Artù 05 06 2015

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Artù n°68 - Maggio - Giugno 2015

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Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

Brigate di cucina e grandi chef. I ritratti di Ferdinando Cioffi fanno storia Hong Kong, le tre stelle di Umberto Bombana: il made in Italy va fortissimo S.Pellegrino Sapori Ticino, riparte l’evento gourmet di Dany Stauffacher Mercato del vino in crisi? Macché, mai andato così bene: parola di Vinexpo Chef e dintorni: Botta, Conti, Sciarrabba, Abbate, Falk, Parisi, Trapani

Maggio Giugno 2015

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EDITORIALE n°68

MANGIATOIA

A giudicare dalla quantità di nuove aperture di attività commerciali, sembrerebbe che, in Italia, la ristorazione (in senso lato) sia ormai il vero business del presente e del futuro. Quantomeno nelle grandi città, dove l’odore penetrante dell’olio (non extravergine di oliva, spesso alla settima frittura) pervade ormai interi quartieri, trasformatisi in breve tempo in vere e proprie food court, che ammanniscono pollo fritto, patatine olandesi, pizza al trancio, hamburger e quant’altro. Dunque, accantonata (temporaneamente?) l’ipotesi di trasformare l’Italia in un gigantesco wine-bar (i consumi interni non lo consentono, meglio puntare sull’export verso i paesi emergenti), l’imprenditorialità nostrana punta decisamente sul food, in tutte le sue varianti e in tutti i

l’Expo ormai avviata), cerca italianità, correttezza culinaria, gusto e sapori semplici, che siano il più possibile veri, percepiti come italiani al 100% e non solo volgarmente somiglianti. Chi cerca il gusto e i sapori italiani, dopo magari esserseli immaginati per anni, desidera trovarli e si augura che siano quelli giusti, supportati da una scelta delle nostre migliori materie prime, dalla nostra capacità di offrire piatti leggeri e armonici e non volgari accozzaglie di ingredienti che si confondono l’un con l’altro. Mi capita talvolta di vedere servite, al momento dell’aperitivo, schifezze inguardabili, che riempiono oscenamente piattini di plastica, stracolmi di batteri, salsine, conservanti. Che tristezza. Come ha ragione Gualtiero Marchesi quando, sconsolato, dice che in Italia oggi “cucina non fa rima con cultura”. Riusciranno i nostri interpreti più bravi a invertire una tendenza che pare inarrestabile e a risalire la china? Ne sono convinto, a due condizioni: la prima, che alla supremazia mediatica degli chef televisivi si sostituisca il format possibili: finti ristoranti gourmet nuare a baloccarci con i nostri spaghetti valore del lavoro quotidiano, della cultura con tanto di chef da esibire, etnico di al pomodoro, per non dire delle mitiche delle materie prime, del sapere lavorare lusso, biodinamico, vegano, ma anche “fettuccine Alfredo” che hanno egemo- in squadra. La seconda, che chi fa insteak house più o meno “extreme”, nizzato per decenni la scena della nostra formazione riprenda a lavorare seriafriggitorie, cinesi travestiti da giapponesi offerta ristorativa all’estero? O di am- mente, collaborando attivamente con i (oltre duemilacinquecento insegne, solo mannire per l’eternità fave pecorino e professionisti più bravi e fornendo cona Milano) e molto, molto altro. Una un buon bicchier di vino? Diamine, i tenuti degni di questo nome, rifuggendo specie di giungla, in linea con il nuovo tempi cambiano… Eppure, eppure... La da gossip e vacuità. Da parte nostra, global asset dell’offerta di ristorazione parte di mondo che passa di qui vor- abbiamo scelto di lavorare con un nel mondo, ma anche frutto di investi- rebbe mangiare cibo italiano vero, arriva gruppo di chef coraggiosi (come quelli menti “interni”, spesso gestiti da orga- fin qui in cerca di piatti autenticamente di Chic, per esempio), consapevoli che nizzazioni di dubbia legalità. In un modo espressivi di un territorio, oltre che della il made in Italy di qualità nel mondo o nell’altro (di riffa o di raffa, direbbe genialità e bravura di chi li cucina e li sarà l’ancora di salvezza, purché qui, a qualcuno) le cose vanno avanti, fra ac- propone. Troppo spesso ci dimentichiamo casa propria, si lavori duramente sul quisizioni, finanziamenti, affitti di ramo che il made in Italy nel mondo, dopo fronte della responsabilità e dei valori, d’azienda ecc... La sensazione è che la anni di contraffazioni e truffe ad opera lontano da rumors e chiasso inutile. società vada rapidamente trasformandosi di abilissimi imitatori (e con la complice Per arrivare a stabilire la effettiva suprein una mangiatoia a cielo aperto, com- acquiescenza delle istituzioni), è sempre mazia della cucina italiana. plice lo street food che dilaga senza più ambito ed attuale. E chi viene in Alberto P. Schieppati limiti. Pensavamo forse di poter conti- Italia, per turismo o business (o per Artù n°68

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SOMMARIO n°68 Pag. 4 Pag. 6 Pag. 8 Pag. 10 Pag. 12 Pag. 14 Pag. 16 Pag. 18 Pag. 20 Pag. 22 Pag. 24

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In copertina: una foto storica di Ferdinando Cioffi, a cui è dedicato il servizio a pagina 36. La foto, di grande suggestione, ritrae la brigata di cucina del ristorante l’Ambasciata, a Quistello (Mn). Al centro, lo chef Romano Tamani coordina il gruppo di lavoro durante una riunione prima di una cena importante.

Info people Gli inediti percorsi di Karlheinz Falk di Rebecca Andreola Bruno Bassetto, taglio perfetto di Rosa Marchetti S.Pellegrino Sapori Ticino “euforia culinaria” di Elisa Facchetti Host, network mondiale per l'out home di qualità di Rebecca Andreola Fratelli Cesena, tradizione d’autore di Rosa Marchetti Expo: “Diversità armoniose in cucina” made in Japan di Rebecca Andreola Info brand Villa Franciacorta, nuova etichetta per Expo di Elisa Facchetti Note di Champagne con Krug Symphony nr.1 di Rebecca Andreola Krupps, sistemi eco-friendly per stoviglie perfette di Elisa Facchetti Torre Fornello il vino si fa arte di Elisa Facchetti Focus wine Vinexpo core business in crescita di Luisa Contri Focus food Trussardi Alla Scala cambia chef (e look) di Alberto P. Schieppati “Riso Buono” amore antico di Elisa Facchetti I ritratti-icona di Cioffi di Theo Smith Protagonisti food Pietro Parisi il cuoco contadino di Agnese La Rocca Al Porto milanese la classicità resiste di Alberto P. Schieppati Davide Botta, cucina moderna in evoluzione di Elisa Facchetti Casiglio, il piacere nasce dalla passione di Carmelo di Alberto P. Schieppati All’Arabesque per il rustin negàa di Luisa Contri Forte dei Marmi, lo chef del futuro è qui di Gianni Mercatali Accueil Re-opening al Castello di Velona di Claudio Zeni Al Relais I Miracoli scorci mozzafiato di Doady Giugliano Dal mondo Italiani a Hong Kong, il successo di Bombana di Elio Ghisalberti Vilnius, Lituania: cucine in movimento di Gualtiero Spotti Equipment Giorik, sistemi di cottura intelligenti di Rosa Marchetti News Guida Chic, cento chef, una grande Italia del gusto Libri La storia dei Santin, guide tra web e carta di Rebecca Andreola Secondo Artù Lista del giorno: minestrone o costoletta? di Alberto P. Schieppati

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Gli inediti percorsi di Karlheinz Falk di Rebecca Andreola Tradizione fa rima con mediterraneità e alta cucina per Karlheinz Falk, chef del ristorante Olivi dell’Hotel Terme Merano, destinazione altoatesina dove i piaceri del palato incontrano percorsi inediti, in un mix di specialità che sapranno accontentare tutti i gusti. 54 anni, e quarant’anni di esperienza, Karlheinz Falk dirige dal 2010 il ristorante Olivi dell'Hotel Terme Merano con eleganza

e professionalità, per soddisfare i clienti provenienti sia dall'Italia, sia dai Paesi oltre confine. “Quando decido un menu da proporre penso di farlo per me stesso e per la mia famiglia - confessa Karlheinz Falk -. Oltre alla tecnica è fondamentale la passione per questo mestiere e per il cibo. Il mio staff è composto da 14 cuochi con cui il saper 'fare squadra' è

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del vino rosso Lagrein, fino a ottenere un colore intenso e la consistenza desiderata. Il piatto viene poi decorato con delle foglie blanché di aglio orsino. Incontro perfetto tra mediterraneità e sapori intensi dell'Alto Adige è senza dubbio la “caponata siciliana con praline di formaggio caprino all’erba cipollina con rotolini di speck gran riserva”, un secondo piatto che esalta le erbe aromatiche della montagna, le verdure di stagione e lo speck gran riserva, solo stagionato e non affumicato, per lasciare spazio al gusto del formaggio fresco caprino, il tutto condito con un ottimo aceto balsamico stagionato. Da non perdere il Gala Dinner, dove ogni giovedì sera lo chef debutta con l’assaggio di piatti più sofisticati. Rispetto per la trauna scelta vincente. Sperimento ormai dizione e gli ingredienti, ma soprattutto da anni con loro menu che rappresentano per l'ospite: "Mi piace interagire con gli assieme la cucina tradizionale dell’Alto ospiti del ristorante per capire le loro esiAdige, la cucina mediterranea e la cucina genze in modo da creare menu gluten classica francese un pò più sosfisticata. free e senza lattosio rivolti a chi soffre di Piace questo mix e accontenta i gusti di celialchia oppure di intolleranze alimentari. tutti. Piace soprattutto l’utilizzo di prodotti Già al momento del check-in l’Hotel di qualità legati al territorio". E con l'arrivo Terme Merano richiede all’ospite di sedella primavera cambiano anche i piatti gnalare eventuali problemi. Anche per i in degustazione, proponendo gustose bambini sono a disposizione menu speciali ricette a base di asparagi di Terlano e e adatti a loro". A ispirare lo chef la piatti di carne e pesce accompagnati da natura che circonda l'elegante hotel, per una vasta gamma di erbette aromatiche scovare nuovi prodotti e scoprire i profumi sempreverdi coltivate nell’orto dell’hotel. dall'Alto Adige, ma non solo. Molto spesso Come l'aglio orsino, protagonista del sono i libri, i giornali, le riviste specializzate piatto "tortelloni all'aglio orsino e ricotta che permettono a Karlheinz Falk di consu scalogno al vino Lagrein": a un impasto frontarsi e studiare inediti piatti, o trovare tradizionale per i tortelloni viene infatti ag- ispirazione per un menu davvero speciale, giunto l'aglio orsino precotto e tritato fini- sempre all'insegna del rispetto per il terrimente. Il condimento è invece preparato torio, con quel pizzico di internazionalità con dello scalogno tagliato a julienne e e mediterraneità che rende la sua cucina rosolato con olio di oliva e con l’aggiunta più che unica.



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Bruno Bassetto Taglio perfetto di Rosa Marchetti Dopo il successo del suo ultimo libro "Tra tagli d’Italia dalle corna alla coda", il maestro macellaio trevigiano Bruno Bassetto lascia il classico lavoro dietro il bancone per dedicarsi a una nuova esperienza itinerante, con l’obiettivo di diffondere la cultura del mangiar bene con un occhio al portafoglio. Il suo è un invito a un viaggio di scoperta dedicato alle carni. Dopo aver chiuso i battenti del "Tempio", nome con cui era conosciuto il negozio di macelleria a San Liberale (Tv), Bruno Bassetto decide di trovare una nuova sfera di interazione con la gente viaggiando per l'Italia: "Amo da sempre questo mestiere ed ora che non sono più dietro al bancone mi sento più libero di dedicarmi a ciò che prediligo, viaggiare, dovunque mi porti la mia passione, soprattutto stare tra la gente perché è socializzando che si apre la mente ed è con questa predisposizione che riesco a dare il meglio di me". L'obiettivo infatti è trasmettere al mondo della ristorazione, così come ai giovani chef e al consumatore generico, la filosofia che da sempre caratterizza il suo prezioso lavoro, spesso "snobbato" o considerato di poco valore. Ed è da qui che nasce l'esigenza di Bruno Bassetto di riconoscere a dare un nuovo valore, grazie alla sua grande esperienza, alle parti meno nobili dell'animale, elevandole a possibili piatti da consumare per imparare a mangiare sano senza spendere una fortuna. La conoscenza di ogni taglio, la perfetta coscienza del valore del "mestiere" di macellaio, gli ha permesso di elaborare una personale visione di questo nuovo viaggio, svelando alcuni segreti utili da cui prendere esempio: tra i tagli anatomici della carne, il diaframma, per esempio, è una parte molto succulenta e sanguigna, pur se piccola e leggermente filosa ed è quindi ideale per preparare ottimi piatti come ragù, accompagnata da scamone di maiale tagliato a coltello. Altra possibilità può

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essere il suo utilizzo come tagliata, dal gusto particolare e perfetta come antipasto. Il consiglio di Bruno Bassetto è di cuocerla in forno in sottovuoto a bassa temperatura, passarla poi sulla piastra o sulla bistecchiera facendo attenzione che resti rosata all’interno e infine, dopo averla tagliata finemente, servirla con radicchio e un filo di olio extravergine di oliva. Il diaframma può anche essere battuto e preparato col fesone di spalla, parte del quarto anteriore che rientra tra i tagli consumati subito dopo la macellazione, carne molto succulenta e a un prezzo decisamente più accessibile. Si prepara condita con sale marino e olio Dop del Garda adagiandola su crostini di pane dorato. I tagli nobili come filetto e controfiletto possono essere quindi sostituiti egregiamente, utilizzando parti meno costose ma di ottima consistenza. Anche l'hamburger può essere ripensato secondo la filosfia di Bassetto: ai tagli magri della coscia utilizzati, in genere, dalla ristorazione, preferisce il reale, taglio del quarto anteriore, perché più morbido, che lui stesso prepara in modo artigianale, a mano, invece di pressare la carne a macchinetta. E la cottura deve essere perfetta, facendo attenzione a mantenere l'interno rosato. L'esperienza di Bruno Bassetto è tale da essere impegnato come relatore a seminari e convegni di approfondimento sul tema della carne, ai quali affianca l’attività di docente ai corsi professionali per macellai e quella di consulenza.



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S.Pellegrino Sapori Ticino “euforia culinara” di Elisa Facchetti 19 serate, più di 1500 partecipanti, oltre 100 prenotazioni e liste d'attesa: questi i numeri di S.Pellegrino Sapori Ticino, evento che arricchisce ed eleva il mondo gastronomico nell'olimpo dell'eccellenza. E lo fa, quest'anno, attraverso un viaggio tra le migliori tavole del mondo, grazie all'incontro di 8 World's Top Chefs con i più apprezzati e celebri interpreti del Canton Ticino. Grande successo per la nona edizione di S.Pellegrino Sapori Ticino, l'evento dedicato alle eccellenze enogastronomiche ideato e organizzato da Dany Stauffacher, che in questi giorni sta dando il meglio di sè confermando un successo che da otto anni unisce divertimento e alta cucina, territorio e prodotti d'eccellenza. Inaugurato il 3 maggio, S.Pellegrino Sapori Ticino ci accompegnerà fino al 14 giugno con una serie di eventi e serate che vedranno protagonisti 8 World’s Top Chefs nelle cucine dei migliori alberghi del Canton Ticino. Con un totale di 30 stelle Michelin partecipanti e un numero altissimo di punti Gault&Millau, l’edizione 2015 sta riflettendo il suo successo a livello mondiale. Tre cene hanno salutato l'apertura della manifestazione, al fine di promuovere l’enogastronomia di qualità ticinese ed è spettato all'Hotel Splendid Royal di Lugano l'onore, il 3 maggio, di aprire ufficialmente le danze con una cena a cura del gruppo Swiss Deluxe Hotels, già official partner nel 2014 e che per il 2015 ha voluto rinnovare il sostegno alla manifestazione, dove Dome-

Déjeuner au Château: gli chef al Castello di Morcote.

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nico Ruberto ha ospitato tre colleghi e ambasciatori del gruppo: Giuseppe Colella, Dominique Gauthier e Thomas Neeser. Il 4 maggio Mauro Colagreco, chef 2 stelle Michelin del ristorante Mirazur di Mentone, è stato invece ospite di Salvatore Frequente, presso l'Hotel Eden Roc di Ascona, portando nel terriorio del Ticino un tocco di mediterraneità. Grande ospite di questa edizione Massimo Bottura, tristellato dall'Osteria Francescana, ospite il 10 maggio a Villa Principe Leopoldo, a Lugano, da Dario Ranza. La manifestazione prosegue con l'arrivo a Lugano dell'ambasciatore dell'alta risto-

razione Andreas Caminada, chef svizzero ospite l'11 maggio al ristorante Artè del Grand Hotel Villa Castagnola dallo chef Frank Oerthle: in Ticino ha portato la sua cucina legata alla tradizione francese. Altra punta di diamante è senza dubbio la presenza di Davide Scabin, del Combal.Zero di Rivoli, premiato tra l'altro a Identità Golose 2015 come Cuoco dell'Anno. Ad accoglierlo nel suo ristorante Concabella di Vacallo lo chef stellato Andrea Bertarini, per un'esperienza innovativa, a volte provocatoria, animata da tecnica, gusto e stile. Villa Orselina e il suo chef Antonio Fallini accolgono invece


lo chef Sven Elverfeld, uno delle personalità più apprezzate in Europa, mentre dalla Thailandia, direttamente da Bangkok, l'indiano Anand Gaggan, considerato uno dei maggiori esponenti della cucina indiana, porta allo Swiss Diamond Hotel di Vico Morcote, dallo chef Egidio Iadonisi, la sua visione moderna dell'universo gastronomico. Il viaggio attraverso le migliori tavole del mondo prosegue poi il 3 giugno con la presenza dello chef Diego Muñoz presso l'Hotel Splendid Royal di Lugano e, l'8 giugno, a completare la rosa degli ospiti, lo chef Rasmus Kofoed del Geranium di Copenaghen al Castello del Sole di Ascona, ospite dello stellato Othmar Schegel. A Grandes Tables De Suisse, l’associazione che riunisce tutte le migliori tavole della Svizzera, sarà dedicata il 14 giugno la festa finale della manifestaizone in qualità di partner d’eccellenza: gli chef Andrè Jaeger, Franz Wiget, Markus Neff e Robert Speth sa-

ranno accolti da Alessandro Fumagalli al Grand Hotel Eden di Lugano, per una serata che vedrà protogonisti ancora una volta i prodotti, la cucina e la tradizione svizzera, sapientamente miscelati con le suggestioni culinarie di tutto il mondo. E come di consueto, alla cene stellate si affiancano interessanti eventi speciali quali il Déjeuner au Château presso il Castello di Morcote, il 16 maggio, con un pranzo a base di pesce

cucinato dai migliori cuochi stellati ticinesi quali Lorenzo Albrici, Frank Oerthle, Andrea Bertarini e Ivo Adam; la Serata in Rosa, il 18 maggio, dedicata ad un pubblico femminile con protagoniste “le” chef Cristina Bowerman, Adeline Grattard, Viviana Varese e Ana Ros, e due serate lounge dedicate ai Sous-Chef Ticinesi. Media partner di S.Pellegrino Sapori Ticino Gastronomie & Tourisme, Hotellerie & Gastronomie, Ticino Welcome e Ristora.

Serata in rosa: “le” chef protagoniste.

