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VI Corso di formazione FARE

VI Corso di Alta Formazione 2019/20 per Funzionari e Dirigenti in Sanità

Area Provveditorato - Economato - Patrimonio - Stazioni Appaltanti

Tutor: Calogero Calandra

“Gli affidamenti diretti per l’acquisto di beni e servizi”

Michele Bachechi – Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi - Firenze Nicola Bregolin – ULSS 5 Polesana Valerio Cagnazzo – ASST Lecco Erica Cosio – ASL CN 1 Annalisa Damele – E.O. Ospedali Galliera di Genova Paola Galliano – ASL Città di Torino Valerio Giuseppe Lauricella – ASL Vercelli Roberto Polli – Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico Maria Raiteri – A.O.U. Maggiore della Carità di Novara

Gli acquisti diretti di importo inferiore ai 75.000€ sono veramente diretti nel senso proprio del termine? In effetti trattasi di affidamenti che si pongono al di fuori dell’obbligo tassativo del rispetto delle norme che il Codice dei contratti pubblici riserva alle procedure ordinarie di acquisto e si differenziano dalle procedure formali di gara per la mancanza dell’uso degli ordinari criteri di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa e del massimo ribasso. Occorre tuttavia che la procedura di affidamento diretto avvenga nel rispetto dei principi generali del Codice ed in particolare dei principi di trasparenza, imparzialità e motivazione delle scelte effettuate (artt. 30 e 32 del codice dei contratti). Il D.L. n. 76/2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 120/2020 ha introdotto rilevanti novità nel sistema di gestione degli acquisti sottosoglia imponendo, seppure in via transitoria per oltre un anno (dal 17.07.2020 al 31.12.2021), una deroga all’assetto delineato dall’art. 36, comma 2 del d.lgs. n. 50/2016. In particolare, il decreto, così come modificato in sede di conversione in legge, dispone che le stazioni appaltanti procedono all’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture, nonché dei servizi di ingegneria e architettura (inclusa l’attività di progettazione) mediante affidamento diretto per importi inferiori a € 75.000 e tramite procedura negoziata senza bando ex art. 63 del d.lgs. n. 50/2016 per assegnazioni di importo pari o superiore a € 75.000 e fino alle soglie comunitarie. Il tutto, come si è anticipato, “in deroga all’art. 36, comma 2 del d.lgs. n. 50/2016” (così gli artt. 1, comma 1 e 2, comma 1 del d.l.). In virtù della riforma in questione si passa, quindi, da un range di quattro modalità procedurali fino ad ora esperibili nel sottosoglia (affidamento diretto, affidamento diretto previa consultazione del mercato, procedura negoziata senza pubblicazione del bando e procedura aperta) ad uno ristretto di due (affidamento diretto e procedura negoziata senza pubblicazione del bando). Si può sostenere che la novella deroga temporaneamente alle best practices della linea guida ANAC n. 4, che in virtù del principio di trasparenza suggerisce anche per gli affidamenti diretti sottosoglia (40.000€) 75.000€ il confronto tra più preventivi ed il reperimento di questi mediante la pubblicazione di un avviso od il ricorso ad albi interni? L’indagine scientifica condotta per rilevare le metodologie utilizzate dalle Aziende Sanitarie con riguardo agli affidamenti sotto soglia 40.000€ (prima dell’uscita del D.L. 76) ed alla quale hanno partecipato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanissetta, l’ A.S.L. Città di Torino, l’A.S.L. To4, l’ASST Valle Olona, l’ATS della Montagna di Sondrio, l’ ULSS 5 Polesana, l’A.O.U. Careggi di Firenze, l’E.O. Ospedali Galliera di Genova, ESTAR toscana e SCR Piemonte S.p.A., ha fornito il seguente risultato:

La ricerca dimostra, in estrema sintesi, che il ricorso alle procedure più garantiste della trasparenza ed imparzialità, rappresentate a nostro avviso dalla consultazione aperta, dall’avviso esplorativo di manifestazione di interesse e dalla consultazione di albi o liste interne, rappresenta quasi il 27% del campione. In tale percentuale sono stati ricompresi anche gli acquisti di prodotti infungibili o esclusivi preceduti da una indagine di mercato. Colpisce invece l’alto utilizzo del ricorso all’affidamento diretto “autorizzato” da regolamento interno e per infungibilità e/o privativa industriale non preceduta da indagine di mercato, superiore al 51% circa del campione. I concetti di infungibilità ed esclusività da privativa industriale non sono sinonimi, come ha bene spiegato ANAC con Le Linee Guida n. 8/2017 ed in entrambi i casi si verifica un restringimento della concorrenza. L’esistenza di un diritto esclusivo non implica necessariamente che il bisogno del contraente non possa essere

soddisfatto in modo adeguato anche ricorrendo ad altri prodotti o processi. La Stazione appaltante non si può accontentare delle dichiarazioni presentate dal fornitore ma deve effettuare delle consultazioni di mercato che consentano di superare eventuali distorsioni informative. In conclusione, gli scenari ipotizzabili sono due. Si potrebbe decidere, in ogni caso, di continuare a dare applicazione alle Linee Guida Anac (n. 4 per gli affidamenti sottosoglia in generale e n. 8 per gli affidamenti infungibili ed esclusivi) le quali, se è ben vero che non sono vincolanti, è altrettanto vero che rappresentano tuttora atti di regolazione efficaci ai sensi dell’art. 213 del d.lgs. n. 50/2016, non derogato dal D.L. semplificazioni. La soluzione, finalizzata a mantenere una minima garanzia concorrenziale, sconta, tuttavia, un limite assai rilevante, ossia il rischio di non riuscire a rispettare le tempistiche imposte dall’art. 1, comma 1 del D.L. n. 76/2020 per la conclusione delle procedure di affidamento. In alternativa, residua soltanto un’applicazione rigorosa del D.L. n. 76/2020, con la conseguenza che il 100% degli acquisiti di beni e servizi che verranno esperiti fino al 31.12.2021 dovranno essere effettuati esclusivamente mediante affidamenti diretti, con le evidenti ricadute in termini di riduzione dell’assetto concorrenziale e, conseguentemente, anche dell’economicità degli acquisiti stessi. È evidente che sussiste una forte contrapposizione tra legittimità e opportunità, cioè tra l’essere legittimati dalla norma a compiere affidamenti diretti e l’opportunità di rispettare i principi generali di trasparenza ed imparzialità. All’interno di questo contrasto deve sapersi abilmente destreggiare il RUP, il quale ha comunque l’obbligo di motivare gli affidamenti e di esplicitare le ragioni della scelta del fornitore ai sensi dell’art. 32 del Codice dei contratti pubblici. Particolarmente interessante è l’esperienza fatta dalla Regione Lombardia che, all’interno della D.G.R. n. 491 del 02.08.2018 ha fornito le indicazioni circa le modalità operative da seguire nei casi in cui le stazioni appaltanti della regione debbano provvedere all’acquisizione di beni e servizi infungibili e in regime di esclusività. La procedura di affidamento passa attraverso vari livelli di controllo, compreso il vaglio da parte di una commissione tecnica chiamata ad esprimere un parere valutativo. In ultima analisi sono previste ulteriori verifiche quali indagini di mercato, operazioni di confronto con altre aziende del Sistema Regionale, consultazioni della reportistica ministeriale in NSIS e Data Warehouse regionale, al fine di accertare la sussistenza delle caratteristiche di infungibilità ed esclusività dei beni e servizi richiesti.

Tutor: Patrizia Malerba

Il D.l.gs 231/2001 e Legge 190/2012: due modelli a confronto e la loro possibile integrazione.

