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decreto semplificazioni
from TEME 11-12/2020
by edicomsrl
Fortunato Picerno - Legale esperto della Struttura tecnica di missione del ministero delle infrastrutture e dei traporti
Le modifiche al codice degli appalti apportate dal decreto semplificazioni
Il legislatore, attraverso l’utilizzo di uno strumento non per modificare la disciplina esistente ma per intronormativo d’urgenza, il d.l. 16/07/2020 n. 76 recan- durre un regime derogatorio temporaneo. La dichiarata te “Misure urgenti per la semplificazione e l’innova- finalità di semplificazione dell’intervento normativo in zione digitale”, con il dichiarato intento di semplificare oggetto pare raggiunta almeno per quanto riguarda lo il complesso ordinamentale relativo al settore infrastrut- sfoltimento delle tipologie di affidamento, che passano da turale italiano, è intervenuto anche sulle disposizioni del quattro (affidamento diretto, l’affidamento diretto preD. lgs. n. 50/2016 e s.m.i.. via consultazione del mercato, procedura negoziata senza Nello specifico, il decreto, al capo I, introduce una pubblicazione di bando, procedura aperta) – a due, affiserie di misure dotate di un ambito d’applicazione damento diretto e procedura negoziata senza pubblicaziotemporale limitato al 2021, ne di bando, più l’eventuale e cioè all’attuale previsione mantenimento della procedudella persistenza degli effetti macro-economici dovuti Con l’articolo 1 del d.l. n. ra aperta. Con più prudenza va invece accolta la decisione all’ormai nota emergenza, a cui si affiancano una serie 76/2020, il legislatore torna di aumentare la soglia dell’affidamento diretto “puro”, che di modifiche di carattere a occuparsi della disciplina passa dal limite dei 40.000 strutturale all’articolato normativo esistente. L’incidenza degli appalti di valore euro dell’art. 36, comma 2, lett. a) a quello di 150.000 derogatoria di quest’ultimo inferiore alla soglia euro- euro introdotto con l’attuale intervento normativo risul- decreto semplificazioni. La ta, pertanto, essere di gran unitaria e questa volta non norma, in particolare, conlunga più significativa dei precedenti correttivi adottati per modificare la disciplina sente di affidare direttamente lavori fino a 150.000 euro con d. lgs. n. 56/2017 e con esistente ma per introdurre e servizi e forniture entro la d.l. n. 32/2019 che avevano modificato, prevalentemente, un regime derogatorio medesima soglia. Oltre detto importo, è previsto il ricorso le discipline degli affidamenti sotto-soglia, dei criteri di temporaneo alla procedura negoziata senza pubblicazione di bando, con aggiudicazione e dell’appal- numero minimo di operato integrato nel 2017; della tori economici da invitare qualificazione delle stazioni appaltanti, del subappalto, crescente (cinque, dieci, quindici) in ragione del valore dell’anticipazione del prezzo, nonché, nuovamente, degli dell’appalto (fino a 350.000 euro e fino a un milione di affidamenti sotto-soglia, oltre all’istituzione del collegio euro per i lavori e fino alla soglia euro-unitaria per serconsultivo tecnico facoltativo, nel 2019. vizi e forniture). Nonostante il periodo emergenziale e il Con l’articolo 1 del d.l. n. 76/2020, il legislatore torna giustificabile intento semplificatorio occorre comunque a occuparsi, a poco più di un anno dalla conversione del verificare che il nuovo temporaneo assetto garantisca un c.d. decreto “Sblocca Cantieri” (legge 14 giugno 2019 n. adeguato bilanciamento tra l’apertura alla concorrenza 55), della disciplina degli appalti di valore inferiore alla e l’efficienza dell’azione amministrativa. Non si può, al soglia euro-unitaria, da sempre considerati rilevanti ai fini riguardo, non considerare che nel 2019 la fascia di prodel rilancio del settore dei contratti pubblici, questa volta cedure comprese fra 40.000 e 150.000 ha rappresentato