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Host, network mondiale per l’out home di qualità di Rebecca Andreola Oltre 400 appuntamenti tra performance, seminari, workshop, show cooking, esibizioni di chef, maestri gelatieri e pasticceri, nonché baristi nazionali e internazionali. È lo spettacolo che metterà in scena Host, l'atteso evento per parlare di cultura dell'ospitalità d'eccellenza e fare business. L'appuntamento con il mondo dell'Ho.Re.Ca ha solo un nome: Host. Giunto alla sua 38° edizione, il salone dedicato all'ospitalità d'eccellenza, andrà in scena dal 23 al 27 ottobre alla fiera di Rho, incanalando tutta l'energia che Expo porterà con sè, proprio negli ultimi giorni dell'esposizione universale. Quasi un'entrata in scena con sorpresa, per concludere nei migliori dei modi un percorso che vuole puntare i riflettori sul mondo del foodservice, del retail, delle gdo, dell'equipment e dell'hotellerie, un incontro mirato dove

le aziende produttrici leader di mercato, rivolte all'out home, potranno interagire con i grandi buyer parlando di business, ma soprattutto di cibo, salute, benessere e innovazione tecnologica. Saranno quindi numerosi gli spunti colti da Host, appuntamento biennale, che permetterà ai top player italiani e internazionali di presentare in anteprima i nuovi trend, il lifestyle di tendenza e le innovazioni tecnologiche di settore, in un contest espositivo unico. Qualche dato può aiutare a comprendere la portata di questa edizione, sulla scia dell'entusiasmo di Expo: previsti 1900 espositori, circa il 10% in più rispetto

all'edizione del 2013, di cui il 40% esteri provenienti dai cinque continenti e da 60 Paesi, dove emergono le più dinamiche economie mondiali, ma anche i tradizionali mercati forti del settore. Non è un caso che i primi sette Paesi presenti siano, nell'ordine, Germania, Spagna, Francia, Usa, Svizzera, Olanda e Uk. Oltre 1500 i buyer selezionati e profilati: quest’anno, presenzieranno anche i purchasing manager di boutique hotel, hotel di charme, design hotel a 5 e a 7 stelle, con una presenza di peso da parte di delegazioni da USA, Cina, Russia, India e sa-

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ranno almeno 133 mila i visitatori attesi da tutto il mondo, con centinaia di giornalisti accreditati dai media internazionali. Tre micro aree caratterizzeranno il percorso fieristico: Ristorazione Professionale con Pane-PastaPizza; Caffè-Tea con SIC, il Salone Internazionale del Caffè, Bar-Macchine per caffè-Vending e Gelato Pasticceria; Arredo e Tavola. Grazie alle grandi sinergie nate per sostenere la spinta all'internazionalizzazione delle imprese italiane, Host si erge quale momento unico e indispensabile per conoscere e promuovere le più innovative tecnologie di lavorazione per il mondo food e il prodotto food dedicato al fuori casa, con un network creato ad hoc che vede, in particolare, le piccole e medie imprese italiane supportate da vari enti che lavorano per rappresentare al meglio l'Italia all'estero, come l'Ice, l'agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane. Per tutti i dettagli www.host.fieramilano.it.



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Fratelli Cesena, tradizione d’autore

di Rosa Marchetti A destra: lombatina di capriolo ai profumi di sottobosco. Sotto: tartare di sgombro affumicato con asparago piacentino e fragole.

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Tra le campagne piacentine il luxury Relais Cascina Scottina ospita un esempio eccellente di alta cucina, perfetto compromesso tra tradizione e contemporaneità che lascia lusingato il moderno viandante in cerca di un relais raffinato e di una cucina giovane e creativa.

giungere comodamente ben sette aeroporti. Protagonista di un’imporante ristrutturazione, il Relais ha trovato ora tutta l'eleganza e il fascino di una dimora dove trovare ristoro per anima e corpo. E sono soprattutto i piaceri di una cucina gourmet a farla da padrone. Punto di forza la cucina dello chef Claudio Cesena, piacentino, alla guida dell'Antica Osteria della Il Relais Cascina Scottina si Pesa, ristorante del Relais, dove concolloca al centro di un’area di vivono tradizione e modernità, ricette grande richiamo per il turismo tramandate dalla nonna Antonia e ricongressuale, enogastronomico storazione giovane e creativa, senza e culturale, grazie alla sua mai perdere di vista l'imprinting della posizione strategica che, storia culinaria piacentina. Claudio per Expo 2015, Cesena, che dal 2013 fa parte delpermette entro l'Associazione “CheftoChef emiliaroun raggio di magnacuochi” ed è socio dal 2014 150 km di rag- di “Euro Toques Italia”, è alla guida della struttura con il fratello Marco, responsabile di sala, e insieme fanno della loro passione per l’ospitalità un impegno quotidiano volto alla continua ricerca dell'eccellenza, un lavoro che da quasi 20 anni coincide con la loro voglia di proporre una memorabile esperienza per chiunque decida di sostare a Cascina Scottina. Il primo ristorante Antica Osteria della Pesa è infatti stato inaugurato nel 1997 a Travazzano (Pc) e dopo 10 anni, nel 2007, i fratelli Claudio e Marco decidono di trasferirsi presso il Relais Cascina Scottina, un’antica corte rurale trasformata in un relais di lusso, situato a Cadeo, nella prima campa-

gna alle porte di Piacenza: 14 suite esclusive e un’atmosfera di tranquillità immersa nel verde si uniscono alla ristorazione di alto livello, una cucina, quella dello chef Cesena, creativa ma legata sempre alla tradizione dove protagonisti sono i prodotti di stagione e gluten free. Diversi i menu proposti: "della tradizione", di pesce o di carne e "La nostra proposta". Qualche esempio? Crema di zucca con castagne arrostite, tartufo nero e crumble al parmigiano; nidi di rondine farciti con la mortadella e stracchino in salsa di pistacchi di Bronte, code di gamberi rossi su crema di carote con acqua di liquirizia e porri fritti, tartare di sgombro affumicato con asparago paicentino e fragole; come secondo di carne il petto d'anatra con cremino al foie gras e gianduia, salsa al melograno e con gelato di zucca, amaretto e salsa al cioccolato speziato. Non solo. Fiore all'occhiello dell’Antica Osteria della Pesa è la cantina, punto di riferimento per tutti gli enoappassionati che può vantare ben 600 etichette nazionali e internazionali. A raccontare in dettaglio la filosofia che si cela dietro la cucina di Claudio e la sua storia anche un libro, dal titolo “Cuo Chi. Due anime in cucina”, pubblicato nel 2009, dove la sua esperienza è affiancata a quella della sua amica e grande chef Isa Mazzocchi del Ristorante “La Palta” di Bilegno (Pc), insignita della stella Michelin.



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Expo: “Diversità armoniose in cucina” made in Japan

di Rebecca Andreola

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Il padiglione Giapponese sta regalando interessanti esperienze culinarie. Su una superficie di ben 4170 metri quadrati, di cui 470 dedicati ai ristoranti, lo spazio nipponico propone l'eccellenza della cucina giapponese con un'offerta eclettica e ricercata, per gli amanti del sushi e non solo.

giapponese", in cui è possibile degustare la cucina Kaiseki che per la sua particolare elaborazione prevede dei prezzi abbastanza elevati, tra 80 e 220 euro. Più “chip” e di assoluto valore i ristoranti presenti nella Food Court del Padiglione Giappone: una una ricca varietà di stand

L’Organization to Promote Japanese Restaurants Abroad aveva dato un assaggio, è il caso di dirlo, dell'arte culinaria giapponese che proporrà in questi giorni durante Expo. All'evento “Diversità armoniose in cucina”, presentato a Milano presso InKitchen, c'era anche Artù, per scoprire l'eccellenza della cucina giapponese e conoscere in anteprima le prelibatezze che i ristoranti presenti al Padiglione Giappone proporranno durante i mesi dell’Expo. Ospite d’eccezione lo chef Oshima Akira, già executive chef all’Hotel Okura di Amsterdam, il quale nel corso dell’evento ha spiegato alcuni segreti della cucina nipponica, soffermandosi in particolare su un ingrediente speciale, il Dashi, ovvero un leggero e limpido brodo di pesce utilizzato come base di minestre e in molte altre preparazioni. Per l’occasione sono stati presentati anche i ristoranti che animeranno il Padiglione Giapponese per tutta la durata di Expo, primo fra tutti il Ristorante Minokichi, uno dei più antichi e famosi in Giappone, definito "l'anima della cucina

e di proposte culinarie, come la Catena Mos Burger (menu da circa 10-12 euro), un fast food nato in Giappone con l'obiettivo di offrire un prodotto fresco e gustoso con ingredienti genuini, ad un prezzo economico. Al CoCo Ichibanya sono protagoniste le pietanze con i diversi tipi di curry giapponese

(fascia prezzo tra 9 e 14 euro), il Kyotaru sushi intorno alle 15-20 euro. Il Sagami propone invece Onigiri, Soba, Udon, Donburi e dolci spendendo tra 5 e 20 euro, un po' più caro il Kakiyasu con i Wagyu Sukiyaki tra 35 e 40 euro, così come il Ningyocho Imahan.



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Villa Franciacorta nuova etichetta per Expo mia di Belle Arti di Brera di Milano e ha coinvolto anche ragazzi e regazze da tutta Italia e dal mondo.

A lato, da sinistra: Roberta Bianchi, la vincitrice del concorso Valeria Pozzi e Paolo Pizziol.

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che è la filosofia di un’azienda che ha da sempre perseguito una crescita non secondo logiche di mercato, ma di sostenibilità ambientale. Abbiamo scelto Ad aggiudicarsi il prestigioso onore di ri- quest’immagine perché rispecchia in vestire l’inedita Cuvette Valeria Pozzi, stu- maniera perfetta la nostra filosofia aziendentessa del corso di decorazione del- dale che ha portato Villa a crescere in l’Accademia di Brera: per lei un premio 55 lunghi anni portando avanti con in denaro e l’impagabile soddisfazione coerenza le scelte fatte sin dal momento di vedere la propria opera raffigurata della nascita del percorso Villa Franciasulla preziosa bottiglia, con il il suo corta, un percorso fatto di valori impornome riportato in retanti come la storia, la tradizione, la troetichetta. “L’idea terra, la famiglia. Valore come l’amore. di un progetto dediL’amore, in esso è insito il rispetto, la cato a Expo – spiega tutela, la pazienza. L’amore per la terra Roberta Bianchi, che che ti porta a proteggerla, l’amore per insieme al marito Paola natura che non vuoi domare, ma di Elisa Facchetti lo Pizziol conduce Villasci esprimere nella sua biodiversità. la Franciacorta – è staL’amore per il frutto, risultato di un’inteVilla Franciacorta ha presentato la ta ispirata dalla sensirazione magica tra microclima e uomo, sua limited edition di Cuvette dedicata bilità che da sempre di quel frutto che diventerà ciò in cui all’Expo. Saranno solo 2015 gli esem- la nostra azienda ha credi, la tua creatura, il vino”. L’etichetta plari del millesimo 2007, e vestiranno nei confronti dell’amriporta un’immagine stilizzata, dal signiun’inedita etichetta vincitrice del con- biente proprio in un’otficato profondo e in stretto legame con corso indetto dall’azienda di Monticelli tica di sostenibilità. il tema di Expo 2015, una scelta, Brusati. Il concorso ha visto la parte- Questa etichetta, dunquesta, che rispecchia i colori dell’Expo, cipazione degli studenti dell’Accade- que, riassume quella gli elementi della natura e il valore della nutrizione. La premiazione, avvenuta nel suggestivo Borgo Villa, ha visto, tra le altre personalità invitate per l’evento, la presenza del nostro direttore di Artù Alberto P. Schieppati, che così ha commentato l’opera: “Si tratta di un’immagine che esalta il valore del prodotto e al tempo stesso ne rende informale l’esperienza di consumo, nonostante l’importanza del prodotto in oggetto. Colori, profondità, sfondo svolgono un ruolo di immediata percezione di modernità e innovazione, in un gioco di contorni e cromatismi che esaltano l’immagine del prodotto”. Cuvette 2007, Limited Edition Villa Franciacorta, sarà anche protagonista della finale della XI edizione dello Sparkling Menu, che si terrà a settembre 2015 nell’affascinante cornice del Borgo Villa.



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Note di Champagne con Krug Symphony nr.1

di Rebecca Andreola In alto da sinistra: Margareth Henriquez, Cecilia Chailly al centro e Francesca Terragni.

In un esclusivo palazzo storico del '500, nel cuore di Milano, è andato in scena "Krug Symphony nr.1”, evento dedicato alla raffinatezza degli Champagne Krug accompagnati delle meravigliose note dell'arpista di fama internazionale Cecilia Chailly. Scelta in qualità di nuova Music Ambassador della prestigiosa Maison de Champagne Krug, Cecilia Chailly ha incantato i selezionati ospiti durante il prestigioso evento dedicato alla raffinata arte di fare

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alla musica: Krug Application presenta gli "Abbinamenti Musicali" creati da artisti di fama internazionale esclusivamente per Krug, vere e proprie playlist scaricabili sull'App Krug http://app.krug.com. In collaborazione di Sony Classical in qualità di curatore. Ogni tre mesi, Krug inviterà un musicista di fama internazionale a curare una playlist in abbinamento alle Cuvée Krug e ogni musicista, durante un’esperienza di degustazione a Reims insieme allo Chef de Caves Eric Lebel, sceglierà una rosa di brani musicali, per trasmettere le ispirazioni e le emozioni sperimentate durante la degustazione di ogni Champagne Krug. La prime due playlist sono state curate da Khatia Buniatishvili, una giovane esponente di spicco del pianoforte classico, e da Keziah Jones, lo straordinario cantautore e chitarrista bluesfunk. La terza playlist è stata creata dalla sopracitata arpista italiana Cecilia Chailly. “La Maison Krug è la Maison più musicale della Champagne – ha commentato Margareth Henriquez, Presidente e CEO della Maison Krug -. È 'lirica', ha dichiarato un mio buon amico e grande appassionato di musica classica. Non potrei essere più d’accordo, in questa Maison sappiamo che ogni anno, partendo da una pagina bianca, ricreeremo lo Champagne più generoso del mondo, con l’eccezionale raffinatezza che tutto lo Champagne sa offrire in un calice. È come dover ricreare l’esecuzione musicale più completa, trasformata ogni anno in uno Champagne”. Presente alla serata di presenmusica e creare champagne unici. Il tazione "Krug Symphony nr.1” anche binomio musica-champagne nasce in- Francesca Terragni, direttore marketing fatti dalla nuova piattaforma di comu- e comunicazione della Maison Krug. nicazione della Maison Krug legata Info su www.krug.com



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Krupps, sistemi eco-friendly per stoviglie perfette di Elisa Facchetti

dell'ecosistema. I sistemi di lavaggio Krupps nascono dallo studio approfondito delle esigenze dei professionisti Azienda tutta italiana, Krupps garane sono concepiti per rispondere a tisce da 50 anni pulito perfetto in tutte le richieste provenienti dal mondo cucina e brillantezza senza eguali, della ristorazione, come spiega ad grazie alla produzione di macchine Artù Enrico Scanavin, titolare di Krupps: professionali per il lavaggio di stoviglie "La clientela al giorno d’oggi esige con risultati sorprendenti. che le stoviglie possano stare all’interno Risorse ed energie impiedella lavastoviglie nella quantità maggate nel reparto di ricerca giore possibile senza precluderne la e sviluppo hanno permesqualità del lavaggio. Da qui nasce la so all'azienda padovana professionalità del venditore nell’idendi porsi a un elevato e cotificare la macchina giusta per le esistante livello di affidabilità tore finale piatti e bicchieri senza genze del cliente, come se fosse un e professionalità. aloni e dall'aspetto immacolato. A vestito su misura del quale vengono Nella perfetta gestione di garantire ottimi risultati Krupps, azien- scelti gli accessori come cestelli, aduna cucina professionale da di Padova che da ben 50 anni si dolcitori a resine o ad osmosi per otil servizio deve essere im- impegna nel settore dei sistemi di la- tenere risultati ancora più soddisfapeccabile. Così come de- vaggio professionali per produrre in centi. Cosa si aspetta il cliente? Stovono esserlo le stoviglie, sem- Italia macchine efficaci, affidabili e viglie impeccabili, e questo lo si pre pulite e brillanti, al fine di ri- performanti, unendo alla tecnologia ottiene scegliendo la lavastoviglie spettare non solo gli standard igienici 100% made in Italy una forte spinta giusta per le sue necessità". Sette richiesti, ma anche presentare al frui- verso politiche ambientali rispettose linee di lavaggio con oltre 120 modelli

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in produzione garantiscono risultati ottimali e soddisfazione da parte di una clientela che richiede dimensione diverse e massimi risultati per ogni lavaggio, nonostante il numero di stoviglie inserite per ogni lavaggio. Un esempio? "Le ultime nate in casa Krupps sono le lavastoviglie con cestello 50x60 sia da sottobanco che a capotta - ci spiega il titolare per permettere a chiunque il lavaggio di teglie GN 1/1, cassette pizza e anche teglie da pasticceria con dimensione 60x40". Ma ciò che differenzia un sistema di lavaggio professionale Krupps è senza dubbio la grande attenzione rivolta al risparmio energetico e all'ambiente, parte integrante della filosofia aziendale: sono più di 40 anni che Krupps progetta e costruisce prodotti eco-friendly perseguendo una politica di minor consumo delle fonti energetiche e dei prodotti chimici a vantaggio dell’ecosostenibilità. Questa politica ha portato l’azienda già nel 1987 a sviluppare un sistema di lavaggio ad acqua pulita ed è proprio da questa ultra decennale esperienza che nasce EcologyCare, la certificazione di Krupps che garantisce

un basso impatto ambientale e un maggior risparmio di acqua ed energia elettrica. Esempio perfetto è la nuova linea Full, creata per unire le esigenze

di ottime performance con tempistiche molto veloci - rendendola adatta quindi a gestori di pub, bar, enoteche... e risparmio di acqua e detersivo, con un minor impatto ambientale: dotata di una vasca stampata di soli 5 litri, permette un risparmio di circa 12 litri di acqua a ogni ciclo rispetto a un’analoga lavastoviglie di vecchia generazione; inoltre lo scarico dell’acqua avviene prima della fase di risciacquo eliminando solo l’acqua sporca (e non anche quella pulita come avviene nelle lavastoviglie di vecchia generazione). Il risultato è una minore presenza di batteri e calcare in vasca, ma anche un minore dosaggio di detergente con conseguente risparmio economico e minore impatto ambientale. "Krupps, in tutti i suoi modelli - ci spiega Enrico Scanavin - ha sempre cercato di dare la massima qualità pur mantenendo consumi ridotti di acqua e detergenza. La nuova Full line è l’essenza della nostra mission pro-ambiente. Dimezzando la capacità della vasca abbiamo ridotto non solo il consumo di acqua, ma anche quello di energia

e detergente. Riducendo inoltre il consumo del risciacquo, ne abbiamo migliorato le prestazioni grazie all’introduzione dell’Acquatech System". La scelta poi di realizzare ogni pezzo in Italia rappresenta un plus fortemente voluto dall'azienda: "Se da una parte abbiamo dei costi maggiori, dall’altra abbiamo la possibilità di avere migliore qualità ed affidabilità della componentistica e partnership più solide. Tutto ciò rappresenta per tutti i nostri clienti un valore aggiunto non indifferente. Il made in Italy è inoltre uno status symbol venduto in tutto il mondo senza bisogno di molte presentazioni, ed è per noi un vanto poter proporre all’estero quel knowhow tipico della nostra penisola". E ricordiamo che ben il 60% del fatturato proviene dai mercati esteri sia Europei che extra UE. E anche all'estero Krupps è sempre presente accompagnando i propri rivenditori nella scelta giusta dei loro clienti, organizzando con frequenza anche corsi tecnici e commerciali al fine di preparare figure competenti che possano seguire ogni fase di vendita, dall'installazione alla manutenzione. Inoltre l'ufficio tecnico Krupps è sempre disponibile per ulteriori consigli in fase di regolazione dei vari parametri e per trovare la soluzione a qualsiasi problema. Artù n°68

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Torre Fornello il vino si fa arte

di Elisa Facchetti In un piccolo borgo tra i colli piacentini l'amore per i vitigni autoctoni e antichi prende forma per dare vita a una cantina vitivinicola "multidisciplinare", Torre Fornello, dove accanto a vini unici e originali si accostano forme d'arte contemporanea, per suggellare ancora di più l'idea che fare vino sia un'arte a tutti gli effetti.