Il conflitto di interessi alla luce dell’Allegato 1 al PNA 2019 e come misura di trattamento del rischio corruttivo nelle procedure di gara. La disciplina del conflitto di interessi in tre realtà sanitarie diverse: ESTAR, ASL TO3, CNAO

Corsini Francesca - ESTAR - Toscana De Negri Carolina - Fondazione CNAO Pavia Fiorillo Stefania - Asl Torino 3 Piemonte Laparola Alessia – ESTAR - Toscana Lomascolo Leonardo - ESTAR - Toscana Ragonesi Daria - ESTAR - Toscana

Benché distanti nel tempo di oltre dieci anni e strutturalmente diversi nell’impianto applicativo, il D.lgs. 231/2001, «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica» e la Legge 190/2012 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione» rappresentano due momenti di uno stesso percorso: quello della lotta contro la corruzione. A conclusione dell’analisi condotta risulta chiaro che, attraverso le due normative esaminate, il legislatore abbia preso in considerazione profili, talvolta, molto differenti, tra i quali, ad esempio: a) un diverso ‘‘perimetro’’ oggettivo. Mentre la Legge n. 190/2012 colpisce ‘‘corruzione’’ e ‘‘illegalità’’, il D.Lgs. n. 231/2001, invece, aggredisce una pluralità di condotte ben distinte, tra cui solo qualcuna riconducibile alla corruzione; b) soggetti differenti da ‘‘colpire’’. Anche per ciò che riguarda il quadro dei soggetti da sanzionare, il target principale è differente: nel caso della disciplina del 2001 sono le entità collettive, nel caso della legge anticorruzione pubblica sono, pur sempre, persone fisiche; c) un non confrontabile sistema sanzionatorio. Il D.Lgs. n. 231/2001 sceglie una via sanzionatoria originale, mentre la Legge n. 190/2012 adotta il ‘‘metodo’’ tradizionale, pur parzialmente innovato. Il legislatore ha, invece, operato in modo analogo all’intero delle due norme quando ha inteso: reprimere determinati fenomeni ritenuti negativi; sistematizzare le responsabilità derivanti dalle condotte illecite; andare oltre la ‘‘risposta’’ puramente penale che comunque resta, nelle due leggi, vitale e essenziale; richiedere cambiamento organizzativo-comportamentale all’interno della singola Organizzazione (da un lato con il Modello organizzativo e di gestione, dall’altro con il Piano anticorruzione). È possibile, allora, sostenere che il legislatore abbia mirato, al di là degli aspetti di diversità operativa, a un omologo obiettivo meta-giuridico: salvaguardare ‘‘l’integrità della singola Organizzazione’’, intendendo per tale il preservare (o il ripristinare) il suo essere integerrimo, la sua essenza rispondente alle leggi lato sensu (di varia fonte e di varia natura, non quindi direttamente derivanti dal diritto), che ad essa s’indirizzano e che, in tutto o in parte, la disciplinano. Ciò viene perseguito, nelle due leggi analizzate, anche e soprattutto favorendo la crescita di ‘‘anticorpi’’ organizzativi e richiedendo, alla singola realtà, l’adozione e l’effettiva attuazione di sofisticata e similare strumentazione giuridico-organizzativa. Cosı` operando il legislatore, sia della Legge n. 190/2012 sia del D.Lgs. n. 231/2001, prende atto, altresì, che monitoraggio, analisi e lotta svolti ‘‘dall’alto’’ (Stato) nei confronti degli illeciti dell’Organizzazione, non sono più esaustivamente efficaci al suddetto scopo e che occorre ‘‘coinvolgere’’ la singola struttura organizzativa (con auto-valutazione dei rischi, con proprio Codice di condotta, con autoctona definizione di un programma di prevenzione, con procedure interne, con un soggetto ad hoc, al suo interno, che si ponga al centro del sistema di prevenzione dell’Organizzazione). In ultima analisi, il cambiamento normativo espresso da quelle discipline rappresenta, per tante organizzazioni pubbliche e private divorate dalle ‘‘mala amministrazione’’, non solo il ‘‘dover essere’’, ma una straordinaria opportunità per rinvigorire la loro ‘‘salute organizzativa’’. La norma UNI ISO 37001:2016 (basata sulla preesistente norma inglese BS 10500:2011 – Anti-Bribery Management System - Sistemi di gestione per la prevenzione della corruzione) il cui ambito di applicazione è, in linea di massima, sovrappo-

nibile a quanto previsto in Italia, in tema di corruzione, dal D. Lgs 231/2001 per il settore privato e dalla Legge 190/2012 per il settore pubblico, specifica requisiti e fornisce una guida per stabilire, mettere in atto, mantenere, aggiornare e migliorare un sistema di gestione per la prevenzione della corruzione, attiva e passiva, con riferimento ad una pluralità di situazioni elencate nella norma stessa: corruzione nei settori pubblico, privato e no-profit; corruzione da parte dell’organizzazione; corruzione da parte del personale dell’organizzazione che opera per conto dell’organizzazione o a beneficio di essa; corruzione da parte dei soci in affari dell’organizzazione che operano per conto dell’organizzazione o a beneficio di essa; corruzione dell’organizzazione; corruzione del personale dell’organizzazione in relazione alle attività dell’organizzazione; corruzione dei soci in affari dell’organizzazione in relazione alle attività dell’organizzazione; corruzione diretta e indiretta (per esempio una tangente offerta o accettata tramite o da una parte terza). Si tratta, quindi, di una norma certificabile (come quelle relative ai sistemi gestionali per qualità, ambiente, sicurezza, …) e l’ente unico nazionale, Accredia, al 28 febbraio 2018 ha rilasciato 10 accreditamenti per questo schema (denominato ABMS), con oltre 30 imprese italiane già certificate, fra le quali alcuni grandi contractors del settore delle costruzioni. Il modello integrato di Estar La natura di ente pubblico, per Estar, implica e determina l’implementazione obbligatoria del modello di prevenzione del rischio corruzione fissato dalla Legge 190/2012 che impone la strutturazione di un sistema di Risk Management, l’adozione del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (PTPC) e la nomina di un Responsabile della prevenzione della corruzione. Le dimensioni operative di Estar come Ente di Servizio Regionale hanno reso opportuna, l’estensione di tale modello anche ad ipotesi di rischio di commissione di reati diversi da quelli a matrice corruttiva, ma non per questo meno insidiosi. Il Modello Integrato di Estar (M.I.O.) consente di approcciare la logica di gestione del rischio non solo nella dimensione istituzionale pubblicistica (matrice Istituzionale e Corruttiva del rischio) ma di apprezzare, secondo una fondamentale logica di processo, anche i profili operativi e funzionali propri dei servizi che Estar svolge in favore del Servizio Sanitario Regionale (matrice Operativa e funzionale del rischio). Pur non considerando applicabile il D. Lgs. 231/01 agli enti come Estar, si è ritenuto opportuno mutuarne il contenuto per introdurre, in tale contesto, la sperimentazione del suddetto regime a livello cautelativo non unicamente per la prevenzione degli eventuali illeciti ma quale ulteriore garanzia della migliore organizzazione e trasparenza dell’operato. In tale ambito, Estar ha ritenuto di individuare le aree meritevoli di analisi in quelle funzioni tecnico amministrative trasferite con la LR 40/2005 che costituiscono la sua dimensione operativa. Anche il sistema sanzionatorio del modello 231 è stato completamente rivisto e mediato risultando completamente nuovo rispetto alla originaria formulazione normativa. Nella predisposizione del M.I.O., Estar ha tenuto conto del proprio assetto organizzativo e del sistema di controllo interno che deve essere tale da garantire il raggiungimento di obiettivi operativi, di informazione e di conformità. Il modello è stato approvato con delibera n. 445 del 24/11/2015. L’Ente nel corso del 2015 ha messo in atto una serie di attività necessarie alla costruzione di tale modello il cui percorso funzionale può essere riassunto nelle seguenti fasi: • costituzione del Gruppo di lavoro, composto dai dirigenti di struttura che, coadiuvati da un consulente scelto sulla base di un contratto di regione Toscana, ha condotto una serie di analisi interne ed interviste per giungere alla mappatura dei macro processi interni (Assesment Organizzativo) • analisi dei rischi (Control & Risk Self Assessment e gap Analysis); • definizione del Modello Integrato Prerequisito alla strutturazione del Modello organizzativo per Estar è stato il disegno e la definizione degli strumenti operativi oltre alla progettazione e definizione di un sistema di flussi informativi. L’approccio metodologico di Estar si è ispirato ai suggerimenti ed ai chiarimenti dell’Anac in ordine alle misure coordinate da implementare negli enti controllati e/o partecipati dalle PA al fine di realizzare un sistema integrato di prevenzione (190/231). Il modello deve tuttavia tener conto del fatto che l’ambito di applicazione delle due normative non coincide del tutto e, nonostante l’analogia di fondo dei due sistemi, finalizzati entrambi a prevenire la commissione di reati, gli stessi mantengono differenze significative, non solo in relazione al perimetro degli illeciti rilevanti ma anche in relazione al sistema di vigilanza e controllo (RPCT e OdV). I principali passaggi operativi che Estar dovrà adottare ai fini dell’aggiornamento del M.I.O. sono: esame della struttura organizzativa e del business dell’Ente ed individuazione delle funzioni rilevanti - analisi delle aree di attività e dei processi rilevanti soprattutto in relazione ai nuovi reati introdotti nel catalogo 231 e verifica della loro inerenza e significatività con riferimento alla tipologia dell’Ente ed all’attività svolta - mappatura dei rischi 231. Le novita’ introdotte dall’ allegato 1 alla delibera Anac n. 1064/2019 “Indicazioni metodologiche per la gestione dei rischi corruttivi”- L’esperienza di Estar Estar ha modificato le indicazioni previste nell’Allegato 1 del PNA, aggiornandole e rettificandole con le principali metodologie sviluppatesi in letteratura ed applicate ai processi di gestione del rischio clinico (RCA, FMEA, FMECA). Con il nuovo PNA 2019 Anac tenta di fornire la “summa” di anni di esperienza nel settore della prevenzione della corruzione e conseguentemente traccia dei percorsi per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo

