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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Artù n°62 - Maggio - Giugno 2014
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Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati
Dim Sum di Milano, il nuovo regno della cucina al vapore Jamon Iberico, guida pratica per esplorare un pianeta complesso Grangusto a Napoli, il locale che affascina gourmet e appassionati Lo chef Giancarlo Morelli del Pomiroeu racconta la sua idea di cucina Stelle in aeroporto: a Orio al Serio il successo del bistrot dei Cerea
Maggio Giugno 2014
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EDITORIALE n°62
Monster CHEF La cucina italiana è la più buona del mondo. Ma, forse, i cuochi italiani sono fra i più cattivi. Almeno quelli diventati famosi grazie alla televisione. Per primo avevo scritto, in tempi non sospetti (1990), della necessitá che in Italia i cuochi facessero un salto di qualitá nella percezione generale, uscissero da una condizione "minore" nella quale il nostro sistema li aveva collocati ingiustamente. Insomma, che non venissero più considerati dei bruciapadelle o, peggio, dei pasticcioni... Si sentiva forte la mancanza di chef Superstar, come peraltro esistevano in Francia. La societá avrebbe dovuto riconoscere il loro impegno, il loro valore e, anche, decretarne la statutarietà. Questo è avvenuto ma soltanto in parte. Personaggi come Gualtiero Marchesi, o Angelo Paracucchi, che con passione, cultura e genialitá hanno rivoluzionato la ristorazione italiana, non sono mai stati riconosciuti fino in fondo per il loro ruolo straordinario, per la loro carica rivoluzionaria, per il coraggio estremo e incurante di perbenismi e diffidenze. Fossero stati in Francia avrebbero avuto la Legion d'onore! Invece, gli chef che sono approdati in televisione come protagonisti di format di successo si sono trasformati abbastanza velocemente in personaggi nazionalpopolari e, grazie a questo divismo acquisito, hanno potuto accedere ai vantaggi economici conseguenti... . Vantaggi di gran lunga superiori a quelli derivanti dalla attività di esercenti di ristorazione. Altri, che hanno scelto di continuare su strade collaudate - come quella, sacrosanta, di privilegiare la presenza nelle cucine del proprio ristorante, studiando a fondo materie prime e cotture, creando la propria linea di cucina, costruendo un rapporto duraturo con una clientela fedele - sono rimasti nell'ombra. Bravi,
nismi. Perché le buone intenzioni vanno incoraggiate, così come certe illusioni vanno frenate, con sapienza e acume. Una cosa è il rigore, un'altra è la cattiveria inutile. Evviva la ragionevolezza, abbasso le mostruosità. Anche se fanno audience. Alberto P. Schieppati
spesso bravissimi, passano le loro giornate in cucina, ma sono in seconda linea rispetto agli chef tv, seguiti da milioni di persone che, nella stragrande maggioranza, non diventeranno mai clienti dei loro locali... . Ma, per ottenere successo e visibilitá, anzichè esibire buon senso e RAGIONEVOLEZZA, spesso scelgono la strada dell'insulto, dell'umiliazione, della insensibilità verso i più deboli e i meno attrezzati, esercitandosi in una sorta di tiro al piccione. In nome del "cattivismo" gratuito... . Ho visto esordienti maltrattati piangere, schiacciati come zer-
bini da saccenza e presunzione. No, non ci piace Monster Chef: assomiglia ad una caricatura esasperata del peggiore individualismo, una sorta di esibizione di muscoli assolutamente insopportabile, un esercizio fascistoide di demagogia mediatica. Mors tua vita mea. Al cuoco che distrugge ed umilia preferiamo quello che, grazie a cultura e intelligenza, trasmette valori, aiuta a crescere e, quando occorre, ha anche il coraggio della franchezza, senza inutili buonismi ma con la inevitabile e chiara fermezza nel contrastare velleitá e stupidi protagoArtù n°62
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SOMMARIO n°62
In copertina: nella foto, la cucina a vista del ristorante Dim Sum, aperto recentemente a Milano. Il nuovo locale, gestito da Yike Weng e Chiara Wang Pei, già titolari del Bon Wei (sempre a Milano), è un luogo dove poter gustare cucina orientale innovativa, oltre a piatti al vapore e ai grandi classici del reperotrio culinario cinese.
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Info brand Taste & Press, Puglia a Vinitaly Al carcere di Bollate, masterclass di Berton di Elisa Facchetti Stile italiano, Voiello e Marinella Casale del Giglio, identità laziale di Elisa Facchetti Irpinia, piccoli e vincenti Budweiser Budvar, ritorno alle origini di Elisa Facchetti Focus wine Viticoltori Ponte, evoluzione in Cantina di Elisa Facchetti I vini naturali protagonisti di Sestri Les Vins 2014 di Giovanna Moldenhauer Focus food I napoletani fan la spesa con Grangusto di Theo Smith Jamón Ibérico di Gualtiero Spotti Il Crotto del Sergente. Risorsa lariana di Rocco Lettieri Capo d’Africa, la terrazza gourmet di Alberto P. Schieppati Nuove aperture a Milano. Pesce fresco alla Nassa di Fiorenza Auriemma Caviale Italiano, un successo autoctono di Luisa Contri Lo sprint di Nogara. Riparte il nuovo Ceppo di Alberto P. Schieppati Botteghe fiorentine, il gusto abita qui di Fiorenza Auriemma Protagonisti food Dim Sum a tutto vapore di Fiorenza Auriemma Don Juan, l’Argentina è a MIlano di Theo Smith Giancarlo Morelli: la MIA cucina felice di Luisa Contri Antonia Klugmann passione in cucina di Giovanna Moldenhauer Welcome on board, il bistrot firmato Vittorio di Elio Ghisalberti Corporesano Il latte sviluppa e rafforza i muscoli di Corporesano Magazine Accueil Londra, menu da Club di Gualtiero Spotti Equipment Rational, sinergia e comunicazione di Elisa Facchetti News Vino, non soltanto export. Food, ricette e speck Libri Pane, pizza, champagne e ricette al gorgonzola di Elisa Facchetti Secondo Alberto Il Garibaldi merita il viaggio. Barbapedana "ragionevole". di Alberto P. Schieppati
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Taste & Press Puglia a Vinitaly che hanno comunicato di più questa attenzione, troviamo Pezza Viva Nuova (www.pezzaviva.it) che ha presentato, oltre al già noto Thyrsos, Primitivo di Manduria Doc, il proprio Primitivo rosato, Anthos 2013, Igp: il prodotto di punta della cantina di Torre S.Susanna, in provincia di Brindisi, è un rosè di grande armonia e delicatezza, uno charmat prodotto in 15mila bottiglie che stupisce per la propria originalità e per la freschezza che ci ha trasmesso durante la degustazione. Un vino di estrema gradevolezza, che, fra l’altro, ha uno straordinario rapporto fra qualità e prezzo, e si adatta anIl sud vinicolo del Paese, non certo da che ad essere sbicchierato per aperitivi ieri, si sta riscattando alla grande. E Vini- “frizzanti”. L’azienda agricola Pezzaviva taly, in una logica di valorizzazione delle è ben conosciuta in Puglia, oltre che nostre migliori produzioni, è sicuramente per i vini, per la produzione di eccellente il palcoscenico ideale per allargare la olio extravergine di oliva e di latticini di comunicazione ai mercati. Non a caso, qualità. Mozzarelle, giuncata, pampanella, la scorsa edizione della fiera veronese caciocavallo, scamorze, provole bianche ha offerto ampie opportunità, anche ai leggermente affumicate, stracciatella e buyers internazionali, per approfondire burrata: una produzione che spazia le nostre realtà regionali e comunicare anche verso produzione di formaggio di al mondo le nostre potenzialità e i capra e pecora, connotati da genuinità risultati raggiunti. Nel caso della Puglia, e gusto. La Tenuta Coppadoro, della sopoi, ampiamente presente con un proprio cietà Capitanata Agricola, è ubicata padiglione già da molti anni, l’evoluzione invece nel foggiano, in territorio di San qualitativa dell’offerta è una costante. Severo (www.tenutacoppadoro.it): nata Dal punto di vista vinicolo, sicuramente nel 1998, molto proiettata sui mercati negli ultimi tempi si sono fatti enormi internazionali, la cantina si avvale della passi avanti. E la degustazione di vini consulenza di una grande firma enologica, pugliesi svoltasi durante la recente edi- Riccardo Cotarella, come ci comunica zione della fiera ha dato l’ennesima Teresa Pisante, anima appassionata delconferma di questa verità, divenuta un l’azienda agricola. “Qualità senza comfatto consolidato. Fra le aziende pugliesi promessi - ci dice -. Per il forte legame
Passione, professionalità, amore per il territorio, conoscenza dei mercati: questi i valori principali che sono emersi durante un ciclo di degustazione di vini pugliesi durante lo scorso Vinitaly. Il tasting, organizzato in collaborazione con il Movimento Turismo del Vino, ha messo in luce la straordinaria imprenditorialità che caratterizza il mondo vinicolo della regione. Fra i vini proposti, quelli di Pezzaviva, Tenuta Coppadoro, San Marzano, Vinicola Mediterranea, Paolo Leo: aziende impegnate sul fronte della qualità.
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con il territorio, i vini della Tenuta si coniugano perfettamente con il presente e il futuro della scienza enologica, grazie anche ad investimenti costanti in tecnologia e innovazione”. Dalla ampia gamma di etichette della Tenuta Coppadoro, è stato scelto per la degustazione il Brando 2013, un Nero di Troia in purezza, di recente imbottigliamento, che ha letteralmente stupito per corpo e struttura. Insieme al Rosa di Salsola, un rosè 2013, ha regalato momenti di grande emozione ai degustatori, italiani ed esteri. San Marzano (www.feudisanmarzano.it), con sede a San Giuseppe (Ta) e noto per la propria linea di vini “I Tratturi”, a sua volta, ha proposto in degustazione Magia, un vino di nuova produzione, seppur prodotto grazie ad un vitigno storico come il Moscato bianco del Salento, un Igp estremamente piacevole, che dà vita a un prodotto di grande equilibrio, ideale in abbinamento a piatti di pesce, anche crudo, crostacei e carni bianche. Perfetto a tutto pasto per le cucine delicate, ma anche proposto come aperitivo.
San Marzano, presente a Vinitaly con il direttore Mauro Di Maggio, ha stupito i wine writer presenti al tasting anche con il proprio Negroamaro, che in etichetta riporta la scritta “F”: prodotto in circa settantamila bottiglie, F è un vino ricco e complesso, che regala profumi di note speziate, frutti di bosco e, in bocca, note fruttate di ciliegia, marasca, lamponi. Ha un finale di grande persistenza e, grazie alla propria struttura, si rivela perfetto nell’abbinamento con piatti di carni rosse, selvaggina, grandi primi. Vinicola Mediterranea, di San Pietro Vernotico (Br), www.vinicolamediterranea.it, ha messo in degustazione due grandi rossi, destinati ad un pubblico di conoscitori, come sottolinea Giuseppe Marangio, amministratore delegato della cantina brindisina: due espressioni di Negroamaro, che hanno sottolineato l’impegno dell’azienda nella direzione della qualità. Due grandi vini, autentica espressione del territorio del Salento, del quale esprimono l’intensità climatica e la forte tensione verso l’eccellenza. Il Granduca 2010, Salice Salentino Riserva (vitigni: Negroamaro e, in piccola parte, Malvasia nera) di grande impatto olfattivo e di delicato equilibrio in bocca, esprime al meglio l’impegno produttivo dell’azienda, che sa di operare in un’area di straordinaria e consolidata vocazione viticola. Il secondo vino degustato, Emozioni, sempre 2010, è un Salento Igp: morbido, vellutato, sapido, pieno. Un concentrato di corpo e mineralità, che ben si presta all’abbinamento con carni rosse, selvaggina, formaggi stagionati e sapidi. Entrambi i vini si sono rivelati all’altezza delle attese: le due degustazioni, infatti, hanno messo in evidenza le caratteristiche del Negroamaro Puglia Igt e del Primitivo
Salento Igp, espressi rispettivamente dall’Orfeo 2011 e dal Fiore di Vigna, sempre 2011. Proposti in degustazione da Elena Ciurletti, che segue i mercati esteri per l’azienda di San Donaci, nel brindisino, hanno superato ogni aspettativa: Orfeo 2011, colore rosso rubino, bouquet ampio e sapido, gusto pieno e rotondo, è destinato alla ristorazione di qualità, che lo può proporre in abbinamento con piatti della tradizione a base di carne. Il secondo vino, il Fiore di Vigna 2011, le cui uve una volta raccolte subiscono un appassimento di tre settimane circa (tecnica utilizzata al nord ma tutto sommato innovativa per il sud). Il risultato che ne deriva è di un vino fragrante, dal bouquet avvolgente e intenso, con gusto pieno e maturo che rivela grande concentrazione aromatica.
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Al carcere di Bollate Masterclass di Berton
In alto da sinistra: Silvia Polleri, Fabrizio Pavesi, Jeff Martin e al centro Antonello Alfreducci.
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attenti di un gruppo di detenuti che all'interno del carcere lavora quotidianamente per la Cooperativa sociale Onlus di catering "ABC la Sapienza in Tavola", è andata in scena una lezione magistrale di Andrea Berton, testimonial di Eblex da ormai cinque anni, sulle possibilità in cucina della carne inglese, impreziosita da alcuni prodotti - come il sale Maldon e l'olio extra vergine di oliva Pianogrillo di Longino&Cardenal. In un'atmosfera di assoluto agio da parte di tutti i presenti, si è assistito alla preparazione della carne cruda con salsa di manzo all'olio extra vergine di oliva, patate soffiate e senape; agnello con salsa tonnata; filetto di manzo con purea di patata al limone e scalogno al sale. Un menu d'ecdi Elisa Facchetti cezione, di straordinario sapore, servito Carne inglese protagonista per lo per l'occasione dai detenuti presenti al speciale masterclass di Andrea Ber- masterclass, concluso con il dessert - otton. Un'esperienza unica, in tutti i timi i frollini e la gelatina al moscato! sensi, che per l'occasione ha visto preparato da ABC La Sapienza in Tavola, riuniti i grandi nomi del mondo delle di cui Silvia Polleri è Presidente: "In specialità alimentari: Eblex, Longino- questi dieci anni di lavoro in carcere ho sempre pensato che aver costitutio una &Cardenal, Ridings Reserve. cooperativa di catering sia stato davvero La casa di reclusione sperimentale di scoprire nuovi mondi; quando parti per Bollate cerca di attribuire, con grandissimi trovare una terra sconosciuta puoi farlo sforzi e impegno, una misura di dignità in due modi, da pionere o da pirata. Oralla pena che deve essere scontata. Nes- gogliosamente abbiamo scelto il primo. sun buonismo, solo un forte credo nella L'incontro con Longino&Cardenal ed riabilitazione delle persone che con un Eblex, promotori di questa iniziativa, è lavoro onesto possono trovare, ancora, stata la gioia nella sintonia, Andrea forse anche oltre le sbarre, una seconda Berton un dono. Persone e luoghi assovita, un'altra possibilità. E se è vero che lutamente differenti ma con un obiettivo il cibo unisce, mai come in questo caso comune: offrire il meglio, volere il meglio il cibo diventa argomento portante di un nel proprio lavoro. Aver accettato la reaprogetto di vita che restituisce ai detenuti lizzazione di questo evenun motivo di riscatto. Al carcere di Bollate to in carcere è tutto è possibile, persino trovare nelle cucine lo chef stellato Andrea Berton! E non solo. Il masterclass di Berton alla casa di reclusione di Bollate è stato un evento voluto da alcuni dei più importanti rappresentanti nel mondo della ristorazione: a partire da Eblex, Ente promotore dell'Industria Inglese delle Carni, Longino&Cardenal, distributori di cibi rari e preziosi, e Ridings Reserve, marchio di una delle più pregiate carni d'oltremanica, organizzato egregiamente dall'ufficio stampa Ne.www.s. Sotto gli sguardi
continuare a scoprire nuovi mondi". Grande energia ed entusiasmo anche da parte di Jeff Martin, responsabile dell'ufficio italiano di Eblex, di Antonello Alfreducci, direttore generale di Longino&Cardenal e di Fabrizio Pavesi, responsabile commerciale in Italia del Gruppo Dawn Meats, di cui Ridings Reserve è il brand di punta dello stabilimento Dawn Carnaby. La qualità di questi prodotti e la maestria, nonchè grande professionalità di Berton, hanno reso questo evento un'esperienza irripetibile, dove ancora una volta il cibo e la cucina ne sono usciti vincitori, oltre ogni possibile immaginazione. Straordinarie le diverse preparazioni di carni inglesi, dal sapore delicato e di ottima consistenza. A tavola con Jeff Martin sempre disponibile, di grande spirito apprendiamo alcuni dettagli sull'alimentazione dei bovini e degli agnelli, l'età di macellazione e i metodi utilizzati per la preparazione delle carni, e l'attività di promozione in Italia. Il pranzo, anticipato da un tour "educativo" guidato da Silvia Polleri all'interno della casa di reclusione di Bollate - in cui esiste anche un maneggio con cavalli provenienti dai sequestri di corse clandestine e un vastissimo orto botanico per il recupero di piante antiche -, ha voluto esaltare la cucina in tutte le sue sfaccettature, regalando a tutti i presenti una lezione culinaria di altissimo livello in cui le materie prime eccedono per assoluta qualità, raccontate da persone che sanno fare la differenza e che amano il proprio lavoro, ma soprattutto una lezione di vita.
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Stile italiano, Voiello e Marinella Famoso in tutto il mondo per le proprie cravatte napoletane “veraci”, sinonimo di alta artigianalità, eleganza e stile italiano, il marchio della sartoria napoletana di Marinella ha così incontrato un’altra icona dell’eccellenza, sempre partenopea, ma del settore alimentare. Voiello, antico marchio fondato nel 1879 a Torre Annunziata, garantisce una pasta ritenuta dai gourmet semplicemente perfetta, impeccabile, dedicata ai veri amanti del gusto. Durante la presentazione della nuova linea Voiello, connotata da un rinnovato packaging fresco e originale, il prezioso grano Aureo (ovvero il grano duro italiano di alta qualità) è stato dunque accostato alla seta preziosa che caratterizza, insieme ai noti e fantasiosi microdisegni, le cravatte di Maurizio Marinella, celebri in tutto il mondo. Durante la serata è stata anche presentata una nuova linea di formati, appositamente studiati per trattenere meglio i sughi e offrire “il massimo del piacere”: nascono così i “N.107 Spaghetti scanalati” e i “N.140 Mafalde corte”, due paste destinate a gourmand appassionati che, insieme ai “N.194, Il gruppo Barilla ha scelto l’atelier milanese di Maurizio Marinella per presentare la nuova collezione di pasta Voiello, il marchio di pasta napoletana che fa parte del colosso alimentare di Parma e che rappresenta un indiscusso vertice qualitativo nel settore delle paste di qualità.
In alto da sinistra: Pier Paolo Susani, direttore marketing Barilla-Voiello; Roberto Bassi, chef Barilla e Maurizio Marinella, amministratore unico di E. Marinella.
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Ziti arrotolati”, avranno la possibilità di gustare al meglio la pasta italiana di qualità. La conferma è arrivata dagli assaggi, preparati dallo chef di Casa Barilla, che hanno dimostrato la “marcia in più” della pasta Voiello, connoatta proprio dalla capacità di raccogliere al meglio i condimenti, olte che di trasmettere la fragranza e l’elasticità di un grano tutto italiano, espressione del nostro migliore made in Italy.
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Casale del Giglio identità laziale di Elisa Facchetti La terra laziale, interpretata con personalità e spirito di innovazione, ha saputo premiare il progetto della famiglia Santarelli, fra tradizioni, riscoperta e ricerca archeologica. Attivi nel mondo del vino dal 1914, oggi, con Casale del Giglio, rappresentano una realtà di riferimento nel panorama enologico laziale, grazie a un innovativo progetto di sperimentazione e di sviluppo del territorio dell’Agro Pontino. Ha da poco festeggiato il centenario dalla fondazione la famiglia della "Ditta Berardino Santarelli & Figli", vocata da più di un secolo all'imbottigliamento dei vini più noti del Lazio, da quando un mercante di vino, Berardino, approda a Roma aprendo il primo negozio di "Vini & Olii", a pochi passi dal Pantheon. Fino al 1955, anno in cui il nipote del mercante, Dino Santarelli, fonda la "Santarelli S.p.A.". Territorio fascinoso, l'Agro Pontino ammalia Dino, che crede sempre più nel progetto di dare alla luce una delle dinastie di vino migliori del Lazio: non lontano dall'antica città di Satricum, a Le Ferriere, nasce "Casale del Giglio", una realtà nuova, una sfida che la famiglia Santarelli si impegna a vincere donando valore a una terra ricca di con-
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trasti, circondata dai Monti Lepini e affacciata sul mare. Il risultato? Un grande progetto di ricerca, iniziato circa 30 anni fa, ha consacrato l'azienda quale produttrice di vini di rilevante qualità, vini sempre più apprezzati, grazie anche all'intervento, negli anni novanta, di alcune sperimentazioni su quasi 60 varietà di vitigni diversi, in collaborazione con alcune figure di spicco del panorama enologico: a partire dall’enologo di origine trentina Paolo Tiefenthaler, dalle collaborazioni con Attilio Scienza, Professore dell’Istituto di Coltivazioni Arboree dell'Università di Milano, del Prof. Angelo Costacurta dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano, del Prof. Fulvio Mattivi della Fondazione Edmund Mach – Centro Ricerca ed Innovazione dell’Istituto Agrario Provinciale San Michele all'Adige, nonché del Prof. Francesco Spagnolli, Preside dell'Istituto. Per un totale di ben 160 ettari di vigneti riconvertiti e numerose varietà introdotte. Risultati rilevanti sono stati riscontrati in primis su uve rosse, quali Syrah, Petit Verdot - considerato il loro vino di nicchia ed unico, infatti il vitigno proviene da Bordeaux e ha trovato nell'Agro Pontino condizioni ideali - e poi bianche come Sauvignon, Chardonnay, in seguito anche Viognier e Petit Manseng, nonchè il Tempranjio, i "vini innovativi". Interessante e
meritevole il progetto sull'Isola di Ponza, che ha permesso alla famiglia Santarelli di riscoprire un antico vitigno locale, la Biancolella, una varietà di origine campana a dire il vero, ma ora autoctona laziale, importata da Ischia ai tempi del regno di Napoli, ben più di 300 anni fa. Da queste uve in purezza viene prodotto il Faro della Guardia che ha ottenuto i 5 Grappoli dalla Guida Bibenda del 2014. Monovitgni o assemblaggi, l'attuale produzione offre una gamma di 20 referenze, tra cui compaiono anche una Vendemmia Tardiva, tre grappe e un olio, una produzione simbolo di rigorosa ricerca della qualità dei vitigni mantenendo sempre ben alta la filosofia dell'equilibrio tra qualità e prezzo. Una ricerca innata nella famiglia Santarelli, appassionata anche di archeologia. Antonio Santarelli da anni porta avanti il "Progetto archeologico di Satricum", che in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, con i Comuni di Aprilia, Latina e Nettuno e con l’Università di Amsterdam, sotto la direzione della Prof.ssa Marijke Gnade, ha permesso di individuare la "Via Sacra" che conduceva al Tempio della dea Mater Matuta, e al ritrovamento di un calice in ceramica usato per il vino risalente al V secolo a.C..
