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Artù n°64 - Settembre - Ottobre 2014
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Champagne, nella Grande Cuvée lo stile della maison: parola di Olivier Krug Massimo Spigaroli, il guru del culatello, ci racconta la sua “cucina fluviale” Gusto italiano al ristorante: Lido 84, Aqua Crua, Zeppelin, Taverna del Lupo Ospitalità: Parker’s a Napoli, Falconiere a Cortona, Pellicano a Porto Ercole Dubai, l’Atlantis The Palm stupisce per la sua formidabile offerta di ristorazione
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EDITORIALE n°64
La rapa di Ducasse che ha trasformato la sua macelleria di tradizione in luogo di alta specializzazione, dando la priorità alla autentica razza piemontese. O a Jeff Martin, che insiste da tempo sul Dry Aging, necessario a esaltare il gusto e le proprietà organolettiche delle carni. Ma ce ne sarebbero di chef, macellai, professionisti da citare sull'argomento. Prima di venire indiziato dal mio ordine professionale
di pubblicità occulta, mi fermo nel dare informazioni. Ricordo solo che sull'argomento carne si è aperto un dibattito serio e approfondito che riguarda, nell'ordine, qualità dei capi, allevamenti, alimentazione, frollature, tecniche di cottura e quant'altro. È solo anticonformismo, quello di Ducasse? O è il frutto di una seria analisi sul food cost? In fondo, una rapa, buona
© Vanessa Von Zitzewitz
Accolta inspiegabilmente come una "splendida notizia" dal più importante dei critici gastronomici, Edoardo Raspelli, la svolta bio di Alain Ducasse ha lasciato basiti molti chef, ma anche parecchi giornalisti. "Addio foie gras, tartare, entrecôte". La riconversione del re della cucina francese può sembrare più una trovata di marketing che un effettivo cambio di rotta della propria linea di cucina. Da metà settembre, comunque, dal menù del suo ristorante parigino al Plaza Athénée, gioiello della Dorchester Collection, sono banditi tutti i piatti di carne: protagonisti dell'offerta sono, infatti, cereali, legumi, verdure. Ma anche pesce, soia, prodotti da agricoltura "bio", coltivati (ci dicono) a Versailles. Come dire, a km (quasi) zero. Il prezzo del menù degustazione, in ogni caso, resta immutato: 380 euro, bevande escluse. È singolare che la dichiarazione di Ducasse arrivi proprio nel momento in cui, nella ristorazione di alta qualità, quella fatta da professionisti di lungo corso e da chef con gli "attributi", si assista a una riabilitazione "mirata e consapevole" delle proposte di carne. Penso a Luca Brasi e alle sue proposte di Wagyu, o a Simone Fracassi che va riscoprendo da anni razze di territorio. O al basco Txogitxu che propone la "vieja vaca" a centinaia di chef innovativi, che non vogliono mai darsi per vinti sulla strada della evoluzione delle proposte. O, ancora, a Sergio Motta,
che sia, costa molto ma molto meno del filetto di manzo di razza charolais allevata e alimentata con tutti i crismi. O forse è una scelta, quella di schierarsi dalla parte di ciò che fa notizia nella società? Oggi vince chi fa audience, ci dicono. Inutile negarlo, la cultura del biologico, in tutte le sue forme, anche le meno nobili, alligna e si diffonde a macchia d'olio (biologico?). Spesso come risposta alle ansie salutistiche della popolazione. Talvolta come espressione di un impegno reale, serio ed onesto. In altri casi per tentare un business percepito come "facile". Ovviamente, la statura professionale di Ducasse ci pone al riparo da illazioni dietrologiche, verso le quali, peraltro, non ci piace indulgere. Ma i dubbi sulla sua scelta restano. D'altra parte sul variegato fronte del bio, ma anche del vegano e di ogni altra forma di ricerca esasperata di stili alimentari che tutelino la salute, c'è un discreto sovraffollamento. Qualche giorno fa mi è capitato fra le mani un catalogo di prodotti bio e "vegan", acquistabili on line, che propone oltre 500 referenze! Così, sulla fiducia. Belle le descrizioni di bacche e gomasio, azuki e tofu, suggestive le indicazioni di consumo, elevatissimi i prezzi. Sarà un successo? Chi può dirlo? Da parte nostra, prendiamo atto di quanto ha dichiarato l'amico Giorgio Calabrese, il professore per antonomasia. E concludiamo con le sue parole: "Chi sceglie di eliminare la carne per ragioni di coscienza, faccia pure. Nel caso del ristorante parigino, mi sembra più una manovra di cartello che non di vero salutismo. La ristorazione è in crisi, allora si provano ad attirare nuovi pubblici". Alberto P. Schieppati
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In copertina: Krug Grande Cuvée e Krug Clos du Mesnil, due diverse anime dello stile della Maison di Reims, guidata da Olivier Krug, cui è dedicata la cover story. La Grande Cuvée è la quintessenza della filosofia Krug: uno straordinario blend di circa 120 vini di diverse vendemmie, vecchi fino a quindici anni: uno champagne di grande e acuminata personalità.
Info people Alto Adige, in vigna con i piatti di Hintner di Giovanna Moldenhauer Pastai di Valeggio alla Notte degli Aromi di Giovanna Moldenhauer Info brand Pommery Station al Grand Hotel di Tremezzo di Elisa Facchetti Pinot nero, confronto serrato di Giovanna Moldenhauer Focus wine Olivier Krug, lo stile libero di Alberto P. Schieppati Monte delle Vigne, Doc dai Colli di Parma di Elisa Facchetti Italiani in Svizzera, cinquant’anni di Zanini di Rocco Lettieri Focus food Trentino a km zero, interpreti credibili di Stefano Bonini Carni inglesi, Eblex sta con gli chef di Theo Smith Protagonisti food Massimo Spigaroli, la mia cucina fluviale di Alberto P. Schieppati Aqua Crua, latino o vicentino? di Alessandra Piubello Lo stile personale di Riccardo Camanini di Elio Ghisalberti Zeppelin, la nuova cucina popolare di Davide Bernieri Mencarelli, l’ospitalità è un fatto di famiglia di Claudio Zeni Accueil Grand Hotel Parker’s, la Napoli esclusiva di Gualtiero Spotti Falconiere di Cortona, l’eleganza toscana di Elisa Facchetti Il Pellicano Hotel, cucina e benessere di Claudio Zeni Dal mondo Atlantis Palm. Dubai, un mondo a parte di Gualtiero Spotti Austria contemporanea, food sostenibile di Gualtiero Spotti Equipment Irinox, nel cuore del “freddo rapido” di Elisa Facchetti News Champagne, Maremma, Alajmo, news dal food and beverage Libri Gli hamburger del mercato. E l’amore fra i Ceretto e Crippa di Elisa Facchetti Secondo Alberto Cesira, Mirta e Acqua Pazza, tre super-ragionevoli di Alberto P. Schieppati
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Alto Adige, in vigna con i piatti di Hintner di Giovanna Moldenhauer San Paolo, borgo del comune di Appiano, sulla strada del vino, ha come di consuetudine da 16 anni reso omaggio alla produzione vitivinicola locale con le sue settimane enoculturali realizzate in collaborazione con il Consorzio Bolzano, vigneti e Dolomiti. Un percorso appositamente studiato, favorito da condizioni metereologiche particolarmente clementi, ci ha permesso di conoscere il territorio, di partecipare ad eventi interagendo tra l’altro con un noto chef stellato altoatesino. Sulle colline dell’area comunale di Appiano e delle sue nove diverse cittadine si trovano molti castelli datati tra il X e il XIII secolo per lo più perfettamente conservati. Tra i castelli della zona Schloss Korb, romantico hotel di charme quattro stelle circondato dai vigneti dell’omonima tenuta, è stata la nostra idilliaca residenza: il maniero di Appiano dalla squadrata struttura ci ha svelato una piccola cappella con importanti affreschi del XIII secolo e lo scenografico Museo della montagna di Firmiano, progetto nato dalla collaborazione tra il noto scalatore Reinhold Messner e l’architetto Werner Tscholl (artefice della moderna struttura di cantina Tramin, ndr). Non solo ad Appiano, ma in tutto l’Alto Adige si trovano diversi punti di noleggio delle e-bike che testimoniano una forte vocazione all’ecologia della provincia, l’attenzione alla tutela del paesaggio. Una fitta rete di piste ciclabili e sentieri boschivi permettono di studiare un itinerario alternativo lontano dalle principali arterie stradali per visitare città, località, monumenti. I giornalisti ospiti sono stati accompagnati da una guida professionale, in sella alle due ruote elettriche, nei sentieri che si snodano tra i vigneti, nei boschi che circondano i laghi di Monticolo, nelle strade della pittoresca cittadina di Cornaiano. Tra gli eventi in programma per le settimane enoculturali nel caratteristico centro di San Paolo
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citiamo lo spettacolo musicale Toni lieti sulle scalinate della cantina cittadina e il Big bottle party dedicato a bottiglie magnum di vecchie annate, quasi introvabili proposte in degustazione nel wine bar Schreckenstein e nell’enoteca Vis à Vis. Un momento speciale è stato quello della lezione dedicata ad Artù che Herbert Hintner, rinomato chef stellato del ristorante Zur Rose di San Michele, ha tenuto nella cucina del suo locale. Ha eseguito per noi cinque diverse ricette nei suoi vari passaggi tra cui il raviolo di farina di pera secca con formaggio grigio e le cosce di capriolo con porcini della Val di Braies, purea di carciofi. L’approfondita conoscenza dei prodotti della sua regione, i suoi personali contatti con i contadini, gli permettono di realizzare una cucina a km zero dal gusto emozionante perfettamente abbinata ai vini proposti dalla moglie Margot, esperta sommelier. Il nostro percorso si è concluso con la visita alla nota cantina sociale di San Michele e con l’incontro del giovane Martin Abraham, figlio di viticoltori della zona, che ha da poco tempo avviato una
sua produzione. L’assaggio dei suoi vini - giudicati positivamente dai noti enologi quali Willi Stürz di Tramin e Hans Terzer di San Michele – tra cui citiamo il Pinot bianco, Gewürztraminer,
Pinot nero, Upupa rosso cuvée di schiava, accompagnato da specialità locali, ha concluso, nel migliore dei modi, il nostro viaggio enogastronomico delle settimane enoculturali di San Paolo. Artù n°64
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Pastai di Valeggio alla Notte degli Aromi di Giovanna Moldenhauer
La degustazione di otto tipologie di pasta ripiena fatta a mano da Guido Le cime dolomitiche, i vigneti che e Luciana, artigiani del pastificio circondano l’architettura contempo- Remelli di Valeggio sul Mincio, abbinata ranea della cantina Tramin hanno ad altrettanti calici diversi delle etichette fatto da scenario alla Notte degli Tramin, era allestita nel piazzale che Aromi nella serata estiva del 2 agosto. precede l’ingresso per il pubblico alla cantina. Gli assaggi spaziavano dai tradizionali tortellini di carne, conditi con burro fuso, abbinati alla schiava Freisinger, ai tortelloni basilico e pinoli con pasta verde serviti con il sauvignon Montan, ai tortelli di zucca accompagnati dalla cuvée Stoan ottenuta da uve chardonnay, pinot bianco, sauvignon e gewürztraminer. I medaglioni d’anatra prevedevano l’accompagnamento con il Pinot nero, mentre i tortelloni con zucchine fritte con il pinot bianco Moriz. Il brasato di manzo, ripieno dell’impasto con il vino cabernet merlot, era abbinato alla cuvée Rungg ottenuta dalle stesse
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varietà, mentre i tortelloni al salmone affumicato, preparati con il nero di seppia, si sposavano egregiamente con il Gewürztraminer. Per chiudere in dolcezza la torta delle rose con crema chantilly e la pasta brisé dei tortelloni ripieni di marmellata di albicocche erano contrapposti alla vendemmia tardiva Roen. Alcuni assaggi hanno confermato la squisita qualità dei tortelli sublimata dall’equilibrato abbinamento con i vini dell’annata più recente. La Notte degli Aromi è stata anche una serata a base di ottima musica grazie alla band Roland and the Experience che ha eseguito dal vivo pezzi soul & blues. L’evento, dal tramonto a mezzanotte, ha avuto un ottimo riscontro di pubblico.
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Pommery Station al Grand Hotel di Tremezzo 104 anni e non dimostrarli, nonostante i duri confilitti mondiali e diversi pasIl Grand Hotel di Tremezzo, situato saggi di proprietà. Il Grand Hotel di sulla Strada Regina, vicino a Villa Tremezzo rappresenta da più di un seCarlotta, è il punto di riferimento colo l'ospitalità di lusso e proprio in del turismo internazionale d'elite. occasione del centenario dalla sua Per festeggiare i 104 anni dalla sua nascita ha inaugurato la Pommery Conascita, che risale al 10 luglio del mo Lake Luxury Station, all'interno lontano 1910, il Grand Hotel ha or- dello splendido spazio del T Beach ganizzato un evento speciale, prezioso Bar. Dal canto suo, Vranken-Pommery, come l'eleganza dello champagne con la geniale e brillante guida italiana Pommery, protagonista assoluto in dell’ad Mimma Posca, prosegue la selezione dei top partners nel mondo ogni occasione di convivialità.
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dell'ospitalità di lusso per rappresentare al meglio lo stile di vita e la filosofia che da sempre caratterizzano l'Art de Bien Vivre della Maison Pommery: non a caso, è stata individuata la struttura lariana, guidata egregiamente dalla famiglia De Santis, che esprime un perfetto connubio tra arte e gastronomia e che offre un panorama incantevole sul lago di Como. Acquistato dalla famiglia Sampietro negli anni '30 dal fondatore Enea Gandola, l'hotel vanta un nuovo turismo internazionale. Ancora oggi, una gestione di sana imprenditorialità familiare fa rivivere con grande professionalità tutto lo charme e l'autentica ospitalità italiana. Ed è qui, infatti, sul giardino a lago dell’Hotel, che è stata inaugurata la Pommery Luxury Station, un evento che ha visto la partecipazione della stampa specializzata - tra cui il direttore di Artù Alberto P. Schieppati - che ha potuto godere dell'assoluta piacevolezza dello Champagne Pommery. In primis il fresco e profumato Pommery Summertime Blanc de Blancs, quindi, nel formato magnum, il Pommery Noir, nato da una selezione di 30 cru scelti per la loro finezza nelle zone più vocate della Cotes De Blancs e della Montagne di Reims, impreziosito dalla nuova etichetta “For You” dedicata all’anniversario dell’hotel tremezzino. L'itinerario dedicato alla raffinatezza, fil rouge dell'evento di inaugurazione, ha trovato piena fioritura con l'esperienza gourmet guidata dall’impeccabile professionalità del Maestro Gualtiero Marchesi, consulente del Grand Hotel (di cui segue la linea di cucina) affiancato dalla bravura del primo chef Osvaldo Presazzi. La Maison Pommery si è dunque unita ai festeggiamenti del centenario del Grand Hotel di Tremezzo brindando ai 140 anni dall'invenzione del Brut, il primo Brut Millesimato dello storia dello champagne voluto da Madame Louise Pommery. Pommery Luxury Station del T Beach Club di Tremezzo si aggiunge quindi agli altri esclusivi meeting points e beach clubs selezionati dalla Maison di Reims, dalla panoramica terrazza Tiepolo del The
Westin Hotel Europa & Regina di Venezia, allo scenografico Capri Palace al Beach Club Il Riccio di Anacapri, al Forte Village Resort di Santa Margherita di Pula e per finire il Gran Melià Villa Agrippina di Roma, luogo di charme esclusivo.
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Pinot nero, confronto serrato
di Giovanna Moldenhauer La sedicesima edizione delle Giornate altoatesine del Pinot nero si è svolta, come di consuetudine, presso i caratteristici borghi di Egna e Montagna diventate per l’occasione vere capitali del re dei vini rossi. L’evento, che ha debuttato nel 1999, è l’unica manifestazione capace di raccogliere e proporre in degustazione una panoramica della produzione italiana a confronto con il resto del mondo. A partire dal 2002 le produzioni italiane, aderenti all’iniziativa, sono state messe in competizione con un Concorso nazionale per stabilire quale sia la migliore. La 13° edizione del 2014 ha risposto proponendo un confronto serrato fra ottanta etichette del 2011. Sin dal 2002
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l’intento degli organizzatori non è quello di premiare un ottimo vino rosso, quanto piuttosto di individuare fra tutti i concorrenti l’interpretazione che maggiormente esprime il suo territorio d’elezione. Peter Dipoli, noto esperto di vini italiani e internazionali nonché vignaiolo egli stesso, è attualmente vicepresidente delle Giornate altoatesine del Pinot nero. “Certamente la Borgogna è lontana – osserva Dipoli – e non ha alcun senso confrontare un Pinot nero altoatesino con uno francese della stessa annata, perché questi ultimi iniziano ad essere buoni quando quelli nostrani sono già maturi. Ciononostante il vitigno, che a me piace definire “climatico”, ha trovato nel territorio e soprattutto nel microclima di alcune zone della bassa provincia di Bolzano le condizioni ideali per esprimere tutto il suo potenziale genetico. Le colline di Monta-
gna e Mazzon, ma anche la zona di Pochi di Salorno poco più a sud, presentano escursioni termiche e le ore di irradiazione solare perfette per un’ottima maturazione dei piccoli grappoli del Pinot nero. Prova ne è il fatto che ogni anno fra i primi tre classificati del Concorso compare almeno un vino prodotto con le uve provenienti da queste colline. A questo bisogna aggiungere il lavoro svolto in campagna dai viticoltori che negli ultimi trent’anni hanno contribuito
con potature e riduzioni di resa a migliorare la qualità delle uve. Va dato merito anche agli enologi che hanno fatto grandi progressi nella tecnica di vinificazione delicata e niente affatto facile quando si ha a che fare con un vitigno come il Pinot nero. Per tutte queste ragioni l’Alto Adige può ora vantare non solo grandi vini bianchi, ma anche un vino rosso eccellente, il Blauburgunder, come frequentemente lo definiamo”. Il Concorso 2014 ha incoronato il Pinot nero Riserva Trattmann della Cantina Girlan di Cornaiano quale miglior Pinot nero d’Italia. I vigneti si trovano proprio a Mazzon, dove i terreni hanno uno strato di calcare che conferisce al vino frutto ed eleganza. “Secondo classificato – sostiene poi Dipoli – è il Pinot nero Sanct Valentin della Cantina San Michele di Appiano. In questo caso posso affermare a ragione che emerge sì il territorio, perché i vigneti sono fra i più vocati, ma questo vino è soprattutto una creatura di Hans Terzer, importante enologo dell’Alto Adige, finissimo conoscitore del vitigno e per questo capace di dare vita a una cuvée di valore superiore. In terza posizione abbiamo la sorpresa di questa edizione, ovvero l’affermazione della Cantina di Merano Burggräfler con il Pinot Nero Riserva Zeno. Una classifica che mette in luce, come zone produttive idonee alla coltivazione della varietà, le colline intorno a Merano, ad Appiano Monte, a Cornaiano”. Le prime dieci posizioni hanno visto la predominanza dei vini altoatesini, ma fra questi si è fatto largo anche un esponente delle Langhe, ovvero Segni di Langa con il Pinot Nero omonimo. “Un segno, appunto, – conclude Dipoli – che ci fa sperare saranno sempre più numerosi i produttori italiani che alle prossime edizioni del Concorso accetteranno il nostro invito a confrontarsi su un vitigno che rappresenta di certo una delle sfide più avvincenti per i vignaioli”. Il programma prevedeva, dopo la premiazione del Concorso, due degustazioni guidate a Montagna e due banchi d’assaggio a Egna. Il sabato pomeriggio Hans Terzer ha condotto, in una sala gremita, una verticale di otto annate, scelte tra il 2002 e il 2010, di Pinot nero
Sanct Valentin della Cantina San Michele di Appiano. La domenica mattina l’enologo Edgar Auer ha tenuto un’interessante degustazione di sette aziende tedesche della regione del Baden situata a sud ovest della Germania. Ogni cantina proponeva due millesimi differenti per annata e stile di vinificazione. I banchi d’assaggio della domenica e del lunedì pomeriggio hanno proposto tutti i vini partecipanti al Concorso con diversi Pinot nero francesi e tedeschi, uniti ad altri dalla Svizzera, Austria, Olanda, Belgio, Stati Uniti, Argentina, Cile, Nuova Zelanda e Sud Africa, per un totale di 115 etichette. Quest’anno le giornate del Pinot nero hanno visto un incremento della presenza di visitatori. Un pubblico eterogeneo che ha spaziato dagli eno-turisti alla ricerca delle espressioni del territorio altoatesino, agli appassionati enofili, fino ai fedelissimi dell’evento, che non perdono l’occasione più ghiotta in Italia di confrontare così numerose e diverse interpretazioni del re dei vini rossi.