da parte delle Pubbliche Amministrazioni. In questa ottica si sottolinea lo sforzo fatto da Anac di adottare, già dall’estate 2019, un’apposita piattaforma informatica per la lettura e l’analisi dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione delle amministrazioni tenute a recepire nei loro Piani anticorruzione le indicazioni contenute nel PNA. In Estar, grazie ad una lungimirante vision dell’organo di indirizzo politico, il RPCT governa sia una UOC Audit e Compliance che una UOS Risk Management e, nonostante ciò, la diffusione di una cultura di prevenzione del rischio viene letta spesso dagli altri “attori” (dirigenti-dipendenti-strutture etc) come un appesantimento della normale attività giornaliera, senza cogliere invece la grande opportunità di miglioramento quali/quantitativo continuo e ciclico dell’organizzazione e degli atti. La vera novità dell’allegato 1 al PNA 2019, di contro, consiste nel passaggio, in relazione alla sub fase di analisi del rischio, da un metodo quantitativo ad un valore qualitativo. Nella gestione pratica di tale passaggio risulta evidente come i ragionamenti di fondo per la verifica del rischio siano profondamente diversi. Nell’esperienza di Estar, come probabilmente nella quasi totalità delle amministrazioni, si è utilizzato fino ad oggi l’Allegato 5 del vecchio PNA 2013 mediato e corretto. Negli anni, quindi, è stato elaborato un sistema per la valutazione dei rischi utilizzando la classica ponderazione tra valori di probabilità e impatto dell’evento a cui si è collegato un rating di rischiosità correlato al singolo processo espresso in termini di rischio “basso”, “medio” o “alto”. La metodologia utilizzata per la matrice di rischio inerente è stata elaborata in base alla best practice nazionale ed internazionale vigente allineata con il documento Enterprise Risk Management - Integrated Framework pubblicato dal CoSO nel 2004 secondo il quale “i rischi sono analizzati determinando la probabilità che si verifichino in futuro ed il loro impatto al fine di stabilire come devono essere gestiti. I rischi sono valutati in termini di rischio inerente (rischio in assenza di interventi) e di rischio residuo (rischio residuo post intervento per ridurlo)”. Il superamento dell’Allegato 5 PNA 2013 viene anche giustificato nell’Allegato 1 al PNA 2019 come risultato dall’analisi fatta da Anac negli anni sui vari PTPCT pubblicati che, di fatto, sottostimavano il rischio con tutte le conseguenze del caso (inefficacia delle misure - risultati di facciata e non sostanziali etc). Quindi, in definitiva, secondo Anac, questo cambio di approccio dovrebbe riportare il sistema a una valorizzazione del rischio a valori più coerenti rispetto all’analisi.

Metodo Qualitativo - Corredo di indicatori giudizio sintetico motivazione

Ma come si arriva a formulare un giudizio sintetico? Su questo argomento si riporta l’ esperienza di Estar sperando possa essere di aiuto a chi si è trovato a dover trasformare in corsa tutte le attività soggette ad un controllo di prevenzione del rischio. Di fatto, in partenza e per semplificare il primo approccio, Estar ha scelto una linea di continuità con la precedente metodologia chiedendo l’aiuto di tutti gli attori che negli anni hanno contribuito a costruire i vari PTPCT. E’ stata fatta una comparazione tra l’attuale ed il futuribile cogliendo le parti che potevano e dovevano essere salvate nella logica della continuità. Il secondo step è stato quello di trovare una serie di indicatori che potesse fare al caso dell’Ente. Ovviamente la rosa degli indicatori ha avuto una gestione molto complicata perché, come facilmente comprensibile, non tutti gli indicatori ipotizzati si adattavano alla perfezione al processo che si andava ad analizzare. Sono stati quindi proposti ai referenti delle strutture interessate i 10 indicatori ritenuti adeguati ai processi, già selezionati nell’attuale PTPC: 1) discrezionalita’2) rilevanza economica 3) tracciabilita’ 4) controlli 5) concentrazione di potere 6) precedenti negativi 7) livello regolazione 8) impatto economico 9) impatto reputazionale 10) impatto organizzativo. La condivisione di questo sforzo e la reale necessità di cogliere l’obiettivo con tutti gli attori è stata probabilmente l’arma vincente di questo lavoro in comune. Riassumendo sinteticamente i vari step obbligatori indicati dall’ Allegato 1 ricordiamo: risk assessment ovvero identificazione degli eventi rischiosi, individuazione dei comportamenti o fatti che possono accadere durante l’attività dei processi dell’amministrazione (mala administration); • risk analysis per individuare i fattori abilitanti dei fenomeni corruttivi e valutarne le priorità; ponderazione dei rischi ovvero “agevolare sulla base degli esiti dell’analisi del rischio i processi decisionali riguardo a quali rischi necessitano un trattamento e le priorità di attuazione” (UNI ISO 31000:2010 Gestione del rischio); • trattamento del rischio (risk treatment), ovvero l’identificazione e la programmazione delle misure di prevenzione dei rischi; • monitoraggio e riesame ovvero la fase fondamentale per la verifica dell’attuazione e l’adeguatezza delle misure di prevenzione. Preme sottolineare, come ultima notazione ma non per questo meno importante, la raccomandazione da parte di Anac di una reale ed esplicita correlazione con i piani delle performance (collegando gli obiettivi anti-