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Irpinia, piccoli e vincenti
Una degustazione di vini campani, organizzata a Vinitaly in collaborazione con la Camera di Commercio di Avellino, mette in evidenza etichette di notevole valore, spesso non sufficientemente conosciute, che esprimono al meglio le caratteristiche di unicità del territorio irpino. Lo spazio Winepression, allestito nel padiglione Campania dell’ultimo Vinitaly di concerto con la CCIAA di Avellino (presente con Luca Perozzi, segretario generale), sembra avere raggiunto il proprio obiettivo: far conoscere produzioni apparentemente “minori”, in realtà espressione di un territorio straordinario, in grado di competere (qualitativamente) con aree vinicole forse più celebri e paludate. Tra i vini degustati, tutti prodotti
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in Irpinia, in provincia di Avellino, alcuni hanno dato maggiori soddisfazioni, rivelando un impegno produttivo assiduo e determinato nella direzione di un costante miglioramento, in sintonia con le attese del mercato. Fra i vini degustati, ricordiamo in particolare il Greco di Tufo Docg 2012 dell’Azienda agricola dell’Angelo (www.cantinedellangelo.com). Ce lo ha presentato con grande passione Angelo Muto, nipote del fondatore dell’azienda, ubicata proprio nel villaggio di Tufo, il borgo che dà il nome al Greco: una realtà ormai giunta alla terza generazione che oggi è protagonista di un investimento mirato sul territorio. A Tufo vengono lavorati solo vigneti di proprietà, su una fascia collinare di notevole valore geomorfologico (i vigneti sovrastano le antiche miniere di zolfo, che nell’800 arrivarono a dare lavoro ad oltre 900 persone) e microclimatico. Il vino degustato, prodotto in circa ventimila bottiglie, è un piccolo capolavoro: forte di una spiccata mineralità, si presta alle esigenze di un consumatore attento, raffinato, alla ricerca di vini non banali,
espressione di autenticità territoriale (oltretutto in una logica di basso impatto ambientale). Il Greco che abbiamo degustato riassume in sé le migliori caratteristiche del vitigno, regalando sensazioni olfattive di spiccata intensità e offrendo, in bocca, nette percezioni di armonia ed equilibrio. Delicato, ma al tempo stesso leggermente sapido, lo riteniamo adatto - ovviamente - a piatti di pesce, frutti di mare e crostacei, ma anche a salumi di qualità, carni bianche e, perché no, formaggi freschi. Dal Greco di Tufo al Fiano: il vino degustato successivamente è della zona di Lapio ed è prodotto dalla Tenuta Scuotto (www.tenutascuotto.it), azienda di famiglia impegnata decisamente sul fronte dell’alta qualità, produttrice di Fiano, Falanghina, Aglianico. Adolfo Scuotto, il produttore, non esita ad affermare con orgoglio e passione che la sua azienda ha una sorta di “impronta di fabbrica”, una sorta di "difetto genetico", ovvero "amiamo le cose fatte bene". E, in effetti, le logiche che dominano la filosofia d’impresa della cantina sono qualitative prima ancora che commerciali. Ben lo dimostra il numero di bottiglie prodotte (meno di 40.000 complessivamente),
oltre allo stile di un vino come l’Oi nì (“Ohi, ragazzo…” una interiezione molto comune e diffusa, un invito all’azione. Un saluto…), il Fiano 100% propostoci in degustazione, un Igp che rivela da subito un’esplosione di profumi e che lo connota come un vino di grande eleganza. Fresco e persistente, ben si presta alla proposta nel canale horeca, dove trova uno spazio adeguato nella ristorazione di qualità. E sono tutti Dop i vini prodotti dalla Fattoria De Lillo (www.fattoriadelillo.it), un’azienda vinicola che negli ultimi tempi ha deciso di accelerare e di “comunicare in modo adeguato le proprie eccellenze”, come ci dice Pierpaolo di Guglielmo mentre ci propone in degustazione un Aglianico 2011, destinato a una sicura evoluzione, di cui “sono rimaste poche bottiglie”. Una vera chicca, che conferma l’impegno aziendale nella direzione della qualità. Anche il Taurasi 2009, propostoci dall’azienda, rivela struttura e mineralità: un vino che trova il suo spazio nella ristorazione qualificata e nelle enoteche specializzate, alla ricerca di prodotti di aziende forse meno conosicute, ma valide sotto l’aspetto della qualità. L’azienda Colline del
Sole (www.collinedelsole.it) nasce dall’esigenza della famiglia Iommazzo di dare continuità alla propria tradizione centenaria di viticoltori: così ci dice Roberto Iommazzo, enologo di famiglia, presentandoci i vini dell’azienda. Da quindici anni le Colline del Sole producono (in circa 120mila bottiglie complessive) la gamma tipica del territorio irpino: Taurasi, Greco di Tufo e Fiano di Avellino, tre Docg, più l’Aglianico Doc e la Falanghina del Sannio, sempre Doc, che rivelano impegno produttivo di notevole caratura e una esperienza enologica fortemente caratterizzata. Non a caso, l’azienda di
Torrioni è decisamente sviluppata sul fronte della qualità, come ben dimostrano i vini degustati a Verona. Su tutti spicca il Greco di Tufo 2013, prodotto in circa 40mila bottiglie, che esalta al meglio le caratteristiche del vitigno, così come per il Fiano, sempre 2013: di colore giallo paglierino, profumo intenso, ha un sapore fresco e armonico. Si abbina perfettamente con piatti raffinati di pesce, ma è anche ideale per essere sbicchierato durante aperitivi che vogliano fare la differenza.
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Budweiser Budvar ritorno alle origini di Elisa Facchetti Budweiser Budvar può essere prodotta solo nella città d’origine: Ceské Budejovice, in tedesco Budweis (nome ufficiale della città fino al 1945), con l’indicazione geografica protetta "birra di Budweis". Una bionda tutta da gustare nata più di 300 anni fa, ora ritrovata e riconosciuta con il suo brand originario dal Gruppo Biscaldi. ^
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Protagonista da ben 45 anni nel mondo del beverage il Gruppo Biscaldi ha fatto dell'importazione esclusiva in Italia di birra e bevande il successo della propria attività. E sono di fatto le "bionde" a designare per tradizione la categoria più rappresentativa dello storico Gruppo, selezionate e ricercate in tutto il mondo, dalla birra giapponese Asahi a quella estone Viru, fino alla nota bionda americana Samuel Adams. Una lista senza eguali, per qualità e varietà, che oggi annovera, dopo anni di attesa, un ritorno alle origini per una "classica". Biscaldi festeggia così l'annuncio che Budejovický Budvar è tornata ad essere chiamata anche in Italia con il suo marchio originario, ovvero Budweiser Budvar. Rinomata birra boema della città di Budweis Budweiser in tedesco -, centro di antichissima tradizione birraia, dove la versione bionda lager viene prodotto dal 1700 nel rigoroso rispetto della Purity Law tedesca del 1516, con ingredienti unici: acqua purissima di una antica sorgente sotterranea, luppolo aromatico di Saaz e malto
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di Moravia. Materie prime di elevata qualità e metodo tradizionale con 90 giorni di maturazione rendono questa birra unica e irriproducibile, a tal punto da indurre l'Unione Europea a riconoscere il logo IGP quale garanzia per il consumatore. Che saprà riconoscere il gusto pieno ed intensamente luppolato, un corpo ben strutturato, un colore dorato unico, caratteristiche distintive di un metodo di lavorazione segreto che solo i mastri birrai possono tramandare di generazione in generazione. In tutto questo Biscaldi continuerà la distribuzione a livello nazionale, forte del successo già raggiunto in questi anni, successo che sarà ulteriormente accresciuto dall’utilizzo del brand originario Budweiser Budvar.
focus
Viticoltori Ponte evoluzione in Cantina continua evoluzione. Con tanti progetti realizzati e un sogno nel cassetto ancora da svelare.
di Elisa Facchetti Dal 1948 ad oggi Cantina Ponte ha saputo diffondere la cultura dei vini della terra veneta divulgando i principi che l'hanno caratterizzata da sempre: un gruppo di lavoro fatto di agricoltori, operai, agronomi, enologi, dirigenti e venditori, insieme per il bene comune della cooperativa, composta oggi da ben 1300 viticoltori soci. Un iter che segna la dinamicità di un'azienda in
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Cantina Ponte è una cooperativa vinicola fortemente legata al proprio contesto territoriale, un'appartenenza tale da diventare il nome più noto dell'intero distretto vinicolo affermandosi come una delle più importanti realtà produttive del Veneto. Artù ha già raccontato, in altre puntate, la sua storia, i progetti ad essa legati, delineando a tratti i punti salienti del successo e l'espressione autentica dei suoi vini. Ma l'accento oggi si posa sull'aspetto di una realtà in continua evoluzione caratterizzata per sua natura da un dibattito costruttivo fra tutti i protagonisti - e sono tanti - che hanno fatto di questa cantina una cooperativa vincente. Tra i progetti l'accordo siglato con il Teatro La Fenice con la linea di vini La Fenice; I Giò, linea connotata da grande versatilità adatta a essere consumata in diverse occasioni e naturalmente l'impegno nei confronti dell'ambiente, concretizzato con un impianto fotovoltaico che copre ben il 45% dell'intero fabbisogno energetico dell'azienda. L'attenzione all'ambiente, ma anche al prodotto, grazie all'uso di macchinari tecnologici e all'avanguardia, si riflette nell'impegno alla trasparenza verso il consumatore con il conseguimento di importanti certificaizoni. Un impegno che ha visto la Viticoltori Ponte aderire
al progetto Magis che riunisce produttori di vino, comunità scientifica, enologi, associazioni e industria con il fine di migliorare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica del vino italiano. A illustrare la costante evoluzione di Cantina Ponte Massimo Benetello, direttore generale: "Ponte è una cantina storicamente e fortemente radicata al suo territorio e allo stesso tempo è davvero in costante evoluzione. Noi siamo orgogliosi di farne parte e vogliamo impegnarci a rendere l’azienda una realtà sempre più capace di imprimere una traccia positiva sia a livello produttivo che a livello di innovazione del modello manageriale cooperativo. Negli ultimi anni abbiamo concretizzato alcuni progetti per noi molto importanti come l’adesione al protocollo Magis, il prestigioso accordo di licensing firmato con il Gran Teatro La Fenice, la creazione di due nuove linee ciascuna con una precisa vocazione: i vini Giò dedicata a un pubblico più spensierato e i grandi Campe Dhei espressione della massima eccellenza e tipicità territoriale". Il progetto Campe Dhei, come ci spiega Benetello, ha radici lontane e rappresenta la linea di vini di maggior qualità e di pregio, ma anche quella che esprime con vigore il legame con il territorio veneto e in particolare del basso corso del Piave: "Tipicità quindi, ma anche selezione delle cinque referenze della linea, che nascono da un’accurata valutazione delle migliori uve coltivate in terreni scelti per la loro particolare conformazione pedomorfologica. Il valore del legame di questi prodotti con il territorio, elemento unico che contribuisce a differenziare un vino, a renderlo irripetibile trasmettendo le caratteristiche del vigneto alla bottiglia, è esplicitato anche nelle etichette che evocano nei tratti grafici i piccoli appezzamenti di terreno e che hanno ottenuto il plauso della giuria del Concorso Internazionale Packaging di Vinitaly 2014, che ha premiato Prosecco Millesimato Campe Dhei con la medaglia di bronzo". Con un progetto di riqualificazione aziendale inziato già nel 2011 Vitcoltori Ponte punta ora anche al restyling della piattaforma online con un nuovo sito ricco di contenuti (www.viticoltoriponte.it). In pri-
mo piano la produzione, le enoteche dirette e numerose informazioni sull'azienda, ma non solo. Il nuovo sito aggiorna gli utenti anche sulle iniziative enogastronomiche nel territorio veneto ed è studiato ad hoc per coinvolgere direttamente l'enogastronauta con due sezioni divertenti e accattivanti: una dedicata alle ricette in abbinamento ai vini della cantina, l'altra, "Sei di Vino", per scoprire quale vino Ponte sia più adatto alla propria personalità. Il nuovo sito e il nuovo approccio al mondo del web, con un'attenzione crescente agli abbinamenti cibo-vino, rivelano senza dubbio un'ulteriore crescita della cooperativa agricola interessata a fare cultura del vino anche attraverso altri canali: "Il vino è il prodotto iconico della convivialità ed è indissolubilmente interconnesso al mondo enogastronomico - dichiara Massimo Benetello -. Forse proprio in virtù della loro naturale vocazione alla condivisione sia il vino che il cibo hanno trovato uno spazio incredibile sul web dove la parola d’ordine è appunto condividere, inevitabile quindi che prendessimo parte attiva anche noi per contribuire a valorizzare la cucina della nostra terra e l’abbinamento con i suoi meravigliosi vini". Numerosi duqnue i progetti sostenuti da Cantina Ponte, ma nel cassetto c'è un sogno ancora da realizzare o un progetto in fase di elaborazione? "Sì - ci confida Benetello -, c’è un sogno che abbiamo accarezzato a lungo e finalmente sta 'uscendo dal cassetto' per concretizzarsi in un nuovo entusiasmante progetto e non vediamo l’ora di poterlo raccontare… ma per ora è ancora troppo presto!". Artù n°62
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I vini naturali protagonisti di Sestri Les Vins 2014
di Giovanna Moldenhauer L’Ex Convento dell’Annunziata, affacciato sull’incantevole Baia del Silenzio di Sestri Levante, ha fatto da scenario alla seconda edizione di Sestri Les Vins 2014, la manifestazione nata dalla collaborazione di Vinnatur, associazione viticoltori naturali, con il Consorzio SestriLevanteIn che promuove la località e il territorio della cittadina ligure. Nei due giorni si sono avvicendati nelle belle sale della struttura 1.300 visitatori provenienti dalla Liguria e dalle regioni limitrofe, con un incremento di pubblico del 30% rispetto alla scorsa edizione. Decine di appassionati hanno partecipato alle cene-degustazione organizzate nelle serate precedenti l’evento presso i ristoranti iscritti al Consorzio distribuiti su tutto il territorio sestrese. Il pubblico ha seguito i diversi laboratori dedicati all’olio Dop, al pane, alla pasta, organizzati dalle aziende di gastronomia espositrici. Tra di loro Longino & Cardenal, selezionatore di specialità alimentari, preparava piccoli assaggi con i filetti d’acciughe Nardin del mar Can-
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tabrico, con i peperoni Navarrico gustosi e morbidi. I produttori vinicoli, provenienti dalle diverse regioni d’Italia, con alcune partecipazioni estere, interagivano con le persone intervenute presentando i loro vini, parlando della loro artigianalità. Tra loro Aurelio del Bono di Casa Caterina, azienda di Monticelli Brusati in Franciacorta, aveva in degustazione un emozionante Brut Classique 2004 da Pinot Nero 100% rimasto sui lieviti per otto anni. Marinella Camerani di Corte Sant’Alda da Mezzane di Sotto proponeva un armonioso e complesso Valpolicella Ripasso Superiore Campi Magri 2010 in formato magnum. Angiolino Maule dell’azienda La Biancara aveva tra le sue etichette un Recioto di Gambellara 2008 con profumi sfaccettati di canditi, un assaggio ricco, lungo dalla dolcezza contenuta. Dalla Toscana, e più precisamente dall’appennino toscano del Mugello, Marzio Politi mesceva un Pinot nero 2010, equilibrato al naso e in bocca, vinificato con un 50% di grappoli interi e un passaggio di 18 mesi in barrique. Marco Sferlazzo, di Porta del Vento, da Camporeale nella zona di Alcamo in provincia di Palermo, vinifica da impianti ad alberello uve Catarratto per l’etichetta Sarai. Il millesimo 2009, vino di grande complessità nei profumi, dalla beva importante, è stato fermentato in botti di rovere aperte a contatto con le bucce per 30 giorni, affinato per un anno prima dell’imbottigliamento. Queste aziende in regime biodinamico, biologico per la realtà siciliana, hanno scelto di produrre vini senza l’aiuto della chimica, né in vigna, né in cantina, di usare meno solfiti durante la vinificazione. Gli espositori esteri provenienti dalla Francia e dalla Slovenia davano in assaggio tra l’altro interessanti spumanti di Jean Francois Mérieau dalla piacevole mineralità da uve Chenin blanc della Loira con un 20% di Chardonnay, ottenuti sia con la classica rifermentazione in bottiglia che con il metodo ancestrale (la rifermentazione in bottiglia del mosto parzialmente fermentato avviene senza aggiunta di zuccheri, i residui dei lieviti non vengono
eliminati perché non è eseguita la sboccatura, ndr). Durante il secondo giorno si è tenuta una tavola rotonda dedicata al tema “Vino e salute” frequentata dal pubblico e dalla stampa presente. Angiolino Maule, presidente e fondatore di Vinnatur, ha commentato “Lo stretto rapporto con il mondo scientifico ci permette di fare importanti passi avanti verso la tutela della salute nostra e dei consumatori. La Professoressa Laura Di Renzo e il suo team della Sezione di Nutrizione Clinica e Nutrigenomica dell’Università degli Studi di Tor Vergata Roma hanno dimostrato come l’adozione di pratiche viticole ed enologiche naturali influenzi le proprietà nutrizionali del vino, che risulta ad esempio più ricco di antiossidanti e quindi capace di ridurre in maniera significativa i processi ossidativi sviluppati dal metabolismo umano. Un valore nutraceutico che è capace di
contrastare anche l’effetto pro-ossidante di pasti ad alta percentuale di grassi. Risultati come questi ci spingono a fare sempre meglio, con coscienza, il nostro lavoro di vignaioli per offrire a tutti un prodotto sano, oltre che buono”. La partecipazione del pubblico alle degustazioni, agli assaggi dei prodotti gastronomici, alla tavola rotonda, confermano un interesse crescente nei confronti dei vini naturali, protagonisti principali di Sestri Les Vins. I numerosi eventi all’insegna del biologico, del biodinamico, dell’autenticità che si sono svolti dall’inizio del 2014 ne sono senza dubbio una conferma evidente: a febbraio Vini di Vignaioli a Milano (replicato a Roma il mese seguente) e Sorgente del Vino a Reggio Emilia, ad aprile si sono tenute Villa Favorita a Sarego, Summa a Magrè sulla strada del vino, Vini Veri a Cerea, Vivit e Vinitalybio all’interno di Vinitaly.
