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Artù n°70 - Settembre - Ottobre 2015
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Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati
Portogallo: dalle foreste di sughero di Coruche nascono i grandi tappi di Amorim Svizzera: Dany Stauffacher racconta le scelte di S.Pellegrino Sapori Ticino Piemonte: il burro di montagna garanzia di qualità. Parola di Beppino Occelli Lombardia: nei piatti di Matteo Fronduti lo spirito anticonformista di uno chef “contro” Alberto’s Choice: c’è l’impronta di Gualtiero Marchesi nella cucina di Paolo Lopriore
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EDITORIALE n°70
Lo stile di GUALTIERO Milano capitale italiana della ristorazione. Sì, no, forse. Fatto sta che qui, ormai, apre di tutto: con la complicità di vantaggi economici (spesso solo apparenti) sull’acquisizione delle gestioni (ma con affitti da capogiro: basta citare il vociferato milione di euro per un nuovo mega ristorante in Galleria?), nell’arco degli ultimi dieci mesi hanno aperto oltre mille attività di ristorazione: bar, bistrò, gourmet, etnici, nuove formule ecc. Ovviamente, accanto a vertici indiscussi, c’è anche parecchia fuffa: i molti ingenui che pensano di vincere la lotteria della vita iniziando un’attività di ristorazione
(scambiando il fatturato con gli utili) si devono ricredere di fronte a “imprenditori” d’assalto che, senza troppi scrupoli, aprono insegne a destra e manca all’insegna di food cost irrisori e, soprattutto, di retribuzioni letteralmente indegne. L’utile sopra tutto. Bello poi parlare di motivazioni, entusiasmo, creatività ecc. Per carità, non fraintendiamo: se di professionalità in giro ce n’è poca, di bisogno (e di passione) ce n’è parecchio. Ed è indubbiamente un valore importante. Ma approfittare di queste positività è esercizio di breve durata, se non viene supportato da andamenti col segno +. I risultati positivi derivano da investimenti in qualità, materie prime, attrezzature, ma anche nella motivazione di esseri umani, con le rispettive sensibilità, caratteri, inclinazioni. Dunque, la passione da sola non basta (e può trasfor-
marsi velocemente in demotivazione) se non viene guidata, intuita, valorizzata, finalizzata ad un successo che è essenzialmente figlio di un gioco di squadra… Stiamo a vedere cosa succederà nella Milano del dopo Expo, quando le luci dei riflettori si abbasseranno e, allora sì, resisteranno i migliori. E di bravi ce ne sono davvero tanti, giovani e meno giovani: se guardate le nostre pagine social e seguite il sito e le newsletter di Artù vi rendete conto della nostra attenzione verso chi è bravo, capace e performante, in cucina e in sala. Milano è davvero tornata ad essere una città in cui si può mangiare a livelli altissimi. A tale proposito, registriamo una novità cittadina non da poco, a cui guardare con attenzione e rispetto. Gualtiero Marchesi torna Gualtiero Marchesi. Così, accanto al Marchesino, ideale per dopoteatro di qualità ed esperienze più informali, il ristorante di piazza della Scala si propone con tutta la grandezza del nome del Maestro. E si configura come “la” destinazione per eccellenza. Un evento per la città, che può fregiarsi della presenza di un ristorante italiano a tutto tondo, capace di esprimere una linea di cucina completa, al di là di pseudoregionalismi superati dal tempo e relegati nell’alveo della tipicità (sempre difficile da esprimere correttamente). Gualtiero Marchesi, 85 anni suonati, uomo di cultura profonda prima ancora che grande cuoco, ha l’entusiasmo di un ragazzino e non si tira indietro davanti a nulla. “Ho imparato prima a tuffarmi che a nuotare”, dice spesso Gualtiero: ovvero, nella vita bisogna osare, ma bisogna anche essere capaci di farlo, “imparare” ad osare. Nel menù del nuovo Gualtiero Marchesi ci sono piatti di recente creazione, accanto ai grandi classici di sem-
pre, come il Raviolo aperto o gli Spaghetti al nero di seppia, yogurt e uova di salmone o il Gulasch di tonno o l’incredibile Grande antipasto di pesce con, al centro, gli spaghetti. Ricordo ancora l’entusiasmo con cui, in una calda giornata di primavera di quindici anni fa, il Maestro mi propose questi suoi spaghetti freddi, conditi con sale e poca citronette, cosparsi di erba cipollina con al centro un cucchiaio di caviale e una leggera presenza di scalogno. Qualcuno storse il naso ed esclamò “spaghetti freddi??”. Passato lo stupore, ci si rese conto della semplicità estrema del piatto, capace di esprimere pienezza, gusto totale e leggerezza insieme. Il segreto del Maestro è proprio questo, rendere la materia protagonista del piatto, senza ulteriori presenze accessorie, ingombranti, fastidiose. Se è vero che “in ogni arte la grande raffinatezza consiste nella sintesi e nella semplicità” (Toulouse Lautrec), riusciamo a comprendere appieno il messaggio di Gualtiero Marchesi, bene evidenziato dalla sua risposta ai quesiti di qualche cronista, fermo al dato apparente. “Ma lei Gualtiero, ci sarà sempre al ristorante?” Risposta: “Bach diceva: non è importante come tocchi il tasto, perché io ho già fatto tutto nella composizione. Mi ritengo un compositore - continua Gualtiero -. Mi interessa l’esaltazione della materia, la sua purezza, il ritmo delle cose…”. Comunque, tranquilli: Gualtiero ci sarà. E guiderà la sua brigata di giovani muovendosi fra cucina e sala, quest’ultima presidiata e diretta con cura estrema, recuperando anche momenti scenici di alto profilo: il trinciante che “lavora” l’anatra al torchio è un momento di rara emozione. Spettacolo Marchesi. Alberto P. Schieppati Artù n°70
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In copertina: Carlos Santos è l’anima di Amorim Cork in Italia. L’azienda portoghese, leader nella produzione di sughero, è universalmente nota per i suoi tappi, destinati alla produzione vitivinicola di qualità di tutto il mondo.
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Info people Garbole, un Hurlo che arriva lontano di Alberto P. Schieppati A tavola sulla spiaggia. Tra gusto e mondanità di Cristina Panigada Prosecco Privée, largo ai giovani di Elisa Facchetti Info brand FoodPression, l’Irpinia si promuove Lainox, cucina in evoluzione di Elisa Facchetti Grappa Day 2015, distillazione sostenibile di Claudio Zeni Vigna dell’Impero sceglie l’Enoteca Pinchiorri di Giovanna Moldenhauer Focus wine Amorim Cork, col sughero non si scherza di Alberto P. Schieppati Il Sangiovese secondo I Veroni di Theo Smith Focus beverage Segnana, la grappa dei Lunelli: delicata eleganza di Elisa Facchetti Protagonisti food Dany Stauffacher. Una vita da gourmet di Alberto P. Schieppati L’oro bianco delle Alpi, il burro di Beppino Occelli di Elisa Facchetti Gargano felix. Il giacimento di Gegè di Teo Smith Matteo Fronduti, taste of Manna di Alberto P. Schieppati Accueil Taufer e Perbellini, mani illustri a Venezia di Gualtiero Spotti Riva del Sole, incanto della Maremma di Elisa Facchetti A Portovenere apre l’esclusivo boutique hotel di Alessandro Luongo Osteria dell’Orcia, più relais o ristorante? di Gualtiero Spotti Dal mondo Graz, la freschezza tra chef e mercatini di Gualtiero Spotti Equipment In cucina con Lotus, modularità e design di Elisa Facchetti News La Wagyu di Aprea a Milano, la supercantina a Treiso... Libri Storie di caffè e gusto, quattro libri da leggere di Alberto P. Schieppati Alberto’s Choice La quaglia di Lopriore, l’impronta di Gualtiero... di Alberto P. Schieppati
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Garbole, un Hurlo che arriva lontano
“Dall’idea iniziale del 1994 ci accompagna una continua tensione, volta a superare noi stessi al fine di ottenere vini rossi pregiati”, dicono. La loro coraggiosa inquietudine è dentro a un percorso di continuo miglioramento (“di noi stessi e quindi dei vini che produciamo”, dicono con orgoglio). Outsider e autodidatti (“A Vinitaly non abbiamo lo stand”…), i fratelli Finetto sono stati affascinati dallo straordinario mondo del vino e hanno deciso di dedicarvi anima e corpo, mente e cuore, “abbandonando le vite precedenti e credendo fermamente nella bellezza dei nostri sogni”, dice Ettore. Folgorati di Alberto P. Schieppati dalle possibilità produttive della vigna, verrebbe da dire. La continua ricerca Ettore e Filippo Finetto, fratelli conta- di un’identità che è insieme territoriale dini di Garbole, sono due persone e esistenziale, ha portato questa coppia speciali. Innanzitutto perché dimostra- incredibile a produrre vini fortemente no concretamente che la “contadi- identitari, destinati agli appassionati nanza” è (come diceva anche Gino ed ai veri cultori del vino inteso come Veronelli) la più alta espressione di “superamento di se stesso”, tendendo cultura. In secondo luogo perché dalla - nel loro percorso - a realizzare il goloro cantina di Tregnago, in Valle di dimento e la piena soddisfazione di Illasi (Vr) - fra Soave e la Valpolicella chi vi si accosta. “Solo natura e lavoro - escono vini portentosi, che restano dell’uomo all’interno della bottiglia, le nella memoria di chi li degusta grazie persone prima del vino, il valore prima alla loro potenza-struttura-unicità. del prezzo, il vino prima dell’etichetta”
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dicono. E, in questa “Garbole Philosophy” trovano spazio etichette uniche e irripetibili. Heletto, rosso veneto IGP, colpisce per la pienezza e la vitalità, Hatteso, Amarone della Valpolicella Riserva, esprime concentrazione e purezza, realizzando una sintesi fra forza, potenza e morbidezza, che si amalgamano per concedersi al piacere e alla complessità sensoriale; Hestremo, un Recioto della Valpolicella Doc, a sua volta esprime un carico di aromaticità sorprendente, in cui la materia e la sua concentrazione occupano con forza “il centro della scena”. Ribadiscono i Finetto: “In questo Recioto c’è un forte legame fra passato e presente: è un vino che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo. Rievoca ricordi, pensieri ed emozioni che albergano nella nostra parte più ancestrale”. Una produzione limitata quella di Garbole, che punta decisa su concentrazione delle uve e affinamento in legno: ne è prova la presenza, nella bella cantina, di circa 180 botti da 350 litri (capienza intermedia fra barrique e tonneau), acquistate nella Rioja dal bottaio Magrenan, che assicurano un lento, lungo affinamento. Complessivamente poche migliaia di bottiglie (un’eresia, direbbe qualcuno, all’insegna del “piccolo è bello”): un numero che nasce da amore profondo per la qualità e dalla volontà di cura certosina per i dettagli. Ma è con il quarto vino prodotto da Garbole, Hurlo, che si realizza appieno il sogno dei Finetto. Espressione visionaria del bisogno di libertà creativa, Hurlo è “l’originale e innovativa interpretazione di una visione autentica nel plasmare la materia, che sboccia nella sua essenza”, ci dice Williamo Cocco, che di Garbole è l’anima comunicante. Morbido, elegante e strutturato, Hurlo (1.500 bottiglie, 250 € a bottiglia) si rivolge all’altissima ristorazione e agli enoappassionati alla ricerca del meglio. Ma, poiché non è un vino da raccontare ma da bere, Artù rimanda a info@garbole.it (045 7809020) per potersi aggiudicare una degustazione. Vi diciamo solo che l’esperienza sarà memorabile, in tutti i sensi.
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A tavola sulla spiaggia Tra gusto e mondanità di Cristina Panigada Successo delle migliori tradizioni gastronomiche italiane alla XXIII edizione di A tavola sulla spiaggia: la kermesse ha proposto i temi dell’Expo tornando sull’idea del recupero, della cucina del riciclo. Sono stati i Principi della famiglia reale saudita a prenotare in esclusiva la famosa duna alle Boe di Forte dei Marmi per assistere alla conclusione di questa XXIII edizione di A tavola sulla spiaggia, con un saluto e un appuntamento al prossimo anno, stessa spiaggia stesso mare, anche se è stato formalizzato un invito per una edizione speciale sulla spiaggia di Dubai. “Pieds sur la sable” per questo show ideato e organizzato da Gianni Mercatali. 12 i concorrenti chiamati a contendersi lo scettro di questo originale talent mondano-gastronomico. Il primo premio Euro-Toques International è stato conquistato da Giulio De Socio ed Ennio Losi che insieme hanno proposto le “Longobarde” di vitello con pomodorini e maionese piccante abbinate a un Ferrari Riserva Lunelli 2006, mentre il premio della stampa Castel Monastero se l’è aggiudicato Guido Boni con il suo dolce ai frutti di bosco in abbinamento a Bisol Superiore di Cartizze.
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Tutte le proposte hanno comunque avuto l’apprezzamento della prestigiosa giuria di chef stellati conquistandosi i numerosi premi in palio. Da Cruciani Award, quello dei famosi braccialetti in macramè, al premio Pakerson, brand delle scarpe di lusso su misura, al premio Forte Magazine consistente in una scultura in travertino romano di Patrizia Di Poce dal titolo Vento e sabbia, la
cui personale è in corso nel parco della Versiliana. E poi gli argenti di Cassetti, week-end culturali negli alberghi della catena UNA Hotels, il premio Harry’s Bar Firenze, un luogo icona della ristorazione, e ancora il premio La Molina, l’eccellenza del cioccolato artigianale, il premio VKA la vodka made in Tuscany, vini pregiati in magnum. Ad accompagnare i piatti un blasonato parterre di vini: dal Friuli Eugenio Collavini, dal Trentino Ferrari, dal Veneto Bisol, dall’Emilia Romagna Aneri, dalla Toscana Cecchi, Castello Banfi, Tenute Lunelli, Val delle Rose, Tenute Ambrogio e Giovanni Folonari, Colle di Bordocheo, dall’Umbria Arnaldo Caprai e, dalla Francia, lo champagne Basetta importato da Enoteca Marcucci. Il servizio di catering è stato curato da Guido Guidi Ricevimenti che in poco più di due ore ha servito con la sua squadra a 40 giurati 12 proposte gastronomiche cambiando 480 piatti e 12 vini, sostituendo 480 calici da degustazione. La manifestazione, alla quale anche quest’anno è stato rinnovato il Patrocino del Comune di Forte dei Marmi, è stata presentata da Anna Maria Tossani di Italia 7.
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Prosecco Privée, largo ai giovani di Elisa Facchetti Tre soci, la voglia di cambiare, l’amore per il proprio territorio che diventa passione per quel vino che ne è figlio naturale e legittimo: il prosecco. Da qui nasce una formula unica finalizzata al bere bene e alla rivalutazione del Conegliano, un luogo dove degustare un ottimo prosecco accompagnato da piatti autentici e genuini. Si chiama Prosecco Privée il locale tutto da scoprire. A San Vendemiano, nel cuore del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, l’idea
di creare un luogo dedicato al prosecco ha fatto centro. Strutturato con tutti i crismi del caso, il progetto è stato dato alla luce da tre soci, Sandro Adorni, Ivan Valentini e Riccardo Zandegiacomo, i quali si sono rimboccati le maniche per creare un’inedita formula del bere bene, che trova le sue fondamenta nelle cantine, circa 30, selezionate all’interno della denomi-
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nazione Docg. Il risultato è vincente. Ancora più vincente per le sfiziosità che accompagno le bollicine: abbinamenti perfetti da consumare sia a pranzo, sia per l’aperitivo serale, piatti tipici preparati con materia prime selezionate e provenienti dallo stesso territorio di produzione del prosecco. “Alti livelli di qualità, rigorosa selezione delle materie prime, rispetto e considerazione per il territorio che le produce, questi i principi chiave di Prosecco Privée - spiega Sandro Adorni, uno dei tre soci fondatori -. Da noi ciò che mettiamo nel piatto e che versiamo nel calice si sperimenta in prima persona come un vero viaggio, perché lo scopo primario di questo spazio è offrire ai nostri clienti attraverso il vino e il cibo una concreta educazione e sensibilizzazione a un territorio prezioso, da conoscere e preservare perché capace di generare grandi eccellenze”. Nel menu spiccano infatti stagionalità e freschezza degli ingredienti che provengono delle realtà che operano nei comuni della Docg, piatti freddi ma anche primi e secondi di grande gusto. Prosecco Privée propone anche servizio di take away e al mattino, aperto dalle 7,30, sorprende con interessanti colazioni: cornetti artigianali preparati con lievito madre e farciti al momento con gustose marmellate, yogurt confezionati da alcune tenute agricole locali e centrifughe di frutta e verdura fresca. Non solo wine bar o ristorante, ma luogo dove riscoprire il valore del territorio autentico a 360°, una formula che rivela il suo successo ormai da due anni. I tre soci stanno infatti pensando di aprire altri locali e una prossima espansione all’estero, in paesi come Germania, Austria, Francia, Grecia. La qualità proposta da Prosecco Privée nasce da questa terra, il Conegliano, e il suo successo sta anche nel saper comunicare i valori del territorio, una missione che è stata perfettamente interpretata con una formula tanto semplice quanto efficace e che ha saputo distinguersi nel nebuloso e spesso poco esaustivo mondo dei wine bar.
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FoodPression L’Irpinia si promuove Un’estate all’insegna della valorizzazione dei prodotti dell’enogastronomia irpina: partiti con Tuttofood, i protagonisti dell’agroalimentare del territorio si sono poi spostati in Expo, dove hanno messo in luce le qualità dei propri brand, fortemente legati a valori identitari.