corruzione e trasparenza con gli obiettivi di performance) Il tutto con il duplice scopo di prevenzione della corruzione da parte delle amministrazioni e di stimolo, anche economico, per coloro i quali sono tenuti al raggiungimento di determinate performance. La mappatura e i fattori abilitanti corruttivi in una procedura di gara Significativo dello stretto collegamento del fenomeno della corruzione con il settore dei contratti pubblici è il comma 16 dell’art. 1 della Legge 190/2012, che indica tra le aree di rischio che una Pubblica Amministrazione deve monitorare per assicurare il livello essenziale delle prestazioni concernenti diritti sociali e civili ai sensi dell’art. 117 secondo comma, lettera m), della Costituzione, quella riferita alla “scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Anac, nella Relazione annua 2019 del 02/07/2020, ha individuato tra le principali circostanze che determinano delle illegittimità gravi e ripetute in materia appalti che potrebbero essere assunte come indicatori di ricorrenza del fenomeno: affidamenti diretti ove non consentito; abuso della procedura di somma urgenza; gare mandate deserte; ribassi anomali; bandi con requisiti funzionali all’assegnazione pilotata; presentazione di offerte plurime riconducibili a un unico centro di interesse; inerzia prolungata nel bandire le gare al fine di prorogare ripetutamente i contratti ormai scaduti (in particolare nel settore dello smaltimento rifiuti); assenza di controlli La mappatura dei processi è un requisito indispensabile per la formulazione di adeguate misure di prevenzione e incide sulla qualità complessiva della gestione del rischio. Ciò è stato ribadito da Anac nell’Allegato 1 al PNA 2019 : devono essere mappate le singole attività e non i singoli procedimenti amministrativi, affinchè l’intera procedura di gara venga capillarmente processata e analizzata ai fini dell’individuazione di ambiti esposti a rischi corruttivi. In ossequio a tale adempimento e compatibilmente alle disposizioni di cui all’art. 32 del Codice Appalti “Fasi delle procedure di affidamento”, la mappatura dei processi dovrà essere realizzata nell’ambito delle seguenti fasi: Programmazione – Progettazione – Affidamento - Esecuzione del contratto. Il “comportamento corruttivo” monitorato dal legislatore comunitario e nazionale ha un’accezione molto più ampia di quella con valore strettamente giuridico di violazione di una norma penale: si verifica corruzione ogni qual volta, a prescindere dal rilievo penale, vi è un cattivo uso del potere, cattiva gestione, inefficentismo dell’attività ammnistrativa: fondamentale è l’individuare delle “circostanze favorevoli” dei fattori abilitanti che permettono il verificarsi di questi eventi di mala administration. L’analisi dei fattori abilitanti è stata affrontata dal Robert Klitgaard nella sua formula economica C = M + D + S –R (Corruzione = Monopolio + Discrezionalità + Segretezza – Responsabilità ) risulta essere un approccio efficace nel comprendere il meccanismo di come in presenza di determinate circostanze l’attività amministrativa possa essere alterata e “opacizzata” dal prevale di interessi privati a danno dell’interesse pubblico ledendo i principi fondanti del nostro ordinamento quali l’imparzialità e il buon andamento (art. 97 della Cost.). Monopolio significa mancanza/carenza/poca trasparenza di una regolamentazione dei processi operativi non formalizzati in procedure; poteri decisionali, capacità, competenze e conoscenze concentrati su di pochi e sempre gli stessi; assenza di un sistema a più livelli di autorizzazione; manca o non sia rispettato un piano di rotazione del personale per i settori a rischio; manca o è carente la formazione al personale. Discrezionalità significa mancanza di una gestione delle situazioni conflittuali anche potenziali (conflitto di interessi); la discrezionalità esonda dai confini puramente amministrativi o tecnici e si crea una sfera di “arbitrio” in capo al Responsabile del processo. La non responsabilità si verifica quando il soggetto non è tenuto a rendicontare il suo operato ritenendosi svincolato dal conseguente risultato. La segretezza costituisce un fattore abilitante trasversale a tutti gli altri, per il quale il legislatore, preso atto dei danni provocati dalla corruzione, ha implementato un sistema di “amministrazione trasparente” elevando la trasparenza a livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’art. 117, secondo comma lettera m) della Costituzione Conflitto di interessi: tre realta’ sanitarie a confronto (Asl to3 – Estar – Fondazione Cnao) L’ASL TO3 (Azienda Sanitaria Locale TO3, Collegno-Torino) disciplina il conflitto d’interessi in due fondamentali documenti: il Codice di Comportamento e il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione 2020-2022. Il Codice di Comportamento aziendale integra e specifica il Codice di Comportamento dei dipendenti delle PP.AA approvato con D.P.R. 62/2013 ed è parte integrante del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione. Il conflitto di interessi è disciplinato, nel codice aziendale, dall’art.6 (Comunicazione degli interessi finanziari e conflitti di interesse) che riprende l’art.6 del DPR 62/2013, dall’art.7 (Obbligo di astensione), che riprende l’art. 7 del DPR 62/2013 e infine, dall’art 13 (Disposizioni particolari per i Dirigenti). Nel Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione 2020-2022 l’astensione in caso di conflitto d’interessi è identificata quale una delle misure generali per la riduzione del rischio corruttivo. La disciplina è quella prevista all’art.7 del Codice di Comportamento. La violazione della norma, che si concretizza con il compimento di un atto illegittimo, dà luogo a responsabilità disciplinare del dipendente. Nel Piano è stato inoltre previsto il modello da contestualizzare a seconda dei processi gestiti da ciascuna struttura aziendale. In merito al conflitto di interessi una particolare misura di prevenzione, contenuta nel Piano in oggetto, è la Dichiarazione pubblica di interesse. Sul sito dell’A-

genas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) è stata resa disponibile una dichiarazione standard come modello di riferimento. In Estar (Ente di supporto tecnico-amministrativo della Regione Toscana) la disciplina del conflitto di interessi è contenuta nel “Documento Strategico per la gestione dei conflitti di interesse” (Allegato n°5 al PTCP 2020-2022), nel “Codice etico e di comportamento”, Allegato 10 al PTCP 2020-2022. La disciplina contenuta nel “Documento strategico gestione conflitti di interesse” è rivolta ai dirigenti e al personale che si trova a gestire delicati processi che comportano attività di giudizio e valutazione in cui più facilmente possono sorgere situazioni di conflitto d’interessi. La disciplina è rivolta principalmente all’ambito degli appalti pubblici, una delle principali funzioni di Estar, ma la medesima racchiude comunque principi più generali e completa le previsioni del Codice etico. L’approccio di Estar alla prevenzione, individuazione e gestione dei conflitti di interesse è multidimensionale e multidisciplinare. Estar definisce “ogni comportamento opportunistico finalizzato al perseguimento di vantaggi personali (diretti o indiretti) che violi uno degli interessi primari di Estar genera conflitto di interessi”. I principali strumenti per prevenire l’insorgere di tali situazioni sono: 1) la responsabilizzazione : la prima misura di responsabilizzazione del singolo (misure di accountability) è la formulazione di dichiarazioni mirate alla singola attività; 2) l’informazione (una adeguata e mirata azione divulgativa e formativa sui conflitti d’interesse - misura di persuasione). Al momento della compilazione e sottoscrizione delle dichiarazioni di assenza del conflitto di interessi viene consegnato il Vademecum (che racchiude: la politica di Estar, il codice Etico, le conseguenze della mancata comunicazione di un conflitto di interessi, la procedura da seguire nel caso si verifichi un cambiamento della situazione, i requisiti di legge di eventuali normative). Nel Codice Etico e di Comportamento, Estar (all’art.6) identifica le proprie politiche di gestione preventiva delle situazioni di conflitto di interessi sia per il proprio personale che per chi si trovi a collaborare con l’Ente, attraverso 1) diffusione della cultura della integrità ed utilizzo della formazione come strumento operativo per la promozione dei principi di imparzialità 2) utilizzo di strumenti di persuasione ed autocontrollo delle potenziali situazioni di conflitto (ad es. l’utilizzo di vademecum); 3) responsabilizzazione dei singoli operatori e utilizzo delle dichiarazioni circa l’assenza o meno di situazioni di conflitto. La Fondazione CNAO, Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica, con sede a Pavia, è un Ente di diritto privato con controllo pubblico. I documenti in cui è contenuta la disciplina del conflitto di interessi sono: il Piano Triennale per la prevenzione della Corruzione e per la Trasparenza 2017/2019, il Codice etico, il Modello Organizzativo di Gestione e Controllo (MOC), di cui è parte integrante il Codice Etico. Nel PTPCT, all’art.6 (Principi di comportamento) si rimanda ai principi procedurali e comportamentali descritti nel MOC Allegato A (Reati contro la P.A.) e nel MOC Allegato C (Reati Societari). Nello specifico la gestione del conflitto di interessi è affrontata nella parte relativa ai principi procedurali specifici collegati al Pianto Anticorruzione. Premesso che l’indice di rischio (IR) è dato da GxP (dove G è la gravità, cioè la conseguenza del danno e P è la probabilità che il danno avvenga), la Fondazione ha definito i seguenti IR: Trascurabile (T)= 1-4 - Basso (B)= 5-8 - Medio (M)=9-12 Inaccettabile (I)= 13-25. CNAO per i rischi bassi valuta di intraprendere azioni particolari, per i rischi medi ha identificato le azioni da attuare mentre ha deciso di non assumersi i rischi inaccettabili. Le norme del Codice Etico, parte integrante del MOC, sono da considerarsi parte essenziale delle obbligazioni contrattuali dei dipendenti della Fondazione CNAO. La Fondazione ha individuato delle aree di rischio in relazione ai reati previsti dal D.Lgs 231/2001 (tra i quali sono stati identificati illeciti potenzialmente realizzabili in riferimento all’attività della Fondazione). Le aree a rischio reato hanno costituito il punto di riferimento nella definizione di alcune procedure/istruzioni di controllo ad integrazione dell’attuale sistema di gestione. Nei “Principi generali di comportamento e di attuazione del processo decisionale nelle aree di attività a rischio di reati contro la PA” la Fondazione impone l’espresso divieto, a carico dei dipendenti, in via diretta, e a carico dei collaboratori esterni, tramite apposite clausole contrattuali, tra gli altri, di “porre qualsiasi situazione di conflitto di interessi nei confronti di Pubblici Ufficiali o loro delegati in relazione a quanto previsto dalle ipotesi di reati contro la PA.” Il MOC è un atto di cui la Fondazione CNAO si è dotata per prevenire i rischi di commissione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001 e s.m.i. e per limitarne eventuali impatti nel caso in cui vengano compiuti atti illeciti eludendo fraudolentemente lo stesso. Costituiscono parte integrante, tra gli altri, il Piano Triennale della Prevenzione della Corruzione, il Codice etico, lo Statuto CNAO, etc. Omettendo la parte descrittiva in merito ai reati previsti dal DLgs 231/2001 e alle connesse modalità di individuazione delle aree di rischio e dei controlli identificati da CNAO, ritroviamo, nei principi generali di comportamento, il divieto assoluto, tra gli altri, di porre in essere o agevolare operazioni in conflitto di interesse- effettivo o potenziale- con CNAO, nonché attività che possano interferire con la capacità di assumere, in modo imparziale, decisioni nel migliore interesse di CNAO e nel pieno rispetto delle norme del Codice etico. La Fondazione ha previsto il rispetto di principi e procedure per prevenire e contrastare il verificarsi dei reati previsti nel MOC e valutati nel PTPC. Le diverse realtà dei tre Enti hanno evidenziato la diversità di approccio e di ramificazione delle regole, pur ovviamente muovendosi ciascuno dalle disposizioni normative di base. In tutti e tre gli Enti, pur nella loro peculiare attività, la disciplina del conflitto di interessi è viva, ed è facilmente deducibile dai Piani triennali di Prevenzione della