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Grangusto
I napoletani fan la spesa con
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di Theo Smith Ha aperto in sordina nel novembre del 2012 senza clamori e suoni di tromba e nel giro di un anno è diventato una delle destinazioni più amate dai napoletani, ma anche da tanti buongustai in transito sotto il Vesuvio. Un locale multifunzione che ha letteralmente affascinato la città partenopea. Si chiama Grangusto ed è un palazzo in ferro e vetro dove si fa la spesa quotidiana, si prende il caffè al mattino, l’aperitivo serale e dove si mangia una buona pizza o si cena à la carte. Difficile definirlo in una sola parola: potrebbe essere un concept store del gusto, ma il concetto rende poco l’idea. Grangusto è bar, ristorante, enoteca, pizzeria, mercato di prodotti di consumo e vetrina gourmandise: un mondo dedicato al cibo come incontro, cultura, piacere, consumo quotidiano. È aperto tutti i giorni fino a tarda sera e col passare delle ore cambia faccia, pubblico, offerta. L’indirizzo è via Marina, numero 5, posto strategico: di fronte al porto dove attraccano le navi da crociera e gli aliscafi per le isole del golfo; a cinque minuti a piedi da Spaccanapoli,
il centro antico della città; a dieci minuti dalla Stazione centrale appena rinnovata. Centralissimo, dunque. E facile da raggiungere, con parcheggio interno. Di mattina è gremito di studenti universitari e di signori in abito scuro e cravatta: a pochi passi c’è il polo dello shopping partenopeo e l’Università Federico II. Il mercoledì è il giorno dei pensionati che possono usare una carta sconto speciale, la Gold card, che gli assicura il 20% di sconto sulla spesa del giorno. Il sabato e la domenica ci trovi le signore di Chiaia e di Posillipo a far la spesa perché qui trovano di tutto: dai legumi biologici al prosciutto iberico da 200 euro al chilo, dal burro in coccio della Normandia alla migliore pasta di Gragnano Igp. Il mercato occupa due piani della struttura (ben collegato al parcheggio sottostante) e propone prodotti di consumo quotidiano, rarità nazionali ed estere e qualche simpatico divertissement gastronomico come i Sali del mondo, un ampio ventaglio di acque minerali, patè francesi e gelatine di vino. Il tutto esposto e proposto in maniera trasversale, cosa che a qualcuno può non piacere, ma che ha il suo perché. Chiamiamola pure democrazia del gusto. Nel banco macelleria le carni, estere e nazionali di altissima qualità, vengono frollate in un'apposita cella con pareti di sale himalayano, che conferisce loro tenerezza e gusto. La scelta è davvero ampia: dall’Angus scozzese a quello australiano, la fassona piemontese e l’agnello di
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razza Laticauda, tanto per citarne qualcuna. Ma il vanto di Grangusto è la panetteria con forno interno, rigorosamente a legna, alimentato solo da ciocchi biologici di puro faggio. Le farine sono di alta qualità, come anche tutti gli ingredienti che concorrono a fare oltre settanta varietà di pane - integrale, al latte, con le noci, le olive, ai cinque cereali, ai funghi, alle scarole - sfornate tre volte al giorno dai maestri fornai di San Sebastiano al Vesuvio, la cittadina della provincia di Napoli rinomata per la millenaria tradizione dell’arte bianca. Non da meno i dolci e la pasticceria Grangusto: torte tipiche, biscotti di frolla, cioccolato artigianale e poi tutti i lievitati della tradizione, panettone a Natale e colomba a Pasqua. Gli spazi sono da grande distribuzione, ma l’offerta, la produzione è tutta artigianale ed è questo il vero valore aggiunto del
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posto. A Grangusto dunque si fa la spesa, ma si mangia anche una vera pizza napoletana, si fa la prima colazione al mattino consultando internet o leggendo un quotidiano, si fa l’aperitivo e si cena nel ristorante che occupa il primo piano dell’edificio. In cucina, a vista sulla sala, c’è un giovane chef partenopeo, Roberto Verducci, che
dal mese di marzo guida una brigata formata da Gino Pesce, una stella Michelin, chef e patron dell’Acqua Pazza di Ponza che ha passato l’inverno nelle cucine di Grangusto come tutor d’eccezione, portando la sua filosofia culinaria: leggerezza, cultura mediterranea, attenzione alle materie prime. L’unicità di cenare da Grangusto consiste nella possibilità di scegliere tra gli scaffali e i banchi del mercato quello che si desidera mangiare: il banco del pesce offre il meglio del pescato fresco selvaggio del Tirreno, dal banco delle carni si può scegliere la bistecca di Kobe o la carne di fassona e tanto
altro ancora. E il vino? Si spazia tra oltre mille etichette nazionali e internazionali in bella mostra nell’enoteca Grangusto dove due sommelier, ogni giorno, suggeriscono vini e abbinamenti. Lo spazio vini è un viaggio nel viaggio: una sala interamente ricoperta di scaffalature di legno ricolme di vini di ogni provenienza dove spesso i produttori vengono a fare presentazioni e degustazioni. E last but not least, lo champagne: una stanza climatizzata dove i fanatici delle bollicine d’oltralpe possono scegliere tra oltre sessanta maison. www.gran-gusto.it
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Jamón Ibérico 24
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lo dicono anche i numeri, che in questo caso parlano chiaro visto che su una produzione annua, in Spagna, di circa 44 milioni di prosciutti, solo 100mila sono considerati Puro di Bellota. A ribadirlo anche una nuova normativa (vedi il box esplicativo) che dovrebbe consentire di fare maggior chiarezza nel mare di denominazioni legate al prosciutto spagnolo. Lo abbiamo scoperto in una recente visita in Andalusia, in una delle patrie riconosciute del Jamon, il centro collinare di Jabugo, dove in spazi ampi, tra tenute storiche e consorzi di produzione, si entra a stretto contatto con la realtà quasi mistica della lavorazione di Gualtiero Spotti del suino iberico. Una delle maggiori realtà locali, qui rimane, ormai con trenSi fa presto a dire Jamon t’anni di attività alle spalle, il Consorzio Iberico. Quando si parla di Jabugo, una società che elabora vari del celebre prosciutto di insaccati ricavati dal suino iberico, oltre provenienza spagnola biso- a commercializzare e distribuire alcuni gna sempre fare attenzione prodotti di punta spagnoli quali i formaggi a sigilli di certificazione, di latte crudo di pecora e il Cava, l’equialimentazione del maiale, de- valente iberico dello spumante. A 700 nominazione e caratteristiche. Perché sono tutti elementi che concorrono a determinare una diversa qualità e, chiaramente, un diverso prezzo. Artu’ è entrato con decisione su questo argomento controverso e ha cercato, come di conJabugo sueto, di fare chiarezza.
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Il non plus ultra dei prosciutti, e lo sanno bene gli esperti in materia, rimane il Puro de Bellota, ovvero il Pata Negra, ricavato dai suini di razza pura iberica che compiono la Montanera (ovvero il raggiungimento del peso di 46 chili) e che si nutrono esclusivamente di ghiande. Tutti gli altri, pur di ottima qualità, sono qualcosa di estremamente diverso. E ce
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Siviglia
Huelva
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metri d’altezza, sfruttando una temperatura più favorevole alla stagionatura del prosciutto grazie alla costante presenza di freschi venti durante la stagione invernale (qui l’escursione termica tra giorno e notte è sensibile), vengono macellati e lavorati più di 20mila maiali all’anno seguendo criteri artigianali che consentono di mantenere alta la qualità, sia che si tratti del prosciutto o della spalla del suino, o dei
vari insaccati della sierra di Huelva (Cana del Lomo, Chorizo rosso, Lomito). Il grande stabilimento del Consorzio, che si staglia in cima a una collina, racchiude un tesoro dal sapore unico, frutto della maturazione in grandi sale che fungono da essicatoi naturali nei quali, dopo la salatura e la speziatura, il prodotto finale prende forma, perdendo gradualmente peso. L’ultima fase in cantina, chiamata Sotano, è il momento nel quale il Jamon acquisisce il caratteristico aroma, come ricordano i mastri cantinieri che con perizia controllano la stagionatura punzecchiando con un osso varie parti del prosciutto, in corrispondenza delle vene principali e dell’osso del femore. Dove, assicurano, si sente in maniera netta se c’è un minimo accenno di putrefazione. Poi un altro indirizzo da non mancare, non troppo lontano da Jabugo, è la Tenuta Lo Alvaro di proprietà della famiglia Domecq, produttori pionieristici che hanno fatto dell’alta qualità dei loro prodotti una vera e propria missione. Conosciuti in Spagna più forse per l’allevamento dei tori selvaggi (nella splendida e immensa tenuta di diversi ettari questi
Juan Pedro Domecq ©
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Non basta dire Jamón PRODUZIONE: Produzione annua totale di prosciutti crudi circa 44 milioni Di cui: Produzione totale annua di Jamón Ibérico circa 2 milioni Di cui: Di Suino iberico PURO di BELLOTA circa 100.000 Dei 2 milioni meno del 20% sono di BELLOTA (Puro e meticcio) circa 380.000 La maggioranza (1.620.000) dei prosciutti iberici provengono da suini iberici incrociati e alimentati con mangimi e nel migliore dei casi con ció che trovano in campagna. Quindi ė impossibile che tutti i prosciutti con la dicitura “bellota” lo siano veramente. DEHESA: Il suino Iberico de Bellota vive e fa la “Montanera” nelle Dehesas, che sono le foreste di querce delle cui ghiande si alimentano (oltre a erbe aromatiche, rosmarino, salvia..). Esistono, nelle Dehesas, tre tipi di querce, che portano a maturazione le proprie ghiande in periodi diversi per cui il suino iberico può alimentarsi di bellotas da ottobre/novembre sino a marzo: ENCINA (Quercus quercus) la quercia che noi conosciamo ALCORNOQUE la quercia da sughero QUEJOGOS la quercia portoghese MONTANERA: Durante la Montanera il suino iberico, per essere definito de Bellota, deve ingrassare di almeno 46 kg. In un ettaro di solito sono presenti 30 alberi. Ogni albero contribuisce mediamente ad 1 kg di aumento di peso. Quindi ogni suino necessita di almeno 46 alberi, cioè di 1 ettaro e ½ di bosco. DENOMINAZIONI DI ORIGINE: Esistono quattro denominazioni di origine: GUIJUELO Provincia di Salamanca (Castilla y Leon) HUELVA Provincia di Huelva (Andalusia) LOS PEDROCES Provincia di Granada (Andalusia) DEHESA DE EXTREMADURA Provincia di Badajoz (Extremadura) N.B.: Jabugo non è una D.O. NUOVA NORMA Quest’anno è entrata in vigore la nuova norma che promette di regolamentare in maniera definitiva l’etichettatura degli Jamón Ibérici. Per prima cosa è vietato usare sulle etichette immagini di querce o di ghiande se il suino non è di Bellota. La classificazione prevede quattro tipi di jamón a seconda dell’alimentazione e della vita dell’animale e ad ognuno viene destinato un sigillo inamovibile di colore diverso. CEBO: Suino che vive stabulato e che viene alimentato con mangimi SIGILLO BIANCO CEBO DE CAMPO: Suino che vive in campagna e si ciba di erbe e radici e che viene portato a peso con mangimi. Potrebbe alimentarsi per periodi limitati anche di ghiande. Ė quello che precedentemente si definiva RECEBO SIGILLO VERDE BELLOTA: Suino incrociato (si deve dichiarare la percentuali di IBERICO) che compie la Montanera e che quindi arriva a peso con le ghiande SIGILLO ROSSO BELLOTA PURO PATA NEGRA: Suino di razza PURA IBERICA che compie la Montanera e che arriva a peso cibandosi di ghiande SIGILLO NERO
girano indisturbati e non manca una piccola arena per spettacoli e corride familiari), i Domecq commercializzano in realtà prodotti derivati dal suino 100% iberico, della varietà Lampiña (glabri, senza pelo), alimentati rigorosamente con ghiande (bellota). Ma a differenza di buona parte dei produttori in circolazione, gli animali di Domecq provengono da padre e madre di razza 100% iberica, mentre la norma richiede che lo sia solamente la madre, affinché si possa considerare l’animale iberico. E non è tutto, i suini di Domecq prolungano di quasi il doppio del tempo il periodo della Montanera durante il quale gli animali aumentano di peso, arrivando dai 60 giorni richiesti dalla normativa fino ai 120, durante i quali i maiali si cibano esclusivamente di ghiande; ed è questa una scelta che porta il prodotto fi-
N.B.: Solamente il Bellota di razza Iberica Pura potrà chiamarsi PATA NEGRA
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A lato: branzino con morcilla di maiale iberico, carciofi e punte d’asparagi verdi, piatto del ristorante Abantal.
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nale ad avere un sapore e un aroma più intensi. Distributore in Italia di questi prodotti di eccellenza è ormai da diversi anni l’esperto Beppi Bellavita, un bergamasco con la passione per le cose buone (e in particolare per il Pata Negra), che raccoglie le eccellenze di Jabugo e di Domecq per portarle sulla tavola degli italiani anche attraverso alcuni dei migliori ristoranti che si affidano alla sua esperienza in materia. Per tutti gli altri, almeno se si vuole cercare di distinguere in maniera immediata la differenza tra un jamón ibérico e un Pata Negra Puro de Bellota, ci sono almeno un paio di cose da sapere. La prima è che la zampa e la caviglia di un prosciutto Pata Negra de Bellota sono molto più sottili rispetto agli altri prosciutti; e poi che, ma per questo dovete dotarvi di un termometro, il Pata Negra a 10 gradi inizia a “sudare”. Ed è anche per questa ragione che poi si scioglie in bocca. Se invece vi trovate dalle parti di Siviglia due esperienze a tavola possono risultare significative se si vuole conoscere meglio il mondo del suino iberico. La prima è al ristorante Don Juan de Alemanes, a fianco della magnifica cattedrale cittadina, dove ci si può affidare alle mani esperte di un Cortador, per il taglio del prosciutto, oppure si possono scegliere alcuni piatti della tradizione locale (da non perdere anche i dolci messi in bella mostra in una gran de vetrina). Oppure si vira decisamente verso le costruzioni estetiche più raffinate e personali di Julio Fernandez Quintero, il cuoco dell’unico ristorante stellato di Siviglia, Abantal. In carta si trovano la pluma di maiale con stufato di rapa, prugne e patate, il branzino accompagnato dai carciofi, con asparagi verdi e morcilla di maiale iberico e, tra i dolci, la crema di maracuya con granita di hierbabuena e cioccolato, o il cannellone di cachi ripieno di crema di formaggio, con cioccolato bianco e zuppa di lemongrass.
www.consorciodejabugo.com www.jamonesjuanpedrodomecq.com www.donjuandealemanes.es www.abantalrestaurante.es www.patanegra.it
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Il Crotto del Sergente Risorsa lariana di Rocco Lettieri Al fresco sulla collina di Como, un ristorante storico che sa coniugare tradizione e tipicità con spirito moderno, in un contesto decisamente caratterizzato: una terrazza open air sui monti, un’atmosfera stile rustico, ambiente familiare e rilassante. La cucina è semplice, ma curata con scelta di prodotti il pù possibile a km “0”. Aprendo così un articolo si ha già la visione di quanto stiamo descrivendo. Ma non è tutto. Qui a farla da “patron” non è solo l’ambiente, la terrazza, la cucina, ma i due personaggi Massimo Croci, conoscitore di vini e cultore del territorio, in chiave enogastronomica, da vero padrone di casa, racconta i piatti e dà sfogo alla sua passione, proponendo ai clienti le pietanze che l’altro personaggio, Riccardo Manzoni chef lecchese di Imbersago - inventa giorno dopo giorno con una passione innata che lo porta a dare spazio alla creatività, che pochi si aspetterebbero di trovare in uno storico “Crotto”. La storia del ristorante ha origine antichissima... . Fin dal ‘700 venne utilizzato come tale. Un ambiente esclusivo, molto caratterizzato, con due calde salette arredate con cura e curiosi quadretti alle pareti. Oltre alle sale, nel
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vecchio Crotto, al piano superiore ci Qui sopra Massimo, GianMaria, sono spazi riservati per organizzare Riccardo e Alessandro. eventi privati per pranzi o cene per anniversari e cerimonie. Due spazi per i clienti: la Sala dell’Amicizia per accogliere 44 persone in un tavolo unico o 54 persone con tavoli separati e la Sala Camino, più riservata, con un unico tavolo per 15 persone. Una cantina vera e propria, visti gli esigui spazi, non esiste, ma numerose sono le bottiglie a vista posizionate sugli scaffali lungo le pareti; vini soprattutto del territorio per percorrere e
approfondire la conoscenza delle produzioni locali e poi di tutte le regioni italiane, anche con etichette di piccoli e qualificati produttori, con un occhio di riguardo al rapporto qualità/prezzo. I vini che figurano in carta, cosa allettante, si possono acquistare per asporto con confezioni regalo personalizzate. Forte di una tradizione antichissima che utilizzava la cavità naturale nelle montagne per conservare cibi e vini, oggi il locale è apprezzato per la rusticità elegante e per i tavoli ben apparecchiati, con tovaglie di friandra e fiori freschi. L’antica grande volta rivestita di mattoni è tutta originale, così come la ghiacciaia e il portone ottocentesco con incastonate monete d’epoca. La cucina, come si diceva, è espressione di tipicità, di ricerca e di raffinatezza. La fantasia, ma soprattutto un approfondimento delle materie del territorio, ha trasformato le idee più classiche in fantasiose. Il menù cambia ogni mese
con una serie di proposte per soddisfare le esigenze dei numerosi clienti che vengono anche dalla vicina Svizzera, indirizzati dal passa parola. Un locale dove è d’obbligo concedersi una sosta slow abbandonandosi al gusto della buona tavola. Luogo di amicizia e di aggregazione, il Crotto del Sergente, ha fatto il suo ingresso da poco nell’associazione “Slowcooking, cucina e cultura del territorio”. Ed è già attivo il sito con le date di svolgimento delle 14 tavole: www.slowcooking.it A Massimo Croci,
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in sala, danno valido aiuto Alessandro Morza e Massimo Rossi. I due chef che invece stanno ai fornelli con Riccardo, sono i giovani Bruno e Giovanni che, anche a pieno regime, riescono a combinare la qualità delle materie prime con piatti tradizionali pieni di creatività, quali ad esempio, per una cena tra amici: “sformato caldo al Radicchio Trevisano con coscette di quaglia glassate al vino rosso” oppure “arancino di pizzoccheri con crema di verze”; tra i primi: “tagliolini freschi di grano saraceno con ragù di pecora brianzola e carciofi (Presidio Slow Food®)” o anche “tagliolini alla carbonara di lago con missoltino e anguilla affumicata (Presidio Slow Food ®)”; nei secondi: “tagliata di cervo con pera caramellata e composta di mele renette e zucca” e per chi vuole pesce: “filetto di salmerino spadellato con purea di indivia belga”; in chiusura i formaggi dei territori alpini delle vicinanze: Val Menaggio e Valsassina.
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Peccare alla fine è un diritto con “I peccati del Crotto - i nostri Dolci fatti in casa”. Il menù, in continua evoluzione, cambia di mese in mese. In Febbraio e Marzo, tutti i giovedì sera “bollito misto piemontese”. A dar man forte e coraggio a Massimo Croci ci sono gli altri tre colleghi titolari con i quali condivide anche la proprietà del Ristorante Caffè Teatro, in Piazza Verdi, a Como, a due passi dal Duomo. Un valore aggiunto dei due locali, da non trascurare: la cucina rimane aperta fino a tarda sera per favorire anche la clientela che deve attardarsi per lavoro e/o per diletto. Il locale osserva il turno di chiusura il mercoledì e il sabato a pranzo. Nei fine settimana è preferibile la prenotazione. www.crottodelsergente.it
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Capo d’Africa, la terrazza gourmet
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di Alberto P. Schieppati Il roof garden dell’albergo romano, un boutique hotel a due passi dal Colosseo, rimanda al film vincitore dell’Oscar. E, in effetti, “la grande bellezza” è anche qui, in questa struttura nel cuore del Celio, rivitalizzata da una conduzione dinamica e innovativa. Il giovane chef del Bistrot L’Attico, Davide Lombardi, colpisce per la sua mano fresca e creativa, così come la direzione di Alessandra Laterza, alla guida dell’hotel, evidenzia il nuovo corso del Capo d’Africa.
Qui sopra: pappardella ripiena di funghi porcini alla pescatora.
Il Colosseo è a soli duecento metri. Il tu- Qui sopra: lo chef Davide Lombardi rismo internazionale che invade la città con il direttore della struttura ogni giorno dell’anno è solo un ronzio Alessandra Laterza. lontano, un leggero rumore di sottofondo, impercettibile e discreto, che proprio non disturba. Siamo nel cuore del Celio, il “rione” romano, delimitato da strade parallele ricche di abitazioni signorili e chiese storiche, ma anche di botteghe artigiane, di negozietti atipici, di atelier d’artisti: un quartiere che attira un turismo culturale, fatto di amore per la curiosità, la memoria, l’autenticità che questa capitale non ostenta, ma nasconde in modo esclusivo dentro a questo reticolo urbano di grande suggestione. Sì, perché Roma non offre solo la sua esibita monumentalità, ma anche l’opportunità di scoprire angoli meno appariscenti, meno sfacciati, che ti fanno pensare di essere in una città a misura d’uomo. Nonostante la evidente “messa in mostra” di un patrimonio artistico senza uguali. L’hotel Capo d’Africa (www.hotelcapodafrica.com) è al centro di questa “grande suggestione” o, meglio, di quella “grande bellezza” che proprio qui, in questi palazzi, ha visto nascere la storia di Jep Gambardella, protagonista Artù n°62
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delle serate romane nel film di Paolo Sorrentino, vincitore dell’Oscar. Così, se sulla terrazza di Jep si snodavano le esistenze dei protagonisti del film, sul roof garden del Capo d’Africa si svolge, ogni sera, una “prima” gourmet che colpisce per stile, qualità e atmosfera. Ma anche per l’informalità dell’offerta, che sa coniugare egregiamente piatti di repertorio tradizionale ed elementi di raffinata creatività. Il Bistrot L’Attico, così si chiama il ristorante del capo d’Africa,
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ha aperto i battenti da qualche mese: ed è già successo. I motivi? Oltre allo splendore della location, da cui si gode splendida vista sui tetti di Roma, la forza dell’Attico è lui, il giovane chef Davide Lombardi. Dinamico, simpatico, umile (nel senso migliore del termine), ma anche determinato, appassionato e coraggioso. Da qualche parola scambiata con lui emerge un atteggiamento di grande attenzione verso le esigenze della clientela, valore raro in un mondo in cui spesso sull’analisi prevale la presunzione. Devo ringraziare l’amica Marina Tavolato, che mi ha fatto scoprire questa giovane promessa (con esperienze al Convivio Troiani e in altri ristoranti romani, tipo l’Antica Pesai): la sua è una cucina pulita, che non vuole necessariamente stupire ma piuttosto rassicurare l’ospite sotto l’aspetto del gusto, dei sapori, della rispondenza alle aspettative. Mi spiego meglio: un piatto come la “Carbomare”, ovvero spaghetti di grano duro, uova fresche di spigola, bottarga di muggine, pepe e parmigiano, è un capolavoro di semplicità nel quale ogni materia prima ha pari dignità gustativa. Il presupposto di Davide è: rispettare gli ingredienti per rispettare il cliente. Senza strafare, senza voli pindarici, senza effetti speciali, ma con grande ragionevolezza e buon senso. Così, al Bistrot di Lombardi si possono gustare piatti di raffinata e intelligente trasparenza: da provare la tartare di ricciola, l’insalata di mare al vapore, i ravioli cacio e pepe all’amatriciana, la frittura di totanelli, carciofi, agrumi ed erbe aromatiche (eccellente), ma anche piatti più diretti, come lo stinco di agnello cotto a bassa tempera- A lato: piccolo hamburger di fassona tura, patate novelle e cicoria ripassata, piemontese con patate fritte.
il piccolo hamburger di fassona piemontese con patate o le pappardelle ripiene di porcini alla pescatora. Il servizio del Bistrot L’Attico è coordinato da un maitre molto preparato, Fabrizio Catenacci. Al tutto supervede Alessandra Laterza, direttore della struttura, la quale ci ha detto: “Il Capo d’Africa ha vissuto negli anni una evoluzione costante, reinventandosi sempre nel marketing e nei servizi: il nostro obiettivo è quello di fornire un’ospitalità su misura, anticipando i desideri dei clienti. Un bistrot rappre-
senta un valore aggiunto molto importante per l’hotel, che in questo modo può offrire agli ospiti e alla clientela esterna una ristorazione di livello per tutto l’anno”. Il general manager del Capo d’Africa, Giacomo Guzzardi, direttore di grande e diversificata esperienza professionale (è responsabile anche del Visconti Palace, un altro hotel romano che fa capo alla stessa proprietà) conferma l’orientamento del Gruppo: “Stiamo lavorando nella direzione dell’innovazione, al fine di offrire servizi sempre più qualificati e in linea con le aspettative di una clientela sempre più esigente. Non a caso, anche per quanto riguarda la proposta di ristorazione, abbiamo puntato su un’offerta molto caratterizzata, affidando le sorti della cucina ad un professionista come Davide Lombardi: uno chef certamente giovane ma con le idee chiare in fatto di ristorazione di qualità”.Il Bistrot è aperto tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 19.00 alle 23.30: nei mesi estivi la sala da pranzo dell’Attico si sposta in terrazza e, oltre ai benefici di ordine scenografico, consente di gustare le specialità di Davide Lombardi all’aria aperta, guardando il cielo di Roma, inimitabile. Proprio come dalla mitica terrazza di Jep.