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Torre Fornello, nelle splendide colline piacentine della Val Tidone, precisamente a Ziano Piacentino, ha una lunga storia da narrare. Nel 1028 si attestano i primi documenti della sua esistenza e nel corso dei secoli diverse famiglie nobili hanno trovato dimora in questa tenuta, fino ad arrivare ai giorni nostri, quando nel 1982 la famiglia Sgorbati diventa proprietaria, dedicandosi con passione alla produzione di uve. Il 1998 segna, grazie alle cure e alla volontà di Enrico Sgorbati, proprietario della tenuta e "cantiniere", la vera vita di Torre Fornello: dopo alcune opere di ristrutturazione, la volontà è di proseguire con la coltivazione specializzata dei vigneti, al fine di produrre vini di alta qualità grazie ad un patrimonio vitivinicolo ricco ed eterogeneo che il nonno di Enrico nel tempo aveva accresciuto e custodito. L'azienda infatti si distingue per i vitigni autoctoni, alcuni molto rari e in via d'estinzione, oltre a vitigni internazionali da cui nascono vini unici e molto apprezzati, capaci tuttavia di mantenere un forte legame con il territorio di provenienza e rivelare tutte le sue caratteristiche. L'uva, secondo la filosfofia di Enrico Sgorbati, viene rispettata e lasciata esprimersi naturalmente, seguendo così i ritmi imposti dalla natura, senza mai perdere di vista la curiosità per la sperimentazione e la ricerca. Ne nascono così vini apprezzati, per la loro qualità, in tutto il mondo, con una forte esportazione in Giappone, Inghilterra, Spagna, Germiania e Usa. Non solo. La cantina collabora anche con chef stellati a livello internazionale, da Isa Mazzocchi a Massimo Bottura, fino ad arrivare a Gualtiero Marchesi che ha scelto Torre Fornello per creare i tre suoi vini, unici a fregiarsi dell'etichetta "Gualtiero Marchesi WINE". Tra la produzione vinicola citiamo "Ottavo Giorno", da uva Croatina, chiamata localmente Bonarda: vino bio, fermo e

dolce, deriva per il 75% da Bonarda e 15% da uve botrizzate a conduzione biologica. L'uva viene lasciata ad appassire in un appassitoio fino alla pigiatura, adagiando i grappoli di Bonarda su un letto di uve botrizzate al fine di ottenere un tenue colore rosa antico. L'Ottavo Giorno è indicato con formaggi di capra e burrata, torta di meringa con crema di fragole. Oggi la grande varietà di vitigni autoctoni ed internazionali, tra cui spiccano anche vitigni rari, come la Verdea, offre a Enrico Sgorbati una vera e propria palestra per creare "opere nuove", grazie all'arte e alla passione di produrre vino senza eguali, che cela la vena artistica che da sempre anima il suo spirito. Torre Fornello è diventata nel tempo location ideale per eventi ed esposizioni: qui gli studenti dell’Accademia di Brera trovano spazio per workshop d’arte, un luogo dove sperimentare immersi in un contesto affascinante. In pochi anni Torre Fornello, per gentile concessione del suo propietario, è diventata un punto di incontro tra artisti, cultori dell'enogastronomia e mostre di arte, tanto da creare una collezione composta da opere di artisti contemporanei affermati e giovani emergenti. Punta di diamante, oltre ovviamanete alla preziosità della produzione vinicola, il progetto e concorso internazionale "Gioielli in Fermento", giunto quest'anno alla sua V° edizione, riservato a designer, artisti e orafi, un momento di grande riconoscimento sia nazionale, sia internazionale.



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Vinexpo core business in crescita 24

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di Luisa Contri Buone notizie per il mondo del vino. I dati positivi emergono dall’attendibile ricerca dell’istituto inglese Iwsr per Vinexpo, il salone di Bordeaux che si svolgerà quest’anno dal 14 al 18 giugno e che si presenta con molte interessanti novità. I consumi mondiali di vino sono previsti in crescita nel quinquennio 2014-2018. E a un ritmo più serrato rispetto al passato: del 3,7% contro il +2,7% del lustro precedente. Fra quattro anni si consumeranno nel mondo 2,732 mld di casse da 9 litri (erano 2,635 mld nel 2014). Unico neo, per i produttori italiani (ma anche francesi e spagnoli), il fatto che i consumi interni fletteranno ancora, rendendo necessario compensare le minori vendite sul mercato domestico con un maggiore sforzo sul fronte dell’export. Dopo un calo del 5,4% del quinquennio 2009-2013, che portava i consumi italiani a 288,4 mln di casse (fra vini fermi e spumanti), dobbiamo attenderci un ulteriore diminuzione del 5,1% fra il 2014 e il 2018, che ci porterà a non superare i 274 mln di casse. La capacità di vendere vini all’estero, in ogni caso, a noi italiani non manca. Siamo i maggiori esportatori

al mondo con 172 mln di casse nel 2013 (+13,2% rispetto al 2009), precedendo la Francia (150,5 mln di casse, +9,4%) e la Spagna (111,3 mln di casse, +26,4%). Su quali paesi conviene quindi puntare per consolidare la nostra leadership in qualità di esportatori di vino? Il mercato di maggiori dimensioni e con un tasso di crescita stabilmente a due cifre (+11,6% nel periodo 2009-2013 e + 11,3% previsto per il 2014-2018) si conferma quello degli Stati Uniti, che sfioreranno consumi per 378 mln di casse di vini fermi e spumanti nel 2018. E di queste, 84,3 mln saranno di vini fermi d’importazione, ossia il 5,1% in più nel quinquennio 20142018, che si somma al +3,9% del lustro precedente. Non dimentichiamo l’Europa, importante fulcro dove nel 2018 sarà ancora riconducibile il consumo del 61% dei vini fermi, pari a oltre 1,5 mld di casse, sui 2,5 mld totali, e del 76% dei vini spumanti, ossia 171 mln di casse sugli oltre 225 mln. Di particolare interesse i mercati dei paesi Scandinavi, tuttora in crescita o che sono tornati a crescere, come anche il Regno Unito, che dovrebbe passare dai 133,8 mln di casse del 2014 a 141,2 mln di casse nel 2018, ossia il 5,5% in più, ma anche come la Germania, che dopo un calo

Top 10 dei paesi consumatori - in volume Milioni di casse da 9 L (Vini fermi & vini spumanti)

Top 10 dei paesi consumatori di vini spumanti - in volume Milioni di casse da 9 L (Vini spumanti)

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Top 10 dei paesi importatori di vini fermi - in volume Milioni di casse da 9 L

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dei consumi del 2,8% nel quinquennio 2009-2013, tornerà a crescere dell’1,1% nel quinquennio 2014-2018 sfiorando i 278 mln di casse. Ciò non vuol dire che la Cina non sia un mercato interessante, in particolare per i vini fermi rossi. Ma lo sarà nel medio-lungo termine. Le norme anticorruzione adottate nel 2012 dalle autorità cinesi hanno determinato una diminuzione dei consumi del 3,1% nel 2013. Consumi che riprenderanno a crescere nel quinquennio 2014-2018 a un tasso sostenuto (+24,8%) portando l’Impero Celeste (più Hong Kong) a sfiorare i 181 mln di casse. Ma si tratterà d’un ritmo più contenuto rispetto a quello del +69,3% fatto registrare nel quinquennio 2009-2013. In questo mare di numeri una nota di “colore”: l'istituto inglese Iwsr ritiene che, nel quinquennio 2014-2018, saranno i vini rosé, che oggi valgono il 9% dei consumi, a crescere di più, con un +4,5% rispetto ai rossi, i preferiti con una quota del 54% in crescita del 3,6% al 2018; e ai bianchi, nettamente in seconda posizione col 37% dei consumi, che cresceranno di un altro 3,1%. Quanto ai distillati le ricerche condotte da Iwsr prevedono un rallentamento della crescita dei consumi (+3,1% nel

periodo 2014-2018, contro il +19,1 del 2009-2013) che sfioreranno i 3,2 mld di casse. Consumi che, all’opposto di quanto è vero per il vino, si concentrano e continueranno a concentrarsi per i due terzi nell’area Asia-Pacifico. Non per niente un terzo dei consumi è rappresentato dal baijiu cinese, seguito dalla vodka, il cui trend è molto influenzato dalla Russia, paese dove oggi i giovani si stanno orientando su superalcolici alternativi per differenziarsi dai genitori, e dallo Scotch whisky, la cui domanda, oltre che in Russia, è in crescita anche in Brasile, Messico, India e Polonia. In Italia i consumi di distillati, in calo significativo nel quinquennio 2009-2013 (–10,5%), si stabilizzeranno nel periodo 2014-2018 a quota 13,9 mln di casse. Continueranno però a calare di un altro 4% i consumi di distillati di produzione nazionale, che oggi rappresentano il due terzi di quelli totali, a vantaggio di distillati d’importazione. Veniamo ora alle innovazioni che il nuovo gruppo dirigente di Vinexpo ha approntato per l’edizione 2015, nella quale esporranno 24 mila aziende di 44 paesi e alla quale sono attesi 48 mila visitatori. La prima riguarda la logistica. Finalmente il Parc des Expositions di Bordeaux Lac sarà


Top 10 mercati importatori - in valore Milioni di USD $ (Vini fermi)

collegato con il centro città dalla linea tranviaria (tempo di percorrenza 20 minuti). Profondamente rinnovato saranno il Club, luogo d’incontro dei 2 mila buyer più influenti del mercato, dove potranno riunirsi, lavorare, accedere al business center o semplicemente prendere un caffè. La sua gestione è stata affidata ad Air France. E Les Terraces, ossia l’area espositiva vip che sostituisce il Club du lac. Chi sceglierà questa soluzione (e ci sono diversi produttori italiani) disporrà di uno stand al chiuso abbinato a una porzione privata di terrazza esterna affacciata sul lago. Inedita per Vinexpo la decisione di annunciare e accogliere un ospite d’onore e per il debutto di questa iniziativa saranno presenti gli Usa. E di organizzare incontri di business one to one. Nuova anche l’iniziativa dei testing flight in cui i buyer potranno provare

60 etichette di diversa provenienza e prezzo di vini rosé, frizzanti e dolci, i tre segmenti più trendy secondo Vinexpo. Rinnovati l’offerta gastronomica e il concept del bar Spiritual, dedicato ai distillati, al centro del Padiglione 3. Ai due ristoranti gourmet, 110 di Taillevent e Potel & Chabot, si affiancheranno quelli a tema (cucina italiana, spagnola, sud americana, asiatica e bordolese) e alcuni format di ristorazione rapida. Presso il bar Spiritual, poi, barman dell’Iba dimostreranno il loro talento e i produttori potranno animare master class e mostrare i loro brand in situazioni di consumo. Infine, per favorire il networking, Vinexpo ha previsto quattro serate aperte a tutti gli espositori, visitatori e stampa presso l’Hangar 14 in centro a Bordeaux, proposta che va ad aggiungersi ai classici eventi a inviti nei castelli della zona.

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Trussardi Alla Scala cambia chef (e look)

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di Alberto P. Schieppati Il ristorante milanese del gruppo Trussardi si veste di una nuova immagine che vuole esaltare il concetto di “lusso discreto” e di eleganza rilassata, lontano da esibizioni e forzature. Il restyling va di pari passo con la presentazione del nuovo executive chef, Roberto Conti, già presente in brigata come “secondo”: passione ed esperienza sono alla base del suo lavoro. Ora è arrivato il suo grande momento. La presentazione del nuovo Trussardi Alla Scala avviene alla vigilia di un Expo più annunciata che spiegata. Nell’attesa del “grande evento”, del quale certamente si saprà di più quando leggerete queste righe, ci consoliamo con questa notizia di metà aprile, certa, sicuramente incoraggiante, che vede una nuova guida a capo del ristorante milanese, in un contesto ambientale che è stato semplificato in nome di quel “lusso accessibile” e di quella “eleganza rilassata” che sono poi valori caratterizzanti il marchio del Levriero. L’ambiente ora è meno freddo ed è più accogliente grazie a interventi mirati a renderlo più simile a un salotto di casa. L’illuminazione si è arricchita con lampade a muro e piantane vintage in vetro e ottone che creano un’atmosfera raffinata, grazie anche all’inserimento nell’arredo di nuove sedute: divani con struttura in ottone brunito e rivestimenti in morbida pelle avio con schienale e seduta capitonnè. Piante ornamentali, oggetti della collezione personale di famiglia, mobili antichi di casa Trussardi, decorano l’ambiente rendendo reale l’esperienza di essere invitati in una sorta di spazio di famiglia, dove è possibile respirare appieno i valori e il lifestyle del mondo Trussardi. Accolti da due professionisti del calibro di Luca Chinacchi e Simone Dimitri (il primo è celebre per la sua elegante professionalità, già ampiamente valutata al Trussardi Caffè, al piano terra del palazzo della casa di moda; il secondo per la sua capacità di sintonizzarsi coi clienti ai tavoli Artù n°68

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Sopra: gambero rosso di Sicilia, asparagi bianchi e lardo di Colonnata. A lato: spaghetto cacio e pepe con ricci di mare.

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del ristorante), scopriamo che il “secondo” di cucina, a suo tempo sous chef di star della cucina, è ora, a sua volta, executive chef del Trussardi Alla Scala. È un giovane talento lombardo, Roberto Conti, da sei anni presente in azienda, ad avere ora le redini (e la grande responsabilità) della correttezza, della genialità e della unicità di una ristorazione che, per definizione, deve essere ai massimi livelli. Una grande passione per la cucina, quella di Roberto, nata sin dall’infanzia e coltivata nel tempo, a partire dalle scelte formative. Un’esperienza maturata nel corso degli anni al fianco di chef del calibro di Maurizio Bosotti, Pietro Leemann, Andrea Berton, Luigi Taglienti: la sensazione è che la famiglia Trussardi abbia voluto andare sul sicuro, scegliendo un professionista giovane ma già di grande valore, capace di interpretare al meglio quella linea di sobrietà elegante, ben consolidata a livello stilistico, trasferendola in una proposta di cucina capace di esprimere uno stile ben caratterizzato. I piatti che abbiamo degustato durante il lunch ci sono parsi ben sintonizzati con la filosofia di famiglia, che ha i suoi punti di forza nella essen-

zialità sorretta da una forte concretezza e da una impronta inconfondibile: quella del “lusso della semplicità” cui l’universo gourmet, peraltro, da sempre tende. Il menù propostoci conteneva vertici di gusto che restano nella memoria: un ottimo gambero rosso di Sicilia, asparagi bianchi e gelato al lardo di Colonnata, una lingua di vitello in salsa verde incomparabile, un risotto alla milanese con ossobuco in gremolada (cucinato secondo i criteri della milanesità più ortodossa, decisamente apprezzato dai critici più esigenti), una “cassoeula” di maialino iberico e verza che ha espresso


livelli di creatività inconsueta. Ovviamente, anche dando uno sguardo al menù ufficiale del ristorante e leggendo le definizioni dei piatti in carta, emerge una profonda attenzione verso le materie prime, ma anche una dimestichezza con tecniche di cottura innovative: il che, dirà chi ci legge, è ormai una condizione necessaria se si vuole lavorare a certi livelli… Ma, non volendo dare nulla per scontato, ci piace constatare che gli sforzi di famiglia, bene espressi dalla signora Maria Luisa Gavazzeni Trussardi, la “donna schiva dagli occhi blu” (come la aveva amabilmente descritta la giornalista del Corriere Lina Sotis), vanno proprio nella

direzione giusta: recuperare grandi piatti della tradizione, reinterpretarli con intelligenza e innovazione, dare spazio a uno staff giovane ma già con esperienza consolidata. Le premesse per l’affermazione del “nuovo Trussardi” pare che ci siano davvero tutte, a cominciare dall’impegno imprenditoriale che ha seguito una strada lineare e coerente. “La scelta di Roberto Conti - ha detto Tomaso Trussardi, ad del gruppo - è un attestato di valore alla sua idea gourmand che ci rappresenta pienamente: mettere al centro la cucina, fatta di materie prime eccellenti e di piatti che sanno combinare heritage e raffinata lavorazione”.

A lato: risotto alla milanese e ossobuco in gremolada. Artù n°68

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“Riso Buono” amore antico di Elisa Facchetti Nasce nel novarese la storia di Riso Buono, marchio relativamente giovane che cela dietro il suo nome un’amore storico per quel territorio che oggi, come allora, lo genera. La caparbietà di una donna, Cristina Brizzolari, e i metodi di coltivazione dell’Azienda Agricola Luigi e Carlo Guidobono Cavalchini, hanno dato vita a un progetto che eleva un semplice riso a “Riso Buono”. Il novarese è per antonomasia zona vocata alla coltivazione di riso. I campi vengono inondati creando specchi d'acqua che regalano al paesaggio circostante un'immagine di vecchie tradizioni, quando nei tempi che furono giovani donne passavano ore e ore coi piedi in ammollo a "mondare" il riso. La loro figura, mitizzate nel corso della storia, è stata impressa nella memoria collettiva grazie a celebri film che ne hanno regalato un'immagine certamente molto più audace. Dal famoso "Riso Amaro", film del 1949 diretto da Giuseppe De Santis, ne è passata di acqua "nelle risaie", ed è proprio nella zona del novarese, a Casalbeltrame, che la nostra attenzione si sofferma, per raccontare la storia di una donna, Cristina Brizzolari

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esperienze di vita le hanno permesso di intraprendere un progetto che ha rappresentato una grande svolta nella sua vita, ovvero fondare il marchio Riso Buono e avviare la produzione nella tenuta La Mondina di Casalbeltrame (No) di proprietà della famiglia di suo marito, Azienda Agricola Luigi e Carlo Guidobono Cavalchini. Partono così le opere di ristrutturazione dell'azienda al fine di produrre, secondo i disegni di Cristina, due varietà di e del suo Riso Buono. Nata e cresciuta Riso Buono: il Carnaroli GranRiserva, a Roma, la singolare storia di Cristina fatto invecchiare un anno da grezzo, e è segnata da molte esperienze: laureata l'Artemide, una varietà di riso nero in Economia e Commercio alla Luiss, che nasce da un incrocio naturale fra nel 2002 ottiene un Master in Business il Venere e l'Indica. L'obiettivo è stato Administration e una specializzazione sin dall'inizio molto chiaro: produrre in International Corporate Communi- riso con livelli di qualità sempre più cations alla Nottingam School of Eco- elevati al fine di soddisfare i gusti di nomics a Londra. Tra il 1998 e il una clientela molto esigente. Grandi 2001 il conseguimento della tessera sacrifici e la passione per questa da Giornalista Pubblicista le permette attività hanno premiato l'impegno di di lavorare con la Global Radio News Cristina, facendo di Riso Buono uno di Londra e tra il 2011 ed il 2005 dei marchi più ricercati e apprezzati fonda e dirige il giornale universitario da una clientela "gourmet", a volte della Luiss. Ottiene poi l'iscrizione alla anche "stellata", tra cui compaiono Camera di Commercio come Agente nomi eccellenti della ristorazione itaImmobiliare (2001) e il titolo di Dottore liana: da Carlo Cracco a Michele BiaCommercialista (2003). Il grande giola, da Oliver Glowig a Marta Grassi, spirito imprenditoriale e le numerose da Francesco Apreda a Ivano RiccheArtù n°68

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Qui sopra: riso Artemide, tagliatelle di seppia e baccelli.