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Olivier Krug Lo stile libero 12
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di Alberto P. Schieppati Un visionario, volitivo e anticonformista, che incarna appieno lo spirito della più celebre delle maison. Alieno da tecnicismi, il suo linguaggio comunica con grande chiarezza la storia di una passione, quella da cui è nata e si è consolidata la più "generosa ed elegante" espressione dello Champagne. Nato e cresciuto a Reims, sede della prestigiosa maison di famiglia, Olivier rappresenta la sesta generazione Krug: la sua responsabilità è sorretta da carattere e determinazione, in linea con la filosofia della maison fondata da Joseph Krug quasi centosettant'anni fa. Di Olivier Krug mi colpirono subito, al primo incontro, l’approccio conviviale e allo stesso tempo serio, vibrante, schietto, non convenzionale, in linea con la storia formidabile di una maison che ha attraversato tre secoli senza mai derogare da valori forti. Uno per tutti, la devozione totale alla qualità, volano fondamentale per l'affermazione di uno Champagne "molto speciale", il cui nome nel mondo viene associato a eccellenza, blasone, mito, leggenda, ma anche a coerenza, costanza e serietà. Ma di Olivier mi ha impressionato anche la straordinaria modernità, avvalorata da una attenzione estrema verso ogni fenomeno contemporaneo, compresi i social network, che - grazie anche all'attività dei Krug lovers di tutto il mondo - esercitano un passaparola particolarmente sofisticato. "Anche così si colgono opinioni, pensieri, esperienze di quanti, innamorati di Krug, danno il loro contributo all'apprezzamento dei nostri Champagne. I loro punti di vista - sottolinea Olivier rivelano un entusiasmo fenomenale, che rafforza il nostro legame con i Krug lovers di tutto il mondo". Durante l'ultima Krug Celebration, prima dell'estate, ho avuto ulteriore conferma, due anni dopo la precedente visita a Reims, di questo spirito libero che sa essere insieme appassionato e pacato, senza volere dimostrare nulla se non,
in modo naturale e disincantato, comunicare la propria totale, motivata e gioiosa soddisfazione di operare nella maison più celebre al mondo. E di poter vantare che tale grandezza non nasce da operazioni di marketing ma da un amore smisurato verso il piacere, di cui lo Champagne è il protagonista assoluto, il motore indiscusso. Credo che questa sia la principale mission che Olivier "si sente dentro"', ovvero quella di garantire, con la propria sensibilità, il proprio impegno e il proprio stile di impresa, il "piacere totale" che ogni bottiglia di Krug consente di raggiungere a quanti vi si avvicinano. Le conversazioni in maison Krug, a cominciare dalla riunione sui risultati internazionali del brand (che dal 1999 fa parte del gruppo LVMH), in continua e progressiva crescita, si snodano liberamente, arrivando al dunque, senza bizantinismi, lontano da tecnicismi e da esasperate (e esasperanti) querelle per "addetti ai lavori". Anche qui sta la forza di Olivier (e della maison), capaci di trasmettere al mondo un'immagine vera, non artefatta né studiata a tavolino, segno di espressione di rispetto per la propria storia e di devozione
In alto, Olivier Krug (a destra) con al centro Margareth Henriquez, presidente della Maison Krug e lo chef de caves della maison Eric Lebel.
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autentica per la "filosofia Krug", vale a dire "il piacere sopra ogni cosa". La lunga e doverosa premessa su Olivier e sul suo approccio "non convenzionale" ci porta direttamente dentro all'universo Krug che, come sottolinea Eric Lebel, il carismatico chef de caves della maison, è contraddistinto, fra l'altro, dalla capacità "di selezionare uve da ogni singolo appezzamento di terra, che sia capace di esprimere fattori distintivi propri, insieme a una elevata, oggettiva caratterizzazione". E proprio da questa apparentemente semplice dichiarazione nasce uno dei più grandi Champagne di tutti i tempi, la Grande Cuvée: un blanc d'assemblage che rappresenta l'essenza stessa dello stile della maison. Prodotto grazie al fine assemblaggio di oltre centoventi vini di differenti vendemmie, vecchi fino a quindici anni, matura poi per sei anni nelle cantine. Il risultato finale della Grande Cuvée, messo alla prova della degustazione, è sorprendente, capace di esaltare lo stile Krug, grazie a tostature che tendono al caffè, a sentori di cioccolato, spezie, burro, il tutto perfettamente riassunto in una spiccata mineralità, resa affascinante dalle perfette note mature che rendono memorabile ogni degustazione. All'arrivo a Reims per la Krug Celebration, il benvenuto non poteva non avere la Grande Cuvée come protagonista:
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a Le Jardin, a Les Crayères, una brasserie molto frequentata e di tendenza, dalla cucina tanto informale quanto acutamente moderna, le prime bollicine di benvenuto hanno testimoniato la vivacità con cui la maison accoglie la stampa internazionale. Grande Cuvée è oggi il nome che meglio esemplifica lo stile Krug: Blanc de Blancs d'assemblaggio, Pinot noir, Chardonnay, Pinot meunier, la cuvèe è ricca ed elegante, opulenta e generosa, anche quando proposta in abbinamento ai piatti del grande Arnaud Lallement, meritatamente tristellato Michelin (da quest'anno!), executive chef dell'Assiette Champenoise di Reims: una cena indimenticabile in un ristorante gourmet che ha visto protagoniste bottiglie fuoriclasse e grandi annate, a cominciare da due fantastici Krug 1998 e 2000, preceduti da Krug 2003, superbo, per arrivare poi a formidabili, preziose, interpretazioni della Grande Cuvèe, rispettivamente Mémoires, Richesse e Equilibre, abbinate a Sampietro, carciofi e prezzemolo, un piatto dai sapori armonicamente equilibrati, di Lallement. Così, lo stile Krug ha rivelato inedite sfaccettature, regalando una portentosa testimonianza storica, da libro dei sogni, offrendo l'opportunità di cogliere differenze squisitamente legate alla selezione e alla quantità di vins clairs e vini di ri-
serva utilizzati nell'assemblaggio. Un'esperienza indimenticabile. Così come la degustazione di Krug Rosè (magnum), che ha preparato con garbo e eleganza alla bottiglia successiva, un ancora potente e roboante Krug Collection 1981: straordinario per i suoi vivi sentori di crosta di pane arrotondati da una soave cremosità.... Uno Champagne ancora vivace, gioioso, che evolve in continuazione senza cedere al tempo che scorre.... Del resto, ogni momento della Krug Celebration è stato contrassegnato da rivelazioni e conferme: la visita a Mesnil sur Oger, il piccolo fascinoso vil-
laggio a trentacinque chilometri da Reims, dove nasce il mitico Clos du Mesnil, ci ha permesso di riconoscere l'espressione più acuminata della filosofia Krug: nello spazio di 1,84 ettari, cinti da antiche mura, nasce uno Champagne senza uguali. Un solo vitigno, lo Chardonnay, una sola vigna, prodotto con i vini di una sola annata. E l'intuizione di Henri (padre di Olivier) e Remy Krug che, nel 1986, lo presentarono, pochi anni dopo avere scoperto questo clos, generosamente capace di regalare emozioni straordinarie grazie alla potenza di uno Chardonnay eccezionale, si rivelò
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vincente. Un millesimo puro, elegante, floreale, delicatamente minerale, fresco e ricco, persistente e sontuoso, in linea con l'opulenza gustativa tipica della maison. "In perfetta sintonia con lo stile Krug" è il commento unanime di chi lo degusta con ricorrente competenza. Abbinato a piatti innovativi, con le verdure protagoniste, cucinate con tecniche molto rispettose dei sapori, dallo strabiliante chef Jérôme Bigot, il Clos du Mesnil 2000 si è rivelato ancora superiore alle più rosee aspettative, mentre il 1998 ha mostrato una grande tenuta nel tempo, sottolineata da una acidità perfetta: uno Champagne definito da molti "nobile e aristocratico" ma anche capace di catturare il grande pubblico degli champagnisti o, meglio, dei krughisti più ortodossi. Anche la visita al villaggio di Ambonnay, per una degustazione "open air", si è rivelata esperienza singolare: qui, dove nasce lo Champagne più pregiato della maison, abbiamo assaggiato tre millesimi portentosi: Clos d'Ambonnay 1995, Clos d'Ambonnay 1996, Clos d'Ambonnay 1998. Magia del Pinot noir, capace di dare simili risultati! E tutto nasce in un Clos infinitesimale, 0,68 ettari, vanto prezioso della maison che ha il coraggio di presentarsi sul mercato con etichette destinate a pochissimi fortunati intenditori, sparsi in tutto il mondo. Il carisma, l’autorevolezza, lo spirito contemporaneo della maison trovano eco nelle parole di Margareth Enriquez, la geniale, brillante
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presidente e CEO di Krug che, presente con assiduità ad ogni evento, ha detto, durante la cena all'Assiette Champenoise: "La filosofia, lo stile e la storia che mi circondano, mi catturano giorno dopo giorno in una atmosfera raffinata e di grande charme e mi inorgogliscono profondamente. Vivere questa realtà straordinaria richiede una straordinaria attenzione per i dettagli, valore che, da quasi centosettant'anni, accompagna l'essenza della maison e di quanti vi lavorano. Joseph Krug, il fondatore, aveva preso molto seriamente il suo sogno. A noi spetta il compito di perseguire questo obiettivo, lavorando con la stessa serietà e costanza per realizzare, giorno dopo giorno, prodotti di eccellenza, eleganza e piacere".
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ph. Galloni ©
Monte delle Vigne Doc dai Colli di Parma
Schieppati). Sono loro gli artefici del progetto Monte delle Vigne, avviato in Un lembo di terra dal terroir unico, principio da Andrea Ferrari, e portato per chi sa vedere lontano e sa "ascol- poi a pieno compimento con il contritare" il territorio e rispettarlo, può buto di Paolo Pizzarotti, un progetto concrettizare il sogno di produrre nato con l'obiettivo di produrre grandi vini d'autore. Sui Colli di Parma la vini lavorando su vitigni autoctoni. cantina Monte delle Vigne ha saputo Esemplare la nascita di Nabucco, un valorizzare il vitigno autoctono e grande rosso affinato in barrique per creare vini dalla forte personalità. E un anno, incontro sapiente tra Barbera, realizzare un nuovo e interessante 70%, e Merlot, 30 %, a cui si affianca Callas, altra punta di diamante delprogetto "milanese". l'azienda: una Malvasia di Candia in Di Andrea Ferrari e Paolo Pizzarotti purezza vinificata ferma e affinata in Artù ne aveva già tessuto le lodi (vedi acciaio per sei mesi. Ed è dopo la numero 55, pag. 30, di Alberto P. creazione di questi vini, simbolo di un di Elisa Facchetti
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ritorno all'origine e all'essenza, che nel 2004 entra in scena Paolo Pizzarotti, portando in dote un podere di 100 ettari e ampliando così la superficie vitata di Monte delle Vigne. La produzione, parlando di rossi, regala oggi due Lambruschi dalle eccezionali caratteristiche. Il Calanchi è un Lambrusco Doc, dove la sigla Doc rappresenta la vera rivoluzione poichè come spiega Andrea Ferrari: "Significa che quel Lambrusco, quelle uve da cui è stato ricavato, sono state prodotte e vinificate nella zona Doc dei colli di Parma e non in qualsiasi altro luogo dell'Emilia Romagna". E continua: "Il Lambrusco Doc Colli di Parma rappresenta proprio questo: da uve Maestri un rosso unico per il suo temperamento, la sua eleganza e la finezza così tipica da essere quasi irripetibile. Quando lo si incontra difficilmente lo si dimentica: le espressioni di frutta rossa e i sentori del sottobosco escono nitide e pulite, con una percezione asciutta e netta. Le note dolci scompaiono per lasciare spazio ad un più serio equilibrio fatto di eleganti tannini e finissima freschezza, il tutto a sostenere un frutto maturo ed elegante. Incontrare questo vino significa aver fatto quel percorso che porta il consumatore appassionato a cercare qualcosa in più dal vino, quelle
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sensazioni vere non mediate da 'soluzioni di cantina' espressioni uniche date dalla terra e gelosamente difese dal produttore, vera ricchezza di ogni vino che ha un legame stretto con il proprio terroir". La tradizionalità territoriale e il forte richiamo alla Doc identificano dunque la matrice da cui tutto nasce e la base per creare vini dalle spiccate caratteristiche autoctone. Ed è così che continua la sperimentazione nel mondo del Lambrusco, questa volta con una produzione limitata: i Salici. Lambrusco rifermentato in bottiglia, è un vino naturale che rappresenta "un ritorno al passato con un piede nel futuro – spiega Andrea -, perchè per noi il Lambrusco sarà sempre quello meno contaminato dagli interventi in cantina". La grande territorialità, espressa egregiamente nella produzione di Lambruschi e non solo, trova eco in un progetto ben più ampio che ha l'obiettivo di abbracciare tutto il territorio
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dei Colli di Parma per celebrare la cultura enogastronica apprezzata in tutto il mondo per la produzione di specialità eccellenti. Nasce così a Milano, in Piazza Città Lombardia 1, 2D Parma, il nuovo brand di Monte delle Vigne e Noi da Parma: il locale è situato al piano terra del Palazzo Lombardia, sede degli uffici della Regione, e offre, in un ambiente gradevole e confortevole, la possibilità di pranzare, anche all'aperto, con più di 300 posti a sedere. "Eat, drink & take away" è il claim del nuovo brand, un tempio del gusto dove poter assaggiare il migliore Parmigiano Reggiano con differenti stagionature, 18, 24 e 30 mesi, oltre ad una selezione di formaggi affinati italiani, sia di mucca, sia di pecora e ovviamente ottimi salumi, come il Prosciutto di Parma, il Culatello di Zibello e il Salame di Felino, la Spalla Cotta, lo Strolghino, il Fiocco di Culatello e la Coppa di Parma, oltre a specialità da abbinare a salumi e a formaggi. Il tutto accompagnato dai vini Monte delle Vigne: "Con un mio amico produttore – racconta Andrea Ferrari – abbiamo aperto 2D Parma. Io ci metto il nostro vino, lui il suo formaggio, insieme raccontiamo Parma come dovrebbe e potrebbe essere". Non resta che provare!