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Fra i marchi che ci hanno colpito per la loro qualità, abbiamo individuato Lilià (biscotti artigianali), Bellarìa (vini), Pastificio Del Sole (pasta di grano duro e all’uovo), Vincenzo Di Iorio (torrone): quattro realtà, diverse fra loro per tipologia di prodotto, ma accomunate da un amore estremo per le materie prime e le lavorazioni il più possibile autenticamente artigianali. I dolci prodotti a Ariano Irpino dalla famiglia Fodarella (www.biscottificioirpino.it) con il marchio Lilià, sono fatti utilizzando solo ingredienti locali: “l’olio è quello di Ravece delle colline dell’Irpinia, l’acqua è quella delle fonti montane, la passione è quella che si tramanda sempre di generazione in generazione”. Quella di Lilià (sta per Liliana, la mamma di Lorenzo e Gianluigi, a cui ha trasmesso l’amore per le produzioni di qualità), è una storia di famiglia, che ha dato vita a un progetto imprenditoriale senza precedenti. Ogni biscotto di Lilià porta con sé il valore del legame con il territorio di origine, l’amore per le cose fatte con le mani e pensate con il cuore. La storia della cantina Bellarìa (www.agricolabellaria.it), a sua volta, nasce dalla passione per i prodotti enologici di una
chitarra, pappardelle, scialatielli. Questi ultimi sono disponibili anche, per la ristorazione, agli spinaci, espri- al limone, al nero di seppia, al pepeme standard roncino, al basilico e in altre varianti qualitativi ineguagliabili. creative ma dai gusti coerenti. Quattro Il Pastificio Artigianale Del Sole esempi, quelli proposti nell’ambito di (www.pastificiodelsole.it) è un’altra FoodPression, che hanno convinto sulla espressione di genialità artigianale, qualità dei prodotti presentati. unita ad un estro creativo senza precedenti. Accanto alle paste tradizionali di semola di grano duro, disponibili
terra come l’Irpinia, nota nel mondo per la qualità dei suoi vitigni autoctoni, che danno vita a grandi Greco di Tufo, Falanghina, Coda di Volpe e Aglianico. Vini autoctoni prodotti attraverso antiche lavorazioni naturali prive di ogni alterazione chimica, secondo la filosofia dell’azienda. Accanto ai vini, fra cui spiccano le 6.000 bottiglie di Aglianico 2012, premiato al Decanter Asia Wine Award 2014 e il Coda di Volpe 2014, medaglia d’argento all’International Wine Challenge di Londra nel 2014, Bellarìa produce anche ottimo olio extravergine di oliva. Ancora sul fronte dolciario, Vincenzo Di Iorio (www.torronediiorio.com) esprime un vertice qualitativo nel settore dei torroni. Come sottolinea il titolare, Federico Di Iorio, le specialità dolciarie dell’azienda “sono la prelibata testimonianza di una tradizione che affonda le radici nel 1700”. Nella produzione vengono utilizzati esclusivamente ingredienti genuini di prima qualità: miele, albume, mandorle,
nocciole di collina di varietà pregiate. Da non perdere il Torrone “Vecchia Maniera”, simbolo della vocazione artigianale della famiglia, che grazie a lenta lavorazione, tutta effettuata a mano,
nei classici formati tanto amati dagli chef (calamarata, rigatoni, eliche, paccheri, spaghetti, linguine, conchiglioni ecc), la famiglia Del Sole propone paste fresche come tagliolini a nido, Artù n°70
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Lainox, cucina in evoluzione di Elisa Facchetti I sistemi di cottura non sono tutti uguali. A fare la differenza le nuove realtà tecnologiche al servizio di chi cucina a livello professionale e che richiede strumenti di lavoro efficienti per gestire al meglio spazio e tempo. Facilità di utilizzo e condivisione sono gli elementi più richiesti, a cui Lainox risponde con la tecnologia 2.0 di Naboo e non solo. Lainox, parte del Gruppo Ali Spa, si è resa protagonista di una importante evoluzione nel settore della ristorazione professionale, grazie alla realizzazione di una nuova generazione di forni combinati. Con Naboo la tecnologia fa rima con praticità e condivisione, grazie al costante collegamento con il mondo della rete, tramite wi-fi e al Cloud Lainox, ovvero una enciclopedia gastronomica del gusto dove trovare ricette collaudate da chef di tutto il mondo. Primo forno definito 2.0, Naboo migliora le performance di cottura indicando, ricette per ricetta, i passaggi da seguire e i piatti in base alle tempistiche disponibili per cucinare. Le ricette sono costantemente aggiornate grazie a un programma che permette di inserire nella “library” le nuove preparazioni, dagli ingredienti fino alla presenta-
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zione del piatto. Il sistema, infatti, è in grado di connettersi con il web e recuperare in tempo reale la ricetta di un piatto, risalendo anche alla storia e alla sua origine. Sempre più apprezzato nel mondo della ristorazione, il Cloud Lainox offre oggi inattese opportunità di utilizzo sfruttando tutte le potenzialità della tecnologia 2.0: l’interfaccia, infatti, funziona come lo schermo di un tablet, in cui è possibile sfogliare il menu, trascinare le icone, aprire i files, comporre nuove pagine, creare cartelle e cercare nel Cloud tutto quello che occorre. Un successo confermato anche dalle parole di Marco Ferroni, Executive Director di Lainox Ali: “A Ottobre Naboo compie due anni e possiamo affermare con certezza che rappresenta il driver del nostro successo. Dalla sua nascita ad oggi, Lainox ha registrato una crescita del 41% e, di questa crescita, la protagonista assoluta è stata l’Italia, che è cresciuta del 66%”. Numeri importanti che rivelano come la risposta degli utenti finali sia andata oltre ogni più rosea aspettativa: “Pensavamo che la connettività che offriamo con Naboo continua Marco Ferroni - avrebbe potuto interessare solo una piccola nicchia di clienti, mentre con piacere abbiamo
constatato che più del 50% degli utilizzatori di Naboo utilizza i servizi Cloud. Naboo ha lo stesso principio di funzionamento di uno smart phone o di un tablet, tecnologia ormai diffusissima: al posto delle app ci sono le ricette e al posto del tasto per telefonare, è presente il tasto per cucinare in maniera manuale. Tutto ciò ha reso Naboo fin da subito uno strumento familiare per i cuochi che lo utilizzano”. A rendere ancora più funzionale il sistema Naboo sono le funzioni integrate: Scrigno Creativo, Portale del Cuoco, Sincronizzazione e Service Remoto. Nel dettaglio lo Scrigno Creativo permette all’utilizzatore di registrare le proprie ricette nel Cloud Lainox e creare una copia delle impostazioni, in modo da poterle consultare in un differente sistema di cottura Naboo collocato in qualsiasi altra cucina del mondo. Con l’applicazione Portale del Cuoco sarà possibile, per ogni utente, accedere a un portale creato ad hoc dove poter consultare o modificare le ricette registrate nel proprio Naboo: utilizzando in modo facile e semplice il proprio tablet o smart phone, sarà possibile collegarsi controllando le diverse funzioni della macchina, nonché effettuare direttamente dal portale il download di tutti i dati. Con il sistema di Sincronizzazione è inoltre possibile, da qualsiasi parte del mondo, inviare una nuova ricetta a tutti i ristoranti che fanno parte del circuito cui Lainox è fornitore, un modo semplice e veloce per ricevere in tempo reale gli ultimi aggiornamenti, così come i feedback di matrice tecnica. La funzione di Service Remoto garantisce infatti all’utente la possibilità di sfruttare la tecnologia Cloud anche per il service contattando, in caso di necessità, il proprio service tramite tablet, pc o smart phone. Lainox fornisce agli chef non solo un apparecchio di cottura, ma un sistema intelligente che rappresenta una fonte di conoscenza sempre a disposizione, come ci spiega
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particolare in questa edizione Lainox mostrerà come questa cucina si possa evolvere nella cucina del futuro grazie all’utilizzo di due tecnologie in perfetta simbiosi tra loro grazie al concetto del Just Duet, ovvero la collaborazione e sincronizzazione di Naboo con l’ultima novità in casa Lianox: Neo. Il nuovo device multifunzione di Lainox permette di abbattere velocemente il cibo, lievitare, cuocere a bassa temperatura, mantenere, scongelare e offre la possibilità di essere utilizzato come una vera ‘holding cabinet’ durante il servizio. La sincronizzazione tra Naboo e Neo offrirà la garanzia di realizzare interi menu, per una mensa, per un self service, per un quick service restaurant, per un ril’Executive Director di Lainox Ali: “Par- formazione, con la collaborazione dei storante alla carte, con il solo utilizzo lando con i nostri amici cuochi ci siamo partner Lainox autorizzati presenti in di questi due devices”. Il concetto di resi conto che è sempre molto difficile tutta Italia. Per toccare con mano le po- Just Duet promette un notevole risparmio per loro ritagliarsi del tempo per studiare tenzialità offerte dalla tecnologia 2.0, sui costi di gestione all’interno di qualnuove ricette, cercare nuovi ingredienti, Lainox sarà presente alla fiera Host, il siasi impresa di ristorazione, grazie partecipare a corsi di formazione. Ed è Salone Internazionale dell’ospitalità pro- all’alta tecnologia sviluppata da Lainox per questo motivo che abbiamo deciso fessionale: “Host è un appuntamento per offrire sempre le migliori condizioni di fornire insieme a Naboo, gratuitamente importantissimo perché abbiamo la di utilizzo e di gestione. Durante la per tutti i nostri clienti, centinaia e cen- possibilità d’incontrare e di confrontarci fiera Host sarà possibile vedere all’opera tinaia di ricette provenienti da tutto il con operatori che arrivano da tutto il il sistema organizzativo Just Duet durante mondo, complete di tutte le informazioni mondo - afferma Marco Ferroni -. In il Naboo Challange. necessarie per realizzarle e con addirittura, per le più complicate, l’aggiunta di un video tutorial e questo grazie al Lainox Cloud, consultabile da qualsiasi device: smart phone, tablet, pc o direttamente dal proprio Naboo”. L’impegno garantito da Lainox ai propri clienti è volto infatti a veicolare aggiornamenti costanti con le nuove tendenze gastronomiche mondiali attraverso la pubblicazione di nuove ricette: lo chef potrà così seguire passo a passo le nuove preparazioni o crearne di nuove e originali utilizzando tutta la sua creatività. L’acquisto di Naboo include nel prezzo anche una serie di servizi: in primis uno spazio gratuito privato nel Lainox Cloud, dove poter conservare tutte le proprie ricette e, nel caso in cui l’utente abbia più Naboo installati in diverse location, la possibilità di condividerle e scaricare le ricette dal Cloud. A disposizione dell’utente anche il servizio di teleassistenza e i servizi di installazione, di assistenza tecnica post vendita e di
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Grappa Day 2015 Distillazione sostenibile e Alimentari dell'Università di Torino, con la sua relazione “Sostenibilità della filiera vitivinicola”. Avvalendosi dei dati da lui stesso elaborati, Novello ha illustrato dettagliatamente proprietà e virtù della distillazione e di come, partendo dalla feccia (parola che trova le sue origini nel termine latino che indicava gli scarti) si possa arrivare fino alla produzione di energia pulita. “In Italia si producono ogni anno circa 53milioni di quintali di uva da vino e se ne ricavano 45milioni di ettolitri (dato OIV), mentre i residui si possono quantificare in circa 8 milioni di quintali di vinacce e 2.250.000 ettolitri di fecce. Secondo la normativa vigente vinacce e fecce devono essere convodi Claudio Zeni “Grappa, distillazione e sostenibilità” è stato il tema dell’undicesima edizione del Grappa Day, il convegno organizzato dal Centro Documentazione Grappa presieduto dal Cavaliere del Lavoro Giuseppe Bonollo al Teatro Bruno Vitolo di Montefollonico di Torrita di Siena. “In Italia, ma direi in tutto il mondo, negli ultimi decenni si è assistito ad una crescente conoscenza del 'prodotto vino' - ha affermato Mariacarla Bonollo, responsabile delle relazioni esterne di Distillerie Bonollo SpA, nel presentare tema e relatori del convegno -. Questa conoscenza non è ancora diffusa invece per quanto riguarda la distillazione, che ha un ruolo fondamentale sia per il settore viti-vinicolo, sia per l'agricoltura, così come per molti altri settori produttivi”. Non a caso agricoltura sostenibile, energie rinnovabili e bio-economia sono ormai termini all’ordine del giorno, soprattutto per le distillerie che, dai sottoprodotti della vinificazione, oltre a ricavare molteplici prodotti indispensabili per altri settori merceologici, ottengono energie rinnovabili. A far emergere come l’industria vinicola sia fonte di un vero e proprio tesoro è stato Vittorio Novello, del Dipartimento Scienze Agrarie Forestali
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gliate in distilleria la quale può ottenere un riconoscimento economico: un calcolo approssimativo valuta in 52,00 euro a ettaro il ricavato da parte delle cantine senza la necessità di accollarsi il problema della gestione di questi residui; si evita così anche il rischio di sovrapressature e torchiature a garanzia di una migliore qualità del prodotto vino”. Quello che viene valutato un sottoprodotto diventa quindi per le distillerie una grande risorsa, dando vita a nuovi processi, tutti eco-compatibili e preziosi elementi per molti altri settori. Carlo Viviani, Presidente dell'Accademia Italiana della Vite e del Vino, con la sua relazione dedicata “Distillerie: grappa e non solo”, ha posto l’attenzione anche sul tema del bioetanolo, mentre Riccardo Cotarella, Presidente Comitato Scientifico Padiglione Vino Expo 2015, con l’approfondimento “Dove va il mondo del vino e della distillazione”, ha tracciato infine le conclusione dell’importante giornata: “Le distillerie in questo panorama giocano un ruolo da vere protagoniste, sia per una vocazione intrinseca sia perché negli ultimi anni hanno fatto un ulteriore 'upgrade' e la versione 'nuovo millennio' le ha viste dotarsi anche di impianti per la produzione di energia elettrica. Molto ancora si può fare dando organicità e struttura a programmi sul lungo termine, ma il percorso è già chiaramente segnato e l’impegno è dimostrato”.
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Vigna dell’Impero sceglie l’Enoteca Pinchiorri di Giovanna Moldenhauer La Tenuta Sette Ponti, situata nel cuore del Chianti in un suggestivo angolo di Toscana tra Firenze e Arezzo, ha scelto l’Enoteca Pinchiorri di Firenze per la presentazione italiana della sua nuova etichetta Vigna dell’Impero. L’evento è stato successivo a quello americano svoltasi da Del Posto - di Joe Bastianich - a New York. Nei primi anni 50, l’architetto Alberto Moretti Cuseri acquistò la proprietà dalle Principesse Margherita e Maria Cristina di Savoia, e con essa anche questa vigna antica. Grazie ai sali minerali presenti nel terreno su cui si sviluppano le viti di Sangiovese, i grappoli ricchi di estratto e sostanze nutritive danno vini profumati, fini, longevi. La Vigna dell’Impero, fiore all’occhiello della Tenuta Sette Ponti, ha una storia unica nel suo genere. Nel 1935 fu piantata per ordine di Sua Altezza Reale Duca Amedeo d’Aosta, Vice Re d’Etiopia, per celebrare la vittoria dell’Abissinia. Egli incaricò Sua Altezza Reale Emanuele Filiberto Conte di Torino, di seguire i lavori. Il terreno ghiaioso, con molti massi calcarei di galestro, fu terrazzato poi a mano per eliminare la forte pendenza naturale. La Vigna dell’Impero è posizionata al centro dell’allora proprietà Reale, dove già nei primi del ‘900 l’area era dedicata alla viticoltura, vista la forte vocazione dei terreni, che si prestavano in modo assoluto all’impianto vinicolo. Negli anni successivi all’acquisto l’architetto Alberto Moretti Cuseri decise, per lavorare adeguatamente il terreno, di mantenere un sesto d’impianto di 2 metri tra le file e di 0,75 tra le piante. Il vigneto di tre ettari, impiantato con un’alta densità, è gestito in regime
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di agricoltura biologica. La raccolta delle uve è fatta esclusivamente a mano con due passaggi per scegliere solo i grappoli perfettamente maturi. Il vino, dopo una macerazione di un mese in cemento, è affinato per 24 mesi in botti di 15 e 25 ettolitri poi senza filtrazione, per salvaguardare le caratteristiche varietali del Sangiovese, riposa in bottiglia prima della commercializzazione. Durante l’evento Antonio Moretti ha parlato della Tenuta Sette Ponti, della Vigna dell’Impero corredando la sua presentazione appassionata con immagini delle piante di 80 anni, vere opere d’arte in campo. Il millesimo 2012, prima annata prodotta in 3.600 esemplari numerati, è stato descritto con competenza e verve da Luca Gardini. Risultato di una grande annata
aveva nel calice un bel colore rubino luminoso con sfumature granate. Le note fruttate di more e lamponi maturi erano seguite da un iniziale accenno di tabacco che poi ha lasciato il posto a cenni agrumati, spezie, grani di pepe bianco, liquirizia, sentori minerali. L’assaggio era morbido, fresco, con tannini ben integrati, persistente con un finale sapido e balsamico. Il vino è stato accompagnato, in un abbinamento perfetto, con gli “Agnolotti di polenta con ragù di coniglio e olive nere” realizzati da Italo Bassi e Riccardo Monco, primi chef dell’Enoteca Pinchiorri. Il tempio della ristorazione è stato senza dubbio un degno palcoscenico per il debutto italiano di Vigna dell’Impero 1935.
