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Artù n°69 - Luglio - Agosto 2015
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Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati
Lisbona: EMOZIONI GOURMET nell’offerta gastronomica di una città vivace Parigi: ALAIN DUCASSE al Plaza Athénée: “La mia grande cucina naturale” Milano: FULVIO SICCARDI, al Magna Pars l’impronta piemontese dello chef Portofino: SPLENDIDO, destinazione magica dell’Orient Express, oggi Belmond Polesine Parmense: all’ANTICA CORTE PALLAVICINA premiati chef e giornalisti
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EDITORIALE n°69
Stile o LOCATION? presa improba. Se si vuole fare (e dare) qualità, ci vogliono anche altri ingredienti, di cui scriviamo da anni (rischiando di apparire scontati): preparazione del personale, cordialità dell’accoglienza, qualità delle materie prime, food cost adeguato, coerenza fra prezzo e valore dell’esperienza, decoro e pulizia degli ambienti, applicazione concreta di logiche di servizio verso il cliente. Insomma, un piano strategico in piena regola. E, soprattutto, una conduzione riconoscibile e competente, in grado di armonizzare il gioco di squadra grazie a regole condivise e di assicurare che la gestione sia strutturata, collaudata, statutaria. All’altezza delle aspettative, insomma. Tutti elementi che contribuiscono a creare l’immagine del locale e che - grazie a un passaparola onesto e disinteressato - ne accrescono visibilità e prestigio. Spesso però questi semplici concetti vengono disattesi e diventano subalterni rispetto all’importanza esagerata data alla location. Con il risultato di dare per scontato un facile business che, invece, non arriva. Non voglio qui scrivere un trattato di marketing sui fattori di successo di un locale, ristorante, bar o trattoria che sia: ma ci tengo a esprimere opinioni che ritengo discriminanti, ridimensionando la supremazia assoluta dell’ubicazione, insieme all’assioma che recita: “il locale è un investibackground specifico, conoscenza un momento all’altro, per svariati mo- mento, compro oggi per rivendere al delle dinamiche del mercato. Pensano tivi, deboli e traballanti, soppiantate doppio domani”. Non è più così, se che, per ottenere il successo, sia suf- dall’affermazione di nuove e inattese mai lo è stato, anche perché il rischio ficiente avere abbastanza denaro da aree di forte vitalità commerciali. O di “vendere male” è molto attuale. investire per assicurarsi una ottima dal mutamento di destinazioni di Potrei elencare decine di esempi in ubicazione, nel cuore delle città o in quelle stesse aree. O da una presenza tal senso. Prima della “posizione”, zone alla moda o in località turistiche: elefantiaca di locali che creano un dunque, conta lo stile dell’offerta del il resto è relativo, perché - dicono - bacino in cui “fare la differenza” è im- locale: il cliente che sceglie di fare
Nella ristorazione, molti si sforzano di offrire al cliente il massimo possibile (o quello che ritengono tale), consapevoli della difficoltà delle sfide quotidiane ma certi che il loro impegno venga apprezzato e ripagato nel tempo. Altri, invece, sembrano pesci fuor d’acqua: spesso si ritrovano imprenditori così, per caso, senza avere esperienza,
basta essere nel posto giusto al momento giusto. Purtroppo non è sempre così. Nonostante quanto dicesse Aldo Vagnozzi, fondatore di Atahotels (una catena alberghiera italiana di successo negli anni Ottanta), la posizione non è tutto e non è per sempre. Nel tempo le cose cambiano e location apparentemente “forti” possono rivelarsi da
un’esperienza particolare, tende a cercare il ristorante dalla cucina memorabile, dallo chef affidabile e preparato, condotto all’insegna del rispetto delle materie prime e della professionalità, seguendo degli standard non banali ma che garantiscono ogni volta lo stesso tipo di risultati (semmai sempre più elevati), mettendo al riparo da brutte sorprese. Il valore della squadra, poi, deve essere percepito appena varcata la soglia del ristorante: se l’impressione è negativa, per quanto masochista sia il cliente, verrà trasmessa all’esterno un’immagine altrettanto negativa, legata a un ricordo sgradevole. Questa sensibilità è molto diffusa fra la clientela gourmet e gourmand internazionale, che si aspetta di trovare nel locale quanto viene “garantito” dalle recensioni su portali, siti web o guide più o meno affidabili. Se non c’è rispondenza fra l’attesa e la realtà, aspettatevi pure una stroncatura (aldilà delle facili ironie sui motori di ricerca e sulle false recensioni, smartphone e ipad si sono ormai trasformati in guide gastronomiche last minute, in cui tutti dicono tutto, nel bene e nel male). Quando ce n’è motivo, possono essere uno strumento utile, facendo loro lo “sconto”. La ristorazione è una cosa seria. Non basta allocare denaro (spesso indebitandosi a vita), gestire un locale alla moda, ubicato nella zona più trendy della città, con lo chef più esibito e mediatico, per pensare di avere successo facile. Se non c’è stile, impronta, caratterizzazione, professionalità, capacità di gestire le difficoltà, beh… forse è meglio cambiare mestiere. Alberto P. Schieppati
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In copertina: Tuna belly tartare, un piatto dello chef portoghese João Rodrigues, del ristorante O Feitoria di Lisbona. Gli interpreti della nuova cucina puntano sull’essenzialità del piatto, sia per le materie prime che per la presentazione estetica. In questo caso, si tratta di una riedizione di un piatto universalmente noto.
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Info people Onaoo, si va a scuola di olio di Rebecca Andreola S.Pellegrino Sapori Ticino, tutti i sapori del mondo di Elisa Facchetti Manuelina porta a Milano la mitica focaccia di Elisa Facchetti I “Sogni estivi” di Herbert Hintner di Rebecca Andreola Info brand Rational, l’alta tecnologia al servizio della flessibilità di Elisa Facchetti In forma Veritas, parola di Georg Riedel di Theo Smith Veuve Clicquot, le cantine patrimonio Unesco di Elisa Facchetti Focus food La bella diversità di Alain Ducasse: la cucina dev’essere solo naturale di Alberto P. Schieppati Taste of Etna, novità siciliana di Giovanna Moldenhauer Lisbona, alla scoperta di emozioni nuove di Gualtiero Spotti Protagonisti food Fulvio Siccardi, l’approccio piemontese di Alberto P. Schieppati Antica Corte Pallavicina, il premio va ad Acurio di Alberto P. Schieppati La “cucina evolutiva” di Jaime Pesaque di Elisa Facchetti Pisani e Negrini, il pensiero di Aimo e Nadia di Giovanna Moldenhauer La Refezione di Garbagnate, lontano dalle mode di Alberto P. Schieppati Kanova, in Istria la cucina si reinventa di Guido Bernardi Accueil Palas Cerequio, il sogno del vignaiolo di Elio Ghisalberti Castiglion del Bosco, lo stile toscano di Elisa Facchetti Allo Splendido, la conferma di Portofino di Gualtiero Spotti Equipment Artmenu Factory, formula tailor made di Elisa Facchetti News Olio, birra, agnello, caffè. Il food non sta a guardare Libri Ars cul in aria, Salt & Pepper e birra Secondo Artù Ai Mercanti di Venezia, più altri “ragionevoli” di Alberto P. Schieppati
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Onaoo, si va a scuola di olio di Rebecca Andreola La prima scuola di formazione al mondo per assaggiatori d’olio d’oliva nasce con l’obiettivo di formare nuove figure professionali, al fine di valorizzare, tutelare e promuovere uno dei prodotti più preziosi del territorio italiano. In Italia si producono ben 400 mila tonnellate di olio d’oliva all’anno, una cifra che regala al Bel Paese il secondo posto nella classifica mondiale dei produttori, dove al primo posto compare la Spagna. Sebbene sia un risultato di tutto rispetto, ciò non basta a coprire il fabbisogno degli italiani che all’anno ne consumano 650 mila tonnellate. Da qui nasce quindi l’esigenza di importare olio d’oliva da altri Paesi e la conseguenza di accertarne la “bontà” grazie alla figura del sommelier, un assaggiatore professionista che deve valutare i diversi parametri per stabilire la qualità dell’olio d’oliva. Una professione che dal 1983 vede riconosciuta la propria professionalità dall’Onaoo, l’Or-
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ganizzazione Nazionale Assaggiatori Olio di Oliva, la più antica scuola d’assaggio al mondo nata a Imperia per volere della Camera di Commercio locale, al fine di promuovere l'arte dell'assaggio sia da un punto di vista tecnico che operativo, e tutelare così uno dei più grandi patrimoni del territorio italiano. La scuola di fatto forma esperti attraverso corsi divulgativi e tecnici - anche online e in lingua - che comprendono l’apprendimento di ogni fase della filiera produttiva, dall’agronomia alle tecniche di trasformazione, dall’analisi sensoriale al marketing, fino alla richiesta del superamento delle prove selettive finalizzata all’iscrizione all’elenco nazionale di tecnici ed esperti degli oli di oliva vergini ed extravergini. “La figura dell’assaggiatore - spiega Mauro Amelio, Responsabile Scientifico Onaoo - ha un ruolo fondamentale per le aziende nella valutazione del prodotto finale, ma anche durante tutto il processo della filiera produttiva, soprattutto nell’individuare i ‘difetti dell’olio’. In tal modo, i produttori possono intervenire, risalendo all’origine del difetto e preservando le annate
successive”. Alla fine del percorso formativo l’Onaoo rilascia infatti un attestato di frequenza e uno di Idoneità Fisiologica all’Assaggio. “Diventare assaggiatore di olio è utile per alcune figure professionali dell’Ho.re.ca e della GDO - afferma Marcello Scoccia, Responsabile Corsi e Capo Panel Onaoo -. Anche nella ristorazione la conoscenza di questo prodotto e la capacità di abbinare, come per i vini, l’olio extra vergine adatto ad ogni pietanza, risulta vincente e con un ritorno di immagine per il ristoratore molto importante”. E nell’anno dell’Esposizione Universale anche Onaoo diventa protagonista con il concorso “Sfida Mondiale Assaggiatori Olio d’Oliva Onaoo” (The Worldwide Olive Oil Tasters’Challenge by Onaoo): l’appuntamento è per il 13 settembre a Expo, al padiglione Italia, dove 50 concorrenti di tutto il mondo si sfideranno in due prove, una di assaggio e una teorica, per eleggere il miglior assaggiatore.
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S.Pellegrino Sapori Ticino tutti i sapori del mondo di Elisa Facchetti Il Canton Ticino ha dimostrato negli ultimi nove anni di essere un territorio dalle infinite potenzialità, un magnete in grado di attrarre gli chef più bravi del mondo e regalare esperienze gastronomiche indimenticabili. S.Pellegrino Sapori Ticino ne è stata la forza trainante per valorizzare il territorio e le sue punte di diamante in fatto di ristorazione e ospitalità, regalando al suo ideatore, Dany Stauffacher, la conclamata certezza di essere un prestigioso evento riconosciuto ormai a livello mondiale.
Qui sotto: Ops, mi è caduta la crostatina al limone, di Massimo Bottura.
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Si è conclusa con grande successo la 9° edizione di S.Pellegrino Sapori Ticino, importante e prestigioso evento enogastronomico, unico nel suo genere, capace di riunire otto tra i migliori 51 chef di tutto il mondo, in un contesto di assoluta eccellenza e collaborazione tra gli chef “ospiti” e i “padroni di casa”. L’accoglienza
tonde - ha sottolineato Dany Stauffacher - ci interessa lavorare concretamente per coinvolgere tutti gli attori, dalla classe politica agli enti turistici, che possono far diventare il cibo uno strumento discreta ed elegante che caratterizza da straordinario per promuovere il turismo, sempre il Canton Ticino ha regalato a tutti i livelli e in tutte le regioni”. Protaanche quest’anno momenti magici di gonisti di questa 9° edizione gli otto alta cucina, in un crescendo di emozioni World’s Top Chefs ospitati nelle cucine e sapori senza confronto, grazie alla pre- dei migliori alberghi del Canton Ticino, senza dei massimi esponenti della per un totale di 30 stelle Michelin partecultura enogastronomica contemporanea. cipanti e un numero altissimo di punti La formula vincente ideata da Dany Gault&Millau: Mauro Colagreco, Massimo Stauffacher, oltre che avvicinare sempre Bottura, Andreas Caminada, Davide Scadi più l’alta cucina di qualità al pubblico, bin, Sven Alverfeld, Anand Gaggan, Diego ha anche la peculiarità di far vivere, a Muñoz, Rasmus Kofoed hanno contribuito chi vi partecipa, un’esperienza a diretto a rendere questa edizione speciale e contatto con gli chef che lavorano in cu- una delle più amate fra tutti gli appuncina. “Con l’indiscusso successo di tamenti andati in scena. 10.000 i piatti quest’anno - ha affermato Dany Stauffa- serviti, oltre 1700 gli ospiti presenti tra cher - siamo finalmente giunti a un personalità internazionali livello straordinario, non solo dal punto e svizzere, opedi vista gastronomico grazie agli chef ratori del che hanno scelto di venire fino in Ticino settoper il nostro pubblico, ma anche a livello mediatico: ci hanno infatti sostenuto un numero davvero incredibile di testate, televisioni e magazine di grande spessore, con nostra grande soddisfazione”. S.Pellegrino Sapori Ticino nasce con l’intento, potremmo dire pienamente raggiunto, di rilanciare l’enogastronomia di qualità: “Più che organizzare simposi e tavole roArtù n°69
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re turistico, partner e appassionati, ben 300 gli operatori tra brigate di cucina, servizio e organizzazione che hanno animato la kermesse, numeri che confermano il grande coinvolgimento organizzativo per giungere a eccellenti risultati per la perfetta riuscita dell’evento. L’edizione 2015 ha infatti permesso di far conoscere e degustare i piatti di otto grandi chef a livello mondiale, un’occasione da non perdere che ha premiato il Ticino, e la manifestazione S.Pellegrino Sapori Ticino, quale modello di rinomata ospitalità e qualità. Fiore all’occhiello la serata di chiusura, frutto della colla-
borazione fra S.Pellegrino Sapori Ticino e Les Grandes Tables de Suisse, l’associazione che riunisce tutte le migliori tavole della Svizzera: per l’occasione quattro storici chef dell’associazione hanno deliziato gli ospiti - tra cui il sindaco di Lugano Marco Borradorie e Andrea Stoffel, Ceo Nestlé Waters Suisse - con le loro creazioni proposte in live-cooking: Markus Neff, una stella Michelin del Waldhotel Fletschhorn di Sass-Fee; Robert Speth, una stella Michelin del ristorane Chesery di Gstaad; Franz Wiget, due stelle Michelin del ristorante Adel-
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boden di Steinen-Schwyz e l’uscente e storico presidente de Les Grandes Tables de Suisse, André Jaeger, che dopo una carriera al timone del Ristorante Fischerzunft di Sciaffusa si è concesso per un’ultima volta al grande pubblico. Prossimo appuntamento con S.Pellegrino Sapori Ticino, forte del rinnovo per il prossimo biennio con Nestlé Waters Suisse, sarà nel 2016 per festeggiare il 10° anniversario della manifestazione, con il patron Dany Stauffacher e un’edizione inedita tutta da scoprire, da vivere e da gustare.
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Manuelina porta a Milano la mitica focaccia cale. Da oggi la ricetta originale della focaccina al formaggio, per la gioia di tutti i milanesi e dei turisti che transitano nel capoluogo meneghino, si può assaggiare anche a Milano, a due passi dal Duomo. Manuelina ha infatti aperto già da qualche mese al nuovo annex della Rinascente, in via S. Radegonda 10, sotto la galleria, festeggiando il nuovo indirizzo milanese con un evento all’insegna del sapore autentico della vera focaccia al formaggio, appena sfornata, croccante fuori e fondente dentro. Ad accoglierci Cesare Carbone, proprietario di Manuelina, figlio di
Manuelina nel creare una sfoglia sottilissima e fragrante. L’inaugurazione di Manuelina Focacceria si è svolta in occasione dell’apertura del nuovo annex la Rinascente di Milano, due piani ricchi di proposte firmate dai più esclusivi marchi di tendenza in cui, al piano terra, si estende l’area food dedicata alla proposta dei sapori della Liguria. Oltre alla mitica focaccia al formaggio, Manuelina propone la classica focaccia genovese, la “pizzata” Manuelina, le torte salate – torta di zucca e pasqualina -, e alcuni dolci artigianali – da provare i biscotti ai pinoli! -. Non
di Elisa Facchetti Era il 1885 quando Manuelina apriva a Recco la sua osteria e inventava la celebra “focaccia col formaggio”, una vera delizia a cui ancora oggi è difficile rinunciare. La stessa passione, la stessa qualità e gli stessi sapori vengono oggi proposti a Milano, in pieno centro, per la felicità dei milanesi e non solo. In molti hanno già sperimentato il magico mondo della Manuelina, storica focacceria di Recco famosa per l’invenzione dell’originale focaccia al formaggio, creata per la prima volta dalla bisnonna Manuelina ben 125 anni fa. Negli anni, l’antica trattoria di Recco si è trasformata in un punto di riferimento della ristorazione ligure, grazie alla qualità delle materie prime e, soprattutto, al genio imprenditoriale della famiglia Carbone, guidata da Gianni, colonna portante dello sviluppo del lo-
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manca il servizio caffetteria, soft drink e qualche calice per un aperitivo a base di focaccia. La Manuelina Focacceria è aperta 7 giorni su 7: dal lunedì al sabato dalle 8.00 alle 22.00 e la domenica dalle 9.00 alle 22.00.