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Italiani in Svizzera Cinquant’anni di Zanini di Rocco Lettieri Evento memorabile a Ligornetto, in Canton Ticino. Produttore vinicolo e distributore di etichette prestigiose sul mercato svizzero, Luigi Zanini ha festeggiato con famiglia e aziende vinicole i grandi traguardi raggiunti. L’incontro è stato un’occasione per degustare vini di altissimo valore e gustare un pranzo “stellato” ad opera di grandi chef ticinesi. 1 Giugno 2014: data da segnare sul calendario per il Canton Ticino. Stupenda giornata di sole per i festeggiamenti del Giubileo della Zanini, presso la sede di Ligornetto, dove già a partire dalle ore 10.00 della mattina sono arrivati circa 500 ospiti provenienti da ogni parte della Svizzera, Francia, e dalla vicina Italia. Ma non mancava anche una delegazione di ospiti giapponesi. Amici, colleghi produttori, giornalisti hanno potuto degustare circa 140 vini, a bicchiere, alla presenza dei 42 produttori
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stranieri rappresentati nel loro listino “Opera” n. 50. A dare il saluto, a metà del pranzo a buffet, sotto una grande tenda, con comode poltroncine e divani in pelle, è stato Luigi Senior che ha salutato gli ospiti con a fianco il figlio Luigi Junior con le rispettive mogli, Liliana e Raffaella, e la piccola Luna. “Cinquant’anni e non sentirli... grazie all’apprezzamento di tutti. Determinazione, lungimiranza, tenacia, passione, e magari anche un pizzico di fortuna che non guasta! Questo il mio segreto da quando iniziai l’attività nel lontano 1964. Le aziende sono fatte di persone che hanno dentro qualcosa che le distingue una dall’altra - l’anima - e di questo vi voglio parlare. Ho trascorso gran parte della mia vita (50 anni) nel settore vitivinicolo, un’avventura entusiasmante coronata da successi che giorno dopo giorno mi hanno stimolato a continuare nella ricerca di nuove proposte, confermandomi che la strada intrapresa nel 1964 era quella giusta. Cinquant’anni sono passati e ancora oggi, in azienda, l’entusiasmo
è lo stesso, la voglia di crescere e migliorarci ci accompagna ogni giorno, come fosse il primo. Questo grazie anche alla dedizione di tutto il personale dell’azienda, ma anche alla collaborazione dei partners esterni, alla fiducia dimostrata dai clienti, tutti indistintamente uniti allo scopo di raggiungere un successo condiviso, all'insegna della qualità! Un grande ringraziamento alla mia famiglia, sulla quale ho sempre potuto contare, e che prima di tutti mi ha sostenuto con affetto durante questi anni. Infine, a Luigi Jr, un pensiero particolare: spero di essere stato un bell’esempio per te che mi hai seguito fin qui. Io ti seguirò nel futuro”. Un discorso intenso, ben scandito, che ha prodotto un applauso scrosciante da parte dei numerosi ospiti presenti. Il menu proposto è stato davvero all’altezza di un Giubileo. Iniziato alle ore 12.30 è stato realizzato da sei chef tra i più blasonati del Ticino: Ambrogio Stefanetti della Vecchia Osteria Seseglio; Andrea di Lugano; Lorenzo Albrici della Locanda Bertarini del Conca Bella di Vacallo; Orico di Bellinzona; Raffaele Giannone Dario Ranza della Villa Principe Leopoldo del Bottegone del Vino di Lugano (presente al completo anche con il personale di sala e di cucina) e Martin Dalsass, ex Santabbondio di Lugano, ora al Talvo di Campfer di St. Moritz. Questa la successione dei piatti: Salumi del Pin (selezionati da Angelo Valsangiacomo di Mendrisio) e frivolezze salate; a seguire tre primi: ri-
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Zanini, passione di famiglia La famiglia Zanini ha festeggiato domenica 1 Giugno il Giubileo, i primi 50 anni di attività. Una giornata voluta e vissuta con gioia per chi ha operato, lavorato e sudato, per poter arrivare a questo meraviglioso traguardo. Abbiamo incontrato Luigi Zanini senior e Luigi Zanini junior, a cui abbiamo rivolto alcune domande.
sotto Carnaroli “Riserva Gallo” con pistilli di zafferano e zucchine in fiore; cavatelli ai frutti di mare; busecca alla casalinga; ancora tre secondi: merluzzo nero nel suo brodetto mediterraneo; carré d’agnello bourbonnais arrosto alle erbe; tagliata di black angus irlandese cotta sull’osso al pepe “Valle Maggia”. Per finire, prima dei dolci, la selezione dei formaggi: buscion della Valle di Muggio, formaggella della Leventina e tre stagionati d’alpeggio: Piora, Formazzora e Bresciana. A conclusione per dessert: zabaglione con amaretti e frutti di bosco; crostate della Carole; fragole e ciliegie. Il tutto abbinato al 2008 Brut Franciacorta Docg dell’azienda Bellavista di Erbusco, servito per tutto il tempo del pranzo e, a volontà, per chi lo desiderava, i vini importati che hanno continuato ad essere a disposizione degli ospiti nella contigua sala sempre alla presenza dei produttori ben disponibili ad illustrarne le caratteristiche organolettiche. Per tutto il tempo ha cantato ed allietato il pranzo la voce meravigliosa di Elisa Maffenini e una “suonatina” di fisarmonica ticinese. All’uscita, caffè e grappe della Zanini e della Poli e per rinfrescarsi il palato, il carrello dei gelati. Un plauso ai circa 50 tra sommeliers presenti della ASSP con in testa Piero Tenca e Savino Angioletti e chef con le loro brigate. www.zanini.ch
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Cosa sta a significare per Voi questo importante traguardo? Per me e per la mia famiglia è una grande emozione ripercorrere i lavori e i sacrifici fatti in terra straniera in momenti difficili, sia per la giovane età che avevo, sia per la mancanza di cosa poter fare in futuro - ci dice Luigi senior -. Ho iniziato nel campo del commercio del vino e per una decina di anni ho cercato, come si diceva una volta…di acquisire il mestiere. Il mio motto ancora oggi è: osservare e progredire. Verso la fine degli anni ’80, ho voluto passare dal commercio alla produzione diretta. Erano tempi dove il vino ticinese era quasi vino da grotti, ancora senza una vera fisionomia. C’era gente che voleva fare il vino ticinese, morbido e leggero, come la Dôle, per venderlo più fretta, ma io che avevo fatto un po' di studi prima in Italia e poi in Francia, a Bordeaux, con Sergio Monti, Giampiero Carlevaro e Fabio Arnaboldi, ho puntato subito a prodotti di qualità e nel giro di cinque anni ho proposto sul mercato una gamma di vini ticinesi di ottimo livello con un vino di grande impegno e spessore, il primo Vinattieri rosso della vendemmia 1985. Un vino che mi ha dato molte soddisfazioni e che oggi possiamo dedicare alla nostra cara nipotina, Luna, che ha 3 anni. Ma qual è stata la molla che ti fatto cambiare rotta? Mi sono ispirato ai guai del Ticino di quegli anni, quando c’era stato un esubero esagerato di vini e le cantine non sapevano più dove metterlo. Sono stati usati addirittura anche i vagoni della Ferrovia per stoccare i vini. Mi sono detto che era il momento buono per poter buttarsi a capofitto, acquistando prima le uve e poi ancora le prime vigne. Non volevo seguire delle strade che esistevano già. Io dovevo fare qualche cosa di diverso se volevo aprirmi un
mercato. Nel contempo, anche con l’aiuto di mio figlio, che è entrato da subito in azienda, a solo 20 anni, dopo gli studi, abbiamo creato un’azienda importante sia nel settore dei nostri prodotti, sia nella distribuzione. Piano piano siamo diventati un’azienda che dà lavoro a ben 72 persone e che conta un centinaio di ettari di vigneti da gestire con una gamma di vini di altissima qualità, prodotti con una mentalità francesizzante che applichiamo sia in vigna che in cantina, ma anche nella scelta del packaging e delle etichette. Cinquanta anni che ci hanno portati anche a cambiare il nostro logo rafforzando la nostra "Z", per ricordare l’insegna Zanini. Avete mai pensato ad una collaborazione tra produttori come succede in Francia? In Ticino è difficile pensare come in Francia. Loro hanno una storia fatta anche di piccoli appezzamenti di diversi “terroir”, piccole proprietà, ma catalogate e schedate sin dal 1855. Noi abbiamo una vita enologica centenaria fatta quasi sempre da viticoltori piccoli, quasi hobbysti, che hanno sempre venduto le uve. Anche i grossi produttori non sono grandi proprietari di terreni e quindi realtà completamente diverse da quelle di Francia. Poi i francesi sono bravi perché si muovono insieme, ma qui da noi è difficile perché ognuno fa per se. Come vedi il Ticino oggi e cosa si potrà ancora fare per migliorare il vino ticinese? Oggi siamo a circa 1080 ettari vitati in otto distretti, diversi tra loro per clima, terreno, esposizione, ecc. Solo su la metà di questi ettari si possono fare grandi vini, se si è capaci; sugli altri ettari si possono fare buone uve, ma non per grandi vini. Quindi bisognerebbe definire meglio il “terroir” con le varie zone A e zone B. Luigi jr, tu cosa ne pensi di questi nuovi personaggi del vino? È una moda o un vero lavoro? Penso che sia una buona cosa questo ritorno di giovani all’agricoltura perché si ritorna a fare vigna dov’era scomparsa. C’è più cultura del vino, c’è più interesse per come bere vino, c’è internet che ci bombarda, ci sono incontri a cui non si può man-
care e alla fine però si perde il focus, cioè il motivo principale che è quello di fare vino di grandissima qualità che è la solo salvezza per poter poi vendere. Fare mediocrità non serve a nessuno. C’è poi da dire che questi giovani vogliono subito vendere i loro vini a prezzi elevati. È scoppiata una moda e non è un male, ma bisogna usare prudenza perché il vino si può fare, ma si deve poi vendere e l’errore che si fa è quello del prezzo troppo alto senza avere dietro una storia. Luigi jr, 42 anni e 22 nel vino? Passione o obbligo? Potevi fare altro. Com’è scatta la molla? Io sono nato nel campo del vino, sento ancora i profumi dell’uva appena pigiata, porto con me i profumi del mosto ed ho sempre pensato di fare il vitivinicoltore. Mi piace quello che faccio perché lo faccio con tanta passione, ho a cuore i prodotti che facciamo, li seguo, e cerco di avere tempo per poter lavorare confrontandomi e per poter avere anche un momento di sorriso da offrire. Ogni giorno è una battaglia perché non siamo più al tempo del cavallo e bisogna viaggiare a 200 all’ora (ma non lo dico a mia moglie Raffaella) per poter stare aggiornati nel nostro mondo. Il futuro è difficile per le nuove tendenze che cambiano quasi giornalmente e stare dietro a tutte queste novità toglie spazio a quello che dovrebbe essere il vero primo lavoro: stare a contatto con chi opera con te e con chi dovrà
consumare il tuo prodotto. Ti ritieni un ottimo conoscitore di vino? Debbo dire che mio padre mi ha indirizzato bene in questo settore ed ho avuto oltre al “Maestro” anche un padre generoso che ha investito molto per potermi fare capire cos’è la qualità. Ancora oggi, quasi tutti i giorni, ci dobbiamo ritagliare uno spazio di tempo per i vini che vanno degustati da quelli che importiamo a quelli nostri che vanno seguiti per gli assemblaggi man mano che maturano per essere imbottigliati. Ma chi è il più bravo dei due nelle degustazioni? Veramente da anni degustiamo insieme e da sempre ci piace fare confronti per poter sempre migliorare la nostra capacità di capire se un vino è buono adesso e se può avere futuro. Non mi piace dedicare troppo tempo per prendere appunti perché perderei momenti buoni per degustare altri vini. La capacità di concentrazione è più importante che scrivere, anche se tutto quello che degusto viene scritto. Su chi è più bravo mi permetto con presunzione di dire che siamo pari. Io con tanta voglia ancora di apprendere e lui già molto sazio di tutto quello che gli ha offerto questa stupenda attività. Il nostro migliore investimento è stato quello di spendere soldi per acquistare vini cari perché solo così ci siamo potuti fare le basi delle nostre conoscenze.
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di Stefano Bonini Una piacevole sensazione di stupore. È il mood che ci siamo portati dentro dopo aver “scoperto” il comprensorio del Primiero, un angolo di Trentino non sempre sotto i riflettori turistici nel cuore delle Dolomiti. All’ombra delle imponenti e maestose Pale di San Martino, da Passo Rolle a Mezzano, da Fiera di Primiero alle valli Canali e del Vanoi, ci è stato svelato uno scrigno di tesori nascosti fatto di malghe, agriturismi, birrifici artigianali, presidi Slow Food e ristoranti gourmand. Siamo nella parte più orientale del Trentino al confine con il Veneto, in un territorio dalla natura abbondante e generosa: sorgenti, laghi, pascoli e foreste alberate sono l’habitat perfetto per alcune produzioni gastronomiche di eccellenza. Soprattutto quella casearia, che ha nell’incredibile Botìro di Primiero di Malga la sua punta di diamante. Un burro (dal dialetto botìro) unico che ai tempi della Serenissima era il migliore in vendita a Venezia. Prodotto con panna cruda, affiorata naturalmente, e proveniente solamente da pochissimi alpeggi selezionati, è Presidio Slow Food dal 2009. Questa produzione ha rischiato di perdersi, ma è stata rilanciata con grandi sforzi dalla preziosa attività del Caseificio Comprensoriale di Primiero che, con il sacrificio (una famiglia di casari trascorre tutta l’estate in malga a quasi 2.000 metri), l’accuratezza e la competenza ha ridato vita al Botìro. Per ammirarne la lavorazione e la produzione, rigorosamente limitata al periodo dell'alpeggio, tra giugno e settembre, si deve salire fino agli oltre 1.800 metri della Malga Fossernica di Fuori, da cui si gode anche un incredibile panorama di tutta la Valle del Vanoi. Ma ci sono anche altri incredibili formaggi di qualità in questo territorio: il Primiero fresco e stagionato, con latte vaccino crudo; il Fontal, formaggio semiduro sempre di latte vaccino, e la Tosèla una cagliata fresca tradizionalmente gustata a fette rosolate e fritte nel burro. La bontà di questi formaggi, così come quella della
carne locale, è garantita in particolare da una classica razza bovina di montagna, una delle più vecchie abitanti delle Alpi: la Grigio Alpina. Si tratta di un tipo di bovino di taglia e peso medi, forte, rustica e frugale. Storicamente considerata razza a triplice attitudine (latte, carne e lavoro) oggi la Grigio Alpina viene allevata sia per la produzione di latte (caseificazione e consumo diretto fresco) che di carne di ottima qualità. Dal 2011, dopo essere stata riconosciuta a rischio estinzione, per la sua valenza è diventata anch’essa presidio Slow Food. Un’altra chicca da foodies ci è stata regalata a Mezzano di Primiero (inserito nel circuito de “I Borghi più Belli d’Italia”). Qui, nella parte bassa della valle, da poco più di un anno ha aperto il Birrificio Bionoc (l’unico birrificio Trentino ad essere alimentato solo ed esclusivamente ad energia da fonti rinnovabili, certificato “Greenway”). Scelta la non banale via dell'alta fermentazione, in contrasto con le basse fermentazioni tanto popolari in Austria e in Baviera, con un amore e una passione per la birra che risale alla comune esperienza all’Università della Birra di Azzate, i due giovani mastri birrai Fabio “Bio” Simoni e Nicola “Noc” Simion producono già
Nella pagina a lato: colazione con Botìro di Primiero di Malga (foto stradadeiformaggi.it) Qui sopra: razza Grigio Alpina al Passo Rolle (ph Alessandro Trovati - Archivio ApT S.Mart). A lato: malghe d’autore (foto stradadeiformaggi.it).
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quattro intriganti birre: Staiòn (una Saison), Alta Vienna (una Belgian Ale), Lipa (una IPA) e Nociva (una Scotch Ale con ben sei diversi tipi di malto). Una gamma che già adesso è in grado di conquistare i gusti degli amanti delle birre artigianali … anche i più evoluti. Che siate in bici, moto o auto, ogni mezzo va bene per godersi questo itinerario tra le montagne del Primiero, e tra le soste ideali per godere dei migliori prodotti locali (ma non solo) ecco tre indirizzi da non perdere: • per una indimenticabile merenda immersi nella natura del Parco Naturale di Paneveggio - Pale di San Martino, in compagnia degli asini, è obbligatoria una sosta all’Agritur Dalaip dei Pape (www.agriturdalaip.it). Un agriturismo quasi ad “economia chiusa” nel quale gustare le loro eccellenti produzioni di formaggio, confetture, frutta e ortaggi; • per un pranzo non banale si deve invece andare al ristorante dell’Hotel Castel Pietra (www.hotelcastelpietra.it). Qui la passione di Renzo e Sonja Esposito, abbinata alla bravura dello chef Diego Lucian, hanno creato un idillio vincente in grado di esaltare la qualità delle materie prime. Presidi Slow Food, prodotti Dop, IGP e bio sono gli ingredienti alla base di una cucina che valorizza la tradizione, la alleggerisce e la arricchisce coraggiosamente anche con alcuni prodotti di mare. Il risultato non è banale, grazie anche a presentazioni ricercate e ad un luogo di grande gusto nell’architettura e negli arredi. Noi abbiamo assaggiato una delicata quiche alle verdure con crema al Fontal di Primiero e i gustosi filettini di maiale in crosta di Trentingrana, ma grandi classici sono anche il lombo di cervo con i memorabili
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funghi porcini di queste montagne e gli Qui sopra: polenta salsiccia e tosèla eccellenti piatti di mare come i gamberoni (foto stradadeiformaggi.it) e la fisarmoal lardo di Colonnata o la croccante nica di Max Gaudenzi a Mezzano. frittura delicata di paranza e calamari, gamberi e verdurine. Dolce finale, un delizioso semifreddo con crumble al pistacchio e pesche cotte all’amaretto. Carta di vini ben mirata e coerente con le proposte gastronomiche; • per una cena gourmand la tappa giusta è il ristorante Da Anita, cuore pulsante del nuovissimo e suggestivo Chalet Prà delle Nasse (www.ristorante-da-anita.com). Ristrutturato nel 2012, lo Chalet racchiude in sé tutto quello che ci si aspetta da un luogo speciale in montagna: calore, cordialità, comfort e quell’informale eleganza che lo fa sembrare una bella e ricercata casa alpina. La grande attenzione per i dettagli si nota tanto nelle ampie e accoglienti camere, tutte junior suite, quanto nel ristorante gourmet. Qui i piatti forti del vecchio locale si integrano a meraviglia con gli spunti più progressisti del giovane chef Michele. La nostra sosta gourmet è iniziata con la delicata tartare di manzo nostrano su casada tradizionale, verdure in agretto e croccante al pane casereccio. A seguire una zuppa di porcini, burrata e tartare di pomodorini al timo moderna e gustosa; quindi i classici tortelli alle grassole (spinaci selvatici locali) e ortiche selvagge, crema di burro e Grana Trentino stravecchio. Perfette le costolette di maialino nostrano su zucchine grigliate, finferli e patate arrostite. E per concludere l’evocativo “Pale di San Martino”, ricco mix di cioccolato fuso, sorbetto al latte, gelato alla crema, meringhette, frutti di bosco e cialda croccante al cioccolato. Vini e distillati all’altezza.