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Nuove aperture a Milano Pesce fresco alla Nassa
di Fiorenza Auriemma Chi ama i ristoranti raccolti, intimi e con pochi tavoli, sarà perfettamente a suo agio da Nassa, la nuova "Osteria del Mare" che ha aperto da pochi mesi in via Donatello 22 a Milano, non lontano da piazzale Loreto. Se poi apprezza il pesce freschissimo, scelto con sapienza e quindi preparato e cucinato con mano delicata, rispettosa e creativa, si troverà ancora meglio.
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Lo dice anche l’insegna: in questo ristorante da una trentina di coperti, con un arredamento minimal e vagamente marinaro, è il pesce che la fa da padrone. A procurarlo ogni giorno è Gabriele Tasinato, proprietario del locale: per anni, Gabriele ha lavorato nel commercio di prodotti ittici, e quindi sa come scegliere i pesci migliori e freschi, esclusivamente pescati e non di allevamento. Insieme con lui, co-protagonisti di questa nuova gustosa proposta gastronomica, sono Maurizio Di Prima in cucina e Giacomo Marchesi in sala. Maurizio, classe 1975, ha navigato a lungo attraverso diversi mari culinari italiani - compreso otto anni al fianco di Claudio Sadler - prima di gettare le ancore nel porto di Nassa; anche Giacomo vanta una decennale esperienza nel servizio di sala e nella gestione della cantina. Ecco quindi che insieme, Gabriele, Maurizio e Giacomo formano un trio ideale per dar vita a una piccola ma solidale squadra al servizio di una interessante cucina di mare con un buon rapporto qualità prezzo. Scorrendo velocemente il menu, si notano subito due particolari: una cifra tra parentesi al fianco dei singoli piatti, a indicare l’anno della nascita della ricetta; e il prezzo, riportato sia per l’intera sia per la mezza porzione. Mentre il primo è un’informazione aggiuntiva che permette ai commensali di verificare direttamente nel piatto il percorso professionale degli ultimi anni dello chef (le ricette più "antiche" sono del 2011), il secondo sottolinea una particolare attenzione verso le esigenze dei clienti. I quali, grazie alla possibilità di ordinare mezze porzioni, possono così gustare più piatti nella stessa serata.
A lato: sandwich di spigola con stracciatella e cime di rape all'aglio, mentre sotto: crudo di pesce secondo mercato.
triglia di scoglio e olio alla vaniglia. Nella lista dei secondi, spiccano la cernia bianca in crosta di pane casereccio, cavolfiori in tegame con pinoli e uva passa, e la millefoglie di razza e carciofi, crema di patate di Avezzano Cominciando ad esempio alla vaniglia. Come dessert, ottime le con Il pesce crudo alla mia fogliette di ananas e gelato di yogurt al maniera, secondo mercato, cocco, conclusione leggera e rinfrescante. ovvero un antipasto di crudi La carne non è del tutto bandita da la impreziositi da erbe, sapori Nassa. Ad esempio, la si può trovare in e condimenti che esaltano uno dei due menu degustazione, dal il gusto del pesce protago- nome esplicativo "Il Menu dell’intruso". nista; o con i gamberi viola Questa proposta comprende linguine cotti a bassa temperatura, grezze “Cavalier Cocco”, ragout di aniasparagi verdi, nocciole to- melle di vitello e carciofi, crema di topistate e maionese al lime. nambur e la coppa di maialino cotto a Tra i primi piatti, da provare bassa temperatura, finocchi stufati, gli spaghetti di pane alla chitarra, ragout salsa di scalogno e arancia. Il secondo di gallinella di mare, olive taggiasche, menu degustazione invece è a base di Qui sopra: ravioli ripieni di merluzzo pomodorini ciliegia e frutto della pas- pesce ed è stato pertanto battezzato e patate con guazzetto di pomodorini, sione, e la crema di ceci nani e anacardi, "A bordo con lo chef". zafferano e finocchietto.
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Caviale italiano, un successo autoctono
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di Luisa Contri
scrigno incastonato con pietre preziose, a Beatrice d’Este in occasione del suo A produrre il caviale Calvisius Da matrimonio con Ludovico il Moro agli Vinci è oggi esclusivamente Italian inizi del 1491. Prodotto unico e raro Caviar, società che fa parte del gruppo perché è ottenuto da una specie auAgroittica Lombarda e che l’ha inserito toctona italiana di storione, detta cobice nella gamma Ars Italica Calvisius, (Acipenser naccarii), storicamente precomposta da altre quattro varietà di sente nel mar Adriatico, nelle acque caviale di qualità premium: l’Oscietra dolci del nord Italia e nei principali Classic, l’Oscietra Royal, l’Oscietra fiumi quali Po, Ticino e i loro affluenti Imperial e il Sevruga, tutte preparate che sfociano nell’Adriatico. Specie, secondo la tradizionale ricetta Ma- quella del cobice, che alla fine degli lossol, termine russo che indica il li- anni Settanta è stata salvata dall’estinzione dalla caparbietà e passione di mitato ricorso al sale. un acquacultore del bresciano, Giacinto Un nuovo e raro caviale si appresta a Giovannini, e che è oggi allevata a Castornare sulle più prestigiose tavole ita- solnovo, in provincia di Pavia, in un imliane e del mondo. Si chiama Calvisius pianto d’acquacoltura all’interno del Da Vinci, in omaggio al grande artista Parco del Ticino, seguendo metodi rie scienziato Leonardo da Vinci il quale, spettosi dell’ambiente. "Il Calvisius Da come racconta la leggenda, donò proprio Vinci - spiega ad Artù John Giovannini, questo tipo di caviale, racchiuso in un amministratore di Italian Caviar -, è un Artù n°62
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caviale raffinato, le cui uova hanno dimensioni medie comprese fra 2,3 e 2,7 millimetri, di colore grigio scuro e dal guscio fragile, setoso e delicato, caratterizzato da note aromatiche morbide e sofisticate, soprattutto nella parte finale della degustazione. Si distingue per le leggere nuances di frutta secca a guscio, la texture soffice e idratata e il sapore elegante. Lo estraiamo dalle femmine dell’Acipenser naccarii, che arrivano a maturazione dopo 10 anni, età in cui hanno una taglia di circa 20 kg, soltanto quando le uova raggiungono un perfetto grado di maturazione. Contiamo di produrne in questo primo anno non più di 1.000 kg, proponendolo a un prezzo competitivo, leggermente inferiore a quello del nostro Oscietra Classic, ottenuto dalle femmine di storione russo o Acipenser gueldenstaedtii, specie originaria dei mari Caspio, Nero e d’Azov, che presenta uova di grandi dimensioni (2,8 e 3,2 millimetri)". Delle tre varietà d’Oscietra, l’Imperial è la più nobile e preziosa. Si ricava da pochissimi esemplari di storione russo, rigidamente selezionati nei mesi più freddi dell’anno, quando hanno un’età che si aggira sui 12 anni. Questi esemplari danno grandi uova dal color marrone chiaro, ricche di calde nuances dorate e dalla consistenza spessa. Il sapore è armonioso e lungo, con un aroma finale che ricorda il profumo del mare e note vivaci di nocciola. Un caviale insomma da degustare rigorosamente puro, poggiato con un cucchiaino in madreperla sul dorso della mano, fra pollice e indice, così da coglierne l’essenza.
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Sempre nella fascia premium, Agroittica Lombarda propone altre tre varietà di caviale. Il Calvisius Tradition e Tradition Elite, ottenute da femmine di storione bianco (Acipenser transmontanus), specie originaria del Nord America, dall’Alaska alla Bassa California. Delle due varietà il Calvisius Tradition Elite è una produzione
A sinistra: torretta di polenta bianca con caviale e qui sotto carpaccio di capesante con caviale e barbabietola cruda.
limitata, ottenuta da storioni di 15 anni, dal gusto rotondo e cremoso seguito dalle note fruttate e da un delicato accenno di nocciola. Il colore delle uova, di grandi dimensioni, è abitualmente grigio scuro, blu nero, ebano e talvolta presenta tonalità ambrate. La membrana dei grani è piuttosto consistente con un riflesso cristallino e brillante sulla texture. Il top del top della gamma Calvisius resta il Beluga, caviale ottenuto dalla specie Huso Huso, storione russo che condivide con l’Acipenser gueldenstaedtii origini, ma che è stato presente anche in Italia nell’Adriatico, nello Ionio e nei fiumi connessi a questi mari, prima dell’estinzione. Dalle femmine di 20 anni di questa specie si ottiene un caviale eccelso, caratterizzato da uova di grosse dimensioni (superiori ai 3 millimetri), tendenzialmente ovali, con una colorazione
dal grigio perla al grigio scuro. Una leccornia, il caviale, che per essere gustato al meglio va mantenuto sempre al fresco, su una vaschetta o una coppa in cristallo immersa nel ghiaccio tritato. Il suo accompagnamento ideale è con vini champagne, coi migliori spumanti italiani oppure con vodka ghiacciata. Oltre che su tartine di pancarré scaldate in forno e spalmate con burro morbido, si sposa molto bene con le patate bollite o in purea o con i classici blinis russi. Grazie a una produzione di oltre 20 tonnellate di caviale d’allevamento, di qualità riconosciuta spesso superiore rispetto a quello selvaggio, per un valore di mercato di circa 22 milioni di euro, Agroittica Lombarda si è affermata come fornitore di grandi chef italiani ed esteri e delle più esclusive compagnie aeree. Meno del 10% del caviale del gruppo resta comunque in Italia. la stragrande maggioranza della produzione è infatti esportata verso mercati come Francia, Germania, Regno Unito, Emirati Arabi, Stati Uniti e Giappone. E dal 2013 anche verso la patria del caviale, la Russia, dove dal quantitativo iniziale di una tonnellata, le vendite dovrebbero arrivare a superare le cinque tonnellate il prossimo anno. Artù n°62
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Lo sprint di Nogara Riparte il nuovo Ceppo di Alberto P. Schieppati Un locale di fama, passato attraverso molte gestioni, rivoluziona l’offerta. E punta su una clientela gourmet che vuole voltare pagina. Materie prime di qualità, tanto territorio ma anche molto estro “mediterraneo” e impronta creativa. Per ricordare che sul lago di Como non esistono soltanto polenta uncia e lavarello. Lo hanno soprannominato "il Carlo Cracco" del lago di Como, ma lui rifiuta decisamente il paragone. "Non sono bello come lui - dice con ironia -, anche se mi piacerebbe essere bravo quanto lui...". Giacomo Nogara, il cuoco "laghée", da anni opera con professionalità nella ristorazione lombarda. Le sue sono esperienze diversificate, sia da patron (come alla Pesa Vegia di Bellano, sulla sponda lecchese del Lario) sia da chef al servizio di realtà altrui, come al Navedano di Como, al Relais California di Nibionno o nella brigata di Sergio Mei, al Four Seasons di Milano. L’impegno di Nogara si sviluppa anche sul fronte dell’insegna-
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mento, visto che la sua competenza la si ritrova anche al ristorante didattico dell’istituto alberghiero don Gnocchi, a Carate Brianza. La cucina di Giacomo adesso si esprime al Ceppo, un ristorante di lungo corso, passato attraverso diverse gestioni e ora saldamente in mano a Mirko Fioroni, giovane e determinato patron. Il ristorante è a Valbrona, sulla strada che scende verso Onno e Bellagio, in un luogo a strapiombo sul lago da cui
A lato: quaglia farcita al foie gras e vitello con tortino di patate al latte e timo.
si gode una vista spettacolare. Il Ceppo, impresso nella memoria locale come un ristorante di cucina "ruspante", si è ora convertito - grazie alle scelte di Mirko e all’apporto di Giacomo - ad una cucina più raffinata, attenta alle materie prime ("Seleziono personalmente ogni ingrediente - dice lo chef - e ne valuto freschezza, origine e provenienza") e all’accoglienza dei clienti. Il timore che si tratti dell’ennesimo tentativo di "stupire il cliente" con effetti speciali è decisamente escluso: la cucina di Nogara è concreta, non evanescente, ricca di sapori autentici e proposta con grande cura per i dettagli. Aiutato in cucina dal bravo Mauro Gaddi e in sala dall’inappuntabile maître Eugenio Redaelli, entrambi professionisti di esperienza, Nogara propone una doppia linea: da un lato prodotti di territorio, come la "brisaola" di Chiavenna con insalatina profumata all’aceto di pomodoro, o l’antipasto di lago con missoltino e crostone di polenta gialla, alborelle in carpione e mousse di luccio in foglia di lattuga, o fra i primi - la zuppa di spinaci e patate con ravioli di grano saraceno farciti al Casera di Valtellina. In menu, poi, c’è sempre il risotto e persico del "nostro" lago, mantecato al burro di malga. L’altra linea presente in menu è di impronta più creativa, per intenderci, o - meglio - più caratterizzata da una ricerca tesa a proporre piatti diversi dal filone consolidato del territorio lacustre e valligiano. Alludo ai garganelli agli asparagi, cipollotto, guanciale e sfoglie di pecorino sardo, alle trofie con ragù di scorfano e pesto di basilico leggero (l’orto è dietro al ristorante e gode di splendida soleggiatura), alla quaglia farcita al foie gras e vitello con tortino di patate al latte e timo (un gran bel piatto) o alla
cernia siciliana in guazzetto con pomodorini di Pachino, olive taggiasche, lacrimelle di Pantelleria e polenta morbida alle nocciole. Il capitolo formaggi denota un notevole sforzo di ricerca, soprattutto locale (Vallate lariane, Valsassina e Valtellina) e non delude l'appassionato in materia: da provare la verticale di Bitto storico della Val Gerola, annate 2013, 2011, 2009. Una bella emozione confrontare il Bitto di tre alpeggi diversi: Trona Soliva, Orta Vaga e Trona Vaga… ma anche il capitolo dei formaggi provenienti dal Nord Est non scherza: la selezione degli affinati "ubriachi", con il "capra al Traminer" e il "blu al Ramandolo" è davvero interessante. Sui dolci, la piccola brigata di Giacomo Nogara cerca di esprimersi al meglio, con notevole impegno e ottime intenzioni: suggeriamo la piramide di semifreddo al croccante, cioccolato bianco e salsa di caffè, insieme alla mousse di yogurt magro
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con fonduta di lamponi e alla sfogliatina di mele golden caramellate con gelato alla cannella. In conclusione, la cucina di Nogara ci è parsa corretta, affidabile e concreta: attenta agli ingredienti, non invasiva né pretenziosa, destinata sicuramente ad affermare il locale, dopo anni oscuri, come meta gourmet caratterizzata da offerta consolidata e strutturata. Ma ora apriamo il capitolo delle "ingenuità", certamente dovute al fatto che siamo agli inizi (il locale ha aperto da tre mesi!) e che la fase di collaudo è, ovviamente, ancora in corso… . La carta dei vin è troppo limitata, per qualità e quantità, rispetto alla varietà della cucina: va migliorata e implementata. I piatti di Giacomo, caratterizzati, innovativi e spesso geniali, meritano un impegno più mirato in questa direzione. Ci auguriamo che, quando questo articolo verrà letto, i necessari adeguamenti alla carta dei vini siano stati apportati. Due parole anche sui prezzi. Il posizionamento di prezzo del Ceppo è medio-alto, visto che un pasto completo, dall’antipasto al dolce, può tranquillamente superare i 65 euro, vini esclusi. Sicuramente il valore delle materie prime è elevato, e la vista panoramica fa il resto, ma consi-
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derato che siamo in tempi non facili per tutti, credo che abbia più senso puntare a una maggiore accessibilità del locale da parte anche della clientela media, desiderosa di esperienze gourmet innovative, ma anche sempre più attenta a come e quanto spende. Considerato anche il fatto che non siamo a Milano, e neanche a Bellagio (anche se dista poco più di dieci chilometri). Dunque, se da un lato la proposta non va svilita, perché il valore dello chef e della gestione devono essere riconosciuti e valorizzati, credo sia necessaria una riflessione sui prezzi o, meglio, sulla differenziazione intelligente della proposta lunch da quella serale. Senza fare prezzipromozione ma proponendo, a pranzo, una sorta di "landscape lunch" con due piatti semplici e di territorio, più un calice di vino, e la sera, un "romantic dinner" più impegnativo, con menu degustazione di tre portate - a scelta dal menu - a 45 euro. Fermo restando azzardo: sarebbe, forse, un modo per far conoscere il talento di Giacomo e puntare su un maggiore turnover della clientela, che si sentirebbe meno intimorita dai prezzi dei singoli piatti in carta. Non dimentichiamo mai che il successo di un locale si basa anche sulla adesione della clientela locale (non solo dal gradimento di russi o americani, che alla montagna preferiscono Bellagio) e sul passaparola entusiastico e positivo di chi lo frequenta, e non di chi lo teme.
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Botteghe fiorentine Il gusto abita qui anche acquistare prodotti gastronomici di piccoli artigiani, nonché sedersi a un tavolo per degustarli preparati, cotti, sfornati, fritti al momento. Avete presente la Boqueria di Barcellona? Ecco, qualcosa di simile ma con una marcia in più. Perché dallo scorso mese di aprile, nello storico mercato coperto di Firenze, è possibile girare tra le edicole del piano terra, e poi salire al primo piano entrando così in un ambiente moderno nello stile e antico nelle intenzioni. Infatti, è qui che ha aperto il Mercato Centrale Firenze (MCF), una sorta di piazza coperta. A dividersi lo spazio di 3000 mq una dozzina di botteghe artigiane di tutta Italia - oltre che dalla Toscana - che offrono specialità altrimenti difficili da reperire per chi non vive nelle vicinanze dei produttori. L’operazione ha come ideatori Umberto Montano, imprenditore della ristorazione (Alle Murate e Caffè italiano, a Firenze), e il gruppo ECVacanze della famiglia Cardini di Prato. Insieme, hanno costituito la società Mercato Centrale Firenze Srl aggiudicandi Fiorenza Auriemma dosi lo scorso anno la gara indetta dal Comune di Firenze per la riqualificazione Da qualche settimana, i fiorentini del primo piano del Mercato Centrale. amanti del buon cibo e i turisti che vi- In altre parole, il capoluogo toscano sitano Firenze hanno un’opzione in voleva dare nuova vita a una parte non più: un mercato coperto in centro sfruttata del mercato ospitato nel belliscittà, a pochi passi dalla Basilica di simo edificio in ferro e vetro ideato nel San Lorenzo. Dove, oltre a comperare 1874 dall’architetto Giuseppe Mengoni, frutta, verdura, carni ecc. possono lo stesso che ha firmato la Galleria Vittorio Emanuele di Milano. La scelta è caduta sulla società di Montano e Cardini, i quali hanno puntato a rendere viva un’area che ben si prestava a diventare punto di riferimento per chi apprezza - e anche per chi vuole avvicinarsi il mondo di prodotti e sapori autentici.