Gianni, che con grande ospitalità e cortesia ci ha spiegato alcuni segreti per la preparazione della focaccia al formaggio: impasto senza lievito e cottura in teglie tonde di rame. E ovviamente tutta la maestria dei focacciai della
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I “sogni estivi”, di Herbert Hintner di Rebecca Andreola
d’autore del progetto “sogni estivi”, sono il Riesling Montiggl della cantina Prosegue il progetto “sogni estivi” di San Michele Appiano e il piatto tarideato dalla cantina di San Michele tare di salmerino marinato, panna e Appiano che vede protagonisti i suoi patate di Herbert Hintner, chef stellato vini abbinati a ricette d’autore di dell’Alto Adige e maestro di alta cucina italiana nel suo ristorante Zur Rose ad chef stellati dei ristoranti d’Italia. Appiano. Continua dunque la serie di Il primo abbinamento aveva visto il fre- “collezioni d’autore” ideata dalla cantina sco Sauvignon Sanct Valentin abbinato di San Michele Appiano per invitare alla ricetta linguine di Alfonso con ad abbinare nei ristoranti stellati d’Italia alghe di mare, fegato e crudo di polpo, i suoi vini pregiati a ricette d’autore. Il osso di seppia grattugiato, dello chef Riesling Montiggl, nome della zona in stella Michelin Alfonso Caputo de la cui questo vitigno di origine germanica Taverna del Capitano di Massalubrense, ha trovato le condizioni ambientali sulla costiera amalfitana. Protagonisti ideali grazie al clima fresco ma solegdel secondo abbinamento vino e ricetta giato sul lago Grande di Monticolo
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(480-550 m), si sposa perfettamente con la tartare di salmerino, grazie ai suoi aromi fruttati e alla sua freschezza minerale. Nobile ed equilibrato dai profumi intensi di pesca bianca e albicocca, il Riesling Montiggl esalta la dolcezza della tartare preparata dallo chef Herbert Hintner, una stella Michelin, che rivela la sua ricetta da riproporre anche a chi chef non è. Per preparare il piatto servono 750 gr di salmerino parò, 140 gr di sale, 155 gr di zucchero, 4 mazzetti di aneto, 8 bacche di ginepro, 300 gr di patate, insalata, sale e pepe, 4 cucchiai di insalata vinaigrette, 100 gr di panna acida, 30 gr di erba cipollina tritata. Per la preparazione si inizia con la marinatura del salmerino adagiato in un contenitore con sale, zucchero, aneto, le bacche di ginepro e pepe nero per 7-8 ore. Nella fase successiva è necessario risciacquare il salmerino con acqua fredda e porlo in un canovaccio per una notte. Successivamente può essere tagliato a dadini e condito con un filo d'olio. Si tagliano le patate a julienne e si salano, per poi dorarle su entrambi i lati in una padella antiaderente con 20 cm di diametro. Montare poi la panna acida aggiungendo un pizzico di sale e l’erba cipollina tritata. Servire nei piatti nel seguente modo: adagiare il rosti di patate al centro del piatto e sistemare al centro la tartare di salmerino aiutandosi con uno stampino. Guarnire con l’insalata a piacere.
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Rational, l’alta tecnologia al servizio della flessibilità di Elisa Facchetti Presente da ben 42 anni nel settore dedicato alla ristorazione professionale, Rational si distingue per l’alta tecnologia di immediato utilizzo al servizio dell’utente finale. Un team affiatato, composto anche da cuochi, lavora costantemente per migliorare le performance dei propri forni, giungendo all’importante innovazione del SelfCookingCenter 5 Senses. Offrire il massimo dei benefici al cliente finale. La mission di Rational può essere così sintetizzata, cogliendo nel segno la filosofia che da più di 40 anni anima con passione un’azienda che ha fatto della professionalità e della ricerca in tecnologia i punti di forza, per imporsi sul mercato mondiale quale leader di settore. Artù ha incontrato per la seconda volta l’AD di Rational Italia, Enrico Ferri, al fine di illustrare gli sviluppi e approfondire le principali dinamiche di tale successo.
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Fiore all’occhiello la tecnologia del SelfCookingCenter 5 Senses, l’unico sistema di cottura intelligente dotato di cinque sensi che sente, riconosce, pianifica, impara e comunica con l’utilizzatore finale. “Il SelfCookingCenter nasce per offrire il massimo dei benefici a chi lo utilizza e chi lavora nelle cucine professionali e tutti i nostri sforzi - ci spiega Enrico Ferri - sono mirati a rispondere alle necessità del cliente finale. Rational è un’azienda di cuochi nata per i cuochi e qui sta la nostra forza, testando ogni giorno i metodi di cottura e gli strumenti per rispondere in modo efficace alle richieste di ogni singola figura professionale”. Caratteristica principale del SelfCookingCenter è senza dubbio l’automatismo, che grazie al brevetto iCookingControl, parte di uno dei 480 brevetti che fanno parte di questa macchina, consente un considerevole risparmio energetico: “L’iCookingControl - illustra Enrico Fer ri -, riconosce la tipologia di prodotto, la massa, la cottura più idonea in base alla ricetta inserita e l’energia necessaria per cucinare tale pietanza. La stessa macchina, per la sua flessibilità, permette di convogliare il 7080% delle cotture all’interno del forno utilizzando un solo macchinario e facendo risparmiare così spazio e altri utensili quali piastre, griglie e pentolame”. Un risparmio energetico di circa il 70% rappresenta un grandissimo vantaggio e oggi, con il SelfCookingCenter, è possibile non solo ridurre i costi di energia, ma soprattutto mantenere intatte le qualità organolettiche grazie al riconoscimento automatico dei cibi e la conseguente scelta della cottura migliore. A fronte di una così precisa e performante tecnologia, gli studi in ricerca&sviluppo occupano un ruolo fondamentale. Ogni anno ven-
gono infatti investiti ben 25 milioni di euro, dedicando studi a approfondimenti per giungere alla perfezione di un solo prodotto, mirando così a una specializzazione tale da soddisfare, con il massimo della tecnologia applicata a quel singolo prodotto, tutte le richieste del cliente: “Tutto questo fa sempre parte della nostra filosofia – commenta Enrico Ferri –, ovvero offrire il massimo dei benefici per rendere questa macchina immediatamente fruibile al cliente finale e in primis al nostro team formato da cuochi. Per noi è fondamentale l’equilibrio tra tecnologia e utilizzo, per questo motivo crediamo che l’alta tecnologia debba essere posta al servizio della semplicità di utilizzo e dell’intuitività”. Il team di ricerca&sviluppo, composto da circa 80 persone, è infatti il centro di ricerca più grande del settore, specializzato esclusivamente sui futuri sviluppi del SelfCookingCenter. L’intelligenza applicata alla macchina è stata espressa con il termine “5 Senses”, illustrando già dal nome la grande sensibilità in
tutte le diverse fasi di cottura, comunicando ogni minuto con il cuoco e monitorando le modifiche percepite dalla macchina nei confronti della pietanza avviata al processo di cottura, in base alle impostazioni selezionate dal cuoco e alla ricetta inserita o selezionata. La stessa tecnologia e lo stesso automatismo si ritrovano nel SelfCookingCenter declinato nei modelli più flessibili, dalle dimensioni più ridotte: stiamo parlando dei modelli 61 e 101, entrambi dotati della tecnologia “5 Senses” e adattabili, per le misure più compatte, alle condizioni specifiche di ogni cucina. Comunicare tutte queste caratteristiche è quindi fondamentale al fine di far percepire al meglio tutte le potenzialità del SelfCookingCenter. A tale scopo è stato creato il pacchetto “Service Plus”: “Per noi è fondamentale analizzare i risultati di post vendita. Per questo motivo è bene comunicare da subito tutte le caratteristiche della macchina che andremo a vendere, una sorta di ‘iter conoscitivo’ che forniamo all’utente finale grazie al pacchetto Service Plus che prevede due ore di dimostrazione, per un totale di circa 1200 dimostrazioni all’anno in Italia, distinguendo tra pasticceria, gastronomia, ristorazione, macelleria e collettiva; inoltre prevediamo corsi gratuiti di formazione per i proprietari della durata di un giorno e la possibilità di sfruttare la linea diretta con un nostro operatore specializzato grazie alla Chef Line, un numero verde attivo tutti i giorni”. Per rimanere sempre in contatto il Club Rational permette di condividere opinioni, ricette e idee, caricare video e filmati. Con un fatturato complessivo del Gruppo di ben 518 milioni di euro, Rational si posiziona non solo come esempio di eccellenza nel settore conosciuta e scelta in tutto il mondo, ma in particolare in Italia ha fatto registrare vendite significative con una crescita pari al 15% solo nel primo quadrimestre del 2015, rispetto all’anno precedente. Dati che confermano il successo di macchine performanti, di alta qualità e di immediato utilizzo. Artù n°69
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In forma Veritas Parola di Georg Riedel di Theo Smith
Ancora una volta Georg Riedel insiste sulla necessità di “abbinare” il vino Un incontro con il celebre imprenditore alla giusta forma del bicchiere. Per apaustriaco della cristalleria mette in prezzarlo nel modo dovuto, certo, ma evidenza l’importanza del contenitore anche per fare piazza pulita di luoghi per una degustazione corretta, ap- comuni datati e ormai superati dal propriata e, soprattutto, godibile. tempo e dall’evoluzione del mondo produttivo vitivinicolo. Georg, patron della cristalleria di Kufstein, in Austria, alla decima generazione nella guida dell’azienda di famiglia (ma ora, con il figlio Maximilian, siamo già all’undicesima) ha scelto Milano per il suo ultimo workshop, svoltosi al Replay The Stage, il ristorante glamour aperto recentemente in zona Corso Como. Dopo aver stappato una bottiglia di Pinot Nero 2012 del produttore altoatesino Franz Haas, lo ha personalmente versato da un decanter di eccezione (il Boa) in tre differenti calici da vino rosso, consentendo di verificare concretamente che – pur trattandosi dello stesso vino, le percezioni sono molto differenti, al punto tale di farli sembrare – anche al degustatore più esperto – vini differenti. I bicchieri da vino rosso, appartenenti alla linea Veritas, sono fondamentali per la com-
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prensione di un vino: non a caso la filosofia produttiva di casa Riedel è da decenni concentrata sulla progettazione e costruzione di calici e contenitori (come la serie incredibile di decanter immessi periodicamente in catalogo) sempre più perfezionati e destinati a esaltare i liquidi che contengono. Nel caso specifico, Riedel ha voluto anche abbinare al vino proposto in degustazione un menù particolare, ad opera dello chef Omar Allievi, che ha riconfermato la sua abilità creativa, confezionando un menù leggerissimo e particolarmente intrigante, perfettamente sintonizzato con il Pinot proposto. Il risultato dell’incontro, auspicabilmente destinato ad essere replicato in futuro, ha dunque confermato che “in vino veritas” è un motto decisamente attuale. I tre calici da vino rosso utilizzati (new world shiraz, old world shiraz, old world pinot noir) hanno rivelato attitudini differenti nell’ospitare lo stesso vino esaltandone o deprimendone le caratteristiche. Un esercizio molto utile e produttivo, destinato a creare discussione, dibattito, confronti: per arrivare, poi, ad effettuare delle scelte sensate e frutto di esperienza oggettiva.
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Veuve Clicquot, le cantine patrimonio Unesco di Elisa Facchetti Il 5 luglio 2015 la Commissione per il Patrimonio Mondiale ha annunciato la sua decisione di inserire i vigneti, le maison e le cantine della regione della Champagne nella lista dei siti che fanno parte del Patrimonio Mondiale Unesco. Di cui oggi fanno parte anche le cantine di gesso della maison Veuve Clicquot. Un tuffo nella storia passata ci permette di viaggiare nel tempo e di soffermarci nel momento in cui la Maison Veuve Clicquot Ponsardin acquistava, nel 1909, alcune cantine di gesso alla periferia della città di Reims. La costanza della temperatura e dei livelli di umidità delle cantine, nonché il silenzio assoluto, le hanno rese il luogo ideale per la conservazione degli Cham-
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pagne della Maison. E oggi, come allora, tali caratteristiche non sono passate inosservate, tanto che queste cave sotterranee figurano da luglio 2015 fra i tre nuovi siti della lista del Patrimonio Mondiale Unesco scavate sotto al Butte Saint-Nicaise e luogo ideale, per l’ambiente naturalmente presente, per l’invecchiamento dello Champagne. Ma non solo. Le cave testimoniano anche le numerose attività umane che le hanno formate nei secoli: per ampliare la capacità di contenimento delle bottiglie, sono state aggiunte alcune volte alle originali cantine medievali di gesso, collegandole tra loro da lunghi e tortuosi cunicoli e formando così una rete sotterranea che copre ad oggi un’area di ben 24 chilometri, la più estesa e densa di tutte le Maison de Champagne di Reims. A 20 metri sotto terra, un mondo quasi lunare, racconta di storie di uomini e di champagne, quello della Maison Veuve Clicquot, un mondo che tramanda le diverse fasi della maturazione dello Champagne e le competenze necessarie
a produrlo, ma non solo: sulle pareti sono esposte varie targhe commemorative, con i nomi dei dipendenti che hanno lavorato per la Maison per almeno 40 anni e il ruolo che ricoprivano. I lavoratori delle cave e i mastri cantinieri hanno lasciato sulle pareti di roccia segni indelebili con incisioni e graffiti, così come i rifugiati civili e militari della Grande Guerra, che hanno affidato alle pareti di gesso i loro pensieri, intrecciando le proprie vite con la storia delle cantine della Maison Veuve Clicquot. Jean-Marc Gallot, Presidente di Veuve Clicquot, desidera congratularsi con tutte le persone coinvolte in questo traguardo riconoscendo la responsabilità di Veuve Clicquot per il mantenimento e la valorizzazione delle sue cantine di gesso, oggi dichiarate Patrimonio Mondiale Unesco. Alle sue parole si uniscono anche quelle di Frédéric Dufour, Presidente della Maison Ruinart, le cui cantine sono entrate a far parte della prestigiosa lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco nella categoria “Paesaggi Culturali”.
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di Alberto P. Schieppati Nel cuore di Parigi, al Plaza Athénée della Dorchester Collection, il cuoco leggendario, l’imprenditore lungimirante, lo chef che tutti vorrebbero conoscere, ci ha presentato il suo eccezionale menù Jardin. Una apoteosi di prodotti naturali e sani, all’insegna della trilogia pesce-legumi-cereali che vuole rivoluzionare l’alta cucina del mondo che verrà. Alain Ducasse, un nome leggendario, che ispira sentimenti “trasversali”: rispetto, curiosità, desiderio di approfondirne la conoscenza, ma soprattutto, di gustarne la grande cucina, per capire fino in fondo l’unicità di un “pensiero” che è insieme gustativo, imprenditoriale, culturale, filosofico (ci si passi il termine). Artù è andato a Parigi, al Plaza Athénée, alla fine di maggio, per “testare” da vicino la sua complessa idea culinaria, per poter esprimere a ragion veduta - senza le tante prevenzioni di cui spesso si è inconsapevolmente vittime - un’opinione
concreta sulla straordinaria linea di cucina dello chef più stellato al mondo (diciannove stelle Michelin per 27 fra ristoranti, hotel, bistrot, fra Parigi, Doha, Osaka, New York, Montecarlo, Castiglion della Pescaia). Nello splendido salone del Cour Jardin (due stelle Michelin, a poco più di un anno dall’apertura) si svolge con solennità (resa relativamente informale dalla altissima professionalità del personale di sala) la “trilogia” di Alain Ducasse, che si gioca tutta sul trinomio pesce-legumi- cereali, una dichiarazione di intenti (seguita dai fatti) molto precisa: è necessario, sostiene Ducasse, nutrirsi in modo più sano, rispettando il pianeta (e qui viene alla mente il leitmotiv di Expo 2015). “C’è un imperativo assoluto che dobbiamo rispettare, dice lo chef: andare verso un’alimentazione in accordo con la natura, più sana, migliore per la salute e più rispettosa”. Perché la cucina “si evolve riflettendo i cambiamenti del mondo: sostanzialmente, è una manifestazione dell’art de vivre francese, ovvero avere la capacità di mantenere viva la tradizione e, nello stesso tempo, evitare che si fossilizzi”. Quando si varca la soglia di Avenue Montaigne 25, ci si trova nel gioiello della Dorchester Collection, recentemente ristrutturato all’insegna di un gusto ben caratterizzato, che denota un legame forte e inscindibile con l’haute couture che contraddistingue Artù n°69
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la Parigi più à la page. Qui, in quello che è stato definito il Palace du demain, si svolge il rito della grande cucina di Alain Ducasse au Plaza Athénée: merito del grande chef ma anche dei componenti del suo staff, i suoi uomini, le sue donne. Non ci sarebbe forza in una grande cucina senza le individualità che, in un certo senso, hanno la stessa importanza delle materie prime, frutto di una selezione rigorosa. “La natura fornisce la materia prima essenziale e lo chef deve saper esaltare il sapore originario dei prodotti”, sostiene Ducasse. L’importante è che i gusti autentici degli ingredienti e i profumi originali delle materie prime si esprimano con forza e delicatezza: facile a dirsi, complesso a realizzarsi. L’esperienza parigina ha confermato la straordinaria equazione esistente tra “valore e profondità delle persone” e “autenticità e naturalità della materia”: una corrispondenza indispensabile, che si è rivelata perfetta nel menù Jardin approntato per l’occasione dalla brigata di cucina più statutaria al mondo: Romain Meder, executive chef, Thomas Croizé, chef patissier, Denis Courtiade, direttore del ristorante, Gérard Margeon, chef sommelier executive, Laurent Roucayrol, chef sommelier. “L’accueil è un’alchimia”: e la squadra presente in sala sa organizzare questa magia, con solle-
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citudine, discrezione, pochi gesti essenziali e le parole necessarie. Un gruppo di lavoro straordinario, che pensa, produce e serve nel modo più rispettoso, studiando le materie prime, lavorandole con sapienza e delicatezza, proponendole alla clientela gourmet (tanti gli orientali presenti nella sala del Cour Jardin) con passione, competenza, precisione. Ci piace ricordare anche alcuni nomi di chi, in sala, contribuisce alla riuscita di quella che assomiglia a una piece teatrale di alto profilo: Bendjeddah Boubakar, Cecile Gaillard, Claire Sonnet e altri professionisti di cui non ricordo il nome ma che rammento per la loro bravura nell’accoglienza e nel servizio. I piatti, proposti in successione cadenzata e rispettosa dei tempi dei commensali, sono stati memorabili: Langoustines bretonnes, caviar doré, nage réduite; Lentilles vertes du Puy et caviar, delicate gelée; Quinoa cultivé en Anjou, morilles brunes e blondes, asperges vert; Homard bleu du Cotentin, pommes de mer au four; Rouget de l’Ile d’Yeu en écailles, jus civet lié au foie, tian; Sole des Courreaux de l’Ile de Groix, févettes et petits poi primeurs. Per concludere: Fraises de carpentras au naturel, fromage blanc fermier; Chocolat et café de notre manufacture, sarrasin torrefié. Per gli abbinamenti, nel caso specifico ha fatto la parte del
leone un 2009 Champagne Deutz Rosè, un formidabile 2012 Chateauneuf du Pape, Les Arpents des Contrebandiers, Mas Saint Louis, di Michel Geniest, un Madeira 10 anni Sercial Boal Barbeito. Una sequenza magistrale, che abbiamo voluto mantenere in lingua francese, a significare la musicalità delle definizioni, che denotano l’attenzione all’origine e alle provenienze, lontani dalla presunzione ostentata del km zero ad ogni costo, ma rispettosamente individuabili nella loro geografia. A proposito di km zero, però, dobbiamo dare atto ad Alain Ducasse (e al lungimirante direttore generale del Plaza Athénée, Francois Delahaye) della grande scelta di partenariato esclusivo con una “riserva naturale” come Le Jardin de la Reine a Versailles quale fonte privilegiata di approvvigionamento di legumi, frutta e verdure. “Sans jardiner, pas de cuisinier”, ama sostenere Alain Baraton, responsabile del Grand Parc de Versailles. Inutile dire della freschezza e della assoluta naturalità di questi legumi-verdure-frutta: raccolti al mattino
e pronti per essere serviti a Cour Jardin in giornata. Una filiera cortissima, sorprendente, fantastica, capace di fare “la vera differenza”. La cura per i dettagli, che connota tutta la conduzione del Plaza Athénée, è un valore aggiunto formidabile, che si riscontra anche nella qualità assoluta dei lavori di restauro affrontati nel recente passato. Un’esperienza davvero memorabile, quella al Plaza Athénée, dove si è rivelata ai nostri occhi una supremazia indiscussa. Non tanto quella dell’alta cucina francese su quella italiana (su cui ci sarebbe da discutere anni), ma quella della “vera cucina naturale, libera, affrancata” da pregiudizi e sospetti. “Alimentarsi in modo naturale e sano è diventata una necessità che è ormai tempo di trasferire nell’alta cucina - ci ha detto Ducasse -. Dei prodotti eccezionali si possono esprimere nella loro semplicità, grazie a una tecnica capace di mettersi al servizio delle materie prime. Questa è la cucina che amo, questa è la cucina che propongo al Plaza Athénée”.