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Carni inglesi, EBLEX sta con gli chef della ristorazione. Grazie agli accordi con storici clienti quali Jolanda de Sarà un autunno all’insegna delle Colò (carni a marchio St. George) e novità per Eblex, l’Ente che promuove Longino&Cardenal (carni a marchio l’industria inglese delle carni Ridings Reserve), le carni Eblex saranno (www.carneperfetta.it), un’anteprima proposte nei menù di molti ristoranti di un anno che condurrà ad Expo in Italia. 2015, palcoscenico mondiale dove “L’Italia ha sempre rappresentato un l’English Beef e l’English Lamb rap- ottimo mercato, sia per quanto riguarda presenteranno il meglio del settore la ristorazione che la grande distribuzootecnico inglese, un vero vanto zione, anche se non mancano le diffiper gli allevatori d’oltremanica, un coltà” afferma Jeff Martin, responsabile orgoglio per tutta una nazione che dell’ufficio italiano di Eblex. “Nonostante da secoli si identifica con la cultura la crisi siamo comunque fiduciosi per e la tradizione della pastorizia. il futuro perché l’Italia è sempre stata un mercato importante e siamo sicuri Le principali novità riguardano la pre- che continuerà ad esserlo. L’Inghilterra senza delle carni bovine e ovine sul è sempre più competitiva, l’industria mercato italiano: l’agnello inglese sarà delle carni è moderna e all’avanguardia di fatti presente in modo costante e offre prodotti di qualità che il consupresso i punti vendita Carrefour e Au- matore italiano sta apprezzando sempre chan, disponibile in tagli sottovuoto di più. In Italia lavoreremo con impornei banchi di carne fresca, mentre il tanti campagne di marketing e di comanzo inglese, carne particolarmente municazione a tutti i livelli”. pregiata ed apprezzata dagli chef, Presentazioni di nuovi prodotti, collasarà destinato perlopiù al mercato borazioni con chef di richiamo e un’imdi Theo Smith
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portante comunicazione digitale che coinvolgerà il sito internet e i social media saranno i primi passi della società inglese in questo autunno. Al centro di ogni messaggio la qualità: gli inglesi, da sempre popolo di grandi mangiatori di carne, hanno sviluppato una competenza e un affinamento nel garantire gusto e tenerezza alla carne che non ha eguali. Non solo, i controlli sull’intera filiera sono molto severi e tutti i produttori rispettano con grande attenzione le misure di sicurezza alimentare che vanno dall’allevamento fino all’esportazione. Proprio in quest’ottica il marchio Quality Standard, istituito nel 2005 da Eblex, è stato introdotto per garantire al consumatore la sicurezza e la provenienza della carne acquistata. Il marchio, infatti, si propone di differenziare manzo e agnello “Eblex-Quality” dalla carne “comune”, favorendo così in modo diretto e significativo lo sviluppo di un’industria delle carni di qualità.
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Massimo Spigaroli La mia cucina fluviale
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Antica Corte Pallavicina
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di Alberto P. Schieppati Spirito di impresa, passione per le tradizioni, amore per la terra, ma anche attenzione smisurata alle nuove tendenze del gusto. Secondo Spigaroli, lo chef che ha restituito immagine e vitalità a un prodotto straordinario come il Culatello di Zibello DOP, la cucina va vista nella sua evoluzione, strettamente legata alla memoria e al territorio ma anche saldamente legata alla riconoscibilità dei sapori, dati dalla unicità identitaria del luogo.
Il Cavallino Bianco esiste ancora, è un ristorante tradizionale sapientemente gestito dal fratello Luciano, mentre Massimo ha preso le redini dell’Antica Corte Pallavicina, ristorante stellato e relais ricavati nel trecentesco castello Pallavicino che i due fratelli decisero di acquistare nei primi anni Novanta. “Il legame con il castello è di antica data perché il mio bisnonno, dopo aver lasciato il podere del Maestro Giuseppe Verdi, venne qui a svolgere la sua attività di agricoltore - racconta lo Lo senti parlare e sembra che abbia chef -. Abbiamo impiegato vent’anni a vissuto da mille anni in questi suoi restaurarlo, investendo anno dopo anno luoghi sulla riva destra del Grande parte dei nostri guadagni, ma ne è Fiume, talmente è vasta la sua cono- valsa la pena”. scenza degli usi e costumi di questa Ne è davvero valsa la pena, e ben lo striscia di terra che lambisce il Po e sanno le centinaia di turisti stranieri che va sotto il nome di Bassa Parmense. che la eleggono a privilegiata dimora Invece Massimo Spigaroli, chef patron nei loro tour italiani. Per gli ospiti è dell’Antica Corte Pallavicina, è un figlio una base di partenza e arrivo per le degli anni del boom economico, che città d’arte che si raggiungono facilmente qui era arrivato sotto forma di dancing da qui - Mantova, Parma, Cremona, all’aperto con ristorante annesso, aperto Busseto e i luoghi Verdiani - ma anche dai suoi genitori nel 1961 sulle rovine per lo shopping nel quadrilatero della del vecchio lido (un piccolo chalet moda milanese o nel vicino outlet Figestito dalla famiglia Spigaroli fin dal denza Village, dove quest’estate Massi1920) con il nome di Cavallino Bianco. mo Spigaroli è stato protagonista di “Ci sono passati tutti” ricorda Massimo un temporary restaurant voluto dalla Spigaroli, sfogliando l’album in cui lui Fondazione Altagamma che racchiude e suo fratello Luciano, giovanissimi aiu- il top del Made in Italy. Per poi tornare tanti di famiglia, sono ritratti con Giorgio al tardo pomeriggio, inforcare la bicicletta Gaber, Caterina Caselli, Luciano Tajoli che viene messa a disposizione al moe molti altri ancora, fino ad una gloriosa mento dell’arrivo e fare una scampaselezione di Miss Italia. gnata sugli argini prima della cena nel
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ristorante, segnalato ormai da tutte le guide internazionali. Ed è proprio lì che va in scena l’incredibile cultura gastronomica di Massimo Spigaroli. Nella sua cucina la quasi totalità degli ingredienti arriva dalla loro azienda agricola: dai celeberrimi salumi, Culatello di Zibello DOP in testa (di cui, va ricordato, Massimo Spigaroli è stato colui che lo ha portato alla fama internazionale, evitandone l’estinzione produttiva a cui stava andando incontro), agli animali da cortile che scorraz-
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zano liberi negli ampli spazi dell’azienda ai maiali di razza nera parmigiana (altro recupero di cui va dato merito); dalle vacche bianche che pascolano placide nella golena del Po in cui è collocata l’Antica Corte Pallavicina, ai vigneti di Fortana che la famiglia Spigaroli ha ripiantato nella Bassa, ricavandone una serie di vini da premio. Per non dire delle paste, preparate fresche ogni giorno dalla giovanissima brigata che affianca lo chef, governata dal sous chef Angelo Durante e dal pastry chef Antonio Montalto. Un’impresa giovanile che in sala porta i nomi di Stefano Triuzzi, maître, e Silvia Pezzelato, som-
melier, mentre all’accoglienza ci pensano Giovanni Lucchi e Zeno Ferrari. Ma torniamo alla visione culinaria di massimo Spigaroli che, con il suo concetto di evoluzione del territorio, ha dato una precisa identità ai suoi menu. “L’evoluzione del territorio l’ho applicata in apertura del ristorante, nel 2011 (dopo pochi mesi arrivò la prima stella Michelin ndr), e consisteva nell’ideare un nuovo modo di presentare i piatti della tradizione di questi luoghi, dove l’alimentazione è stata, per anni, sussistenza prima di evolversi in piacere. E al piacere va data anche una forma estetica. Questa era la prima esigenza” spiega Massimo Spigaroli. Ma dal momento che il personaggio rappresenta la quintessenza della determinazione e dell’ecclettismo, la ricerca non si è fermata e forse, più che di ricerca, si deve parlare di ricordo e di individuazione dei sapori, come racconta lo chef. “Oggi amo definire la mia cucina gastro-fluviale, per quanto è strettamente legata alla terra e ai suoi umori, umidità compresa. Va vista nell’evoluzione del sapore, che deve diventare a tutti i costi l’elemento identificativo. Un sapore fatto da ingredienti, passaggi di preparazioni e sistemi di cottura che non permettono di cucinare in nessun altro modo”. Massimo Spigaroli, ai tanti ragazzi che vogliono lavorare con lui, che passano nelle
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sue cucine per uno stage, che restano nella sua brigata dice sempre che “il frigorifero della tua cucina è l’orto” e di non stupirsi se si trovano con le scarpe infangate perché la terra non è un pavimento ignifugo. “In queste terre, nei secoli scorsi, le case non si potevano costruire con i sassi perché non ce n’erano. Nascono i primi forni per cuocere i mattoni fatti con la
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terra del Po e quei forni hanno connotato anche le modalità di cottura”: ne è esempio la faraona cotta nell’argilla del Po avvolta in fette di Culatello che lo chef ha riproposto nella sua cucina gastro-fluviale. “Non si va più al ristorante come necessità o come ricorrenza. Le persone che scelgono di mangiare fuori casa lo fanno ormai per vivere un’esperienza e la mia scelta è quella di puntare tutto sul sapore. Da noi è quello antico, fatto di verdure fresche, animali da cortile, carni del territorio e pesci del fiume lavorati con semplicità, ma con forte senso dell’estetica, tali da rendere immediatamente riconoscibili i sapori” precisa Massimo Spigaroli. Entrambe le cose si evidenziano fin dalle prime battute della visita all’Antica Corte Pallavicina, mentre ci si reca magica visione a cui mai ci abituiamo - alle cantine dei culatelli: uno straordinario esempio di architettura gastronomica e, come dice Sgarbi, dove i maiali, sacrificandosi, diventano architetti.
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Aqua Crua Latino o vicentino?
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di Alessandra Piubello Gustosa, succulenta, croccante, ma anche leggera: la cucina “innocente” di Giuliano Baldessari punta direttamente sulla soddisfazione del cliente gourmet, in virtù di valori autentici: freschezza, sapori, semplicità. Sulla base di questi valori essenziali è partita l’esperienza di questo ristorante sui Colli Berici, in provincia di Vicenza. Inutile dirlo, le aspettative sono molte. Il talento è una fonte da cui sgorga acqua sempre nuova. “Prima di scorrere ed espandersi, l’acqua riempie ogni interstizio della terra. Il nobile si rinforza prima di passare all’azione. È bene conoscere il proprio cuore. Raggruppate le vostre energie e riunite le persone vicine, per dare vita ad un’unica forza più grande delle difficoltà” (Ludwig Wittgenstein). Il ventinovesimo esagramma dell’I Ching (il Libro dei mutamenti, testo sacro in Cina), che corrisponde all’acqua, K’An, sembra scritto apposta per lo chef patron Giuliano Baldessari e il suo nuovo corso di vita. La storia precedente alla rinascita cristallina, Aqua Crua, è altamente propedeutica: un lungo viaggio (navigando anche in crociera) per approdare a stellati della fama di Aimo e Nadia, Marc Veyrat e, ultimo, al decennale rapporto come sous-chef dell’enfant prodige Massimiliano Alajmo. Alle Calandre, fucina di talenti, Giuliano conosce, in diversi momenti, i compagni della nuova avventura: Simone Poser, il suo secondo, e Gloria Dianin, sommelier responsabile della sala. Quando il tempo è propizio, le coincidenze opportune accadono. Alla ricerca del suo genius loci, arriva a Barbarano Vicentino, ai piedi dei Colli Berici. L’incontro casuale con l’imprenditore Francesco Dal Toso chiude il cerchio: Aqua Crua, dopo due anni di gestazione, zampillerà alla vita. Aqua, in latino, e crua, in dialetto vicentino: lingua nobile e volgare unite, per un contrasto vitale. L’acqua come simbolo di trasparenza, di leggerezza, di benessere, come materia origine della vita; matrice, madre e mezzo. Cruda, in quanto vera, reale, senza filtri: al naturale. Giuliano
non lascia nulla al caso, segue in prima persona tutto il progetto. Studia le luci (puntano dirette sul tavolo, si accendono quando il cliente arriva, si spengono quando se ne va, dando una sensazione di intimità), sceglie un arredamento minimale e informale (in sala massimo 46 coperti), colori caldi, una parete intera di piante vive per far entrare la natura, e soprattutto elimina tutte le barriere tra cucina e sala. Trasparenza, flusso libero, scambio creativo e umano. Giuliano conosce il suo cuore. Prima di essere chef, è uomo dall’animo fanciullino, un vero creativo. “La cucina deve spogliarsi dell’inutile per ritrovare la stessa innocenza che il bimbo ha nel raccontare il suo piccolo mondo”. Un piatto nuovo per lui non ha bisogno di chissà quale impegnativo e sfibrante rompicapo cerebrale. Semplicemente, un bel giorno si manifesta. Scintilla immediata, non studiata, altrimenti rovinerebbe la spinta naturale della genesi intuitiva. “Poi provo la ricetta, e generalmente è perfetta così. È un dono,
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d’altronde non so fare altro che il cuoco” ironizza. Umile, diretto, spontaneo, non si nasconde dietro a niente, men che meno a dei muri divisori. “La cucina per me è condivisione. Fin da piccolo, io che ero figlio di separati, la cucina rappresentava il cuore della casa, il luogo unico dove ci si ritrovava tutti finalmente a parlare, a mangiare, a vivere insieme. Mi piace vedere l’effetto del mio lavoro gastronomico sulle persone, cerco il confronto con i miei clienti, per me è fondamentale. Sono per l’attiva partecipazione e la vicendevolezza. Anche nella mia bri-
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gata lavoriamo in sintonia come in un’orchestra e ci divertiamo insieme”. Cucina come ecumene. Ritorno all’essenza, alla semplicità. Una minuta delle vivande composta da un solo percorso degustazione, sei portate (eventualmente si possono scegliere fra queste dei singoli piatti) scritte in sintesi (il carpaccio, lo spaghetto, il risotto…) senza sdilinquirsi in verbose esasperazioni. Ciò che conta è nel piatto, i tempi dello show sono finiti. Pochi ingredienti, spazio alla sostanza di una materia prima eccellente e ad una ritmica interpretativa tutta personale. Preparazioni culinarie vive, fresche, dinamiche, gradualmente capaci di superare i singoli ingredienti (perfettamente riconoscibili) in un’alchimia che va oltre il visibile e l’immaginazione, per dar vita a un sublime Altro. L’epos gastronomico inizia con un divertissement intelligente, per spiazzare le certezze visive culinarie: l’immagine risulta diversa al gusto, gioioso inganno. “Sembra pasta”, omaggio all’amico e maestro Massimiliano Alajmo, è un riuscitissimo sedano rapa, materializzato in forma di rigatoni, su un ragù di manzo e polvere di caffè. Variabilità di consistenze, croccantezzamatericità ad opporsi in un equilibrio di sapori autentici. Nella progressione gustativa del carpaccio di manzo, crema di pistacchio, astice, ciliegie, aghi di pino, si rivelano alcuni leitmotiv della narrazione baldessariana: risalto a verdure, frutta e a elementi della sua terra natale, il Trentino. Sprintoso il calamaro con polipodio, polline, pesto di basilico e cialda di polenta, un ben cadenzato saliscendi tra acidità, dolcezza, balsamicità. Note decisamente piccanti negli spaghetti aglio, olio, peperoncino con lumache di terra e di mare, piatto saporito e rotondo. Ma il culmine arriva con una ricetta di rara maestrìa: risotto con argilla, sgombro e fave di cacao. Un vero capolavoro, sintesi creativa d’autore. Cattura le papille gustative e lascia un’emozione intensa da ricordare. Ecco, se fra i tuoi scopi c’è quello di creare al cliente una dipendenza gustativa alla tua tavola, come scherzosamente hai dichiarato, caro Giuliano, qui ci hai conquistato. E ritorneremo!