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Amorim Cork, col sughero non si scherza 20
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di Alberto P. Schieppati (foto di Renato Vettorato) Il gruppo portoghese è attualmente il leader insdiscusso nella produzione di sughero a livello mondiale. Carlos Santos, ad di Amorim Italia, ha introdotto un gruppo di giornalisti dentro questo universo sorprendente, che spazia dalle foreste di querce fino a stabilimenti moderni e innovativi da cui nasce il più collaudato sistema di tappatura di milioni di bottiglie nel mondo. Nella vita quotidiana, per i “non addetti ai lavori”, il sughero è un argomento di conversazione come tanti, una curiosità o poco più. In realtà, sotto questo termine, si cela una incredibile quantità di realizzazioni in diversi settori della società, dagli articoli sportivi a progetti stradali e ferroviari di ultima generazione, fino a opere di riferimento mondiale nel panorama della creatività contemporanea. Per chi scrive di vino, poi, parlare di sughero è - o dovrebbe essere - tutta un’altra storia. Anche se per tanti enoappassionati, spesso privi di competenza tecnica in materia, il sughero è “quella cosa che serve a tappare la bottiglia”, l’attenzione verso la composizione del tappo, le sue metodologie produttive, la sua origine, la sua qualità complessiva, la sua ermeticità e quant’altro, è in costante aumento. Vedere stappare tappi in continuazione, inoltre, consente di valutare, allo sguardo e all’olfatto, certe caratteristiche di tenuta del tappo, di resistenza, di conseguente invecchiamento dignitoso e, in alcuni casi, perfetto del vino contenuto in una certa bottiglia. Artù n°70
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Diciamo dunque che il tappo è da sempre un oggetto di conversazione (e di conservazione) molto frequente. “Questo vino sa di tappo!”: quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase, talvolta a ragione, talvolta a sproposito…. Fatto sta che “il tappo” - nel mondo dei wine writers, e non solo - è, come dire, una variabile dipendente, capace di determinare l’approccio iniziale (e iniziatico) sulla nota equazione tappo di qualità=vino di blasone=successo sul mercato. Triade nella quale il tappo ha un ruolo spesso da protagonista, visto che è dalla qualità del tappo stesso che si può avvalere (e rafforzare) la qualità finale del vino. Certo, parlare in modo esasperato di tappo, talvolta, nasconde un’esibizione di muscoli da parte di cosiddetti esperti che vorrebbero accreditarsi continuamente come tali. In altri casi, per fortuna, la competenza è un fatto indiscutibile che nasce da esperienza sul campo che aiuta a comu-
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nicare adeguatamente. A quest’ultima condizione contribuisce in maniera determinante la possibilità di vederlo nascere, il sughero e, soprattutto, di vederlo trasformarsi in tappo. Una straordinaria esperienza, che aiuta a fare piazza pulita di luoghi comuni e di false credenze in merito. L’opportunità di approfondire la questione è arrivata da un viaggio in Portogallo organizzato da Amorim, il colosso mondiale, leader indiscusso nella produzione di sughero. L’itinerario ha portato un gruppo ristretto e selezionato di giornalisti internazionali ad addentrarsi fra i boschi di quercia da sughero, ovvero dentro a un’immensa sughereta di 716.000 ettari di querceto, che forniscono - udite udite - circa il 50% della produzione mondiale di sughero. Infatti, le 100.000 tonnellate di sughero prodotte in Portogallo si confrontano con la Spagna (61.500 tonnellate), il più forte concorrente, seguito da Francia, Tunisia, Marocco, Italia (solo il 3, 1% della produzione mondiale!), Algeria, che producono il resto. Al Portogallo dunque va la parte del leone, meritatamente. La quercia da sughero, originaria del bacino del Mediterraneo occidentale, trova qui le condizioni ideali per la sua crescita:
terreni sabbiosi senza calcare, con bassi livelli di azoto e fosforo, ma altissimi livelli di potassio, meno di 800 mm di precipitazioni/anno, temperatura ideale (raramente sotto lo zero e mai oltre i 35° sopra), altitudine fra i 150 e i 300 metri. “Non a caso - ci dice Carlos Santos, ad di Amorim Cork Italia Spa, che ci accompagna in questa scoperta affascinante - la più grande quercia da sughero al mondo è portoghese ed è registrata nel Guinness Book. Pesa circa 100 tonnellate e, ogni nove anni, produce sughero in quantità sufficiente per 10mila tappi”. Un’attività che, nel bacino del Mediterraneo, dà lavoro ad oltre 100mila persone, creando un indotto economico di grande importanza. Grazie a Santos, un personaggio davvero speciale per energia, spirito imprenditoriale e competenza, abbiamo potuto seguire le fasi cruciali della decortica, ovvero della fase principale della raccolta del sughero. La decortica è un processo manuale che richiede mani molto esperte, che non danneggino né la corteccia né l’albero: addentrarsi nelle foreste di sughero di Coruche, nel nord del Portogallo, provoca emozioni che si ricordano. Il silenzio del luogo è rotto soltanto dai rumori sofArtù n°70
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fusi e cadenzati provocati dalla caduta del sughero dalla pianta e dalla loro raccolta discreta, meticolosa, attenta ad ogni movimento per evitare inutili dispersioni di materiale prezioso. Interessante sapere che durante tutto il suo periodo di vita, una quercia da sughero può essere decorticata dalle 15 alle 18 volte, con intervalli di addirittura nove anni. Dopo la decortica, il sughero deve riposare all’aria aperta, per maturare adeguatamente al fine di ottenere perfetta maturazione ed essere poi lavorato negli stabilimenti di produzione, in Portogallo e nel resto del mondo. Il gruppo Amorim è oggi leader indiscusso nel settore del sughero a livello mondiale (11 stabilimenti per la produzione di materia prima, 21 stabilimenti di prodotti in sughero, 47 imprese di distribuzione, 8 joint venture, 281 agenzie di commercializzazione) contribuendo come nessun altro player alla sostenibilità e all’innovazione del settore: la sua firma è apposta sui tappi di milioni di bottiglie di vini di qualità e di prestigio, con la consapevolezza di esprimere livelli qualitativi indiscutibili. Il tappo di sughero infatti, nonostante si stiano da tempo affacciando sulla scena diversi tipi di tappatura (su cui vi sono pareri discordi e spesso controversi), è ritenuto a tutt’oggi l’unico tipo di chiusura in grado di rispettare l’evoluzione
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del vino dopo il suo imbottigliamento. “Ed è anche l’unico sistema di tappatura in grado di unire tradizione, sostenibilità e alta competenza tecnica. Non a caso, ogni anno oltre 12.000 milioni di bottiglie vengono chiuse con tappi di sughero. Più del 70% dei produttori mondiali di vino preferisce il tappo di sughero”, ci ricorda Carlos Santos durante la visita dello stabilimento Amorim & Irmaos a Coruche, dove abbiamo incontrato anche Antonio Amorim, presidente del gruppo, quarta generazione di famiglia alla guida dell’azienda e Carlos De Jesus, responsabile della comunicazione. La scoperta del pianeta Amorim è stata anche l’occasione migliore per scoprire un Portogallo inedito che, grazie a Carlos Santos, si è rivelato una destinazione gastronomica ed enologica di notevole impatto. Fra i ristoranti testati, da segnalare Vinum, nella città di Porto, di proprietà della Graham’s, Mauritania, sempre a Porto, un vero fish restaurant che offre materia prima di rara freschezza oceanica, Sabores de Coruche, nella zona delle sugherete, specializzato in deliziose carni di maiale nero. Memorabile, poi, la visita a Quinta Nova de Nossa Senora do Carmo: un wine hotel con ristorante, nel cuore della regione del Douro, da cui nascono grandissimi vini che vedono nel Porto l’attore principale.
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Il Sangiovese Secondo I Veroni
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di Theo Smith Non è passato molto tempo da quando, risalendo da Firenze il corso dell’Arno, si costeggiava un territorio fortemente agricolo, punteggiato dai primi insediamenti artigianali che poi si sono sempre più estesi. Oggi la strada statale che conduce a Pontassieve, è un percorso che conserva ancora un suo aspetto rurale, con grandi spazi coltivati e le antiche case coloniche sulle colline circostanti le valli dell’Arno e della Sieve. È il caso de I Veroni, l’azienda che dà il benvenuto al territorio del Chianti Rufina. Basta “girare l’angolo” e si entra in un mondo a parte: la fattoria di un tempo conserva la sua aia chiusa tra le mura della casa padronale e dei vari ambienti di lavoro contigui uno all’altro; la sovrastano le vigne che con i loro due diversi nuclei costituiscono il cuore produttivo della proprietà. Da qualche anno I Veroni hanno intrapreso un nuovo percorso grazie a Lorenzo Mariani, che dell’azienda è titolare e direttore: ad iniziare dagli anni ‘90 i venti ettari di vigna hanno visto il completo reimpianto e la progressiva conversione alla viticoltura
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“Bevibilità ed eleganza...,
Dal di fuori è difficile immaginare quello che racchiudono le mura dell’azienda. Fuori svincoli stradali, qualche insediamento artigianale, traffico cittadino. Dentro uno spazio conclusum e raccolto nascosto alla vista dalle mura color pastello intenso dei vari edifici; a terra lastre in pietra serena e poi conche di fiori, orci antichi, una panchina in pietra per gli ospiti, la facciata lineare e austera, così tanto toscana, della casa padronale di età settecen-
biologica, certificata a partire dalla vendemmia 2013. Lorenzo Mariani negli anni si è costruito gli strumenti agronomici per produrre vini la cui personalità sia affidata ad equilibrio e piacevolezza quando giovani, a raffinata austerità quando più maturi. Perché anche la Rufina può essere molto Classica… La storia de I Veroni è molto antica, e al pari di tanti altri angoli di Toscana può vantare un suo passato feudale con tanto di torre di avvistamento che fu poi inglobata nel XVI secolo nella proprietà agricola della nobile famiglia toscana dei Gatteschi. I Veroni iniziarono allora un’altra vita ed ebbero in dote anche il loro nome, che sta ad indicare i terrazzamenti - di cui oggi ne è rimasto solo uno - sui quali venivano stese ad essiccare le foglie di tabacco. Con Lorenzo Mariani siamo alla quarta generazione: era il 1897 quando il bisnonno materno acquistò la grande proprietà che poteva contare su vari poderi e sulle classiche colture miste del tempo – dalla vite al grano, dal tabacco ai foraggi, agli olivi – che garantivano tutto quello che poteva necessitare alla pro-
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tesca. Sulla corte si affacciano i vari locali che senza cesure si susseguono e accanto alla sala di degustazione, che funge da salotto-libreria, si apre la cantina di maturazione dei vini, affidati a legni di piccole (barriques e tonneaux già utilizzati) e medie dimensioni (botti dai 12 ai 22 ettolitri), in modo da rispettare la “suscettibile” personalità del Sangiovese. Bastano cinque passi per raggiungere poi la cantina di vinificazione, rinnovata in parte una decina di anni fa, con vasche in inox termoregolate e tini in cemento dai colori arcobaleno, ai quali la sorte ha riservato una seconda giovinezza grazie alla loro capacità di mantenere costante la temperatura e ovviare così ai temibili blocchi di fermentazione. Bisogna infine salire al primo piano e raggiungere il sottotetto per scovare la vinsantaia, che accoglie una settantina di caratelli di varie dimensioni, dai 50 ai 100 litri, per uno dei prodotti più di nicchia dell’azienda. Alle pareti i vecchi cesti utilizzati durante la raccolta dell’uva, le bigonce e i barili in legno che i mezzadri riempivano di vino per portare a casa la loro spettanza mezzadrile e una grande foto del locale di appassimento
ecco il mio Sangiovese...” dove le uve vengono intrecciate e lasciate ad appassire per vari mesi prima della pressatura. Tre sono i vini che esprimono appieno filosofia e spessore dell’azienda: I Veroni Chianti Rùfina, la Riserva, il Vinsanto. Per quanto riguarda il primo sono Sangiovese al 90% e per il resto Canaiolo e Colorino le uve che ne costituiscono il blend. La fermentazione sulle vinacce difficilmente supera i 10 giorni e avviene in vasche inox a temperatura controllata, sono poi botti in rovere di Slavonia da 25 ettolitri ad accogliere per un anno o poco più il futuro Chianti Rufina, che è un vino profumato, di una immediata piacevolezza e buona beva non disgiunta da una certa seriosità così tipica del Sangiovese. Sapido, giustamente tannico, con un gusto persistente, equilibrato, armonico. La produzione si aggira intorno alle 40-50 mila bottiglie. Solo Sangiovese del vigneto di San Martino a Quona è destinato a I Veroni Riserva: le uve fermentano a temperatura controllata per circa 15 giorni in vasche di cemento e dopo la svinatura il vino passa nel legno delle grandi botti di rovere di Slavonia dove si svolge anche la malolattica – e successivamente per circa 18 mesi in
fusti di rovere francese da 500 e 225 litri tendenzialmente di secondo e terzo passaggio. L’affinamento in bottiglia, per circa un anno, esalta le caratteristiche di questo vino: pieno, vellutato, compatto, profondo e con una grande persistenza, un vero gioiello della sua denominazione, capace di lunghi invecchiamenti. La produzione varia tra le 20 e le 25 mila bottiglie. Completano la gamma dei vini de I Veroni Iveroni Rosé, da Sangiovese vinificato in bianco in acciaio a temperatura controllata, dove resta ulteriori sei mesi una volta svinato in modo da salvaguardarne freschezza e acidità. Quasi solo Malvasia Toscana è destinata al Bianco del Pianottolo, che punta tutto sulla freschezza che lo fa essere un piacevolissimo aperitivo. E infine l’Igt I Veroni Rosso, che ad un 60% di Sangiovese unisce vitigni non autoctoni - Merlot, Petit Verdot e Syrah – che contribuiscono in modo determinante alla sua morbidezza. È evidente, quindi, che la filosofia produttiva dell’azienda, a differenza di quello che è stato un percorso fortemente condiviso soprattutto nella Toscana di ieri, ha affidato la sua identità alla propria denominazione e all’uva
che ne è vera interprete. Un Sangiovese che in questa area si distingue per finezza, bevibilità e vocazione al lungo invecchiamento. Merito dei terreni prevalentemente calcarei su cui viene allevato, dalla scelta oculata delle esposizioni, che non ha interessato le zone più fresche e meno assolate, dagli sbalzi termici tipici della zona di produzione che soprattutto in fase pre vendemmiale garantiscono buona acidità e finezza di profumi. Su quello che deve rappresentare e dire il suo Sangiovese, il produttore ha idee molto chiare. Dice infatti Lorenzo Mariani: “Non ho mai amato i vini troppo muscolosi o di difficile lettura, il mio Sangiovese si deve distinguere per bevibilità, eleganza, direi quasi semplicità, non deve cedere a eccessive morbidezze ma mostrarsi per quello che è, con il suo carattere anche austero che con il passare del tempo
diventa seta e classe”. Basta avere la pazienza di attendere il 2016 e allora scoccheranno i venti anni dalla prima Riserva de I Veroni. Sarà il momento di mettere alla prova seta e classe. E infine l’Olio Extra Vergine di Oliva che già dalle confezioni dimostra quanto sia un prodotto amato. Le cultivar presenti in azienda – sia in un oliveto specializzato, sia in piante sparse su tutta la proprietà aziendale, per un totale di 4.000 olivi – sono Frantoio, Moraiolo e Leccino. Le olive sono raccolte manualmente per brucatura, a novembre, quando ancora non hanno raggiunto la completa maturazione e subito frante con procedimento meccanico a freddo. I tempi rapidissimi di trasformazione delle olive e l’impiego di un metodo di estrazione che non surriscalda la pasta permettono di mantenere integre le caratteristiche dell’extra vergine: intenso, profumato, elegante. Merita davvero un vestito speciale l’extra vergine de I Veroni e quanto sia prezioso lo dimostra in particolare la confezione più piccola, una piccola lattina da 0.250 kg, che lo rende protagonista importante e sembra proteggerlo al pari di un impareggiabile foie gras.
prietà e ai suoi mezzadri. Erano i tempi del borgo rurale autosufficiente, non mancavano animali da cortile, il fabbro e il falegname con le loro botteghe prospicienti l’aia di fattoria avevano di che fare tutto il giorno, senza mai uscire dalla proprietà. In tempi più recenti divisioni ereditarie hanno portato ad un frazionamento e oggi I Veroni interessano 70 ettari di proprietà di cui 20 di vigna e circa trenta di oliveti. Quasi alla stessa altitudine dell’Arno, che scorre a due passi, è situata la sede aziendale; salendo sulla collina di San Martino a Quona, quasi abbracciati dai vigneti, ci sono gli appartamenti destinati all’agriturismo, frutto della ristrutturazione di una grande casa colonica. Lorenzo Mariani ha iniziato a vivere la vita dell’azienda nel 1996, dapprima facendola convivere con gli studi, poi a tempo pieno. Come distanza non ha dovuto fare molta strada, neanche dieci chilometri separano I Veroni dalla sua casa fiorentina; ma molta ne ha dovuta fare quanto alla formazione, visto che gli studi universitari lo avevano portato nelle aule di giurisprudenza. È stato senza dubbio Artù n°70
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anche questo uno dei motivi che lo hanno fatto avvicinare con grande rispetto al lavoro portato avanti negli anni dalla sua famiglia, condividendo passioni e scelte che avevano dato una fisionomia precisa all’azienda. Il nonno Umberto, in particolare, era un grande sostenitore del Sangiovese “puro”, genuino, di grande piacevolezza e fin dal 1957 – siamo veramente nella notte dei tempi per la zona aveva deciso di mettere il suo Chianti Rufina in bottiglia con etichetta I Veroni. Ma poi, via via che la conoscenza della propria azienda si è fatta più profonda e l’urgenza di lasciare un segno sempre più pressante, non potevano mancare scelte di fondo che hanno disegnato un diverso profilo de I Veroni e che hanno interessato la nascita della prima Riserva dell’azienda, la conversione al biologico, le scelte circa i vasi vinari, i nuovi - vecchi sistemi adottati in vinsantaia. Siamo a soli dieci chilometri da Firenze, si diceva, proprio all’inizio del territorio di produzione del Chianti Rufina, la “sottozona” più piccola e più antica all’interno della grande famiglia dei Chianti: da una parte quindi la città e la Valle dell’Arno,
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quella climaticamente più calda; dall’altra la lunga valle che segue il corso della Sieve dove si rincorrono più numerose le vigne della denominazione. Dai circa 100 metri slm della sede aziendale, la proprietà de I Veroni raggiunge i 350 metri, dove in vetta c’è l’antica Pieve di San Martino a Quona che confina con i vigneti a maggiore altitudine. Sono due i nuclei vitati dell’azienda, ciascuno dei quali destinato ai due prodotti più importanti, il Chianti Rufina e la sua Riserva. Il vitigno principe a I Veroni non può che quindi essere il Sangiovese: a lui spettano 16 ettari e mezzo di vigna cui si aggiungono qualche filare di Canaiolo, Colorino, Malvasia e Trebbiano – due ettari in tutto - e piccoli spicchi di Merlot, Petit Verdot e Syrah, frutto di una sperimentazione di metà anni ‘90 le cui uve oggi confluiscono nei blend degli Igt dell’azienda. Il primo vigneto che si incontra è quello dedicato alla versione giovane del Chianti Rufina, completamente rinnovato negli anni ‘90, con 5.500 piante ad ettaro. Come altitudine si oscilla tra i 150 e i 250 metri slm e il terreno, in prevalenza calcareo e ricco in scheletro, raggiunge anche una pendenza del 30%. Una pendenza che mal si concilia con il nome della vigna, Pianottolo, che sembra indicare un desiderio più che una realtà. L’esposizione è sud–sud/ovest e fino al tramonto i grappoli possono maturare compiutamente sotto i raggi del sole. La colonica che ospita l’agriturismo fa da spartiacque rispetto al secondo nucleo di vigneti, e questa volta è presente solo il Sangiovese destinato alla Riserva dove l’altitudine giunge fino ai 350 metri slm e il terreno è ancora una volta ricco in scheletro. Le pendenze in questa vigna si ammorbidiscono e non raggiungono il 20%, la densità ad ettaro è sempre di 5.500 piante, il cordone speronato è la forma di allevamento adottata e tra un filare e l’altro risalta l’inerbimento alternato con selezione di miscuglio erboso. Alzando lo sguardo, infine, c’è il verde più scuro del bosco, un bosco fitto di querce, lecci e cipressi che copre completamente la collina fino al suo crinale.