il 54% del totale e che pertanto oltre la metà di esse, con la modifica normativa prevista, sarebbero sottratte a un confronto concorrenziale. A ciò si aggiunga che nello specifico settore degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura, il cui limite all’affidamento diretto nella legislazione ordinaria era pari all’importo di 100.000 euro, nell’attuale legislazione emergenziale non trova una specifica disciplina essendo, di fatto, equiparato ai generici affidamenti di servizi e forniture. In questo caso, pertanto, il rischio dell’estinzione del mercato di riferimento si fa più incedente, essendo stimata la percentuale di affidamenti di SIA per valori fino a 150.000 euro circa il 75% del totale. L’articolo 2 interviene, invece, sugli affidamenti sopra soglia e conferma, quale regola generale, che le procedure da adottare per l’affidamento dei contratti per tali importi sono quelle ordinarie, e cioè la procedura aperta o ristretta, a discrezione della stazione appaltante, ovvero la procedura competitiva con negoziazione. La norma stabilisce, al comma 3, che nel caso in cui i termini previsti dalle procedure ordinarie anche abbreviati non possono essere rispettati, per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia COVID-19 o dal periodo di sospensione delle attività determinato dalle misure di contenimento adottate per fronteggiare la crisi, per l’affidamento dei contratti pubblici, la procedura negoziata di cui all’art. 63 del Codice, per i settori ordinari, e di cui all’articolo 125, per i settori speciali, può essere utilizzata, seppur nella misura strettamente necessaria. La disposizione introdotta collega l’estrema urgenza agli effetti negativi derivanti dall’emergenza sanitaria in corso o dal periodo di sospensione delle attività economiche derivanti dalla stessa, quale ragione che giustifica di per sé il ricorso alla procedura negoziata senza bando. Si tratta, come è evidente, di una disposizione che, pur condivisibile nella ratio, si presta a margini interpretativi piuttosto ampi. Si evidenzia, in merito, che la generica correlazione dell’estrema urgenza agli effetti della pandemia in corso può consentire un ricorso diffuso alla procedura negoziata senza bando, lasciando un ambito di discrezionalità molto significativo in capo alle stazioni appaltanti sui casi in cui possono ritenersi sussistenti i predetti caratteri dell’estrema urgenza. La stazione appaltante dovrebbe comunque fornire adeguata motivazione in ordine all’impossibilità di rispettare i termini (già ridotti) delle procedure diverse da quella negoziata senza bando. La disposizione in esame rischia, dunque, di presentare dei profili di criticità e di non coerenza con gli indirizzi forniti dalla Commissione
europea in relazione all’emergenza sanitaria in corso. In termini generali si osserva, in ogni caso, che il ricorso alla procedura negoziata senza bando per ragioni di urgenza è già contemplato nell’art. 63, comma 2, lett. c) del Codice. Pertanto, ai fini perseguiti dal DL in esame, sarebbe stato sufficiente, come proposto anche dall’ Anac con tempestiva comunicazione, fare rinvio alle previsioni del Codice, sopra richiamate, senza operare una deroga ad una norma già chiara, come quella dell’art. 63, che, nella sostanza, consente alle stazioni appaltanti di ricorrere alla procedura negoziata in tutti i casi in cui possono ritenersi sussistenti ragioni di estrema urgenza non imputabili alle stazioni appaltanti. Va infine ricordato che, anche al fine di non incorrere in procedure di infrazione comunitaria, la norma che consente un così ampio ricorso alle procedure di urgenza, deve restare limitata nel tempo, come attualmente è previsto fino al 31 luglio, e che, di conseguenza, la mole di emendamenti in discussione presso l’ottava commissione del Senato che, al contrario, propongono un’estensione (anche fino al 2023) delle fattispecie derogatorie potrebbero essere censurate dalla giurisdizione comunitaria. Appare quantomeno disorganica, inoltre, la deroga contenuta al comma 4 dell’art. 2 del decreto che consente, nei settori dell’edilizia scolastica, universitaria, sanitaria e carceraria, delle infrastrutture per la sicurezza pubblica, dei trasporti e delle infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali e idriche, nonché per gli interventi funzionali