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Lo stile personale di Riccardo Camanini di Elio Ghisalberti Lo chef bergamasco lascia Villa Fiordaliso, a Gardone, e si sposta in un locale vicinissimo, Lido 84, destinato a prevedibili, nuovi successi. Il professionista quarantenne corona così il suo sogno di diventare chef patron. Via terra sarà suppergiù un chilometro, via acqua anche meno. Da Villa Fiordaliso, il magnifico locale ricavato nella residenza ottocentesca che fu di Claretta Petacci e che lo ha visto protagonista ai fornelli per circa quindici anni, al Lido 84, sempre in comune di Gardone Riviera sulla sponda bresciana del Garda, e sempre con approdo e giardino a lago. Riccardo Camanini, talentuoso cuoco bergamasco di nascita e gardesano d’adozione, corona così all’alba dei quarant’anni una carriera radiosa, il sogno, che è proprio in ogni ragazzo che inizia questa attività, di arrivare prima o poi a gestire un ristorante in totale autonomia. Certo, dopo i primi anni da dipendente, con la famiglia Tosetti titolare di Villa Fiordaliso, il rapporto di fiducia si era rafforzato con il suo coinvolgimento nella società di gestione. Ma un conto è dover comunque rendere conto a dei soci, un altro poter effettuare le scelte in totale autonomia. Da un paio di mesi dunque Riccardo Camanini ha ridato smalto al Lido 84, insegna non nuova (la data di apertura è insita nel nome) che ha conosciuto alterne fortune a seconda delle gestioni che si sono succedute. Ristrutturato l’ambiente con un’operazione di maquillage ben riuscito, si è messo in gioco sul fronte che gli appartiene, quello della cucina. In fondo non è stato difficile per uno che a ventiquattro anni, dopo le prime significative esperienze di lavoro (in particolare l’impronta che gli ha lasciato Gualtiero Marchesi. Grazie a lui Villa Fiordaliso è stata insignita negli anni successivi della stella Michelin). Una carriera fulminante, ma costruita passo passo, con una totale dedizione ed un determinazione fuori
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dal comune, studiando ed applicando rigorosamente i principi che lo hanno sempre ispirato. “Sono per una cucina di precisione tecnica non pirotecnica - dice - che non si basa sugli effetti speciali fini a se stessi. Mi piace che la gente riesca a leggere, a comprendere i piatti, a soddisfarsi più che pensarci sopra. Cerco la sintesi assoluta, l’insegnamento che più mi è rimasto dentro degli anni trascorsi con Marchesi”. Con questo approccio è arrivato a mettere a punto uno stile personale ormai riconosciuto e riconoscibile. Nei piatti si legge l’obiettivo (centrato) di mantenere la materia prima più “viva” possibile, esaltandone le peculiarità naturali per esprimerle con leggerezza, spontaneità, alla ricerca di quella semplicità assoluta che è poi il messaggio che da anni contraddistingue il verbo “marchesiano”. Un percorso che nella nuova avventura al Lido 84 può esprimersi compiutamente, libero anche dai condizionamenti di blasone e prestigio che in qualche modo potevano condizionarne le scelte a Villa Fiordaliso. Nel menu fanno un
passo indietro i crostacei, i pesci ed i tagli di carne più pregiati (sulla carta) per fare spazio al gusto di sgombri e trippa, lingua di vitello e seppie, triglie e lumache di vigna. Ma tutto, come abbiamo avuto modo di verificare pochi giorni fa, all’insegna della delicatezza, dell’armonia, della leggiadria. Massima freschezza nell’attacco con l’insalata di pomodori Marinda, mele verdi, piselli, succo di cetriolo, lime e coriandolo. Sempre tra gli antipasti si sale di concentrazione con la burrata ed i frutti di mare, zucchine, basilico e curcuma. Una meraviglia il riso, stracchino e sarde di lago allo spiedo; non da meno i corzetti liguri con la trippa, pecorino e mentuccia. Di una morbidezza “scioglimbocca” la lingua di vi-
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tello saltata alla plancia e servita con alici, la loro colatura e lo scalogno. Altri piatti avvincenti di un menu molto ben studiato, originale e privo di banalità: nervetti, rapa nera, rafano e Parmigiano; tortellini al Bagoss; seppie sporche, formaggio di capra e bietole novelle; anguilla alla brace, crema di aglio dolce; coscia di coni-
glio candita ed arrostita, carciofi, speck, rosmarino ed olio crudo. Si chiude con l’ormai celebre torta di rosa cotta al momento con zabaione al Vov fatto in casa e limoni del Garda, oppure con gelati, al latte di montagna o alle nocciole, burro tostato e cioccolato bianco all’anice stellato. In questa stagione, tempo permettendo, è una goduria accomodarsi nei tavoli in giardino, direttamente a lago. Nella nuova location il conto è più abbordabile: in media 60 euro per un percorso completo (vini esclusi). www.ristorantelido84.com Artù n°64
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Zeppelin, la nuova
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di Davide Bernieri “La cucina deve essere popolare, tutto parte dalla terra, tutto torna alla terra. Se penso alla mia formazione, alla mia esperienza, al mio modo di vedere le cose, anche il mio essere cuoco nasce dalla terra”. Sembrano teorie new age quelle espresse da Lorenzo Polegri, chef del ristorante Zeppelin di Orvieto, fresco (si fa per dire) del trasloco del suo ristorante, ora all’interno di un edificio del 1500 nel cuore di Orvieto, l’Hotel Palazzo Piccolomini, nei sotterranei scavati direttamente nel tufo che sostiene tutta la città umbra. Lo Zeppelin ha due sale, una da 50 e l’altra da 70 posti, cucina umbra senza fronzoli: Polegri è un “fregoli” dalle molteplici personalità, capace di lavorare con il trattore nell’azienda agricola di famiglia e, subito dopo, di indossare i panni di “Etruscan Chef”, il nome con il quale è conosciuto oltreoceano, quasi quello di un moderno supereroe che difende la cucina italiana, in particolare quella della sua tanto amata Umbria, dagli attacchi degli imitatori senza scrupoli, che si nascondono dietro un improbabile tricolore e propinano ai loro clienti piatti che di italiano non hanno nulla. Lorenzo è una figura carismatica che svela perfettamente cosa significa essere uno chef nell’epoca della multiconvergenza: lo Zeppelin, ristorante aperto nel 1995 e così chiamato in onore del dirigibile più famoso della storia del rock, oggi è diventato sede dell’Istituto di Arte Culinaria, scuola di cucina che attrae studenti da tutto il mondo e che Polegri organizza insieme alla sua compagna, la chef a stelle e strisce Kim Brookmire. Polegri cucina e insegna, ma ha intrapreso anche un percorso agricolo che lo porta a riscoprire le tradizioni famigliari e a coltivare in proprio le materie prime per la cucina, sporcandosi le mani in prima persona. In mezzo a tutto questo un libro in inglese (una nuova edizione è in uscita), tanti progetti in bilico tra cucina e rock (vedi box), ma soprattutto, una delle esperienze più insolite, anche per gli chef pluristellati no-
strani, ormai avvezzi a tutto, ossia l’approdo alla Casa Bianca per cucinare per il presidente Usa Barak Obama, un privilegio che nemmeno lui si aspettava. “Dal 2000 - dichiara Polegri - ho avuto molte esperienze di insegnamento negli Usa, presso importanti scuole di cucina, creando una rete di relazioni con cuochi americani di rango. Ho coordinato l’Italian Food Festival nella sede dell’Onu a New York, cucinando personalmente per il segretario Kofi Annan: dopo queste esperienze sono stato invitato da Edwin Schölly, cuoco della Casa Bianca che
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e, forse, se li mangia di nascosto”. Archiviata la sortita a Washington, Polegri si è rituffato nel lavoro nella sua Orvieto, ospitando nella scuola di cucina “studenti” provenienti da tutto il mondo, dai semplici turisti che vogliono imparare a realizzare un piatto di tagliatelle per puro divertimento in una sessione di poche ore, fino agli scambi con le scuole e le università statunitensi, per corsi di più lunga durata e di taglio professionale. “Credo che all’estero - prosegue Polegri - ci sia un grande rispetto per la nostra cultura del cibo. È un approccio che non guarda solo alle papille gustative, ma che cerca di leggere la cucina da punto di vista della storia, delle tradizioni, cura gli eventi speciali, per una giornata delle nostre fantastiche produzioni agroae un cliente decisamente fuori dal co- limentari, con semplicità, rispetto e demune. Nessun preavviso, sono stato pre- vozione. Molti italiani ancora non hanno levato dagli uomini della sicurezza e capito questa cosa, danno per scontata portato nel luogo tra i più protetti del la nostra superiorità culinaria rispetto a mondo, dopo avere passato numerosi e tutto il mondo, ma così facendo rischiamo minuziosi controlli. Non ho incontrato di non cogliere questo movimento interObama personalmente, ma da questa nazionale che ci guarda ammirato, di riesperienza straordinaria ho imparato manere impelagati nelle nostre rivalità che anche gli uomini più potenti sono di cortile, in una spocchia che non ci semplici, hanno le loro debolezze. Nono- porterà certo da nessuna parte”. Polegri, stante la passione della moglie per nel 2012, è stato nominato Ambasciatore ortaggi e biologico sia nota a tutto il della Cucina Orvietana nel Mondo e mondo, Obama ha gli hot dog in frigorifero sulle sue spalle ora poggia la promozione delle ricette tipiche di quest’angolo d’Italia ai quattro angoli del pianeta. Un compito che il vulcanico chef accoglie con un sorriso. La sua matrice, infatti, è profondamente e intimamente umbra, addirittura lo chef ha realizzato serate a Se Sting si pregia di essere un produttore tema ricercando e proponendo ricette vinicolo in Toscana, Ian Anderson, leader dei dell’epoca etrusca, anche se il confronto Jethro Tull, gruppo inglese di progressive quotidiano con chef (o aspiranti tali) a rock anni ’70, è un vicino di casa di Polegri stelle e strisce ne ha di certo influenzato in Umbria. Il cantante e flautista britanl’approccio e la sensibilità tra i fornelli. nico, ormai settantenne, trova nella campa“La pasta conclude Polegri - rimane il gna dell’Italia centrale un luogo nel mio chiodo fisso, il fulcro attorno cui quale ritemprarsi e ritrovare l’ispirafare girare tutta la mia cucina. In questo zione in chiave bucolica. Proprio con momento vado pazzo per quella che Anderson lo chef vuole portare avanti chiamo carbonara rinforzata, ossia un nuovi progetti tra agricoltura, tavola e mutagliolino all’uovo condito con salsiccia sica. “Ian - spiega Polegri - ha una sensie cacio, con l’uovo cotto a parte. Una bilità e una conoscenza molto profonda del rielaborazione della ricetta tradizionale cibo e della nostra cucina. Insieme stiamo cerche è molto apprezzata dai miei clienti”. cando nuove formule per fare confluire in E che fa dire che non esiste tradizione un’unica esperienza rock e gastronomia”. intoccabile e che, se rispettata, ogni cosa può essere innovata.
Quando cucina fa rima con rock
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Mencarelli, l’ospitalità è un fatto di famiglia
di Claudio Zeni Grande senso dell'ospitalità e viva fede nelle tradizioni culinarie che solo la terra umbra può regalare, una terra ricca di storia e testimone di una vivace cucina. Tutti valori che Mencarelli Group ha esaltato nel suo personalissimo viaggio alla ricerca dell'ospitalità turistica perfetta.
Nelle foto alcuni scorci della Taverna del Lupo di Gubbio.
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Gubbio, antichissima città le cui origini si fanno risalire all’acme della civiltà umbra come testimoniano le celeberrime Tavole eugubine custodite nel Palazzo dei Consoli ed importante centro di vita romana, come attesta il teatro romano, è una fiorente cittadina incastonata tra amene colline e la roccia del monte Ingino, in cima alla quale riposano, nell’omonima basilica, le spoglie del santo patrono Ubaldo Baldassini. All’interno delle sue antiche mura sopravvivono, non solo lo spirito eroico e battagliero dei grandi guerrieri del passato, ma anche la cortesia cavalleresca dei gentiluomini umbri, nobili sia per antica progenie che per le buone azioni
compiute in difesa del prossimo. Cortesia che si riscontra anche oggi nell’ospitalità turistica, della quale il Commendatore Rodolfo Mencarelli è il geniale artefice attraverso un pool di attività raccolte sotto il nome Mencarelli Group, che occupano sessanta persone. Dopo aver frequentato la scuola alberghiera di Assisi e Bellagio, Rodolfo aprì nel 1968 la Taverna del Lupo, un suggestivo ed accogliente ristorante ricavato nei locali che nel XIV secolo ospitavano la sede e i laboratori dell’antica Università delle Arti e Mestieri. Successivamente fu la volta nel 1974 dell’Hotel Bosone, una struttura ricettiva di venticinque camere e cinque suite, felicemente ricavata in un tipico palazzo signorile, già abitazione di Bosone da Gubbio e Bosone Novello, che ospitò nella sua lunga storia Dante Alighieri, Beniamino Gigli, la Regina Elena e Vittorio Emanuele. Da quell’anno l’ascesa di Rodolfo Mencarelli nel settore dell’ospitalità divenne inarrestabile. Uno dopo l’altro vennnero alla luce il Gattapone, un hotel dotato di venti camere, antica casa patrizia già abitazione del famoso pilota di Formula Uno Luigi Fagioli, i ristoranti Tessenaca, Alla Balestra, Bosone Garden, San Benedetto, il Gran Caffè Ducale e la creperia Amadeus. Per il suo innato senso dell’ospitalità lo staff Mencarelli, oltre ad organizzare grandi eventi in tutta Italia con il suo omonimo servizio catering, gestisce anche l’Hotel Cristallo, un quattro stelle dotato di cinquantadue camere alle porte di Assisi e la "Baita della luna", un tre stelle a Cesana Torinese (To). La ragione del successo di Mencarelli Group è legata non soltanto alla capacità organizzativa e allo spirito di sacrificio dei componenti la famiglia, all’interno della quale ognuno ha un ruolo ben preciso, dalla moglie Lisetta, che si occupa del ricevimento, alle figlie, Daniela, Viviana e Agnese, che curano i clienti, ma anche ad un genere di cucina che affonda le sue radici nella storia della città eugubina. I menu proposti nei ristoranti del gruppo, coordinati dal cuoco Claudio Ramacci, si ricollegano, infatti, alle varie ricorrenze locali,
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alla trebbiatura, alla festa dei ceri, ai piatti propiziatori e ai piatti tradizionali, come il macco, l’imbrecciata, il fricco, la crescia e la cicerchia. Ricercare la cucina del passato significa per Mencarelli anche ripercorrere un processo storico di formazione, di scelte e di gusti legati alle abitudini di vita degli uomini, collegando strettamente il cibo al lavoro e alla stagione. Ecco perché i menu di Mencarelli, ispirati ai profumi della terra, valorizzati da una giusta
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scelta di vini, sono parte integrante della cultura eugubina. Per soddisfare ogni esigenza della clientela, nei ristoranti del gruppo Mencarelli, vengono proposti anche vari menu degustazione, oltre a quello del "Buon ricordo" con la sua specialità "Faraona al ginepro". Ambasciatori della cucina umbra in numerose manifestazioni in Italia e all’estero, Rodolfo e Lisetta Mencarelli, insieme alle tre figlie, fanno riscoprire ai propri ospiti quei piaceri che provengono da una
zona che appare decisamente particolare sotto questo profilo. A riprova di un innegata capacità imprenditoriale, sostenuta da una ferrea volontà e di tanto ardore, senza cullarsi sul successo ottenuto, la famiglia Mencarelli volge il suo sguardo verso le nuove frontiere dell’ospitalità, considerata l’elemento trainante per la ripresa economica della nostra splendida Italia. www.tavernadellupo.it
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Grand Hotel Parker’s La Napoli esclusiva
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Il nome è anch’esso antico ed è dovuto al suo proprietario inglese, Quando si pensa a un albergo di lunga George Bidder Parker, che lo acquistò tradizione, di stile, dall’incomparabile a fine Ottocento e ne rimase proprietario eleganza e a una città affascinante fino alla fine della Seconda Guerra Moncome Napoli, il primo pensiero corre diale, quando venne acquistato dalla fasubito al Grand Hotel Parker’s di Corso miglia Avallone. Nel corso del secolo Vittorio Emanuele. Per tante ragioni, passato l’albergo ha sempre vissuto moche sanno rendere questo grande pa- menti di gloria legati alle frequentazioni lazzo davvero unico e inimitabile. In- di poeti, letterari e persone di cultura nanzitutto non va dimenticata la sua che hanno saputo rendere l’ambiente viposizione privilegiata, alta sulla città, vace e frizzante, ed è un aspetto che si in una delle aree più aristocratiche coglie ancora oggi non solo nelle stanze ed esclusive, e in seconda battuta, la e negli ambienti comuni che si possono lunga storia che racconta di un edificio vivere, ma anche nello spirito e nello storico, datato 1870, nato in origine charme che aleggia in una casa dal facome villino appartenuto al Principe scino eterno. Dalle terrazze delle camere Grifeo e solo in seguito divenuto hotel. si gode di una vista unica su buona parte della città e il corso sottostante diventa il punto ideale di partenza per visitare le vicine boutique del quartiere di Napoli più ricercato, o, semplicemente, per concedersi una passeggiata panoramica che in pochi minuti conduce fino all’area più vivace di Spaccanapoli. Al suo interno, invece, il Parker’s offre una atmosfera ovattata e la tradizionale cortesia e affabilità dal gusto partenopeo. Come si può scoprire sedendo ai tavoli del Bidder Bar, al sesto piano dell’albergo, per un cocktail, magari sorseggiandone uno dei prediletti da James Bond, visto che il bar fa parte del circuito prestigioso dei Bond Bar. Oppure di Gualtiero Spotti
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degustando un sigaro della selezione speciale della casa, abbinato a un cru di cioccolato o a un whisky scozzese, parte di una collezione nutrita. Ma non è tutto. Le stanze soddisfano ogni gusto. Da chi ama gli ambienti più raccolti delle “classic” e “deluxe” (con bagni in marmo, parquet in rovere e finiture eleganti) passando per le otto suite, e arrivando alla maestosa “presidenziale” di 140 metri quadrati, adatta anche per riservati meeting di lavoro. Al settimo piano, poi, si trova un balcone straordinario, chiamato la Terrazza delle Muse, che si affaccia sul golfo ed è la naturale estensione open air del vicino ristorante George, dove lasciarsi tentare da diverse specialità locali. Questo è il regno del cuoco Baciòt, ormai dal 1990, dopo il transito di mostri sacri quali Alain Passard e Gualtiero Marchesi. Con l’intimo piacere di chi vive la propria professione con passione, il cuoco, campano Doc, mostra orgoglioso le erbe che crescono in un angolo del tetto del Parker’s e solo dopo ci invita a scendere di un piano per gustare le specialità del menu, che ovviamente recita una lunga sequenza di piatti in stile rigorosamente partenopeo. Leggerezza e gusto sono parole che vanno sempre insieme mentre si mettono sotto i denti gli aliciotti farciti con tartara di melanzane e provola (su carpaccio di pomodori acerbi), i gamberi rossi scottati in zuppetta di carciofi e patate alla men-
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possono contare su un piacevole percorso dedicato, con, tra gli altri, un gustosissimo tegamino di carciofi e ceci all’olio di rosmarino. I piatti soddisfano sempre il palato e il team di cucina e di sala sa come deliziare gli ospiti con piccole attenzione e cortesie. Non è un caso che il Parker’s sia da sempre una delle mete più ambite per chi, a Napoli e dintorni, ma non solo, decide di sposarsi. Nella hall di ingresso spesso fanno capolino le coppie che trascorrono qualche minuto sognando di poter celebrare il pranzo o la festa di matrimonio proprio qui, in uno degli alberghi storici del golfo di Napoli, categoria cinque stelle lusso. E per questa ragione l’hotel è più che attrezzato e mette a disposizione un team affiatato che consiglia la coppia dalla prima visita fino al taglio della torta. www.grandhotelparkers.com tuccia o il risotto mantecato al caciocavallo e moscione del Cilento. Certo, la carta lascia ampio spazio a pesci e crostacei, come è giusto che sia per chi ama rappresentare il Mediterraneo (pesce spada, orata, spigola, calamari…), ma non tralascia di concedere il doveroso spazio anche alla carne, con preparazioni che si spingono a volte oltre i confini regionali, come nel caso del filetto di manzo bardato al lardo di Colonnata, con vellutata di zucca e liquirizia. Il menu degustazione è sicuramente un buon compromesso per scoprire lo stile di Baciòt, ma gli appassionati di cucina vegetariana Artù n°64
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Falconiere di Cortona, l’eleganza toscana d'epoca, camini, letti a baldacchino, tessuti pregiati regalano un'atmosfera Residenza di charme immersa nella di altri tempi, senza eccedere mai nella campagna Toscana, vicino a Cortona, ridondanza, con tutti i comfort di una Il Falconiere offre un ambiente di residenza moderna. A partire dalla Theautentica eleganza con grande stile. san Etruscan Spa, con piscina interna Tipica villa toscana ristrutturata con ed esterna, dove è possibile godere di gusto, regala a chi soggiorna piace- momenti di relax con i rituales a base voli sorprese, come la scoperta delle di olio di oliva e di vino, vinacce e conetichette prodotte dai proprietari, centrato di mosto prodotto dall'azienda la famiglia Baracchi, e il ristorante Baracchi, così come l'olio. Riccardo Bauna stella Michelin guidato dall'in- racchi, con la moglie Silvia, "la" chef traprendenza della chef Silvia Regi stellata del Relais e con il prezioso Baracchi. di Elisa Facchetti
Antica dimora toscana delle metà del seicento, parte della catena Relais&Chateaux, Il Falconiere offre un'esperienza di rara bellezza, accogliendo anima e corpo dei viaggiatori che decidono di sostare, anche una sola notte, nell'incanto della villa che ospita 22 camere tra cui 12 camere Classiche, due Deluxe, cinque Junior Suites e tre Suites, tutte con vista sul tipico paesaggio dalla campagna cortonese o sullo splendido giardino interno: pareti affrescate, mobili
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aiuto del figlio Benedetto, ha voluto portare avanti la tradizione di famiglia coltivando le viti e producendo vino da uve autoctone, quali il Sangiovese e il Trebbiano, e da uve internazionali come il Cabernet, il Syrah e il Merlot. In cantina l'enologo Stefano Chioccioli ha saputo modernizzare la produzione apportando qualità e attenzione (www.baracchiwinery.it). Fiore all'occhiello de Il Falconiere la mano esperta di Silvia che ha ottenuto, con la sua cucina, il riconoscimento di una stella Michelin al ristorante del Relais, ricavato nell'antica limonaia a cui è annessa anche una splendida veranda in vetro che può ospitare, insieme alla sala più grande, fino a 60 persone. Per chi desidera un'atmosfera più intima la sala degli orologi esaudisce anche questo desiderio, con un unico tavolo per godere momenti davvero speciali. La proposta a tavola si basa principalmente sulla riscoperta dei sapori autentici grazie all'utilizzo di ingredienti naturali di prima qualità, materie prime semplici che prendono vita grazie a nuovi accostamenti e originali interpretazioni, a partire dal menu degustazione dedicato ai grandi piatti della tradizione toscana: praline di fegatini di pollo ai pistacchi con susine al vinsanto, pappa con po-
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modoro, pappardelle farcite di pecorino con fagiolini dall'occhio e rosmarino; si passa poi al baccalà in zimino alla maniera della Valdichiana con bietola stufata, pinoli e uvetta, e al coniglio arrostito ai sapori toscani con patate e olive e composta di sambuco. Dulcis in fundo la zuppa inglese. Le verdure di stagione, di produzione biologica, trionfano invece nel menu vegetariano, insieme a una selezione di formaggi.