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Segnana, la grappa dei Lunelli: delicata eleganza 32
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di Elisa Facchetti La grande tradizione delle bollicine Ferrari vede affiancarsi dagli anni ’80 altre produzioni, sempre all’insegna della qualità e del legame con il territorio trentino. A crearne le solide basi per costituire quello che possiamo definire un gruppo dell’eccellenza del bere, è stata la famiglia Lunelli, giunta oggi alla terza generazione. Ad ampliare l’offerta della tradizione del brindisi italiano per eccellenza sono infatti alcuni tra i più prestigiosi marchi del mondo enogastronomico, tra cui Segnana, il primo acquisito dalla famiglia Lunelli nel 1982, la più antica distilleria del Trentino nonché simbolo di primaria importanza per il legame con quel territorio che aveva dato i natali anche alla storiche tenute Ferrari, un territorio, quello del Trentino, vocato alla creazione di grandi vini e, dalle loro vinacce, di grandi grappe. Più di 150 anni di tradi-
zione sono stati ben interpretati dalla famiglia Lunelli che ha saputo proporre un nuovo modo di vivere la grappa facendo di Segnana un marchio sinonimo di distillati moderni, altamente competitivi con i distillati di importazione. Nel 2008, una lunga sperimentazione tecnica ha portato alla luce nuove creazioni per ampliare la gamma, nonché una nuova forma della bottiglia e una rinnovata veste grafica, mantenendo sempre inalterato il metodo di distillazione discontinuo a bagnomaria di vapore e il rigore nel sublimare le vinacce in tempi brevissimi dopo la pressatura. Innovativi gli accorgimenti tecnici messi a punto dai mastri distillatori di Segnana in collaborazione con l'Istituto Agrario di San Michele all'Adige: unico ed efficace è il sistema di conservazione della vinaccia, così come unico e coperto da apposito brevetto è il sistema di ridistillazione delle flemme, che permette di sublimare solo la parte più pura della vinaccia. Una volta distillata, la grappa riposa e si affina per alcuni mesi, impreziosendosi di eleganza, morbidezza e armonia. Il percorso di ricerca condotto dallo staff tecnico di Marcello Lunelli, responsabile tecnico e vicepresidente di Cantine Ferrari, ha quindi portato a brevettare un efficace affinamento del sistema di distillazione, con il risultato in produzione di grappe più pure e più fini, come le grappe invecchiate Solera Selezione e Solera di Solera. La prima è composta per il 60% da vinacce di uve Chardonnay e per il restante 40% da Pinot Nero, provenienti da un'attenta selezione delle Cantine Ferrari. Il metodo di ridistillazione della flemma e la maturazione in pregiati legni francesi, conferiscono a questa grappa note tostate e vanigliate, da degustare a temperatura ambiente e in ampi bicchieri tipo “ballon”. La seconda è prodotta con le vinacce impiegate per la produzione delle bollicine Ferrari: Chardonnay per il 40% e Pinot Nero per il restante 60% che conferisce robustezza e caratArtù n°70
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Sherry Cask prevede invece l'affinamento per almeno cinque anni in botti utilizzate per l'invecchiamento di Sherry spagnolo della Gonzalez-Byass: la grappa di partenza prevede un blend al 60% di grappa proveniente da vinaccia di Chardonnay delle bollicine Ferrari e al 40% di vinaccia di uva Schiava, che conferisce delicatezza ed eleganza: il risultato è una grappa dalla accentuata “vinosità” frutto dell'intenso aroma ereditato dalle botti di Sherry che le conferiscono anche la tipica colorazione ambrata. Segnana Anniversario, fiore all’occhiello della produzione, proposta dopo ben 12 anni di invecchiamento e in 1860 esemplari numerati, rappresenta l’omagtere. La maturazione del prodotto avviene gio all’anno di fondazione della distilin pregiati legni americani ed europei leria. Non mancano le grappe bianche, regalando sentori speziati e vanigliati e Estrema e Cinquanta, e la Gentile. Alle un intenso colore ambrato. Il metodo grappe monovitigno Chardonnay e Pinot di invecchiamento Solera, tipico dello Nero si sono aggiunte, quale espressione sherry, è stato applicato per la prima diretta delle vinacce Ferrari, anche le volta da Segnana e prevede l'annuale grappe Traminer e Moscato. La modernità passaggio della grappa da un livello al- nella produzione di queste grappe, si l'altro di una catasta di cinque piani di avverte anche dal rinnovamento del botti sovrapposte: il risultato è un blend packaging, a partire dalle bottiglie d’audi grappe di cinque annate diverse, di tore firmate da RobilantAssociati, slangrande complessità, da cui nasce una ciate e sinuose per accogliere al meglio grappa altrettanto complessa. La Grappa la morbidezza di questi moderni distillati.
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Dany Stauffacher Una vita da gourmet 36
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di Alberto P. Schieppati L’ideatore di S.Pellegrino Sapori Ticino spiega gli sviluppi futuri della manifestazione, evento destinato ad ulteriore crescita: la prossima edizione 2016 vuole coinvolte oltre 40 stelle Michelin ed in particolare ad ognuna delle dieci serate ufficiali uno chef tristellato internazionale. S.Pellegrino Sapori Ticino è ormai diventato, nel corso degli anni, un evento europeo di punta nel panorama delle manifestazioni di impronta gourmet. Qual è il leit motiv dell’evento e a cosa si deve questo successo di pubblico e di stampa? S.Pellegrino Sapori Ticino ha raggiunto
il suo livello attuale in primis grazie all’altissima proposta enogastronomica offerta ai propri ospiti ma soprattutto per i contenuti offerti. Sia per i clienti che per la stampa è necessario offrire un’esperienza unica che metta tutti al centro di una storia. Grazie agli Chef che hanno raccontato le loro esperienze attraverso la cucina, sia il cliente che il giornalista possono provare delle sensazioni nuove che facilmente possono essere raccontate ai propri lettori o ai propri amici gourmand. L’apertura “internazionale” è ormai da anni la caratteristica principale di S.Pellegrino Sapori Ticino… Partito anni fa come un evento tipicamente svizzero-ticinese, sembra essere destinato ad essere sempre più cosmpo-
lita, nel senso della trasmissione di saperi (e sapori) culinari inediti e sorprendenti. Cosa ci riserva la prossima edizione 2016? La prossima edizione sarà il decimo anniversario della manifestazione e, per festeggiare questo traguardo, l’intenzione è portare in Ticino oltre 40 stelle Michelin grazie a 10 serate, ognuna delle quali con uno Chef tristellato. Un progetto ambizioso che nessuno ha mai sviluppato e per questo abbiamo già le prime due importanti conferme, Massimo Bottura che ritorna a farci visita dopo il successo dell’edizione 2015 e la Famiglia Cerea. Dany Stauffacher visto da Dany Stauffacher: la tua passione per l’alta cucina è soprattutto un fatto di cultura,
gusto e piacere. Qual è la cucina che preferisci? Quali sono gli chef che ami di più e perché. O meglio, nel panorama degli chef che si sono succeduti, di quali hai il ricordo più intenso? (Momenti, aneddoti, situazioni, piatti ecc.) Per quanto riguarda la mia cucina preferita, adoro la cucina Mediterranea. Sono anche un amante di quella giapponese, ma andando spesso in Sicilia (la più bella regione del mondo) e avendo Nicola e Francesco, due grandi amici pugliesi, posso mangiare in Italia dei crudi di pesce strepitosi. Per quanto riguarda gli aneddoti, uno supera tutti: per invitarlo alla nostra manifestazione, sono andato con Marco Barbieri di IBU S.Pellegrino da Davide Scabin. SiaArtù n°70
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Dallo sport al food DANY STAUFFACHER nasce nel 1953 a Zurigo. I suoi genitori si trasferiscono con lui in Ticino quando aveva due anni. È cresciuto a Lugano, dove vive tuttora in una vecchia fabbrica riammodernata e in cui si trova la sede della sua azienda. La sua carriera è fortemente influenzata dallo sport: a 17 anni ha debuttato nella serie maggiore di basket del campionato svizzero e a 20 anni ha iniziato la vendita di abbigliamento sportivo, diventando poi licenziatario di marchi come Kappa e Converse. Con l'età, ha sviluppato una forte passione per l’enogastronomia; buon cibo e buon vino sono il mezzo migliore per creare rapporti, divertirsi e coltivare amicizie. Nel 2007, ha sviluppato il concetto di S.Pellegrino Sapori Ticino che ora è uno dei più interessanti eventi gastronomici in Europa. Oltre all’enogastronomia le passioni di Dany Stauffacher sono la pesca, la sua Ducati e le montagne Ticinesi. Nella sua vita ha viaggiato molto per affari fra Europa, America e Asia e nel corso degli ultimi 30 anni ha visitato più di 1000 ristoranti in tutto il mondo.
e un grande rispetto delle tradizioni e delle persone. A lui invidio tantissimo la sua collezione di dischi in vinile. mo entrati alle 20.00 e siamo usciti Si può prefigurare, per il futuro, un dal ristorante alle 6.00 del mattino. S.Pellegrino Sapori Ticino destinato Dopo quella notte passata nella sua a valorizzare anche il concetto di tipicucina avrei potuto guidare una carica cità, tradizione, semplicità? Mi semdi cavalleria grazie all’entusiasmo e brano, questi, elementi culturali in all’ umanità che un genio come Davide netta ripresa, che forse meriterebbero è riuscito a trasmettermi. Altro perso- un approccio innovativo, basato sulla naggio straordinario è Massimo Bottura. qualità dell’offerta…. Mi piacerebbe che potesse insegnare Da tempo stiamo lavorando su questo ai nostri giovani, oltre alla cucina, la fronte e in particolare grazie all’utilizzo sua visione e filosofia di vita perché di fornitori locali e a prodotti come la nonostante sia uno dei grandi Chef al carne, il pesce e la verdure del nostro mondo, mantiene un forte attaccamento Cantone. Non dimentichiamo che la
vocazione della manifestazione è di parlare di alta enogastronomia, dal momento che di eventi con i temi da voi citati ne esistono già diversi e ben avviati mentre se parliamo di alta cucina non ne esistono così tanti. Il tuo ristorante italiano preferito… Il mio ristorante preferito è quello dove mangio bene, sia un piatto di pasta che un piatto gourmet…. A parte gli scherzi, potrei citarne almeno 50, dove ho provato delle sensazioni straordinarie ma non abbiamo lo spazio e allora vi dico dove ritorno volentieri tralasciando i due e tre stelle Michelin. I posti sono due, da Stefano all’Osteria della Brughiera a Villa d’Almè e da Maurizio alla Villetta a Palazzolo sull'Oglio.
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L’oro bianco delle Alpi, il burro di Beppino Occelli di Elisa Facchetti Le buone e antiche tradizioni casearie rivivono in un personaggio, Beppino Occelli, che ha saputo trasformare il latte in prezioso oro bianco: i suoi formaggi e il suo burro sono così apprezzati e richiesti da aver conquistato anche i palati oltreoceano, prodotti unici che nascono dall’amore incondizionato per la sua terra e per il suo lavoro. Difficile riuscire a conciliare tradizione e innovazione, ottenendo per di più qualcosa di prezioso e di estrema qualità. Ma Beppino Occelli è Beppino Occelli ed è quanto basta per comprendere il profondo connubio tra il significato di interpretazione personale e rispetto per quello che è sempre stato l’antico e genuino metodo di produzione dei prodotti caseari, rifiutando l’omologazione per camminare con le proprie gambe su saldi principi: lavoro, sacrifici, intuizioni, amore per il territorio nativo. Tra le Langhe e le come nascono i formaggi di Beppino Alpi si snoda infatti il viaggio al centro Occelli, fino a Valcasotto, in provincia della “via lattea” per scoprire dove e di Cuneo, un piccolo borgo di montagna
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definito luogo magico in cui riscoprire il valore del silenzio e dell’accoglienza, nonché del gusto. Qui i formaggi di montagna, prodotti solo con latte italiano proveniente da mucche che pascolano in terreni di proprietà, grazie alla cura costante e minuziosa dei mastri stagionatori, riposano e maturano su assi di legno nelle cantine di stagionatura, un luogo pensato e creato da Beppino Occelli per ospitare un vero e proprio “Borgo del Gusto” immerso nella quieta della Valle Casotto. Il “borgo dei formaggi”, così definito, è stato recuperato da Occelli per accogliere chiunque voglia vivere una piacevole sosta rigenerante, o fermarsi per un week end all’insegna della natura e del gusto. Un gusto che è evoluzione e ricerca della qualità assoluta: la storia di Beppino Occelli inizia con la produzione di burro, definito “Il più buono del mondo” dalla rivista Wine Spectator e “Miglior Burro d'Europa” da The Guardian, fatto solo con le panne migliori scremate da latte rigorosamente italiano. Ogni panetto viene ancora oggi lavorato a
mano, come una volta, con i tradizionali calchi che mettono in rilievo i simboli della montagna. Ma sono le interpretazioni personali di Beppino ad anticipare i tempi, come la famosa “Tuma dla Paja”, premiata a New York quale miglior formaggio, o il rarissimo “Escarun”, esempio straordinario dell’arte casearia italiana. L’ampia varietà di formaggi prodotti nel caseificio di Farigliano (CN), trovano consensi in tutto il mondo, specialità esclusive prodotte in un piccolo laboratorio
tivo è quello di ottenere nuove e raffinate spetra le Langhe cialità, mantenendo inalterati i metodi come il “Cusiè”, maturato e affinato di produzione, ma abbinando tra loro per lungo tempo nelle antiche cantine sapori unici e sorprendenti, come l’Ocdi Valcasotto, andando a costituire la celli al Barolo, un formaggio a pasta Gran Riserva di Beppino Occelli. L’obiet- dura preparato con latte di vacca e
capra, affinato in vinacce arricchite con vino Barolo Docg che lo rende un formaggio da degustazione e meditazione, già nominato “Miglior Formaggio Ubriaco” da Slow Food. Sempre da latte di pecora e vacca viene prodotto l’Occelli con frutta e Grappa al Moscato, creato nel 2011 in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia:
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di castagno, conferisce all’Occelli in foglie di Castagno un gusto marcato e intenso a questo formaggio a pasta dura. Le stagionature di Valcasotto rispondono a una tradizione radica nelle Alpi Marittime da quasi un secolo, luogo ideale per i formaggi della Langa e delle montagne cuneesi che qui trovano un ambiente ideale per al formaggio piemontese è stata unita la loro maturazione, aiutata dagli la frutta candita siciliana e la grappa esperti stagionatori che periodicamente al Moscato, mentre la lunga stagiona- rivoltano le forme, le osservano e le tura, oltre un anno e mezzo in foglie massaggiano fino a quando saranno
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pronte per essere portate in tavola. Solo le forme migliori vengono poi trasferite in cantine più piccole per l’affinatura: qui sostano per molti mesi e grazie al microclima, che favorisce lo sviluppo delle muffe, e al contatto con ben 12 tipi di legno diverso, queste forme speciali si arricchiscono in gusto, trasformandosi in formaggi unici e rari. Come il prezioso formaggio del Re, il Valcasotto, dalla particolare forme quadrata e fatto solo con latte crudo di vacca secondo una ricetta antica recuperata e interpretata da Beppino Occelli, legata alla tradizione che univa in un rapporto di “baratto” i contadini con i reali di un tempo: questo formaggio è nato infatti come dono dei contadini ai Savoia, i quali concedevano loro il permesso di utilizzare gli alpeggi e i pascoli di proprietà durante i mesi estivi. Il formaggio allora non era solo un alimento, ma rappresentava una storia, un’arte antica e la cultura del territorio, come è oggi ben presente nella filosofia di Beppino Occelli, nel rispetto della natura e dei suoi ritmi. La stessa natura che circonda Borgo del Gusto, dove è possibile sostare in una delle otto camere di cui dispone La Locanda del Mulino, gestita da Beppino Occelli con la moglie Alessandra. Qui, il ristorante offre piatti del territorio a base di materie prime genuine e di stagione, dove non può mancare sulla tavola la variegata gamma di formaggi firmati Beppino Occelli.