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È una continua scoperta aggirarsi tra le botteghe del MCF. Ci sono, ad esempio, le mozzarelle di bufala prodotte sul posto dal Caseificio Antico Demanio di Pignataro Maggiore (Caserta): la prima cagliata parte la sera dalla Campania per arrivare in mattina a Firenze, dove viene lavorata e mozzata in diretta. E poi, la pasta fresca del mastro pastaio genovese Raimondo Mendolia: a base di grano duro di Altamura e tenero del piacentino, è trafilata al bronzo, cotta, condita e servita al momento. Per chi ama il fritto, la bottega di riferimento è affidata a Marco Rosi e Paolo Soderi: zucchine, fiori di zucca, patate, carciofi, pomodori verdi, porcini ecc. fritti con la tecnica della "ragnatela" di pastella croccante, serviti con polpette e altre delizie fritte. Il pane e i dolci vengono preparati e cotti nei forni della bottega di David Bedu, originario della Francia, il quale impasta solo farine macinate a pietra. Non manca il pesce, a cura della consolidata pescheria Rosellini di Montecatini Terme: i banconi della bottega all’interno
di MCF vengono riforniti ogni giorno con pesce fresco proveniente dal mercato ittico di Viareggio. Carne, formaggi, frutta e verdura, cioccolato e gelato, tramezzini e lampredotto completano l’offerta gastronomica. Che comprende anche bar, caffetteria, birreria, Pizzeria di Sud e ristorante Tosta. Per inciso: pizza, specialità toscane preparate dall’insegna Tosca e gli altri piatti caldi del MCF, si possono gustare comodamente seduti. Punto forte del mercato è l’enoteca affidata al Consorzio del Chianti Classico: 1200 etichette, sia in degustazione a calice, sia in vendita a bottiglia. Nelle intenzione dei suoi ideatori, il MCF non vuole limitarsi a dispensare bontà gastronomiche, bensì punta a diventare “un mercato capace di raccontare se stesso”, come sottolinea Umberto Montano. Infatti, gli artigiani che animano le botteghe di MCF hanno firmato un disciplinare dove, oltre ai parametri di qualità, trasparenza, tracciabilità degli alimenti, ai produttori/ rivenditori viene chiesto anche di trasmettere il loro sapere, ovvero di
parlare con gli avventori, raccontare come nasce il cibo, come viene trasformato ecc. Non è un caso quindi che MCF ospiti anche una scuola di cucina, gestita dall’Istituto Lorenzo de’ Medici e aperta nel fine settimana anche al pubblico.
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Dim Sum
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di Fiorenza Auriemma Nuova apertura a Milano, sul fronte etnico di qualità. Questa volta parliamo di Dim Sum, aperto dagli stessi proprietari di un altro locale di successo, il Bon Wei, sempre a Milano. Il locale esprime un format di chiara impronta orientale in cui primeggiano le cotture al vapore, uno dei must della cucina cinese. In tutto il mondo, il cibo è rito. Da Dim Sum - locale aperto da qualche mese a Milano, zona Porta Venezia questa assonanza è quanto mai evidente. Perché nel locale - molto elegante senza però essere freddo - si servono appunto i dim sum. Che quindi oltre a dare il nome al ristorante ne costituiscono la colonna portante e la caratteristica. Per chi ancora non li conosce, i dim sum sono piccoli ravioli, involtini, roll, saccottini e polpette. Ovvero, minuscoli scrigni commestibili ripieni di tesori gastronomici a base di carne, pesce, verdura, uova, nonché in versione dolce. Il tutto, cotto a
vapore nei tipici cestelli di bambù, oppure fritto. In Cina, questa tradizione culinaria che proviene dalle campagne cantonesi, è ora diventata un must nelle grandi città, dove i dim sum vengono serviti con il tè: infatti, nella sua patria di origine questa esperienza culinaria è conosciuta come Yum Cha, che letteralmente significa "bere il tè". In altre parole, se gli inglesi accompagnano la calda bevanda ambrata con tartine salate, e noi con piccola pasticceria, i cinesi si spingono ben oltre, dando corpo al tè verde grazie a una gustosa corona di piccoli bocconcini.
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Il nuovo locale di Yike Weng e Chiara Wang Pei - già titolari di successo di Bon Wei in zona Sempione, sempre a Milano, e che qui lavorano con il socio chef Guoqing Zhang - è quindi tutto questo: un luogo diverso e innovativo dove partire per un viaggio alla scoperta di una particolare modalità di pranzare e/o cenare. “Volevamo evolvere e non duplicare il nostro precedente locale - raccontano Yike e Chiara -, e così abbiamo scelto i dim sum, una tipologia di ‘rito gastronomico’ tradizionale oggi molto in voga anche a livello internazionale, aggiornandolo però al gusto contemporaneo”. Nel locale di via Nino Bixio 29, all’angolo con via Pisacane, queste "tapas d’Oriente" sono infatti proposte accompagnate da una coppa di champagne Perrier Jouët, invece che dalla tradizionale tazza di tè. Che però non manca nel menu, così come sono presenti vino e birra (cinese o artigianale italiana). Vediamoli più da vicino, questi "piattini". La carta di Dim Sum ne offre circa una ventina: si va dal cristallo di gamberi alle polpette con speck e funghi; dagli involtini morbidi di riso con carne ai ravioli di capesante
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al vapore; dal panzerotto di carne mielata ai ravioli pechinese style; dai ravioli con ripieno di carne Chianina a quelli con seppie e sedano. La carta comprende comunque anche piatti più "classici" della cucina cinese, tra cui riso e pasta saltati con le verdure, pollo fritto in agrodolce, straccetti di manzo croccante, gamberi in salsa xo, rombo fritto con zenzero, anatra
croccante, maiale saltato piccante. Quando arriva il momento dei dolci, gli ospiti possono scegliere tra i dessert d’ispirazione nostrana e preparati in pasticceria, oppure quelli orientali, tra cui deliziose palline ripiene di gelato al tè verde. Molto particolare è anche il locale, interamente progettato dal designer Carlo Samarati. Il quale ha optato per mobili che diventano linee, specchi coperti di sottili catene che mimano l’effetto del fumo, e una luce crepuscolare a illuminare i colori del cibo nel piatto. Al centro del ristorante troneggia la grande cucina a vista firmata Marrone e disegnata anch’essa da Carlo Samarati. Si tratta di uno strumento di lavoro imponente e realizzato su misura tenendo conto delle cotture e delle
esigenze particolari dei piatti orientali, nonché della folta brigata di cuochi specializzati che li preparano sotto lo sguardo dei commensali. Fra tutti, gli accessori della della cucina che permettono di portare velocemente a ebollizione l’acqua fredda e di mantenere un abbondante livello di vapore. Ai piatti e alle posate invece hanno pensato Villeroy & Boch e Broggi. Il secondo, in particolare, ha progettato e realizzato le bacchette d’acciaio, elemento indispensabile in un locale come Dim Sum. Si chiamano Branch e nascono dall’idea ecologica di sostituire il legno e il bambù "usa e getta" grazie all’uso di un materiale come l’acciaio che permette il riutilizzo delle bacchette, senza nulla togliere alla loro funzionalità. Artù n°62
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Don Juan, l’Argentina è a MIlano di Theo Smith Un punto di riferimento per tutti coloro che passano a Milano e vogliono ritrovare un’atmosfera tipica argentina, connotata da una proposta di carne davvero “speciale”, è Il Don Juan, il ristorante di Giorgio Beretta e Marlene Gomes, in zona Porta Romana. Giorgio e Marlene sono stati i primi nel maggio 2000 a portare una piccola rivoluzione nella gastronomia argentina a Milano proponendo una cucina autentica che ancora non era popolare in questa città e soprattutto in Italia. Una vera sfida per Marlene, di origini brasiliane, e Giorgio, suo marito, italiano che, con l’aiuto di una donna architetto argentina, hanno proposto un ambiente capace di trasmettere l’atmosfera caratteristica di una casa di campo argentina, all’insegna della tipicità rurale ma caratterizzata da stile ed eleganza. Forti di una lunga
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esperienza al Festival Latinoamericano, che si svolge a Milano da oltre vent’anni, oltre che di varie visite in Argentina, hanno cercato di riprodurre i sapori dell’arte culinaria del paese, reinterpretandoli in una versione che incontrasse anche le aspettative di una clientela italiana ed internazionale. Tanto lavoro e dedizione costante nel tempo sono stati ripagati con undici anni di successi e riconoscimenti da parte di un pubblico sempre più affezionato oltre che dall’interesse mediatico, sempre in crescita. Dopo la proposta del Don Juan e del Don Juanito, altro locale di loro proprietà a poche centinaia di metri dalla struttura principale, i locali argentini a Milano si sono moltiplicati, con grande orgoglio dei titolari. Il successo raggiunto e la strada da loro percorsa si è dimostrata valida sia sotto il profilo gastronomico che sotto il profilo commerciale. Inserito in una location accogliente, al Don Juan si può assaggiare un ottimo cibo, dai deliziosi antipasti alla carne
tenerissima, ai dessert allettanti ed al vino eccellente, sempre accolti da personale professionale, discreto, cordiale e disponibile. Situato nella zona di Porta Romana, a Milano è facilmente raggiungibile in macchina, taxi, e con la linea 3 della Metropolitana. Una tappa esclusiva da non perdere per chi vuole ritrovare i sapori delle proprie origini ma anche per chi ne cerca di nuovi. ArtÚ n°62
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Giancarlo Morelli La MIA cucina felice
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di Luisa Contri La cucina come metafora della vita? Può darsi. Fatto sta che, per Giancarlo Morelli, essere chef significa - anche stare dalla parte del cambiamento continuo, personale innanzitutto. L’attività di cucina è la base per la ricerca di una felicità interiore, ma transitiva, che va raggiunta per poter essere poi trasmessa. Così vive la sua professione Giancarlo Morelli, chef patron del ristorante stellato Pomiroeu, un angolo di quiete a Seregno, 20 minuti da Milano, nel cuore della Brianza più vera. Come per Morelli anche per il Pomiroeu gli ultimi 20 sono stati anni di cambiamenti. "Dal 1993 a oggi - assicura ad Artù Morelli -, il ristorante non si è mai fermato. Non ci siamo mai fossilizzati su un tipo di ristorazione o di ambientazione. Abbiamo sempre cercato di stare al passo con l’evoluzione della realtà in cui operiamo. E parlo al plurale perché le cose le faccio insieme al mio staff. Le guerre non si vincono da soli. Ritengo che questo ristorante non abbia mai smesso di crescere dal punto di vista
professionale, dell’estetica e soprattutto della ricerca in cucina. Andare a caccia di stimoli che solletichino la mia curiosità e la mia voglia di fare è, d’altronde, una mia caratteristica. Ed è importante che io sia contento dentro, perché, se lo sono, riesco a trasmettere la mia emozione nel piatto. Se invece fossi infelice e stanco di cucinare, i piatti mi uscirebbero spenti, banali". Una ricerca di stimoli e di cambiamento, quella di Morelli, che ha dato risultati tangibili. In questi anni al Pomiroeu si sono succeduti più di 120 menu. Sono stati ideati più di 1.200 piatti. "E si tratta di ricette diverse, non semplicemente ritoccate in qualche dettaglio - puntualizza Morelli -. Le uniche due costanti, anche se nel tempo la loro preparazione è un po’ cambiata, sono due piatti che considero come una firma: il riso classico allo zafferano col caramello di vino rosso e il midollo e la cotoletta alla milanese". La spinta al cambiamento traspare anche dall’elevata frequenza con cui al Pomiroeu cambia il menu: ogni 45 giorni, "perché nella stagione c’è una bistagione". Elevata frequenza di cui a volte i clienti si lamentano, perché la loro speranza di riassaggiare un piatto sfuma di fronte al nuovo menu. "Se dessimo retta ai clienti che ci esortano a mantenere in carta i piatti che hanno gradito di più osserva Morelli - oggi avremmo un menu infinito, cosa che non è fattibile. Andiamo dunque avanti per la nostra strada e ci divertiamo così". E dalla naturalezza con cui lo chef accoglie le innovazioni tecnologiche. "La curiosità - ammette Morelli -, mi spinge a provare le nuove tecniche di cottura e le nuove attrezzature di cucina. Finisco però poi per usarle soltanto quando realmente consentono di migliorare un piatto. Non m’interessa presentare piatti con la schiuma di… o la bava di… solo perché è di moda o per fare bella figura col cliente". Il successo del Pomiroeu Morelli l’ha costruito anche su punti fermi. "Non ho mai dimenticato le mie origini bergamasche racconta -. Su di esse ho costruito una cucina solida, di cuore e di testa. Essendo nato in una fattoria, per me vivere una vita sana, legata alla natura, il
Nella pagina a lato: tuorlo d’uovo tiepido affumicato, cereali soffiati e licheni salmerino mi cuit e le sue uova. Artù n°62
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poco tempo fa pensavamo fossero adatti solo agli animali - spiega Morelli - e io li trasformo in essenze, polveri, insalatine, a seconda di quello che la stagione ci mette a disposizione. Poi li impiego nelle mie ricette, in particolare nel menu Incontro con la natura, dove figurano piatti come il tuorlo d’uovo tiepido affumicato al profumo d’ulivo, cereali croccanti, licheni orobici e salmerino mi cuit, al momento il più innovativo della mia carta, la coscia e petto di pollo selvatico, rosmarino di bosco e salsa al succo d’abete e il gelato al fieno di settembre ed erbe miste su crema di ricotta e cioccolato bianco e biscotto grattugiato alle foglie di betulla". Passione per il cambiamento e punti fermi non bastano però a spiegare il successo del Pomiroeu. Per tenere in piedi un ristorante con uno staff di una ventina di persone, tanti per un locale di una città piccola, ci vuole altro. Innanzitutto la disponibilità a dedicare al lavoro tantissimo tempo. più possibile lontana dai E Morelli si può dire impegnato dal cibi omologati delle multi- lavoro per quasi tutto il suo tempo. Il nazionali, è sempre stato termine turno di riposo quasi non figura un obiettivo. Ho poi optato nel suo vocabolario. per una cucina votata al "Per rendere facile la vita ai clienti - sotsapore singolo. Il cliente, tolinea Morelli -, per far in modo che a mio parere, deve capire non debbano preoccuparsi di sapere cosa sta mangiando. Nei qual è il giorno di chiusura, il Pomiroeu miei piatti ci sono quindi quattro, cinque ingredienti al massimo. E prediligo le cotture senza sale. Nell’arco degli anni ne ho ridotto di molto l’uso e ho cercato il miglior equilibrio di gusto ricorrendo ad altri ingredienti". Un altro punto fermo di Morelli e la ricerca della materia prima, che vuole sia sempre di stagione, di primissima scelta, freschissima e, fin dove è possibile, locale. Ricerca che non poteva non portarlo a incrociare il suo cammino con Valeria Margherita Mosca, anche lei appassionata della natura, che ha fatto una professione, fondando Wooding, dell’alimurgia (la scienza che riconosce l’utilità di cibarsi di specifiche piante selvatiche) e della raccolta di erbe spontanee, germogli, bacche, foglie, cortecce, radici in prati, boschi, colline e montagne della Brianza e dell’alta Lombardia. "Lei raccoglie questi prodotti commestibili, che fino a
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è aperto sette giorni su sette sia a pranzo che a cena". Oltre che in cucina, dove passa buona parte delle sue mattinate, Morelli si fa trovare in sala durante i due servizi, così da non perde il contatto con la clientela. La sua proposta gastronomica poi spazia da un ampio menu alla carta: al momento vi figurano sei antipasti, sette primi, sei secondi di carne, più il pesce a richiesta, i contorni di stagione, la selezione di formaggi e sei dessert. A quattro menu degustazione per tutto il tavolo: quello più d’avanguardia, Incontro con la natura (di cui abbiamo detto) e quelli Carta bianca da tre, quattro o cinque portate. "Ed è carta bianca in tutto e per tutto - sottolinea Morelli -. Il più richiesto, con un 20% delle preferenze, è quello in cui sono io a decidere cosa servire. Ma capita che siano i clienti a scegliere. E non li obbligo a consumare un pasto classico: dall’antipasto al dolce. Possono anche chiedere tutti primi o tutti secondi. La libertà è massima". Dal lunedì al sabato poi si può scegliere la formula lunch menu. E chi ama la privacy può cenare, riservando, all’unico tavolo della cantina. Sempre in cantina, per l’ora dell’aperitivo
si può optare per la formula Aperisotto composta da calice di vino, sette appetizer e un risotto. Il Pomiroeu non fa però solo servizio di ristorante. Offre alla clientela anche tutta una serie di servizi aggiuntivi: dai corsi di cucina con lo chef allo shop che propone, anche in vendita on line, prodotti di drogheria dolce e salata, vini distillati, spumanti e champagne, bricole d’oro e d’argento, profumi e profumatori d’ambiente, selezionati dallo chef; dal servizio catering alle formule regalo. Morelli non dimentica mai che la prima materia prima del Pomiroeu sono i clienti. Lo coccola quindi in tutto e per tutto. Fosse per lui, il pesce potrebbe anche non esserci nella carta. Dovendolo trattare, però, fa in modo che gli arrivi fresco tutti i giorni. "In carta - fa notare Morelli - ci sono pochi piatti in cui figura del pesce come ingrediente, perché rifornendomi del pescato del giorno, non so mai cosa porterà il mio fornitore di fiducia. Preferisco allora spiegare a voce alla clientela cosa posso preparare, piuttosto che rischiare di dover servire del pesce non freschissimo perché è in cart". Sempre per venire incontro ai desiderata della clientela, Morelli è disposto a infrangere la regola dell’impiego in cucina soltanto di prodotti stagionali. "Nei piatti che ho in carta a dicembre, per esempio - spiega lo chef -, non troverà come ingrediente il pomodoro. Se però in quel mese arriva un cliente che vuole gli spaghetti al pomodoro, non mi rifiuto certo di andare in di-
Qui sopra: raviolo al pomodoro, carpaccio di fassona e salsa al Parmigiano Reggiano. Sotto: riso selezione carnaroli mantecato al burro d’ostrica, crema di rucola, polvere di lampone e paprika.
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Qui sopra: alici marinate al succo di prugna, maionese di patata, uovo di quaglia e quinoa croccante.
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spensa a prendere un ottimo pomodoro pelato e a preparagli quel piatto. Posso educare il mio cliente a mangiare seguendo la stagionalità dei prodotti, ma fino a quando lui me lo permette. Allo stesso modo se un cliente vuol proprio riassaggiare un piatto che è ormai fuori carta e se dispongo delle materie prime, su prenotazione lo accontento". Morelli fonda il suo successo anche su una bella dose di sano buon senso. "Innovare in cucina è nelle mie corde - evidenzia lo chef - ma sto attento a non esagerare. Introduco i cambiamenti in modo graduale, preparando il campo, facendo cultura prima di fare un passo in avanti. Non voglio rischiare che la mia cucina non sia capita e che nessuno osi ordinare i miei piatti innovativi. Quasi tutti gli italiani si ritengono dei gran gourmet, ma in realtà sono legati alle tradizioni. Con un’organizzazione come quella del Pomiroeu, con dei dipendenti, non posso permettermi di fare l’artista e di rischiare di mandar tutto gambe all’aria". E non si può dire che di cultura Morelli non ne faccia. Una formula d’aperitivo che propone tutto l’anno (all’aperto e nel dehors nella bella stagione, e in cantina o nel concept-store quando fa fresco) si chiama addirittura Scuola del cibo. "Abbiamo stilato un alfabeto dei cibi di stagione - spiega Morelli -. Per esempio ora che siamo in primavera nella A c’è l’asparago, nella B la bieta, nella C la carota nera e così via. I clienti assaporano un vino, spumante o champagne, ac-
compagnandolo con dei finger food, preparati da noi secondo l’estro del momento, con gli ingredienti che cominciano con le lettere da loro scelte. Per agevolare i clienti che vengono in coppia, abbiamo previsto che se ci ordinano tre, cinque o sette appetizer, gliene diamo uno in più allo stesso prezzo, così possono dividerseli equamente". Con realismo Morelli non pretende di fare al Pomiroeu di Marrakesh, ristorante che ha aperto due anni fa, la stessa cucina che fa a Seregno. "È sempre una questione di cultura - osserva -. Uno straniero, a meno che non sia un frequentatore più che assiduo dei migliori ristoranti gourmet, non è in grado di percepire come italiano un mio piatto d’avanguardia come può essere la tartare di capriolo con polenta disidratata ed essenza di pino mugo. Al Pomiroeu di Marrakesh troverà quindi piatti classici della cucina italiana, preparati bene con ingredienti rigorosamente italiani e di ottima qualità: un buon risotto allo zafferano, delle buone tagliatelle con gli asparagi. Proponiamo, insomma, dei piatti che si connotano subito come italiani e che, fatti con prodotti nostrani, hanno un gusto completamente diverso dalle imitazioni che si possono trovare all’estero. Così facciamo cultura, poniamo le basi. Aiutiamo il pubblico internazionale a distinguere uno spaghetto di qualità da uno scadente. L’esperienza della cucina italiana d’avanguardia potranno farla quando verranno in Italia".