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permettono allo chef di spaziare dai risotti mantecati, alle lavorazioni orientali, dalle zuppe e alle insalate, bono, in un percorso trasversale tra diverse Giuliano Bal- esperienze gastronomiche suggerite dessarri, Edi Dottori, dalle cucine di tutto il mondo. Esempio Paolo Barrale, Arcangelo Dandini, eccellente il piatto Riso Artemide, taPatrizia Di Benedetto. Lo chef Marco gliatelle di seppia e baccelli, proposto Sacco, del ristorante Piccolo Lago di al ristorante Piccolo Lago. Oltre alle Verbania, due stelle Michelin, sceglie qualità organolettiche e nutrizionali, per i suoi piatti solo i prodotti più spe- Riso Buono vanta una forte e antica ciali, cercati tra i piccoli produttori tradizione attestata già verso la fine del territorio capaci di esprimere al del XVII secolo, quando la nobile famimeglio la tipicità di determinate zone. glia dei Gautieri, lasciata la contea di Come Riso Buono, scelto dallo chef Nizza, si stabilì nelle terre novaresi inper le sue preparazioni a base di riso: troducendo, nel tempo, importanti rila varietà Artemide esprime tutta l'aro- strutturazioni, soprattutto nei metodi maticità e il colore scuro, il Carnaroli di irrigazione e nelle forme di coltivatutta la versatilità per ogni creazione zione. Una tradizione continuata oggi in cucina, due tipologie di riso che con i baroni Guidobono Cavalchini. In

dettaglio il Riso Carnaroli Gran Riserva viene fatto invecchiare un anno da grezzo, un procedimento, questo dell'"Agin”, già conosciuto e praticato in antichità da molte popolazioni. Dopo l'essiccazione, il riso non ha ancora acquisito tutte le caratteristiche di massima qualità, motivo per cui viene invecchiato e conservato facendo così aumentare notevolmente il proprio volume originale: questo procedimento crea una minore dispersione di amido e minerali nella cottura con un risultato finale che lo rende eccellente in fase di cottura: i chicchi del Carnaroli Gran Riserva Riso Buono non si attaccano durante la cottura e la mantengono meglio evitando di scuocere. Il lato "oscuro" di Riso Buono si chiama Artemide, incrocio del Riso Venere (a granello medio e pericarpo nero) e un riso di tipo Indica (a granello lungo e stretto e pericarpo bianco). Artemide è un riso integrale, aromatico, di colore nero, con un aroma intenso e gradevole e presenra una bella forma allungata del chicco. Data la sua stretta parentela col riso Venere, mantiene un contenuto molto alto di ferro e di silicio, quest'ultimo molto importante per le sue qualità antiossidanti, ed è ottimo cucinato con i formaggi, con il pesce, con le verdure e i funghi. Riso di eccellente levatura, Riso Buono si distingue per gli antichi metodi di coltivazione, legati da decenni all'amore per il territorio e per la natura, scelto per le sue qualità organolettiche e prezioso alleato nella cucine stellate e dei più esigenti gourmet.


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I ritratti-icona di 36

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Cioffi


di Theo Smith Il ritrattista milanese, che vive e lavora a Londra, ha recentemente presentato i suoi lavori nell’ambito di una mostra in Germania. Grandi chef, vignaioli, imprenditori del food e del beverage ripresi magistralmente dall’obiettivo di un professionista di fama internazionale. L’ultima mostra di Cioffi, “il fotografo dei grandi chef” come è ormai universalmente noto, ha richiamato migliaia di visitatori. Karola Müller, la gallerista tedesca che ne ha ospitato i ritratti fotografici, ha ammesso che “un successo simile non aveva uguali”. Dopo New York, Milano, Parigi, Londra, Lucerna, Zurigo è stata Neckarsulm, in Germania, l’ultima location scelta dal fotografo per raccontare visivamente le sue esperienze. Conosco Ferdinando Cioffi da quando, vent’anni fa, visitammo insieme le cucine degli chef, grandi o emergenti, in Italia e in Europa: io per scriverne, lui per coglierne con l’obiettivo sapiente ogni dettaglio. Ritrattista nato, Ferdinando ha seguito in prima persona lo scenario evolutivo dell’alta ristorazione in Italia: suoi gli scatti di un Carlo Cracco giovanissimo, di un Angelo Gaja con il suo Barbaresco in braccio, di un Gualtiero Marchesi ancora in via Bonvesin de la Riva, di un Paul Bocuse alle prese con un tavolo pieno di poulet de Bresse, di un bistellato Romano Tamani dentro alla sua Ambasciata, di un Tonino Cannavacciuolo alle prime armi ma già con la visione netta dell’alta cucina, di un Ilario Vinciguerra “in divenire”, di un Paolo Teverini ripreso in costume medioevale. È difficile, se non impossibile, elencare qui, in dettaglio, il lavoro di Cioffi. Transitato giovanissimo dagli studi newyorkesi dei grandi maestri Richard Avedon e Irving Renn, da cui ha appreso i segreti del ritratto fotografico, Cioffi sviluppa ben presto una particolare sensibilità nel trattamento della luce, con una attenzione profonda verso i dettagli. Lettore attento dell’evoluzione della cucina gourmet in Italia e in Europa, e in generale di tutto ciò che riguarda “il

bello e il buono”, è un interprete appassionato della migliore offerta del food and beverage marchiato “Italia”, quello che fa parlare in tutto il mondo delle nostre eccellenze. La scelta internazionale di Cioffi, che vive e lavora a Londra pur avendo mantenuto con il suo Paese un rapporto strettissimo, testimonia concretamente il suo milieu cosmopolita. E descrive fedelmente l’amore verso l’Italia migliore, fatto spesso di critiche impietose, pronte però ad essere smentite di fronte alla realtà dei fatti. La sua innata attenzione verso i particolari, il suo amore totale verso tutto ciò che è “unconventional”, la sua capacità di sintonizzarsi con l’espressione dei personaggi che ri-

Nella pagina accanto: la brigata Hyde Park Hotel, a Londra. In questa pagina: in alto Celeste Tonon, il re del radicchio e qui a lato un ritratto di Ferdinando Cioffi. Artù n°68

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focus

A lato: il grande chef Paul Bocuse. Sotto Patrick Louis Vuitton. trae, di interpretarne magistralmente la luce, l’estetica dei volti e dei caratteri, dimostrano che la sensibilità di Cioffi è una dote assolutamente naturale e unica. Nulla di statico nelle sue immagini, grazie alla sua sottile capacità di rappresentare con leggerezza ed eleganza ogni espressione dei “fotografandi”, eliminando del tutto ogni rischio di ridondanza. Penso ai ritratti di Catherine Deneuve, di Fernando Botero, di Patrick Vuitton, di Michel Folon… O di Luciano Benetton, di Matteo Marzotto, del Barone De Rothschild: immagini nitide, ora dolci ora appuntite, capaci di esprimere la grande naturalezza di quei volti, insieme a una solennità non forzata, lontana da esibizioni di maniera, fortemente intrecciata al pensiero, agli sguardi e persino all’umore dei soggetti fotografati. Con questa nuova mostra, dedicata alle “eccellenze”, italiane e internazionali, Ferdinando Cioffi ha inanellato un altro successo, a dimostrazione che il made in Italy non è una frase fatta, ma un’espressione dinamica, avvalorata dall’efficacia nel ritrarre decine di chef (e di materie prime) che fanno grande il nostro Paese, agli occhi di un mondo sempre più criticamente attento a ciò che facciamo.

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Pietro Parisi il cuoco contadino 40

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di Agnese La Rocca Sostiene i piccoli agricoltori, dà loro un nome e un volto. Alfiere del buono e del giusto, alle logiche del profitto preferisce l'economia di piccola scala e la valorizzazione del territorio. Ma nel 2016 farà il giro del mondo su un Boeing 747, unico chef italiano a bordo. È l’unico chef italiano coinvolto nel tour mondiale “Italian luxury in the world” che prenderà il volo nel 2016. Da Palma Campania, provincia di Napoli, alle più dinamiche capitali internazionali del lusso. Lui è Pietro Parisi, il cuoco contadino che sta facendo parlare di sé, alfiere di una cucina sana e genuina, fatta di produzioni artigianali e alta qualità. Nel 2016 sarà sul Boeing 747 che porterà in giro per il mondo le diverse eccellenze del lusso made in Italy: 13 tappe individuate tra le capitali economiche più frizzanti e sensibili al lusso italiano, da Mosca a New York, da Dubai a Singapore, sino a Tokyo, Seoul

e Los Angeles. Parisi gestirà la cucina, i menu e i prodotti da servire in ogni occasione pubblica. Allievo di cuochi del calibro di Ducasse e Marchesi, dopo anni trascorsi nelle più importanti cucine d’Europa e negli Emirati Arabi, Pietro Parisi nel 2005 torna nel suo paese natale, a Palma Campania, alle pendici del Vesuvio, per un bisogno di ritrovare le proprie radici. E qui apre il suo ristorante, Era Ora, che da subito entra nelle rotte dei gastronomi. Cucina di territorio e creatività, prodotti buoni e tecniche di cucina apprese in tutto il mondo. Per primo mette in barattolo piatti come la parmigiana di melanzane cotta al vapore, iniziando una vera e propria moda gastronomica. Il successo però non gli Artù n°68

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basta, vuole investire sulla sua terra, dar voce a chi vive lontano dai riflettori: agli artigiani, ai contadini, ai piccoli casari. Figlio di contadini, Pietro conosce bene la fatica della terra. Compra dai piccoli agricoltori locali, dà loro speranza e futuro, pagando il giusto e portandosi a casa il meglio della sua terra. La sua wall street, dice, è il mercato di Sarno, dove si reca ogni mattina. Nei suoi menu, accanto ai piatti proposti, racconta i nomi, i volti, talvolta le storie, dei contadini suoi fornitori: ne nasce un libro “Pietro Parisi. Un cuoco contadino, i volti della sua terra” edito da Marotta&Cafiero che è già un successo. Non il solito libro di cucina, non la biografia di uno chef che ha avuto maestri eccellenti e di successo, ma un omaggio agli ultimi, al lavoro semplice e antico del contadino, alla terra di Palma Campania, culla di origine di Parisi e ai prodotti buoni che ne derivano. C’è Assunta che è “la signora dei Friarielli” e c’è Paolo che è l’uomo delle mozzarelle, “mani enormi e sguardo vivace”. Nel racconto affiorano i ricordi dell’infanzia, della nonna Nannina, sua maestra di vita e di cucina e di riti familiari, dal pomodoro San Marzano all’erba pucchiacchella, il libro restituisce una Campania felix di sapori e piccole produzioni che rischiano di essere dimenticate, e di tradizioni secolari tramandate di famiglia in famiglia come la “buatta” e la cucina degli avanzi. Ne viene fuori un messaggio profondo che è il rispetto per la propria terra, l’approccio etico e solidale verso chi lavora e produce. Alla nonna Nannina, sua maestra, ha dedicato un nuovo locale, a San Gennaro Vesuviano: la salumeria-osteria “Le Cose Buone di Nannina” è un luogo che riallaccia i fili della memoria, che raccoglie e offre i buoni sapori di una volta e lo fa ad un prezzo equo e a rendere unica questa bottega

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di sapori è la selezione dei prodotti proposti provenienti per l’80% dal territorio: “buatte di Pummarola” fatte a mano, ragù pippiato con vitella beneventana, fagioli cotti al fiasco e gli immancabili boccaccielli di Pietro Parisi, insieme a tanti prodotti Presidio Slow Food. Particolare attenzione è dedicata all’offerta del pane cafone cotto a fascina, fatto con farine di qualità e anche integrali. L’idea è quella di offrire merende semplici e sane come il prosciutto cotto artigianale, la bresaola di bufala, ma anche il più semplice “pane e pomodoro”. Alla salumeria si affianca la cucina che propone cibi cotti da consumare sul posto o da asporto con menu casalingo e che segue le stagioni con i grandi classici napoletani. Cucina locale, semplice e genuina, senza sprechi: è questa la sua filosofia, che racconta in Tv, nella trasmissione Mi manda Rai3 condotta da Elsa Di Gati, ogni venerdì mattina (tra le 10.00 e le 11.00). Da un lato il rispetto e la valorizzazione della sua terra, dall’altro progetti che guardano più lontano: già da un paio di anni, è consulente del re dell’Oman e cura gli start up dei ristoranti del regno arabo. Il suo sogno? Portare lontano le cose buone del Sud, della sua terra.



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Al Porto milanese la classicità resiste

di Alberto P. Schieppati In una Milano della ristorazione sempre più affollata di format spesso improbabili, la classicità tiene. Un esempio di attaccamento alle tradizioni culinarie italiane è ben rappresentato dalla famiglia Buonamici, titolari de Al Porto, uno dei ristoranti di pesce più famosi della città. Domenico, Anna e la figlia Barbara rappresentano egregiamente il rispetto della grande ristorazione “all’italiana”, tanto apprezzata da una clientela che cerca sicurezze e approdi collaudati. A giudicare dal numero di ristoranti che aprono a Milano, verrebbe da pensare che “la madre dei mangioni è sempre incinta”. Ma, forse, la nota frase va letta per

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chiarano di ispirarsi, in realtà è diventato un coacervo di banalità e approssimazione; sarà che per trovare un buon locale a Milano bisogna spesso fare molta strada, sarà, sarà… In un contesto del genere, abbiamo quindi molto apprezzato che un imprenditore della ristorazione del calibro di Domenico Buonamici abbia deciso di “investire” sul proprio locale storico, Al Porto, ubicato nell’ex casello daziario di Porta Genova. Recentemente ristrutturato grazie alle intuizioni progettuali dell’architetto Walter Zunino (un nome molto conosciuto nella ristorazione milanese grazie ai molti lavori effettuati nel restyling di locali importanti), Al Porto si è dotato di uno spazio innovativo e “unconventional”: una sorta di grande kitchen corner, una “barra” trasparente, contornata da comode sedie per gli ospiti, che hanno la possibilità di scegliere i piatti del giorno e di vederseli preparare “a vista” da una parte della brigata di cucina. Un modo contemporaneo per stimolare il coinvolgimento del cliente che, alla “barra”, può conquello che era in origine, ovvero: “la sumare aperitivi o bollicine italiane madre dei cretini è sempre incinta”…. (ma anche di maison paludate) e deVi ricordate quando i Comuni preten- gustare (in una sorta di kaiten medidevano un minimo di distanza fra un esercizio e l’altro, o quando - prima di concedere una licenza - gli assessorati valutavano anche la tipologia di ogni singolo esercizio commerciale, onde evitare inutili e dannose duplicazioni di format simili o affini nel raggio di pochi metri? Beh, dimenticatevi quei tempi, da molti definiti “troppo rigidi”, oggi assistiamo ad aperture in crescita esponenziale: hamburgerie disposte in fila progressiva, patatinerie di impronta olandese, salsamenterie padane, finti giapponesi gestiti da cinesi, pseudoarancinerie, focaccerie, panzerotterie, per non dire della sfilza di ristorantini etnici, kebabberie e quant’altro. Locali che aprono e, spesso, chiudono nell’arco di sei, sette mesi. Sarà che, in questo marasma variopinto e “molto pittoresco” (come dicono gli stranieri che si trovano in Italia da poco tempo), si fatica a trovare qualcosa di autentico; sarà che il modello “tradizionale” a cui molti di-


terraneo) proposte di pesce freschissimo, sotto forma di amuse bouche o di eccellenti vassoi di crudo. Ma questa novità “ambientale” nulla toglie alla classicità dell’ambiente, anzi ne valorizza ulteriormente l’atmosfera generale. Perché Al Porto è un locale che conferma quotidianamente la validità dell’impostazione tradizionale, pur nello spirito di cambiamento, fortemente sostenuto da Barbara, figlia di Domenico e Anna. Non a caso, il locale è frequentato dalla migliore clientela cittadina, proprio perché è luogo di collaudata offerta ristorativa (soprattutto di cucina ittica, ça va sans dire): nell’immaginario collettivo, è uno di quei ristoranti rassicuranti, che si scelgono a colpo sicuro e in cui “non si sbaglia mai”. I recenti lavori di ristrutturazione hanno confermato che l’impronta classica paga sempre, che non sono necessari adeguamenti forzati alle nuove tendenze, che sushi e sashimi si trovano meglio altrove (con tutto il rispetto che abbiamo verso la correttezza delle proposte di molti ristoranti giapponesi o fusion, come Yio o Finger’s o Wicuisine, che esprimono linee di cucina altamente qualitative e dei quali Artù ha scritto

ampiamente). Ma Al Porto è un’altra cosa: ristorante italiano, innazitutto, lontano da contaminazioni di impronta “globale” e fortemente ancorato a quel concetto di “fedeltà” alle origini che ne ha fatto un unicum nel panorama dell’offerta milanese. Aperto da Domenico Buonamici e dalla moglie Anna Pucci nel lontano 1967, approdato in breve alla stella Michelin, Al Porto non ha mai perso le proprie caratteristiche di ristorante accogliente e luminoso, caratterizzato dall’alta qualità della cucina, sorretta dalla freschezza della materia prima che ne è protagonista assoluta: il pesce di mare, cucinato dallo chef Emilio Mola, una presenza storica del ristorante, segue itinerari di

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creatività misurata, in cui protagonisti sono gli ingredienti, prima ancora che l’esasperazione creativa. In una sequenza ideale, suggeriamo i “crudi” di mare, o la piovra con patate, o gli insuperabili carpacci di ricciola o tonno, per approdare poi verso primi piatti in cui grandi paste di grano duro si accompagnano al pescato del giorno, ma anche a vongole veraci di sapore inimitabile (perché le vongole non sono tutte uguali) o a gamberi rossi di Sanremo dalla eccellente consistenza. Uno dei motivi per cui si ama ritornare Al Porto, poi, è per gustare il fritto di Domenico: sembrerà banale, ma in questo piatto traspare tutto l’amore di famiglia per la qualità delle materie prime. Nulla di scontato nel “gran fritto del Porto”, non un

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sentore eccessivo di olio, non una ridondanza negli ingredienti utilizzati, ma solo giusta croccantezza e pulizia gustativa. Notevoli anche i pesci proposti in menù, a cominciare dal branzino pescato all’amo che regala consistenze armoniose, grazie anche all’uso di olio extravergine toscano (in onore alle origini di famiglia) per nulla aggressivo. Il capitolo dolci è nelle salde mani di Barbara, chef patissier che ha dato prova negli ultimi anni di grande passione e professionalità: suoi i biscotti, le torte, le creazioni a base di frutta fresca, il mitico Tiramisù. Per i vini, molte aziende note ma anche, nelle intenzioni di Barbara Buonamici, il desiderio di “dare spazio a nomi meno conosciuti ma di indiscussa qualità”.