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Gargano felix Il giacimento di Gegè 44
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sieme a sua moglie Ninni (un pilastro fondamentale, il vero “direttore” di Jalantuumene) e ai figli Sofia e Girolamo, Gegè dà vita ad assaggi di pura creatività, sempre diversi: dalle “orecchiette con la zucca, mandorle e pecorino” ai “troccoli alla Jalantuumene” (pasta fresca tagliata con uno speciale strumento di legno, il troccolo, con porcini e noci). Dai “quadrotti di di Theo Smith podolico su crema di cime di rape” ai “medaglioni di melanzana in salsa di Gegè Mangano, chef pugliese di im- pomodoro e profumo di basilico”, o pronta tradizionale, ha portato ai alle “lagane con cuori di carciofo”. massimi livelli il suo locale di Monte I secondi si avvalgono di carni locali, “il Sant’Angelo, in provincia di Foggia. filetto di mucca podolica con scaglie di La sua è una cucina legata al territorio, fave di cacao” o i “torcinelli”, frattaglie decisamente identitaria e capace di d’agnello su cicoriella di campo; ma c’è valorizzare il patrimonio di ingredienti anche qualche piatto di pesce, come locali, spesso sottovalutati. “i triangoli di spada su crema di fave di Carpino”. “Il futuro della riGegè Mangano, 49 anni, lo chef che ha storazione è il territorio, la ruralità saputo valorizzare la cucina tradizionale - aggiunge Gegè -. Occorre riapdel Gargano, non ha alle spalle stage propriarsi dell’italianità. Spesso ci presso grandi chef stellati, né ruoli da vengono a mancare i nostri profumi, protagonista in format televisivi di dubbio i sapori e invece occorre rispettare gusto: cuoco audace e coraggioso, nato le tradizioni del nostro passato”. professionalmente come sommelier, non Così ha costruito la sua fama sui ha mai avuto paura di sfidare i gusti dei prodotti più comuni ma di qualità, clienti del suo ristorante, proponendo sulla ricercatezza delle materie accanto a piatti fatti con prodotti freschi, anche preparazioni più creative ed estrose, come “il cappuccino di troccoli con ragout di fave secche, pepe nero e pistilli di zafferano”. Il tempio di Gegè (aperto nel 1998), si affaccia su una piazzetta caratteristica. Pochi tavoli all’ingresso, qualcuno in più al primo piano. “Per scelta - aggiunge Gegè non abbiamo molti coperti, solo una trentina, per essere davvero sempre in grado di cucinare in prima persona per tutti. Perché quando fai il ristoratore, in cucina ci devi stare. Anche se mi piace uscire dalla cucina, andare tra i tavoli, parlare con gli ospiti per cercare di capire cosa migliorare. Un bravo chef deve creare insieme a chi ti sceglie e la migliore guida è proprio il cliente, nel momento in cui torna a trovarti, e crea un passaparola fra amici e parenti”. In-
Qui sopra: senape selvatica di campo in vellutata di patate di Zapponeta e pistilli di zafferano. Nella pagina accanto: millefoglie di pane e pomodoro al profumo di basilico e gocce di vincotto di fichi
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prime: formaggi, insaccati, pasta (fatta rigorosamente a mano), funghi, carni bianche e carni rosse, selvaggina, crostacei. Tutti prodotti scelti personalmente da fornitori locali o raccolti nel piccolo orto che Gegè coltiva con passione. Non mancano le verdure di campo e le erbe spontanee, tra cui “i marasciuoli” (selvatiche, dal retrogusto amaro). Il pane di Monte Sant’Angelo, poi, ha un ruolo centrale, essendo l’elemento base per tante ricette e specialità gastronomiche: il famoso “pancotto con le verdure garganiche” è un piatto straordinario. Inoltre, il vulcano Gegè, per venire incontro alle esigenze delle persone che vogliono assaggiare qualcosa delle sue specialità, senza spendere troppo, ha inventato "il panino amore mio". Un panino che co-
A lato: tiramisù pugliese con melanzana mignon glassata al cioccolato.
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niuga semplicità senza rinunciare al gusto, con farciture speciali, tipo la scottata di baccalà, oppure le frattaglie di agnello o, ideale per i vegetariani, con la cicoriella saltata all'aglio arso (che un tempo si otteneva dalla macinazione del grano raccolto dopo la bruciatura delle stoppie. Ne deriva una carta in continua evoluzione). Perché amore mio? “Perché in questo lavoro ci vuole tanta passione e tanto amore”. Il prezzo? 8 euro, incluso un bicchiere di vino del territorio o uno di birra di lavorazione artigianale. Insomma, Gegè per preparare un pasto veloce si applica con la stessa passione che ha per i suoi piatti più ricercati. Sempre per fronteggiare la crisi economica, che ha drasticamente ridotto la clientela, lo chef e patron, pur avendo una ricca cantina di oltre 600 etichette, dà la possibilità ai clienti di bere bottiglie di vino portate da casa, provenienti dalla propria personale cantina. Gegè Mangano è davvero un fiume in piena, un vulcano di idee che fanno di lui un protagonista assoluto del proprio bacino di mercato. Da qualche anno, funziona anche un piccolo albergo, di fianco al locale. Solo poche camere, eleganti e molto curate negli arredi, tra pizzi e merletti che ricordano i corredi delle nonne. In questo modo, chi abbia piacere di fermarsi e ripensare alle cose buone degustate al ristorante (o alle libagioni di grandi etichette), può tranquillamente evitare di incorrere in controlli del tasso alcolemico, sempre frequenti in zona.
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Matteo Fronduti, taste of Manna di Alberto P. Schieppati Cuoco antagonista e rivoluzionario, segue un percorso di cucina personalissimo, proponendo nel suo ristorante milanese piatti di forte impatto gustativo. Già dai nomi, le voci dell’essenziale menu sono espresse con un linguaggio chiaro e al tempo stesso ironico, che non ammette tentennamenti nella scelta da parte del cliente e che vanno subito al dunque. Dinamico e controcorrente, Matteo Fronduti è sempre se stesso, dalla parte di un gusto totale, ancestrale e, anche, eroico e coraggioso, ancor di più in tempi come questi, di vacuo conformismo mascherato da “global trend”. Anche per questo la sua cucina può essere definita a pieno titolo moderna.
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Che dire? Matteo Fronduti non è una persona normale, almeno nell’accezione consolidata del termine che i più utilizzano. Attenzione, questo vuole essere un complimento o, in ogni caso, una attestazione di stima, derivante dal fatto che lo chef del ristorante Manna (www.mannamilano.it) non è un tipo da “omologazioni facili”: la sua è una strada personalissima, di fronte alla quale viene spontaneo esclamare “chapeau!”. E di questi tempi, trovare qual-
cuno che esprima sincera diversità (cioè non legata a strategie o volontà di stupire) e scoprire che trattasi di “diversità migliorativa” rispetto alla norma della chefferia dominante a Milano, strabilia e rende felici… Il suo ristorante, Manna, lo conosciamo da tempo, anche per averci portato gourmet potenziali (ma solo tali, nella speranza che avrebbero empaticamente aderito, con
slancio automatico di passione, all’idea culin-aria di Matteo Fronduti). Ora ci si torna, grazie alla simpatica insistenza di Patrizia, che ama il locale incondizionatamente. E lo promuove con sagacia presso gli amici. L’esperienza estiva da Matteo, in una afosa giornata di luglio che avrebbe imposto - alla maniera delle sciure milanesi - “insalatina leggera, leggerissima e delicata, di erbe dell’orto”, è stata in realtà dirompente. Apoteosi del gusto estremo, verrebbe da dire. Già dalla lettura del menu si percepisce una volontà totale di uscire dalle banalità quotidiane, dalle definizioni lunghe diciassette righe per piatto (vale a dire, in gergo giornalistico almeno 1.500 battute di testo per ogni singola voce). No, qui vige la sintesi. E che sintesi: gli antipasti gorgheggiano sopra un letto di parole essenziali, che danno subito il senso del piatto, i suoi ingredienti. “Ha perso”, ovvero battuta di nasello, coriandolo, lime e peperoncino. “Ortaggio folle”, bruschetta di melanzane affumicate, burrata e timo. “Quasi peperonata”: terrina di peperone, peperone sottaceto e muso di maiale candito. “Altro che per gatti”: minestrone asciutto di trippa Artù n°70
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tiepida e speziata. Quest’ultimo da leggenda per sostanza-rotondità-sapore. Fra i primi, ho ricordi amorosi di: “Non bello”, ovvero paccheri, ragout bianco di scorfano crudo e olive taggiasche, “Mari e monti, ma veramente?”: riso mantecato, crostacei, molluschi, erbe di campo e funghi, “Banalissimo”: spaghetti, pomodoro leggermente piccante, scorza di limone, “Sopa fria”: gazpacho, sedano e frutta secca. I secondi? Una fiaba di Andersen, anche nei nomi: “Riassunto di mare”: gambero, capasanta, carcadè e senape, nocciole e guanciale, “Insalata Porco Cesare”, revisione lessicale shocking della Caesar’s Salad: stinco di maiale arrosto, erbe aromatiche, grana, salsa all’uovo. Meraviglia e succulenza, “Tonné”: vitello morbido, salsa tonnata, scalogno. I dolci: “Agro balcanico”: macedonia frutta e verdura, sorbetto di lattughe, “Conte grigio”: cioccolato fondente, fave di cacao e gelato al tè nero e bergamotto. Qualcuno ha definito “reazionaria” la cucina di Matteo, lui stesso ha creato una rassegna di menu definita “Ignoranza, ovvero della cucina reazionaria”… Io preferirei chiamarla “cucina di energia”, frutto delle sue intuizioni antagoniste, della capacità di selezionare al meglio le materie prime, di trasmettere entusiasmo, passione e autorevolezza alla sua giovane brigata di cucina. Oltre
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ogni banalità, Matteo ha prestato molta attenzione anche ai prezzi, riducendo i suoi margini, selezionando materie prime all’insegna di nuovi concetti gustativi e non relazionandosi a vecchi, presunti concetti di pregio. Il risultato è un ottimo rapporto fra prezzo e qualità (frase banale, ma che rende l’idea, visto che difficilmente si superano i 40 €, bevande a parte). A pranzo, c’è anche un Business lunch a meno di 20 € per primo, secondo e acqua minerale. La carta dei vini è ben fornita,
con quasi cento etichette e una pattuglia di birre artigianali di microbirrerie di qualità. Contrario al “lusso fine a se stesso”, Matteo si definisce paladino dell’alta cucina “accessibile”. Recentemente Fronduti ha ristrutturato il locale, rendendolo più gradevole esteticamente e più funzionale negli spazi. L’ubicazione è periferica, ma ben servita dalla linea rossa della metropolitana.
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Taufer e Perbellini Mani illustri a Venezia 52
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di Gualtiero Spotti Venezia, con una certa lentezza, in linea con i ritmi della laguna, inizia finalmente in questi anni a scrollarsi dalle spalle l’etichetta di città dalle poche opportunità per i fini gourmet. E, alla fine, ci si può disfare di luoghi comuni decisamente superati, che la vorrebbero una città esclusivamente “acchiappaturisti”. Girare per i canali solitamente non ha mai offerto grandi esperienze se non quelle divertenti di finire a bere un’ombra abbinata a un cicchetto in un bacaro. La tradizione locale, se mai è davvero esistita, ha sempre portato a incrociare ristoranti di stampo eccessivamente turistico, dal rapporto qualità-prezzo non eccelso e con poche soddisfazioni per chi cerca di vivere qualche emozione fuori dall’ordinario. I ristoranti illuminati di una piazza storicamente difficile in realtà ci sono sempre stati (vedi i tempi di Fasolato in città e poi i passaggi di Paola Budel e Antonia Klugmann a Venissa), ma il passo decisivo sembra essere proprio dell’ultimo anno. Prima con l’arrivo di Davide Bisetto alla guida del ristorante Oro del Cipriani, sulla Giudecca dopo l’epopea di Renato Piccolotto. E più recentemente con Giancarlo Perbellini che ha messo piede all’Isola delle Rose, dove ha inaugurato da pochi mesi il JW Marriott, aprendo il ristorante Dopolavoro. Di poche settimane è, infine, l’arrivo di Davide Oldani,
con i suoi signature dishes, nelle sale austere dell’Aman di Palazzo Papadopoli, sul Canal Grande. Ma facciamo un passo indietro. L’apertura dell’anno è stata sicuramente quella dell’hotel Marriott nella laguna, quasi a metà strada tra Piazza San Marco e il Lido, in un’isola privata che è diventata un grande resort dalle molte opportunità: l’isola, di sedici ettari, riconvertita e pronta ad accogliere un turismo elitario, ma non troppo, è ideale per un ospite che vuole fermarsi a Venezia, restando un po’ spettatore, e visitatore, defilato. Senza dimenticare le famiglie, che possono trovare un angolo di tranquillità fuori dal caos cittadino. Il campanile di San Marco qui si scorge da lontano, soprattutto se si sale sullo splendido rooftop dell’albergo, capace di ospitare una magnifica piscina a sfioro, un lounge bar con una dinamica lista di cocktail e l’area esterna del ristorante Sagra, dove il regista è il solido trentino Mauro Taufer.