alla realizzazione della transizione energetica, e per i contratti relativi o collegati ad essi, alle stazioni appaltanti, per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, e per l’esecuzione dei relativi contratti, di operare in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE, dei principi di cui agli articoli 30, 34 e 42 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e delle disposizioni in materia di subappalto. Anche in questo caso, la scelta del legislatore consegna alle stazioni appaltanti una disciplina complessa. Secondo l’Anac, che si è espressa con un commento appena il decreto è stato promulgato, in data 07/08/2020, infatti, le direttive, accanto a disposizioni obbligatorie, ne contengono altre che necessitano di essere attuate, negli ordinamenti nazionali, secondo la discrezionalità dei singoli Stati membri e che tuttavia per la loro rilevanza nella defini-
zione del corretto iter procedurale non possono non ritenersi parimenti inderogabili. Per tali ultime disposizioni, quindi, il diritto nazionale ha previsto una disciplina particolare che non appartiene alle direttive. Si pensi ad esempio ad alcune cause di esclusione previste dall’articolo 80 del Codice (divieti di contrarre con la pubblica amministrazione, annotazioni nel casellario, violazione del divieto di intestazione fiduciaria, violazione delle norme sul lavoro dei disabili o in materia di salute e sicurezza sul lavoro, situazioni di controllo tra partecipanti alla medesima gara, pantouflage) oppure al sistema di qualificazione degli operatori economici per i lavori di importi superiori a 150.000,00 oppure ancora si pensi, nella delicata materia della risoluzione del contratto, alla differenza tra l’art. 73 della direttiva 24/2014/Ue che detta indicazioni generali rivolte agli Stati membri e l’art. 108 d.lgs. 50/2016 che invece articola puntualmente le ipotesi di risoluzione rappresentando una guida per le stazioni appaltanti. Per tali ipotesi dovrebbe operare la disapplicazione prevista dal comma 4 dell’articolo 2 del decreto in esame, da cui non potrebbe non discenderne un vuoto normativo da colmare a cura dell’interprete. Come conseguenza diretta di questa difficoltà interpretativa, e dell’ampia discrezionalità che ne deriva, possono determinarsi comportamenti disomogenei da parte delle stazioni appaltanti e, di conseguenza, occasioni di contenzioso. Pertanto, mentre per i contratti affidati ai sensi della disposizione precedentemente analizzata (comma 3), resta quantomeno indicato il tipo di procedura da utilizzare (art. 63, art. 125, come accadeva nel ‘decreto Genova’ che quanto a modalità di affidamento richiamava il corrispondente art. 32 della direttiva 24/2014/Ue), le stazioni appaltanti che opereranno nei settori indicati dal comma 4 dovranno applicare le direttive a partire dalla scelta della procedura che, in assenza di motivate ragioni in concreto, non potrà essere sempre la procedura negoziata senza bando. Al riguardo si osserva che l’art. 26 della direttiva 24/2014/Ue, recante la disciplina in materia di scelta della procedura, contiene un rinvio alla normativa nazionale che da un punto di vista applicativo determina una reviviscenza delle disposizioni della legge nazionale che proprio il comma 4 parrebbe voler derogare. L’Autorità, in definitiva, valuta la norma come molto critica e meritevole di una rivalutazione. La scelta operata dal legislatore di derogare “ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale”, in effetti, appare sproporzionata rispetto all’obiettivo di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19. Tra le modifiche di carattere strutturale si segnala, invece, quella che incide sull’articolo 80 che sostituisce il quinto periodo del comma 4 del citato articolo, consentendo alla stazione appaltante di escludere un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d’appalto qualora la medesima stazione appaltante sia a conoscenza e possa adeguatamente dimostrare che lo stesso non abbia ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione. Tale previsione si è resa necessaria per risolvere