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Davide Botta cucina moderna in evoluzione 48

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di Elisa Facchetti Chef e titolare dell'Artigliere Ristorante con Locanda, a Isola della Scala (Vr), Davide Botta esprime con pochi e semplici concetti la sua cucina, fatta di materie prime eccellenti, ricette legate alla tradizione, ma anche molta sperimentazione. Il suo è un percorso in evoluzione, una ricerca continua apprezzata da una clientela fidelizzata che vuole ritrovare ogni volta, in un'atmosfera intima e accogliente, come si respira nell'antico mulino del '600, sapori e profumi del territorio, reinterpretati con quel guizzo di modernità che ne fa apprezzare ancora di più il valore autentico delle materie prime. Buono, bello, moderno, leggero. Sono gli obiettivi che hanno sempre spinto lo chef Davide Botta a sfruttare le sue consocenze e la sua creatività all'insegna di una cuicna "moderna in evoluzione", come la ama definire. Schivo, umile, alla continua ricerca degli ingredienti perfetti, Davide Botta personifica uno stile coltivato e definito dopo molti anni di esperienza che lo ha visto al fianco dello chef Pietro Tomasoni al ristorante La stretta di Brescia e all'Excelsior S. Marco (Bg) con lo chef Sergio Mei. Fino ad essere uno dei primi chef a far parte,

nel 1997, dell'Associazione Jeune Restauratores d'Europe e ricevere nel 2003 l'ambito risconoscimento della stella Michelin. Ma sono l'impegno e la costanza le coordinate portanti per individuare appieno lo spirito che lo contraddistingue, proteso verso una crescita professionale al fine di rendere partecipi i propri clienti delle innovazioni e tecniche messe a punto dopo varie sperimentazioni, mantenendo ben saldo il concetto di materia prima eccellente. Con il Ristorante Trattoria l'Artigliere, attività rilevata dallo stesso chef nel 1989 a Gussago (Bs) in Franciacorta Davide Botta percorre una carriera brillante che lo porta successivamente nella location nel complesso del Santellone a Brescia, dove è anche possibile soggiornare. Ma è nel 2012 che avviene il grande cambiamento: lo chef decide di trasferirsi a Isola della Scala, a Verona, abbagliato dalla bellezza del mulino seicentesco La Pila di Villa Boschi, dove si produce il prezioso riso Vialone Nano Igp, uno degli ingredienti principe della

Nella pagina accanto: risotto affumicato con crudo di gamberi rossi, limone candito, caviale di aringa e germoglio di porro. Artù n°68

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Qui sotto: fish and chips alla vicentina con baccalà e crema di patate al timo.

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Botta gestisce ristorante e locanda in un luogo magico, circondato dal verde e dalle suggestive risaie, un'oasi di pace e di tranquillità dove poter gustare anche una cucina d'autore. All'Artigliere di Isola della Scala Davide Botta proprone una cucina con i sapori di una volta, ma con una sua firma definita, dove non mancano numerose rivisitazioni del classico risotto, complice la sua collaborazione con la famiglia Dal Colle produttrice del Riso La Pila di Villa Boschi, nonché proprietaria della bellissima Villa Boschi adiacente al ristorante. Il suo è un progetto culinario gourmet che si sviluppa all'interno di un contesto accogliente, in una locanda elegante e sua cucina. Di lì a poco, a marzo 2013, intima al tempo stesso, dove propone l'inaugurazione del nuovo Ristorante con un tipo di ristorazione in continua evoLocanda L'Artigliere: l'antico mulino la luzione, concentrata sulla qualità e la Pila rivive così in tutto il suo splendore stagionalità degli ingredienti, veri protaoffrendo anche la possibilità di soggior- gonsiti delle sue creazioni. Il riso, o nare in una delle cinque confortevoli meglio il Vialone Nano Igp La Pila di stanze arredate con gusto e calore che Villa Boschi, è uno degli ingredienti che riportano i nomi dele varie tipologie di meglio esprime la creatività di Davide riso: Carnaroli, Arborio, Vialone Nano, Botta. Prova ne è il "risotto affumicato Venere e Basmati. Per chi ha la fortuna con gambero rosso crudo, limone candi fermarsi, anche per una sola notte, il dito, caviale e germoglio di porro" o mattino seguente potrà godere della co- l'nnovativo "risotto con le rape, lumache lazione de L'Artigliere, un vero e proprio al bacon e ricotta affumicata" o il più menu-degustazione servito in micro por- classico "timballo di riso con foie gras, zioni dolci e salate, accompagnate da animelle e tartufo nero". "Il riso - afferma succhi freschi, composte, infusi e caffè. lo chef - per me è come un foglio di Con sua moglie Marina, lo chef Davide carta bianco dove ci posso disegnare


quello che voglio. Fa parte della mia cultura, è un ingrediente indispensabile nei miei menu ed è proprio con il riso che ho affinato, giorno per giorno, la mia professione". Nel menu non mancano zuppe, paste, risotti, crudi di carne e pesce, senza tralasciare i secondi identificativi del territorio elevati grazie a inedite rivisitazioni, mixando perfettamente creatività e tradizione, esaltandone sempre tutti i sapori: "La filosofia della mia cucina: la verità è quella degli ingredienti. Mi avvicino alla materia, per arrivare al nucleo con umiltà cercando di agire con rispetto e leggerezza. La verità è dentro ed è ben nascosta, ma la cucina, che è uno dei mezzi per tentare di farla venire alla luce, è semplice. Per me la cucina è tradizione seppur esplorando tecniche e sapori internazionali. I piatti della tradizione sono importanti, ma nella mia filosofia, lo chef deve poter estrapolare anche solo un ingrediente o una singola tecnica. In questo modo si vogliono tramandare le emozioni di un tempo ormai lontane in un piatto contemporaneo e attuale, ma di cui si riesce ancora a percepire il profumo, il gusto, la sensazione, la manualità. Ed è tra queste risaie, fossati e antiche corti rurali che prende vita il progetto culinario di Davide Botta, articolato con grande naturalezza in un luogo dove relax e buon gusto si incontrano. Artù n°68

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Casiglio, il piacere nasce dalla passione di Carmelo e, in certi casi, arrivando al migliaio di commensali), più cresce il rischio di Sorprendente scoperta in un antico un abbassamento qualitativo dell’ofcastello brianzolo, noto per una ferta. È vero, ma fino a un certo punto: cucina di “eventi”. Il giovane chef quante volte abbiamo visto grandi Carmelo Sciarrabba, lombardo di ori- chef allestire cene per tavole oceaniche gini siciliane, stupisce gli ospiti con e garantire comunque, in virtù di proi suoi piatti ricercati ma moderni e fessionalità e capacità organizzativa, ricchi di inventiva. Una passione in- eccellenti preparazioni… Ma, in virtù nata che ha valorizzato l’offerta di ri- di questa considerazione acstorazione del resort, la cui direzione clarata (e pregiudiziesostiene a spada tratta il talento vole), molta cridello chef. di Alberto P. Schieppati

Quali sono i criteri per ritenere un ristorante “degno di essere valutato” da questo o da quel critico gastronomico? Domanda a cui è difficile rispondere: secondo la guida più famosa e paludata, sarebbe meglio (per non dire obbligatorio) che non sia “un ristorante di grandi numeri”, vale a dire che non vi vengano organizzati abitualmente banchetti o cerimonie di vario genere. In effetti, più i coperti aumentano (raggiungendo le centinaia

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tica esclude “a priori” che alcuni locali possano, prima o poi, ambire a una segnalazione o, ancor più, a una dotta citazione. Noi per primi abbiamo sempre diffidato dei locali da molti coperti (spregiativamente definiti, ai tempi di Bargiornale, “mangimifici”) ma, al tempo stesso, sentiamo forte il desiderio, la necessità, di andare oltre le appa-


renze. E di cercare la sostanza, l’impegno, la qualità dove, seppur non apparente e manifesta, riteniamo possa celarsi. Per noi è un imperativo categorico: mai escludere qualcuno senza averne testato le capacità, l’impegno, la passione. E perché le eccezioni alla regola ci sono, eccome. È stato il caso del Castello di Casiglio, a Erba (pochi chilometri da Como, dal suo lago e dal confine svizzero). Una location sorprendente, per la bellezza e la fama del luogo: un antico maniero del '400 la cui classificazione alberghiera a cinque stelle richiama turismo internazionale ed esigente clientela “business”. Una cinquantina fra camere e suite, recentemente ristrutturate all’insegna del comfort totale, un ristorante ricavato nelle antiche e suggestive cantine del castello (nella stagione estiva si sposta all’esterno, nell’area “Grill”, uno spazio congressuale da fare invidia alle insegne internazionali di catena) ma anche, udite udite, una cucina a dir poco straordinaria. L’artefice è un giovane chef, che - come si dice - ha la passione estrema per la qualità: delle materie prime, delle tecniche di cottura, delle presentazioni, della cura dei piatti. Carmelo Sciarrabba (origini siciliane, ma è lombardissimo per esperienze di lavoro e di vita) ci è sembrato una di queste sorprendenti “eccezioni”. La sua linea di cucina, ampiamente sostenuta e incoraggiata dalla proprietà e dalla direzione (Lorenzo Brenna è manager sensibile, che sa riconoscere i talenti naturali grazie a un fiuto particolare), si rifà alle tradizioni brianzole e lombarde ma allo stesso tempo valorizza in chiave moderna materie prime di alta qualità, non necessariamente legate al territorio. Supportato da una brigata di giovani, determinati quanto lui, assicura alla clientela (dei banchetti ma anche e soprattutto a quella individuale) esperienze gustative che meritano il viaggio. Non inizieremo qui una lunga elencazione di piatti, ma indicheremo solo quelli che più ci hanno colpito, per modernità e freschezza, tralasciando altre proposte, forse apparentemente più ingenue (co-

me il medaglione di Seitan all’aceto tradizionale di Modena): fra gli antipasti, scampi croccanti su vellutata di lenticchie e burrata, la fassona di carne cruda piemontese, il prosciutto crudo Marco d’Oggiono con mozzarella di bufala a latte crudo, le tapas di pesce crudo; fra i primi, le linguine cavalier Cocco, fave e gamberi rossi di Sicilia, la lasagnetta al ragù di capretto, carciofi e fonduta di parmigiano giova-

ne, il risotto Carnaroli di Cascina Belvedere con aragostella, curry e uova di salmone, un piatto eccellente per consistenza e leggerezza); fra i secondi, il galletto di Bresse alla mattonella e patate alla griglia (in onore a Paul Bocuse?), il capretto arrosto con carciofi al salto e riduzione di vino bianco, il coniglio alla brianzola su purea di patate, la pluma di maiale Artù n°68

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iberico con cipolle di Tropea, miele e pommes parisienne, il vitello tonnato; fra i secondi di pesce: il trancio di ricciola, insalatina di rapanelli, salsa al Franciacorta Cuvette dell’azienda Villa, la “mia” interpretazione di seppie e piselli (omaggio a Nonna Carmela, da cui lo chef pare abbia appreso i primi rudimenti di ars culinaria), il tempura di scampi gamberi e verdure con salsa di soia. Una carta, quella del Castello di Casiglio, che segue la doppia linea della tradizione (ovviamente creativa) e della sperimentazione (contenuta,

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senza voli pindarici ma aderente alle aspettative della clientela gourmet). Forse il segreto del successo di Carmelo Sciarrabba sta proprio in questa parola: “gourmet”. Quando gli ho chiesto, infatti, quali fossero i suoi maestri e da chi avesse ricevuto il prezioso testimone della passione culinaria, mi ha risposto: “Non ho avuto grandi scuole, ho sempre voluto seguire fermamente la mia passione gourmet, frequentando le cucine di grandi chef, cercando di carpirne in dettaglio segreti, scelte e comportamenti. Dalla selezione delle materie prime fino alle tecniche di cottura, mi sento molto “giapponese”: nel senso che la mia cultura gastronomica di base si è andata progressivamente arricchendo dei contributi di grandi cuochi, dai quali ho appreso con umiltà che la grande cucina è fatta sì di ingredienti, di tecniche, di cotture e di impiattamenti… ma la prima regola è seguire il proprio istinto naturale, valorizzando la parte migliore di sé e orientandola alla preparazione di piatti unici, capaci di esprimere uno stile che, spero, sia diverso da quello di chiunque altro”. E rimanga impresso nella memoria di chi, quei piatti, li consuma con piacere.


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All’Arabesque per il rustin negàa di Luisa Contri Un tuffo, anche gastronomico, nella Milano dei mitici anni Cinquanta. È quello che si può fare all’Arabesque Café, il sofisticato bar-bistrot-libreria inaugurato a metà febbraio scorso, dietro largo Augusto. Concepito da Chichi Meroni, un’autorità in fatto di buon gusto e di vintage all’ombra della Madonnina e gestito dal figlio Leopoldo, il locale è il naturale complemento delle boutique di vestiti, gioielli e bijoux, accessori e profumi, tutti rigorosamente d’ispirazione Fifties, che lo contornano sotto il porticato sia sul fronte di via Francesco Sforza che su quello di via Cavallotti. Nulla sembra lasciato al caso in questo locale che “fin da subito è stato percepito dalla clientela come un’isola in cui prendersi un momento di relax dai frenetici ritmi milanesi dall’ora della

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colazione a quella della cena”, come assicura ad Artù Chichi Meroni. L’ambientazione in stile anni Cinquanta è stata curata fin nei minimi dettagli. Il pavimento, in linoleum e gomma, è realizzato su disegno originale di Gio Ponti con motivo fiammato bianco su fondo nero e le pareti sono rivestite in carta paglia tessuta con armatura a righe di bamboo. Il bancone riprende un particolare di un mobile di Paolo Buffa, in legno biondo con scanalature sagomate e piano di servizio in vetro

nero lucido, al pari di quello dei tavolini con base in ferro dell’area bar e bistrot; vintage è anche il design di sgabelli, poltroncine e panche in tessuto blu navy e velluto ruggine. Lampade Bubble di George Nelson diffondono una luce

calda e soffusa. Appositamente realizzati da Villeroy & Boch, su ispirazione di uno storico decoro, anche il servizio di piatti in porcellana. Sulla destra del locale, i tavoli lasciano spazio a un’area salotto, con divani e poltrone con tavolini bassi e lampadari Foscarini Couchin in vetro soffiato verniciato, area questa, circondata da una libreria sulla quale sono esposti, in vendita o in consultazione, riviste e libri di lifestyle, moda, fotografia, design, arredamento e cucina. Altrettanto curata e ispirata agli anni Cinquanta, l’offerta food & beverage: parte dei piatti proposti a pranzo e a cena, i dolci e la piccola pasticceria servita a colazione o per l’ora del te, si rifanno a ricette della cucina tradizionale meneghina che si servivano nelle case dell’alta borghesia in quei tempi. Ricette

e modi di presentarli che la stessa Chichi Meroni ha raccolto nel libro “C’era una volta a tavola”. Per mettere a punto l’offerta food, Chichi Meroni si è affidata all’executive chef Luciano Tona, già direttore didattico di Alma, la Scuola internazionale di cucina italiana di Colorno, alla 27enne resident chef Vania Ghedini, (l’avevamo intervistata quando era chef del DeLight di via Ponte Vetero a Milano, Artù n. 50), anche lei formatasi all’Alma. “La cucina - sottolinea Chichi Meroni- si ispira ai piatti tipici milanesi e del territorio lombardo rivisitati in chiave moderna, in leggerezza, senza nulla togliere al gusto e ai sapori di una volta, spesso dimenticati. Sono realizzati con materie prime tutte volutamente provenienti dalla Lombardia. Come lombardi della Franciacorta, della Valtellina e dell’Oltrepò pavese sono anche i vini bianchi, rosé, rossi e da dessert. In tutto oggi abbiamo una trentina di etichette, cui si aggiungono quattro champagne”. Asciutta, come la carta dei vini, anche quella del menu. Più che all’ampiezza dell’offerta, all’Arabesque Café hanno puntato sulla rotazione veloce dei piatti. Il menu del giorno dedicato al pranzo, per esempio, cambia ogni due o tre giorni, quello degustazione e i piatti del menu à la carte, invece, vengono sostituiti ogni 15 giorni. Restano invariate nel tempo poche proposte, intese a rimarcare la milanesità della cucina: è il caso del risotto giallo, della cotoletta (non a orecchia d’elefante, ma di piccole dimensioni, fatta col filetto, come si confà all’ambiente raffinato del locale), del rustin negàa (l’arrosto di vitello), del pesce di lago e della charlotte di mele. Artù n°68

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Forte dei Marmi, lo chef del futuro è qui di Gianni Mercatali Al ristorante Magnolia dell'Hotel Byron di Forte dei Marmi lo chef emergente Cristoforo Trapani anima con il suo "gusto mediterraneo" una cucina che ama definire "tosco-campana". Materie prime selezionatissime e piatti semplici, ma ricchi di sapore, sono le carte vincenti del giovane chef, già stella Michelin. Forte dei Marmi chiama Sorrento. I sapori intensi del mare della Versilia si incontrano con l’affascinante e gioioso estro creativo della gente di Campania. In questo connubio prende forma la sintesi dell’ultimo “colpo” di Salvatore Madonna, il talent scout dei giovani cuochi, che ha “scovato” la grande promessa della cucina me-

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ridionale a cui affidare il futuro del proprio ristorante La Magnolia all’Hotel Byron di Forte dei Marmi, una personalità già insignita di una stella Michelin. La scoperta è il ventisettenne

Cristoforo Trapani, miglior chef emergente del Sud e finalista nazionale al concorso ideato da Luigi Cremona, menzionato nei 12 chef del futuro dal direttore delle Guide de L’Espresso Enzo Vizzari, vincitore del concorso di “Cucina italiana con gusto mediterraneo”, ora nuovo executive chef del prestigioso locale di Forte dei Marmi. Nato a Piano di Sorrento nel 1988, benché giovanissimo, vanta un curriculum di tutto rispetto per aver lavorato con una nutrita schiera di grandi chef stellati e pluristellati: da Heinz Beck a Antonino Cannavacciuolo, da Moreno Cedroni a Davide Scabin. “Una scelta rivela Salvatore Madonna - della quale sono particolarmente convinto e soddisfatto. Certamente per la sua personalità e per le sue capacità, ma anche perché con questa scelta si conferma l’idea di fare del Ristorante La Magnolia non tanto una vetrina, quanto piuttosto una ‘palestra’ e, perché no, un trampolino di lancio per i giovani chef”. Non lo spaventa l’incontro con la Toscana, anzi. “Una sfida non facile, ma io so quello che voglio - dice il giovane Trapani -. La mia è una cucina semplice, non esasperata: niente sfere e schiume ma piuttosto la ricerca di un gusto schietto e pulito. Le tecniche esasperate non mi interessano. Il risultato sarà una sorta di ‘fusion’ tosco-campana. È un’idea che mi piace molto, già a


partire dalla materia prima. Per questo ho pensato tra i dessert a un babà, tipica specialità napoletana, ma bagnato con il vermouth di Prato, specialità toscana”. Lui, però, tra i suoi fornitori ha un asso nella manica davvero particolare: il negozio di frutta e verdura di mamma Felicia a Piano di Sorrento. Come dire: prodotto quotidiano… a chilometro 600! È da là che arrivano i diversi ortaggi: i pomodorini gialli e i pomodorini rossi del Piennolo Dop del Vesuvio; il carciofo violetto di Schito, presidio Slow Food e poi prezzemolo, erbe, agli, naturalmente i limoni di Sorrento, i lampascioni, le cime di rapa, le mele annurca. Ricordi e profumi di Campania che ben si uniscono a una bella lista di prodotti tipici toscani, e in particolare della Versilia. Ecco, tra i formaggi, il Bruschino di Vado e lo Scoppolato di Pedona da Camaiore. Poi, il già citato Vermouth di Prato. Immancabili il lardo di Colonnata, i fagioli schiaccioni di Pietrasanta, le patate di Camaiore e il farro della Garfagnana. Non mancano certo le arselle, i pesci e i crostacei dei fondali di Versilia accanto ai gamberoni rossi di Mazara del Vallo, l’agnello di Zeri e i piccioni di Camaiore a confronto con la carne di Fassona piemontese per la classica battuta al coltello. E, dulcis in fundo, sempre dalla Toscana, il cioccolato de La Molina di Quarrata. In carta cinque antipasti, quattro primi, cinque secondi e quattro dessert. Cucina principalmente di pesce, ma con qualche piatto di carne per non deludere chi cerca sapori più terragnoli, di cui la Versilia interna è ricchissima. E anche un menu per i vegetariani. Due i percorsi guidati: “La Versilia” e “Otto assaggi a mano libera

pescando con lo chef”, gioco di sorprese lasciate alla fantasia del cuoco. L'asciutta definizione dei piatti alimenta senza dubbio la curiosità per scoprirne tutti i sapori, le preparazioni sono ricche di colori ma non inutilmente barocche negli ingredienti e nella composizione sul piatto. Non mancano giochi di memoria, come nel caso della “Mesca Francesca” con vongole, arselle e crema di fagioli schiaccioni, servita in graziosi pentolini che richiamano le “schiscette” usate un tempo dai lavoratori nei cantieri, e oggi tornate prepotentemente di moda anche per la pausa pranzo in ufficio. Oppure piatti intriganti come il “cacciucco” dove il polarismo cotto-crudo delineato da un lungo crostino di pane tostato separa due mondi: il paradiso - sopra - è caldo e l’inferno – sotto - è freddo. E Cristoforo promette che si impegnerà a “pronunciare la parola cacciucco come si deve: con cinque C”.