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Ed è un nome tutt’altro che nuovo per la ristorazione d’albergo di un certo prestigio, visto che il cuoco (che tra l’altro si è avvicinato a casa abitando al Lido) fino a pochi mesi fa era alla guida di un colosso come il Badrutt’s Palace di Sankt Moritz, dove aveva sostituito qualche anno fa il francese Frederic Breuil. Il Sagra è il ristorante meno impegnativo, con piatti regiona-
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li italiani, preparazioni meno complicate e più “a tutto gusto”, se vogliamo anche più facilmente comprensibili dalla clientela internazionale, che nelle stanze dell’albergo sfiora il 90% dei presenti. Così diverte non poco la sequenza di cicchetti gourmet con baccalà mantecato, polpettine fritte, verdure pastellate e assortimento di formaggi e salumi, ma non mancano neanche i sandwich e piatti di indubbia e inconfondibile matrice italiana, come gli gnocchetti alla sorrentina, i ravioli ricotta e spinaci o le seppioline
alla griglia. In questo Mauro Taufer, che oltretutto coinvolge i turisti più audaci in una scuola di cucina interna all’albergo (la Sapori Cooking Academy), sa il fatto suo e gestisce una brigata dinamica, anche in sala, che sa sempre coccolare il cliente arrivato da lontano. Di altro tenore è invece il Dopolavoro di Perbellini, ospitato in una palazzina ristrutturata di un edificio esterno al corpo principale dell’hotel e risalente al lontano 1936. Qui si vede la mano e la sapienza di uno dei grandi cuochi italiani, capace di rappresentare se stesso (attraverso le mani del suo executive chef Federico Belluco) in una carta di classici (vedi lo zabaione ghiacciato con caviale, il guanciale di vitello brasato su purè di patate e porri fritti o la millefoglie di casa Perbellini), oppure di reinventarsi acquisendo un tocco di venezianità, come denotano alcuni piatti quali gli scampi alla “busara” e le zucchine in saor, con fiore in tempura e burrata. Per non parlare di alcune delicate e imperdibili delizie come i ravioli ripieni di latte cagliato con limone candito, gamberi marinati e capperi, o la ricciola marinata con emulsione di cozze al “gratin”. Ma è solo una delle sorprese che riserva il primo JW Marriott italiano. La Goco Spa, la più grande struttura wellness di Venezia con i suoi
1750 metri quadrati, è anch’essa in una palazzina separata ed è un piccolo gioiello e un’ideale luogo per rigenerarsi, fra trattamenti estetici e massaggi, oppure trascorrendo qualche ora nel giardino tra esercizi olistici, yoga e meditazione. Le stanze dell’hotel sono accoglienti e spaziose, ma sono soprattutto le palazzine esterne, come la Residenza (concepita da Matteo Thun, con undici camere e una suite), o la Maisonette con suite su due piani da 55 metri quadrati complessivi e giardino privato, a rendere la sosta unica ed esclusiva. Senza dimenticare che l’hotel offre un servizio quotidiano di shuttle da e per Piazza San Marco a partire dalle 8.30 della mattina fino all’una di notte: un servizio ideale per chi vuole vivere la magia della città sospesa sull’acqua quando, al calar delle tenebre, la maggior parte dei turisti si è ormai dileguata ed è tornata sulla terraferma. www.jwvenice.com
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Riva del Sole, incanto della Maremma
di Elisa Facchetti Tra il mar Tirreno e la Maremma grossetana si trova un angolo di paradiso che da sempre attrae turisti italiani e stranieri. La bellezza dei borghi circostanti, l’entroterra e il mare dalle acque cristalline, fanno da sfondo a Castiglione della Pescaia, luogo di rara bellezza dove sorge Riva del Sole, punto di partenza per scoprire la Maremma toscana e luogo di relax per un turismo “sostenibile”. Castiglione della Pescaia si trova in una posizione geografica ineguagliabile, capace di offrire sia al turista frettoloso, sia a chi sosta qualche giorno in più,
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la possibilità di vivere le diverse realtà di questo territorio. A partire dal mare. Dopo l’importante riconoscimento di “Mare più bello d’Italia”, è stato riconosciuto agli operatori turistici e agli stabilimenti balneari castiglionesi l’ambito titolo delle “5 Vele di Legambiente”, a cui si aggiunge la Bandiera Blu della Fee (Fondazione per l’Educazione Am-
bientale) e la Bandiera Verde dei Pediatri come mare a misura di bambino e la partecipazione a Pelagos, il santuario dei cetacei. Punto nevralgico del turismo sostenibile, capace di preservare il territorio e soddisfare le richieste del turista, Castiglione della Pescaia rappresenta da sempre il perfetto connubio tra terra e mare, natura
e storia, all’insegna del rispetto dell’ambiente e della grande cura nell’accogliere il turista. Un’accoglienza che da oltre 50 anni delinea l’essenza di Riva del Sole. Resort&Spa, menzionato dal quotidiano inglese The Guardian tra le 40 destinazioni internazionali top, si distingue per la ricerca del benessere ecosostenibile frutto di una meticolosa ricerca di materiali e arredi, diventando così un punto di riferimento per l’ospitalità di tutta la Maremma, nel pieno rispetto dell’ambiente e della cultura del luogo, nonché dei valori e delle tradizioni toscane. Nato nel 1960 come struttura turistica per i lavoratori svedesi e le loro famiglie, voluta da un’importante realtà svedese, oggi Riva del Sole dispone di 160 camere in sei diverse tipologie, tutte dotate di terrazzo o accesso diretto al giardino circostante. Completa l’offerta il Residence Riva del Sole, con ben 182 appartamenti suddivisi in bilocali, trilocali e monolocali. All’interno del complesso turistico non poteva mancare un’area relax: l’ampia zona wellness, la Rasena Spa, ospita tre piscine, sauna, bagno turco, palestra e solarium, mentre la Riva’s Beauty propone numerosi trattamenti specializzati, tra i quali i massaggi con sacchetti di erbe mediterranee o pietre calde, per rigenerarsi dopo una giornata al mare o immersi nella natura. Riva del Sole infatti è un perfetto punto di partenza, grazie alla sua posizione geografica, per chiunque voglia andare alla scoperta della Maremma: diversi
gli itinerari naturalistici da percorrere a piedi o in bicicletta, tra sentieri nel bosco, spiagge e pinete marittime. Fiore all’occhiello l’offerta enogastronomica: a disposizione del cliente tre bar, un ristorante e una pizzeria & grill dove poter gustare i prodotti tipici della zona ma anche di tutta Italia, senza tralasciare i piatti tradizionali della vera cucina toscana. Il turismo sostenibile offerto da Riva del Sole rientra quindi in piena sintonia con la natura che circonda Castiglione della Pescaia: la bellezza del suo mare e del suo entroterra ne fanno una meta sempre più apprezzata dagli amanti dei percorsi naturalistici, come quelli presenti nella Riserva naturale Diaccia Botrona, e dagli amanti del mare: l’an-
tico borgo vanta infatti di far parte del Santuario dei cetacei Pelagos, un’area marina protetta europea che interessa le acque del Mar Tirreno, comprendente la territorialità di Italia, Francia e Principato di Monaco, ricchissima di cetacei e altre specie ad alto rischio di estinzione. Con l’adesione, poi, alla Carta di partenariato per la tutela dei cetacei e al progetto La casa dei pesci, per il ripopolamento ittico della zona e all’utilizzo di dissuasori della pesca illegale, si è affinato un programma di salvaguardia del mare della Maremma in un ambiente ecosostenibile. Artù n°70
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A Portovenere apre l’esclusivo boutique hotel 58
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di Alessandro Luongo Proprietà tutta italiana per questo albergo esclusivo, “alla porta” delle Cinque Terre, molto frequentato dalla clientela internazionale. Al suo interno un ottimo ristorante, condotto da un executive di tutto riguardo, forte di esperienze milanesi di alta qualità. Dalla terrazza del ristorante Palmaria del Grand Hotel Portovenere, di sera spira una brezza marina rigenerante. Condizione ideale per gustare una cena dalla posizione più romantica e panoramica di Portovenere, borgo considerato “porta” delle Cinque Terre. Il boutique hotel incastonato nel “Golfo dei poeti”, con il suo ristorante, domina la vista sul porticciolo, sulla baia e sulla chiesa di San Pietro. E sulle case tipiche e originali dei pescatori, costruite a schiera nei vivaci colori liguri. Sembra un “piccolo presepe”, come se si festeggiasse il Natale in una località esotica. Invece il Grand Hotel Portovenere è di proprietà e gestione tutta italiana, della famiglia Paletti (immobiliaristi della Filcasa), che l’ha ristrutturato per due anni e rilanciato nella sua versione attuale nel luglio 2014. E difatti riservato a una clientela esigente, soprattutto internazionale (americani, canadesi, asiatici), di passaggio qui per due o tre giorni prima di visitare Lucca, Firenze, Roma. Su tutta la fascia costiera del territorio mancava un’offerta ricettiva del genere, ora invece ben rappresentata da questo ex antico convento francescano, dove spicca senza dubbio Artù n°70
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sue portate sono invitanti già dalla forma, come il rosso del gazpacho di pomodoro fresco che avvolge le mazzancolle cotte al vapore, ottenuto frullando pomodori di Pachino e aggiungendo l’olio extravergine del territorio, oltre al basilico fresco. E con il pomodoro prepara anche una pappa con calamari scottati. Ma c’è di più, perché siamo in una posizione geografica strategica, a pochi chilometri da tre regioni: Toscana, Emilia-Romagna, e Liguria, appunto. E il Palmaria restaurant, proprio davanti quindi la cucina del Palmaria subisce all’isola Palmaria: conta 80 coperti in l’influsso di queste tre aree diverse e viveranda e 30 in terrazza, aperto dalle cine proponendo nel menu anche una 12.00 alle 22.30 tutti i giorni, anche tagliatella al ragù di chianina che piace per la clientela non residente. Fino alle molto agli stranieri; ma anche la tipica 18.00 serve un lunch-bistrot ipocalorico zuppa di pesce livornese, il cacciucco, o piatti unici leggeri e veloci ed è che si arricchisce di cozze coltivate nel guidato dallo chef Francesco Parravicini, mare del Golfo dei Poeti. Insomma, 42 anni, formatosi al Principe di Savoia piatti delle tradizioni locali ma ben rividi Milano, al Grand Hotel di Rimini, da sitati, che spaziano da una regione alSadler, e in particolare all’Harry's Bar l’altra anche per una clientela internadi Londra alla corte di Alberico Penati. zionale che vive l’emozione di una cena “La mia cucina è estemporanea - rac- davanti all’incantevole baia. conta Francesco - perché dipende dalle materie prime del giorno. Ad esempio, L’albergo ho una specie di ‘relazione sentimentale’ Già al risveglio, basta spalancare le con il pescivendolo, perché lo chiamo ante delle finestre per stupirsi della belanche all’una di notte per sapere cosa lezza del paesaggio. Diverse camere (in potrà propormi poche ore dopo”. La tutto 56) sono corredate di terrazze e scelta ricade sempre e solo sul pescato balconi con affaccio sul mare. Ampie fifresco del giorno, e lo stesso accade nestre e porte-finestre si aprono sul con le verdure, solo di stagione. Una golfo e sul borgo. Le emozioni sono cucina semplice nei contenuti, “e mini- sempre assicurate, da qualsiasi punto. malista: non amo presentazioni appari- Le camere sono luminose, decorate nei scenti” tiene a precisare lo chef. Le colori sabbia e verde, che richiamano i
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toni dell’ambiente naturale e ne riflettono la luce; insonorizzate e coibentate, con parquet di legno, si completano con bagni di marmo con doccia cerviale o vasca e sono tutte dotate di aria condizionata e riscaldamento, tv satellitare, connessione internet wi-fi, minibar. La “chicca” è la 505, con il terrazzo sul castello e vista sul mare da una parte, e sulla collina punteggiata di cipressi dall’altra. Fra le comodità, di rilievo anche il parcheggio interno gratuito. Alla guida del boutique hotel è Antonio Polesel, di padre veneziano e madre ligure, laureato in Scienze Politiche con indirizzo storico. Conoscenze che sfodera subito al nostro primo incontro: “Il brand delle Cinque Terre va molto forte - esordisce -, ma Portovenere ha una storia molto più importante degli altri paesi. Dai tempi dei Romani era un porto sicuro con un castello imponente, conteso da Pisa e Ge-
nova”. Non solo. Le abitazioni sono vere e abitate. “Una volta erano usate come fortificazioni e avevano una sola finestrella”. Detto questo, lo “storico” constata purtroppo, che “siamo molto legati al concetto di battello che trasporta i turisti alle Cinque Terre”. Il sogno di Polesel, infatti - nonostante il Grand Hotel sia comunque aperto ben otto mesi su dodici, da metà marzo al ponte di Ognissanti - è tenere aperto tutto l’anno, “Magari nel 2018 o 2019, quando saremo in grado di avere i nostri clienti fidelizzati”.
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Osteria dell’Orcia più relais o ristorante? 62
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di Gualtiero Spotti La Val d’Orcia è una delle aree in Toscana che tutto il mondo ci invidia. Per la bellezza della natura e del paesaggio, per la spettacolare sequenza di borghi in buona parte rimasti intatti, per il gusto genuino della vita di tutti i giorni, per la bontà della cucina e, non ultimo, per la delizia dei grandi vini rossi del territorio.
agricola, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. In seguito, dopo qualche decennio di oblio e di abbandono, la tenuta ha ritrovato il suo antico splendore solo agli inizi degli anni Novanta grazie a una serie di lavori di restauro che l’hanno riportata a nuova vita nelle vesti di hotel di lusso. Grazie anche, nel frattempo, alTutte queste sensazioni e questi profumi, l’avvenuta ricostruzione del ponte sul uniti all’impronta indelebile lasciata nella fiume Orcia che collega agilmente il storia dai casati che hanno animato i relais al villaggio di Bagno Vignoni. Nelle villaggi, dai pellegrini che hanno percorso sedici stanze della struttura, tra junior la Via Francigena e da tutti i visitatori suite, deluxe, superior e stanze classiche, che si sono ritrovati a transitare in questi si vive un’esperienza dai toni romantici, luoghi, si possono ben cogliere in molte con i letti a baldacchino, il calore dei delle strutture alberghiere che punteg- pavimenti in cotto, le travi a vista, e gli giano la geografia locale. Una di queste, scorci della Toscana che attirano l’attentra le più confortevoli ed accoglienti, zione dalle finestre. Per non parlare anche per la dimensione quasi famigliare della piscina a sfioro racchiusa in una e la posizione un po’ defilata, è il quattro cornice naturale di bellezza senza tempo, stelle Relais Osteria dell’Orcia, a Bagno nella quale perdersi tra un tuffo e l’altro. Vignoni, ai margini di un piccolo borgo Se tutto questo non fosse sufficiente agconfinante con Castiglione d’Orcia co- giungiamo l’ottima cucina che si può nosciuto soprattutto per le sue fonti termali. Un po’ nascosto in una valletta e quindi perfetto per una sosta rilassante, il relais (affiliato alla prestigiosa associazione di grandi alberghi Condé Nast Johansens) racchiude in sé le caratteristiche peculiari dell’accoglienza toscana. Innanzitutto l’attenzione per la clientela internazionale, che qui certo non manca, e che spesso ha bisogno di essere guidata nella visita dei dintorni tra cantine, percorsi a cavallo, passeggiate lungo itinerari storici o degustazioni mirate per i più gourmand. Poi c’è il piacere di essere ospiti di una casa che racconta di una lunga storia iniziata nel 1400, quando il casale era una vecchia stazione di posta situata proprio lunga la Via Francigena. Solo nell’Ottocento, con la caduta del vicino Ponte Peruzzi, la stazione venne meno alla sua funzione originaria e l’edificio venne riconvertito in azienda Artù n°70
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gustare seduti nell’ampia sala del ristorante. I sapori del territorio qui ci sono tutti, con piatti gustosi che qua e la scelgono anche prodotti a chilometro zero, come le farine del Podere Forte, a due passi dall’albergo, con le quali si prepara il pane che arriva in tavola o la pasta freschissima confezionata per gli ospiti tutti i giorni. Il ristorante, che si chiama La Vecchia Posta, per rendere onore alle antiche origini dell’edificio, nella bella stagione offre anche il patio Belvedere, per una indimenticabile cena all’aperto con vista su Pienza. Oppure da vivere durante le colazioni mattutine, anche queste caratterizzate da delizie preparate in casa, come nel caso delle confetture o dello yogurt fresco. La semplicità e l’espressione del gusto sono forse le caratteristiche che più di altre sono esaltate nella cucina della casa, grazie alla cordialità del gestore, Silvano,
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e alla mano sicura ai fornelli della cuoca Eliana, capace di ingentilire i piatti quando serve, senza svilire, le caratteristiche di sapidità della cucina locale. Dalle tagliate alle paste (con un’ottima cacio e pepe in prima fila), fino alle preparazioni forse meno conosciute come il peposo (uno spezzatino di muscolo di Chianina cotto a lungo nel vino Chianti), passando attraverso la deliziosa e croccante selezione di verdure dell’orto. È sempre una cucina generosa e senza troppi fronzoli, comunque, che ha il pregio di essere diretta ma al tempo stesso elegante. Inutile dire che qui va accompagnata da una buona bottiglia di vino locale. Se non è un Col d’Orcia (magari uno un po’ diretto e rustico come il biologico l’Arcere prodotto dall’Agriturismo Poggio
al Vento utilizzando sangiovese a foglia tonda), si possono scegliere gli ottimi rossi del Podere Forte, oppure un Chianti Classico e ancora un più impegnativo Brunello di Montalcino. Silvano, il gestore, appassionato di vini del territorio, oltre a sapervi consigliare sulla scelta dell’etichetta, saprà mettervi in contatto con i produttori, per una visita della cantina o per una degustazione guidata. Giusto per rendere più completa e appassionante la sosta tra le colline toscane. Come se già non bastasse il solo fatto di poter spendere qualche ora in uno dei paesaggi italiani più fotografati, coccolati in un piccolo hotel posizionato in una valletta dove il tempo sembra essersi fermato. www.osteriadellorcia.com
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Graz la freschezza tra chef e mercatini
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di Gualtiero Spotti Graz, il capoluogo della Stiria, è riconosciuto come uno dei luoghi più tradizionali per avvicinarsi, dall’Italia, al mondo della cultura mitteleuropea. Sotto il profilo dell’offerta gourmet, la città oscilla fra locali con proposte di rigida osservanza tipica e una presenza crescente di ambienti postmoderni, vagamente di tendenza, contrassegnati da materie prime e ingredienti di alta qualità. Fra questi, spiccano i “mercatini del fresco”, dove appagare ansie vegane e salutistiche. Una vera e propria porta di ingresso che, con il suo passato ricco di storia, di testimonianze architettoniche (ancora oggi vanta il centro storico di origine medievale più esteso d’Europa), e di monumenti riconoscibili come il castello Eggenberg, la celebre Uhrturm (la torre dell’orologio che sovrasta dalla collina la città) e il Landhaus capace di ospitare un’armeria im-
ponente di oltre 30mila armi e armature, ha sempre attirato l’attenzione di un turismo non troppo giovane. Eppure, negli ultimi dieci anni e poco più, da quando nel 2003 Graz è stata Capitale della cultura europea, le cose sono cambiate, e molto. La città ha subìto un radicale cambiamento di mentalità, con la realizzazione di strutture nuove e ricettive, proprio a partire da quell’anno, perfette per incuriosire un ospite interessato a una cultura più moderna, al cibo, al divertimento serale, allo svago. Così, ancora oggi, spiccano la mirabilante Kunsthaus, l’edificio multifunzione (caffetteria, museo d’arte moderna, spazio