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Antonia Klugmann passione in cucina di Giovanna Moldenhauer Identità Golose ha visto tanti protagonisti avvicendarsi sul palco del congresso nelle differenti sezioni. Tra loro abbiamo incontrato Antonia Klugmann. Avevamo già avuto modo di rapportarci con il sorriso e l’aria sbarazzina di Antonia nel 2009 mentre partecipava a Cooking X Wine del Merano WineFestival come finalista del Premio Miglior Chef Emergente del Nord Italia. La ritroviamo diversi anni dopo a “Identità di pasta” dove ha presentato due ricette che esprimono la sua visione della cucina, la sua passione per tutto quello che proviene dall’orto. Salita sul palco dopo Norbert Niederkofler, ha preparato con gesti precisi lo “Spaghettone con castagne tostate e bollite, crescione d’acqua, burro d’Isigny e mix
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di spezie” seguito dal “Ditalini al farro di Monograno Felicetti, kren, cavolo nero e acciughe”. Terminata la sua partecipazione al congresso l’abbiamo intervistata per Artù conversando in modo piacevole con lei. Si ricordava ancora del nostro precedente incontro. “Una prova - esordisce Antonia - che per me è stata assolutamente fondamentale! Quel giorno c'erano in giuria il direttore della guida Michelin e il responsabile di Alma. Entrambi nella mia carriera hanno contato tantissimo. In quell’occasione ho conosciuto la selezionatrice de 'La prova del Cuoco' che mi ha coinvolto nella gara del Trofeo Emergente 2009/2010. Pochi mesi dopo ho partecipato con altri chef della mia generazione proponendo una ricetta del mio ristorante, vincendo nella categoria esordienti. Luigi Cremona, fautore di tutto questo, è stato molto impor-
tante per me, lo ritengo un uomo eccezionale”. Le chiediamo come ha deciso di optare per questa professione mentre frequentava a Milano la facoltà di Giurisprudenza. “La scelta di diventare chef replica - l’ho presa a 22 anni quando si deve ancora scoprire chi si è veramente. Mi sono resa conto, con dispiacere, che l’aspetto creativo della mia vita non veniva sfruttato, che non riuscivo mai a esprimere questo mio lato per quanto lo avessi sempre sentito. Ho capito che la cucina, che da sempre mi aveva appassionato, rappresentava per me il luogo giusto. Dopo avere frequentato corsi di cucina generale e pasticceria della scuola Altopalato ho lasciato gli studi universitari. Il percorso è stato lungo perché ho cominciato questo lavoro 13 anni fa!È passato davvero un po’ di tempo”. Antonia Klugmann, dopo un periodo di apprendistato trascorso prima a Trieste per quattro anni dallo chef Raffaello Mazzolini, poi con successive esperienze al Dolada di Pieve d’Alpago e a Villa del Quar in Valpolicella nella cucina di Barbieri, ha avuto un incidente di macchina che l’ha costretta per 12 mesi a restare lontana dall’attività. Durante l’anno di pausa ha pensato di studiare come far nascere e gestire un orto. La ripresa in cucina è stata nel 2006 all’Antico Foledor Conte Lovaria a Pavia di Udine, dove per cinque anni Antonia ha gestito il suo primo ristorante insieme al fidanzato. Terminata quest’esperienza, dopo una breve parentesi al Ridotto di Venezia, la chef è succeduta a Paola Budel alla guida di Venissa di proprietà del patron di Bisol. Antonia sta per aprire L’Argine, un nuovo locale a Vencò, frazione di Dolegna in Friuli, in compagnia del suo compagno Romano De Feo. “Il progetto sta andando avanti da cinque anni. Abbiamo acquistato il terreno nel cuore del Collio e costruito lì il nostro nuovo ristorante. I tempi che appaiono lunghi sono stati necessari purtroppo! Il terreno su cui abbiamo fatto costruire L’argine come posizione è confinante con i vigneti del vino Vertigo di Livio Felluga, di fronte alle cantine La Viarte e Livon. Si trova inoltre alle spalle del Castello di Trussio. Si può dire che
siamo circondati da grandi vignaioli!". Venissa, sull’isola di Mazzorbo, è un ristorante stagionale. Durante il periodo di chiusura la chef condurrà in prima persona il suo ristorante a Vencò. Antonia, di cui intuiamo la determinazione e la grinta celate dietro il suo sorriso disarmante, propone ricette che denotano una ricerca costante di nuovi accostamenti, tecniche di cottura. Le chiediamo, dovendo parlare di sé, come si presenterebbe, qual è l’origine del suo cognome. “La cucina per me è passione e in questo lavoro mi dà piena gratificazione, grandi soddisfazioni. Le ricette che faccio mi raccontano, sono la mia espressione. Sono ormai otto anni che realizzo i miei piatti e ritengo che sia un’enorme opportunità, una fortuna assolutamente non ovvia, per nulla scontata! Sono nata a Trieste in una famiglia dall’origine mitteleuropea. In me ci sono radici diverse che sento mie”. Prima di lasciare Antonia le chiediamo se ha ancora sogni da realizzare nel cassetto: “Oggi uno dei miei più cari amici mi ha detto 'Domani è un giorno pieno' esprimendo un modo di dire spagnolo. Voleva dire che si rimanda spesso a domani qualcosa d’interessante da fare. Nel mio caso ne ho milioni di cose da fare, ma soprattutto da conquistare”. Artù n°62
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Welcome on board il bistrot firmato
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di Elio Ghisalberti All’aeroporto di Orio al Serio, la famiglia Cerea ha aperto Vicook, osteria per viaggiatori gourmet. Uno spazio innovativo, connotato dall’offerta di piatti di alta qualità delle materie prime. Recentemente, Vicook è stato inserito fra i primi dieci ristoranti aeroportuali al mondo, secondo la classifica di Skytrax. Certo, non si può segnalare come novità assoluta l’apertura all’interno di un’aerostazione di un ristorante in grado di offrire una cucina di livello superiore al “mordi e fuggi” imperante tipo fastfood o self-service. Ma all’aeroporto di Bergamo Orio al Serio, recentemente ribattezzato “Il Caravaggio”, dietro all’insegna Vicook non vi è un nome qualsiasi bensì quello del tristellato Vittorio di Brusaporto, sui colli di Bergamo a pochi chilometri ad est dalle piste di volo. Forse proprio la vista degli aerei in fase di atterraggio che sfrecciano davanti alla Cantalupa, sede del Relais & Chateaux, ha determinato l’entrata in scena della famiglia Cerea anche su questo fronte che va a completare il quadro delle iniziative raccolte sotto il nome Vicook, società costituita con Corrado Leoni (Vi sta a Vittorio, Co a Corrado. Insieme sono ok) per la gestione del fuori casa collettivo. Dopo un periodo piuttosto lungo necessario per ribaltare l’impostazione precedente, nella zona accessibile a tutti prima degli imbarchi, ha dunque aperto sul finire dello scorso anno Vicook, sottotitolo ”feeling at home”, sentirsi a casa. Naturalmente ogni paragone con la casa madre sarebbe fuori luogo, ma certamente le basi sono di quelle che non lasciano dubbi sulla capacità di fornire un servizio di livello superiore (nel genere bistrot, ben s’inten-
de). Su questa via è entrato direttamente in gioco Chicco Cerea, il primogenito cui spetta in cucina il ruolo di capofila anche del relais tristellato. “Abbiamo studiato il menu accuratamente, facendo rilevazioni sui gusti e sulle esigenze di un pubblico così variegato come è quello che transita per l’aeroporto arrivando a mettere a punto una proposta che possa soddisfare ogni esigenza”. Chi viene da fuori e vuole gustare la cucina italiana trova infatti i classici della tradizione, i primi in particolare come le tagliatelle al ragù, la pasta e fagioli, le lasagne con i crostacei (chiara qui l’influenza della casa madre). Completa-
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no il quadro all’italiana salumi e formaggi accuratamente selezionati e la pizza che diventa “nuova” perché a lunga lievitazione, condita con pomodoro fresco e burrata. Gli italiani in partenza o in sosta d’attesa potranno invece cominciare il loro viaggio gastronomico approfittando degli speciali menu tematici che sono stati battezzati “fuga all’estero”, spaziando dai sapori esotici dell’indian mood (riso pilaf con pollo al curry e scaglie di mandorle) a quelli più convenzionali degli hamburger alla texana, del croque monsieur (toast al formaggio e prosciutto con uovo al tegame) o dell’highlander (salmone affumicato con pan brioche, crema acida e vinaigrette al cetriolo). Completano il quadro le “gite veloci”, insalate e carpacci, i “must”, maxi panfocaccia di carne come la versione stellata del pà e strinù della tradizione bergamasca (la salamella grigliata si unisce nella farcitura a peperoni e Parmigiano), di pesce come “dal pescatore” con il trancio dorato abbinato a zucchine trifolate e maionese leggera, il “Texas flavour” pantagruelico hamburger, il vegetariano “dal contadino” farcito con taleggio e pomodoro confit. Tutte le portare, anche quelle in apparenza più semplici, sono state studiate e messe a punto accuratamente, definite e rifinite (con l’apporto dei cuochi che si muovono a vista sotto un “cielo” di salumi e dietro una “costellazione” di formaggi) nei minimi dettagli. Un esempio che può sembrare banale ma non lo è affatto? Alle patate da friggere è stata data una forma particolare, con sezione concava, per potere aumentare la sensazione di croccantezza senza eccedere nelle temperature e nei tempi di cottura ad immersione, così da renderle fragranti e leggere. Chiusura di gola con i “dolci atterraggi”, dessert d’alta scuola realizzati con l’esperienza della pasticceria Cavour, altro marchio che fa capo alla famiglia Cerea. Il menu nella sua completezza è disponibile ad orario continuato, dalle 11.00 alle 23.00, sette giorni su sette, con servizio semplice, sempre al tavolo, dando la possibilità di consumare un breve spuntino ma anche un pranzo o
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una cena completa. Nei fine settimana, a partire dalle 21.00 aperitivi prolungati a buffet e alla domenica ricco brunch. Un centinaio i coperti disponibili con alcuni servizi gratuiti unici per l’aerostazione: un’area giochi per bambini attrezzata, wi-fi free in tutti gli ambienti, angolo business per ricarica i-pad e cellulari, meeting e private room per chi arriva ad Orio per affari e vuole sbrigarli direttamente in aeroporto. Proposta enoica niente male anche per il servizio a bicchiere, decisamente più consono alle esigenze di una sosta non troppo impegnativa. E chi spende almeno 12 euro può parcheggiare gratuitamente l’auto per 2 ore, risparmiando 6 euro. A proposito di prezzi, in rapporto alla qualità sono certamente contenuti soprattutto se paragonati a quanto generalmente si spende in aeroporto per un trancio di pizza mangiato al “volo” ed una bibita (l’abbiamo sperimentato tutti, 10 euro possono anche non bastare…). Da Vicook si spendono 15 euro per un piatto unico che è già un pasto completo compreso acqua e caffè; scegliendo dalla carta più portate si può arrivare al massimo al doppio. A meno che non si voglia riservare la private room per un menu in stile Vittorio… . Vicook, feeling at home, è al primo piano dell’area accessibile a tutti dell’aeroporto Il Caravaggio di Orio al Serio; aperto tutti i giorni dalle 11.00 alle 23.00; tel.035.330109.
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Pagine a cura della redazione di
Il latte sviluppa e rafforza i muscoli Zuccheri, aminoacidi e acqua: il latte è l'alimento più completo dopo l'attività fisica In cucina è un ingrediente fondamentale. Insostituibile per piatti dolci e salati; pensate ad esempio a salse come la besciamella, a creme come quella pasticcera, alle carni come il maiale e il classico arrosto al latte, al pesce mantecato alla vicentina o ancora a contorni come purè o ai gelati e gli immancabili dessert. Quello che per gli chef è un banale ingrediente base, è anche un alimento nutriente e completo. Bere latte fa recuperare energie e fa crescere i muscoli. Quello che rappresenta un pilastro fondamentale nell’alimentazione sin dalla tenera età, si rivela anche un alimento molto efficace per gli atleti e per tutti quelli che praticano sport. Ideale per il movimento, il latte è la vera alternativa alle bevande sportive. Un alimento per il Movimento Il valore nutrizionale e salutistico del latte in relazione all’attività fisica è stato proprio il tema dell’ultimo Convegno “Il Latte oggi: un Alimento per il Movimento”, promosso da Parmalat con il patrocinio di Assolatte. Accademici e rappresentanti del mondo sportivo si sono alternati nel ribadire l’importanza del consumo di latte e fare il punto sull’evoluzione delle evidenze scientifiche su questo prezioso alimento. Importante in ogni fase della vita, come conferma la posizione che gli è stata riservata all’interno della piramide alimentare della dieta Mediterranea (INRAN 2009), il latte ha tantissime proprietà: le più note sono quelle legate all’elevato contenuto in calcio, fondamentale per il mantenimento della salute di ossa e denti e per la regolazione di numerose funzioni vitali, come la contrazione mu-
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scolare. Quello che è un ottimo componente della dieta è anche la bevanda più completa per il movimento perché contiene tutto ciò di cui ha bisogno il metabolismo. Come gli zuccheri che forniscono energia di rapida utilizzazione, gli aminoacidi utili per costruire la massa muscolare e riparare l’usura delle fibrocellule muscolari durante gli sforzi fisici e acidi grassi “corti” di rapido utilizzazione. Latte e sport: i benefici per la salute dei muscoli Il latte è particolarmente utile per l’equilibrio della composizione corporea, favorisce l'aumento della massa magra e la riduzione della massa grassa, rappresentando dunque una valida ed economica alternativa per un rapido recupero dopo l’attività sportiva, oltre ad essere un alimento importante nelle diete dimagranti. È anche una miniera di vitamine e sali minerali come sodio, potassio, calcio, cloro (elettroliti) e contiene circa il 90% di acqua, indispensabili nella fase di recupero dopo lunghi allenamenti di resistenza quando occorre reintegrare le perdite idriche e saline, e le scorte di zuccheri consumate per sostenere l’impegno muscolare e accumulate sotto forma di glicogeno.
Cibo sano ed esercizio fisico: l’integrazione vincente Una corretta alimentazione abbinata al movimento è il binomio vincente per mantenere sano l’organismo e per farlo funzionare al meglio. Se questo binomio è valido per ogni persona, con una vita più o meno sedentaria, lo è ancor di più per chi pratica sport soprattutto a livello agonistico. A differenza di una persona non allenata, l’alimentazione di chi pratica un’attività sportiva intensa deve tener conto di maggiori necessità energetiche e del maggiore lavoro dei gruppo muscolari coinvolti e non da ultimo, dell’impegno psichico. Una dieta sbagliata sia in fase di allenamento, sia di gara, può compromettere una competizione annullando tutti i sacrifici fatti. Di contro, una alimentazione adeguata permette di esprimere al massimo tutte le potenzialità dell’organismo per performance sportive da “campioni” senza l’ausilio di integratori. Le caratteristiche nutrizionali del latte, ricorda Michelangelo Giampietro, docente di “Alimentazione, Nutrizione e Idratazione” Scuola dello Sport - CONI Roma e Presidente della Società Italiana di Alimentazione, Movimento, Ambiente e Benessere (SIAMAB), sono particolarmente indicate per chi pratica un’attività fisica, al punto che le industrie che creano integratori e/o “dietetici per gli sportivi” utilizzano latte nella maggior parte dei loro prodotti, sia come ingrediente, sia come singoli nutrienti estratti da esso. Tante, infatti, le pubblicazioni scientifiche che indicano come questo prezioso alimento-bevanda mostri una efficacia analoga, rispetto a prodotti specifici (integratori) per gli
Il latte? A Manhattan il nuovo “must” è la canapa Ricchissimo di acidi grassi, ma anche carissimo Nel mercato alimentare statunitense ha fatto la sua comparsa un nuovo prodotto, il latte di canapa. Il latte di canapa è adatto a chi non tollera il lattosio, ma non ne può più del latte di soia o di riso, a chi è vegano o a chi semplicemente vuole provare qualcosa di nuovo. Meno a chi ha inutili pregiudizi. Questa bevanda è gustosa, cremosa, ricca di proprietà e, purtroppo per chi magari ci sperava, non ha nulla a che fare con la marijuana. L'hemp milk, come lo chiamano in Usa dove lo si trova in catene di supermercati ben forniti come Whole Foods, è fatto con i semi, ossia la parte commestibile della Cannabis Sativa L, la pianta da cui si ricava anche la marijuana. Ma questi semi, già usati per produrre olio, polveri proteiche o mangiati così come sono, non contengono alcun THC delta-9-tetraidrocannabinolo, il componente psicoattivo della marijuana.
sportivi, nel favorire i processi di sintesi delle proteine e di ricostituzione delle riserve di glicogeno, nelle fasi di recupero dopo una seduta di allenamento. Non è un caso che il latte faccia parte dell’alimentazione degli sportivi italiani come Fiona May, campionessa olimpica di salto in lungo e ospite del convegno che ribadisce : “Il latte contiene i giusti nutrienti necessari ai miei muscoli, posti sotto forte stress soprattutto in periodo di gare e competizioni. Anche ora che non gareggio più come in passato, il latte non manca mai nel mio frigorifero”. Seguiteci anche su www.corporesanomgazine.it
Le proprietà Ciò che rimane è quindi un latte ricco di omega 6 e omega 3, benché quest'ultimo sia presente in forma di acido alpha-linolenico piuttosto che nelle forme più desiderabili EPA e DHA che si trovano invece nell'olio di pesce. Tra gli altri nutrienti importanti ci sono il magnesio, i fitosteroli, vitamina C, beta-carotene, calcio, fibre, ferro, potassio, fosforo, riboflavonoidi, niacina e tiamina. Come si diceva, il latte di canapa è ottimo per i vegetariani (o vegani) perché contiene 10 aminoacidi essenziali. Ciò lo rende un'ottima fonte proteica, benché la qualità delle proteine nel latte di soia risulti superiore. A favore dell'hemp milk, tuttavia, val la pena far notare che a differenza delle proteine di soia, non contiene acido fitico, un enzima che può compromettere l'assimilazione di minerali essenziali. Il latte di canapa avrebbe così il potere di rafforzare il sistema immunitario, circolatorio e il cuore oltre a giovare a capelli, pelle e unghie. Accertate anche le facoltà anti-infiammatorie. Non solo latte Insomma, un cibo nuovo e che l'industria alimentare sta ora proponendo sotto forme diversa. Oltre al latte, infatti, negli Usa è già possibile comprare il gelato di canapa, cereali, waffle e barrette snack. Ma potete farlo anche voi a casa macinando 1 tazza di semi di canapa decorticati con cinque tazze di acqua (o più se lo volete più liquido), potete dolcificarlo con miele o agave e poi filtrarlo con una garza prima di consumarlo o conservarlo in frigo per un massimo di tre giorni. Finora l'unico lato negativo accertato è il prezzo: in media 4,5 dollari per mezzo litro contro i 2 del latte di soia o di mandorla.
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Londra menu da Club 70
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sulla mappa delSe c’è una città in Europa che negli le esperienze da ultimi anni ha vissuto un’escalation non mancare di questi tempi rigastronomica inarrestabile questa è schia di impegnare una buona forchetta sicuramente Londra. Lo sanno bene i per almeno una settimana buona. Solo molti cuochi italiani che in tempi di per spingersi alla scoperta di qualcuno crisi in patria hanno cercato fortuna dei nomi tra i più in voga e trendy. Tra oltremanica spostando il proprio ri- questi non può certo mancare il Lima di Virgilio Martinez, una delle rivelazioni storante o aprendone di nuovi. della lista dei 50 best restaurant in the L'escalation gastronomica ha coinvolto world e un interprete fantasioso e di taanche gli addetti ai lavori e i gourmand lento della cucina di origine peruviana. che si sono ritrovati a frequentare i La sosta nel piccolo e divertente ristorante locali più “in” della capitale inglese ac- a due passi da Tottenham Court rivela corgendosi della continua e incessante una freschezza di idee e intuizioni davvero ventata di novità che investe alcuni dei sensazionali, oltre alla promessa di quartieri alternativi più divertenti nati incroci di sapori esotici davvero inaspetsulle rive del Tamigi. Per non parlare tati. Come si potrebbero d’altronde defidella crescita più o meno generalizzata nire le sorprendenti esplosioni nel palato della ristorazione in tutti i livelli, partendo di una carne Pachamanga accomdalla cucina che propone fine dining e pagnata passando per gli indirizzi etnici, fino ai nomi più classici in grado di rinnovarsi con intelligenza e alle generazioni di cuochi moderni. Un giro di Gualtiero Spotti
Sopra: gelato al dulce de leche, emulsione di barbabietola e radici andine di Maca del ristorante Lima.
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dal mais di Cuzco, di un magret di anitra in escabeche con formaggio fresco e sciroppo di albero Algarrobo o del gelato di dulche de leche con emulsione di barbabietola e croccante di radici di maca andina. Per non parlare dei ceviche o dei pisco sour che accompagnano piacevolmente l’esperienza a tavola nella sala interna, o magari tra i tavoli che sono all’ingresso, sulla movimentata Rathbone place, una zona che verso sera si anima grazie ai molti locali e pub dove fare una sosta mangereccia (tra cui anche una delle brasserie di Raymond Blanc, il cuoco bistellato francese che ha la sua sede storica a Le Manoir aux Quatr’ Saison di Oxford). Londra, però, ha anche molti altri indirizzi cui riferirsi. Spostandosi nel quartiere hip di Shoreditch si incontra il sorprendente The Clove Club, dove il padrone di casa è Isaac McHale, uno scozzese reduce dal Ledbury che ha allestito una bella sala pulita e “cool” al primo piano dell’edificio storico della Town Hall del quartiere. La cucina promette grande at-
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tenzione per le carni (provare il fagiano o le salsicce di piccione per credere), ma anche una inaspettata volontà di mescolare le carte dei sapori attingendo da stili molto etnici, come dimostrano le preparazioni che lasciano intendere singolari commistioni con la Cina o l’India. Un britannico, per dirla tutta, un po’ atipico, che ama anche confezionare carni molto italiane, dal culatello alla
coppa fino al prosciutto, tutto fatto in casa, visto che al The Clove Club si comprano un maiale intero e poi lo lavorano distribuendone i prodotti lungo l’intero menu. Scegliete, per non sbagliare e senza alcuna esitazione, il filetto di agnello delle Ebridi o il divertente kebab di pollo. Se invece volete provare del pesce (anche quello splendido), le cappesante con asparagi, funghi, zenzero e curry sono una certezza, con un pizzico di sprint esotico. Dall’altra parte della città, invece, nel rutilante cerchio di locali che rappresenta la zona denominata The Pavement, ci si accomoda (rigorosamente con prenotazione) a uno dei tavoli di The Dairy, la vivace sala dove il giovane cuoco e patron Robin Gill (ex Marco Pierre White) si diverte a costruire un menu di stuzzicanti piatti giocati sui prodotti dell’orto, sulle affumicature, sulle diverse consistenze, scegliendo materia prima di prim’ordine e lasciandosi andare sulle ali della fantasia. Il Brie de Meaux viene “tartufizzato” su un toast e addolcito dal miele di acacia, le carote sono coltivate su un piccolo terrazzino oltre la cucina (una sorta di orto sospeso nel cuore di Londra) e sposano nel piatto il formaggio di capra e una croccante granella di avena, mentre, in attesa del dolce, vengono serviti dolcetti squisiti e nascosti in una piacevole e vecchia scatola vintage di latta. Ma non c’è da stupirsi, perché a Robin piace giocare e interagire con il cliente. Se così non fosse non sarebbe amico di un cuoco un po’ burlone e non certo meno talentuoso come Paul Cunningham, inglese anch’egli, ma ormai danese di adozione da parecchie stagioni. E per un tour completo alla scoperta dellle varie realtà di Londra vale la pena ricordare la nuova taverna Chiltern di Nuno Mendes, il cuoco stellato portoghese già al Viajante. Il moderno ed
Sopra: ananas cotto nel forno a legna al ristorante L'Anima e qui accanto nuovi palazzi a Liverpool Station.