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Re-opening al Castello di Velona di Claudio Zeni Nuove suite, spa termale, ristorazione di alto livello e vini dell'azienda agricola di proprietà Castello di Velona. Sono questi gli ingredienti su cui punta il rinnovato cinque stelle di Montalcino. Il Castello di Velona Resort, Thermal Spa & Winery, antica fortezza dell’anno Mille, nel cuore della Val d’Orcia, patrimonio dell’Unesco, ha completato il suo restyling e l’ampliamento della struttura e inaugura la stagione 2015 con un’immagine ancora più affascinante e un’offerta ricca di grandi attrattive. Con l’arrivo della primavera, il lussuoso cinque stelle di Montalcino torna ad accogliere gli ospiti nei suoi raffinati ambienti dove ritrovare l’eleganza di uno stile tutto made in Italy negli arredi e nei complementi. Grande attenzione è riservata alla cura del dettaglio, non solo negli spazi interni, ma anche all’esterno, a partire dall’antico chiostro trasformato in un salotto all’aperto riparato da grandi vetrate, dalle terrazze e dalle due nuove piscine panoramiche con acqua termale. L’acqua termale è infatti una delle esclusività del Castello di Velona Resort, Thermal Spa & Winery. La scoperta di una sorgente di acqua vulcanica, la più calda di tutta la Toscana che sgorga a 85°C e ha origine dal vicino Monte

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Amiata, ha spinto la proprietà a creare una nuova area del Castello dedicata al benessere, con camere, piscine e spa nelle quali ritrovare e usufruire dei benefici della preziosa acqua. Ed è così che nasce la nuova “Oli SPA”, 1500 mq di puro relax dove regna il travertino, elemento caratterizzante del territorio, completa di due piscine termali interne, due esterne con jacuzzi e vista sulla vallata, sei cabine per i vari trattamenti - di cui una dedicata al relax di coppia -, zona umida con due bagni turchi, sauna e docce emozionali. Fitoterapie e aroma-


gastronomico nazionale e internazionale per la sua inventiva culinaria e per le sue collaborazioni con rinomati chef. I menu vedono in primo piano i prodotti del territorio, accompagnati dal Brunello e dagli altri vini dell’azienda agricola del Castello. E non mancano sfiziosi brunch per iniziare la giornata con la giusta carica per dedicarsi alla scoperta di suggestivi borghi antichi. Diversi pacchetti offrono una vacanza, anche solo per qualche giorno, all'insegna del relax, del buon gusto, della natura e della cucina del territorio, sempre raffinata e in armonia con la stagionalità dei prodotti.

terapia sono gli elementi distintivi della Oli SPA che propone trattamenti naturali a base di piante officinali e prodotti del territorio come l’olio d’oliva, per una SPA a chilometro zero. 19 le nuove Sunset Room e Suite presenti in questa www.castellodivelona.it ala del Castello, dal design moderno e ricercato, e con giardino privato, dotate di ampi bagni in travertino con acqua termale per usufruire dei benefici naturali anche nella completa intimità della propria camera. Le altre camere e suite, 46 in tutto, si trovano invece nella parte più antica del Castello e conservano lo stile classico con mobili d’epoca, pavimenti in cotto e travi in legno, tutte con una spettacolare vista e alcune dotate di terrazzo. Il Castello di Velona Resort, Thermal Spa & Winery ha voluto dedicare ampio spazio anche alla ristorazione. Sono infatti a disposizione degli ospiti due ristoranti e un lounge bar, entrambi con terrazza panoramica che affaccia sulla Val d’Orcia. A tenere le redini lo chef executive Dario Abbate, siciliano d’origine, e già affermato nel panorama

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Al Relais I Miracoli scorci mozzafiato Suites e camere esclusive, i cui nomi riportano alle glorie del passato, ricavate in una residenza storica ubicata in uno dei luoghi più prestigiosi del mondo: Piazza dei Miracoli. Una raffinata caffetteria, ricavata nel piano terra, ti accoglie con salette interne dagli originali soffitti decorati e che anticipano lo splendido “giardino coperto” realizzato a pochi metri del più antico Orto Botanico Universitario d’Europa e destinato ad ospitare eventi culturali ed artistici. Sono questi i segni caratteristici del Relais e della Caffetteria “I Miracoli”, motivo di grande orgoglio per una città che da sempre ha praticato l’arte dell’accoglienza. Accedendo al Relais si percepisce immediatamente cosa abbia dato origine a questo progetto di raffinata attività ricettiva: offrire una full immersion nella storia senza rinun-

ciare ai più moderni comfort. È questa l’essenza racchiusa nella mission di chi ha voluto creare per pochi fortunati “viandanti” il prestigioso “Relais i Miracoli” realizzato su parte di quella struttura che era sede dell’Università dei Cappellani edificata nel XVI sec. su precedenti opere laterizie datate XIII sec. Oggi come allora, chi ha la fortuna di aprire le finestre dall’interno di questo palazzo, può stabilire quasi un contatto fisico con la bianca marmorea materia che ha dato forma e sostanza ad una delle meraviglie del mondo: la “Torre Pendente”. Ogni suo dettaglio ci parla delle genti e delle gesta della gloriosa Repubblica Marinara, a partire dall’Exclusive Room denominata non a caso “Torre Pendente”, realizzata attenendosi al concetto abitativo caratteristico di quei meravigliosi “grattacieli” che furono le celeberrime case-torri pisane del medioevo. Lo sviluppo in verticale, su due piani, di questa “camera”, trasmette la netta sensazione dell’essere a bordo di una nave che solca un mare di pietra. Tutte le componenti e gli arredi, infatti, sono stati realizzati con legni pregiati e materiali di grande qualità che riconducono al calore e al colore di quelle “pietre preziose” che dall’esterno continuano a raccontarci secoli di storia. D.G.

Fondato sulla storica sede dell'Università dei Cappellani nel XVI sec., Relais I Miracoli offre un'esperienza irripetibile e unica, in un contesto di grande pregio storico adattato alla più moderna richiesta di comfort e benessere. Affacciato su uno dei più bei luoghi al mondo, Piazza dei Miracoli, il Relais rappresenta una sintesi perfetta tra lo stile della più rinomata accoglienza e la visione di uno spettacolo da gustare di giorno e di notte.

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Italiani a Hong Kong Il successo di

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di Elio Ghisalberti Prosegue ad un ritmo che sarebbe impensabile dalle nostre parti, l’apertura di nuove insegne firmate da Umberto Bombana, lo chef di Clusone (Bg) che sta conoscendo gloria in estremo Oriente. Dopo aver fatto parlare di sé per essere l’unico cuoco italiano ad essere insignito delle tre stelle Michelin fuori dai confini del Belpaese, nel giro di un paio d’anni ha replicato il suo Otto e mezzo di Hong Kong a Shangai, quindi ha aperto l’Opera Bombana a Pechino e per ultimo ha inaugurato nel centro d’affari che ospita il locale tristellato, il Landmark Atrium, un locale dal sapore più semplice ma all’insegna, come sempre, del gusto e dello stile italiano. Per rimanere legato alla cinematografia che tanto gli ha portato fortuna con l’Otto e mezzo, Bombana lo ha chiamato Ciak, sottotitolo In The Kitchen. Non un ristorante convenzionale ma uno spazio gourmet a 360 gradi con possibilità di degustazione al tavolo e di servizio takeaway. “Mi sono ispirato alla filosofia del vecchio mondo degli alimentari e della gastronomia italiana - dice Bombana ma riproposto in modo tale che i clienti possono girare liberamente, guardarsi in giro, confrontare, acquistare oppure sedersi in ogni momento del giorno per assaporare qualcosa di buono e di appena fatto”. Un Eataly firmato da Bombana tanto per intenderci, il cuoco-imprenditore italiano in questo momento perfino più conosciuto di Farinetti sul mercato asiatico. Un emporio di 8000 metri quadrati ricolmo di specialità italiane per “offrire anche l’esperienza di una trattoria accogliente, dove l'aria si riempie del trambusto di un mercato

dinamico, mescolati a seconda delle ore del giorno nel fragrante e delizioso odore di pane o di pizza appena sfornati o in quello dolce dei bomboloni, il tutto condito con la musicalità della lingua italiana. È un aspetto importante: certo tutto il personale parla anche inglese ma io ci tengo - e sono sicuro piace molto anche ai clienti - sentire parlare i nostri collaboratori tra di loro in italiano”. Un locale di frequentazione quotidiana estremamente attento ad offrire qualità, tant’è che sono stati chiamati a collaborare fior di professionisti. “Nei viaggi in Italia ho conosciuto gli artigiani e i cuochi migliori in fatto di cucina tipica regionale. Ho stretto collaborazioni dirette per arrivare ad avere sotto ogni profilo il massimo della specializzazione: Ciak è per me una grande trattoria che comprende anche la panetteria, la pasticceria, il grill, il pasta bar, il minimercato, la postazione per gli aperitivi, il bar per la colazione mattutina e via dicendo. E naturalmente la pizza, che già è stata definita la migliore di Hong Kong perché prodotta con impasto a fermentazione naturale che riposa per almeno 36 ore prima di essere condita con materie prime di qualità, naturalmente originali italiane. A proposito di impasti, uno dei punti forti è proprio il panificio (The Bakery) affidato a Giuliano Pediconi che io reputo uno dei grandi maestri dell’arte panificatoria italiana. Tutte le nostre specialità da forno sono prodotte con farine biologiche che arrivano dall’Italia così come un particolare lievito ottenuto dall’uva. Quando si liberano i profumi delle Artù n°68

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infornate la gente qui va in visibilio”. Certo, la varia umanità che frequenta la capitale mondiale degli affari si entusiasma anche perché certe sensazioni non le ha mai vissute. Anche questo contribuisce a decretare il successo di Ciak. “Siamo molto contenti di come stanno andando le cose: il flusso della clientela è costante, il giro d’affari è in aumento, e poi qui possono trovare posto tutti e senza mettersi in coda per la prenotazione”. Già perché all’attiguo Otto e mezzo i tempi d’attesa sono biblici: per avere la certezza di avere un tavolo bisogna prenotare con mesi di anticipo. Fe-

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nomeno Bombana, già eletto nel 2002 “Best Italian Chefs in Asia” e nel 2006 ambasciatore del tartufo bianco d’Alba “the king of white truffe”. “No, non sarei riuscito ad ottenere certi traguardi stando in Italia. Da noi ci sono troppe complicazioni, e pochissime prospettive di crescita e in questo momento particolare va anche peggio... Ma in fondo è sempre stato così, perché la ristorazione nel nostro paese è regolata in maniera diversa, direi unica rispetto a quel che succede nel resto del mondo”. Come dargli torto? Bombana il mondo lo conosce davvero avendone girato mezzo stando dietro ai fornelli. E poi la prova lampante di quanto asserisce è l’affermazione che ha avuto con il suo primo ristorante gestito direttamente, appunto l’Otto e mezzo di Hong Kong. A distanza di un anno o poco più dall’apertura, all’esordio in guida, la Michelin gli aveva già assegnato due stelle (un anno dopo, l’olimpo con la terza), impensabile per l’edizione italiana della “rossa” anche per un cuoco come Bombana che aveva già saputo dimostrare il suo valore quando era alle dipendenze altrui. Come al Toscana del Ritz Carlton hotel sempre ad Hong Kong, il ristorante che lo ha lanciato nell’olimpo della migliore espressione della cucina italiana nel mondo.


Prima di approdare ad Hong Kong, nel 1993, ha avuto modo di costruirsi solidissime basi nelle cucine di locali di grande fama. Giovanissimo, si è fatto le ossa da uno dei cuochi che negli anni Ottanta ha dettato l’evoluzione della ristorazione italiana, Ezio Santin, di Cassinetta di Lugagnano, alle porte di Milano. Da lì è partito alla volta degli Stati Uniti per approdare al mitico Rex di Los Angeles, esperienza arricchita da tanti stages significativi, da Rostang, Robuchon, Vissani. Fino appunto al trasferimento in oriente per il gruppo Ritz Carlton che gli ha lanciato la sfida di creare ad Hong Kong uno dei primissimi ristoranti d’impronta italiana. Compito assolto con tale brillantezza che lo stesso gruppo gli ha affidato la consulenza per gli altri ristoranti d’elite sparsi per il mondo. Il passo decisivo per l’apertura di un ristorante tutto suo si è verificato nel 2008 in concomitanza con la chiusura temporanea per la ristrutturazione del Ritz. La proprietà dell’Hong Kong Land, il più importante centro finanziario e commerciale della città, si è fatta avanti con la proposta di aprire un ristorante italiano a fianco dei grandi nomi della cucina francese e a Zuma. Il 26 gennaio 2010 nasceva ufficialmente l’Otto e mezzo. La clientela internazionale lo ha eletto

da subito a riferimento della buona cucina italiana. Pieno a pranzo e a cena, con tempi d’attesa che ormai sfiorano il mese. Per Bombana alla base del successo c’è il “rispetto dello stile e del gusto italiano, perfino semplificato rispetto a quel che succede nei ristoranti più quotati attualmente in Italia, ma ottenuto con grandi prodotti. Su quelli di base, che danno il senso e il gusto italiano, non si transige, sono tutti autenticamente nostri. Tra l’altro, non essendoci tasse d’importazione non sono nemmeno troppo costosi”. www.ottoemezz.com www.ciakconcept.com

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Vilnius, Lituania cucine in movimento

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di Gualtiero Spotti uno Stato che ha visto nell’architettura, nella presenza di una forte comunità ebraica e perfino nelle diverse espressioni artistiche ancora presenti (vale la pena di visitare, ad esempio, il bel quartiere di Užupis, una città autonoma con gallerie e piccoli locali, al di là del fiume Vilnia, quello che ha dato il nome alla città), un segnale tangibile di un sottobosco molto fertile e pronto a dare i suoi frutti. Se la città, e in generale la Lituania, vivono una rinascita culturale La capitale Vilnius è per certi versi un ot- da seguire con attenzione, sotto il profilo timo esempio delle diverse anime di gastronomico le cose qui si muovono Splendida terra di passaggio tra l’Europa Mitteleuropea e la Grande Madre Russia, la Lituania raccoglie nella sua storia e nel suo presente le testimonianze di una cultura vivace e cosmopolita. Sotto il profilo gastronomico, si sta sviluppando una ristorazione molto particolare, che prende spunto dalle tradizioni ma si proietta verso linee di cucina più creative, di impronta nordica.

invece più lentamente. Un po' per la mancanza di una tradizione culinaria che esce dalle variazioni sul tema carne-patate, ovvero i due capisaldi della ristorazione e della produzione alimentare di quest’area geografica, e un po' perché gli influssi nordici (che a volte coincidono con quelli crudisti e vegetariani) faticano ad arrivare a contatto con una tradizione dove la pancia, e il piatto, sempre pieni sono un valore ancora molto forte. È difficile fare cultura del cibo e spingere sull’acceleratore della qualità se la clientela non segue le nuove tendenze. Eppure c’è anche chi sta percorrendo una strada diversa, forte di qualche esperienza all’estero (da a.o.c. e Ronny Emborg a Copenhagen), come nel caso del venticinquenne Deivydas Praspaliauskas che da circa un anno e mezzo a questa parte ha buon successo con il suo ristorante 1st Dublis. La svolta per il giovane cuoco in erba avviene con il

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ritorno in patria nel 2010 e l’affermazione come miglior cuoco lituano, una vittoria bissata nel 2014 che gli permette di aprire un ristorante e una panetteria (Pilies Kepykla, nel centro cittadino), anche se il vulcanico Praspaliauskas sta già pensando di inaugurare a breve un Dublis 2. Intanto la sua prima creatura funziona benissimo. Il ristorante è aperto solo a cena, con una trentina di coperti, ha una magnifica cucina a vista, colori sgargianti nell’arredamento, e un menu più che abbordabile, soprattutto per le tasche extrabaltiche. Basti pensare che il menu di cinque portate (il ristorante è aperto solo a cena) non arriva a trenta euro e per chi vuole anticipare la cena c’è la possibilità, dalle 18.00 alle 19.30, di approfittare di un mini pasto di tre portate a 17.00 euro. Lo stile è molto moderno e chiaramente nordico, con qualche diavoleria che da queste parti fa sempre effetto, come l’utilizzo dei sifoni o dell’azoto liquido. E i risultati sono ottimi. Dal guanciale con barbabietola e mela alla tartare di salmone

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con pastinaca e ribes, fino al geometrico dolce di ribes e liquirizia, tutti serviti su piatti e contenitori realizzati da artigiani locali. Diametralmente opposta invece è la scelta di un personaggio unico e inimitabile di Vilnius come Pasvalyie Valentas Vaškevicius, l’istrionico e baffuto titolare di Šnekutis (la traduzione del nome in italiano è letteralmente “Chiacchierone”), o meglio l’anfitrione di ben tre locali a Vilnius con un marchio di garanzia per chi vuole addentrarsi nei meandri della cucina lituana più tipica e casereccia. Soprattutto quella del nord del Paese, e della cittadina di Pasvalys, il luogo di provenienza della famiglia Vaškevicius. Tutti e tre i locali

propongono come specialità uno dei cavalli di battaglia del mangiar tipico lituano, i mitici Cepelinai, poderosi gnocchi di patate grattugiate ripieni di carne trita, nella versione più classica, ma anche con verdura o funghi, tra gli altri. Una preparazione dalla forma ovale, la stessa del famoso dirigibile Zeppelin, che in qualche modo ispirò, tornando indietro negli anni, il nome del piatto.