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Prestigiosa la carta dei vini del ristorante, un'ampia selezione dove accanto a etichette note convivono vini meno noti, ma pronti per essere piacevolmente scoperti, come la produzione della Cantina Baracchi. Da apprezzare la vincente "mezza pensione", una nuova formula che permette di assaporare diversi momenti gourmet nei dintorni del ristorante de Il Falconiere, con la cucina del Ristorante Locanda del Molino e del Ristorante Bottega Baracchi, altra punta di diamante della famiglia Baracchi. Vero e proprio concept shop, è stata concepita per creare un ambiente a metà strada tra l'atmosfera conviviale del wine bar e le proposte culinarie da ristorante, ma anche uno spazio dove poter aqcuistare le eccellenze del territorio toscano: dalla colazione al pranzo veloce, dal drink a una cena informale ma curata, Bottega Baracchi è un laboratorio del gusto in cui è possibile partecipare a degustazioni guidate, lezioni di cucina e dimostrazioni culinarie, come avviene nel ristorante de Il Falconiere che offre anche un programma di corsi di cucina differenziati
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per durata e livello di preparazione dei partecipanti, veri e propri cooking class guidati dalla bravissima Silvia. A Il Falconiere, Wine Resort, l'offerta si completa con i tour organizzati tra i vigneti dell'azienda Baracchi e - ovviamente - in cantina per visitare la champagneria, accompagnati da Riccardo e Benedetto alla scoperta della filosofia di produzione, delle tecniche di vinificazione e sorprendenti degustazioni.
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Il Pellicano Hotel Cucina e benessere di Claudio Zeni In una delle località più esclusive del promontorio dell'Argentario si trova Il Pellicano Hotel, magica location in grado di graffiare la fantasia del viaggiatore dove ad un’ospitalità calda e professionale si unisce la grazia ed il fascino della discreta eleganza.
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Ph. by John Swope
Inaugurato il 2 giugno 1965, Il Pellicano nasce per volere di due innamorati, l’aviatore inglese Michael Graham ed un’affascinante signora del jet set americano, Patsy Daszel, i quali scelsero questo luogo impervio della penisola maremmana per costruire un resort che ricordasse il loro primo incontro avvenuto, anni prima in California, su un promontorio chiamato Pelican Point. I due avevano cercato in Europa un luogo che avesse tanto fascino quanto forte era il loro amore e l’opportunità gli venne offerta dal comune amico Principe Tinti Borghese che fece scoprire loro un tratto di scogliera a picco sul mare in mezzo alla rigogliosa natura del Monte Argentario. Le rocce e la natura selvaggia di questa inesplorata insenatura costituirono il secondo colpo di fulmine per i Graham. Nacque così quello che fu da principio un club per pochi selezionati ospiti tra i quali ricordiamo Charlie Chaplin, Henry Fonda, Gianni Agnelli, Slim Aarons e le case reali di tutta Europa. Uno degli ospiti regolari dei Graham, ed anche amico, era Roberto Sciò, carismatico
imprenditore italiano, il quale mosso dal grande amore per questo luogo e per le sue atmosfere, decise di comprare la proprietà nel 1979. Così, Il Pellicano è stato casa per i Graham ed è ancora casa per Roberto Sciò e i suoi ospiti. Diversi lustri dopo, Il Pellicano è ancora un hotel di fama mondiale, con l’atmosfera di una casa importante piuttosto che di un albergo. Composto da sei cottages e da una struttura centrale, più che un albergo tradizionale è in realtà un insieme di ville suddivise in trentacinque camere, cinque junior suites e dieci deluxe suites, circondate da ulivi secolari, cipressi e da una profumatissima macchia mediterranea. Il corpo centrale è un piacevole susseguirsi di corridoi, volte, nicchie e passaggi in stile toscano che creano spazi suggestivi in cui si trovano la reception, il bar, il ristorante Il Pellicano (con 2 stelle Michelin), la cantina e la sala meeting. “All’interno della struttura principale dell’albergo si trova anche il Pelliclub health & beauty, centro benessere con calidarium e cabine per sofisticati trattamenti di bellezza per viso e corpo, parrucchiere e una palestra con attrezzature all’avanguardia - ricorda il direttore Danilo Guerrini -. Scendendo verso il mare, il bar ed il ristorante all’aperto servono piacevoli piatti cucinati alla griglia sia a pranzo che a cena, mentre la piscina d’acqua di mare riscaldata si affaccia sulla costa dell’Argentario e offre giornate al sole in totale relax. Dall’Inghilterra e dagli Usa arriva
Qui sopra lo chef Antonio Guida con il direttore Danilo Guerrini.
più del 50% della clientela, che qui cerca, oltre alla tradizione che si respira all’interno di una 'casa', la tranquillità e la discreta eleganza”. In questo contesto non poteva non essere nel segno della tradizione anche la cucina, affidata allo chef pugliese Antonio Guida, che vanta un curriculum di grande rispetto, avendo lavorato nei locali più prestigiosi in Italia e all’estero. Dopo una prima esperienza su navi da crociera della Princess Cruises, Guida ha, infatti, svolto la propria attività presso i ristoranti Pierre Gagnaire di Parigi, Don Alfonso di Sant'Agata sui due Golfi (Na), l'Enoteca Pinchiorri di Firenze, La Terrazza dell'Hotel Eden di Roma e dal 2002 "cucina" al Pellicano, dove ha fatto guadagnare al locale due stelle Michelin alle quali si è aggiunta
l’award Trophy Lounge Bar Relais & Chateaux. “Per avere accesso ed entrare nel cuore dei nostri clienti sono necessarie due chiavi: quella della cucina e quella della cantina - afferma Antonio -. La prima ti insegna a scoprire l’arte della tavola, che non è soltanto culinaria, ma è l’arte della conoscenza, mentre la seconda ti aiuta a percepire e assaporare i dettagli su come si sorseggia un buon vino”. Per il primo motivo la cucina di Antonio Guida, legata alle tradizioni locali, è elaborata con materie prime genuine, leggere e frutto di quanto di meglio offre il mercato. Non a caso i piatti che egli ritiene importanti sono quelli che crea ogni giorno, frutto di passione, ricerca, ma soprattutto amore verso una professione in grado non solo di fargli ricevere importanti gratificazioni a livello internazionale, ma soprattutto di soddisfare in pieno una clientela cosmopolita come è quella del Pellicano. Per quanto concerne la cantina, l'hotel annovera oltre ottocento etichette che vanno dai più ricercati vini italiani ai migliori cru internazionali, oltre una lista di distillati e sigari pregiati. Culto dell’ospitalità, dove un sorriso e un cordiale buongiorno o buonasera sono sempre pronti ad esternare gli oltre cento dipendenti nell’incrociare i clienti, Il Pellicano si conferma ogni anno uno dei più affascinanti, piccoli e graziosi hotel del mondo. www.pellicanohotel.com Artù n°64
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di Gualtiero Spotti Dubai è una sorta di miraggio che appare nel deserto, unico e sensazionale e che racchiude in un fazzoletto di terra (neanche troppo piccolo a dire il vero) una concentrazione impressionante di grattacieli, di centri commerciali e di negozi. In mezzo a tutto questo universo sfavillante, non possono mancare, chiaramente, gli alberghi, che sono maestosi e giganteschi e che ben rappresentano il lato più estremo di una città stupefacente in ogni suo angolo.
di tutto il mondo per una full immersion imperdibile che culmina, per i più arditi, nello shark safari sott’acqua, a stretto contatto con gli squali, chiusi ermeticamente in una muta da palombaro. Mentre coloro che, al contrario, preferiscono svolgere attività meno dinamiche, possono vivere nuove emozioni con l’acquario The Lost Chambers, ospitato nell’Atlantis e dedicato alla leggenda della città perduta di Atlantide: un viaggio straordinario nel mondo di 65mila animali marini, che stupisce tutti gli ospiti dell’hotel sin dal loro arrivo, quando, dopo una breve passeggiata nel lungo
Uno degli hotel più affascinanti e imponenti, oltre al celebre Burj El Arab (la cosidetta “Vela”), è l’Atlantis The Palm, realizzato, come dice bene il nome, su una delle palme artificiali magicamente sospese sul mare di fronte a Dubai. Una posizione in qualche modo privilegiata, visto che dalle sue finestre si gode la vista dell’intero skyline della città, ma anche piacevolmente appartata, se si pensa che l’Atlantis dista qualche chilometro dal centro di Dubai, trovandosi proprio al margine estremo della palma. Per muoversi e per raggiungere il centro pulsante della città bisogna ricorrere alla macchina, oppure salire su una monorotaia sospesa che, dall’hotel, si spinge verso la terraferma. Anche se, va detto, le possibilità di svago offerte dall’albergo sono tali e tante che si potrebbe tranquillamente sostare per una settimana nelle sue stanze avendo sempre il tempo occupato da qualche attività. Basti pensare che, a fianco dell’immensa struttura alberghiera, si trova l’Aquaventure, un enorme parco acquatico di diciassette ettari con lagune, giochi d’acqua, scivoli e habitat marini Artù n°64
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corso interno che mette in fila negozi e ristoranti, questi si ritrovano con il naso all’insù davanti a una gigantesca vetrina/acquario nella quale scrutare razze, squali, pesci tropicali e molte altre specie marine. In una struttura come l’Atlantis, di queste dimensioni (ci lavorano circa tremila persone), non possono poi mancare una serie di ristoranti cui affidarsi per vivere esperienze gastronomiche diverse ogni giorno. Dai pranzi a buffet, di ottima qualità, ad esempio al Kaleidoscope dove si passa dai piatti arabi alla pizza, sino alle cucine più raffinate e personali. Come quelle dell’italiano Ronda Locatelli, del cinese Yuan o dell’internazionale Ossian, dove fino a qualche anno fa il cuoco era il mitico
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Santi Santamaria, ora rimpiazzato dal bravo sudafricano Luke Wonnacott. Ma andiamo per ordine. Ronda Locatelli rappresenta in toto la cucina di Giorgio Locatelli, cuoco italiano già celebre in quel di Londra dove è diventato uno dei cuochi prediletti dei Vip. L’idea di fondo invece, a Dubai, è stata subito quella di rappresentare la convivialità tipica del Bel Paese a tavola, tra piatti generosi e classici uniti alle pizze, di qualità, sfornate di fronte ai commensali nel grande forno che occupa il centro della
Sopra: la burrata del ristorante Ronda Locatelli e in basso il piatto “textures of corn: custard, crumble, crisp, coconut sorbet, sweet milk snow” del ristorante Yuan.
Qui sopra, il piatto “butter roaster dover sole” del ristorante Ossian.
sala del ristorante. Il cuoco executive, Salvatore Sardo, qui sa come stimolare la curiosità degli ospiti, grazie a piatti succulenti come l’ossobuco di vitello alla milanese (richiestissimo nonostante le temperature non proprio fresche di Dubai), gli spaghetti all’astice, il pollo alla diavola e i cannelloni di ricotta e spinaci. Ronda è un ristorante di qualità che offre preparazioni sincere con una materia prima importata direttamente dall’Europa e dall’Italia, due volte alla settimana, anche se qualche prodotto di qualità degli Emirati lo si trova senza problemi (vedi le melanzane, i finocchi, le carote, le cipolle o le patate), soprattutto nei mesi più freschi tra novembre e marzo. Rappresentare la tradizione è anche un punto di forza dell’ultimo nato (solo pochi mesi fa) tra i ristoranti ospitati nell’Atlantis Palm, il cinese Yuan. Qui, in un ambiente di grande raffinatezza orientale il cuoco Jeff Tan sa come portare i suoi ospiti verso i sapori cantonesi e più in generale alla scoperta della ricchissima cucina cinese. Tra Dim Sum, dolcezze esotiche come il maialino con ananas, miele, pere e zucchine; astici accompagnati da zuppe ai funghi selvatici, noodles, piatti vegetariani, e carne Wagyu preparata come se fosse
un Rib Eye Steak, con verdure grigliate. La cucina è grandiosa e gustosissima, riserva sorprese al palato e merita di essere accompagnata da un te, visto che il ristorante offre l’esperienza quasi mistica della cerimonia del te. Oppure, per i clienti più originali, da uno dei deliziosi cocktail analcolici del lussuoso bar ospitato all’interno del Yuan. L’altro ristorante imperdibile, dei quasi venti che si incontrano all’Atlantis The Palm, è l’Ossian. Qui, con i tavoli posizionati di fronte a un grande acquario, ci si delizia con una granita di gazpacho (e astice, yogurt e mousse di cetriolo), con la combinazione sogliola/foie gras (e un confit di rapa), con il salmone del lago Fyne cotto nell’olio o con il carpaccio di polpo. È un ristorante di fine dining che punta sulla qualità della materia prima, sull’esplosione dei sapori mediterranei e sulle intuizioni creative del suo cuoco, Luke Wonnacott, un trentenne sudafricano che nel suo passato vanta esperienze di rilevo, tra le altre, presso il Maze di Gordon Ramsey. Per tutti gli indirizzi non mancano carte dei vini all’altezza, interessanti e decisamente impegnative sotto il profilo economico. www.atlantisthepalm.com Artù n°64
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Austria contemporanea, food sostenibile
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di Gualtiero Spotti perfetta per vivere tutto questo è sicuramente la regione delle terme, posizionata ai confini tra Slovenia e Ungheria, e non troppo lontana da quello italiano di Villach da non meritare un viaggio. Qui, nello Steiermark, o Stiria, sono diverse le opportunità concesse a chi va alla ricerca di un relax salutista, ma anche di sfizi da vero gourmet. Un buon punto di partenza può essere la sosta nell’hotel L’Austria, per chi ha già visitato Vienna da favola di Rogner Bad Blumau, concee Salisburgo, oppure si è concesso un pito dal visionario Hundertwasser, costruito weekend rilassante tra le montagne al- (ma non ancora ultimato totalmente, espine, può riservare in realtà molte altre sendo diviso in diversi edifici) su più di sorprese in alcune aree forse meno 40 ettari e dove l’acqua, così come la finote ai vacanzieri italiani, ma sicuramente losofia di sostenibilità, caratterizzano l’inpreziose per il patrimonio gastronomico, tera struttura e la vita quotidiana al suo per il dolce paesaggio collinare, per lo interno. Un hotel che, per intenderci, dà stile più rilassato e meno mitteleuropeo, l'impressione di essere catapultati in per il gusto quasi rurale di certe province. una fiaba da mille e una notte o in un E ancora, per la possibilità di godere di fumetto di fantascienza visti i colori sgardeliziose Spa e centri wellness termali gianti e le forme arrotondate che lo rapdalla bellezza unica. La destinazione presentano e lo identificano come un Anche nella regione delle terme, in Austria, la cucina dei ristoranti ha fatto passi da gigante, puntando su sapori e gusto degli ingredienti, pur con un occhio sempre molto attento alla forma fisica. Artù propone un vero e proprio tour gastronomico attraverso locali di livello che hanno fatto della proposta culinaria una vera arte.