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Taste of Etna, novità siciliana di Giovanna Moldenhauer La struttura del Picciolo Etna Golf Resort di Castiglione di Sicilia, ha ospitato Taste of Etna, organizzato da Cronache di Gusto. Gli chef della provincia di Catania, protagonisti dell’evento, hanno proposto un piatto che rappresentasse la loro competenza con gli ingredienti locali provenienti dal contesto unico del Vulcano. L’esordio della manifestazione ha avuto luogo con una cena a quattro mani dove Cristhian Busca, padrone di casa, si è confrontato con Andrea Ribaldone de I due buoi di Alessandria, interpretando rispettivamente la cucina siciliana e quella piemontese. Due piatti in particolare ci hanno colpito: gli “Spaghetti di tonno rosso con bagna cauda di acciughe e crumble di pistacchio” (di Busca), piatto leggero, con profumi di mare e vivace al palato, abbinato alla barbera Monleale 2008 di Walter Massa, e il “Risotto pane burro acciughe e nocciole” (di Ribaldone) che esprimeva l’essenza del Piemonte per le nocciole, le acciughe invece erano esaltate con un vino da vigneti centenari sull’Etna Nero di Sei 2011 di Palmento Santo Spirito. Il giorno successivo Giu-
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seppe Raciti, del ristorante Zash a Riposto, comune tra Catania e Taormina, ha iniziato gli show cooking di Taste of Etna con un “Risotto al rosmarino, limone candito, carpaccio di gambero, capperi”. Il riso sfumato dopo la tostatura con un vino rosato dell’Etna è stato cotto con una bisque di gamberi. La mantecatura è stata fatta con una crema di scorze di limone candite, burro, rosmarino e capperi. A guarnizione un carpaccio di gamberi, fiori di rosmarino edibili, crema di prezzemolo e un filo d’olio Monte Etna Madre Montagna dell’Oleificio Barbera. Il piatto profumato di fiori e limoni, con una bilanciata sapidità nell’assaggio, era abbinato a un Etna rosato Piano dei Daini 2014, da viti centenarie di Nerello Mascalese franche di piede, profumato, di buona freschezza e moderata tannicità. Seguiva Andrea Macca, allievo di Ciccio Sultano del ristorante bistellato Duomo di Ragusa Ibla. Il giovane chef, alla guida del ristorante Donna Carmela di Riposto dal novembre 2013, ha realizzato “I paccheri per ricordare il Vulcano” con ingredienti fortemente legati al territorio.
La base del piatto era una crema di zucca ottenuta da un passaggio in forno a vapore successivamente lavorata sino a ottenere una mousse. I paccheri, dopo la cottura, sono stati unti esternamente e sabbiati con pane grattato aromatizzato al pomodoro. Dopo averli riempiti a metà con crema di ricotta e maggiorana, passati in forno a 250° gradi per pochissimo tempo, è stata completata la farcitura con ragusano grattugiato e porcini passati in padella. Lo chef poi ha disposto sulla crema di zucca cinque paccheri legati con una striscia di porro, sbollentata e tenuta con acqua e ghiaccio per mantenere il colore verde vivo. Un piatto non banale, dove i diversi ingredienti erano ben integrati con un Etna rosso di Pietradolce 2013 da sole uve Nerello Mascalese. La spiccata
mineralità e acidità del vino, ottenuta dal territorio vulcanico di provenienza, dall’affinamento in tonneaux di rovere per tre mesi, bilanciava la dolcezza data dalla ricotta fresca. Il giorno seguente Elia Russo, da due anni executive chef di Villa Neri Resort a Linguaglossa, sull’Etna, ha realizzato un piatto assolutamente poetico nell’impiattamento: “Petto e coscia di quaglia gigante scottata all’aglio di Nubia, insalatina croccante di grano, riduzione al Nerello Mascalese e lamelle di tartufo bianchetto di Palazzolo Acreide”. Il petto e la coscia di quaglia rosolati in padella con l’aglio, bagnati con un fondo bruno e caramello di vino dell’Etna, sono
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stati uniti con grano scottato per circa 10 minuti. Per la presentazione sono stati aggiunti lamelle di tartufo bianco e di aglio di Nubia, petali edibili. In abbinamento è stato proposto un Etna Rosso 2012 Barone di Villagrande di grande equilibrio gustativo con il piatto. Il vino ottenuto da agricoltura biologica, affinato in botti di castagno per un anno, aveva al naso profumi complessi di frutta, fiori, spezie, nell’assaggio era morbido, con tannini presenti non aggressivi, una bella struttura. Saverio Piazza, executive chef del ristorante Timo presso lo Sheraton Hotel di Aci Castello a Catania, ha presentato una ricetta a dire poco estrosa: “Caffettiera di gamberi di Mazara con pomodoro ciliegino fritto su macco di fave”. L’originale
e insolita modalità di cucinare ha previsto l’utilizzo di una caffettiera per esaltare i sapori degli ingredienti che restano tutti concentrati all'interno della stessa. Nella parte in cui si mette solitamente l'acqua Saverio ha messo il brodo, in quella in cui si mette la polvere di caffè ha inserito aromi quali anice stellato, lemongrass, coriandolo. I gamberi sono stati inseriti crudi nella parte da cui di norma esce il caffè, con un tempo di cottura adeguato alla grandezza dei crostacei. Il piatto aveva alla base un tortino di macco di fave secche aromatizzate al finocchietto (ripreso dalla cucina tradizionale siciliana) con
fave fresche e pomodorini confit, ottenuti caramellandoli in padella con sale, zucchero e pepe, decorati dai gamberi. L’assaggio è stato accompagnato da un calice di Nero di Sei 2011 di Palmento di Santo Spirito da uve Nerello Mascalese, con una percentuale di Nerello Cappuccio. Seguiva lo show cooking di Marco Cannizzaro, chef del ristorante Km 0 di Catania, con un’originale reinterpretazione dell’alalonga a beccafico (invece delle classiche sarde) con cipollotto, miele di Zafferana Etnea, pinoli dell'Etna e tarocco di Sant'Alfio. Dopo
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una marinatura in aceto di lampone, una panure di prezzemolo e pangrattato, l’alalonga, tagliata a triangoli, è stata servita con un’insalata di arance condita con miele selvatico e pane nero di Castelvetrano e segale preparati dalla stessa brigata di cucina del ristorante. Un calice di Etna Bianco 2013 Altamora Cusumano da uve Carricante, Catarratto, Minnella accompagnava l’assaggio. Vino dai profumi minerali, frutta a polpa gialla, floreale di gelsomino, erbaceo in bocca aveva freschezza, una buona sapidità e persistenza. Chiudeva gli show cooking il “Polpo alla brace su emulsione di nocciole dell’Etna, gnocchetti di barbabietola rossa al Mielarò, pepe bianco e salsa ai ricci di mare” preparato da Bianca Celano di QQucinaQui, ristorante nel centro di Catania. Gli gnocchi erano ottenuti da una crema di barbabietola fresca con aggiunta di farina e pecorino per raggiungere la giusta consistenza. Dopo la cottura sono stati conditi con una salsa di miele al pepe bianco, un’emulsione ai ricci di mare, polpo cotto a bassa temperatura. Alcune erbe aromatiche decoravano il piatto rappresentato da un originale sottile ceppo di legno. La selezione Chianta 2013 delle cantine di Ciro Biondi, prevalentemente da uve Carricante, con aggiunta di Catarratto e Minnella, è stata proposta in abbinamento. Il vino al naso si è presentato con note minerali, salmastre, accompagnate da frutta e fiori. Nell’assaggio era dinamico, ampio, fresco, dolce e salato al tempo stesso. Agile e opulento era armonico con il piatto. Bianca Celano, chef per passione, come gli altri protagonisti di Taste of Etna, hanno proposto ricette, create per l’evento, interpretate con ingredienti del territorio. Carne, pesce, cacciagione, crostacei sono diventati piatti fantasiosi, profumati, che ci hanno assolutamente conquistato. I vini dell’Etna bianchi, rosati, rossi, espressioni del contesto unico del Vulcano, ne hanno esaltato nell’abbinamento le peculiarità sublimandole.
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Lisbona, alla scoperta di emozioni nuove 28
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di Gualtiero Spotti Difficile immaginare Lisbona come una città per foodies o per appassionati gourmand alla ricerca di emozioni in tavola. Ma qualcosa negli ultimi anni è cambiato, e anche qui si possono trovare mete interessanti alla scoperta di nuovi sapori, da quelli stellati ai più rustici, fino a piccoli stand gastronomici disseminati nel mercato locale dove gustare freschissimi piatti a base di carne o di pesce. Un po’ per la posizione defilata del Portogallo, proteso verso l’Oceano e quindi lontano dal circuito degli eventi e dalla storia gastronomica europea, un po’ per il carattere riservato e poco estroverso della popolazione, solo negli ultimi anni Lisbona ha saputo aprirsi verso l’esterno ad un ritmo sempre più veloce. Al punto che, oggigiorno, non sono pochi i motivi di interesse che possono spingere il turista, così come l’appassionato di buona cucina, a spendere qualche giorno soprattutto nella capitale, che rimane inevitabilmente il fulcro di tutto ciò di interessante che si muove nel panorama lusitano. Con una vivacità che forse, qualche volta, rischia di fare invidia perfino ai cugini confinanti della Spagna. Lisbona ormai da diverse stagioni offre una scelta di ristoranti di ottimo livello, e non manca qualche nome di prestigio, tra i cuochi, che ha saputo farsi valere anche nel corso in eventi internazionali ed è capace di mostrare, al curioso di passaggio, i molteplici lati della cucina locale, svecchiata e riproposta in chiave più contemporanea. Il nome che spicca tra i cucinieri di ultima generazione rimane quello di José Avillez, fresco bistellato (e unico cuoco portoghese ad aver raggiunto la doppia stella), che nel suo ristorante Belcanto rappresenta oggi il miglior esempio di fine dining alla portoghese. Con un passato alla corte di Ferran Adrià e qualche idea d’avanguardia che ancora oggi fa capolino tra i piatti (soprattutto nei giochi d’approccio agli antipasti che escono dalla cucina), in realtà Avillez ha saputo rendere omaggio con sempre maggior forza e intelligenza
alla cucina della sua terra. Sia quella del mare, visto che il cuoco è originario di Cascais, sia quella di terra, con qualche reinterpretazione geniale della cucina più popolare e quasi quotidiana dei portoghesi, iniziata ormai da quasi sette anni, ai tempi del suo passaggio al ristorante Tavares: filetto di baccalà in olio di oliva con uno stufato (guisadinho) di fave e brodo di coriandolo, razza ispirata da un quadro di Jackson Pollock (chissà cosa direbbe Gualtiero Marchesi, visto il suo famoso Dripping di pesce…), maialino con batata, arancia e un’insalata in accompagnamento. Oppure la delicatissima triglia con salsa di fegato, uova vegetali e gnocchi al nero di seppia, e a chiudere la mitica Tangerina, un dolce scenografico e di forma sferica a base di mandarino. Ma non è solo il Belcanto ad offrire uno spaccato della cucina versatile e brillante di Avillez. Dietro l’angolo, a pochi metri si può entrare nel Cantinho di Avillez, un ristorante
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propone pizze di tutto rispetto in una città dove le pizzerie scarseggiano. Un altro nome da tenere ben d’occhio è quello di João Rodrigues, il titolare del ristorante O Feitoria, ospitato all’interno del pentastellato Hotel Altis Belém. Ci troviamo non proprio nel centro città, ma sulle sponde del Tago, nel quartiere periferico di Belém, e vale il viaggio di una ventina di minuti la cucina grandiosa e di stampo internazionale del cuoco possessore di una meritatissima stella Michelin. Non è forse un caso che il ristorante si trovi all’interno di un albergo di design, perché le preparazioni sono realizzate minuziosamente con effetti cromatici ed estetici davvero sorprendenti. Il tutto partendo da ciò che offre il mercato locale, ma arrivando a una costruzione del piatto dove l’equilibrio non viene meno, anche quando si affronta un lungo e impegnativo menu meno degustazione. Il cuoco si diverte a meimpegnati- scolare le carte, a proporre dashi di muvo al momento sciame e wasabi per accompagnare il del conto, ma non me- tonno marinato, a reinventare il classico no interessante. Con un menu Bacalhau a Bras (il ricco e tipico piatto fatto di tapas alla portoghese e piccoli di baccalà passato in padella con uova), piattini da gustare in un ambiente più e a raccontare il mare con la forza informale. Sempre che non vogliate, da espressiva del suo gusto primordiale. buoni italiani, provare la Pizzaria (avete Come accade per i percebes, per le letto bene) Lisboa, dove il cuoco bistellato alghe e per le vongole che vanno ad ar-
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ricchire il riso, reso piacevolmente croccante dalla salicornia grigliata. Fino al tripudio carnivoro offerto con la spalla dell’agnellino da latte unita a un classico chorizo iberico che chiude idealmente il percorso degustativo prima delle dolcezze da fine pasto. Con il gioco intrigante (e contrastante) del ribes e ibisco accompagnato dal gelato di Quark. Basterebbero questi indirizzi a rendere memorabile una sosta a Lisbona, ma si può andare sicuramente oltre. Con due altre soste. La prima al Mercado da Ribeira, vicino
il nome, offre una scelta di diverse tartare (di carne e pesce) sia a pranzo e cena. Si mangia su sgabelli e lunghi tavoli che favoriscono lo scambio di quattro chiacchiere con l’avventore di turno, e la qualità è sempre ottima (complice anche i prodotti dell’attiguo mercato). Sono piatti, o meglio scodelle, per un pasto veloce, informale, da pausa pranzo verrebbe da dire, ma con intuizioni e incroci di gusto tutt’altro che banali. D’altro canto la carne cruda, così come il pesce crudo, diventano in questo caso una straordinaria materia prima sulla quale giocare con gli abbinamenti. Per tutti i gusti, che vanno dagli amanti delle spezie ai seguaci dei toni più dolci e light. Un altro indirizzo nuovo è il Bistrò 4, ospitato all’interno dell’hotel Porto Bay Liberdade. Qui il cuoco d’esperienza João Espirito Santo, stellato, seguendo i dettami di Benoit Sinthon, che opera a Madeira in un altro ristorante della catena Porto alla stazione dei treni di Cais do Sodré. Bay, ha approntato una carta da bistroQui in un grande padiglione che si af- nomia urbana, con ampia scelta di fianca a quello dove ogni giorno si piatti che strizzano l’occhio svolge il mercato del pesce e della un po’ allo street food frutta e verdura, si può scegliere, per gli e un po’ alla cuciacquisti, tra diversi stand gastronomici na d’oltralpe, che, in qualche modo, rappresentano terra di oriappieno il meglio dei prodotti portoghesi, gine di dalle sardine al baccalà, dai prodotti ca- Sinseari ai dolci. E si può anche provare la cucina di numerosi angoli gourmet, alcuni “firmati” da prestigiosi cuochi locali (come Henrique Sa Pessoa e Vitor Matos) oppure semplicemente a tema, come accade per il curioso Tartar-ia, un locale che, come dice bene
thon. Ecco quindi le Croquettes, il Paté maison, il confit di guancialino, e qualche esotismo come il cous-cous con i gamberi. Per una cucina divertente e disimpegnata, ma realizzata con grande cura nell’ambiente rilassato e internazionale di un grande albergo appena nato. www.belcanto.pt www.restaurantefeitoria.com www.cm-lisboa.pt www.portobay.com www.altishotels.com
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Fulvio Siccardi L’approccio piemontese 32
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di protagonismo, ce lo rendono simpatico, direi controtendenza rispetto al “mood” imperante. Ma, se Fulvio è tendenzialmente persona riservata, quando è in cucina si scatena. Letteralmente. E bene ha fatto l’imprenditore di essenze e profumi Roberto Martone a sceglierlo per la guida della ristorazione del suo Magna Pars Suites Hotel, un luogo di ospitalità alta e raffinata nel cuore di Porta Genova, a Milano. Nato a Torino nel 1969, Fulvio Siccardi è cresciuto in un contesto ristorativo di alto profilo: dopo la formazione alla scuola alberghiera nella città natale, Fulvio ha fatto esperienza dai fratelli Ferretto, al Cascinale Nuovo di Isola d’Asti, una realtà di prim’ordine della quale abbiamo avuto modo in passato di scrivere non poco. Dopo Asti, Alba, con l’Osteria dell’Arco e poi Costigliole di Alberto P. Schieppati Saluzzo con il Castello Rosso che, grazie a lui, visse una stagione di Già stellato Michelin nelle Langhe, lo grande lustro enogastronomico. Nel chef torinese propone a Milano la 2002 lo troviamo alle Clivie di Piobesi sua cucina di estro e passione, avvalo- d’Alba, reso famoso per le cronache rata da una conoscenza profonda delle “gastrogourmet” dalla presenza in brimaterie prime e del loro valore. Da gata di Carlo Cracco, già allora genio oltre due anni è attivo al Magna Pars in divenire. E li arrivò la prima stella Suites, nel cui ristorante Da Noi IN, Michelin, poi portata nel ristorante succon cucina a vista, realizza piatti evo- cessivo, il Conti Roero di Monticello cativi di territorio, manualità, sapori. d’Alba. Poi, inaspettata, la pausa di riflessione: consulenze importanti, geLa “piemontesità” di Fulvio Siccardi stione di eventi, banchetti di alto livello. salta subito all’occhio esperto di chi, Ma il “bisogno” di un ristorante da gedi chef, ne conosce parecchi. La sua stire in autonomia, con il ruolo di exeessenzialità, la non invasività, insieme cutive che gli compete, era troppo alla chiara lontananza da ogni forma forte, al punto di ritrovare Fulvio a Mi-
Qui sopra: Pianeti vegetali - zafferano toscano (gnocchi di patate e verdure a forma cilindrica su crema di zafferano). Nella pagina a lato: il ristorante Da Noi IN.