Corruzione e Trasparenza, cui anche CNAO è soggetta. In CNAO è inoltre peculiare il Modello di Organizzazione di gestione Controllo (MOC) adottato ai sensi del D.Lgs 231/2001, modello predisposto “su misura” della realtà organizzativa alla quale il modello fa riferimento. Anche Estar ha predisposto un Modello Organizzativo Integrato per la prevenzione dei reati (M.I.O. Estar 190-231). Una modalità efficace di prevenzione è dettata dalla dichiarazione preventiva di assenza di conflitto di interesse, che tutti e tre gli Enti adottano. Interessanti misure sono quelle adottate da Estar come ad esempio: le dichiarazioni semplificate, nell’ambito delle procedure di acquisto, per acquisizioni di importo inferiore a 40.000,00 euro; la proceduralizzazione dell’iter delle dichiarazioni stesse; la predisposizione di un Vademecum al momento della sottoscrizione della dichiarazione. Si è visto come, tra i documenti esaminati con cui i tre Enti affrontano la disciplina del conflitto di interessi, il Codice di Comportamento occupi un posto importante nella disciplina della prevenzione dei fenomeni corruttivi. Infatti il codice di comportamento o codice etico, (a seconda dell’Ente di riferimento), si rivolge direttamente al dipendente/funzionario a differenza delle misure organizzative di prevenzione, che incidono sull’organizzazione e il cui mancato rispetto agisce sull’eventuale revisione delle stesse e sul loro eventuale aggiornamento. L’indice di percezione della corruzione 2019 (CPI) pubblicato da Transparency International (gennaio 2020), e relativo al 2019, vede l’Italia al 51° posto nel mondo con un punteggio di 53 punti su 100, migliore di un punto rispetto all’anno precedente. Tra le questioni che vengono rimproverate all’Italia, si legge in una nota, rileva la mancanza di una «regolamentazione del lobbying e dei conflitti di interesse». E’ facile comprendere come sia lunga ancora nel nostro paese la strada per risalire la “classifica”. In questo cammino siamo tutti chiamati in causa, addetti alla “cosa pubblica” e non.

Nel 1877, uno studioso della società italiana, Leopoldo Franchetti, venendo in Sicilia a realizzare un’inchiesta sulla situazione che si era venuta a creare dopo l’unità, scrisse che l’Italia intera, non solo la Sicilia o il Meridione, era già a quell’epoca ridotta come un cadavere in decomposizione proprio a causa del malaffare e della corruzione: una carcassa che – appunto – cominciava già a spandere cattivo odore. Il giudice Falcone, da magistrato ma ancora più da uomo, aveva intuito che le armi che la giustizia deve impugnare non possono essere le stesse che impugnano i mafiosi e i corrotti. L’arma vincente è, piuttosto, l’educazione alla bellezza, all’equilibrio e all’armonia sociale, all’impegno per il bene comune e perciò al rispetto di tutte le persone, nessuna esclusa. Lo dobbiamo alle generazioni future.

Tutor: Maria Grazia Colombo

Project management negli approvvigionamenti pubblici di B&S

RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO PROJECT MANAGER Luca GRILLO –S.C.R. – Piemonte S.p.A.

L’evoluzione normativa degli ultimi anni ha accomunato il ruolo del RUP negli appalti pubblici a quello del Project Manager poiché questa figurapotrebbe contribuirea migliorare la gestione degli appalti pubblici e delle grandi opere, con positive ricadute sui tempi, sui costi e sulla qualità delle prestazioni attese, oltre che sui benefici generati e quindi sulla complessiva percezione da parte della opinione pubblica soprattutto quando trattasi di opere mai realizzate (spesso ritenute necessarie e urgenti) oppure riferiti a progetti in cui solitamente viene constatato che il ritardo dei tempi va di pari passo con l’aumento dei costi e con la pratica impossibilità di valutare in maniera attendibile la stima dei tempi, dei costi al completamento e del conseguimento dei benefici attesi. Il Responsabile del Procedimento deve possedere capacità professionali e requisiti adeguati al compito da svolgere. In particolare, il responsabile unico del procedimento è in possesso di adeguata esperienza professionale maturata nello svolgimento di attività analoghe a quelle da realizzare in termini di natura, complessità ed importo dell’intervento. Il RUP deve avere una specifica formazione professionale ed è soggetto a costante aggiornamento. I compiti fondamentali del RUP sono specificati all’art. 31, comma 4, per le varie fasi del procedimento di affidamento. Altri compiti assegnati al RUP sono individuati nel Codice in relazione a specifici adempimenti che caratterizzano le fasi dell’affidamento e dell’esecuzione del contratto. L’articolo 37, commi 9 e 11 del d.lgs. 50/2016 definisce gli ambiti di competenza dei due soggetti definendo la separazione dei ruoli (e delle responsabilità) del RUP della Stazione Appaltante e del RDP della centrale di committenza. Come detto precedentemente, l’articolo 31, comma 1 del Codice dei Contratti prescrive che per ogni singola procedura per l’affidamento di un appalto o di una concessione le stazioni appaltanti individuano nell’atto di adozione, di aggiornamento dei programmi ovvero nell’atto di avvio di ogni intervento, un responsabile unico del procedimento (RUP) per le fasi della programmazione, della progettazione, dell’affidamento, dell’esecuzione. Pertanto sul RUP della Stazione Appaltante ricade la responsabilità per la vigilanza e i compiti di coordinamento sull’intero ciclo dell’appalto (progettazione, affidamento, esecuzione). Nello svolgimento delle mansioni indicate il RUP della Stazione Appaltante assume una responsabilità a contenuto patrimoniale connessa all’attività di amministratori o dipendenti pubblici e relativa ai danni causati all’ente nell’ambito del rapporto d’ufficio. La responsabilità del Rdp della centrale di committenza L’articolo 37, comma 9, secondo periodo, del Codice dei Contratti prevede che “La centrale di committenza che svolge esclusivamente attività di centralizzazione delle procedure di affidamento per conto di altre amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori è tenuta al rispetto delle disposizioni di cui al presente codice e ne è direttamente responsabile”. Quindi il codice dei contratti sancisce un rapporto diretto tra lo svolgimento dell’attività di centrale di committenza e la relativa responsabilità che viene trasferita, per le funzioni di competenza al Rdp della stessa centrale di committenza. Il Project Manager è la persona incaricata del raggiungimento degli obiettivi del progetto. Al Project Manager non sono richieste competenze specialistiche riguardanti la materia del progetto ma deve essere un ottimo gestore e trovare i professionisti più adatti a raggiungere gli obiettivi del progetto in modo integrato e coordinato. Tale metodologia di lavoro per progetti non deve essere intesa come una responsabilità individuale, da assegnare unicamente al capo progetto, bensì come una responsabilità collettiva, nell’ambito della quale il Project Manager rappresenta uno degli attori chiave anche se non l’unico e, per certi versi, forse non sempre il più importante. Occorre evidenziare però le difficoltà ad assimilare la figura del RUP a quella di un Project Manager di un soggetto privato per le problematiche legate alle procedure della Pubblica Amministrazione. Mentre un Project Manager di un soggetto privato esercita autorità su cosa e quando fare, il RUP, facendo parte di una organizzazione della PA, deve scontrarsi con la complessità delle norme relative agli appalti pubblici e con la mancanza di potere decisionale su disponibilità di risorse, sulla gestione del budget e sulla gestione del personale. Inoltre di recente, per far fronte alla crisi economica dopo la pandemia da Covid-19, siamo nuovamente a fare i conti con una nuova riforma delCodice degli Contratti, il c.d. Decreto Semplificazioni, Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76. Più nello specifico, le modifiche al D. Lgs. 50/2016 che impattano sulla figura del RUP, sono i termini massimi per arrivare ad aggiudicazione che andranno porteranno i RUP dall’avere “paura della firma” alla “paura della mancata firma”. Occorre evidenziare inoltre che si parla sempre più spesso di qualificazione degli operatori economici che oltre a possedere requisiti di ordine generale devono possedere anche dei requisiti di ordine speciale: idoneità professionale, adeguata capacità economica e finanziaria, adeguata idoneità tecnica e organizzativa, adeguato organico tecnico e dirigenziale. Tale prescrizione per la qualificazione degli operatori economici è senza dubbio appropriata, ma poiché essa opera in un rapporto contrattuale,