Šnekutis però vuole anche dire qualche snack originale, come le orecchie di maiale, da sgranocchiare accompagnate a una delle tante e gustose birre artigianali lituane spuntate dal nulla negli ultimi anni e che qui si bevono in gran quantità. Dalle bevande leggere e beverine di un tempo ora la scena presenta solide Ipa, Porter e Oatmeal di tutto rispetto, perfette nell’accompagnamento alla ricca e sapida cucina locale. In

qualche modo è anche questa la proposta principale di un'altra trattoria-birreria dal tenore meno rustico, come la Alude, ospitata nello stesso palazzo dello Stikliai Hotel, un hotel cinque stelle appartenente alla catena Relais&Chateaux. Qui si rappresenta una cucina che, ci viene spiegato, è quella che risale al periodo tra le due Guerre Mondiali, con qualche concessione però ai gusti più moderni. Certo è che qui si assaporano l’aringa, con funghi maionese e verdure, la zuppa Šaltibaršciai (simile al borsch, con rape rosse, panna acida e patate lesse calde) o uno stinco (sempre con patate) che, per dimensioni, da solo può sfamare un tavolo da quattro persone. Per una delle esperienze però più curiose, spingendosi a queste latitudini, bisogna lasciare la capitale e spostarsi in direzione Trakai. Si tratta di impegnarsi alla guida per una trentina di chilometri, ma la meta ripaga dello sforzo. Per la bellezza della natura e dei molti laghi che circondano l’area, per la visita di un antico castello e per la scoperta della cultura del popolo dei Caraimi. Proprio nel pittoresco villaggio di Trakai, infatti, sopravvive qualche famiglia dei Caraimi originari della Crimea e intrecciati sin dalle origini a

molte tribù turche, per una lunghissima storia e travagliate vicende che abbracciano più di settecento anni di vita in Lituania. La loro cucina è completamente diversa da quella baltica, perché si nutre di curiose influenze mediorientali di pasta e di carne, con piatti dal sapore etnico che passano dal cous cous all’hummus, con alcune preparazioni uniche come il Kybyn, una pasta lievitata a forma di mezzaluna farcita da un trito di carne di agnello o di manzo (mai di maiale, per dettami religiosi) o il Canach, uno stufato (sempre con diverse scelte di carne) cucinato nella terracotta e insaporito da molte spezie. Il Kybynlar, sulle rive del lago Galvés, è il ristorante ideale per vivere un’esperienza originale dove poter incontrare i caraimi vestiti con costumi tipici. Invece, per una sosta di stile, si può ritornare a Vilnius, dove in una delle strette viuzze della città vecchia si trova lo Shakespeare, un boutique d’hotel d’antan, con stanze che sono dei piccoli gioielli di ospitalità retrò, un buon ristorante (il Sonnets) e l’inaspettato The Globe Bar, una sala breakfast (solo à la carte) che nel dopocena si trasforma in un elegante e riservato angolo per degustazioni. Soprattutto di whiskey e distillati, che lo Shakespeare vanta in gran quantità. www.1dublis.com www.snekucio-alaus-pasaulis.lt www.stikliai.com www.kybynlar.lt www.shakespeare.lt Artù n°68

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Giorik, sistemi di cottura intelligenti

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di Rosa Marchetti Oltre 50 anni di esperienza hanno rafforzato e potenziato il valore di un'azienda che per prima, nel 1963, ha prodotto in Italia friggitrici per cucine professionali. Di lì il passo per entrare con una gamma più ampia nella ristorazione collettiva è stato breve, ma con tale slancio da affermare Giorik come una delle più importanti aziende di settore producendo cuocipasta, griglie, le prime salamandre e diverse linee di cottura. Punta di diamante dell'azienda i forni, oggi anche misti convezione-vapore, tutti realizzati con elevati standard tecnologici per offrire al cliente un prodotto altamente performante. Cuocere a convezione, a vapore, sotto vuoto, oppure grigliare, friggere, gratinare, rigenerare nel pieno rispetto degli alimenti mantenendo il più possibile inalterate le qualità organolettiche dei cibi, sono i principali obiettivi di Giorik, azienda manifatturiera fondata nel 1963 da sempre dedita alla progettazione e costruzione di macchine professionali per il food service, in linea con le diverse esigenze richieste per meglio gestire una cucina professionale. Gli strumenti diventano i preziosi alleati di cuochi e chef ed è indispensabile

potersi fidare di un'attrezzatura all'avanguardia, facile da utilizzare e dalle ottime prestazioni. Motivo per cui al centro della mission di Giorik da sempre viene collocato lo studio del prodotto e il potenziamento del settore ricerca e sviluppo, nonché il rafforzamento dell'ufficio tecnico. Con il risultato di produrre macchinari intuitivi capaci di semplificare le complesse operazioni che quotidianamente vengono svolte nelle moderne cucine professionali. La strategia adottata da Giorik si concentra sul prodotto e in particolare, negli ultimi Artù n°68

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anni, sulle linee dedicate alla tecnologia del vapore con le due gamme di punta per il segmento forni: Steambox e Kompatto. Porta bandiera della nuova generazione di forni misti convezione-vapore, la gamma Steambox, realizzata in tre versioni differenti: la più alta gamma (H), con comandi touchscreen, dispone di un sistema combinato di produzione del vapore coperto da brevetto Giorik; la versione intermedia (T), con lo stesso comando touchscreen, è caratterizzata dalla produzione del vapore in modalità Instant, vale a dire mediante la nebulizzazione dell’acqua sugli elementi riscaldanti; e per finire l'ultimo modello (P), con comandi programmabili e con generazione del vapore in modalità Instant. Tutti i livelli di Steambox garantiscono in ogni caso tempi di cottura rapidi e differenziati per ogni tipo di prodotto, con sei velocità della ventola e inversione automatica della rotazione in funzione del ciclo di cottura. Le versioni a gas montano bruciatori di ultima generazione (Premix) che garantiscono tempi totali di cottura (preriscaldo e cottura) e consumi più bassi rispetto a quelli dei forni che montano il tradizionale sistema atmosferico con un risparmio di circa il 40%. Tutti i modelli garantiscono performance di alto livello, ma è nella versione H che l'azienda di Sedico (BL)

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esprime tutta la sua evoluzione tecnologica grazie a un ingegnoso brevetto di produzione vapore che integra un nuovo generatore al sistema istantaneo, abbattendo drasticamente il costo di esercizio. Esclusiva di Gorik anche il brevetto del sistema di controllo dell’umidità Meteo System, che permette di monitorare costantemente la situazione climatica all’interno della camera di cottura e intervenire all'occorrenza per mantenere il corretto grado di idratazione: un software analizza i parametri di riferimento in camera, attuando le regolazioni di produzione del vapore o di scarico dell’umidità necessarie per garantire le condizioni ideali per ogni tipo di cottura. Innovativo anche il sistema brevettato Steamtuner, disponibile nelle versioni H e T, che consente di modulare il livello di idratazione del vapore calibrando il giusto grado di secchezza o umidità in base alla tipologia di cottura, intervenendo così sulla qualità del vapore stesso. Tutti i modelli Steambox accolgono un pannello di controllo elettronico intuitivo per facilitare l'utente alla programmazione dei parametri di cottura combinando l’utilizzo della manopola encoder jog-dial - che permette di navigare tra tutte le funzioni del forno - con la modalità touchscreen, con un semplice tocco delle icone che appaiono sul pannello. Per il salvataggio e caricamento delle ricette in modo rapido e veloce è prevista anche una connessione usb per aggiornare il firmware e l'utilizzo dei dati hccp. Su richiesta è disponibile un sistema innovativo di lavaggio, completamente automatico a ciclo chiuso, che garantisce la massima igienicità della camera di cottura con il minimo consumo di acqua. Kompatto è invece il nome della versione ultracompatta del modello Steambox, unico forno in questa categoria dotato di boiler: stesse caratteristiche e soluzioni tecniche, con un volume ridotto dedicato a quelle attività commerciali che dispongono di spazi limitati. Accanto all'evoluzione tecnologica, la sostenibilità ambientale rappresenta un altro punto focale per Giorik, un impegno raggiunto grazie


alla produzione di macchinari a basso consumo energetico e di lunga durata per ridurre al minimo l'impatto ambientale. Altro plus valore dell'azienda di Sedico la possibilità di toccare con mano il funzionamento delle proprie machine: l’azienda dispone, all'interno del settore dedicato alla produzione, uno spazio pensato ad hoc per la formazione, uno showroom attrezzato che permette di organizzare workshop e corsi formativi tenuti dal personale tecnico con il supporto di chef professionisti, per meglio illustrare al cliente finale tutte le potenzialità e funzionalità in fase di cottura delle varie macchine. Il progetto ha permesso di sviluppare una fitta agenda di incontri formativi rivolti alla clientela, strutturati con una parte teorica e una pratica, incontri fondamentali nell’apprendimento della tecnologia delle macchine Giorik.

Una scelta, questa, che si inserisce nella strategia di marketing aziendale che punta ad aumentare le relazioni con gli operatori e a stringere proficui rapporti commerciali, attraverso il potenziamento degli strumenti di comunicazione classici, ma soprattutto attraverso eventi e operazioni dedicati al business to business che mirano a trasmettere in modo chiaro e completo tutta l’innovazione Giorik.

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Guida Chic, cento chef, la grande Italia del gusto Chic: presentata a Milano la nuova Guida 2015-2016

Lo scorso 4 maggio è stata presentata al Circolo del Commercio di Milano la nuova Guida Chic, giunta alla sua sesta edizione, e curata quest'anno dal nostro magazine Artù (www.artumagazine.it) diretto da Alberto P. Schieppati. In qualità di partner e grazie alla sua piattaforma multimediale, Artù permetterà di rafforzare la già affermata visibilità di Chic quale strumento di informazione utile ed efficace. L'evento ha visto la presenza del Direttore dell'Associazione Chic Raffaele Geminiani, del Presidente Marco Sacco, del Vicepresidente Paolo Barrale, del Direttore del Capac Stefano Salina e del Direttore di Artù Alberto Schieppati, i quali hanno illustrato il programma e le importanti iniziative in cui verranno coinvolti i 104 Chef Chic durante l'anno, i cui ristoranti sono presenti in quasi tutte le regioni d'Italia con un incremento della rappresentanza anche all'estero. Fitto il calendario degli impegni per gli Chef di Chic, a partire dalle attività durante Expo, sia all'interno, sia all'esterno dell'area espositiva: in fiera Chic firmerà i menu e sarà presente con i propri Chef nel ristorante Aromatica in collaborazione con il concessionario ufficiale di Expo, Cir Food. All'esterno

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dell’area espositiva, ogni domenica sera, da maggio ad ottobre, il ristorante Unico Milano (www.unicorestaurant.it), con l'executive chef Felice Lo Basso, ospiterà venti chef stellati per 20 cene a quattro mani. Dal 10 maggio il Tram del Gusto di Milano diventa protagonista di otto show-cooking con otto Chef Chic stellati, iniziativa, questa, nata in collaborazione con i Formaggi della Svizzera. La serata di presentazione della nuova Guida ha salutato e presentato anche i nuovi Chef associati, con una cerimonia di consegna di giacche e targhe. Tutti gli eventi promossi e organizzati da Chic, nonchè le inziative dell'associazione, sono presenti sul sito www.charmingitalianchef.com. Nella foto, il risotto mantecato al prezzemolo con acciughe affumicate, asparagi bianchi, ricotta salata, eseguito magistralmente dallo chef stellato Felice Lo Basso dell'Unico di Milano.

Veuve Clicquot Tower, vince la creatività In occasione del Salone del Mobile imperdibile è stato l’appuntamento voluto e organizzato dalla Maison Veuve Clicquot all’Università degli Studi di Milano, nello spazio gestito da Interni Magazine Exhibition con il tema “Energy for creativity”. E la creatività non è certo mancata alla celebre Maison, in puro spirito Madame Ponsardin, reinterpretata attraverso la cifra stilistica contemporanea grazie al designer Luca Trazzi, anche socio fondatore di www.designboom.com. Una torre, o meglio la Veuve Clicquot Tower, ha troneggiato nel prato del chiostro seicentesco interno della Statale in tutto il suo splendore: la scultura, una “time capsule”, è stata

realizzata nell’inconfodibile colore giallo, un involucro che richiama la classica bottiglia di Champagne Veuve Clicquot. All'interno quattro lampadari in neon hanno reinventato l’incontro tra la cometa Haley e Madame Clicquot nel 1811, un evento che regalò una delle migliori vendemmie di tutti i tempi. “Ancora una volta la Milano Design Week è l’occasione per esprimere appieno l’identità elegante e ‘frizzante’ di Veuve Clicquot – ha affermato Francesca Terragni, Brand Director Italia Veuve Clicquot -. Il Design, ovvero l’ispirazione creativa e creatrice, è nel dna della Maison. Un mondo ricco di emozioni, curiosità, idee, forme, lungimiranza. Veuve Clicquot Tower vi fa scoprire che la storia, la creatività, lo stile si possono sorseggiare. Un sorso che diventa memoria, viaggio, fantasia”. Nella foto: Jean Marc Gallot (Presidente di Veuve Clicquot), Luca Trazzi (designer) e Francesca Terragni (Brand Director Italia Veuve Clicquot). Credits photo: Claudia Calegari.

Dalla Toscana il rosso Cabreo Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute nasce nel 2000 con l'obiettivo di mantenere una prodouzione dallo spiccato carattere familiare. Sei le tenute di proprietà, in Greve in Chianti, che caratterizzano vini dalla spiccata identità.

Come il Cabreo Nino Folonari, dedicato al padre di Ambrogio nonchè nonno di Giovanni, un vino carico di tutta l'identità di queste terre per celebrare il passato e l'uomo, Nino Folonari appunto, che ne segnò la svolta. Igt Toscana, Cabreo è un rosso prodotto da uve autoctone della Toscana e della zona del Chianti Classico come il Sangiovese e il Colorino. "L'idea - spiegano Ambrogio e Giovanni Folonari - è quella di un vino di forte impronta familiare, chiaramente identificabile con il territorio: del resto è quello che chiede il mercato, finita la corsa alle suggestioni mediatiche verso vini troppo moderni c'è il ribaltone proprio a caccia di identità e di territorio. E a questo contribuisce in maniera particolare la pre-


senza dell'uva Colorino, una bella tradizione per i vini da invecchiare che un tempo venivano realizzati anche con uve bianche e avevano bisogno di un supporto di colore e in struttura". Cabreo Nino è prodotto in edizione limitata (2000 bottiglie, 500 magnum e 60 doppio magnum), dal colore rosso rubino brillante, rotondo e morbido, si accompagna con carni arrosto, selvaggina, formaggi stagionati.

Norda guarda al futuro Aria di cambiamenti in casa Norda. In primis l'inaugurazione della nuova sede milanese all'ultimo piano del moderno"Kennedy Building", poco distante dalla fiera Rho-Pero: 540 mq dotati di ogni comfort e serviti da domotica, una struttura immediatamente riconoscibile grazie alle insegne brandizzate posizionate sul tetto dell’edificio. In secondo luogo l'importante acquisizione e rilancio di Sangemini: con questa operazione il Gruppo Norda, ora esclusivo proprietario, si posiziona sul mercato al 4° posto nel settore acque minerali in Italia e cresce ulteriormente anche nell’Ho.Re.Ca., dove si posizione al secondo posto. L’operazione Sangemini segue l’acquisizione di Gaudianello in Basilicata (avvenuta nel 2010), caratterizzando sempre più l’identità del Gruppo come quella di “Acque d’Italia”: dispone infatti di ben 22 sorgenti, sette stabilimenti (quattro al Nord, due al Centro Italia e uno al Sud) e ben 25 linee di imbottigliamento. Queste le parole di Carlo Pessina, AD Norda e Presidente Sangemini Acque SpA: "Per il Gruppo è possibile ora sviluppare ulteriormente il rilancio del brand Sangemini con prospettive già positive nel corso del 2015. L'acquisizione di Sangemini ci porta in dote cinque acque con peculiari caratteristiche organolettiche: Sangemini, Fabia, Grazia, Aura e Amerino e due siti produttivi (Sangemini e Amerino). Il mercato sta già rispondendo in modo positivo al connubio tra la qualità dell'acqua Sangemini e le garanzie della rete commerciale di-

stributiva di Norda. La positiva conclusione dell'operazione è logicamente importante anche e soprattutto per tutte le maestranze presenti in Sangemini che hanno contribuito al buon esito delle trattative".

A Napoli l’Angolo del Grangusto All'interno del food store Grangusto, a Napoli, ha da poco aperto l’Angolo di Grangusto, il ristorante gastronomico nell’Enoteca dedicata: 25 coperti in un abbraccio di bottiglie di vino che fanno da quinta e da cornice. Un angolo raccolto e accogliente, dedicato alla cucina di qualità e al buon vino, con menu esclusivo, servizio attento e sommelier al tavolo ed una playlist musicale creata appositamente. Il menu, messo a punto dallo chef Gianni Vanacore, punta all’eccellenza in un mix di tradizione autoctona e di vibrante contemporaneità. In carta due percorsi degustazione, di Terra e di Mare, ciascuno di 5 portate; una serie di piatti à la carte e il “Menu buio” di 6 portate che dà mano libera allo chef. La carta dei vini è una delle più ampie e varie a livello nazionale: circa duemila etichette tra nazionali ed estere con oltre 150 proposte di Champagne. Grangusto è un ricercato “Mercato” con una ampia offerta di prodotti freschi per la spesa di tutti i giorni ma anche le eccellenze e le tipicità dei prodotti artigianali locali oltre ad una ampia scelta di formaggi, salumi e tentazioni golose.

l’Angolo di Grangusto

Tutto il meglio dell'enogastronomia è raccolto in un solo spazio rispondendo così all'esigenza sempre più diffusa di risparmiare tempo ed energia. L’Angolo di Grangusto è aperto tutti i giorni dalle 19.30 alle 23.00. A.L.R.

Ruinart tra arte e champagne In occasione della ventesima edizione di Miart, fiera internazionale di arte moderna e contemporanea, andata in scena dal 9 al 12 Aprile, la Maison Ruinart, fiore all'occhiello del gruppo LVMH, ha presentato per la prima volta in Italia la prestigiosa opera dall’artista e scenografo francese Hubert Le Gall, “Il Calendario di Vetro”. Champagne ufficiale per il terzo anno consecutivo, la Maison di Champagne Ruinart ha scelto Miart per esporre questa straordinaria collezione: 12 opere uniche (ogni opera rappresenta un mese) prodotte allo Studio Berengo di Murano in collaborazione con la Fondazione Berengo. Le opere sono tutte ispirate alle vigne Ruinart di Sillery sulla Montagne di Reims, dove Hubert ha scoperto lo Chardonnay, vitigno emblematico della Maison e da cui ha colto ed esaltato la trasparenza e la luminosità che si ritrovano nella Cuvée Ruinart Blanc de Blancs. L’artista ha inoltre firmato la nuova edizione limitata di Ruinart Blanc de Blancs che verrà presentata in Italia dopo l’estate.

Gruppo Lucano Etichetta vincente "Cosa vuoi di più dalla vita?". Basta citare il famoso claim per evocare il noto Amaro Lucano, lo storico di Pisitcci, parte del Gruppo Lucano di cui la famiglia Vena ne è proprietaria. Se lo spot pubblicitario ha rafforzato senza dubbio il successo del Lucano, un altro successo non meno importante ha investito il Gruppo che si è aggiudicato due prestigiosi riconoscimenti al 19° International Packaging Competition: l'Etichetta d'Argento nella categoria liquori per Liquirizia Fratelli Vena e il Premio Speciale "Immagine

Coordinata 2015" per la Linea Fratelli Vena della Selezione 7 Stelle. Oltre 200 confezioni di prodotti sono state sottoposte al vaglio di una commisione di esperti a livello internazionale, la quale ha decretato vincitrice l'azienda di Pisticci. Il riconoscimento premia così anche il continuo lavoro di ricerca e innovazione svolto dall'azienda per il miglioramento costante della propria immagine, un premio che valorizza anche l'impegno del dipartimento di marketing del Gruppo Lucano dedito al conseguimento di importanti obiettivi strategici. Le grafiche vincitrici sono state realizzate in collaborazione con Hi! Comunicazione e stampate da Tonutti Tecniche Grafiche S.p.a.. Nella foto da sinistra: il Dott. Roberto Galatini, Direttore Commerciale; Pasquale Vena, Presidente del Gruppo Lucano; Leonardo Vena, Marketing Manager; Francesco Vena, Legal affair & Compliance. Artù n°68

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news

orecchiette ph Brambilla-Serrani

La Delizia cambia il “web look”

Rinnovato e arricchito nei contenuti, il nuovo portale di Cantina Vini La Delizia si pone il preciso obiettivo di guidare l’utente nella storia, nella tradizione e nell’unicità della Cantina quale esempio di “orgoglio friulano”. La grafica rinnovata, l'interattività, la componente emozionale sono solo alcuni dei tratti distintivi del nuovo sito web www.ladelizia.com, per porre sempre più attenzione alle tematiche legate alla comunicazione e alle esigenze del consumatore per veicolare nel migliore dei modi possibili la realtà aziendale. Navigare in questo sito significa ripercorrere la storia dell’azienda, nonchè l'impegno e la filosofia che guidano la storia della Cantina che l'ha resa una delle maggiori realtà vitivinicole della Regione Friuli Venezia Giulia. Il webnauta può così scoprire i luoghi in cui vengono realizzati i vini La Delizia e tutte le informazioni utili sulla loro produzione, nonchè rimanere aggiornato sulle novità della cantina friulana, con la possibilità di iscriversi alla newsletter ricevendo ogni mese i consigli sugli abbinamenti vino-cibo e scoprendo in anteprima notizie, eventi e curisoità. Il sito web diventa così un importante strumento per creare un dialogo interattivo e globale tra Cantina Vini La Delizia e il pubblico della rete, un ulteriore traguardo raggiunto dall'azienda friulana, dopo la nuova linea di imbottigliamento, la creazione di un packaging innovativo e l'aggiunta di due linee, Saas Ter e Naonis.