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Qui sopra: Uovo in gabbia, crema di latte, Grana Padano, tartufo bianco e nero.
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lano, nel centro del quartiere della moda, quella “zona Tortona” diventata un riferimento per eventi di ogni genere. Fulvio, alieno da smanie di visibilità forzata, ha portato qui la sua cucina, in una apoteosi di gusto, sapori, materie prime di sorprendente impatto una volta trasformate in piatto. Il menu di Da Noi IN (un nome ampolloso, difficilmente memorizzabile, che suggerisco di trasformare in Fulvio Siccardi Restaurant, di maggiore impatto e riso-
nanza: o forse l’idea di intitolarlo allo chef è troppo impegnativo per la proprietà, che preferisce evitare personalismi?) è ricco e articolato. Suggeriamo di iniziare con un classico di Fulvio, inserito in carta nel menu, “Moderno essenziale”: il sorprendente uovo in gabbia con crema di latte, Grana Padano, tartufo bianco e nero (vedi foto), per procedere con agnolotti bianchi di anatra, fave, piselli, gamberi rossi, a cui far seguire un risotto Carnaroli, carciofi, crescenza, bottarga di tonno e limone. Piatti che esprimono la competenza e l’entusiasmo dello chef, così come il crudo di ricciola, brunoise di verdure, Grana Padano liquido, perlage di tartufo, un piatto indimenticabile. La carta del ristorante del Magna Pars è intelligentemente ripartita in sezioni: si parte con la proposta Business che, per il pranzo propone due portate (per esempio, fra altri tre piatti, spaghetti al volo Verrigni, pomodoro, basilico, burrata più un dessert a scelta) per 17,00 €. Si continua con Healthy,
con patate, calamari, seppie, prezzemolo; le capesante scottate, asparagi, funghi, porto ristretto; il maialino alla birra, crocchette di melanzane, yogurt; il doppio agnello, erbe aromatiche, verdure ripiene. Una serie di voci che, da sole, invogliano all’esperienza gastronomica. L’altro menu, Classico italiano, lascia trasparire l’anima piemontese della linea di cucina di Siccardi e regala grandi emozioni con la doppia carne cruda battuta a coltello, il vitello cotto rosa, salsa tonnata, frutto del cappero; i tagliolini al coltello, verdure stagionali, basilico; i tagliolini con ragù di vitello e salsiccia di Bra, il vitello da latte alla milanese, patate al forno. Un menu, come si diceva, intonato sulle note di una adesione evoluta al territorio (piemontese ma non solo), che stupisce per nettezza e pulizia dei sapori, così come tutta la linea di cucina di Fulvio Siccardi, chef riservato e schivo ma davvero strabiliante: anche quando vi proporrà il suo “menu a sorpresa” di 5 o 7 portate, che ancora ci manca. Qui sotto: Crudo di ricciola, brunoise di verdure, Grana Padano liquido e perlage di tartufo nero.
menu salutistico venduto a 20,00 €, da cui scegliere fra tartare di tonno, soncino, cruditè di verdure, Grana Padano, olio evo; bresaola, rucola, cruditè di verdure; salmone alla plancia, quinoa, verdure, emulsione allo zenzero; centrifuga o spremuta d’arancia (20,00 €). Ma la forza vera e dirompente della cucina si rivela nelle due proposte centrali del menu: il “Moderno essenziale” di cui abbiamo in parte già detto e il “Classico italiano”: il primo comprende, fra gli altri piatti di autentica modernità come il raviolo verde 5 crostacei, pomodorino fresco, olio di basilico, la crema di fagiolo tondino del Tavo (arriva da Penne, in provincia di Pescara, dove 15 agricoltori coltivano questa particolare tipologia di legume) Artù n°69
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Antica Corte Pallavicina, il premio va ad Acurio 36
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di Alberto P. Schieppati Nel Relais di Massimo Spigaroli, a Polesine Parmense, si svolge da anni un rito che è insieme, culturale ed edonistico. Premiati lo chef peruviano Gaston Acurio, Edoardo Raspelli e Franco Maria Ricci. La famiglia Spigaroli, da sempre impegnata sul fronte dell’ospitalità di alto livello, ha creato
un evento memorabile, all’insegna di gusto, convivialità e solidarietà. E della riproposta di un’antica razza suina, il maialino nero di Parma, coraggiosamente recuperata da Spigaroli negli ultimi anni. Forse era la giornata più calda dell’anno, il sette luglio scorso, con la colonnina di mercurio verso i 40 gradi e l’umidità oltre il 90%. Gli argini del Po restituivano al territorio il calore acquatico del fiume, che si diffondeva nell’aria afosa, rendendo l’atmosfera – seppure climaticamente difficile – a dir poco affascinante e (si
può dire senza turbare l’animo dei lettori razionalisti e tecnologici?) quasi magica. D’altronde, la Pianura Padana è questo. Nebbia d’inverno, gran calura d’estate. Prendere o lasciare. Arrivando all’evento, mi viene incontro Massimo Spigaroli, il grande chef che – insieme al fratello Luciano e a tutta la famiglia – ha creato e consolidato negli anni questa oasi di ospitalità raffinata, in cui l’alta qualità dell’offerta è commisurata allo stile e alla professionalità di chi ci lavora. “Ragazzi, che caldo pazzesco!” – dico. “Basta vestirsi di bianco…” risponde Massimo Nella pagina a lato: Massimo Spigaroli indicando con un lento gesto della mano e Gaston Acurio. Artù n°69
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la casacca da chef che indossa, con la consueta naturalezza, come se fosse la divisa della sua esistenza. Ma in questo luogo speciale, direi della memoria, ristrutturato magistralmente dalla famiglia e riportato a una contemporaneità “necessaria”, senza fronzoli formalistici né finto lusso ostentato, il caldo è del tutto secondario. Anzi, è ben accetto e accomuna tutti in una sorta di rito collettivo, godurioso e assoluto. Il premio dell’Antica Corte, ormai giunto alla decima edizione, ideato e fortemente sostenuto dai fratelli Massimo e Luciano Spigaroli, si è svolto alla grande, a dispetto della calura, con oltre trecento persone che hanno onorato con la loro presenza l’appuntamento, dai notevoli risvolti culturali e, quindi, gastronomici. La premiazione, condotta da Alfredo Antonaros, giornalista e scrittore
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di rara sensibilità, ha visto nomi di spicco. Franco Maria Ricci, l’editore storico di una delle più belle riviste italiane, che ha inaugurato il suo incredibile “labirinto” a Fontanellato lo scorso mese di maggio, Edoardo Raspelli, il celebre critico gastronomico autore del format tv Mela Verde, Giuliano Molossi, direttore della prestigiosa Gazzetta di Parma. E poi lui, il protagonista della serata, il cuoco peruviano Gaston Acurio, interprete di una grande cucina: a lui il riconoscimento più importante, ben sintetizzato dalla motivazione espressa da Massimo, Luciano, Antonia e Benedetta Spigaroli: “Per avere impresso una visione nuova della cucina nel suo paese, grazie all’immenso lavoro di ricerca svolto in questi anni”. E di ricerca, Gaston ne ha davvero fatta tanta, se pensiamo che il Premio Nobel per la letteratura (nel 2010) Mario Vargas Llosa ha detto: “Viviamo in un paese con tanti limiti e difetti: ma tra le mani di questo signore, la nostra cucina diventa una delle più ricche del mondo. Nessuno ha fatto così tanto per il Perù come Gaston Acurio”. Lo chef, classe 1967, da quasi vent’anni cerca di dotare di spina dorsale un paese come il Perù, slegato nelle sue variopinte tradizioni geo-gastronomiche “Abbiamo il rosso del peperoncino rocoto a sud, il giallo dell’ajì amarillo a Lima, il verde del coriandolo a nord di Cuzco” spiega lo stesso Acurio. Il suo minuzioso lavoro di codifica ha inizio nei primi anni Novanta, quando il ragazzo abbandona gli studi di giurisprudenza all’Università di Lima per passare alle
casseruole della scuola di formazione Cordon Bleu di Parigi. Acquisita l’ortodossia, torna a casa con la futura sposa tedesca Astrid e dà vita a “Astrid y Gaston”, la prima di una lunga serie di insegne di “cocina peruana”. “All’inizio facevamo cucina classica francese, eravamo sempre pieni, ma che senso poteva avere?” Nessuno. Di qui la repentina svolta verso l’autoctono: fare leva sull’infinita biodiversità di un paese che vanta un’ampia vista oceano da altissime terrazze andine, sprofondate negli umidi anfratti amazzonici. È così che Gaston Acurio illustra i 25 modi con cui si possono fare gli anticuchos, cataloga centinaia di specie di patate diverse (secondo alcuni, più di quattromila!), studia il ceviche, simbolo nazionale del Perù, per scombinarlo in sette maniere diverse, dal classico con ippoglosso, mais e patata dolce alle sterzate fusion, consapevole dell’eredità nikkei, imposta dalle grande ondata migratoria giapponese di inizio Novecento. Il premio andato a Gaston e agli altri prescelti dalla giuria è fortemente legato al territorio, inteso nella sua dimensione di rigore nella continuità e nel rispetto delle tradizioni. Ai premiati, infatti, vanno altrettanti maialini di razza nera (il suino di Parma, razza riscoperta da Spigaroli e reintrodotta nelle strategie di allevamento) i quali, una volta cresciuti e allevati a dovere nei poderi dell’Antica Corte, saranno i protagonisti di successive lavorazioni destinate a un consumo gourmet. La razza del suino nero è stata letteralmente recuperata dall’oblio da parte di Massimo Spigaroli, con ostinazione e
lungimiranza: la sua passione per questa razza nasce una quindicina di anni fa, in occasione delle celebrazioni per i 100 anni dalla morte di Verdi, quando “pensai che fosse necessario riproporre in un menù gli stessi sapori dei salumi che il nostro bisnonno faceva per il Maestro”. Ma per poter realizzare questo sogno gustativo, ci voleva il maialino nero, ormai scomparso e soppiantato dalla razza Large White. “Dopo molti tentativi, sono riuscito a recuperare da un contadino dell’Appennino tosco-emiliano qualche soggetto scuro. Con l’aiuto dell’Università di Parma abbiamo condotto una meticiolosa selezione dei capi che ci ha restituito il vero maiale nero di Parma, famoso fin dai tempi dell’Impero romano”. Oggi c’è addirittura un consorzio di tutela che garantisce con un disciplinare la serietà degli allevamenti e la qualità delle lavorazioni. La serata del premio Antica Corte Pallavicina è poi proseguita con una grande festa, a cui hanno partecipato molti personaggi fra giornalisti, chef, opinion leader. Fra gli altri, abbiamo visto degustare strabilianti culatelli ed eccellenti strolghini, giustamente incuranti del caldo, Gualtiero Marchesi, Luciano Tona, Enzo Malanca, Massimiliano Cardone, Luigi Franchi, Rocco Lettieri, Marino Marini, Elio Ghisalberti, Luca Govoni oltre a Edoardo Raspelli, Alfredo Antonaros e ai premiati. Un plauso va a Massimo e Luciano Spigaroli per avere condotto la grande festa con il consueto stile e la tradizionale signorilità, dimostrata anche nella raccolta di contributi spontanei destinati a sostenere il progetto di tutela (voluto dalla Fondazione Slow Food) denominato “10.000 orti in Africa”. Un altro riconoscimento va alla brigata del-
l’Antica Corte e a tutto lo staff del ristorante e del relais, che hanno infaticabilmente coccolato il grande pubblico con attenzioni degne di una grande e professionale ospitalità. (Le foto del servizio sono di Canio Romaniello)
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La “cucina evolutiva” di Jaime Pesaque di Elisa Facchetti Al Pacifico, primo esempio in Italia di alta ristorazione peruviana, le influenze asiatiche si intrecciano senza eccessi con i piatti tipici peruviani, reinterpretati con il guizzo di chi, nel vasto ed eterogeneo panorama milanese dedicato alla ristorazione, ha voluto imporsi con una cucina del tutto nuova e inedita. Parlare di alta cucina è ormai all’ordine del giorno, anche se in verità non è poi una definizione così proverbiale come dovrebbe essere. Di buoni esempi ce ne sono tanti, di chef che lavorano duramente senza per questo aspettarsi tappeti rossi, luci puntate e tanta cipria in faccia. Ma ancora meno banale è parlare di alta cucina peruviana. Milano accoglie così l’ennesima novità, aperta come sempre a ospitare una nuova
idea di cucina. In Via della Moscova, in zona Brera, apre Pacifico, inedito ristorante impostato e diretto da Jaime Pesaque, chef peruviano considerato uno dei migliori al mondo. La sua cucina è evoluzione, o meglio definisce il suo lavoro “cucina evolutiva” sempre alla ricerca di ispirazione e nuove tecniche, inseguendo le stagioni e la ric-
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chezza gastronomica del proprio paese, il Perù. L’esperienza in qualità di chef executive al ristorante Mayata di Lima, lo ha portato a combinare tecniche culinarie contemporanee con materie prime freschissime e spezie ricercate, trasformando così semplici piatti in creazioni sofisticate. Head chef al Suviche (a Miami), a Nuna (Punta del Este) e
al ristoante Psicoteket (Oslo), Pacifico rappresenta l’ultima creazione e il primo ristorante peruviano gastronomico in Italia. Così lo chef Jaime Pesaque definisce la sua cucina peruviana-asia-
revoli micro-clima compresi nel suo territorio. Pacifico è un'espressione coerente di tutto questo, una piccola ambasciata della cultura e dei sapori peruviani con influenze asiatiche”. Composto da tre diverse zone - Pisco Bar, ristorante e lounge privata - il locale risulta essere molto curato nel design, uno spazio raccolto ed elegante, caratterizzato da una cucina “in divenire” che sarà interpretata di volta in volta dai migliori chef formati da Jaime Pesaque. Fresca, varia, un po’ piccante, la cucina peruviana è un mix di sapori e ingredienti che rendono i suoi piatti tica: “Il Perù ha avuto influenze asiatiche inaspettati: c’è il pesce delle coste per oltre 500 anni. Queste influenze del Pacifico, le patate (più di 4000 le lo rendono un paese con grandi ric- varietà coltivate) e il mais delle Ande, chezze gastronomiche e varietà di in- frutti esotici ed erbe sconosciute racgredienti, anche grazie alla costa, alle colte nella foresta Amazzonica. E natumontagne, alla giungla e agli innume- ralmente il ceviche, pesce crudo lasciato “cuocere” nel succo di limone o agrumi con abbondate cipolla rossa e aji, il peperoncino piccante locale, pepe e un pizzico di sale. Al Paci-
fico la ricette originale viene nobilitata dalla cura dello chef, diventando così “Ceviche allo stato dell’arte”, piatto simbolo del ristorante. Qui vengono proposte varie forme di ceviche: puro con branzino e latte di tigre (un composto di aglio, pepe, sedano e zenzero), misto con polpo, capesante, gamberi accompagnati da rocoto (una sorta di peperoncino locale) e coriandolo fino ad arrivare a una versione vegetariana con quinoa, asparagi, pomodorini e patate dolci. I “tiradito rivisitati” sono invece una variante dei classici “tiradito”, ovvero un carpaccio sottilissimo di pesce crudo, rivisitati con contaminazioni asiatiche e mediterranee. Con uno sguardo rivolto alla tradizione asiatica, Jaime Pesaque non poteva non contemplare nel menu i famosi “dim sum”, che da Pacifico si trasformano in “dumplings” accompagnati da salse di ispirazione peruviana. Infine è presente in menu la parte dedicata alle specialità tra cui spicca la causa, bocconcini di tonno crudo con patate schiacciate, ajì amarillo, il rocoto, purè di avocado con un pizzico di bottarga. Anche i cocktails meritano una menzione speciale. Da provare il famoso Pisco Sour, composto da Pisco - un’ac-
quavite ricavata dalla distillazione di vino bianco e rosato, bevanda nazionale del Perù – succo di lime, chiaro d’uovo e Amargo, bitter originale peruviano; oppure il Classic Chilcano, preparato con Pisco, succo di lime, Ginger Ale e Amargo e tanti altri cocktails ispirati alla tradizione peruviana, oltre ai classici. Parliamo ora di prezzi: il ceviche puro costa 18,00 euro, misto 23,00; i famosi “tiradito” variano dalle 15,00 alle 18,00 euro e si scende di prezzo se si scelgono i dim sum e le “especiales”. Dessert a 8,00 euro.