bimbi, sala convegni) che ha ridisegnato il profilo cittadino lungo il fiume che attraversa Graz, e l’Insel, un piccolo bar posto proprio al centro del fiume e “legato” alle due rive tramite una struttura metallica e due ponti percorribili solo a piedi. Ma non è tutto, negli anni è profondamente cambiata nella città anche la proposta gastronomica e se è vero che numericamente le birrerie e i luoghi tradizionali in stile austriaco sono ancora dominanti, hanno iniziato a farsi strada Artù n°70
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indirizzi più moderni e curiosi. Così come nel frattempo si sono sviluppati i mercati rionali, anche all’aperto, per acquistare i prodotti freschi delle fattorie vicine e non solo. Insomma una rinascita partita anche da una nuova consapevolezza e un nuovo interesse legato all’alimentazione, complice la fitta rete di affiliati Slow Food e una profonda attenzione verso il mondo dei cibi organici e, più in generale di temi legati alla sostenibilità. Ma andiamo per ordine e vediamo quali sono i locali per un tour alternativo di Graz. Un buon punto di partenza può essere considerato Der Steirer, un grande ristorante dai toni informali (lo stesso dicasi per la cucina), dove lo stile predominante è quello dei piatti dal gusto profondamente locale, ma con un approccio più vicino al sentire del cliente internazionale, sia nella presentazione che nelle quantità. Come dire che, se dal un lato viene proposta la classicità locale, a volte un po’ rivista (vedi la zuppa di zucchine e limone, che fa capolino tra filetti di trota accompagnati dal risotto e preparazioni di carne unite a panna e insalate di verdura), dall’altra si possono ordinare gustose Tapas alla stiriana in porzioni più agili e divertenti come approccio, ovvero piccoli assaggi di speck con aceto balsamico, di gulasch con knodel o di filetto di vitello con purée. Molti i piatti che cambiano giornalmente e che mescolano sapori geograficamente distanti tra loro, come gli spaghetti con olio di semi di zucca (quest’ultimo è uno dei vanti alimentari stiriani), anche se qui, in stagione, vale la pena
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ordinare l’ottima crema di asparagi. Der Steirer è anche negozio di vini - presenti alcune etichette fuori regione - e prodotti regionali, per lasciarsi tentare e fare qualche acquisto per portarsi a casa un ricordo. Lasciando invece il centro della città e inerpicandosi a piedi (ma c’è anche un comodo ascensore) verso la collina che domina dall’alto Graz, si arriva a fianco alla torre dell’orologio, dove, oltre a godere di una vista rimarchevole si può sostare al vicinissimo Aiola upstairs, un ristorante dai toni lounge, ingabbiato in una struttura trasparente e con un piccolo bar e terrazza esterna per la stagione estiva. L’Aiola upstairs, che da poco più di un anno a questa parte ha un gemello a pochi passi dalla città (il bellissimo e altrettanto moderno Aiola im Schloss), è il classico ristorante “to see and to be seen”, dove è facile incrociare la gioventù stiriana più alla moda e dove si può vivere l’esperienza di una cena che gioca su diversi fronti le sue carte migliori. Dagli ammiccanti sapori un po’ esotici del carpaccio con avocado e olio di oliva aromatizzato all’arancio, alle granitiche certezze del risotto ai funghi porcini, dall’inaspettata crème brulée al formaggio con confettura di pomodori e olive (tra gli antipasti), alle pappardelle con zafferano e conchiglie. Tornando invece nel centro storico, un luogo divertente e dinamico è il Kitchen 12, dove si incontra il simpatico e creativo cuoco Ferdinand Hladik, il quale oltre a mettere in scena una cucina originale, che prende spunto da più culture, quella austriaca ma anche italiana e asiatica, si diverte a rendere più vivace il suo ristorante con una serie
di eventi che vanno dalla private table alla scuola di cucina, fino alle cene con cabaret. Anche se il momento più originale rimane la giornata denominata Pretty Woman dedicata esclusivamente alle donne. Che, arrivando al ristorante, vengono accolte da una make-up artist e da un fotografo, e dopo vari trattamenti e scatti si divertono, nel corso di tre ore e davanti a un buon bicchiere di champagne, a prepararsi la loro cena di finger food e stuzzicherie. Con il risultato che il divertimento è garantito. Infine, vicino al Municipio, e per chi vuole godersi un viaggio all’interno dei piatti classici stiriani e della gastronomia locale, il luogo ideale rimane la Landhaus-Keller, dove si entra nel mondo delle zuppe di verdura, delle patate arrosto, delle salse all’erba cipollina o al cren di mela e dei piatti di carne più saporiti e decisi, magari accompagnati da una delle 12mila bottiglie che riposano nella grande cantina del locale. Con una sola controindicazione, che il locale sta per chiudere i battenti proprio alla fine di ottobre, per una grande ristrutturazione. Per quanto riguarda invece l’ospitalità in città, l’indirizzo più originale rimane quello dell’Hotel Wiesler, sulle rive del fiume Mur. Si tratta di un albergo lifestyle, che però vanta anche una clientela business e scelte non convenzionali nell’arredamento. Chitarre, macchine da scrivere, vecchi giradischi sono tra le curiosità che si possono trovare nelle stanze, ma anche gli spazi comuni riservano notevoli sorprese, come nella hall dell’hotel, dove, in uno spazio aperto, vengono riparate o affittate biciclette, o nella Speisesaal, il ristorante che si trasforma durante la sera in uno spazio con musica soul e deejay. Per non parlare del barbiere per gli ospiti o dell’angolo dedicato ai maniaci del vinile o delle Polaroid. Un hotel, in sostanza,
dove dietro la facciata austera che riporta a tempi antichi, cela in realtà un’anima molto moderna e fresca. www.der-steirer.at www.kitchen12.at www.landahaus-keller.at www.hotelwiesler.com
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In cucina con Lotus modularità e design
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di Elisa Facchetti Presente sul mercato da ben 30 anni, Lotus Spa produce innovativi sistemi di cottura estendendo la propria produzione da attrezzature professionali per piccoli spazi fino a monoblocchi dedicati ai grandi ambienti di ristorazione. La capacità di innovarsi e la dinamicità dell’offerta, nonché il design e l’estetica, hanno poi caratterizzato il successo dell’azienda veneta in tutto il mondo. Fiore all’occhiello della Inox Valley, il distretto degli elettrodomestici nel NordEst d’Italia, Lotus Spa è stata da sempre identificata da uno spirito di innovazione e artigianalità, caratteristiche che si traducono in cura dei dettagli e proposte efficaci, al passo con le richieste del settore ristorazione. A dettare le direttive di un modus operandi che continua ad avere successo Giorgio Dal Pos, fondatore nonché artefice dello sviluppo aziendale teso a una produzione in continuo miglioramento. L’artigianalità, volta alla cura di ogni particolare, l’industrializzazione che organizza al meglio la produzione e la parte commerciale che affianca i rivenditori e i clienti con proposte puntuali ed esaurienti, rappresentano i tre elementi che identificano la professionalità dell’azienda veneta che quest’anno si accinge a celebrare il 30° anniversario
della sua fondazione (1985-2015). E lo fa con importanti novità. Lotus nasce infatti come specialista nella progettazione e costruzione di modelli, attrezzature per la ristorazione professionale con propri brevetti e soluzioni, ma soprattutto con una caratteristica originaria particolare: flessibilità di profondità nelle linee e grande modularità di composizione per poter offrire al cliente soluzioni ottimali su misura. Dalla linea snack 50 alla iper 90, con 55, 60, 65 e 70 cm di contorno fino ai multipli 55+55, 60+60, 60+70, 70+70, 55+90, 70+90, 90+90 cm per ottenere isole sempre rinnovabili e ricomponibili: soluzioni vincenti che hanno permesso a Lotus di ottimizzare gli spazi in base alle esigenze dell’utente finale. Sempre con uno sguardo rivolto all’estetica. E proprio quest’anno l’azienda veneta propone un nuovo design di alcune linee di prodotto, in particolare l’evoluzione della linea Superlotus 70, la più richiesta nella ristorazione dedicata alla tavola: la più completa
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dei sistemi professionali “piccoli”, presenta in realtà le stesse caratteristiche di struttura costruttiva, materiali e qualità di prestazioni della Iperlotus 90. Lo spessore del piano in acciaio inox passa da 12/10 a 20/10, vengono eliminati i distanziali posteriori con camino avvitato, ora invece ricavato direttamente dal piano e vengono eliminate le spallette laterali e il relativo coprigiunto per ottenere un piano intero, come nella serie 90, di finitura e qualità superiore. Il concetto alla base di tale innovazione sta nell’arricchire un modello ben collaudato e molto
dei propri sistemi professionali estendendola a tutte le linee coordinate Magicprof 60, Superlotus 70 e Iperlotus 90: in dettaglio presenterà i nuovi moderni cruscotti a tenuta d’acqua con l’inedita manopola integrale. La manopola, vera protagonista, diventa un sistema innovativo grazie all’aggiunta di cuffia, guarnizione e segnalino, trasformandosi da semplice manopola a un sistema capace di poter ottenere un livello di protezione all’acqua di standard IPX5. Ulteriore novità, comune invece per tutte le linee, è il nuovo logo Lotus in acciaio brillante, integrato nel progetto del cruscotto. Le innovazioni proposte e la costante evoluzione progettuale sono il risultato di un lavoro di squadra organizzato ed efficiente. Ogni tappa produttiva viene seguita in tutti i suoi aspetti: dal disegno al prototipo, dalla produzione vera e propria al collaudo, prestando grande attenzione al design, all’ingegneria, all’ergonomia e all’affidabilità del prodotto. Tutti, dalle maestranze fino ai dirigenti, partecipano attivamente per raggiungere richie- un obiettivo comune che è l’eccellenza sto per la sua del prodotto Lotus, un’eccellenza tutta versatilità, con finiture e italiana che ben rappresenta il made in prestazioni dei sistemi di alta gamma Italy nel mondo: oltre il 60% della proapplicando caratteristiche funzionali e duzione è infatti richiesto e apprezzato prestazionali riservate finora solo alla in tutti i continenti, grazie anche al linea 90, dedicata alla ristorazione dei capillare servizio di rivenditori che possono grandi numeri. Trampolino di lancio di instaurare un contatto diretto con l’utente questa innovazione sarà la fiera Host, il finale fornendo supporto tecnico e indiSalone Internazionale dell’ospitalità pro- viduando il progetto su misura in base fessionale atteso a Milano dal 23 al 27 alle reali esigenze, mentre i moderni ottobre, a cui si aggiungono altre impor- strumenti multimediali consentono un tanti novità. Lotus innova l’ergonomia ottimo servizio post vendita.
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La Wagyu di Aprea a Milano, la supercantina a Treiso... La Wagyu secondo Aprea
Andrea Aprea Al Mio bar del Park Hyatt Milano, l’executive chef Andrea Aprea ha proposto per una settimana, dal 19 al 25 settembre, alcuni piatti a base dell’eccellente carne giapponese. Il celebre manzo del Sol Levante, particolare per tecniche di allevamento e proprietà organolettiche, ha ispirato lo chef del Park Hyatt che ha saputo interpretarlo in alcuni piatti della cultura gastronomica regionale italiana: carpaccio di Wagyu, porcini, parmigiano 36 mesi, aceto Balsamico 25 anni; Wagyu scottato, crescione, cipolla rossa e senape; tagliata di Wagyu, caponata di verdure, vinaigrette alla menta. L’iniziativa è stata frutto di un accordo con il Ministero dell’Agricoltura nipponico che ha scelto lo chef Andrea Aprea e il Park Hyatt Milano per promuovere il Wagyu originale (a dispetto dei molti luoghi nei quali si cita il Kobe
Beef o il manzo Giapponese, ma raramente si tratta di carne proveniente dagli allevamenti certificati). Una scelta dettata dal desiderio di far conoscere questa pregiata materia per creare piatti inediti in linea con la tradizione gastronomica italiana. La carne di Wagyu (“wa” in giapponese significa Giappone e “gyu” significa bue) deve provenire esclusivamente dalla prefetture giapponesi dove l’allevamento di questa tipologia di manzo è disciplinato con protocolli rigidissimi. Il risultato è una carne unica, dal tipico aspetto marmorizzato, ricca di grassi insaturi che la rendono tenera e gustosa, interpretata magistralmente nelle creazioni di Andrea Aprea.
Ciau del Tornavento Parterre de roi Maurilio Garola, chef patron del ristorante Ciau del Tornavento di Treiso (Cn), una stella Michelin dal 1997, ha voluto intorno a sé giornalisti, produttori e amici per presentare la sua nuova cantina: un luogo straordinario, oltre 60.000 bottiglie di etichette pregiate, rappresentative della migliore produzione regionale ma anche dei vertici d’Oltralpe, declinati secondo millesimi preziosi. Per questo evento, culminato in una cena indimenticabile, dominata da una “finanziera” con tutti i crismi, preceduta da ravioli di coniglio con tapenade
di olive taggiasche e schiuma al burro di montagna, Maurilio, Nadia, Cecilia e Marco (il quartetto che domina con grande carisma cucina e sala della Ciau) hanno voluto accogliere personaggi di indubbio spessore. Angelo Gaja, Carlin Petrini e Giorgio Rivetti, coordinati da Maurizio Di Dio, con i loro interventi hanno impreziosito ulteriormente la serata, rivelatasi una sorta di radiografia, approfondita ed emozionante, di tutte le problematiche che interessano la Langa contemporanea, sotto l’aspetto vinicolo, gastronomico e dell’accoglienza totale verso un movimento turistico (dall’estero arriva oltre il 60% delle presenze) di particolare competenza in materia enogastronomica. A.P.S.
Cantine Ferrari “Sparkling Wine Producer of the Year”
Maurilio Garola con Carlin Petrini
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La cantina trentina Ferrari, di proprietà da ben tre generazioni della famiglia Lunelli, festeggia un prestigioso riconoscimento nella più importante competizione internazionale dedicata alle bollicine, The Champagne and Sparkling Wine World Championships 2015, aggiudicandosi il titolo di “Sparkling Wine Producer of the Year”. La premiazione, durante la cena di gala alla Vintner’s Hall di Londra, è stata l’occasione
per Tom Stevenson, organizzatore del concorso, per celebrare il valore del premio assegnato a Cantine Ferrari. La prima edizione del concorso aveva consacrato il Ferrari Perlé 2007 Trentodoc World Champion Sparkling Wine Outside Champagne: quest’anno vincitore assoluto è il Ferrari Trentodoc a Metodo Classico, conferma della straordinaria vocazione del territorio trentino e della sua viticultura di montagna per la produzione di bollicine di eccellenza. Questo riconoscimento arriva a pochi giorni dalla nomination di Ferrari a The Best European Winery per i Wine Star Awards di Wine Enthusiast, l’importante premio del magazine americano che sarà annunciato a fine 2015. Nella foto Camilla Lunelli con Essi Avellan, esperta di champagne.
Una cena Twist È stato questo il nome dell’evento organizzato dalla cantina Prime Alture Wine Resort dell’Oltrepò Pavese che ha chiamato come partner esclusivo Amorim Cork Italia. A fare da cornice il Palazzo Sant’Ambrogio a Milano, che ha accolto la presentazione del nuovo vino “Il Rosso” di Prime Alture e il nuovo tappo creato da Amorim per proteggerne il prezioso contenuto: il tappo a vite Helix. Grazie anche alle proprietà del sughero, Helix presenta una chiusura funzionale ed esteticamente apprezzabile. “L’attenzione di Prime Alture per le innovazioni ha portato ad essere naturalmente catturati da una chiusura come Helix
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Carlos Santos con Alberto Schieppati e Roberto Lechiancole - ha affermato Roberto Lechiancole, titolare della cantina -. Una trovata geniale, sia nell’utilizzo, sia nel pieno rispetto del sapore del vino, cui viene lasciata la possibilità di avere la giusta evoluzione” e la giusta tutela, come ha dichiarato a tal proposito Carlos Santos, a.d. di Amorim Cork Italia: “Il percorso di Helix nasce dalla volontà di valorizzare il vino proteggendolo con il sughero, che dona anche maggiore nobiltà al packaging, e strizzare l’occhio alla comodità di utilizzo. Mantenere inalterate le qualità organolettiche del prodotto è il fondamentale veicolo al suo successo: è per questo che l’ultimo nato in casa Amorim rappresenta un nuovo e importante alleato”. Durante la serata di presentazione, a cui era presente il direttore di Artù Alberto P. Schieppati, hanno partecipato anche gli chef Claudio Sadler, Gaetano Simonato, Enrico Gerli, Filippo Lamantia, Giancarlo Morelli, degustando i piatti tipici del territorio pavese e toccando con mano le caratteristiche del nuovo vino e del nuovo packaging nato dalla collaborazione di Amorim per il sughero e O-I per il vetro.
Tacco 12 e bollicine con Ljubica Komlenic e Antonia Klugmann Lo Sporting by Ljù è stato protagonista della serata Tacco 12 e bollicine, evento organizzato a Caorle, cittadina della laguna veneziana con un centro storico dalle tipiche case colorate. La padrona di casa Ljubica Komlenic ha cucinato a quattro mani con Antonia Klugmann (che abbiamo intervistato a Identità Golose 2014) ora titolare del suo ristorante l’Argine a Dolegna del Collio in località Vencò.
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Le loro esperienze completamente diverse hanno reso ancora più coinvolgente la serata: la tecnica di Ljù, molto attenta agli aspetti salutistici e agli equilibri dietetici delle ricette, e la passione di Antonia che, con i prodotti ottenuti per lo più dai campi intorno al suo ristorante, unisce ingredienti spesso inusuali con la sua innata predilezione per le cose buone, armoniche, semplici. In abbinamento ai piatti gli champagne Tribaut Blanc des blancs, Brut nature e Brut Origine si accostavano armonicamente alle preparazioni. L’antipasto era un’insalata di rape rosse, ravanelli in agrodolce e uova di trota di Antonia seguita da una purea di sedano rapa, coulis di spinacini di campo, lampone acido, gamberi appena cotti e gambero croccante di Ljù. Antonia ha poi presentato gli gnocchetti di semola di grano duro al cacao, ragù di agnello ed erbe dell'orto contrapposto ai ravioli con
Ljubica Komlenic con Antonia Klugmann
astice, mascarpone, scalogno e bisque di astice di Ljù. Le polpette in doppia panatura con carne bollita di quattro tagli, purea di pomodoro di Antonia precedevano il branzino con melanzane, gambero rosso ed estratto di sedano verde di Ljù. Non poteva mancare la golosa mousse di fondente, latte e caramello, gelèe all'arancia, crumble, coulis di limone e sorbetto all’ananas di Ljù. Nella cucina dello Sporting sono presenti attrezzature altamente professionali come i forni Lainox e le macchine Orwed per la cottura sottovuoto. Strumenti che consentono alla chef padrona di casa, laureata come tecnologa alimentare, specializzata nelle più evolute tecniche di cottura, di realizzare una cucina dove i diversi ingredienti sono esaltati attraverso cotture e procedimenti che ne rispettano la struttura e ne conservano i valori nutritivi. G.M.
zione. La nuova bottiglia “Rose Edition” si distingue per la particolare etichetta arricchita dal tocco della rosa nelle intense tonalità di colore differenziati per gusto: amaranto per l’acqua naturale, blu per quella frizzante e verde per la leggermente frizzante. Immancabile, sul fondo, il tricolore simbolo dell’italianità e garanzia di qualità.