una delle contestazioni sollevate dalla Commissione europea allo Stato italiano, con procedura di infrazione n. 2273/2018, che ha ritenuto la disposizione del comma 4 del citato articolo 80 contrastante con le direttive comunitarie, laddove non consentiva alla stazione appaltante di poter escludere dalle procedure di gara un operatore per il quale la medesima amministrazione sia a conoscenza o, comunque, in grado di dimostrare che lo stesso non abbia ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali anche se non definitivamente accertati. Pertanto, in ossequio al principio di proporzionalità viene autorizzata tale tipologia di esclusione solo nel caso in cui tale mancato pagamento costituisca una grave violazione o per motivi quantitativi rispetto all’importo o qualitativi rispetto alla tipologia di contribuzione previdenziale (rilascio del Durc). Un’ulteriore modifica a carattere permanente è quella che novella l’articolo 83 che, ai fini della partecipazione degli operatori economici a procedure per l’affidamento di servizi o forniture, consente alle stazioni appaltanti di richiedere il possesso di “un livello adeguato di copertura assicurativa contro i rischi professionali”, come strumento capace di dimostrare la capacità economica e finanziaria. Il concreto utilizzo di tale strumento, tuttavia, considerata la genericità della previsione recata dalla lettera c) del comma 4 dell’articolo 83, ha alimentato, oltre ad un consistente dibattitto giurisprudenziale (da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5828), una determinata prassi per la quale le stazioni appaltanti hanno ritenuto opportuno inserire, nel bando di gara, la produzione, in uno alla domanda di partecipazione, di polizze assicurative di importo commisurato al valore dell’intero appalto. Tale prassi ha comportato che molti operatori economici, seppur già in possesso di polizze assicurative contro i rischi professionali, sono stati costretti a stipularne delle nuove ai soli fini della partecipazione alla gara, in quanto quelle possedute non sarebbero risultate conformi a quanto sancito dalle prescrizioni della lex specialis. La modifica dell’articolo 83 operata dal d.l. n. 76/2020, è stata concepita nell’ottica di garantire il rispetto del principio di proporzionalità per quanti intendessero partecipare ad una procedura di
aggiudicazione e di fornire, allo stesso modo, adeguati strumenti di interpretazione della norma agli operatori delle stazioni appaltanti, al fine di ridurre il contenzioso in essere. In tal senso, infatti, il legislatore ha recepito le più condivisibili indicazioni fornite dalla giurisprudenza, che aveva già ritenuto ammissibile la soddisfazione del requisito ma in maniera graduale. Da accogliere con favore è, altresì, l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto del project financing avvenuto attraverso una modifica dell’art. 183 del codice. La disposizione, nella sua versione precedente, infatti, consentiva agli operatori economici di presentare alle amministrazioni proposte relative alla realizzazione di lavori pubblici solo ed esclusivamente se non presenti negli strumenti di programmazione già approvati dalle medesime amministrazioni. La fattispecie contenuta nel d.l. n. 76/2020, invece, consente di superare tale limite, ammettendo che gli operatori economici possano presentare le suddette proposte anche se già inserite negli strumenti di programmazione delle amministrazioni. La ratio è quella di superare alcune difficoltà relative alla realizzazione di progetti che, pur facendo parte degli strumenti di programmazione, potrebbero essere non pienamente adeguati oppure, se adeguati, potrebbero non essere messi a gara per inerzia delle stesse amministrazioni. Con l’intento, dunque, di assicurare la migliore fattibilità dei progetti ovvero rimediare alla potenziale inerzia dell’amministrazione, la modifica dell’art.183 concede al promotore la facoltà di proporre progetti anche alternativi e migliorativi rispetto a quelli già inseriti negli strumenti di programmazione. La fattispecie in questione appare compatibile con il