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Pisani e Negrini, il pensiero di Aimo e Nadia 42
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di Giovanna Moldenhauer
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Entrambi nati nel 1978 in zone completamente diverse, a Caspoggio, in Valmalenco, e a Molfetta, in provincia di Bari, dopo le scuole professionali, le esperienze formative internazionali e non, hanno lavorato per un anno presso la famiglia Santini, al tristellato Pescatore di Canneto sull’Oglio. Un incontro che li ha portati a essere amici nella vita e compagni inseparabili nell’attività lavorativa. Dal 2005, infatti, sono operativi a Il Luogo di Aimo e Nadia dove hanno intrapreso con Stefania Moroni il progetto della nuova generazione del ristorante elaborando una cucina in cui la memoria del gusto italiano è rivista in chiave contemporanea. Un percorso che li ha condotti a essere selezionati tra i “Gran Chef” della Guida Relais & Châteaux, ad avere due stelle Michelin. La passione condivisa per il cibo, una forte empatia fa di loro qualcosa di più di semplici colleghi. “Con Fabio - afferma Alessandro - non ci lavoro soltanto, vivo la mia vita professionale con lui. Si può dire che siamo in simbiosi”. Gli fa eco Fabio. “È vero, posso anche dire che quando non c’è mi manca! Ci divertiamo per i numerosi
interessi che ci accomunano. Il mestiere di chef è per noi una cosa importante. Abbiamo la responsabilità di fare rendere al massimo ogni ingrediente in modo di portarlo a dare un’emozione nella composizione del piatto scelto dal cliente, per trasmettergli i battiti del cuore messi in ogni pietanza”. Una appassionante conversazione durante la scorsa edizione di Identità Golose ne ha messo in luce passione e chiarezza di intenti. “Italia. Non basta? Stupire il mondo con ingredienti italiani”: su questi argomenti gli chef si sono fermati a riflettere, raccontando come la grandezza della cultura gastronomica italiana possa e debba essere motivo d’orgoglio per tutti i giovani cuochi che, con passione e convinzione, devono essere ambasciatori di una nuova identità culinaria italiana. “Ci siamo resi conto che spesso i giovani chef vivono una sorta di senso d’inferiorità verso altre cucine internazionali, quasi si vergognassero del nostro stile - esordisce Negrini -. Noi crediamo fermamente nel patrimonio italiano, fatto di prodotti di eccellenza, tecnica e artigianalità, territorio e creatività. E invitiamo i giovani ad approfondire la conoscenza dei nostri prodotti e a usare sempre ingredienti italiani. Ciò non si- A lato: gli chef Alessandro Negrini gnifica non essere ricettivi rispetto a e Fabio Pisani. Artù n°69
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quanto avviene nel mondo o non usare pepe, cacao o spezie, ma nel piatto finale trasmettere sempre l’identità italiana”. L’importanza e il rispetto dei fornitori è il leitmotiv della discussione. Sono 82 i fornitori di materie prime con cui gli chef si confrontano quotidianamente, alcuni storici scelti da Aimo, altri nuovissimi per lo più italiani a esclusione di qualche importatore di spezie. “È fondamentale - racconta Pisani - essere sempre curiosi, alla ricerca delle eccellenze dei nostri territori. Con i nostri fornitori formiamo una grande squadra, con loro si instaura un rapporto umano di continua relazione e di scambio d’informazioni. Le loro co-
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noscenze ci stimolano a creare nuovi piatti. Il nostro lavoro sugli ingredienti li spinge a cercare di migliorarli ulteriormente”. E all’unisono Negrini e Pisani sostengono l’importanza del rispetto e dell’etica che devono sempre essere alla base del lavoro di tutti. “Per avere alta qualità - proseguono - bisogna pagare il giusto prezzo. Il rispetto dei fornitori passa dal riconoscimento economico del valore del loro lavoro. È anche nostra responsabilità salvaguardare quei prodotti che diversamente andremmo a perdere, che fanno grande il nostro paese”. Il piatto “Torcinello di agnello del Gargano con farina di ceci delle Murge, pralinato di nocciola tonda gentile, fungo essiccato della Valtellina, marasciuolo selvatico e mosto cotto di fichi” è tra le proposte studiate dagli chef in occasione dello scorso congresso di Identità Golose, a Milano. La preparazione del piatto è stata accompagnata dalla dimostrazione di un macellaio pugliese che ha mostrato la particolare la-
vorazione del torcinello, prodotto a base di frattaglie d’agnello, tipico ingrediente della tradizione pugliese trasformato dagli chef in un piatto contemporaneo. Curiosi di capire quanto le regioni d’origine influiscono nella scelta della modalità di preparazione, negli abbinamenti dei diversi ingredienti, domandiamo a Fabio un parere in merito: “Tra di noi ci sono spesso scambi di punti di vista a questo proposito, in cui mettiamo a confronto la nostra cultura gastronomica, le nostre radici”. Nei piatti de Il Luogo si trovano sia ingredienti lombardi, valtellinesi, così come pugliesi. “Il nostro intento condiviso - prosegue - è di dare un gusto unico, fatto di profumi, sapori, consistenze ai nostri piatti”. Il testimone raccolto da Aimo e Nadia nel 2005 ha portato Negrini e Pisani a rivisitare in chiave contemporanea piatti che hanno scandito l’evoluzione della cucina italiana. “Abbiamo preso una filosofia e l’abbiamo fatta nostra - continua Alessandro -. Rinnoviamo la cucina de Il Luogo inse-
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Qui sopra: torcinello di agnello del Gargano con farina di ceci delle Murge, pralinato di nocciola tonda gentile, fungo essiccato della Valtellina, marasciuolo selvatico e mosto cotto di fichi. (ph. Brambilla-Serrani)
rendo nuovi ingredienti, elaborando ricette in cui la memoria gustativa italiana si unisce a un gusto contemporaneo”. Prosegue poi: “In un certo senso i primi ingredienti sono il cuore e il cervello che mettiamo in ogni piatto, dalla sua creazione alla realizzazione”. Durante il periodo formativo e negli anni successivi, gli chef hanno messo a punto un’approfondita conoscenza su diversi sistemi di cottura. “Nella nostra cucina - afferma Fabio - convivono il coccio e
il roner (sistema di cottura sottovuoto in acqua a temperatura controllata). Il primo è perfetto per fagioli e legumi che così mantengono il gusto e la giusta consistenza, l’altro può servire per altri ingredienti tra cui le uova”. Il loro essere in simbiosi li porta a non avere una vera e propria suddivisione dei compiti. “Noi condividiamo le nostre origini - conclude Alessandro - e ci mettiamo l’uno al servizio dell’altro creando così un valore aggiunto unico. La nostra
passione è questo lavoro, a cui dedichiamo molto tempo, impegno, rinunciando spesso a momenti della nostra vita privata. Quello che siamo oggi lo dobbiamo anche alle nostre famiglie che ci sostengono. Siamo orgogliosi di essere chef, di avere due stelle Michelin. Ogni nostro piatto non è solo ricetta, tecnica, ma nasce dalla cura estrema di ogni singolo prodotto che usiamo e di ogni singolo passaggio che porta alla sua composizione”. Artù n°69
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La Refezione di Garbagnate, lontano dalle mode di Alberto P. Schieppati Un bel ristorante, aperto nel 1983, che è stato capace di non invecchiare, grazie alla professionalità dei titolari che hanno scelto la strada del rispetto delle materie prime (e della clientela). Maurizio Galligani, della scuola “toscana”, propone un menù di osservanza stagionale, che sa essere insieme creativo e tradizionale. Garbagnate, ridente paesino alle porte di Milano… O meglio, Garbagnate periferia nord di Milano. O, ancora, Garbagnate quartiere metropolitano del capoluogo lombardo. Sì, questa pare essere la definizione migliore, visto che per arrivare a La Refezione non ci si accorge quasi di essere usciti dalla città, essendone essenzialmente una propaggine, a dieci minuti dalla zona Sempione. Qui ci si viene per vari motivi, ma per noi gourmet lo scopo è
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un altro: raggiungere La Refezione. Ubicato all’interno di un centro sportivo, in mezzo al verde, il ristorante (già stellato Michelin) è una sorta di ibrido positivo. Diverso da tutti gli altri. Non mo-
daiolo né trendy. Non acchiappafamiglie né mangiatoia per banchetti. Non trattoria tipica né osteria con l’acca. Non km zero né di finto territorio. Non velleitario né banale. L’avrete capito: La Refezione è La Refezione. Grazie alla cultura e alla sensibilità del titolare, Maurizio Galligani (degno erede di quella generazione di osti toscani che arrivarono al nord dal Galleno e da Chiesina Uzzanese), affiancato da Giovanna Cantoni (l’anima intellettuale e artistica della gestione che contribuisce all’eccelso binomio operativo), il ristorante - grande spazio, solo otto tavoli è il palcoscenico di una alta rappresentazione di umanità, calore, armonico equilibrio fra silenzio, piacere, movimenti, contemplazione, gusto. Maurizio ha vissuto in prima persona le tante fasi della ristorazione lombarda: la fase pseudo nouvelle cuisine (ma in realtà era tutt’altro), quella dei cuochi che hanno fatto grande la nostra regione (Gualtiero Marchesi, Franco Colombani, Alfredo Valli) e che hanno lasciato impronte indelebili. “Il menù de La Refezione - ci dice Maurizio accanto al grande camino che riscalda anche metaforicamente la sala - non segue le mode: non vogliamo prendere in giro nessuno. Non ci interessano le alchimie forzate, preferiamo offrire materie prime identificabili, stagionali, che sappiano esprimere sapori autentici
nella loro integrità”. Bene, come dichiarazione di intenti ci sta. E i piatti, quando arrivano al tavolo, confermano la assoluta sintonia fra teoria e prassi (come si diceva una volta): meravigliosi i gamberi marinati con crema di radicchio, notevole la tartare di tonno salsa di rucola e pomodorini, memorabile la pappa al pomodoro, mentre gli spaghetti con gamberi cipolla rossa e bottarga di muggine evocano paesaggi gastronomici mediterranei. La proposta dei rigatoni con calamaretti spillo e verdure
fresche merita il viaggio, così come i tortelli farciti con gamberi e ricotta e olio con peperoncino. Fra i secondi, suggeriamo: parmigiana di pesce spada, tartare di orata e branzino con pesto leggero e gazpacho, l’agnello impanato agli aromi con crocchette di melanzane, la tartare di filetto di vitellone piemontese, il coniglio disossato cotto al forno con olive taggiasche e crema di pepe- Agli antipasti Laura Santi, alle pietanze roni, i gamberi avvolti nel lardo e gra(come si chiamano i piatti principali, ovvero le portate, in tinati con misticanza di insalate e Toscana) Matteo Lanzaaceto balsamico tradizionale. nova, ai primi Gisella Pacheco, in sala l’inossidabile e professionale sommelier Roberto Pasquini (un’istituzione: è a La
Refezione da 27 anni!). È loro (e del loro gioco di squadra) il merito di questa cucina essenziale e ricercata, moderna e intelligente, mai tradizionalista nel senso del “fermo e impiallacciato” ma adatta al gourmet e alle famiglie, a chi - in sostanza - vuole trattarsi bene. Senza cedere a quelle mode che, alla lunga, stancano. E con l’opportunità di godere di un’atmosfera unica, in cui respirare il ritmo del tempo e della storia: la ricca biblioteca di Maurizio, consultabile nella sala, contiene titoli unici, dal Carnacina (la bibbia del gourmet) fino alle prime, storiche guide del grande Gino Veronelli. Artù n°69
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Kanova, in Istria la cucina si reinventa di Guido Bernardi È una vera e propria sorpresa questo ristorante proteso sul golfo di Pirano, in un angolo d’incanto dell’Istria, penisola venezianissima che si affaccia sull’Adriatico settentrionale.
Qui sopra: carpaccio di tonno pinne gialle con gelatina di lime e olive essicate. Sotto: guance di manzo istriano boscarino in salsa al vino terrano e asparagi.
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Al Kanova, così si chiama il ristorante, nome non mutuato dallo scultore veneto ma dal vocabolario istriano, dove sta a significare “taverna”, ovvero luogo dove gustare l’antica cucina di questa terra, si può scoprire la tradizione in questo caso reinterpretata e nobilitata grazie a una materia prima scelta con grandissima cura. “Cucinare - dice Zoran Cobanov, giovane chef ˇ del Kanova - è per me un'azione basata su passione e divertimento. Creare e preparare i piatti è un'arte che mi sollecita l'anima e la mente“. Zoran, uno dei giovani chef più promettenti della Croazia, sa bene ciò che vuole: “Voglio che i miei piatti - dice - siano frutto di una articolata ricerca e di una oculata scelta degli ingredienti. Mi piace reinterpretare i prodotti classici della mia terra con le nuove tecniche di cottura in modo da mantenere ed enfatizzarte il loro gusto e qualità originali. È tutto legato al sapore, all'aroma: ogni boccone deve essere vibrante e colmo di aromi e sapori. Per noi cuo-
chi ogni cosa che prepariamo è unica e il frutto del nostro lavoro diventa noi stessi“. Naturalmente questo giovane chef ha trovato in Istria il suo giardino dell'eden, prodotti freschissimi che esaltano qualsiasi ricetta: pesce, crostacei, molluschi, carni succulenti, formaggi speciali e unici, un olio di oliva di rara fragranza, vini, tartufi, funghi, asparagi selvatici abbondano ed invogliano a sbizzarrirsi. La cucina, ovviamente, tende al mare, ma c’è anche qualche ottimo piatto di carne, come il Bošcarin istriano, un manzo che stava per estinguersi ed è stato “riportato agli onori della tavola”: la carne è tenerissima e fragrante. Fra i piatti proposti al Kanova citiamo carpaccio di tonno pinne gialle con gelatina di lime e olive essiccate, nuova fritaja istriana con tartufo nero, filetto di orata in salsa al vino malvasia e poi le guance di vitello glassate nel miele e la crema al cioccolato e nougat. Ambiente e servizio sono quelli del Kempinski Adriatic, un cinque stelle che fa parte della più antica catena di al-
Vini prodotti con sapienza
berghi di lusso del mondo. Si cena in una sala tutta vetri, ma con un arredamento classico e durante il periodo estivo, nella bella stagione, si può cenare a lume di candela sulla terrazza, con una splendida vista sul golfo: all’orizzonte c’è Trieste, Capodistria, Pirano, Portorose, le navi e gli yachts all’ancora. E tutto ciò per un prezzo più che ragionevole: intorno ai 70,00 euro.
