da parte delle istituzioni perché artigiani, allevatori, agricoltori, vignaioli hanno un ruolo fondamentale nella società: fanno vivere il territorio. Se non diamo agli allevatori una visione a lungo termine, essi si ritrovano senza uno scopo”.
È indispensabile spingere sulla qualità, chef Scibilia non ha dubbi, valorizzare e rispettare il ruolo dell’allevamento all’interno di un sistema alimentare che riconosce il merito e offre al consumatore il meglio che ha. D’altro canto, il consumatore deve essere istruito e acculturato sul tema affinché possa riconoscere la qualità del lavoro di chi produce, di chi lavora il prodotto – il cuoco – e si convinca che tutto ciò è a suo vantaggio, a vantaggio della sua salute: “Carne di buona qualità una volta alla settimana, per il bene di tutti.
Il consumismo sfrenato ha mortificato la qualità – afferma Scibilia”.
Indispensabile, dunque, puntare su standard di allevamento alti, per ottenere un prodotto finale altrettanto eccellente che, naturalmente, avrà un costo elevato ma, allo stesso tempo, sarà in grado di provocare un’emozione gastronomica di gusto e sapore impareggiabile. Un metodo che può –già lo sta facendo – provocare un effetto domino su molte filiere di allevamento bovino sia in Italia sia in altri Paesi europei, migliorando i metodi di produzione e generando carni di qualità. L’allevamento dei vitelli, per esempio, in Italia non è praticato perché troppo oneroso, malgrado noi italiani e i francesi siamo quasi gli unici a utilizzare il vitello in cucina. Olanda e Danimarca sono i Paesi dove la cultura del vitello è radicata: non lo cucinano e allora lo allevano, quasi esclusivamente per noi.
A questo proposito Matteo Scibilia porta l’esempio di Peter’s Farm e racconta: “Un allevatore olandese di vitelli, Peter’s Farm, diventò famoso perché faceva giocare i vitellini con i giocattoli, a riprova che l’attenzione al benessere animale influisce sulla sua carne. Oggi, secondo me, le migliori cotolette alla milanese sono realizzate con le sue carni. Una buona carne non deve essere magra, ma grassa e, soprattutto, ben frollata. L’infiltrazione del grasso nelle fibre muscolari deve essere accentuata, non solo esternamente, segno che l’animale ha vissuto allo stato brado. È con questo spirito e con questo progetto che oggi sono disponibili nuove carni, allevate in territori precisi, con biodiversità spiccate”.
Un altro esempio illuminante, secondo chef Matteo Scibilia, è la Vicciola di Pino Puglisi: “L’ho utilizzata e la considero ottima. Cruda è fantastica, la migliore. Certo, le nocciole costano, e gli animali ne mangiano a quintali. È ovvio che sia molto costosa, è certamente un prodotto d’élite. Del resto Puglisi la fornisce in taglio pulito, è carne supercontrollata, indubbiamente di livello superiore”.
Il taglio pulito, ecco che sorge un altro problema che coinvolge gli operatori della ristorazione e influisce su costi e resa.
Spiega Scibilia: “Oggi abbiamo un grave problema nei ristoranti, tutti quanti: la carenza di personale qualificato. Facciamo un esempio: compro la carne, un carré di 10 kg, lo pago 13 euro al kg e lo pulisco e lo disosso. Se sono capace di farlo va tutto bene – il carré ha la fascia, il grasso e poi si ricava il nodino, bisogna staccare la spina dorsale e se non disponi di una sega elettrica non ce la fai - ma se affido il compito a un giovane inesperto come minimo si taglia col coltello e non esegue il lavoro; poi ci sono gli scarti, il 50% circa. Per non parlare del tempo necessario per eseguire il lavoro. Le aziende specializzate da anni forniscono il carré scalzato; è evidente che il prezzo da 13 arriva a 27 euro ma se analizzo il food cost mi conviene così. Non devo fare altro che tagliare la fetta e la mia cotoletta in pochi minuti è pronta”.
Abbiamo bisogno di aziende e professionisti che forniscano ai cuochi e ristoratori dei semilavorati di qualità
Facciamo innamorare i giovani del mestiere che hanno scelto: allevatori, macellai, cuochi, casari, produttori di vino o di olio
Eh sì, la cucina è cambiata. Nel bene o nel male, oggi, abbiamo bisogno di aziende e professionisti che forniscano ai cuochi e ristoratori dei semilavorati di qualità, che sia pesce sfilettato, polpo precotto o carne pronta da cucinare. È doveroso a questo punto un’osservazione sullo stato dell’arte della formazione dei giovani. “Non serve – afferma con decisione Matteo Scibilia –che le scuole sfornino migliaia di cuochi mediocri. Sarebbe meglio istruire figure professionali specifiche, come i macellai, per affiancare i cuochi e formare una squadra efficiente. Facciamo innamorare i giovani del mestiere che hanno scelto: allevatori, macellai, cuochi, casari, produttori di vino o di olio. È una nostra responsabilità ma è sempre più difficile. Oggi i giovani hanno altre priorità, dettate dalla società, dai riflettori mediatici; fare il cuoco è un lavoro impegnativo, non è difficile o faticoso, perché la tecnologia ci aiuta, basta saper gestire le ore di servizio, le festività, con buon senso e volontà. Ma la passione non può mancare, è quella passione che ha animato generazioni di ristoratori, quella forza e tradizione familiare che abbiamo, spesso, dimenticato in nome di un’effimera popolarità, perché fare il cuoco non vuol dire fare il ristoratore. Stiamo vivendo una crisi di identità, la stiamo perdendo: dobbiamo riappropriarcene”.
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