diritto europeo e conforme anche con quanto suggerito dal Consiglio di Stato, attraverso il parere sullo schema di decreto legislativo recante il Codice vigente, in merito all’auspicata reintroduzione della facoltà di presentare proposte anche se inserite negli strumenti di programmazione. La nuova disciplina del Project financing è in grado, in questa sua nuova formulazione, di determinare, un ampliamento dell’ambito applicativo dell’istituto del promotore, operando una valorizzazione degli strumenti di partenariato pubblico privato nella prospettiva di una più efficiente infrastrutturazione del Paese. In questa prospettiva, tra gli effetti dell’introduzione della norma, potrebbe determinarsi un’espansione del mercato di riferimento, una compressione degli oneri economici a carico della finanza pubblica, con un conseguente miglioramento dei servizi per la collettività. Nell’ambito degli interventi strutturali al codice, che pur si accolgono con favore, sarebbe stato opportuno cogliere tale occasione per intervenire anche in materia di subappalto a seguito della sentenza C-63/18 della Corte di giustizia dell’Unione europea del 26 settembre 2019 che si è pronunciata dichiarando contraria al proprio ordinamento ogni limitazione quantitativa all’applicazione del subappalto, come invece viene disposta dall’art. 105 del codice, in quanto suscettibile di restringere indebitamente il mercato e di conseguenza la concorrenza. Per la stessa ragione sarebbe stato necessario, inoltre, regolare anche gli ulteriori aspetti colpiti dalle doglianze della procedura d’infrazione 2018/2273 che investono la lettera a) del comma 4 dell’articolo 105 del codice. Un’auspicata soppressione sarebbe stata finalizzata ad adeguarsi al principio di proporzionalità (di cui all’articolo 3 della direttiva 2014/23/UE; all’articolo 18 della direttiva 2014/24/UE; e all’articolo 36 della direttiva 2014/25/UE), e quindi ad eliminare la citata disposizione dell’art. 105 che impedisce all’offerente, risultato aggiudicatario dell’appalto, di far ricorso a subappaltatori purché non abbiano partecipato, a loro volta, alla medesima procedura di gara. Tale ultima statuizione, infatti, risulta incompatibile con il principio di proporzionalità in quanto eccede quanto necessario a prevenire comportamenti collusivi, in maniera ingiustificata considerato che non si può ipotizzare, a priori, l’esistenza di accordi tra le imprese interessate in grado da influire negativamente sulla concorrenza. Considerata la chiara volontà del legislatore, con il decreto semplificazioni in esame, di sostenere la ripresa economica e la contestuale censura comunitaria di cui si è fatto cenno, non appare comprensibile la scelta del legislatore di non intervenire affatto in quest’ambito. A ciò si aggiunga che, come precedentemente rilevato, alcune disposizioni contenute nel decreto appaiono molto più “coraggiose” rispetto alla scelta che si sarebbe potuta sostenere in merito alla modifica del subappalto. Considerazioni similari possono sostenersi anche relativamente alle disposizioni contenute al comma 5 dell’art. 80 che, in sovrapposizione tra di esse, hanno determinato non pochi dubbi interpretativi, risolti dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che, investita della questione, si è riunita in Adunanza Plenaria in data 28/08/2020, per dirimere il conflitto di norme potenzialmente concorrenti tra loro. Al riguardo, tuttavia, sarebbe necessario un intervento normativo volto a chiarire l’ambito di applicazione della lettera f-bis) che, a seguito della citata sentenza, viene a restringersi alle ipotesi, di non agevole valutazione, in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara dal concorrente siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità; e non siano, al contrario, finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativi all’ammissione, la valutazione delle offerte o l’aggiudicazione dei partecipanti alla gara o comunque relativa al corretto svolgimento di quest’ultima, fattispecie che, invece, sarebbe sussumibile nell’alveo di quanto previsto dalla lettera c).