In Italia si sa poco, ma i vini istriani sono eccellenti e coltivati con passione e antica sapienza. La qualità del vino è completata dalla particolarità del territorio, dal rossore della terra nelle prossimità del mare e dal suo color bianco nel suo entroterra. La complessiva superficie dei vigneti è di 6.151 ettari, il terreno montano piantato a viti occidentale (Buie, Parenzo, Rovigno, Pola) copre 5.839 ettari, quello centrale (Pinguente, Pisino) possiede 209 ettari e quello orientale (Albona) 103 ettari. In Istria vengono prodotti molti vini diversi, ma i tre principali vitigni istriani sono Malvasia, Terrano e Moscato. Malvasia: nella maggior parte dei casi viene prodotta da uva bianca ed esistono ben 30 tipi diversi, molte delle quali si possono assaggiare appunto in Istria. Il colore della malvasia spesso è di tonalità oro e il ventaglio di profumi varia da quello di fiori a quello di frutta. Si abbina perfettamente ai frutti di mare e alla pasta. Terrano: si ottiene da uva nera. Questo vino rosso ha un ricco sapore di frutta e un forte aroma. Si abbina perfettamente al prosciutto istriano e ai piatti di carne e selvaggina. Moscato: si ottiene dall’uva bianca che cresce meglio nella zona di Buie, a pochi minuti di distanza da Umago. Il suo aroma è delicato e fiorito, e il sapore è corposo ed equilibrato. Nella maggior parte dei casi il moscato istriano viene prodotto come vino secco o dolce, e può essere servito anche come vino da dessert. Accanto ai vini di tradizione istriana si stanno affermando sempre più vini estranei alla tradizione: è il caso, fra i bianchi, dello Chardonnay e del Pinot grigio e bianco. Tra i vini rossi, in Istria si è fatto strada il Merlot. Un po’ più raro, ma con la sempre più evidente tendenza a penetrare il mercato, si riscontra il successo del Cabernet Sauvignon e del Cabernet Franc, parente della lodata qualità del Bordeaux.
Qui sotto: carpaccio di manzo istriano boscarino con lenticchie beluga e gelato BloodyMary.
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per il territorio ha saputo unire una rara verve imprenditoriale, è infatti nel cuore di uno dei vigneti di La Morra, storicamente compresi nel firmamento del Barolo. Un vigneto storico, sin da quando, correva l’anno 1880, il “Fantini” mise nero su bianco la prima classificazione dei cru di Barolo, eleggendo il Cerequio al livello più alto di “sceltissimo” o “marcaleone” come d’abitudine dicono i langaroli. Potessero parlare non solo attraverso i loro splendidi vini, queste vigne meravigliose che affondano le radici nel tortoniano puro con esposizione sud, sud-est (sempre per i langaroli, un sorì del mattino), racconterebbero le vicende infinite e tribolate che gli uomini hanno scritto per entrare in loro possesso. L’ambizione della famiglia Chiarlo ha trovato conforto nel 1988 quando Michele riuscì ad acquisirne una fetta consistente e particolarmente significativa perché comprensiva dell’antico borgo che ne porta il nome e del “palas” (la casa padronale, più lussuosa, ultimi padroni gli Averami di Elio Ghisalberti di Genova) che per secoli è stato vissuto Cru Resort, e mai definizione potrebbe da chi di quelle vigne è stato amorevole essere più appropriata. Il Palas Cere- custode. La visione era chiara sin dalquio della famiglia Chiarlo, capitanata l’inizio: quel sito, che prima dell’ultima ancora oggi da Michele che all’amore guerra ospitava non meno di 30-40 per-
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sone, ora inadatto ad ospitare una cantina in versione moderna, avrebbe potuto continuare a prosperare solo attraverso un cambiamento nella destinazione d’uso ma che ne salvaguardasse le caratteristiche architettoniche ed ambientali. Il Cerequio, intesa come vigna, mai e poi mai avrebbe dovuto subire affronti. Tutto sarebbe dovuto avvenire nel pieno rispetto di quel bene primario, assoluto, imperituro. Così è stato, ed ora che il percorso si è compiuto il Palas Cerequio è pronto ad ospitare chi ama essere accolto e coccolato tra le vigne del Barolo per gustarne tutte le sfaccettature, ambientali e paesaggistiche, storiche e culturali, e in primis enologiche e gastronomiche. Una full immersion nella sensorialità, garantita dallo stile di raffinata semplicità messo a punto con lo studio architettonico realizzato da un pool di professionisti di primo piano affiancati da Giancarlo Ferraris, artista di Langa già autore delle etichette di vini di casa Chiarlo. L’obiettivo dichiarato del progetto, gettare un ponte tra “passato e futuro” attraverso il rispetto e la valorizzazione
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degli elementi originali, appare già al momento dell’accoglienza in tutta la sua forza espressiva. Non c’è un reception vera e propria ma un piccolo desk che pare la scrivania di casa, affacciata sul salottino-bar della corte interna dove a dare il benvenuto sono le terre dei nove cru del Barolo che danno il nome ad altrettante suites tutte dotate di area biowellness privata, oltre che naturalmente fornite di bottiglie selezionate del cru corrispettivo. Le quattro che sono state ricavate nel palazzo padronale, le cui fondamenta risalgono al ‘700 (il Palas vero e proprio), conservano gli elementi architettonici e gli arredi del barocco piemontese. Un tuffo nel passato dedicato naturalmente al cru di casa, il Cerequio, quindi ai Cannubi, a Rocche Castiglione, a Villero. Nella zona per così dire futurista,
caratterizzata da uno stile minimal-naturale che valorizza i materiali provenienti dalle zone circostanti (in qualche caso dalle vigne stesse), la dedica è per gli altri cinque mitici cru: Vigna Rionda, Bussia, Rocche Annunziata, Ginestra, Brunate. Dalle grandi finestre strategicamente piazzate a “quadro” in ogni suites non li possono scorgere tutti ma quasi, per un panorama unico e quasi intimorente tanto è maestoso. La storia scritta nei filari, ritti e fieri come i partigiani che in marcia verso la libertà proprio nel borgo di Cerequio sono caduti nell’imboscata delle truppe tedesche (una stele ne ricorda l’eccidio). Da allora Cerequio ha vissuto in pace scrivendo per fortuna solo pagine di epiche storie enologiche. Molte di queste le si possono leggere attraverso la visione - meglio ancora, la degustazione - delle bottiglie storiche conservate nel “Caveau dei cru di Barolo”, spettacolare raccolta di oltre sei mila bottiglie divise in lotti dal 1958 ad oggi. E nell’attiguo “Palas Vertigo” è stata radunata una collezione di oltre 400 etichette disponibili all’assaggio tra verticali ed orizzontali di tutte le grandi vigne del Barolo (anche oltre le nove che danno i nomi alle camere) firmate dalle cantine di riferimento. A sovrintendere questo tesoro “liquido” e tutti i servizi messi a disposizione nel Cru Resort, la famiglia Chiarlo ha chiamato Roberto Stroppiana, sommelier langarolo già con Gualtiero Marchesi all’Albereta e nell’ultimo periodo con Enrico Crippa al Piazza Duomo
di Alba. La perfetta conoscenza del territorio e la competenza in tema di ristorazione (oltre che vino e Barolo in primis, ça va sans dire) sono a disposizione degli ospiti che vogliono regalarsi indimenticabili esperienze enogastronomiche in uno dei territori italiani più riccamente dotati di storia e cultura del “mangiarbere” di qualità. A margine di degustazioni guidate del livello che ci si può immaginare, lo spazio a vista del Caveau ospita periodicamente i grandi cuochi per dimostrazioni pratiche di cucina (per usare un termine tanto modaiolo si dedicano allo show-cooking). Ma per apprezzarla nella sua completezza ed integrità, la cucina va provata direttamente nei luoghi preposti, ovvero nelle trattorie e nei ristoranti dei dintorni, ben 18 stellati Michelin nel raggio di 30 chilometri abbracciando Langhe e Monferrato. Un grande “ristorante diffuso” che non contrasta affatto con l’accoglienza famigliare ed intima del Palas Cerequio. Anzi la enfatizza, rimarcando lo spirito che ha sempre ispirato l’attività nel mondo enologico della famiglia Chiarlo: piedi per terra, valorizzazione di tutte le risorse disponibile sul territorio, nessuna invidia ma apertura, disponibilità e considerazione nei confronti di chi condivide la qualità del lavoro in vigna ed in cantina, sguardo aperto sul mondo. Un’impronta, uno stile, una filosofia, che risalta da sempre nei vini di Michele Chiarlo e che ora si esalta qui, in questo Palas Cerequio che è stato concepito per rivivere le origini donandosi benessere futuro. www.palascerequio.com Artù n°69
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Castiglion del Bosco Lo stile toscano Nel parco della Val d’Orcia, a Montalcino, 2000 ettari di natura e paesaggi rinaFondato da Massimo e Chiara Ferra- scimentali fanno da sfondo a uno dei gamo nel 2003, Castiglion del Bosco resort più esclusivi della Toscana: Roè una delle tenute più grandi e antiche sewood Castiglion del Bosco, 5 stelle del territorio di Montalcino, nonché Lusso, è per antonomasia meta unica tra le aziende fondatrici del Consorzio per vivere un’esperienza indimenticabile. Brunello di Montalcino. Da gennaio Fondato da Massimo e Chiara Ferraga2015 la gestione della tenuta è stata mo nel 2003, - “Era il 2003 quando affidata a Rosewood Hotels & Resorts, fui catturato da questo posto – dichiara diventando così Rosewood Castiglion Massimo -, dal suo splendido isolamento, dai boschi incantati e subito del Bosco, Resort 5 stelle lusso. mi venne l’idea di farne un’oasi di tempo di qualità” - e oggi in gestione a Rosewood Hotels & Resorts, la proprietà vanta 23 suite, che sorgono all’interno del Borgo risalente al 1.100 e 10 Ville con piscina privata a sfioro riscaldata, frutto di un importante restauro curato dall’interior designer Teresa Burgisser Sancristoforo e da Chiara Ferragamo, moglie di Massimo. A circa 500 metri d’altezza, il panorama mozzafiato che si estende dinnanzi al Resort avvolge i sensi regalando preziosi momenti di relax, come quelli che gli ospiti possono trovare nella The Spa at Rosewood Castiglion del Bosco, con i migliori trattamenti firmati La Prairie e di Elisa Facchetti
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i massaggi con oli realizzati in esclusiva per la Spa a base di prodotti naturali del territorio quali lavanda, iris, rosmarino e uva. Per chi ama vivere all’aria aperta il Rosewood Castiglion del Bosco offre anche, oltre a numerose attività, un Golf Club, unico privato in Italia, con 18 buche disseminate in 210 ettari di dolci colline, disegnato dal campione del British Open Tom Weiskopf. E anche per i più piccoli non mancano svariate possibilità di divertimento all’interno del Rose Buds® Children’s Program, il Kids Club, uno spazio dove ogni giorno vengono organizzate attività creative, animate da uno staff qualificato, senza
dimenticare un parco giochi all’aperto con attrezzature e percorsi specifici, corsi e sport, e servizio di baby-sitting. Punta di diamante dell’offerta la ristorazione, espressa attraverso due proposte guidate dall’Executive Chef Enrico Figliuolo, che vanta una lunga collaborazione sotto la guida di Elio Sironi al ristorante dell’hotel Bvlgari di Milano ed esperienze nei ristoranti di Michel Roux e Jöel Robuchon. Il Ristorante Campo del Drago, aperto solo per cena,
propone in un ambiente di rara bellezza un viaggio tra i sapori del cibo toscano, con un tocco di creatività, dove poter godere non solo degli ingredienti di stagione più freschi, ma anche dell’ottima carta dei vini con oltre 750 etichette italiane e internazionali, senza tralasciare una accurata selezione dei rossi toscani. La terrazza esterna, poi, regala meravigliosi scorci scenografici sulle colline verso Montalcino. Più rustico, ma sempre con quella sobria ele-
Tra i vigneti di Castiglion del Bosco Fiore all’occhiello di Castiglion del Bosco è la produzione dei grandi rossi. Qui, dopo aver iniziato l’attività di produttore nel 2003, Massimo Ferragamo ha realizzato il sogno di avere il privilegio di degustare un calice del “suo” Brunello. La gamma principale di Castiglion del Bosco rappresenta le due denominazioni d’ordinanza del territorio, il Brunello di Montalcino Docg, declinato nella versione base e nel pregiato Brunello di Montalcino Cru Campo del Drago, e il Rosso di Montalcino Doc. Ad essi si aggiungono il Brunello Riserva Millecento, prodotto solo in alcune annate, l’Igt Toscana CdBianco, uno Chardonnay 100% confezionato in poche migliaia di bottiglie per gli ospiti della tenuta e un Vin Santo Occhio di Pernice: San Michele. La cantina, capace di contenere oltre 3.000 ettolitri, è una struttura moderna e funzionale su due piani, appoggia-
ta sul fianco della collina e semi nascosta tra lecci e faggi. A vinificazione conclusa i vini iniziano il percorso di affinamento in legno: nella barricaia, parzialmente interrata, trovano posto 750 barriques e botti da 30 hl, uno spettacolo che si può godere dall’alto della sala di degustazione grazie a una piramide di cristallo che si affaccia dentro la barricaia. Il percorso dei vini prosegue con l’affinamento in bottiglia che, a seconda dell’etichetta, varia dai 6 ai 36 mesi prima di arrivare al mercato. A seguire i vari processi l’enologa di Castiglion del Bosco Cecilia Leoneschi che ha sposato la filosofia che anima la tenuta di Castiglion del Bosco mirata alla conservazione e valorizzazione delle singole vigne.
ganza che contraddistingue il Resort, l’Osteria La Canonica accoglie gli ospiti a pranzo o a cena in un ambiente più informale, con proposte della tradizione toscana. Al suo interno ospita la Scuola di Cucina La Canonica – qui si organizzano per gli ospiti piccole classi e lezioni private per imparare direttamente dallo Chef i piatti della tradizione partendo dall’orto e dalla conoscenza delle materie prime - e la Bottega, un negozio di specialità locali e italiane con prodotti tipici e prodotti artigianali, a partire dall’olio di oliva e miele, fino alla pasta artigianale e al vino. Non manca un orto biologico dove vengono coltivate circa duecento varietà di verdura, frutta ed erbe aromatiche. All’interno della proprietà vengono prodotti anche olio di oliva e il miele Castiglion del Bosco. E naturalmente anche il vino: Castiglion del Bosco, con i suoi 2.000 ettari, è una delle tenute più grandi e antiche del territorio di Montalcino e tra le aziende fondatrici del Consorzio Brunello di Montalcino nel 1967 producendo Brunello di Montalcino Docg, declinato nella versione base e nel pregiato Brunello di Montalcino Cru Campo del Drago e il Rosso di Montalcino Doc.