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Deutz si veste di Rosé Dalla cuvée composta per la maggior parte da Pinot Nero e da una punta di Chardonnay, nasce lo Champagne Brut Classic Rosé della Maison Champagne Deutz che da oltre 170 anni regala etichette preziose. Color rosa salmone, al naso si presenta con le sue note di frutti rossi estivi e il suo bouquet profumato e vellutato. Il gusto è morbido, rotondo, di grande personalità. Lo Champagne Brut Classic Rosé è perfetto per un brindisi speciale, ma ideale anche per accompagnare aperitivi leggeri o un pasto a base di pesce, di carni bianche oppure un dessert cremoso. Per esaltare al meglio il perlage si consiglia di servire questo champagne in un calice con il fondo a punta, per esaltare i suoi aromi fini e complessi lasciando che si espandono per regalare una grande degustazione.

concorso The Prosecco Master, dove una giuria selezionata e composta da Master of Wine, Master Sommelier e senior buyers hanno decretato, con una degustazione alla cieca e nel più totale anonimato, il Prosecco Gold dell'azienda Bottega quale miglior Prosecco. L'azienda ha inoltre festeggiato

con l'occasione anche i 15 anni dalla nascita di Bottega Gold con una bottiglia celebrativa, uno Jeroboam da 3 litri che riproduce sul corpo dorato della bottiglia, mediante l'applicazione di finissimi cristalli, il numero 15. Nella foto i fratelli Sandro e Stefano Bottega con il conduttore televisivo Luca Sardella durante la cerimonia al Vinitaly.

L’oliva Coratina, varietà pugliese

Bottega Gold si fa “Master” Prestigioso il riconoscimento per Bottega Gold Prosecco Doc, a cui è stato conferito la qualifica di "Master" rilasciata esclusivamente a vini eccezionali. Ad annunciarlo il magazine inglese The Drink Business nell'ambito del

La quindicesima edizione di “Qoco Un filo d’olio nel piatto”, kermesse dedicata all'olio extra vergine da olive Coratina, si è svolta ad Andria nell'intento di rilanciare un olio monovarietale promuovendo al tempo stesso il territorio con la maggiore densità di olivi in Italia. Gli organizzatori hanno proposto nuove formulazioni gastronomiche per esaltare le qualità, il sapore e il gusto della varietà con piccoli e grandi eventi sul tema. L’evento, presentato a Milano nel corso di una conferenza stampa dove hanno partecipato l’oleologo Luigi Caricato e il professore Maurizio

Servili dell’Università di Perugia, ha evidenziato le proprietà della Coratina, proveniente prevalentemente dalle pendici di Castel del Monte: la Coratina, impiegata spesso come taglio per rafforzare oli più deboli, considerata per lo più di difficile accettazione per le sue note amare e pungenti, si sta ora imponendo per le sue proprietà antiossidanti e antinfiammatorie alla luce di recenti studi scientifici che ne avvalorano le qualità organolettiche, le peculiarità superiori se non addirittura uniche nel panorama mondiale degli olii extravergine. Questa varietà risulta infatti particolarmente ricca di sostanze fenoliche e il suo caratteristico gusto amarognolo, naturalmente piccante, contribuisce a migliorare la resistenza all’ossidazione rendendolo il più longevo tra gli extravergine. I produttori stanno cercando di controllare il livello di amaro effettuando la raccolta delle olive sane in leggero anticipo, applicando sistemi moderni e delicati di estrazione come la denocciolatura invece del tradizionale sistema di frangitura. L’olio extra vergine di Coratina, dai profumi complessi di erba fresca, carciofo e pomodoro verde, è spesso suggerito da chef e gourmet che lo inseriscono nelle loro preparazioni sia crudo che cotto. La sua particolare resistenza alla termo-ossidazione lo rende l’olio di oliva più adatto per essere utilizzato nelle fritture di vegetali e di pesce, tipiche pugliesi, a cui conferisce una particolare fragranza. Al termine della conferenza stampa Viviana Varese, chef di Alice nello spazio Eataly Smeraldo a Milano, ha preparato le orecchiette alle cime di rapa, vongole veraci e capesante con l’olio Coratina in cottura. G.M.

ERRATA CORRIGE Sul numero 67 di Artù la foto del piatto a pag. 43 non è della chef Viviana Varese. Ci scusiamo con i lettori.



libri

La storia dei Santin, guide tra web e carta

Titolo: Mistero in cantina Autore: AA.VV a cura di Rinaldo Zanone per Eiteam Editore: Ars Network - Telemotion Pagine: 120 Prezzo: 8,00 €

Titolo: Guida facile ai piaceri del vino Autore: Franco Faggiani Editore: Endemunde Pagine: 128 Prezzo: 11,90 €

Titolo: MilanoSecret Autore: Emanuela Roncari, Sibilla Milani Editore: Baldini & Castoldi Pagine: 272 Prezzo: 16,00 €

Titolo: Un, due, tre...stella! Autore: Ezio e Renata Santin. A cura di Erica Arosio e Giorgio Maimone Editore: Mondadori Electa Pagine: 182 Prezzo: 19,90 €

12 racconti Anzi, i migliori 12 racconti selezionati alla prima edizione del Premio letterario "Mistero in cantina", avvenuto a fine 2013 e promosso da Cantina Viticoltori Ponte che per festeggiare i 65 anni di attività, ha voluto chiamare a raccolta scrittori e appassionati di scrittura per partecipare al concorso e creare così un'antologia cartacea e digitale pubblicata e preparata dai titolari di Talemotion.com, il sito dedicato al self-publishing che permette di pubblicare gratis un racconto breve e sottoporlo al giudizio dei lettori. Dal canto suo Cantina Viticoltori Ponte non è nuova a sposare inziative culturali che esulano dal lavoro in vigna e in cantina, ma che si riallaciano, come in questo caso, a storie di pura fantasia dove però la cantina, con un pizzico di mistero, deve essere protagonista dei racconti. Una giuria nominata da Telemotion.it ha così decretato i migliori racconti pubblicati sul sito e nominato anche il vincitore. Il libro raccoglie così 12 short story per una lettura piacevole all'insegna del mistero.

Per fare bella figura... Piccolo, leggero, tascabile. È il vademecum da tenere sempre con sè per orientarsi in modo semplice e veloce sulle giuste scelte del mondo del vino. Al ristorante, al supermercato, in enoteca, a cena da amici o a casa propria. Poco più di cento pagine, divise in otto capitoletti, aiuteranno chiunque voglia trovare una soluzione tra bianchi e rossi, spumanti e rosé, e a scegliere il vino giusto, i modi di versarlo, oltre che il bicchiere, gli abbinamenti con i vari piatti, la temperatura di servizio. Piccoli suggerimenti e qualche "dritta" per cavarsela anche se non si è dei sommelier di alto livello. Qualche nozione, snocciolata con grande abilità e sottoforma di pratici consigli dall'autore del libro, giornalista specializzato in enogastronomia, permette al neofita che si affaccia per la prima volta nel mondo di Bacco con quel pizzico di curiosità in più, di conoscere e saper riconoscere il vino adatto a ogni situazione, fino a organizzare in casa propria una piccola cantina pronta all'uso - e soprattutto consumo -. Per essere sempre pronti a rispondere alla fatidica domanda "Da bere, cosa le porto?".

Dal web alla carta Insolito passaggio per le fondatrice di Milano Secrets, il sito online dedicato alla scoperta dell'ultima novità milanese, "posticini carini" dove fare il brunch, un'aperitivo, pranzare in terrazzo, o trovare abiti vintage, scarpe chicchissime, il regalo perfetto, e tanti eventi. Ora tutto questo ha preso forma in un pratico libello acquistabile anche online sul sito www.milanosecrets.it, alla scoperta di indirizzi insoliti e idee curiose per trovare posti originali e scoprire una Milano che non ti aspetti. La guida raccoglie tutte le scoperte fatte in anni di passaparola, shopping, ricerche e incontri a volte casuali. Suddivisi in intinerari, gli indirizzi guidano il lettore in una personalissima, ma condivisa, visione di Milano, fuori dai percorsi turistici e tragitti convenzionali. Per una Milano ricca di segreti da scoprire poco alla volta, tra lo stupore e l'entusiasmo di scovare luoghi incredibili.

Un pezzo di storia In un piccolo paese sperduto nella campagna appena fuori Milano, L'Antica Osteria del Ponte ha fatto la storia. E ancora di più l'hanno fatta Ezio e Renata Santin, nella loro Cassinetta di Lugagnano, dove hanno conquistato ben tre stelle Michelin, negli stessi anni in cui anche Gualtiero Marchesi entrava nell'olimpo degli stellati con l'apertura del suo ristorante in via Bonvesin de La Riva, oggi luogo più attivo che mai. Il libro vuole essere un racconto - con una breve prefazione di Bruno Vespa e dello stesso Maestro - della loro vita, non solo la quotidianità tra le pareti della "Cassinetta", o degli ospiti illustri accolti, o dei piatti storici: c'è anche la vita personale, più intima, i viaggi, le letture, gli incontri con altri chef e il percorso per arrivare alla creazione dell'Associazione Le Soste. Non manca, alla fine, un'utile glossario, dalla A alla Z, dove ogni ingrediente viene spiegato in modo semplice e pratico, per poi terminare con un capitolo dedicato a "L'idea dietro le ricette". E l'idea di una "cucina d'amore, impeccabile, ma in fondo semplice..." come l'ha definita Gualtiero Marchesi.

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Lista del giorno: minestrone o costoletta? TRATTORIA MILANESE Via Santa Marta, 11 20123 Milano 02 86451991 Sempre aperto

“Nostalgia canaglia”, verrebbe da dire. Abitando lì vicino, dove le “Cinque vie” si snodano e si disperdono nel dedalo delle viuzze fra il Carrobbio, Piazza San Sepolcro e il Cordusio, la Trattoria Milanese è stata una delle mie prime mete gastronomiche. Mi ci portavano i miei genitori, quando volevano festeggiare qualcosa, anche perché era uno dei pochi ristoranti in città aperti la domenica. Vi si mangiavano ottimi “messicani” (un piatto milanese ormai scomparso), una straordinaria trippa (la busecca vera, grigia del suo foiolo), un risotto giallo, col gusto denso del brodo di carne, servito con ossobuco (subito alla caccia del suo midollo, per godere “a prescindere”), che mi è rimasto nella memoria. Per non dire del lesso con la salsa verde. Non ho ricordi della cotoletta, ma altri commensali dell’epoca la ricordano come molto buona: alta un centimetro e mezzo, impanata a dovere, leggermente rosa all’interno, fritta nel burro (non chiarificato, ai tempi non era ancora diventato un must del marketing culinario per sciurette a dieta). Certo, quarant’anni fa la Trattoria era un’altra cosa, Milano era un’altra cosa, noi stessi eravamo diversi e tutto aveva un altro sentore: in via del Bollo, lì dietro, vecchie prostitute cercavano clienti, proprio davanti a una cartoleria storica, poi distrutta in nome del rinnovamento urbanistico della città. Ma qualcosa ha resistito, in un modo o nell’altro, a strenua difesa di un modo d’essere “milanesi”, ovvero pratici ed essenziali, poco inclini verso la “cosmetica” della ristorazione, alieni da voli pindarici. Sì, la Milano della ristorazione era (anche) questo: pochi fronzoli, badare al sodo, andare diritti all’obiettivo. La Milano della moda non esisteva, solo alcuni

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grandi sarti (Caraceni, Di Francesco e pochi altri) erano protagonisti di quell’eleganza su misura, raffinata ma essenziale, soppiantata poi dall’arrivo di griffe pretenziose e dalla diffusione del prêt à porter. La Milano degli chef superstar era di là da venire, ma c’erano luoghi “sicuri”, approdi caldi e familiari, nei quali trascorrere qualche ora serena: fra questi ricordo le Vecchie Abbadesse (nel 1969 mio nonno ci festeggiò le nozze d’oro), la Brasera Meneghina di via Circo, il San Bernardo del mitico Alfredo Valli, la Antica Trattoria della Pesa della Ezia Calatti (una “signora” della ristorazione, duramente attaccata sul Corriere d’informazione dal collega Raspelli perché “non aveva un’aspirina”)… La Trattoria Milanese era uno di questi luoghi: allora assolutamente contemporaneo, oggi dal sapore più “anticato”, ma pur sempre con la sua ragion d’essere, visto anche il successo che continua a riscuotere in quella fascia di milanesi della zona, che lo ritengono sempre una meta sicura. La trattoria aprì nel 1933 e, passata di generazione in generazione, è da quarant’anni nelle salde mani di Giuseppe Villa, figura fortemente legata a Milano, un imprenditore che ha sempre preferito “toccare il meno possibile”, pur nel restyling che, una quindicina di anni fa, ha adeguato gli spazi a logiche più moderne di spazio ed efficienza logistica. A proposito di “non cambiare nulla”, va detto che il menù (una pagina fitta di voci) rispecchia ancora all’80% quello degli anni Settanta. Ci sono ancora gli stessi piatti, come se non fosse cambiato nulla (si tenga presenta che la data della mia visita risale a fine marzo e che a inizio estate alcuni piatti vengono sostituiti con altri più “leggeri”). Antipasti: prosciutto, lardo e salumi vari, nervetti, bresaola dell’Alta Valtellina, patè casalingo di tonno. Fra le minestre (così si chiamano i primi, in ossequio a tradizione antica): brodo in tazza (6 euro), tortellini a mano al sugo di arrosto, risotto alla milanese, risotto al salto, minestrone di pasta, zuppa di

legumi. Fra i “piatti da farsi”: risotto e ossobuco, bistecca con uovo, paillard ai ferri, nodino di vitello, rognone trifolato con polenta, cervella di vitello fresca, fritture miste di vitello (cuore, animelle, fegato e rognone, ottimo piatto), carne cruda olio e limone (chiedetela senza), costolette alla milanese (pretendete dal patron che sia lui stesso a supervisionarne la preparazione, dalla scelta del carrè di vitello fino alla cottura: è una ga-

ranzia in più, dato che l’occhio di Giuseppe Villa ci vede molto lungo). Fra i “piatti del giorno”: cotechino di Sabbioneta con lenticchie, polenta e brasato, due uova a piacere, polpettone di vitello al forno, mondeghili, polpette al pomodoro, polenta uovo e gorgonzola, ossobuco in umido, foiolo alla milanese, fesa o punta di vitello al forno. Fra i legumi-verdure: insalata di carciofi con parmigiano, carciofi freschi al tegame, cicorino nostrano,

LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole



Numero 68 maggio/giugno 2015

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Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello In redazione Elisa Facchetti - elisa.facchetti@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it _______________________________________________________________________________________________________

co lo ph o

Hanno collaborato Rebecca Andreola, Giuseppe Arena, Fiorenza Auriemma, Denise Battistin, Irene Bernabò Silorata, Guido Bernardi, Davide Bernieri, Stefano Bonini, Luisa Contri, Davide Deponti, Antonio Ezio, Maurizio Forte, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Doady Giugliano, Rocco Lettieri, Emilio Magni, Rosa Marchetti, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Calogero Moscato, Aldo Nenzi, Riccardo Oldani, Anna Pesenti, Gio Pirovano, Alessandra Piubello, Gualtiero Spotti, Theo Smith, Olivia Vachon, Claudio Zeni, Stefania Zolotti _______________________________________________________________________________________________________

Art director Claudio Rossi Oldrati

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Foto aromicreativi.com (Davide Botta), Frédéric Desmesure & Philippe Labeguerie (Vinexpo), Alex Peroli (Lituania), Ilaria Rucco/Adversa (Pietro Parisi), Lido Vannucchi (Cristoforo Trapani), Renato Vettorato (Bruno Bassetto) _______________________________________________________________________________________________________

Pubblicità dircom@edifis.it

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Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it

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Stampa Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (MI)

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Prezzo per una copia € 5,00 - Arretrati € 10,00

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asparagi a piacere, patate al prezzemolo, polenta nostrana, insalata russa fresca casalinga (da notare che non è inserita nella sezione “antipasti”, essendo storicamente considerata, a Milano, un “contorno”), verdure saltate ecc. La sezione Pesci è quasi inesistente: solo un intrusissimo salmone ai ferri o al vapore fa la sua comparsa. Fra i dolci: lo zabaione, il tiramisù, e poche altre proposte, perché la vecchia ristorazione milanese non prevedeva una ricca offerta di dessert, spesso inesistenti salvo il panettone quando la ricorrenza lo imponeva. Le proposte di vini sono fortemente orientate al binomio Piemonte-Toscana, dove emergono etichette di una classicità blasonatissima: Marchesi di Barolo, Poderi Einaudi, Parusso in testa, con Tenuta San Guido e altre etichette di grandi rossi a seguire. Dunque, un menù tradizionale, per non dire “vecchio”, ma fortemente appetitoso per chi, in questa città che ha tradito le sue origini e non ha saputo o voluto valorizzare le sue migliori usanze gastronomiche, è alla continua ricerca di autenticità. Valore ormai abbastanza disperso o, forse, tramutatosi in altre forme di offerta: la presenza di una ristorazione vivace e creativa, oltre che parzialmente attenta anche a certi recuperi (di piatti, ricette, tradizioni) è tutto sommato incoraggiante. La scena milanese, come leggete sulle nostre pagine, non è affatto statica e decine di insegne si affacciano ogni giorno sul mercato. Artù verifica quotidianamente nuove aperture e registra, anche, molte chiusure e avvicendamenti. In

nome di una regola giornalistica sempre attuale (“i fatti separati dalle opinioni”), registriamo cambiamenti, innovazioni, affermazioni di chef, fughe da situazioni difficili (perché c’è anche chi, scarsamente motivato dalle proprietà o in virtù di altre opportunità, sceglie la impegnativa via della fuga). E discutiamo e creiamo forum sul nostro sito o sui social, per capire insieme a chi ci segue cosa stia succedendo oggi nell’Italia della ristorazione. Ma, come nel caso della Trattoria Milanese, ci piace nonostante tutto - ritornare con discrezione, quatti quatti, nei luoghi della memoria, quelli in cui “si è toccato il meno possibile” (a parte i prezzi che si sono adeguati alla media milanese, pur senza vistose esagerazioni), quei ristoranti o trattorie in cui il perfezionismo non è ancora passato e quella esasperata competizione che oggi caratterizza la città, viene guardata con distacco, quasi con distanza, con quella superiorità di chi sembra dire: “fate, fate pure, tanto noi continuiamo sulla nostra strada, con tenacia ed ostinazione”. Certo, forse una maggiore caratterizzazione in chiave milanese, magari con una riduzione nel numero di voci in menù, così come la “esibizione” di uno chef e di una brigata di cucina, aiuterebbero ad avere maggiori consensi dalla critica gastronomica: ma questa non mi pare essere una priorità del signor Villa, più orientato alla fedeltà della sua clientela che alle recensioni positive e mielose. Così la Trattoria Milanese continua per la sua strada, piaccia o no: con pregi e difetti che, lasciatecelo dire, sono in fondo segno di quella “grande normalità” che molti, ancora, accettano (in molti casi, desiderano) di trovare sul proprio cammino gastronomico. A.P. S.




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