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unicum nel panorama dell’hotellerie internazionale. Per non parlare poi della gigantesca area Spa denominata Vulkania, con mirabolanti giochi d’acqua, terme e saune, capaci di attirare per buona parte dell’anno una clientela affezionata ed entusiasta. Da qualche mese, inoltre, anche il lato culinario dell’albergo ha preso una piega molto più gourmet, grazie all’arrivo del talentuoso cuoco austriaco Joachim Windhager, che ha riqualificato la proposta ristorativa creando quasi dal nulla il ristorante a la carte, Blumau 100, nel quale si passa agilmente dalle bisque di granchio con zafferano e crescione, ai sapidi tortelloni con formaggio, pesto e basilico, fino al più locale salmone del Danubio con flan di cipolle. Ed è questa una alternativa decisamente appetibile, che concede una possibilità diversa dalla tradizionale formula a mezza pensione di chi soggiorna in albergo. Il Rogner Bad Blumau è anche il punto di sosta ideale per chi vuole ispezionare la regione andando alla scoperta delle tipicità alimentari. Come nel caso del mitico olio di semi di zucca, prelibato e sottovalutato prodotto che è un vanto della Stiria in tavola. Viene usato perlopiù come condimento per insalate, ma è sufficientemente versatile per essere utilizzato anche come finitura, ad esempio, per una crema di zucca, oltre a possedere riconosciute qualità organolettiche che lo rendono un alimento salutare. Uno dei produttori più conosciuti, forse anche per la sua brillante attività di fisarmonicista nel gruppo folk elettrico Trio Cuvée, è sicuramente il simpatico Johann Koller. Su
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una collina di Fehring, che domina il panorama circostante, in località Weinberg, Johann ospita volentieri i clienti di passaggio nel suo piccolo negozio interamente dedicato ai prodotti della zucca. Dalla composta per accompagnare i formaggi al pesto per condire la pasta, da una curiosa salsa di zucca al gusto chili alle piccole zucche marinate nel miele, fino all’olio di semi di zucca (il Kurbiskernol) o i semplici semi da mangiare come snack. È questa una scoperta piacevole e interessante per chi vuole concedersi qualche variazione gastronomica e magari sperimentare qualche piatto
nuovo dai sapori poco conosciuti. Non troppo distante, a Auersbach, c’è invece modo di visitare il prosciuttificio Vulcano, per osservare da vicino il processo di maturazione e di stagionatura del “crudo affumicato” locale (ma ci sono anche salami e salsicce), e per incontrare la materia prima da cui parte tutto, ovvero i maialini che vengono selezionati e alimentati con grande cura. Spirito imprenditoriale e gusto artigianale che la famiglia Habel (Franz e Bettina) ha saputo far crescere con notevole successo quindici anni fa, ed ora è pronta a raccogliere i frutti di una popolarità in crescita anche fuori dai confini austriaci. Non troppo diversa è la vicenda della premiata fabbrica di cioccolata Zotter, che ha saputo in pochi anni rivoluzionare la vita del piccolo paese di Riegersburg. Qui, sin dalle prime ore della mattina, i bus e le macchine occupano i grandi parcheggi realizzati per accogliere i visitatori nel palazzo interamente dedicato al cioccolato. Sepp Zotter, l’ideatore, ha creato un percorso conoscitivo (e degustativo) unico nel suo genere, dove si passa dalla visita a un teatro nel quale viene raccontata la storia di come è nato il cioccolato Zotter, sino a un tour a piedi nell’intero edificio di lavorazione, con soste continue per l’assaggio di più di cento tipi diversi di cioccolato. Quegli stessi che poi si possono acquistare nel negozio astutamente posizionato alla fine del percorso. Si passa con grande soddisfazione dalle barrette aromatizzate alla tequila (lo slogan della casa qui è “bean to bar”, ovvero dalla
fava di cacao alla barra di cioccolato), a quelle all’amaretto e ancora alla banana, al te indiano, al Marc de Champagne, alla Caipirinha, all’arancio. Per una lista quasi infinita, al punto che è davvero cosa ardua trovare un gusto che non sia stato abbinato al cacao. Il quale arriva da diverse piantagioni sparse in quasi tutti i continenti. Impossibile resistere all’assaggio o uscire a mani vuote, senza un ricordo da sgranocchiare già sulla strada del ritorno. Un giro gastronomico ideale non può però tralasciare la degustazione di uno dei buoni vini della regione, magari approfittando dell’ospitalità squisita della famiglia Winkler-Hermaden, nel castello di proprietà che domina il paese di Kapfenstein. Qui, dove si può anche pernottare e concedersi una sosta a tavola con i piatti del territorio nel ristorante con vista panoramica, si beve bene tra fruttati sauvignon (come l’Hochwarth) e weissburgunder più beverini, oppure si passa a rossi di corpo come la cuvée Hermada (qui nella zona le vigne raccolgono Zweigelt, Pinot nero e Merlot) oppure il premiato Olivin, che con i suoi 18 mesi in barrique di solo zweigelt evidenzia gradevoli note di te nero ed eucalipto. www.kuerbisatelier.at www.vulcano.at www.zotter.at www.winkler-hermaden.at www.blumau.com
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Irinox, nel cuore del “freddo rapido” di Elisa Facchetti Alle porte di Treviso Irinox sviluppa da 20 anni alta tecnologia per la realizzazione di sistemi dedicati al comparto dell'attrezzatura professionale: abbattitori, surgelatori rapidi di temperatura, conservatori e macchinari specifici per la lievitazione rappresentano il meglio del made in Italy dedicato al segmento del "freddo" e della conservazione dei cibi.
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Specialista nella produzione di abbattitori professionali e surgelatori rapidi di temperatura, Irinox, azienda con sede a Corbanese, in provincia di Treviso, opera da oltre 20 anni al servizio di professionisti nel mondo della ristorazione al fine di fornire prodotti "che abbiano un chiaro valore tecnologico e che contribuiscano a migliorare il lavoro e la vita di chi ci sceglie". Dal 1989, anno della sua nascita, Irinox avvia una produzione interamente realizzata nei propri stabilimenti, 100% made In Italy, in un'area di ben 15.000 metri quadrati, imponendosi sul mercato come uno dei principali pioneri nel mondo degli abbattitori, introducendo i concetti di produzione e conservazione di alta qualità, attraverso il freddo rapido. Molteplici gli ambiti a cui l'azienda si dedica: ristorazione, pasticceria, gelateria, panificazione e industria alimentare, installando più di 40.000 impianti e distribuendo le proprie attrezzature in più di 80 paesi. Una rete distributiva capillare composta da 15 agenti all'estero, con una filiale commerciale a Boston Irinox Usa - e 18 agenti in Italia, ha contribuito a segnare un andamento dell'anno in corso nettamente positivo, facendo registrare un +18% delle vendite totali tra Italia ed estero. Un successo ottenuto grazie anche al
lavoro svolto quotidianamente dai 160 dipendenti e confermato da numerosi premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali: Kitchen Innovation 2009 e 2010 a Chicago e due medaglie d’Oro dall’Accademia Maestri Pasticceri Italiani. Le richieste di un mercato che tende sempre più a specializzarsi ha contribuito a un percorso di assoluta innovazione che ha portato Irinox a sviluppare tecnologia d'avanguardia per la costruzione dei propri sistemi di conservazione professionali e abbattitori. Come Multifresh®, uno dei sistemi più rappresentativi nel campo della ristorazione: abbattitore di temperatura, unisce in un'unica attrezzatura sie le funzioni legate al mondo del freddo - raffreddamento, surgelazione, scongelamento, cioccolato -, sia funzioni "calde" permettendo cotture a basse temperatura, rigenerazione, pastorizzazione, lievitazione e mantenimento. Multifresh® è ora dotata di una nuova interfaccia touchscreen con schermo a sette pollici: si chiama MyA e ha la funzione di rendere più intuitivo il funzionamento della macchina, grazie alla presenza di icone chiare che consentono di scegliere funzioni e cicli con un semplice "touch" o variare in qualsiasi momento i parametri di ciascun ciclo – quali tempo, ventilazione, temperatura al cuore – per creare ad hoc il processo ideale per ogni prodotto. Il principio di funzionamento di un abbattitore consiste nell'estrazione del calore dei cibi, che deve essere il più veloce possibile. Le performance di Multifresh® sono il risultato dei diversi bilanciamenti dei principali componenti frigoriferi tradotti con l'Irinox Balance System® - condensatore, evaporatore, compressore e ventilatori - disegnato e realizzato da Irinox per estrarre il calore dagli alimenti il più rapidamente possibile, anche dai prodotti bollenti. Le componenti sono inoltre coperte da brevetti: MultiRack®, il portateglie regolabile brevettato per raddoppiare la capacità delle teglie su ogni modello; Multisensor®, la sonda a cinque punti per la rilevazione e il controllo della temperatura degli alimenti, dotata anArtù n°64
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che di un sistema di aggancio alla porta automatico e brevettato; Sanigen®, sistema di sanificazione della camera che azzera la carica batterica dell'aria ed elimina anche i possibili odori sgradevoli. Tutti i dati dei vari processi di lavoro possono inoltre essere trasferiti wireless grazie a un software dedicato, ill HACCP Control Software. Altra punta di diamante dell'azienda trevigiana è N'Ice, il nuovo conservatore Irinox pensato per adattarsi ad ogni laboratorio perchè realizzato con dimensioni ridotte. Compatto e dalle grandi prestazione, N'Ice è in grado di gestire temperature positive, fino a +15° C, e temperature negative, toccando i -25° C grazie all'esclusivo impianto frigorifero di concezione Irinox battezzato Dynamic Power che garantisce il rispetto delle temperature impostate dall’operatore senza sbalzi termici, aspetto, questo, molto importante per la corretta conservazione dei cibi, così come il controllo della giusta umidità, che può essere impostato a un livello compreso tra il 50% e il 95%, a seconda delle esigenze di ciascun professionista. Caratteristica da non sottovalutare è rappresentata dall'efficacia del sistema di sbrinamento a caldo che evita la formazione di blocchi di ghiaccio senza dover spegnere la macchina. Svariate le applicazioni di tali sistemi nel mondo della ristorazione: dalla pasticceria alla gelateria, dal mondo della panificazione per passare all'universo della ristorazione declinato in industria e catering, i sistemi Irinox garantiscono sicurezza e qualità del prodotto, rispondendo, con le diverse attrezzature professionali, alla massima flessibilità produttiva.
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Champagne, Maremma, Alajmo News dal food and beverage Sagna, Cristal in degustazione
Rosé Blanc de Blancs, Vintage e Carte Blanche propongono ora un forte richiamo al design moderno espresso con forme geometriche, bolle, stelle, linee brillanti. Invariata, invece, la caratteristica etichetta oro brillante del Cristal, il millesimo punta di diamante della Maison che passa sei anni "sur lattes" e sei anni in bottiglia prima di essere venduto sul mercato.
Maremma, a tavola sulla spiaggia Segnaliamo con piacere l'evento organizzato da Sagna S.p.A. e la Maison Champagne Louis Roederer, di cui Sagna è importatore e distributore unico da oltre 25 anni, per comunicare a un selezionato pubblico di addetti ai lavori il cambio dell'intera immagine della storica casa di Reims. Location d'eccezione della verticale battezzata "Viaggio nell'universo Cristal" la sede a Revigliasco Torinese, protagonista di una degustazione dedicata a Cristal Brut guidata dallo chef de cave Jean Baptiste Lecaillon: sei diversi millesimi – 2006, 2005, 2002, 1999, 1995 e 1993 – sono stati degustati, per concludere il "viaggio" con il Cristal Rosé millésimé 2002. L'evento è stato anche l'occasione per presentare il nuovo logo, il sito web e le etichette più prestigiose rinnovate nell'immagine e nel packaging: Brut Premier, Brut
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La Maremma “conquista” la Versilia. Si potrebbe sintetizzare così la vittoria del primo premio assoluto Cruciani e OKG alla XXII edizione di A tavola sulla spiaggia della pappa di mare dell’alta Maremma, proposta da Oliva Scaramuzzi in abbinamento al Rosato Carobbio. Il Sindaco Umberto Buratti ha consegnato anche la medaglia celebrativa per i 100 anni della nascita del Comune. Si è concluso così il tradizionale appuntamento enogastronomico diventato sempre più glamour e che ha visto presenti non solo concorrenti e prestigiosi membri della giuria, ma anche amici ormai storici di tutto il team organizzatore. Oltre al Sindaco anche Renato Pozzetto, Massimo Moratti con la moglie Milly, Maria Antonietta Di Benedetto Gutgeld, l’imprenditore Salvatore Madonna talent scout dei giovani chef, Giancarlo Aneri fondatore con Indro Montanelli, Enzo Biagi e Giorgio Bocca del premio È
Giornalismo. E poi i ristoratori della Versilia Lorenzo, Romano, Alessandro Filomena, da New York Sirio Maccioni del ristorante Le Cirque e Davide Oldani ideatore della cucina POP che ha animato con simpatia e grande cultura la presentazione dei piatti. New entry in giuria la giovane Enrica Della Martira, finalista e terza classificata a Masterchef. Un gioiello di Bijoux Cascio in Ceramicon e OKG, il premio Pakerson, il Cruciani Award, il Premio Locman, il premio Rinaldini, il premio Macelleria Fracassi, il premio Forte Magazine, gli argenti di Cassetti, week-end culturali negli alberghi della catena UNA Hotels, vini pregiati in magnum, sono soltanto alcuni dei premi. Negli anni si sono sfidati all’ultimo mestolo personaggi dello showbiz, nobili e gente comune, accomunati tutti dalla passione per i fornelli. E anche per questo appuntamento nei piatti si sono confermati semplicità in cucina e valorizzazione dei prodotti locali, "colti sul posto", come si dice, a "chilometro zero". In abbinamento ai 12 piatti altrettanti vini hanno raccontato il loro terroir. Dai Colli Orientali del Friuli Eugenio Collavini, dal Trentino lo spumante Ferrari e Villa Margon, dal Veneto Aneri e Zenato, dalla Toscana Val delle Rose, Cecchi, Castello di Vicarello, Castello Banfi e il Rosé di Carobbio, dall’Umbria Arnaldo Caprai. Unico vino non italiano lo champagne Basetta, importato e distribuito
dall’Enoteca Marcucci di Pietrasanta. Il servizio di catering è stato curato da Guido Guidi Ricevimenti che in poco più di due ore ha servito con la sua squadra a 40 giurati 12 proposte gastronomiche cambiando 480 piatti e 12 vini sostituendo 480 calici da degustazione. La manifestazione è stata presentata da Anna Maria Tossani di Italia 7. Nella foto: Renato Pozzetto, Massimo Moratti, Giancarlo Aneri, Davide Oldani, Umberto Buratti e Andrea Cecchi. G.M.
Caffè Stern, gli Alajmo a Parigi “L'esprit du lieu” parigino ben si identifica con il Passage des Panoramas. Al 47, nella spledida galleria, riapre dopo sette anni Stern, uno storico atelier d'incisione, reinterpretato oggi dai fratelli Alajmo. L'idea nasce alle Calendre, il celebre ristorante a Padova di Massimiliano e Raffaele Alajmo, proprietari anche del Gran Caffè Quadri a Venezia. Il desiderio è stato quello di far rivivere un luogo straordinario, a Parigi, ricco di fascino e di storia, con un tocco di modernità e di italianità. Non a caso il progetto nasce da un confronto con Gianni Frasi, torrefattore nel Laboratorio Torrefazione Giamaica Caffè a Verona, a cui hanno fatto eco i contributi, fondamentali, di David Lanher, giovane imprenditore parigino, l’architetto Dominique Aver-
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-. La cucina è una sequenza di espressioni italiane, semplici ma ragionate”. La responsabilità della cucina è stata affidata al suo allievo Sergio Preziosa.
Francesca Terragni brinda con Ruinart
Passage des Panoramas land che ha studiato e organizzato un restauro minuzioso di Stern e il famoso designer Philippe Starck che ha interpretato la magia del luogo e ha curato ogni dettaglio dell’arredamento e dell’illuminazione. Il risultato è il nuovo Caffè Stern, luogo dove vivere - e capace di offrire - un’autentica esperienza gastronomica italiana che parte dalla preparazione del caffè: i caffè di arabica naturale, selezionati da Gianni Frasi per Stern, sono macinati all’istante, dal classico espresso al “Lì per lì”, un piccolo cappuccino originario di Trieste, al “Senza fretta”, preparato nella caffettiera napoletana. Aperto dalle 8.30 alle 24.00, al Caffè Stern è possibile sostare per una colazione gourmet con croissant e brioches all’olio extra vergine d’oliva, passando per l’aperitivo con i “cicchetti” Alajmo (reinterpretazione degli antipasti alla maniera veneziana) come il baccalà mantecato con polenta fritta, l’arancino allo zafferano e ragù o la pappa al pomodoro. A pranzo e a cena il menu comprende piatti classici della cucina italiana rivisitata da "Max" Alajmo, come la battuta di carne cruda di vacchetta piemontese al fumo, gli spaghetti alla carbonara all’olio extra vergine di oliva, gli involtini di scampi fritti con salsa di bottarga o la "Pjzza" al vapore di Max. “Caffè Stern è un locale informale che vuole far star bene le persone – spiega Max
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Per chi conosce il mondo degli champagne il nome di Francesca Terragni non è una novità. Legata dal 2003 al gruppo Moët Hennessy Italia, in particolare agli champagne Veuve Clicquot in qualità di direttore marketing e comunicazione, nel 2009 riveste lo stesso incarico per il prestigioso marchio Krug. Con un bagaglio ricco e una formazione brillante – ricordiamo la laurea in Economia Aziendale all'Università Bocconi con un Master in Business Administration e l'entrata nel 1998 nel Gruppo LVHM con l’incarico di gestire il lancio di numerose fragranze di successo del marchio Christian Dior Parfums – Francesca Terragni assume oggi la direzione marketing e comunicazione per l'Italia della Maison de Champagne Ruinart e Estates & Wines, divisione vini del gruppo Moët Hennessy. Un incarico che ancora una volta sottolinea l'intraprendenza e la professionalità che da sempre contraddistinguono il lavoro di Francesca, che commenta così il
prestigioso incarico: “Sono molto onorata di assumere la direzione marketing e comunicazione di Ruinart, antica Maison di Champagne fondata nel 1729, per la quale l'Italia rappresenta un mercato molto importante e di Estates&Wines, la collezione unica di aziende vinicole di alta qualità provenienti da tutto il mondo appartenenti al Gruppo LVMH”.
Salmone irlandese per menu sfiziosi
Sempre più protagonista delle tavole italiane il salmone irlandese rivela tutta la sua bontà grazie ai metodi di conservazione che mantengono inalterate tutte le proprietà e il gusto inconfondibile. Come il salomone irlandese Kv Nordic, distribuito in Italia da Eurofood, affumicato con legni di antiche botti di whisky. Ricco di acidi grassi e omega 3, il salmone irlandese affumicato Kv Nordic si adatta a qualsiasi preparazione, anche le più sfiziose, come la ricetta proposta da Eurofood: insalata tiepida di acetosella e salmone irlandese Kv Nordic, venduto in comode buste con astuccio da 80 grammi. Prepararla è semplicissimo, occorrono 400 grammi di salmone irlandese Kv Nordic tagliato a cubetti, 200 grammi di acetosella, 100 grammi di lamponi freschi, 50 grammi di olio di oliva, una noce di burro, sale e pepe e salsa di soia Kikkoman. E il procedimento è davvero veloce, basta spadellare l'acetosella con la noce di burro, disponendola
successivamente sul fondo di un piatto con qualche goccia di salsa di soia e unendo poi i dadi di salmone. Si condisce il tutto con alcune gocce di salsa di lamponi ottenuta frullando i lamponi con l'olio di oliva.