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Allo Splendido, la conferma di Portofino
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di Gualtiero Spotti Lo Splendido di Portofino è un caposaldo dell’hotellerie italiana e senza ombra di dubbio l’albergo di maggior fascino e storia della riviera ligure. Qui sono passati i personaggi più famosi del mondo del cinema e della musica e ancora oggi si rivela un luogo magico dove godere non solo del puro relax ma anche dei piatti tipici della cucina ligure, con un tocco gourmet. Basta sfogliare l’album dei ricordi e delle presenze negli ultimi sessant’anni, oppure vagare per gli spazi comuni dell’hotel e soffermarsi di fronte alle molte istantanee che, in diversi quadri, ritraggono i vip transitati da queste stanze, per accorgersi dell’importanza del luogo. Da Sir Winston Churchill a Ingrid Bergman, da Clark Gable a Humphrey Bogart, da Grace di Monaco a Jean Cocteau, da Alain Delon a Elizabeth Taylor, e negli anni più recenti, tra gli altri, Rod Stewart, George Clooney, Steven Spielberg e Tom Hanks. Tutti hanno scelto lo Splendido per una vacanza o solamente per una sosta di qualche ora. D’altro canto l’edificio, che può contare su una storia più che centenaria, sulla tradizione di una casa mediterranea riservata e accogliente, sull’ineguagliabile colpo d’occhio dell’ingresso della baia di Portofino che si gode dalle sue stanze, e sulla maestosità di una vegetazione lussureggiante di giardini rigogliosi e di una macchia formata da pini marittimi
e cipressi da godere anche solo con una semplice passeggiata verso il centro del paese, è sempre stato un catalizzatore delle attenzione del Bel Mondo. Da trent’anni a questa parte poi, lo Splendido, è diventato una delle proprietà del gruppo di hotel OrientExpress (che da poco ha cambiato nome in Belmond), e ha saputo rinnovarsi profondamente mantenendo l’allure di una dimora patrizia capace di muoversi di pari passo con le esigenze di una clientela moderna sempre alla ricerca di nuovi stimoli. La piccola Spa di un tempo è stata sostituita da una ben più confortevole e intima, all’interno dell’edificio principale e con nuovi servizi per l’ospite. Perfino con un’attenzione particolare per gli amici a quattro zampe, che qui ricevono trattamenti e massaggi speciali, i quali si aggiungono al servizio di dog-sitter, al set cortesia nel momento dell’arrivo in stanza e al pasto gourmet. Gli ospiti invece, mentre il cane si rilassa, pos-
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sono usufruire di una serie di possibilità che li porta a vivere a trecentosessanta gradi l’esperienza di fermarsi a Portofino e di conoscere meglio la costa ligure. Si va dal giro con la barca dell’Hotel, per un’escursione a San Fruttuoso, a Camogli o, ancor più lontano, alle Cinque Terre, oppure la visita (con picnic e degustazione di prodotti) alla vicina azienda agricola Niasca (www.niascaportofino.it), per una sosta tra gli ulivi, con il vino, il pesto, le marmellate, i biscotti e i succhi di frutta naturali a chilometro zero. Sempre che non si decida, invece, di oziare a bordo della magnifica piscina dello Splendido, riscaldata con acqua di mare o, al contrario, di scaldare i muscoli con una partita al campo da tennis in terra rossa. Anche se poi uno dei punti di
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forza qui rimane la solida tradizione culinaria dello Splendido, che, va detto, offre sempre buone garanzie a coloro che vogliono conoscere, magari in chiave più gourmet, la cucina locale. Ormai da qualche lustro alla guida del ristorante dello Splendido c’è il lombardo Corrado Corti, una garanzia e un cuoco d’esperienza che ha saputo offrire qualche spunto più estroso e moderno nella rappresentazione della gastronomia locale, mantenendo solide le basi della tradizione ligure e spingendosi a volte oltre. Qui al ristorante principale, La Terrazza, non mancano certo i classici come il risotto con carciofi di Albenga e cedro candito, le trenette al pesto, il pesce fresco del Tigullio o il minestrone di verdure alla genovese, affiancati però da suggestioni mediterranee come gli spaghetti alla Elizabeth Taylor (con pomodori freschi
San Marzano, Sorrento e Pachino) o il maialino da latte croccante cotto a bassa temperatura e profumato al mirto. Buone sensazioni a tavola che continuano in altre versioni e che si possono vivere anche nella piazzetta di Portofino, al ristorante Chuflay dell’albergo gemello dello Splendido, lo Splendido Mare. Qui, ed è sempre richiesta dai turisti di passaggio, va spesso in scena prima del pasto la scenografica dimostrazione live di come si realizza il pesto alla Ligure, grazie all’ineffabile coppia formata dal cuoco Roberto Villa e dal maître Luca. Ma, viene da dire, è un po’ tutto l’ambiente a caratterizzarsi per la squisita cortesia e per la ricerca della soddisfazione piena da parte del cliente, celebre piazzetta, alle spalle si cela un dedalo di viuzze dove regna la tranquilla pace mediterranea, ambitissima da chi vuole staccare la spina e concedersi del tempo libero. www.belmond.com/hotelsplendido
che non a caso spesso qui è fidelizzato e nel corso degli anni torna con regolarità, quasi si trattasse di vivere in una seconda casa. Forse anche per questa ragione Portofino è così amata. Superato il mondo un po’ roboante che anima quasi quotidianamente la Artù n°69
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Artmenu Factory formula tailor made grazie alla vasta gamma di materiali utilizzati e al servizio completo ed efficiente costruito “su misura”. La storia di Artmenu Factory nasce nei primi anni 80’, quando Mauro Fantini, fondatore e titolare dell’azienda, elaborò una nuova lista menu al fine di renderla più versatile e funzionale, in base alle richieste raccolte dai ristoratori. Da qui inizia uno studio sulla storia di questo strumento fino alla realizzazione di un prodotto curato nell’estetica e adatto alle esigenze del mercato, rispondendo alle nuove direttive igieniche e funzionali prioritarie nella ristorazione moderna. La chiave di lettura per capire il grande passo fatto da Artmenu Factory è senza dubbio il valore che viene conferito al menu, iniziandolo a pieno titolo a puro strumento di comunicazione e promozione, artefice del primordiale contatto tra il ristoratore e il suo cliente. A lui l’arduo compito di essere soppesato tra le mani di un estraneo e di saper raccontare nei migliori dei modi l’anima del luogo, di ogni piatto e dello chef, grazie a presentazioni grafiche, tipologia di scrittura e materiali scelti. La ricerca del particolare diventa quindi da subito la cifra stilistica di questa azienda emiliana che fa della ricerca del dettaglio di Elisa Facchetti e del bello il leit motiv su cui basare Sono più di 30 anni che Artmenu Fac- tutta la sua produzione, in grado di tory produce con cura e passione esprimere in un colpo d’occhio la permenu e carte dei vini posizionandosi sonalità di un locale, di un ristorante o sul mercato quale leader di settore di un albergo: la selezione dei materiali, con prodotti curati in ogni dettaglio, le differenti soluzioni di rilegatura, i colori, gli stili, rappresentano un infinito ventaglio di possibilità al servizio dell’utente finale che in base alle proprie esigenze può richiedere un prodotto “tailor made”, artigianale e italiano. Ed è proprio questa la chiave del successo, come ci spiega Enrica Tirabassi, Responsabile Comunicazione: “Abbiamo colto da subito da parte dei ristoratori l’esigenza di avere un prodotto che rispondesse principalmente a tre caratteristiche: funzionalità, durata e personalizzazione. Questo significa saper creare di volta in volta un prodotto ad hoc per
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ogni specifico contesto, che tenga conto di alcune performance tecniche, come ad esempio la facile intercambiabilità delle impaginazioni interne per l’aggiornamento sia dei piatti che dei prezzi; quindi non solo personalizzato nella grafica e nella struttura ma anche progettato e realizzato con caratteristiche tali che ne garantiscano una elevata durata nel tempo”. Sottovalutare l’importanza di un tale strumento da parte dei ristoratori significa non tener conto di quanto esso incida a livello di comunicazione e promozione del locale, qualsiasi esso sia. Artmenu Factory progetta e personalizza menu, carte dei vini, articoli per l’ospitalità alberghiera e la ristorazione: dall’intramontabile vera pelle, simbolo di eleganza, all’ecopelle, di facile pulizia e disponibile in 50 colori, fino al cartoncino con plastificatura impermeabile, al tessuto e al legno ecologico e trattato per garantirne
un’ottima lavabilità. Vari formati e soluzioni interne consentono sempre intercambiabilità del prodotto e possibilità di sostituzioni, nonché aggiornamenti delle pagine interne. La versatilità e la dinamicità che caratterizzano questi prodotti comportano per la loro realizzazione investimenti in termini di energie, di costi e creatività non indifferenti: “La costante analisi e ricerca volta ad individuare nuove tecnologie e soluzioni - illustra Enrica Tirabassi -, ci consentono di soddisfare qualsiasi tipo di richiesta ci venga rivolta, trovandoci sempre propositivi e senza nessun limite di realizzazione. Questo grande sforzo e impegno economico ci garantisce però la costante disponibilità
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zione grafica e artistica. Anche il settore dell’hotellerie rappresenta un polo magnetico per Artmenu Factory, che ne ha colto tutte le potenzialità al fine di fornire una specifica gamma di prodotti selezionati per soddisfare le richieste degli albergatori non solo in Italia, ma anche all’estero. La reception, la sala conferenze, la suite, ogni spazio all’interno degli hotel ha una propria esigenza comunicativa: la cartella da camera deve essere funzionale ed elegante e deve contenere i servizi e le informazioni proposte dall’albergo, la room service deve essere di consultazione immediata ed illustrare il servizio di ristorazione offerto in camera, così come i cestini gettacarte devono coordinarsi con i tessuti e i colori d’arredo. Nella sala conferenze, a disposizione per riunioni e convention, indispensabili sono i sottomano, utili anche alla reception come appoggio per firme documenti e per contenere brochure e informazioni di vario genere. In linea con la cura per i dettagli e la professionalità che distingue Artmenu Factory, si affianca alla gamma dedicata alla ristorazione e all’hotellerie anche la linea accessori studiata per fornire al ristoratore una serie di articoli indispensabile per rafforzare l’immagine della propria attività: porta conto, porta comanda, il riservato, il segnatavolo, la gamma di “comanda” in carta chimica, l’appendi comanda, i bavaglioli per grandi e piccoli. E anche per il mondo accessori sono disponibili vaste gamme di colori e materiali, potendo così scegliere di coordinarli con gli di una vastissima gamma di materie altri articoli presenti in sala. Nonostante prime che oltretutto per noi devono oggi si siano affacciati sul mercato nusempre essere Italiane e certificate. merosi competitor, la professionalità Non di meno per quanto riguarda il di Artmenu Factory è stata scelta, non comparto produttivo è fondamentale a caso, da nomi eccellenti del mondo avvalersi di maestranze altamente qua- della ristorazione e dell’hotellerie tra lificate e a questo proposito possiamo cui Peck, Bulgari eTrussardi alla Scala orgogliosamente dire che la maggioranza a Milano, Billionaire, Cala di Volpe e dei nostri addetti è con noi da trent’anni Romazzino in Sardegna, il Danieli a Vee la loro professionalità ed esperienza nezia, l’Hotel Parco dei Principi a Roma, sono per noi preziosissimi”. Il servizio lo Swiss Diamond Hotel in Svizzera, l’si completa con la scelta delle varie Hotel Negresco a Nizza, il Caffè Concerto tecniche di personalizzazione quali a Londra solo per citarne alcuni, grazie stampa a caldo, serigrafia, stampa di- non solo alla qualità dei prodotti progitale, al fine di fornire la migliore solu- posti, ma anche, come ama sottolineare
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Enrica Tirabassi “al servizio dedicato svolto dall’ufficio commerciale che, grazie all’opportunità di collaborare in modo diretto con il comparto operativo, è in grado di offrire al cliente una consulenza a 360°, sia in fase di prevendita che di postvendita; questo significa garantire nel tempo la nostra assistenza anche, ad esempio, per le successive integrazioni d’ordine o, nel caso dovessero insorgere problematiche di qualsiasi genere, facendoci sempre trovare disponibili e pronti per il cliente”. Una rete capillare di rivenditori fidelizzati negli anni, così come gli agenti, rappresentano un altro punto di forza dell’azienda emiliana, che garantisce inoltre una consulenza diretta in tutti quei casi in cui sia necessaria un’assistenza mirata. La presenza di Artmenu Factory si sviluppa non solo in Italia, ma anche all’estero, come puntualizza Enrica Tirabassi: “Da vent’anni vantiamo
un’importante presenza sul mercato europeo, tanto da poter affermare che la metà del nostro fatturato deriva da paesi quali Francia, Germania, Olanda e altre nazioni dove, con grande soddisfazione, esportiamo il nostro made in Italy. Le fiere del settore Ho.re.ca sono sicuramente la nostra vetrina sul mondo, partecipiamo infatti a tutte le più importanti manifestazioni italiane ed estere”. Per chi volesse toccare con mano l’artigianalità e la preziosità del lavoro svolto da Artmenu Factory, una realtà in continuo divenire capace di rinnovarsi nel corso degli anni, un nuovo showroom accoglie i clienti per mostrare il meglio della produzione.
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Olio, birra, agnello, caffè Il food non sta a guardare Il panettone di Loison: al via il nuovo contest Sono aperte le iscrizioni per il nuovo contest ideato e organizzato da Loison, in collaborazione con la scuola di Vicenza Dalì Arts: Il Panettone in Tavola. Un concorso professionale fuori dagli schemi a cui sono chiamati a partecipare non abili cake designer, pasticceri o fotografi, ma fumettisti. Con l’unico obiettivo di creare arte. Scopo della sfida è
condo classificato saranno offerte otto lezioni Dalì Arts su un corso di Arti Visive a scelta o sconto equivalente sull’esclusivo corso professionale Comic Academy; al terzo classificato un set professionale di Acquerelli winsor & newton e una tavoletta grafica “Intuos Manga P&T S”. È inoltre previsto un premio speciale all’opera considerata più meritevole da “Loison Pasticceri dal 1938”. Tempistica, modalità, bando di concorso e modulo di partecipazione sono scaricabili dal portale Insolito Panettone e dal sito www.daliarts.net. Saranno ammessi al concorso solo i primi 100 iscritti.
Er Boquerón, arriva la birra con acqua di mare
quello di trasmettere attraverso il disegno a fumetti (comprensivo di balloon) una visione personale del panettone e del suo gusto. A giudicare gli elaborati una giuria composta dal presidente Claudio Villa, autore di fumetti (Dylan Dog, Tex Willer, Capitan America...), dall’autrice Sofia Terzo e dall’Art Director Dalì Arts Alberto Baldisserotto. Termine ultimo per inviare le opere il 13 settembre 2015. Il primo classificato si aggiudicherà un incontro con autore/editore a cui presentare il proprio book, secondo lo stile personale di disegno, tra cui Marvel: Marco Santucci (autore) - Max Brighel (editor); Bonelli: Giuliano Piccininno (autore) - Moreno Burattini (editor); Panini Comics: Alessandro gottardo (autore) - Andrea Plazzi (editor); Manga: Midori Yamane (docente) Elena Zanzi (autrice/editor). Al se-
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In Spagna ha già riscosso notevole successo ed è stata premiata nel 2014 a Bruxelles con due stelle d’oro ITQi per il suo sapore unico e per la qualità. È la nuova Er Boquerón, la birra artigianale spagnola prodotta con acqua di mare: fresca, chiara, non filtrata né pastorizzata, a doppia fermentazione e nel rispetto della legge di purezza tedesca del 1516, composta da solo quattro ingredienti, ovvero acqua di mare, malto d’orzo, lievito e luppolo. L’acqua di mare utilizzata è purissima, prelevata dalle zone più pulite e con miglior flora marina del Mediterraneo e il processo produttivo è
certificato e brevettato dalla Comunità Europea. A distribuirla sul mercato italiano Philarmonica, società fondata nel 2002 e guidata da Guido Folonari che si occupa della selezione e della distribuzione in esclusiva per l’Italia di champagne, vini nazionali e d’importazione e distillati di eccellenza nel canale ho.re.ca. “Da tempo volevamo aggiungere una birra artigianale alla nostra offerta, ma eravamo alla ricerca di qualcosa di nuovo e straordinario: Er Boquerón ci ha immediatamente conquistati e fatto innamorare. È molto di più rispetto a una tradizionale birra artigianale grazie a un ingrediente insolito, divertente e molto mediterraneo… l’acqua di mare! Golosa, gourmet, fresca, Er Boquerón ha tutte le carte in regola per diventare la birra dell’estate italiana 2015!” ha affermato Guido Folonari. Er Boquerón è disponibile in Italia nei migliori ristoranti, bar e rivenditori specializzati nel formato da 33 cl e da 75 cl.
Summer Lamb, agnello gallese protagonista L’estate porta con sé la voglia di stare all’aria aperta, anche per una pranzo o una cena informale. E non c’è niente di meglio di una grigliata in compagnia. A promuovere un nuovo modo di fare il barbecue l’HCC Meat Promotion Wales, l’Ente Gallese
responsabile per la sviluppo e la diffusione delle carni ovine e bovine, che per questa occasione ha lanciato in Italia la campagna estiva Summer Lamb, al fine di destagionalizzare il consumo di agnello gallese d’estate, grazie anche alla creatività di uno chef d’eccezione, Lugi Taglienti, chef stellato e Tre Forchette Gambero Rosso. Due le ricette adatte per il barbecue estivo dedicate all’agnello gallese: “Costoletta di agnello gallese Igp alla brace con asparago bianco, lampone e maggiorana” e “Filetto di sella di agnello gallese Igp alla brace, bietola e cipollotto”. Due proposte facili da replicare per la rapidità con cui questa carne si prepara e si cucina. “L’obiettivo della campagna Summer Lamb è quello di far capire al consumatore italiano che la carne di agnello è leggera, gustosa, altamente digeribile per cui adatta anche come pasto veloce estivo o per un barbecue all’aria aperta - spiega Jeff Martin, responsabile dell’Ente gallese in Italia -. In Galles gli agnelli crescono in totale libertà, su pascoli verdi e incontaminati, e si cibano di erba seguendo l’andamento delle stagioni. Per questo motivo le esportazioni di carne ovina gallese sono più massicce in periodi ben precisi dell’anno, solitamente da luglio a dicembre, quando il momento della crescita è ottimale”. Ciò che rende il Welsh Lamb unico è sicuramente il suo gusto: il sapore naturale, dolce e per nulla forte, è infatti il risultato
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di un’alimentazione naturale composta prevalentemente da erba verde alternata ad erica e a erbe autoctone profumate. L’agnello gallese è inoltre garantito Igp, il marchio di indicazione geografica protetta che assicura la provenienza da aziende agricole garantite e da macelli controllati. “Le ricette dello chef Taglienti sono un esempio di come la carne di agnello gallese sia versatile in cucina - conclude Martin. - Molti consumatori pensano che questo tipo di carne sia difficile da cucinare e che richieda lunghe preparazioni e tempi di cottura. Niente di più sbagliato: la carne ovina si può cuocere alla griglia o in padella per qualche minuto e consumata al naturale è ancora più buona”.
illyshop, a Milano ora anche in Rinascente Continua con grande successo il piacere dell’esperienza illy nei propri flagship store. Dopo Parigi e Londra, la conquista di Milano era già arrivata a marzo, con l’apertura dell’illyshop in Porta Nuova, in piazza Gae Aulenti: 200 mq distribuiti su due piani con oltre 80 posti a sedere in uno stile
che ha lasciato il segno. Tanto che lo stesso concept viene riproposto nel nuovissimo illyshop al Piano -1 della Rinascente in Piazza Duomo, punto di riferimento internazionale per lo shopping. Iconici gli elementi distintivi del brand: i colori bianco e rosso, la tazzina, il design delle macchine per espresso. Lo spazio del nuovo corner avvolge il cliente nell’universo illycaffè: su una parete, su sfondo rosso, vengono riportati i valori fondamentali del brand, come il forte legame con Trieste e la costante tensione alla perfezione, nonché la continua attenzione alle innovazioni tecnologiche. Una seconda parete ospita un mosaico con l’immagine del poster di Xanti Schawinsky, la prima pubblicità realizzata dall’artista svizzero per illy nel 1934. All’interno del corner ampio spazio è dedicato all’esposizione dell’offerta illy, dalle diverse linee di macchine per espresso alle illy Art Collection prodotte in edizione limitata, dal blend illy 100% Arabica (disponibile in tostatura media, forte o decaffeinato) alle linee Monoarabica, le linee composte dalle singole Arabica che compongono il tradizionale blend illy (al momento disponibili Brasile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, India ed Etiopia).