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elegante HKK, evoluzione dell’originale Hakkasan (uno degli asiatici stellari e stellati di Londra) oppure l’italiano L’Anima che da qualche settimana ha raddoppiato per volontà del titolare, il cuoco di origini calabresi Francesco Mazzei, con un nuovo e grande ristorante (nello stesso edificio dell’originale, basta girare l’angolo…) proponendo cucina concreta del Bel Paese e anche una pizza d’autore. In un locale multifunzione che è anche shop di prodotti italici e take away capace di servire i molti uffici del quartiere, a Liverpool Station. Se poi volete concedervi un pernottamento di stile, l’indirizzo da segnare con il pallino rosso è quello del The Goring, prestigioso e storico palazzo con il lussureggiante giardino più grande in centro a Londra (davvero un’oasi di pace inaspettata) dove, sostando per un tè, potreste perfino incrociare lo sguardo di Pippa Middleton, che qui passa spesso per quattro chiacchiere al bar o sulla terrazza esterna con vista giardino. D’altro canto la rela-
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zione stretta dell’albergo con i Reali d’Inghilterra (siamo a due passi da Buckingham Palace) è certificata dalla storia. Qui, fino a qualche anno fa, passava la Regina Madre a consumare i suoi pasti, e non a caso, ancora oggi in carta nell’ottimo ristorante si può trovare e assaggiare uno dei suoi piatti prediletti, le uova Drumkilbo, in una versione più moderna e light, presentate in un tumbler. Lima, www.limalondon.com The Clove Club, www.thecloveclub.com The Dairy, www.the-dairy.co.uk L’Anima, www.lanima.co.uk The Goring, www.thegoring.com
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RATIONAL sinergia e comunicazione di Elisa Facchetti La tecnologia gioca oggi un ruolo primario, anche nelle cucine di grandi chef. Con le soluzione firmate Rational è possibile concretizzare un dialogo diretto tra cuoco e macchina, un dialogo costante capace di mettere in relazione i desideri di chi cucina e i risultati finali dei metodi di cottura. Tutto questo grazie al nuovo SelfCookingCenter 5 Senses. "Era importante per noi sviluppare una tecnologia in grado di supportare perfettamente il cuoco, di assisterlo, di comprenderlo, di sapere ciò che gli serve e di fornire sempre i risultati desiderati, seguendo le sue istruzioni, in modo affidabile". Le parole di Enrico Ferri, ad di Rational Italia, chiariscono molto bene il fine di quella tecnologia che Rational mette a servizio per creare macchine intelligenti, un supporto indispensabile in termini di prestazioni che stupisce per potenzialità e funzionamento. Protagonista indiscusso il nuovo SelfCookingCenter® 5 Senses, presentato di recente presso alcune sedi di note aziende attive nel settore ristorazione e horeca con un roadshow itinerante. Il nuovo sistema di cottura intelligente semplifica i processi di preparazione di piatti caldi all'interno delle grandi cucine professionali sfruttando la tecnologia dei cinque sensi: sente le condizioni presenti in quel momento nella camera di cottura e la consistenza degli alimenti; riconosce la dimensione, la quantità caricata e lo stato dei rispettivi prodotti, calcolando automaticamente la giusta doratura. Pensa e pianifica, rileva il processo di cottura ideale per ottenere il risultato desiderato. Inoltre è dotato di una straordinaria memoria che gli permette di acquisire e registrare le abitudini di cottura preferite.Comunica con il cuoco mostrandogli in ogni momento l'iter di cottura per eseguire le sue istruzioni. Il SelfCookingCenter® 5 Senses è quindi il primo sistema di cottura intelligente: "Per noi è fondamentale che il cuoco sia e rimanga l'unico a dettare
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le regole. Come un assistente affidabile, il SelfCookingCenter® 5 Senses mette in pratica i suoi desideri e lo fa con la massima precisione" spiega Ferri. Quattro le funzioni a servizio dello chef: iCookingControl, il cuore del SelfCookingCenter® 5 Senses, regola in modo autonomo la temperatura, il tempo di cottura, la velocità dell’aria e il clima della camera, nel modo più appropriato, informando lo chef ogni volta che le impostazioni variano: "Può accadere che la porta rimanga aperta per qualche istante e iCookingControl provvede di conseguenza a regolare il tempo e la temperatura” ci illustra Ferri. iLevelControl permette invece di preparare pietanze diverse contemporanemente, risparmiando tempo, spazio, energia e costi; HiDensity Control® è la funzione responsabile della distribuzione intensa ed uniforme del calore, dell’aria e dell’umidità all’interno della camera di cottura:
già il precedente modello, il SelfCookingCenter® whitefficiency®, comprendeva questa funzione, ora sviluppata maggiormente nella nuova unità Rational. Infine Efficient CareControl, sistema di pulizia automatico che riconosce in modo autonomo il livello di sporcizia della camera di cottura e sceglie il ciclo di lavaggio e decalcificazione più adeguato. Migliorare l'interazione tra cuoco e la tecnologia a disposizione in cucina: da qui nasce lo spirito di continua innovazione di Rational, a partire dal modello SelfCookingCenter® whitefficiency®, di cui sono testimoni numerosi chef, come Maurizio Vinardi Carot del ristorante Valli di Lanzo, in provincia di Torino: "Il SelfCookingCenter whitefficiency? Un forno che farà cambiare idea anche ai tradizionalisti delle confetture" dichiara lo chef, che ha inziato la sua carriera con la produzione di gelati per poi proseguire con prodotti Artù n°62
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La parola a Enrico Ferri, AD Mercato: segnali positivi "Abbiamo riscontrato una svolta positiva sul mercato estero e italiano ed è sopprattutto in Italia che registriamo dati a doppie cifre. Un segnale più che soddisfacente, prova del fatto che se negli anni passati si cercavano prodotti che rispondessero alla parola "risparmio", oggi Rational, azienda dove sono presenti numerosi cuochi e pasticceri, comunica, ormai da più di 40 anni, un messaggio che non punta sul prezzo del prodotto ma sui benefici e i vantaggi che possono sorgere utilizzando una tecnologia evoluta a servizio dell'utente finale. In questo senso posso affermare che il mercato è molto ricettivo e i segnali sono più che positivi". La sinergia del gruppo Rational "Rational è un'azienda monomarca che realizza esclusivamente il nuovo SelfCookingCenter® 5 Senses. Al fine di realizzare un prodotto il più efficiente possibile, nella sede centrale in Germania è presente un team di ben 60 persone tra nutrizionisti, fisici, tecnici e chef che si occupano di ricerca e sviluppo. Posso quindi affermare che questo team è primo a livello europeo in ambito della ristorazione per la ricerca e lo studio di un unico prodotto, dove ogni singola figura partecipa attivamente per apportare la propria esperienza e contribuisce così allo sviluppo di una macchina eccellente. Il team Rational è inoltre in diretto contatto con tutte le richieste e le esigenze del mercato, grazie alla capillare presenza in tutto il mondo di oltre 300 chef dipendenti Rational che recuperano in "presa diretta" le informazioni fondamentali per insegnare alla macchina quello che il mercato italiano o estero richiede e quali necessità devono essere esaudite. Negli ultimi 15
da forno come colombe e panettoni, biscotti e per ultimo marmellate. "Quando si cuoce una marmellata con il metodo classico e quindi a fuoco diretto speiga Maurizio Vinardi Carot -, può capitare che ci si dimentichi di mescolarla e si finisce per bruciarla. Inoltre il punto di ebollizione è molto più alto rispetto al forno e questo comporta che lo zucchero caramellizzi, andando a scurire troppo il colore della frutta". "Con SelfCookingCenter whitefficiency - continua
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anni abbiamo potuto constatare un'evoluzione molto forte nel mondo dell'horeca, soprattutto nel settore caffè-bar, con uno spostamento dell'asse da parte di tale settore che ha sostituito quello che era il frangente della ristorazione di basso costo con un servizio di alto livello. E tante altre realtà si stanno trasformando e si stanno rendendo molto flessibili sul mercato. Quindi è molto importante notare tali cambiamenti e proporre la macchina adatta agli utenti che lavorano in tale settore. Investiamo molto sul nostro personale. Oggi, nelle sede italiana, siamo in 34 dipendenti e ben 18 figure qualificate tra chef e pasticceri sono presenti sul territorio svolgendo importante attività di supporto al cliente finale. La nostra filosofia non è incentrata sulla vendita fine a se stessa, cerchiamo di capire quali siano i benefici migliori per l'utente finale e cerchiamo soluzioni. Questo significa grande sinergia". La tecnologia a servizio dell’utente "La tecnologia non deve spaventare, ma deve essere uno strumento valido capace di semplificare alcune operazioni quotidiane. Per questo motivo noi produttori dobbiamo essere coscienti che è inutile creare una macchina con numerose opzioni, il nostro obiettivo è semplificare ed è quindi fondamentale studiare l'attività quotidiana con cui l'operatore si ritrova tutti i giorni e dargli la possibilità di capire e intuire il funzionamento della macchina. L'operatore deve saper utilizzare da subito il prodotto che ha acquistato e il miglior mezzo che possa mettere in contatto l'uomo con la tecnologia è la comunicazione immediata e semplificata. Oggi tutto questo è possibile con il SelfCookingCenter® 5 Senses e la vera novità è da ricercarsi nell'intelli-
lo chef -, il processo di cottura è gestito in cinque step per arrivare a dare i 105°C di temperatura per la definizione di confettura, così si riesce molto bene a calcolare il rapporto tra zucchero e polpa di frutta. Dopo aver tagliato tutta la frutta a pezzettoni, si mescolano con lo zucchero e del limone e vengono messi in cottura direttamente così in forno chiusi da un coperchio. Nel momento in cui si raggiunge la temperatura esatta, viene emulsionato". Utilizzato
Rational Italia genza visibile e accessibile a tutti: chi conosce già il nostro prodotto avrà modo di ottenere numerosi vantaggi e conoscere informazioni in più; chi non ha esperienza potrà "imparare" dalla macchina, soprattutto l'operatore attivo nel ramo della caffetteria e del bar potrà utilizzare da subito il SelfCookingCenter® 5 Senses, un vero professionista capace di offrire eccellenti servizi a 360°. Il segreto di quest'ultima macchina è la semplicità di comunicazione, è la tecnologia stessa che comunica con l'operatore e indica tutti i passaggi durante il funzionamento, segnalando ogni minimo cambiamento. Primo attore resterà sempre la persona fisica che dovrà gestire la macchina per ottenere un determinato risultato. La macchina, a sua volta, diventa l'assistente perfetto, infallibile, che comunica in tempo reale ogni passaggio per avvisare l'utilizzatore finale e tenerlo informato". Assistenza e promozione "Abbiamo organizzato un'importante ed emozionante attività promozionale per presentare il SelfCookingCenter® 5 Senses, sette tappe in tutta Italia presso prestigiose sedi, come DAC, Orogel, Pentole Agnelli, Scuola Dolce e Salato, I Casali del Pino di Fendi. Obiettivo principale è stato quello di comunicare con i nostri rivenditori: la nostra può essere considerata la migliore tecnologia applicata al settore ristorazione, ma ancora più importante per noi è la sinergia con i nostri partner su tutto il territorio italiano che conoscono le esigenze del cliente. Per noi lo scopo primario è conoscere i clienti e capire le loro necessità: da qui si costruisce tutto e automaticamente si genera la vendita. Con la macchina forniamo anche un servizio completo post vendita chiamato pacchetto Service
anche per la cottura di bolliti o per l'affumicatura, il sistema SelfCookingCenter whitefficiency garantisce ottime prestazioni per ogni tipo di cottura, un investimento che oggi prevede, in occasione del nuovo modello più evoluto SelfCookingCenter® 5 Senses, di sfruttarne tutte le potenzialità grazie all'aggiornamento gratuito disponibile per i clienti che già lo utilizzano, scaricabile nel ClubRATIONAL sul sito www.club-rational.com: "La soddisfazione del cliente
Plus: comprende oltre ai due anni di garanzia anche la possibilità di frequentare corsi gratuiti di formazione di una giornata intera organizzati in tutta Italia. In questo modo è possibile toccare con mano le potenzialità della macchina e imparare a utilizzarla al meglio. Attivo sette giorni su sette anche un numero verde, una ChefLine per rispondere alle domande dei clienti e fornire assistenza tecnica. Per chi invece già possiede il modello precedente, forniamo un aggiornamento gratuito per ottenere gli stessi risultati del SelfCookingCenter® 5 Senses. Comunicazione, fidelizzazione del cliente, tecnologia intelligente, queste le principali linee guida di Rational che ha saputo con i propri prodotti convincere anche i più tradizionalisti a vantaggio di una tecnologia immediata e performante. Un indagine a livello europeo ha inoltre premiato tutti i nostri sforzi: ben il 99% dei clienti dichiara di essere soddisfatto e rappresenta inoltre un altissimo potenziale di riacquisto".
viene prima di qualsiasi altra cosa, anche dopo l’acquisto - precisa Ferri . Desideriamo quindi che tutti i nostri clienti già acquisiti possano continuare ad essere partecipi delle ultime scoperte della nostra ricerca".Questo servizio gratuito rientra in un pacchetto di servizi più ampio chiamato "ServicePlus", ricevuto da ogni cliente all'acquisto di un'unità Rational che beneficia dei suoi vantaggi per tutta la durata del prodotto ed anche oltre. Artù n°62
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Vino, non soltanto export Food, ricette e speck Vinità Italia: primo network d’imprese del vino L’unione fa la forza. Potrebbe essere questo il claim che meglio identifica l'idea che ha dato vita a Vinità Italia, un progetto strategico, nato per resistere alle sfide del mercato globale del mondo del vino puntando sulle aggregazioni di imprese al fine di superare inutile divisioni nonchè sterili e dispendiose inziative di piccole aziende per sopravvivere. Con lo scopo di condividere gli investimenti, i rischi, ma soprattutto i benefici futuri. Vinità Italia racchiude una vera e propria rete d'impresa del vino delle regioni Veneto, Toscana e Piemonte, insieme a BHRgroup, gli artefici e coordinatori della rete. Obiettivo principe è creare
un export vincente del vino italiano attraverso strategie di crescita internazionale, forti dell’eccellenza e della diversità enologica propria dell’Italia. Cinque le etichette commercializzate dalla rete, a partire dall'Azienda Agricola Villa Caplet della famiglia Rambelli nel Valpolicella, alla Fattoria La Peschiera di Saturnia nel cuore dell'Etruria, per passare alla famiglia Gattavecchi che da quattro generazioni si dedicata al Vino Nobile prodotto nelle colline di Montepulciano. Dal cuore della Toscana, all’interno della denominazione del Chianti a San Miniato, troviamo la Fattoria Campigiana, mentre più a Nord, in Piemonte, tra Alba e Bra, tra i pendii del Roero, aderisce al progetto l’azienda Demaria. I vini?
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La rete d'impresa Vinità Italia proprone solo eccellenze: Amarone, Brunello di Montalcino, Vino Nobile di Montepulciano, Vino Imperatore, Barolo.
All’agriturismo Solive in degustazione le etichette di Pellegrini Spa Per tutti i professionisti del canale Ho.re.ca e super Ho.re.ca. il 12 e il 13 maggio è andata in scena la “due giorni” di degustazioni organizzata da Pellegrini Spa, nota realtà della famiglia Pellegrini attiva nella distribuzione in Italia di prodotti vitivinicoli e distillati di qualità. Splendide cornici dell’evento l’agriturismo Solive di Corte Franca (Bs) e la Cantina dell’Azienda Agricola, a Erbusco (Bs). In degustazione le etichette distribuite dall’azienda, con la possibilità di assistere a esclusive Master Class a cura dal sommelier Nicola Bonera, un’occasione importante offerta da Pellegrini Spa ai professionisti del settore, che hanno fatto registrare un migliaio di presenze, per conoscere e apprezare al meglio le eccellenze vitivinicole italiane ed estere, distribuite in esclusiva su territorio nazionale con proposte che vanno dai vini rossi e bianchi, dai distillati agli Champagne. Tra le iniziative da segnalare la prestigiosa verticale di Champagne Jacquesson in compagnia del patron della maison JeanHervè Chiquet."Anche grazie al perfetto Cantina Solive
contributo organizzativo di tutto il team di Solive, il nostro principale evento del 2014 ha avuto un successo quasi inaspettato"- ha affermato Pietro Pellegrini, proprietario di Pellegrini Spa e promotore dell’evento -. "La fattiva presenza di tutti i produttori distribuiti, sia italiani che esteri, è stata fondamentale per l'ottima riuscita della manifestazione". Per conoscere le aziende protagoniste www.pellegrinispa.net.
Da Fattoria Dianella il nuovo frizzante 100% Sangiovese È un rosato la declinazione Sangiovese in purezza "Maria Vittoria and Ottavia" firmato da Fattoria Dianella, un vino frizzante realizzato con il metodo ancestrale, un vino soprattutto toscano, anche se di norma questa terra non parla spesso il linguaggio delle bollicine. Ma Veronica Passerin d'Entréves, proprietaria, ci spiega il forte legame che questo vino ha con la tradizione toscana e con la filosofia di Fattoria Dianella: "Maria Vittoria and Ottavia è un vino ottenuto unicamente da uve Sangiovese e realizzato con il metodo ancestrale che consente in modo del tutto naturale di esaltare le caratteristiche dell’uvaggio. Il vino infatti rifermenta in bottiglia grazie a zuccheri e lieviti endogeni presenti
al suo interno senza nessuna aggiunta. La rifermentazione avviene nelle bottiglie conservate in cantina a 15 gradi di temperatura e per questa prima annata abbiamo deciso di non effettuare la sboccatura. Il vino può avere piccoli residui sul fondo, ulteriore riscontro della sua naturalità". La sfida con il Sangiovese inzia alcuni fa, quando Fattoria Dianella avvia la produzione con Il Matto delle Giuncaie e con il rosato All'aria Aperta, ottenuti unicamente da Sangiovese: "Questo vitigno - continua Veronica Passerin d'Entréves -, è tipico del nostro territorio e tutte le sue varietà offrono grandi risultati: pur essendo un uvaggio di carattere è vinificabile sia in purezza che con altre uve. Queste caratteristiche ci hanno permesso le numerose decli-
nazioni apprezzate dai nostri clienti". Maria Vittoria and Ottavia ben si adatta come aperitivo ed è ideale in abbinamento con piatti tipici della cucina toscana estiva, con primi piatti di pesce e antipasti di mare, oltre che con formaggi di media stagionatura.
Helena Rizzo Best Female Chef Innovazione, creatività e determinazione: sono questi i valori ricercati dalla Maison Veuve Clicquot per celebrare l'ambito riconoscimento di Veuve Clicquot World's Best Female Chef Award, prestigioso premio che quest'anno porta in trionfo i colori del verde e dell'oro. Ad aggiudicarsi il titolo è infatti Helena Rizzo del Ristorante Manì di San Paolo, Brasile, premiata recentemente a Londra durante il World's 50 Best Restaurant Awards, sponsorizzati da S. Pellegrino e Acqua Panna. Con una carriera da ex modella, Helena Rizzo ha dimostrato di saper coniugare i piatti della tradizione brasiliana con le moderne tecniche culinarie, affermandosi come grande chef per il suo talento, la sua passione e sensibilità. William Drew, direttore dei World’s 50 Best Restaurant, ha commentato: "Siamo molto fieri di consegnare questo premio a Helena, in collaborazione con Veuve Clicquot. In un mondo ancora profondamente al maschile, crediamo che celebrare il successo di brillanti chef donne sia di vitale importanza. Se le conquiste di Helena, a sua volta, spingeranno future generazioni di donne ad intraprendere questa professione, non sarà altro che un esito positivo". A conferma della filosofia che permea da sempre la Maison de Champagne, nota per conferire maggiore potere a donne innovative e audaci, come la sua fondatrice. Helena Rizzo si unisce così alla rosa delle vincitrici del Veuve Clicquot World's Best Female Chef Award: Elena Arzak, Anne-Sophie Pic e Nadia Santini.
Helena Rizzo
pepi e spezie rare da ogni parte del mondo, indispensabili nella cucina etnica, con un occhio di riguardo ai condimenti tipici del sushi, tra cui aceto in polvere e wasabi in polvere. Tutti i prodotti sono disponibili in un comodo doppio formato, ideale per testare il prodotto e avere a disposizione una confezione user-friendly.