Il mondo del vino attende a ProWein Grande appuntamento con il mondo del vino alla Fiera di Düsseldorf, dove dal 15 al 17 marzo 2015 andrà in scena ProWein, volano per il settore vinicolo internazionale. Con una importante novità: “Alla già ben conosciuta vasta molteplicità di vini ed alcolici da tutto il mondo il prossimo anno si aggiungerà sul parquet internazionale del vino, un nuovo partner: la Bolivia“ dichiara Michael Degen, Capo Settore della Fiera di Düsseldorf e responsabile in qualità di Direttore della ProWein, partnership veicolata da un programma intrapreso dal CBI (Centre for the Promotion of Imports from Developing Countries), un’agenzia del Ministero degli Affari Esteri dei Paesi Bassi che fin dal 2013 ha collaborato con 14 aziende vinicole boliviane supportandole nei loro sforzi per l’esportazione verso l’Europa. Uno stand collettivo le rappresenterà sotto l'emblema dell’associazione “Wines of Bolivia”, al padiglione 9. Previsti per la manifestazione ben 5.000 espositori provenienti da 50 Paesi e numerose aree di degustazione. Tutte le informazioni su ProWein sono reperibili
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Fiè allo Sciliar
sul sito www.prowein.com. A partire dal mese di novembre si aprirà l’accesso al Ticket Shop Online che offrirà biglietti d’ingresso scontati.
Alpe di Siusi, gusto d’autunno Dal 1° al 31 ottobre si apre la 37esima Dispensa di Fiè allo Sciliar: i ristoranti e i gastronomi dell’area vacanze Alpe di Siusi preparano le ricette più antiche del posto, reinterpretandole con creatività e secondo i gusti più moderni. Un’occasione unica per provare piatti insoliti, tradizionali e di qualità, dove
ogni ristorante sforna menu d’autore, assolutamente irresistibili. L’autunno è dunque il momento migliore per armarsi di forchette e cucchiai ed esplorare i sapori locali, godendosi le temperature miti e frizzantine in scenari naturali fiabeschi. Non mancano poi le feste popolari, degustazioni, spettacoli di musica ed espressioni d’artigianato. Il 2 ottobre c’è la Festa d’autunno di Siusi, vengono organizzate escursioni guidate tra le malghe (da Tires al Catinaccio ne parte una il 7 ottobre), e a rallegrare le piazze ci sono i mercati contadini. Si possono trovare fino al 31 ottobre in piazza Kraus a Castelrotto ogni venerdì, fino al 23 settembre ogni martedì a Siusi (in piazzaO.v.Wolkenstein) e tutti i sabato
fino al 29 novembre in piazza della Chiesa a Fiè allo Sciliar. Frutta fresca, uova di allevamento, formaggio, miele, verdura appena colta, spezie ed erbe per tisane, miele e succhi arrivano direttamente dai masi dolomitici. C.Z.
Emilia Romagna da scoprire con il Wine Food Festival Ricco cartellone di eventi quello proposto per il Wine Food Festival Emilia Romagna, edizione 2014 (www.winefoodfestival.it), la kermesse che fino a dicembre proporrà ben 27 appuntamenti con l’enogastronomia di qualità di un’intera regione, l’Emilia Romagna, appunto, da Piacenza a Rimini. L’iniziativa, promossa dagli Assessorati al-
l’Agricoltura e al Turismo con Apt Servizi Emilia Romagna, punta a valorizzare le bellezza dell’Emilia Romagna partendo dai suoi sapori. Protagonisti del Wine Food Festival saranno infatti i 39 prodotti Dop e Igp del territorio: dalla Coppa Piacentina Dop all’Anguilla di Comacchio, dai Formaggi di Fossa di Talamello e Sogliano sul Rubicone al Fungo Porcino di Borgotaro Igp, dal Sale Dolce di Cervia a Sangiovese, Lambrusco e vini piacentini, passando per tartufo bianco e nero, Parmigiano Reggiano, Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, Olio extravergine d’oliva di Coriano e Brisighella, Mortadella Bologna e Prosciutto di Parma, per una festa del gusto lunga tre mesi. Tutte le info su www.winefoodfestival.it.
libri
Gli hamburger del Mercato. E l’amore fra i Ceretto e Crippa
Titolo: Al Mercato. Ristorante & burger bar Autore: Beniamino Nespor – Eugenio Roncoroni Traduzione: Cinzia Poli Curatore: Gabriele Zanatta Editore: Gribaudo Pagine: 182
Titolo: 100% Alba. Ceretto/Crippa. Tra cantina d'eccellenza, territorio e cucina stellata Autore: Stefano Zuffi Editore: Mondadori Electa Pagine: 285 Prezzo: 28,90 €
Titolo: Un imprenditore di successo Autore: Andrea Gilardoni Editore: Mind Edizioni Pagine: 120 Prezzo: 8,90 €
Titolo: Ricette d'ufficio Autore: Denise Battistin Editore: ebook editore Pagine: 113 Prezzo: 3,99 €
Street food d'autore... e non solo! Tutto da gustare con gli occhi questo libro dal sapore rustico e dalla carta spessa. Capace anche di regalare immagini "veraci" che convivono senza schiamazzi con piatti certamente più vicini a opere d'arte, per rappresentazione, gusto e cromatismi. Gli autori, nonchè chef del celeberrimo Al Mercato di via Sant'Eufemia a Milano, si raccontano, senza mai annoiare, nel loro iter culinario approdato, con grande successo, al locale milanese dove mangiare l'hamburger più buono della città (e non solo!). Qui sono spiegate, fotografate e commentate – con simpatici riquadri gialli – le ricette che si possono gustare Al Mercato e al Burger Bar annesso. Introduzione e ricette sono poi tradotte in inglese in una sezione ben visibile, separate da una pagina gialla. E il gusto è servito.
Tecniche di vita Lettere dell'alfabeto legate a parole, concetti, storie. Di più. A una vita, a un progetto, a un sogno e alla sua realizzazione. Il volume, molto elegante e moderno nella veste grafica, racconta la storia di ogni ingrediente e di ogni ricetta, ma anche illustri opinioni e punti di vista. Ma sopra ogni cosa descrive minuziosamente la storia del magico sodalizio tra la famiglia Ceretto, i celebri produttori di vini apprezzati dagli appassionati di tutto il mondo, ed Enrico Crippa, lo chef brianzolo del Piazza Duomo di Alba, tre stelle Michelin. Il volume è intenso, ricco e ragionato, come ogni piatto di Crippa, lo chef che ai riflettori preferisce la vita in cucina (e che cucina!): il libro descrive egregiamente l’impegno storico della famiglia Ceretto, che ha saputo valorizzare il territorio delle Langhe trasformandolo in un centro di autentica attrazione, oltre che luogo di degustazione di grandi vini e di alta ristorazione.
Se vuoi puoi... Andrea Gilardoni è figlio d’arte, nel senso che suo padre Ambrogio ha creato, negli ultimi trent’anni, un polo di ristorazione di successo, replicato in diverse location. Per qualche tempo ha seguito le orme paterne, una “scuola” decisamente positiva, che ha portato Andrea (classe 1977) a fare riflessioni profonde sul concetto di imprenditoria e di marketing della ristorazione. A un certo punto della sua vita, però, ha deciso di imprimere una svolta al suo futuro ritenendo che la sua esperienza e professionalità potessero essere utilizzate diversamente. Nasce così, grazie anche ad incontri “illuminanti” (uno per tutti, Roberto Cerè, autore del libro Se vuoi puoi) il nuovo corso della sua vita. Dopo anni di “allenamento mentale”, Andrea Gilardoni ha trovato nella sua determinazione il motore di un successo imprenditoriale senza precedenti, destinato a coinvolgere altre persone “motivate, positive e concrete”. Leggere per credere.
Intrecci gustosi Primo e-book della giornalista vicentina, enogastronomica ed esperta in comunicazione, "Ricette d'ufficio" sfrutta la struttura del tessuto narrativo per proporre interessanti ricette, spiegate nel contesto narrativo di riferimento. Escamotage che permette all'autrice di scrivere un libro con una storia vera e propria ambientando il racconto in una piccola agenzia di comunicazione a Padova. Anche il tempo narrativo è fondamentale, tutto infatti si svolge nell'arco del mese di gennaio. Tra incontri romantici e disavventure amorose, progetti e successi lavorativi, si inseriscono con tocco leggero ricette di antipasti, fagottini, secondi e primi, senza tralasciare dolci e biscotti. Il testo è dunque punteggiato da ricette di cucina, dalle più nuove e inedite, fino alle più tradizionali. Ogni episodio ne contiene almeno una o due e la narrazione rappresenta il mezzo "sine qua non" parlare di cucina.
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Cesira, Mirta e Acqua Pazza tre super-ragionevoli CESIRA Via Cantiniera 1 24020 Còlere (Bg) Tel 0346 30049
Ma chi se lo sarebbe mai aspettato un ristorante simile, sui bricchi della Presolana? Abituati da sempre a una ristorazione di montagna modello “baita-polenta-salumi-formaggi”, siamo trasecolati quando, arrivati da Cesira, abbiamo scoperto una realtà del tutto inattesa. Aldilà del panorama mozzafiato, Cesira Belingheri insieme al marito chef, Dario Soldo, ed al fratello Vanni, ha creato un polo di offerta culinaria di solida struttura e di indubbia professionalità: il ristorante, un edificio in tipico stile montano con ampia sala, griglia e cucina a vista, propone piatti di inedita concezione, di chiara impostazione stagionale, accostati a preparazioni più tradizionali. Che dire? Banalizzando, potremmo dire che ci si viene per i funghi, per l’ottima carne, per i primi piatti, ma anche - di sera - per pizze di alta qualità. Entrando nei dettagli, però, vanno dette e scritte altre verità. La prima: Cesira, sapiente ristoratrice, sceglie il meglio delle materie prime locali (e non solo). La seconda: Dario Soldo, in cucina, tratta gli ingredienti con perizia, senza indulgere a cero manierismo bergamasco tanto diffuso, ma sapendo mettere in primo
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piano il valore gustativo delle materie, creando senza sperimentare. Nascono così piatti memorabili: dopo un viaggio veloce fra gli antipasti, in primis tortino di zucchine e mele con mortadella, terrina di foie gras con pan brioche, polentina con fonduta di Branzi al tartufo nero, crema di finocchio e sedano con capesante croccanti alla pancetta, passiamo ai primi. Foiade con funghi porcini e casoncelli alla bergamasca esprimono una potenza gustativa coerente con la succulenza di impronta tradizionale. Dalla carta emergono poi indicazioni più slegate dal territorio ma di notevole suggestione: spaghetti di Gragnano con gamberi rossi e briciole di pane, gnocchi di patate con cozze, calamari ed asparagi, crema di patate, funghi e castagne con scaloppa di foie gras. Par già di vederli, i puristi del chilometro zero, storcere il naso. Capiranno prima o poi che la qualità delle materie prime va ben oltre il concetto di rispondenza ortodossa al territorio…? Cosa ci perderemmo se la ristorazione proponesse solo piatti di impronta rigidamente locale? Continueremmo, in una sorta di delirio autopunitivo e infantile, a mangiare polenta in montagna e spigola al mare… Per fortuna c’è chi, come Dario e Cesira, sa andare oltre l’automatismo dell’autoreferenzialità, inventando una cucina che risponde ai requisiti fondamentali: freschezza, qualità, gusto. Fra i secondi, i piatti alla griglia di Vanni Belingheri, meritano un capitolo a sé, tanto è esperta la mano del grigliaro e alta la qualità delle carni (arrivano dalla macelleria Giudici di Clusone ma anche dall’allevamento di razze bovine “super” di Pesenti, a Zogno): da non perdere la bistecca di Charolaise con contorni, carne dalla marezzatura equilibrata, succosa e di portentosa tenerezza, la fiorentina di fassona piemontese, la Black Angus. Mirabilmente cotte al fuoco di brace, sono una delle tante ragioni per cui salire fin quassù, fra Bratto e Dorga, al confine fra le provincie di Bergamo e Brescia, a respirare l’aria fresca dei mille metri e a godere di una cucina ricca, composita, ben definita e, nello stesso tempo, delicata ed elegante. La clientela, assidua e fedele, segue rituali antichi,
gelo Molinari, un guru dell’ospitalità, purtroppo mancato) perché è capace senza alcuna presunzione - di partire da ingredienti di territorio per renderli protagonisti di piatti indimenticabili. Inoltre, la sua è una proposta di cucina molto ragionevole (e quindi in sintonia con la nostra visione dell’offerta), evidenziata dalla presenza di un ricco menù degustazione, venduto a 45 euro: una vera ACQUA PAZZA eccezione per la carissima ristorazione Via Maragliano 17 16038 Santa Margherita Ligure (Ge) di Santa Margherita. Nella nostra esperienza, risalente allo scorso mese di Tel 328 9375514 agosto, abbiano assaggiato un calamaro www.claudiomodena.it ripieno con verdure, prescinseua (la tipica “quagliata” ligure, formaggio di rara delicatezza) e parmentier di patate Forse Santa Margherita non è il posto quarantine, le lattughe di nasello di Mongiusto per questa chicca enogastronomica, terosso con guazzetto di pomodoro, olive meta di gourmet che arrivano da lontano. taggiasche e pinoli, il sampietro con verLa clientela “locale”, infatti, sembra pre- dure croccanti e bagna caoda. Tre piatti diligere ambienti più chiassosi ed informali, equilibrati e deliziosi, che confermano che mettono al primo posto la convivialità la stoffa dello chef (aiutato in cucina del luogo e l’atmosfera complessiva. Que- dalla brava compagna e da un giovane sta Acqua Pazza, invece, è un piccolo stagista), schierato con intelligenza dalla nido di prelibatezze, dove uno chef di parte dei piatti “riconoscibili”, chiari e conclamata esperienza, Claudio Modena, non astrusi, mirabilmente preparati utiliznato nel 1957 a Sestri Levante, propone zando tecniche di cottura anche innovative. la “sua” grande cucina. Osiamo definire Suggeriamo anche di provare la scottata grande la linea culinaria di Claudio (che di manzetta di Santo Stefano con rucola avevamo conosciuto anni addietro al e aceto balsamico tradizionale modenese, Lord Nelson di Chiavari, condotto da An- o la mitica “capponada” con i gamberi primo fra tutti il passaparola. Già, perché qui il web non esiste, a dispetto di blogger e foodies. Chiedo a Cesira: “Siete su internet? Avete un sito?” Risposta: “Non ci serve. Basta il tam tam di chi ci ha scelto una volta. E ritorna. E fa ritornare”. Evviva il passaparola, internet fatti da parte. Almeno per questa volta.
LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole
Numero 64 settembre/ottobre 2014
secondo Alberto
Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello In redazione Elisa Facchetti - elisa.facchetti@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it _______________________________________________________________________________________________________
co lo ph o
Hanno collaborato Fiorenza Auriemma, Denise Battistin, Guido Bernardi, Stefano Bonini, Luisa Contri, Davide Deponti, Antonio Ezio, Beppe Francese, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Isa Grassano, Rocco Lettieri, Alberto Lupetti, Emilio Magni, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Aldo Nenzi, Anna Pesenti, Alessandra Piubello, Roger Sesto, Gualtiero Spotti, Theo Smith, Claudio Zeni, Ludwig Wittgenstein, Stefania Zolotti _______________________________________________________________________________________________________
Art director Claudio Rossi Oldrati
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Foto Florian Andergassen (Cantina Tramin), Allesfoto.com, BVD/Tappeiner, Alberto Campanile e Helmuth Rier (evento San Paolo), Francesca Moscheni (Aqua Crua), stradadeiformaggi.it e Alessandro Trovati (Trentino), John Swope (Pellicano) _______________________________________________________________________________________________________
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di Santa Margherita. Capitolo dolci: un tiramisù fiabesco stupirà anche chi, come il sottoscritto, è renitente ai dessert! L’offerta dei vini è equilibrata, seppure ristretta ad un ambito regionale, dove peraltro le buone etichette non sono poche: degustate la Bianchetta di Chiavari, un vino secco e gradevole, che non delude. Qualche altra informazione: l’olio e gli ortaggi sono dell’azienda agricola Orseggi, a Santa Giulia, le farine e le erbe aromatiche vengono dall’azienda agricola “Rue de Zerli” di Franca Damico. Nel coperto, apparentemente alto (5 euro), sono però compresi anche acqua minerale e caffè: una buona idea, che pone al riparo da costi aggiuntivi (che spesso incidono non poco sui conti finali di molti ristoranti).
TRATTORIA DA MIRTA Piazza San Materno 12 20131 Milano Tel 02 91180496 www.trattoriamirta.it
Ne hanno già parlato in molti, ma forse non abbastanza. Questa trattoria in zona Lambrate, a Milano, nasconde una precisa visione dell’offerta ristorativa. Ovvero: cercare di dare il massimo ai prezzi più “ra-
gionevoli” possibili. Impresa improba, ma non per Juan Josè Lema, uruguaiano, e per sua moglie Cristina. Mirta è la loro passione, l’obiettivo di una vita: non solo una mera questione di professionalità, ma la coinvolgente scelta di un’esistenza, votata alla soddisfazione propria e della clientela. Nonostante i tavoli ravvicinati (necessari per far “godere” più persone possibile, oltre che per garantire il successo dell’attività, soprattutto a mezzogiorno), Mirta è un ristorante “di ampio respiro”. Il menù, ricco e variegato, sa spaziare dai piatti più tradizionali (memorabili le animelle di vitello alla milanese servite con la giardiniera della casa) a preparazioni più creative come, ad esempio, la torta calda di farina integrale e verdure servita con maionese al parmigiano o, fra i primi, il minestrone tiepido di fagioli, fave, scarole e ortiche, la crema fredda di verdure arrostite e zenzero con stracciatella fresca, gli gnocchi di ricotta e grano saraceno con passata di peperoni. Una cucina di ingegno, quella di Juan, che non dà nulla per scontato e che consente di provare piatti di notevole gusto, impreziositi da una forte impronta personale, a prezzi più che onesti. E forse sta anche qui il successo di Mirta. In una città, come Milano, ormai fuori controllo (per prezzi elevati e qualità spesso inconsistente, per non dire altro), sedersi a un tavolo da Mirta apre orizzonti di serenità, gustativa ma anche economica. I secondi, il cui prezzo raramente supera i 14 euro, ben rappresentano l’assioma tanto desiderato del cosiddetto “price for value”: l’involtino di fegato di manzo e pasta di salame “in rete” servito con fagioli in umido, o la tartare di bue con salsa verde e lampascioni o, ancora, il frittino di camembert in crosta ripieno di lamponi con insalata di tarassaco, decisamente meritano la visita. Cortesia, servizio e buona accoglienza generale fanno sì che la Trattoria Mirta, secondo Artù, abbia una valutazione molto elevata.