Dievole olio 100% italiano La storica azienda agricola Dievole si estende su ben 400 ettari alle porte del borgo medievale di Vagliagli, in provincia di Siena, nel cuore del Chianti Classico. Accanto alla produzione di un Dop Chianti Classico e un Igt Toscano (di cui l’annata 2014 non sarà commercializzata a causa dei quantitativi minimi prodotti), regala quest’anno un olio tutto da scoprire: il 100% Italiano è un blend
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di olive provenienti da Basilicata e Puglia, composto da 25% di Leccino, 25% di Ogliarola e 50% di Coratina ed è proprio l’eccellenza di questa cultivar che ha indotto l’azienda a dedicare un extravergine monovarietale, dalla struttura molto decisa. Nasce così, accanto all’olio extravergine Dievole 100% Italiano, la versione monovarietale di Coratina, grazie alla possibilità di contare su proprietà non solo in Toscana, ma anche su oliveti nel resto d’Italia: le olive selezionate sono frante in pochissime ore dalla raccolta nel frantoio di Dievole, un impianto di ultima generazione a basso impatto ossidativo che permette di preservare al massimo l’olio extravergine di oliva. “Il progetto di Dievole - spiega Marco Scanu, direttore generale Olio di Dievole - è portare l’olio extravergine di alta qualità sulle tavole di tutti i consumatori che vogliono scegliere con cura le materie prime dei loro piatti e il vino nei loro bicchieri. L’olio è un alimento prezioso e ricco di sfumature: va scelto prima di tutto per la sua integrità e poi in base al gusto e agli abbinamenti con i piatti”. I prestigiosi riconoscimenti da parte della critica - ricordiamo il Premio Mugelli al Los Angeles International 2015 dove Dievole si è aggiudicata sei medaglie d’oro, il primo premio Aipo D’Argento 2015, il Gold Award a New York Olive Oil Competition, il Premier Medal a Tokyo, gran menzione al Concorso Internazionale 2015 Sol&Agrifood e Tre Foglie-Oli d’Italia 2015 Raccolta 2014 del Gambero Rosso, per citarne alcuni - sanciscono ancora di più la bontà del progetto portato avanti da Dievole e la qualità dell’olio prodotto.
Cantina Valpantena I suoi segreti in un libro Nata nel 1958 come associazione cooperativa tra alcuni viticoltori veronesi, Cantina Valpantena - situata nell'omonima sotto-denominazione della zona della Valpolicella - conta oggi circa 500 soci dei quali 150 derivano dalla fusione con l’oleificio delle Colline Veronesi che dal 2003 danno vita, con 20.000 bottiglie, ad una nuova realtà oleovinicola nella Valpantena, mentre la produzione attuale di vino conta 10 milioni di bottiglie, di cui il 70 % destinato ai mercati esteri con un fatturato annuo che sfiora i 45 miliardi di euro. Dall’esperienza di questa realtà vitivinicola, e non solo, ne è nato un prezioso libro, “I segreti del territorio, dei vigneti e del vino Amarone della Cantina Valpantena", frutto di quattro anni di lavoro che ha coinvolto anche CRAVIT (Centro di Ricerca per la viticoltura) e un ricco numero di professionisti guidati da Diego Tomasi, ricercatore dell'Ente Cra di Conegliano. Questo volume vuole essere, come ha spiegato anche Luigi Turco, Presidente Cantina Valpantena Verona, non solo un testo di puro didattica, ma un dono che questa Cantina fa al territorio e al suo paesaggio, nonché ai propri soci, un prezioso vademecum per i viticultori al fine di migliorare la qualità delle proprie attività agricole tramite l'accrescimento della conoscenza del luogo. Il volume è stato presentato di recente a Palazzo Erbisti, sede dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona.
libri
Ars cul in aria, Salt & Pepper e birra
Titolo: La cucina di Parma Autore: Augusto Farinotti Editore: Diabasis Pagine: 170 Prezzo: 18,00 €
Titolo: Il Manuale della Birra Autore: Giuseppe Vaccarini Editore: Hoepli Pagine: 228 Prezzo: 27,90 €
Titolo: Ars cul in aria Autore: Lydia Sansoni Editore: Eros Culinaria Pagine: 32 Prezzo: 18,00 €
Titolo: Salt & Pepper Shakers Autore: Paola Trifirò Siniramed Editore: Chimera Pagine: 160 Prezzo: 12,00 €
“Un maiale in premio per un libro…” L’autore, scomparso improvvisamente nei mesi scorsi, è stato uno dei grandi interpreti della autentica cucina di Parma e del suo territorio. Come scrive Edoardo Raspelli nella sua bella e appassionata prefazione, Augusto Farinotti racconta storie e ricordi di una vita piena e variegata, condivide ricette, suggerimenti di vini in abbinamento, emozioni. “È il norcino il mestiere del suo animo; è la norcineria l’arte che ha nel cuore. Cesare Zavattini al premio letterario da lui creato mise in palio un maiale: a chi lo criticava rispose che ‘un maiale in premio per un libro, non era abbassare il libro…era…alzare il maiale’. La stessa cosa fa Augusto nel ricordare i riti più antichi, quelli che ha visto bambino nella campagna e nelle aie di Parma e provincia”. Da leggere, per penetrare adeguatamente un territorio magico e i suoi splendidi piatti.
Birra e cibo: gli abbinamenti giusti per i professionisti della ristorazione Giuseppe Vaccarini, miglior sommelier del mondo nel 1978, già presidente Ais e Asi, ora presidente dell’ASPI (associazione dei sommelier professionisti) ha dedicato la sua proverbiale competenza alla stesura di un vero e proprio manuale della birra. In questo libro, la bevanda viene valutata non solo nell’aspetto degustativo ma anche in relazione agli abbinamenti con il cibo, spesso distrattamente sottovalutati. Il Manuale della Birra è un testo di riferimento indispensabile per i professionisti della ristorazione, soprattutto per quei sommelier capaci di recepire i cambiamenti dei consumi e delle mode e consapevoli della necessità di dedicare anche alla birra (e non solo al vino, dove sono maestri) una attenzione più mirata e approfondita.
Ricetteros: istruzioni per l’uso. Il lato b dalla cucina Lydia Sansoni è una signora veneziana, di grande cultura, che vive e lavora a Roma: scenografa, nella sua vita si è proficuamente dedicata (oltre che al restauro di bambole antiche) all’illustrazione e alla grafica di serie A. Precisazione indispensabile, questa, per capire il valore unico della sua opera attuale, questa Ars Cul In Aria “ad alto contenuto erotico”: un libro fatto per divertire chi legge e sottrarlo per qualche minuto dalle fatiche quotidiane. Il volume è essenzialmente un libro di ricette (ricetteros, per la precisione), intellettualmente proposte in chiave giocosa e vagamente surreale. Ne risulta una lettura allegra e leggera, ma retta da un sottile filo di alta ironia linguistica. Qualche ricetta: Sospiri di Santa Pudenda, Slurpatina di gnocche, Cilecca in bianco, Pasticcio di abbacchiato. Oltre a Frittata di testicoli e Cul in trombetta.
In tavola, in mostra, in un libro: un secolo di food art Una irripetibile collezione di oltre 600 fra salini e pepini, dall’inizio del secolo ad oggi, proposta in un elegante volume edito da Chimera. L’editore, Raimondo (Dodo) Santucci, la cui genialità è ben nota, ha dato vita a un’opera unica, a cui la prefazione di Ferruccio De Bortoli conferisce ulteriore valore. Una sequenza sorprendente di immagini, forme e cromatismi di contenitori per la tavola, con sagome di animali, coniglietti, cuochi, fiaschetti, clown, conchiglie, raccolti da Paola Trifirò (“una ostinata perfezionista”, come l’ha definita l’ex direttore del Corriere della Sera) con amore e dedizione: la mostra è allestita alla Triennale di Milano. Da non perdere, per capire l’evoluzione dell’arte della tavola attraverso espressioni stilistiche che, nel tempo, hanno contribuito all’evoluzione della food art e del suo design.
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Ai Mercanti di Venezia più altri “ragionevoli” AI MERCANTI
beri rossi, pomodoro, mozzarella e acqua di kiwi, un piatto fresco, estivo, fuori dagli schemi; un risotto di gò (il piccolo pesce lagunare molto saporito, ingrediente di estrema tipicità veneziana), confettura di cedro e caviale di aringa; sgombro, rabarbaro, panna acida e cozze; petto di anatra in salsa asiatica; variazioni di cioccolato ValFinalmente un ristorante, a Venezia, rhona. Un menù fantastico, in cui la che esula dalla fitta schiera di locali discreta leggerezza dell’antipasto è “acchiappaturisti” dai prezzi elevati e stata poi surclassata dall’intensità gudalla qualità minima. Questo Ai Mer- stativa del risotto, davvero eccellente, canti, magicamente ubicato in una e dai due secondi, pieni e strutturati piccola corte dietro Calle dei Fuseri, seppur raffinati e armonici. Anche gli a San Marco, è davvero una bella abbinamenti, in questo caso tutti con scoperta, decisamente controtendenza. le bollicine di Villa Franciacorta (Satèn È pur vero che anche a Venezia la 2010 il primo, Emozione 2010 l’antiqualità dell’offerta, negli ultimi anni, pasto, Cuvette 2007 lo sgombro e il è migliorata (un nome per tutti, il petto d’anatra) si sono rivelati ottimali. Vecio Fritolin di Irina Freguja, un risto- Insomma, una meta gastronomica in rante da conoscere e frequentare), laguna da cui, secondo Artù, è meglio ma è altrettanto vero che sono ancora non prescindere. centinaia i locali senza arte né parte, gestiti con approssimazione e forti LODIGIANI solo di location straordinarie. Ai Mer- Strada prov. per Binasco canti è un locale con pochi coperti, 20080 Carpiano, fraz. Francolino dentro e fuori, dove venire per apprez- 02 9815538 zare una cucina di sana creatività, www.ristorantelodigiani.com frutto dell’impegno di Nadia Locatello, chiuso lunedì chef patron che conduce il locale insieme al marito, al figlio e alla compagna di quest’ultimo. Un gruppo di famiglia di straordinaria coesione e di rara Un locale di impronta tradizionale, cordialità, attento alle esigenze dei che di più non si può. Alla periferia clienti e fortemente concentrato sulla sud di Milano, fra i caselli di Binasco qualità delle materie prime utilizzate, (Mi-Ge) e Melegnano (Mi-Bo), in ubisulla definizione dei piatti, sulla gra- cazione ideale, diremmo perfetta, per devolezza delle presentazioni. Insieme chi “batte” le autostrade per la propria a una carta dei vini molto ricca e mi- attività: agenti e rappresentanti (ma rata (con prezzi di rara onestà), che esistono ancora?), imprenditori, comprivilegia etichette di Franciacorta e mercianti e uomini d’affari. Il locale, Triveneto ma non disdegna altre pro- molto classico nel senso dell’architetvenienze, comprese illustri bolle fran- tura, degli interni e degli arredi, è l’incesi. Assaggiando i piatti di Nadia mi dirizzo giusto per chi ama la corretta è venuta alla mente una frase di Ein- e gustosa cucina di pesce, proposta stein che dice che “la mente è come all’insegna della qualità e della freun paracadute: funziona solo se si schezza. Il patron riceve gli ospiti (la apre”: e la cucina de Ai Mercanti mi clientela è perlopiù composta da haè sembrata davvero molto aperta, bitués), li coccola e li porta al tavolo. frutto di una riflessione attenta e ri- Camerieri professionali suggeriscono spettosa di ingredienti e di materie i piatti del giorno e porgono un ricco prime. Fra i piatti degustati da Artù, menù e una adeguata carta dei vini: segnaliamo la inedita tartare di gam- il tutto in un rito che dimostra profesSan Marco 4343A Calle dei Fuseri, 30124 Venezia 041 5238269 www.aimercanti.it chiuso domenica e lunedì mattina
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sionalità, esperienza, conoscenza dei gusti della clientela. In carta: antipasti a base di crudo (ottimi), tartare di ricciola, tonno rosso con burrata, seppie con crema di fave e peperoncino, acciughe del Mar Cantabrico, ostriche, polpo aglio e olio; fra i primi, spaghetti totani veraci e pomodorino, tagliolini al sugo di ricciola, orecchiette al ragù di mare bianco, paccheri con “delizie del mare”, lasagnette con seppie nere e ricotta salata, spaghetti al granchio “dormiglione” (ovvero che si trova nelle grotte e nei fondali dove rimane a lungo nella stessa posizione), linguine all’astice. Fra i secondi, Lodigiani dà il meglio di sé con la ricciola alla siciliana con caponatina piccante, rombo in crosta di porcini, involtini di spada alla griglia con olive. Da provare il fritto di paranza, davvero buono. Un ristorante che resiste al tempo e corre sui solidi binari della tradizione. Inossidabile e corretto: un locale dove non correre rischi. Prezzi adeguati al prezzo delle materie prime utilizzati, ma sostanzialmente connotati da onestà assoluta.
L’ALTRO BAR Piazza VI febbraio 22 20145 Milano
02 33608093 www.laltrobar.it chiuso la domenica
Immaginatevi un bar normale (apparentemente), frequentato per la prima colazione (buoni croissant e brioche di pasticceria), con un’offerta di panini / piattini di mezzogiorno (superiori alla media qualitativa di molti bar cittadini), un aperitivo serale particolarmente curato, con una marcia in più per varietà e qualità degli appetizer (perlopiù preparati al momento, a differenza di quanto accade in molti locali che “riciclano” i panini invenduti). Con una differenza, però, rispetto agli altri bar normali della città: ovvero, la presenza, dietro al banco, di un giovanissimo professionista appassionato, attento conoscitore di vini italiani e internazionali, selezionatore di etichette spesso sconosciute ai più ma di alto valore, suggeritore competente di esperienze di consumo non convenzionali. Diamogli un nome, al barista d’eccezione: questo professionista si chiama Vito De Feudis, ha frequentato l’IPSSAR Carlo Porta di Milano (illustri insegnanti, fra cui Giuseppe Vaccarini, campione mon-
LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole
Numero 69 luglio/agosto 2015
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Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello In redazione Elisa Facchetti - elisa.facchetti@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it _______________________________________________________________________________________________________
co lo ph o
Hanno collaborato Rebecca Andreola, Giuseppe Arena, Fiorenza Auriemma, Denise Battistin, Irene Bernabò Silorata, Guido Bernardi, Davide Bernieri, Stefano Bonini, Luisa Contri, Davide Deponti, Antonio Ezio, Maurizio Forte, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Emilio Magni, Rosa Marchetti, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Calogero Moscato, Aldo Nenzi, Riccardo Oldani, Anna Pesenti, Gio Pirovano, Alessandra Piubello, Gualtiero Spotti, Theo Smith, Olivia Vachon, Claudio Zeni, Stefania Zolotti. _______________________________________________________________________________________________________
Art director Claudio Rossi Oldrati
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Foto Brambilla-Serrani (Pisani e Negrini), F. Bolis (Pisani e Negrini), Genivs Loci (Belmond Hotel Splendido), Véronique Mati (Alain Ducasse), Pierre Monetta (Alain Ducasse), Canio Romaniello (Antica Corte Pallavicino), Tyson Sadlo (Belmond Hotel Splendido), Salvo Mancuso (Taste of Etna) tranne foto spaghetti di tonno rosso. _______________________________________________________________________________________________________
Pubblicità dircom@edifis.it
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gna: “scegli il pesce che preferisci, quanto e come lo vuoi mangiare. Poi scegli cosa bere e passa alla cassa. Siediti al tavolo con il tuo vassoio e aspetta la chiamata dell’altoparlante. Ritira i piatti dalla cucina con lo scontrino”. Buon appetito! Le indicazioni dei gestori del locale sono molto chiare, anche se fra i clienti c’è un certo disorientamento, soprattutto nel momento della indicazione della tipologia di preparazione/cottura. Una formula divertente per questo locale, ubicato dietro Largo La Foppa, fra Trinci e Corso Como, a venti metri dalla stazione MM di Moscova, che richiama schiere golose di amanti del pesce, attirati anche dall’idea di poterne personalizzare le proposte. La formula, a metà fra un fishbar e un mercatino ittico con consumo in loco, attira una clientela informale, che privilegia consumo d’impulso in ambiente senza troppi preamboli e, soprattutto, che non mette soggezioni (caratteristica, invece, di molti ristoIL PESCETTO ranti di pesce). Forse, dirà qualcuno, Via Volta 9 la ristorazione di pesce è un’altra 20121 Milano cosa, soprattutto se vuole attenersi ai 02 36754184 canoni della tradizione. Ma il Pescetto www.ilpescetto.it è un’altra cosa: luogo di semplificachiuso domenica e lunedì zione dell’esperienza, di curiosità appagata, di ambientazione easy e anche un po’ social. Molto gradito soprattutto dai bambini, che scelgono il “Qui il pesce si mangia etto dopo “fritto misto”, eseguito con correttezza etto”, recita la scritta accanto all’inse- e dignità, ma anche per gli amanti del crudo, che non delude mai. I prezzi, si sa, non sono propriamente popolari: il pesce costa e il guadagno ci vuole. Ma l’esperienza vale la scelta.
diale dei sommelier, oggi presidente ASPI) e dopo qualche anno di gavetta “presidia” l’offerta del vino all’Altro Bar, il locale di famiglia quasi di fronte al grattacielo del City Life. Incredibile l’offerta di etichette, proposte in degustazione al calice, a prezzi dal ricarico equo: Franciacorta, Piemonte, Alto Adige, Marche, Sicilia, Veneto, Sardegna, Puglia (la regione d’origine di Vito), ma anche bottiglie internazionali provenienti da cantine qualificate. Gli abbinamenti sono con stuzzichini degni di nota (provate la “pidazza”, una sorta di piadina travestita da pizza) e preparazioni molto invoglianti. Di più, Vito vi racconterà nei dettagli le caratteristiche organolettiche dei vini che vi proporrà in degustazione, parlandovi anche di vitigni, annate, profumi, struttura e di quant’altro riguarda la accurata descrizione del vino che state bevendo. Perché, mai dimenticarlo, bisogna conoscere ciò che si consuma, per bere sempre più responsabilmente.