dovrebbe trovare corrispondenza in una altrettanta adeguata competenza dei rappresentanti della Stazione Appaltante come il RUP, per non correre il rischio di demandare agli operatori economici il compito di governare i processi di gestione del progetto/contratto lasciando ai RUP un ruolo di prevalente gestione degli adempimenti formali e/o amministrativi, con scarsa incidenza sulla pianificazione e controllo sostanziale del progetto/appalto. Tale procedimento di qualificazione della nostra PA così come avviene in altre nazioni, consentirebbe di migliorare l’efficacia dei propri progetti e quindi degli investimenti pubblici. La carenza all’interno delle PA di figure con adeguate competenze di Project Management, è riscontrabile anche dal fatto che molte PA richiedono figure di Project Manager per le attività di supporto al RUP, mediante ricerca sul mercato attraverso procedure/bandi di gara in cui si richiedono figure di Project Manager certificate secondo le norme vigenti.

IL PROJECT MANAGER E IL CICLO DI VITA DI UN PROGETTO

Tommaso Annunziata - ASST FATEBENEFRATELLI SACCO

Nuove logiche di Project Management in Sanità contribuiscono a migliorare l’aspetto organizzativo e permettono un maggior controllo dei processi, sia per gli aspetti tecnico – amministrativi, sia per gli aspetti strettamente sanitari. La figura principale per lo sviluppo di un progetto è il Project Manager ovvero il responsabile formale del progetto che nel complesso insieme al suo team deve garantire che il risultato finale sia realizzato in coerenza con i costi i tempi e la qualità definita inizialmente. Nella Pubblica Amministrazione il Project Management può essere considerato utile strumento al fine di predefinire obiettivi, risorse tempi e responsabilità. Nuove logiche di Project Management contribuiscono a migliorare l’aspetto organizzativo e a permettere un maggior controllo dei processi dell’azienda, sia per quanto riguarda gli aspetti tecnico amministrativi sia per quanto riguarda gli aspetti sanitari. Al fine di una corretta gestione del progetto e per riuscire a portare a termine gli obiettivi nelle modalità ed i tempi prefissati è fondamentale per il Project Manager seguire le fasi del ciclo di vita di un progetto. 1.Fase di Ideazione: Fase più delicata dell’intero processo perché si definisce l’obiettivo globale e il lavoro necessario per raggiungere l’outcome finale, ossia ciò che verrà prodotto col progredire del progetto. L’elaborazione di idee - progetto nascono dal riconoscimento di un bisogno o di un problema che può essere interno o esterno all’organizzazione. 2.Fase di Impostazione: Fase in cui il progetto viene scomposto dal punto di vista tecnico e viene strutturato negli atti di gara andando ad indicare i requisiti necessari per soddisfare le esigenze aziendali. Per poterlo strutturare nella maniera corretta bisogna descrivere in maniera chiara e ben definita le caratteristiche generali dell’intervento che si vuole proporre, scomponendo il progetto per singoli argomenti quali: TITOLO - OBIETTIVO GENERALE - OBIETTIVO SPECIFICO - AZIONI

SPECIFICHE DEI SOTTOPROGETTI - CONDIZIONI ORGANIZZATIVE - INDICATORI DI RISULTATO. 3.Esecuzione: Fase relativa alla realizzazione delle attività pianificate. L’obiettivo fondamentale per il Project Manager nella fase di esecuzione è quello di mantenere il progetto nei piani prefissati, intervenendo in caso di bisogno. 4.Fase di Implementazione e Valutazione: Fase in cui è possibile fare il confronto tra quanto ottenuto e quanto stabilito in fase preliminare e analizzare gli scostamenti che si presenteranno. Viene determinato in ogni dettaglio l’outcome che si dovrà realizzare il relativo costo previsto il tutto deve essere sviluppato ad un livello tale da consentire che ogni elemento sia identificabile. Durante questa fase di fondamentale importanza è la valutazione che permette di monitorare il progetto rispetto agli obiettivi prefissati in fase preliminare. La valutazione permette di evidenziare eventuali scostamenti dal piano originale ed in caso intervenire quando si riveli necessario. 5.Fase di Chiusura e Capitalizzazione: Fase molto importante nel ciclo di vita del progetto in quanto i risultati ottenuti dal progetto possono diventare stabili a produrre reddito. Oltre quindi ai risultati si possono mettere in atto i meccanismi di capitalizzazione dello sforzo fatto i quali sono molto importanti. Dopo la fase di verifica, il progetto è ultimato ma è necessario fare in modo che il meccanismo non diventi desueto e quindi vengono utilizzati i meccanismi di capitalizzazione.

E’ la fase che dà forza e valore all’investimento. E’ necessario che tutto quello che era finalità del progetto diventi meccanismo routinario dell’organizzazione. Le cinque fasi sopra descritte possono variare nella tempistica in base al settore ed al tipo di progetto ma in generale sono valide in qualsiasi ambito. Il ciclo di vita può essere quindi applicato costantementea ogni progetto. Ciò dà la possibilità al Project Manager e al team di fortificare l’esperienza e migliorare costantemente la propria efficacia. Nel momento in cui un project manager seguirà ilciclo di vita di un progettotenendo in considerazione tutti i fattori di ogni singola fase, avrà già compiuto il primo step verso il successo.