GIV: fatturato in crescita Fornitori online crescono Un fornitore aperto 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, ma online: è www.chefbazar.it, un nuovo negozio virtuale dedicato ai cuochi e ai professionisti dell’Horeca. La piattaforma, presentata in anteprima a Identità Golose 2014, raccoglie un grande assortimento di prodotti rari e pregiati, tra cui ingredienti liofilizzati sia in polvere che in pezzi, e una linea di caviali, sferificati e incapsulati. Grande spazio è riservato inoltre alla cucina tradizionale piemontese e al mondo del tartufo. A ciò si somma una selezione di sali,
Il Gruppo Italiano Vini si conferma ancora una volta il motore del settore vitivinicolo italiano. La pubblicazione del bilancio relativo al 2013 rivela un fatturato in crescita rispetto al 2012 del 3,2%, attestato a 348 milioni di euro, con grandi soddisfazioni nel mercato estero. Un risultato eccellente, in relazione anche al difficile contesto economico nazionale: se nel bel Paese si è riscontrato un calo "naturale" dei consumi del vino, tuttavia il Gruppo ha saputo operare nei migliori dei modi rafforzando la sua presenza all'estero. A livello commerciale è proseguito il piano di sviluppo delle mar-
Davide Mascalzoni che strategiche del gruppo: Bolla rimane al primo posto per fatturato seguita da Cavicchioli e da Folonari, forte sui mercati esteri. Andamento più che positivo per il settore delle bollicine e la commercializzazione dei brand Carpenè Malvolti, Monogram e Bellei. Sul piano economico finanziario nel 2013 il Gruppo registra un ebitda consolidato pari a 23,9 milioni di euro e un risultato finale di bilancio consolidato pari a 2,3 milioni di euro, con un patrimonio netto pari a 135 milioni di euro. A mostrare anche quest’anno un apprezzabile andamento positivo sono le dieci società estere controllate e/o partecipate dal Gruppo: tra queste la Frederick Wildman & Sons ltd., storico importatore e distributore con sede a New York che ha fatturato 111 milioni di dollari (+5,9%) e la Carniato Europe s.a. di Parigi, la più importante organizzazione di distribuzione di prodotti alimentari italiani in Francia che chiude il 2013 con 59 milioni di euro di fatturato (+5,5%). Il successo del Gruppo Italiano Vini non è solo riscontrabile tra numeri e cifre: molti sono i risconoscimenti assegnati da prestigiose guide e dalla stampa specializzata. Nella foto Davide Mascalzoni, direttore generale Gruppo Italiano Vini. Artù n°62
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La scomparsa di Annamaria Clementi
zione di un grande progetto. Nasce così Ca' del Bosco, un successo premiato anche con una prestigiosa cuvée dedicata proprio ad Annamaria Clementi. Anche Artù saluta per l'ultima volta una figura importantissima per Ca' del Bosco e per tutta la Franciacorta.
Con Tipiak ricette stellate
Annamaria Clementi Si è spenta a 86 Annamaria Clementi, fondatrice della prestigiosa cantina vitivinicola Ca' del Bosco, vedova Zanella nonchè madre di Maurizio, presidente di Ca' del Bosco e del Consorzio per la tutela del Franciacorta. Era il 1962 quando decise di acquistare una proprietà in vendita chiamata Ca' del Bosc, una tenuta in provincia di Brescia, senza acqua ed elettricità. Il marito Albano, in un primo tempo contrario all'impegno economico da affontare per risistemare quella tenuta nel bosco, si fa convincere dalla moglie, che in questo luogo vede la realizza-
Con l'arrivo dell'estate cresce la voglia di preparare ricette sfiziose e veloci da gustare anche fredde, come un'ottimo couscous. Con Tipiak, marchio distribuito in Italia da Eurofood, si possono creare piatti da chef, grazie anche alle creazioni proposte dallo chef stellato Michele Rinaldi. Tre le ricette ideate: couscous Tipiak al curry con crema di asparagi e straccetti di vitello al marsala; bom-bom di couscous Tipiak con melanzane e scamorza; tabouleh Tipiak con insalata calda di gamberi e calamari e gazpacho di pomodoro. Due i formati in vendita, da 500 g e da 1 kg.
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Debutta sul mercato l’annata passata dei vini bianchi top di gamma di Cantina Tramin, ultima presentazione sul mercato fino a gennaio 2016: in vista un profondo cambiamento nei ritmi di imbottigliamento della cantina e nelle fasi di maturazione per l’intera selezione dei bianchi, top di gamma della produzione Tramin, che comprende Nussbaumer Gewürztraminer, Unterebner Pinot Grigio, Stoan Cuvée e Montan Sauvignon, etichette che ogni anno segnano il tutto esaurito. Un cambiamento motivato dalla volontà di perfezionare ulteriormente la qualità e la personalità dei vini proposti nonchè rispettare ancora di più le esigenze dei singoli vitigni. Dall'azienda, l'enologo direttore di cantina Willi Stuerz, indica le ragioni di questa scelta significativa: "Vogliamo mettere maggiormente in valore le potenzialità di questi vini, che rappresentano
Tabouleh Tipiak
Couscous Tipiak al curry
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I “nuovi” bianchi di Cantina Tramin
per noi il top della nostra produzione. Attendendo ulteriori mesi di maturazione, i vini avranno la possibilità di svilupparsi al meglio, secondo tempi e ritmi ideali. Questo vuol dire che lasceremo i vini a contatto prolungato con i lieviti, fino a luglio, e poi imbottiglieremo concedendo una maturazione ottimale, attendendo gennaio seguente". La nuova an-
nata 2013 sarà ancora presentata tradizionalmente a partire da questo giugno, in attesa di una rinnovata gamma di bianchi.
Monte Rossa Coupé, Non dosare il talento È questo il nome del contest fortemente voluto da Emanuele Rabotti, patron della Cantina Monte Rossa, nato con l'obiettivo di individuare il sequel della tavola che lo scorso anno ha accompagnato il Monte Rossa Coupé e aperto agli studenti delle Scuole di Fumetto di tutta Italia e ai fumettisti under 30. Un'occasione da
non perdere per i giovani creativi che potranno godere di una grande occasione di visibilità, come è accaduto per il famoso fumettista Gigi "Sime" Simeoni. Il progetto è sostenuto da La Gazzetta dello Sport che pubblicherà a pagina intera la tavola che si aggiudicherà il contest. Tra tutti i progetti inviati entro il 20 giugno solo sei saranno pubblicati online scelti degli utenti Facebook, stretta la rosa a tre progetti sarà la Commissione Giudicatrice a decretare il vincitore.
Speck Alto Adige Igp: ambasciatore del gusto Prodotto tipico di qualità, lo speck Alto Adige diventa Igp solo se
rispetta determinati canoni: utilizzo di cosce suine magre e sode provenienti da allevamenti riconosciuti e controllati dell'Unione Europea. Compito poi di ogni produttore tramandare i segreti di aromatizzazione della baffa, con un mix composto da aglio, ginepro, sale, pepe, alloro, rosmarino. Ne nasce un prodotto eccezionale che può definirsi Igp solo se supera i rigidi controlli effettuati dal Consorzio Tutela Speck Alto Aidige, così eccezionale da essere stato presentato di recente a un evento organizzato dal Consorzio per ribadire la qualità dello speck Alto Adige Igp e suoi numerosi abbinamenti in cucina. L'evento, svolto a Milano presso la sede di In Kitchen
Loft, è stata l'occasione per il nuovo resposabile del Consorzio Matthias Messner di illustrare ad un pubblico di addetti ai lavori le caratteristiche di questo prosciutto crudo leggermente affumicato, le tecniche di taglio e la storia ad esso legata, nonchè le gustose pietanze a base di speck, espresse magistralmente per l'occasione da uno showcooking diretto dallo chef Anton Dalvai del ristorante Dorfnerhof a Casignano (Bz): ottimi i finger food come le uova di quaglia e speck croccante, polenta e speck, gambero e salmerino avvolti nello speck, spuma di verza e speck croccante e per finire uno squisito risotto con asparagi bianchi e speck Alto Adige Igp.
Al centro Matthias Messner
libri
Pane, pizza, champagne e ricette al gorgonzola
Titolo: Farina acqua lievito sale passione Autore: Antonio Pace, Tommaso Esposito, a cura dell'Associazione Verace Pizza Napoletana Editore: Malvarosa edizioni Anno: 2013 Pagine: 272 Prezzo: 26,00 €
Titolo: Gorgonzola My Love. Gustose ricette tra Chef e Tradizione Autore: Igor Editore: Igor Anno: 2013 Pagine: 180
Titolo: Grandi Champagne 20142015. Guida alle migliori bollicine francesi in Italia Autore: Alberto Lupetti Editore: Trois Cépages Anno: 2013 Pagine: 394 Prezzo: 17,00 €
Titolo: Buone come il pane. 90 ricette antispreco per riutilizzare il pane Autore: Monica Molteni Editore: Editoriale Lariana Anno: 2013 Pagine: 152 Prezzo: 12,00 €
"Fatte 'na pizza...” Arriva in libreria il libro dell’Associazione Verace Pizza Napoletana: 65 ricette di pizze napoletane realizzate dai maestri dell’Associazione, 300 foto di Vittorio Sciosia e oltre 50 aneddoti raccontati da Antonio Pace, Presidente dell’Associazione, e Tommaso Esposito. Da Carlo Petrini, presidente di Slow Food Internazionale, l'augurio nella prefazione ai primi 30 anni dell'Associazione Verace Pizza Napoletana. Seguono "Pochi semplici ingredienti", "L'impasto", "I grandi classici", "Pizze rosse", "Pizze bianche", "Pizze verdi" e "Veraci per passione", ovvero i ritratti dei maestri della pizza. Il tutto condito con giusto dosaggio da "storie di pizza". “Farina, acqua, lievito e sale hanno da sempre incontrato la passione partenopea, dando origine a un prodotto capace ancor oggi di conquistare i palati di tutto il mondo con la sua semplicità”, in queste parole del Presidente dell’Associazione Antonio Pace si racchiude lo spirito che ha guidato la realizzazione del libro, un impegno volto a tutelare l’identità di questa eccellenza del Made in Italy.
Una grande Dop tutta da gustare Storica azienda del novarese, Igor è da anni sinonimo di Gorgonzola. Tanto da dedicare alla prestigiosa Dop un libro ricco di ricette a base dell'omonimo erborinato, introdotte dalla sepienti parole del noto giornalista enogastronomico, nonchè volto tv, Edoardo Respelli. Italiano-inglese, il nobile volume propone ricette per ogni ocasione: happy hour, antipasti, primi, secondi e dessert, a cui viene sempre consigliato, a piè pagina, il vino in abbinamento, il tempo di esecuzione della ricetta e la difficoltà identificabile con un cappello da chef. Le ricette, alcune delle quali proposte da più o meno noti ristoranti, sono accompagnate da foto a tutta pagina.
Il "Re dei vini" Seconda edizione per il volume "Grandi Champagne", pregiato lavoro a cura di Alberto Lupetti, esperto conoscitore di champagne e stimato collaboratore anche della nostra rivista Artù. L'impianto ricalca la scorsa edizione, ma alcune novità lo rendono ancora più completo e di facile consultazione: in primis offre le schede di 100 champagne in più assaggiati; introddotta inoltre la fascia di costo, il tipo di champagne con due indicatori che segnalano se sia più fresco o maturo, più secco o dolce. A piè pagina un talloncino verde svela la tipologia di fruizione (Per tutti, Aperitivo, Tavola, Piacere, Miti). Protagonisti sono quindi ancora una volta i produttori e i loro champagne, sezione preceduta da una ventina di pagine "generali" e gli abbinamenti migliori. A chiudere il volume l'elenco con gli indirizzi dei distributori italiani del "Re dei vini".
Un messaggio antispreco Lodevole l'inziativa, spiegata in meno di una paginetta, che l'associazione La Stecca di Como ha intrapreso dal 1959 chiamando tutte le "classi" - anagraficamente parlando - che ogni anno compiono 50 anni, al fine di sostenere o realizzare inziative in ambito sociale. Ed è da qui che nasce l'idea di un libro, generato da molti contributi - tra cui anche quello del nostro collaboratore di Artù nonchè noto giornalista enogastronomico Rocco Lettieri - che si pone l'obiettivo di valorizzare il pane per stimolare la sensibilità e l'impegno a non sprecarlo, quale alimento simbolico per eccellenza e protagonista anche di un concorso online "antispreco" lanciato dalle classi 1956, 1958 e 1960 de La Stecca di Como. Dopo un breve excursus tra " Pensieri, storie, ricordi...e qualche suggerimento" a firma di Rocco Lettieri - e un breve "abc" sul pane, ci si addentra tra 90 ricette salate e dolci, ovviamente tutte a base di pane, possibilmente raffermo, per assicurare la riuscita della ricetta e sensibilizzare la vera filosofia antispreco.
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secondo Alberto
Il Garibaldi merita il viaggio Barbapedana “ragionevole” IL GARIBALDI
qualche centinaio di etichette italiane, oltre ad una selezione intelligente di grandi champagne, sans année e millesimati. Una esperienza che merita approfondimenti, anche per il prezzo, onestissimo e decisamente inferiore alla media Italiana. Conto sotto i cinquanta euro, vini a parte (ma i ricarichi sono Tavoli distanziati, acustica perfetta, cu- più che onesti). cina a vista, atmosfera da grande ristorante classico. Bella scoperta (un A DI ALICE po' tardiva, visto che l’attuale gestione Via Pacinotti 22 del locale si è insediata già da due 20900 Monza (MB) anni) questo Garibaldi, ubicato nel 039 9162219 cuore di Cantù, città brianzola e mobi- www.adialice.it liera connotata da spiccato spirito imprenditoriale ma anche, ahimé, da interesse gastronomico molto scarso (eccezion fatta per la Scaletta e per La prima impressione, entrando in pochi altri locali). Il Garibaldi propone questo locale nel centro di Monza, è una cucina di gusto e sapori, perfetta- di essere ospiti di amici per una cena mente eseguita ispirandosi alla tradi- nel salotto di casa, perché l’ambiente zione parmigiana più autentica, "espor- è elegante ma caldo e accogliente, tata" fin qui dalla coppia di patron con toni che vanno dal bianco al torche guida il ristorante (lei in cucina e tora. Ed è molto personale, grazie lui in sala). Qui si viene per gustare anche ai quadri alle pareti, frutto della piatti memorabil e decisi, pur nella creatività di Valeria – moglie dello loro espressività il più possibile coe- chef Luca Mauri – e al nome: AdiAlice rente con le aspettative di leggerezza è infatti una dedica alla figlia della di una parte consistente della clientela. coppia, ovvero Alice. Aperto bel 2011 Obbligatorio iniziare con le "Trilogie", dopo aver completamente ristrutturato di formaggi, di salumi, di culatelli. Fra gli spazi di una ex pizzeria, l’ampio rii primi, da provare il Parmigiano Reg- storante ha un angolo-salotto con digiano 28 mesi, poi il crudo di Parma vano e alcune poltrone per gustare 36 mesi, seguito dal culatello "supre- un aperitivo prima della cena, e/o un mo" Dop stagionato 28 mesi. Una liquore o un caffè dopo. Il menu – preparato in cucina spaziosa e ben strutvera chicca per appassionati. I primi piatti in carta danno buona turata dove lavora una squadra comprova di sè e di una cucina ben curata posta da quattro elementi, chef comnei dettagli e nell'uso di materie prime: preso - punta le sue carte su una cuabbiamo assaggiato i tortelli di erbetta cina tradizionale alleggerita (cinque e ricotta al parmigiana con burro fuso ingredienti al massimo per ogni piatto) e i cappellacci del Garibaldi con farcia e attualizzata grazie alla presenza di di faraona, burro al rosmarino e colata ingredienti diversi dalle ricette classiche. di pomodori, ottima esperienza, avvalo- Così sono nati ad esempio il baccalà rata da un servizio decisamente all'al- mantecato con crema di patate e veli tezza. I secondi di carne, vedono in di pane croccante; la tartare di manzo pole position il filetto di vitello alla Ga- al coltello con daykon croccante, piselli ribaldi, con culatello (onnipresente) e sbucciati e mandarino; gli spaghetti sfoglie, ma anche il maialino alle verdure Mancini con coniglio di Carmagnola, saltate merita un assaggio. Buona la carciofi e maggiorana; il riso biologico selezione dei dessert, con lo zabajone Cascina Belvedere ai pistilli di zafferano e la torta di mele con crema di latte in e ossobuco alla milanese. prima fila. La cantina, superba, propone All’ingresso, un piccolo spazio è dediPiazza Garibaldi 13 22063 Cantù (Co) 031 704915 www.ilgaribaldi.it
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cato alla vendita di prodotti che lo chef utilizza anche per le sue ricette.
QUARTA CARBONAIA Viale Regina Giovanna 22 20124 Milano 02 29525531 Chiuso lunedì
Esistono ancora quei ristoranti con il cameriere che fa battute, magari che ti suggerisce i piatti, dalla bruschetta al sorbetto al limoncello e che chiama madame le clienti? Insomma, quei ristoranti abbastanza prevedibili, frequentati sempre dalla stessa tipologia di clienti, modello "baci e abbracci". Locali che non hanno mai "rivisitato" nulla, nè ambiente, nè cucina, nè atmosfera, quelli che le guide gastronomiche ignorano (ricambiati volentieri dai titolari)? Sì, esistono eccome e a giudicare dalla loro tenuta, riscuotono sempre discreto successo, perlomeno nelle grandi città. Il merito, forse, sta proprio nella scelta dei piatti, delle preparazioni, dello "stile" inconfondibile. È il caso di questa Quarta Carbonaia, identica nel tempo, con un menù inossidabile a base di carne (buona), primi piatti di pasta fre-
sca (i soliti, ma incisivi per consistenza e sapidità), contorni di stagione ed altre proposte tradizionali in cui la creatività, valore che sembra avere invaso la Milano della ristorazione che "se la tira", è del tutto assente. Probabilmente questi locali resistono alla crisi grazie a scelte oculate delle materie prime, a costi di personale contenuti e, soprattutto, alla frequentazione da parte di una clientela "affluente" che, a dispetto della crisi, affolla sempre convivialmente i loro tavoli e consuma piatti dalle porzioni decisamente abbondanti. In un certo senso, sono locali "rassicuranti", forse perché sembra di essere rimasti fermi agli anni Ottanta, quando tutto girava meglio. Non sappiamo se si tratti di ristoranti "ragionevoli" possiamo solo dire che alla Quarta Carbonaia una costata alla brace più un contorno di funghi porcini (esagerato in quantitá), una bruschetta, un caffè e una bottiglia di San Pellegrino vi costeranno 38 euro, compreso servizio, simpatia del cameriere, arcaici cantucci omaggio della casa. Prezzo sicuramente "ragionevole" se raffrontato a quello della ristorazione alta, ma molto elevato se rapportato al conto di una sana trattoria di territorio, peraltro inesistente a Milano. O no?
LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole
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BARBAPEDANA Corso C. Colombo 7 20144 Milano 02 8321732 www.elbarbapedana.it Chiuso la domenica
Angelo Ambivero è un professionista che ha fatto del Barbapedana la sua ragione di vita. Così almeno ci pare, visto che "presidia" la sua trattoria di Porta Genova con la costanza e l’energia di un patron indomito e appassionato. Il localino, che ricorda vagamente certi bàcari veneziani - una trentina di coperti su piccoli tavoli gomito a gomito - richiama per il pranzo una fedele clientela di lavoro che lascia spazio, di sera, a commensali con più tempo (e denaro) a disposizione, più avvezzi alla frequentazione di i ristoranti. La cucina è schietta, abbondante e di impronta perlopiù lombarda, con non poche divagazioni, forse un po' affrettate nelle descrizioni indicate su una grande lavagna (per il mezzogiorno), ma tutto sommato corrette per qualità e quantità: risotto gamberi e zucchine, gnocchi al ragù, fusilli alle zucchine, hamburger di Chianina con patate fritte (buone), calamari con insalata, asparagi quando è stagione. Il conto, a pranzo, senza vino, è sotto ai quindici euro. A cena, con una buona bottiglia (la carta dei vini è semplice e curata, anche se con poche etichette) o con un calice, sale verso i trenta. E talvolta li supera. Servizio spartano, alla "milanese" dei tempi andati. Ma forse è proprio quello che molti cercano.
LAURO, RISTORANTE E HOTEL Loc. Rezzonico 22010 San Siro (Co) 0344 50029 Cell 348 2646726 www.hotelauro.com
Tra le viuzze scoscese di questo suggestivo borgo lacustre, a un paio di chilometri da Menaggio, si trova questo ristorantino datato, risalente a fine Ottocento (e si vede)... Ambiente intimo e raccolto, in linea con l’atmosfera di austerità lariana che permea l'aria: la cucina è semplice e attinge alla tradizione locale, con divagazioni verso la vicina Valtellina (esempio: i pizzoccheri). Molte le proposte a base di pesce di lago, ottimamente eseguite, fatto abbastanza raro in terra lariana, dove la gran parte dei ristoranti appartiene alla categoria "acchiappa turisti". No, qui al Lauro è diverso, la cucina vuole innanzitutto rispettare le tradizioni, a costo di essere fuori moda e ancorata al passato. Ma che passato! I missultitt, ovvero gli agoni messi ad essiccare, piatto tipico del lago di Como, sono ottimi per gusto e fragranza, il risotto con il pesce persico, proposto solo quando è possibile la pesca di questo pesce, è eseguito secondo i canoni, ma trovate anche molte proposte di pasta fresca, forse un po' meno tipiche ma altrettanto valide. Prezzi ultra ragionevoli. Da migliorare la proposta dei vini, ancorata e ferma ad un passato molto remoto. Per chi si ferma a dormire (50 euro la camera doppia), va consumata la prima colazione in albergo, a base di burro di montagna e buone marmellate di frutta locale.