LA SUDDIVISIONE DEI RUP PER FASI. LA LEGGE DELLA REGIONE SARDEGNA N. 8 DEL 13.03.2018

Franco Giacomo Sanna – ATS Sardegna

La Regione Sardegna con legge regionale n. 8 del 13/03/2018 è intervenuta in materia appalti pubblici dettando una serie di regole in materia di programmazione, progettazione, sostenibilità ambientale e sociale, organizzazione e centralizzazione degli appalti da affidare ed eseguire sul territorio regionale. Una delle particolarità della norma riguarda la suddivisione del RUP per fasi, a garanzia di un maggiore riconoscimento della singola fase e del relativo peso delle procedure di affidamento e della complessità di ciò e l’importanza della professionalità e competenza necessaria per il corretto svolgimento. Il conseguente ampliamento delle competenze regionali non ha fatto attendere il parere del Governo, il quale, con il Consiglio dei Ministri n. 82 dell’08/05/2018, ha deliberato di promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale per la legge regionale sarda. Secondo il Governo infatti, la nuova norma regionale sarda presenta aspetti di illegittimità costituzionale, in quanto le proprie disposizioni eccedono dalle competenze attribuite alla Regione dallo Statuto speciale di autonomia, andando dunque ad invadere la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e ordinamento civile, di cui all’art. 117, comma 2, lettere e) ed l) della Costituzione. Nello specifico l’attenzione è stata posta sugli artt. 34 (“Nomina e requisiti Responsabile del progetto e Responsabile per fasi”), 37 (“Commissione giudicatrice”), 39 (“Linee guida e codice regionale di buone pratiche”) e 45 (“Qualificazione delle stazioni appaltanti”). L’art. 34, risultante tra le parti maggiormente rilevanti e innovative del provvedimento, individua la nomina di un RUP per le fasi della programmazione, della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione del contratto pubblico. Tali fasi costituiscono, unitariamente considerate, il progetto del contratto pubblico e il responsabile unico del procedimento è il “responsabile di progetto”. Le amministrazioni aggiudicatrici possono nominare un responsabile del procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile del procedimento per la fase di affidamento che predispone la documentazione di gara e cura le relative procedure, anche in coordinamento con il responsabile di progetto e con il responsabile delle fasi precedenti, se nominato. Il responsabile di progetto coordina l’azione dei responsabili per fasi, anche con funzione di supervisione e controllo; altresì è suo il compito di creare le condizioni affinché il “processo attuativo del contratto pubblico risulti condotto in modo unitario in relazione ai tempi e ai costi preventivati, alla qualità richiesta, alla manutenzione programmata, alla sicurezza e alla salute dei lavoratori ed in conformità di qualsiasi altra disposizione di legge in materia”. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 166 del 09 luglio 2019, ha complessivamente salvaguardato l’impianto della norma nella sua interezza, dichiarando l’incostituzionalità per gli artt. 37, 39 e 45, nonché l’infondatezza sulla questione sollevata in merito all’art. 34 relativo alla figura del RUP. Dalla lettura della sentenza emerge come le disposizioni regionali impugnate, regolando le modalità di svolgimento delle funzioni, che afferiscono «all’ambito dell’organizzazione amministrativa, nel quale si esplica la potestà legislativa esclusiva della Regione», da un lato, introducono la figura del responsabile di progetto, che garantisce l’unitarietà nella gestione di tutte le fasi realizzative di un contratto pubblico e, dall’altro, riconducono «ad unità le diverse fasi del procedimento contrattuale, nel quale sono oggettivamente individuabili sub-procedimenti, connotati ciascuno da una innegabile necessità di specifica specializzazione». La disposizione impugnata non risulta dunque, così come sostenuto dalla stessa Regione Sardegna, in contrasto con il principio di responsabilità unica, posto dall’invocato art. 31, comma 1, del nuovo Codice dei Contratti, ma riconosce all’interno del procedimento una serie di fasi che ne descrivono la complessità e che permettono di individuarne un responsabile, seppur controllato da un responsabile di progetto, che si occupi della gestione dei necessari adempimenti al fine di poter passare allo step successivo necessario per il corretto completamento del progetto. Si assiste dunque non tanto allo sdoppiamento della figura del RUP, ma piuttosto a una scomposizione definita delle sue funzioni. Emerge dunque la complessità ed importanza di ciascun singolo responsabile che segua l’iter, individuandone e riconoscendone la professionalità, associando la corretta incombenza che a causa della elevata complessità progettuale potrebbe rivelarsi particolarmente complessa per una gestione esclusiva da parte di un singolo soggetto. La particolarità dunque della norma, la si riscontra nel riconoscimento di specifiche fasi presenti nella procedura nel suo complesso, fasi che, in considerazione della complessità della materia trattata, inevitabilmente riconoscono e richiedono, a seconda della tipologia di lavori, servizi e forniture, particolari soggetti con attinenti competenze specifiche di varia natura, necessarie per una corretta e regolare conclusione delle singole fasi concatenate tra loro.

LA CONSULTAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI NELLA PREDISPOSIZIONE DEL CAPITOLATO D’APPALTO NEGLI ACQUISTI IN SANITÀ. IL MODELLO ESTAR

Paola Cascavilla - ESTAR

Nel capitolo “LA CONSULTAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI NELLA PREDISPOSIZIONE DEL CAPITOLATO D’APPALTO NEGLI ACQUISTI IN SANITÀ. IL MODELLO ESTAR” è stata analizzata un’altra fondamentale attività, sempre di consultazione ex art. 66 del D.Lgs. n. 50/16, che mira ad intercettare le associazioni dei pazienti mediante il loro coinvolgimento nella predisposizione del capitolato di gara, al fine di rendere il sistema delle procedure di gara più efficiente e vicino ai bisogni delle persone. Per garantire la qualità del prodotto o del servizio, nelle diverse fasi di acquisto, soprattutto quella della definizione degli elementi tecnici che andranno a costituire i capitolati, devono poter partecipare tutti coloro che, a vario titolo, si occupano del tema per fare in modo che si scelga un bene o servizio in grado di garantire al paziente l’efficacia e il buon risultato in termini di qualità della vita. La consultazione del capitolato è fondamentale per far pervenire all’utente finale un prodotto che soddisfi pienamente le proprie esigenze e che contenga elementi per controllare la correttezza della fornitura. Le necessità e i bisogni dei cittadini e dei professionisti coinvolti nelle scelte e attività pratiche di erogazione debbono essere criteri centrali per impostare il processo di acquisto. Diviene quindi fondamentale il coinvolgimento dei portatori di interesse, vale a dire di coloro che beneficeranno del bene o servizio, oggetto dell’appalto che, nel caso degli acquisti in sanità, sono i pazienti. Sono proprio questi ultimi che possono testimoniare, ad esempio, le criticità del precedente appalto in termini di fornitura, quali sono state le maggiori inappropriatezze, basti pensare ad approvvigionamenti di beni non rispondenti all’uso al quale sono destinati e alle effettive esigenze dei loro destinatari, i problemi riscontrati e quali i margini di miglioramento per i futuri acquisti in punto di qualità dei beni e dei servizi. E’ necessario conoscere quindi il punto di vista dei cittadini che usufruiscono dei servizi offerti dai sistemi pubblici, in virtù della particolare competenza di cui sono dotati, in quanto sperimentano direttamente l’efficacia, la sicurezza e i costi di servizi, farmaci e dispositivi sanitari. “Una buona gestione della Sanità richiede sempre di più, oggi, una partecipazione diretta dei cittadini, chiamati a rappresentare esigenze, difficoltà, bisogni che troppo spesso i decisori di livello politico non riescono a cogliere a causa del differente punto di vista dal quale si agisce. Una alleanza con i cittadini, gli utenti, i pazienti aiuterà noi e l’intero sistema ad essere più efficaci ed efficienti e a garantire accesso alle cure, ai presidi sanitari in modo equo” dichiara Ugo Trama, Direttore U.O.G. del Farmaco e dei Presidi della Regione Campania. Nella convinzione che dare la risposta più efficace agli specifici bisogni del cittadino-paziente è un obiettivo particolarmente importante soprattutto nei settori merceologici caratterizzati dall’utilizzo prolungato o cronico di dispositivi ed ausili in genere, specie se di auto-impiego quali, ad esempio, i dispositivi per il controllo della glicemia, quelli per pazienti stomizzati o i dispositivi per incontinenza, ESTAR, Ente di supporto tecnico-amministrativo regionale preposto agli acquisti per tutta la sanità toscana, ha siglato il “Protocollo di intesa e collaborazione per rendere più efficiente e vicino ai bisogni delle persone il sistema delle procedure di gara finalizzate all’acquisizione di dispositivi/ ausili di auto utilizzo”, per il coinvolgimento dei cittadini/pazienti nelle procedure di acquisto in sanità “in modo da raccogliere con maggiore efficacia le istanze e valutare le possibili soluzioni tecniche e contrattuali”. L’obiettivo è dare valore non solo al prezzo ma anche alla personalizzazione, qualità, sicurezza ed accessibilità dei dispositivi medici, di protesi e ausili, mettendo i bisogni dei cittadini al centro delle gare di acquisto in sanità. Infatti, con detto accordo, ESTAR si è impegnato ex multis a ricorrere sistematicamente alla consultazione preliminare di mercato, aperta sia al mercato che alle associazioni rappresentative dei diritti dei cittadini e dei pazienti. Ai fini della predisposizione del capitolato di gara relativo al Serviziodomiciliare relativo alla gestione del paziente con patologie respiratorie e/o nutrizionali per le Aziende/Enti del SSR Toscano, si è provveduto a dare attuazione a detto protocollo d’Intesa con l’attivazione della CPM ex art. 66 D.Lgs. 50/2016 con le Associazioni dei Pazienti nell’ottica del perseguimento della massima efficacia nel settore degli approvvigionamenti e della soddisfazione degli utenti del Servizio sanitario, in considerazione del servizio da appaltare, “in modo da raccogliere le relative istanze ed avviare così un confronto proprio con i rappresentanti dei destinatari del servizio di cui trattasi”. Questa nuova forma di coinvolgimento è ancora in fase di sperimentazione ma da subito si è avvertita l’utilità del confronto con le Associazioni dei Pazienti, intervenute nella Consultazione trattata nel lavoro di gruppo. Infatti il Collegio Tecnico, deputato alla stesura del capitolato di Gara, ha elaborato le informazioni raccolte in detta sede e le ha inserite proprio nel capitolato tecnico di gara.

L’ACCESSO AGLI ATTI NELLE PROCEDURE DI GARA

Filomena De Marco - ESTAR Firenze

L’accesso agli atti nelle procedure di gara è disciplinato nell’art 53 del decreto legislativo n.50 del 2016. Quest’ultimo articolo è intitolato <<accesso agli atti e riservatezza >> e dispone che <<Salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il diritto di accesso agli atti del processo di asta elettronica può essere esercitato mediante l’interrogazione delle registrazioni di sistema informatico che contengono la documentazione in formato elettronico dei detti atti ovvero tramite l’invio ovvero la messa a disposizione di copia autentica degli atti>>.

Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso è differito:

a) nelle procedure aperte, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime; b) nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali, in relazione all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, e in relazione all’elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all’elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime; ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è consentito l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare; c) in relazione alle offerte, fino all’aggiudicazione; d) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell’offerta, fino all’aggiudicazione. Gli atti di cui al comma 2, fino alla scadenza dei termini ivi previsti, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti. L’inosservanza dei commi 2 e 3 per i pubblici ufficiali o per gli incaricati di pubblici servizi rileva ai fini dell’articolo

326 del codice penale.

Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione: a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali; b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici; c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori ((, del direttore dell’esecuzione)) e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto; d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale.

In relazione all’ipotesi di cui al comma 5, lettera a), è consentito l’accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto. E’ necessario approfondire tra appalti ed accesso civico generalizzato ed universale, in subiecta materia, infatti, era sorto un contrasto giurisprudenziale tra i giudici amministrativi. Si è discusso, infatti, se l’accesso civico generalizzato fosse applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici. Infatti emergeva una lacuna normativa sul punto, in quanto l’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016 prevede che “il diritto di accesso agli atti delle

procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato

dagli articoli 22 e seguenti della legge n.241/1990”. Orbene, la disposizione richiama espressamente solo la disciplina dell’accesso procedimentale. Un primo orientamento, dunque, fondandosi su un’interpretazione più letterale e “statica” e sul principio di specialità della disciplina sui contratti pubblici propendeva per un’esclusione assoluta della disciplina dell’accesso generalizzato (ex multis, sentenze gemelle della V sezione del Consiglio di Stato, 2 agosto 2019 n.5502 e n.5503). Per contro, l’orientamento della III sezione del Supremo Consesso, facente capo alla sentenza 5 giugno 2019 n. 3780, ha adottato un’interpretazione costituzionalmente orientata, conforme all’art. 97 Cost., ammettendo l’accesso civico generalizzato anche nelle procedure ad evidenza pubblica. La lacuna normativa, dunque, sarebbe solo frutto di una svista del legislatore che non ha coordinato bene la disciplina speciale con quella generale. Ma non si può escludere un istituto che è espressione del valore fondamentale della trasparenza. Del resto, escludere tale istituto sarebbe poco coerente con le stesse procedure “ad evidenza pubblica” che si fondano sulla trasparenza e la pubblicità. Pertanto, la sezione III del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 8501 del 16 dicembre 2019, in continuità con il suo orientamento positivo circa l’ammissibilità dell’accesso civico alla disciplina dei contratti pubblici, invocando una maggiore certezza interpretativa, ha sottoposto all’Adunanza plenaria i seguentiquesiti: 1. se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo

affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria; 2. se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. Lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice; 3.se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013; e, se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla l. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato. Il Supremo Consesso rivede la tassonomia dei quesiti posti dalla III sezione, sulla base di un ordine di priorità logica nella trattazione e passa ad esaminare prima l’ultimo quesito, poi, il secondo ed infine il primo. Con riguardo, dunque, al primo quesito del nuovo ordoquaestorium, la giurisprudenza asserisce che è applicabile l’accesso civico generalizzato anche alla materia dei contratti pubblici. Pertanto, anche se l’istanza di accesso fosse priva degli elementi tipici dell’accesso documentale, la P.A. sarebbe tenuta ad esaminarla come istanza di accesso civico. Pur riconoscendo, infatti, l’infelice formulazione legislativa lacunosa, ai fini di una corretta interpretazione dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, il Consiglio di Stato non può non considerare un concorso tra le due forme di accesso documentale e generalizzato. Infatti“il rapporto tra le due discipline generali e settoriali … non può essere letto unicamente ed astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma, secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla relazione delle discipline non è quella della separazione ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline”.Del resto, evidenzia il Supremo Consesso, un diverso orientamento interpretativo escludente avallerebbe il rischio di creare “un buco nero” della trasparenza nella normativa. Sul secondo quesito, il Supremo Consesso specifica che l’accesso civico generalizzato, ferme le eccezioni di cui all’art. 5 bis, commi 1 e 2 del d.lgs. n.33/2013, è ammissibile anche in ordine agli atti della fase esecutiva. All’uopo richiama anche le conclusioni della delibera ANAC n.317 del 29 marzo 2017. Infatti rispondendo la trasparenza ad una finalità di “controllo diffuso” della collettività sull’agire amministrativo, questa esigenza è particolarmente avvertita proprio nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni, ed, in particolare, nell’esecuzione dei rapporti dove spesso si annidano fenomeni di maladministration. Afferma il giudice amministrativo, infatti, che“non è più possibile affermare, in un quadro evolutivo così complesso che impone una visione d’insieme anche alla luce delle coordinate costituzionali, eurounitarie e convenzionali che l’accesso agli atti di gara costituisca un microcosmo normativo compiuto e chiuso”. Inoltre, l’accesso generalizzato in questa materia è doveroso “perché connaturato all’essenza stessa dell’attività contrattuale pubblica e perché esso operi, in funzione della c.d. trasparenza reattiva, soprattutto in relazione a quegli atti, rispetto ai quali non vigono i pur numerosi obblighi di pubblicazione previsti (trasparenza proattiva)”. Infine, sul terzo quesito, il Consiglio di Stato evidenzia che, per l’accesso generalizzato opera il limite di cui all’art. 5 bis, c.2,d .Lgs. n. 33/2013, che rappresenta un’eccezione relativa e non assoluta. Pertanto occorre operare un bilanciamento, in concreto, tra il valore fondamentale all’accesso e quello della riservatezza, secondo un canone di proporzionalità. In conclusione, l’adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a., sulla base delle motivazioni esposte, enuncia i seguentiprincipi di diritto: 1) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990,senza che il giudice amministrativo, adito ai sensi dell’art. 116 c.p.a.,possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento; 2) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale; 3) la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. Lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. Lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.

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