Acqua San Benedetto: a Venezia con la Rose Edition Il Cento Filari di Cesari in degustazione a Expo Alla 72° Mostra del Cinema di Venezia è andata in scena anche Acqua Minerale San Benedetto, partner della Venice Movie Stars Lounge, l'area di lavoro all’interno del prestigioso Hotel Villa Laguna al Lido che ha ospitato le attività stampa dei più importanti film presentati al Festival. Il brand italiano del settore beverage analcolico era presente con diversi prodotti: da Aquavitamin alla grande varietà di Bibite Gassate, fino all’immancabile acqua minerale con le linee “Elite” e la nuovissima “Prestige Rose Edition”, fiore all’occhiello della ristora-
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Ravioli con astice mascarpone e scalogno bisque di astice
È il Lugana Cento Filari a rappresentare la cantina di Cavaion Veronese Gerardo Cesari all’Esposizione Universale di Milano. Già valutato con 88 punti dalla rivista Wine Enthusiast, che ne ha lodato la freschezza al palato in perfetto equilibrio con i sentori floreali e fruttati, il Cento Filari si può degustare a Expo alla “Biblioteca del Vino” all'interno del Padiglione Vino curato da Vinitaly. La filosofia produttiva di questa vino ha di fatto tracciato un nuovo stile nell’interpretazione del Lugana che con Cento Filari di Cesari diventa un vino importante, strutturato, senza perdere la sua freschezza. Ruolo primario è senza dubbio affidato al vigneto autoctono di Turbiana sono di fatto cento i filari destinati a questa produzione, nel vigneto tra i co-
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muni di Pozzolengo e Peschiera - che dà origine al Lugana e che si distingue da tutti i trebbiano coltivati in Italia con una densità di 4100 ceppi con forma di allevamento ad archetto. Si presenta nel calice di colore giallo paglierino brillante, al naso prevalgono le note floreali e fruttate, mentre al palato emerge la buona mineralità e l’acidità, unite a pienezza e rotondità.
La Dispensa Marchigiana, un paniere di delizie per Expo 2015 È stato inaugurato il progetto de La Dispensa Marchigiana presso La Rampina, Antica Osteria situata in un cinquecentesco cascinale sulla via Emilia a San Giuliano Milanese. La serata di presentazione ha visto la partecipazione del maestro Gualtiero Marchesi grande appassionato della cucina marchigiana. Lino e Luca Gagliardi, patron e chef del ristorante La Rampina, originari della regione e profondi conoscitori delle tradizioni culinarie, propongono per tutto il periodo di Expo dei menu degustazione in collaborazione con Marche Expo società di promozione del territorio. Tutti i piatti di questa iniziativa prevedono l’utilizzo di ingredienti tipici, espressioni di una fiorente tradizione enogastronomica. I prodotti utilizzati per le preparazioni, che in base alla stagionalità degli ingredienti varieranno per tutti i sei mesi di Expo, sono tutti disponibili per l’acquisto nella Dispen-
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sa Marchigiana allestita nei locali dell’Antica Osteria. Un vero e proprio emporio di eccellenze che arrivano direttamente dal territorio marchigiano. Appassionati e curiosi hanno la possibilità di trovare diverse tipologie di dolciumi, confetture, salumi e formaggi tra cui alcuni presidi Slow Food come il lonzino di fico di Dolciaria Marche e la cicerchia (tipico legume regionale) de La Bona Usanza di Serra de’ Conti, chicche come la visciolata bevanda a base di visciole, uva autoctona montepulciano, zucchero de Le Cantine del Cardinale - e il mays ottofile (farina per polenta e gallette) di Roccacontrada di Marino Montalbini, difficilmente reperibili a Milano. Tra i produttori l’azienda Agricola Sabatino propone una pasta artigianale biologica con il grano saragolla. Il cereale contiene dal 20 al 40% di proteine in più, percentuali più elevate di amminoacidi, vitamine e minerali tra i quali un alto contenuto di selenio e beta carotene (eccellenti antiossidanti) e minore contenuto di glutine. Sabatino giovane realtà nata nel 2009 realizza oltre ai formati classici di pasta i creativi truciolotti e canestrini. La cooperativa agricola Moncaro, che
dispone di oltre 1.600 ettari di vigneti in tre zone vocate, ha scelto per questa iniziativa un interessante spumante Metodo classico da Verdicchio e Montepulciano, un Verdicchio dei Castelli di Jesi riserva, un Rosso Piceno superiore, un Conero riserva e un armonico, complesso Verdicchio dei Castelli di Jesi Passito. In occasione del Fuori Expo, ma con il dichiarato obiettivo di rimanere un appuntamento fisso presso l’Antica Osteria La Rampina, le Marche tornano ad avere a Milano un presidio per valorizzare e divulgare la propria tradizione enogastronomica. L’Infinito di Giacomo Leopardi, poeta marchigiano doc, non è poi così lontano. G.M.
A Serrapetrona Appassimenti aperti L’appuntamento che celebra il vitigno autoctono Vernaccia Nera è giunto quest’anno alla sua decima edizione. Appassimenti aperti, a Serrapetrona in provincia di Macerata, accoglierà per due domeniche, l’8 e il 15 novembre, gli appassionati della Vernaccia di Serrapetrona Docg e del Serrapetrona Doc, con l’obiettivo di valorizzare l’unicità di questo vitigno e la peculiarità di una produzione piccola e preziosa. Protagonisti dell’evento saranno come sempre i produttori, che con passione e dedizione rinnovano un’arte difficile, tra le più complesse del panorama enologico, tra cui citiamo Colleluce, Alberto Quacquarini, Lanfranco Quacquarini, Tenuta Colli di Serrapetrona, Massimo Serboni e Fontezoppa. La Vernaccia di Serrapetrona Docg è l’unico vino rosso spumante Docg in Italia e la sua tecnica di produzione prevede ben tre fermentazioni; nella versione dolce è ottima soprattutto in abbinamento con dolci da forno, mentre nella versione secca si sposa con formaggi e salumi, ma anche a tutto pasto accompagna molto bene piatti dai sapori corposi. Il Serrapetrona doc è invece un vino fermo, avvolgente e speziato. Per scoprire le caratteristiche
di questa produzione l’appuntamento è dunque con Appassimenti aperti, dove tra le vie del paese e le cantine locali si potrà scoprire l’arte di questa peculiare produzione. L’evento è organizzato dall’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, dai Comitati di tutela della Vernaccia di Serrapetrona Docg e del Serrapetrona Doc e dal Comune di Serrapetrona.
Abruzzo Italy a Expo in città Con Expo in città continuano gli appuntamenti dedicati all’esposizione universale tra le mura meneghine, come l’evento di Abruzzo Italy, il Polo per l'Internazionalizzazione delle imprese abruzzesi: un'occasione unica scelta in questo contesto milanese di Expo per raccontare e fare conoscere tutte le potenzialità e le opportunità della regione Abruzzo e le varie aziende che hanno attivato o vogliono attivare azioni legate all'internazionalizzazione delle proprie attività. Protagonista di
questa incontro il Pecorino di Farindola, dell’Azienda Agr. Daniele D’Agostino, realizzato con il caglio di maiale, un prodotto unico che nasce in primis grazie all'allevamento delle pecore discendenti direttamente dalla razza pagliarola appenninica alimentate solo con prodotti naturali, e in secondo luogo dall’aggiunta del caglio di maiale che conferisce aroma e sapori particolari. Questo prodotto si produce in limitatissime forme in una ristretta area del versante orientale del massiccio del Gran Sasso, in degustazione in esclusiva per questo evento tutto milanese che ha portato un assaggio di Abruzzo anche in città.
libri
Storie di caffè e gusto, quattro libri da leggere
Titolo: Baci di contrabbando Autore: Emilio Magni Editore: Alessandro Dominioni Editore Pagine: 190 Prezzo: 15,00 €
Titolo: Il sogno del caffè Autore: Andrea Illy Editore: Codice Edizioni Pagine: 226 Prezzo: 19,00 €
Titolo: Il genio del gusto Autore: Alessandro Marzo Magno Editore: Garzanti Editore Pagine: 410 Prezzo: 22,00 €
Titolo: Sulle ali del Barolo Autore: Gianni Gagliardo Editore: Cinquesensi Edizioni Pagine: 160 Prezzo: 15,00 €
“Risotto giallo” con l’anima Emilio Magni, collaboratore storico di Artù, giornalista in prima linea nel redigere cronache appuntite e emozionate, racconta la storia di un amore tra un giovane contadino brianzolo e una ragazza del lago di Como, contrabbandiera autentica e verace. Il periodo storico è quello dell’immediato dopoguerra. Le descrizioni dei luoghi rimandano a un’Italia semplice e caratterizzata dalla schiettezza degli affetti, ma anche delle tradizioni culturali, comprese quelle alimentari: forse le vicende personali dei protagonisti sono anche un modo, una sorta di alibi, grazie al quale Emilio Magni dichiara nel suo romanzo la nostalgia per un mondo ormai scomparso, che ruotava intorno alla famiglia e, subito dopo, all’osteria: luoghi di erogazione di pasti frugali (“per fare quel buon risotto giallo, alla milanese, la regiura e le figlie ci avevano messo l’anima…), accompagnati però da sentimenti veri e da atmosfere autenticamente popolari.
In una tazza di caffè… Andrea Illy ha presentato questo suo libro in una calda giornata milanese, all’EXPO in pieno svolgimento, suscitando attenzione e curiosità nel pubblico. Sì, perché Andrea, celebre imprenditore triestino del caffè, è anche uno scrittore con tutti i crismi. Nel “sogno del caffè” ha descritto con rara efficacia e ricchezza di dettagli l’universo caffè, inteso in senso culturale e filosofico. Nel volume, infatti, non si parla solo della nostra amata e spesso abusata bevanda quotidiana, ma anche di tutto il mondo che la sottintende. Culture che si incontrano, profumi di luoghi esotici e meravigliosi, storia, arte, viaggi, aneddoti, incontri, episodi…. Il libro riesce a comunicare ai lettori un messaggio straordinario, positivo e incisivo, con protagonista la passione che, accompagnata ad impegno e cultura, è il motore necessario a creare un prodotto di qualità, capace di farsi conoscere e apprezzare in tutto il mondo.
La cucina è sempre contaminazione L’autore, veneziano, è attento analista e studioso della storia delle materie prime “italiane”, quelle che ci hanno reso famosi nel mondo e che fanno parlare a ogni piè sospinto di made in Italy. Ma, attenzione: Alessandro Marzo Magno ci mette in guardia da facili e approssimative conclusioni…. Il volume svela le origini sorprendenti di molti ingredienti che sono i grandi protagonisti della gastronomia italiana: veniamo così a sapere che la pasta ha origini arabe, che la pizza era già preparata dagli antichi greci, che quando facciamo colazione al bar con caffè e croissant assaporiamo una bevanda turca, accompagnata a un dolcetto che simboleggia la bandiera ottomana! Perché la cucina è sempre contaminazione, e migliora viaggiando e incontrando il diverso. La grandezza del genio italiano, infatti, sta proprio nel reinterpretare l’esotico, mescolarlo col casalingo e poi diffonderlo in tutto il mondo. Una teoria singolare, ma ben suffragata dai fatti.
Avventure da barolista Brava l’editore, Sara Vitali, ad avere individuato la “vena” di Gianni Gagliardo, grande barolista e produttore vitivinicolo di fama internazionale, che ha scritto questo libro di racconti, di “appunti di viaggio” raccolti nella storia quotidiana dell’esistenza. Generoso e aperto, in questi capitoli di agile lettura, Gianni Gagliardo descrive con immediatezza e sincerità le emozioni e le curiosità di un momento, di un attimo imperdibile, di una situazione che va “fissata” nella memoria per non venire persa, dimenticata, rimossa. Come quando, in volo da San Paolo a Monaco di Baviera, viaggiando in prima classe, descrive in dettaglio come - a lui, strenuo difensore del vino italiano - sia stato proposto in degustazione un grande Bordeaux… Tale era la cortesia del personale, la capacità e la premura nell’esaudire - in modo non mellifluo né servile - ogni richiesta, che si era venuta a creare un’atmosfera decisamente indimenticabile…
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La quaglia di Lopriore, l’impronta di Gualtiero... I TRE CRISTI DI LOPRIORE, CONFERMA-RIVELAZIONE I Tre Cristi Via Galileo Galilei 5 20124 Milano Tel 02 29062923 www.trecristimilano.com
Eccolo, il discepolo per eccellenza, l’allievo geniale e intuitivo di Gualtiero Marchesi che, ancora una volta, non si era sbagliato quando lo aveva scelto come suo collaboratore principale, co-protagonista della cucina grazie a genio, inventiva e costanza: Paolo Lopriore, pugliese-comasco, dopo anni alla corte del Maestro, all’Albereta, si era rifugiato nella calma della Toscana, in quella Certosa di Maggiano dove per anni ha dato il meglio di sé, creando un polo di alta e personalissima cucina. Poi, nel passato recente, ce lo siamo ritrovati a Como, sulla strada per Cernobbio, dove ha portato la sua vena rivoluzionaria in un tessuto gastronomico abbastanza addormentato, quale è, da sempre, il bacino lariano (nonostante i pochi davvero bravi, qualche nome: Ettore Bocchia del Mistral di Bellagio, Mauro Elli del Cantuccio di Albavilla, Alessio Mecozzi del Casta Diva a Blevio, Carmelo Sciarabba del Castello di Casiglio a Erba, Mario Pozzi del Glicine a Cernobbio). Ma il genio destabilizzatore di Paolo non è durato molto, sulle sponde sonnecchianti del Lario…. Non a caso, oggi, lo ritroviamo a Milano, in pieno centro direzionale, fra il ristorante di Berton e il Principe di Savoia. Qui, ai Tre Cristi, con una cucina a vista ben visibile dalla sala, un po’ algida ma sufficientemente priva di quell’atmosfera finto-calda, leggermente insopportabile, dalle tinte giallastre, che colora ormai gran parte dei ristoranti milanesi, Paolo propone la sua cucina d’autore, capace di regalare (si fa per dire, visto che i prezzi sono “importanti” pur nella ragionevolezza derivante da indubbie valutazioni) percorsi ed emozioni che meritano di essere provate. Per
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molte delle proposte in menu vi è la possibilità di scegliere per l’intero tavolo (o per la coppia), con l’opportunità di vedere il valore complessivo dei piatti ridimensionato del 10% (uno sforzo in più sarebbe apprezzato…). Fra gli antipasti, spiccano il rabarbaro e melanzana “alla parmigiana”, icona della creatività del cuoco, le zucchine “a scapece”, limone dolce e profumato, olive e capperi, la cipolla di Acquaviva servita con i suoi condimenti. In quest’ultimo piatto emerge l’impostazione culturale di Paolo, capace di dare a un prodotto semplice come la cipolla una valenza gustativa e una pienezza decisamente superiori alle aspettative. Fra i primi, la scelta non può non cadere sul riso cozze e patate, ancestrale quasi nella sua osservanza ossequiosa di tradizioni che non sono mai morte, proposto in più portate che occupano letteralmente tutto il tavolo e che riempiono i commensali di contenuti legati a convivialità, a condivisione, a esperienze di gusto e piacere gourmand. Interessante anche il raviolo ripieno di pane profumato al pecorino, vongole e vino bianco, espressione succulenta di sapori sedimentati da tempo, nostalgie, ricordi. Fra i secondi, segnalo la quaglia, funghi porcini e patate in frittura “alla senese”, brodo di funghi porcini: inutile perdersi in descrizioni del piatto, una vera e propria apoteosi gustativa. La croccantezza esterna, unita alla morbidezza della quaglia, rende la degustazione di queste cotolettine un rito di estrema gradevolezza. Un piatto reso ancora più eccellente dai funghi arrostiti e, servito a parte, da un brodo di intensità e profumo che fa letteralmente danzare di gioia. In menu, fra gli altri secondi, segnaliamo il branzino in crosta, aneto, zucca, mandorla e albicocche sottaceto. L’esperienza ai Tre Cristi si è dunque rivelata superiore alle attese, in primis perché l’impegno di Paolo Lopriore è totale: la sua dedizione alle materie prime, frutto certamente di una profonda assimilazione degli insegnamenti del Maestro Gualtiero Marchesi, è una straordinaria garanzia di serietà. E la riuscita perfetta dei piatti proposti da Paolo e dalla sua giovanissima brigata è la conferma che
cuochi non ci si improvvisa in alcun modo… Per quanto riguarda i vini, il sommelier ci dice che è in atto una profonda revisione della carta e per rispetto ci asteniamo dal commentare i vini presenti nella lista che, forse, domani saranno sostituiti con altri…Il livello comunque ci è sembrato all’altezza della cucina, con dei ricarichi molto attenti e, in questo caso, ragionevoli.
GLICINE DI CERNOBBIO, ORMAI UN CLASSICO Trattoria del Glicine Via Vittorio Veneto 1 località Piazza Santo Stefano 22012 Cernobbio (Co) Tel 031 511332 www.trattoriadelglicine.com
Mario Pozzi ha aperto nel 2000 questo locale, ubicato in uno dei luoghi più turistici del Lario, dove propone una sua personalissima cucina, che trae spunto da ingredienti locali per assurgere a un’offerta dalla dimensione nazionale. Lui, che è sommelier di razza, è il capo incontrastato della cucina, mentre la sala è affidata a Francesco e Beatrice, i
figlioli, con sana passione per questo mestiere. Pozzi propone una linea di cucina intelligente, a tratti furba (in senso buono), visto che punta decisa ad appagare i desideri iconici e talvolta manieristici della clientela locale (milanese, comasca ma soprattutto internazionale). I piatti che escono dalla cucina sono gustativamente ineccepibili, perfetti sotto l’aspetto della succulenza e dei desideri della clientela. Ottimi, fra gli antipasti, il petto d’oca affumicato in misticanza, i fiori di zucca fritti in pastella, la tartare di ricciola del mediterraneo, i gamberi al vapore su canapè di porri, la tartare di manzo “del Mario” (fassona piemontese tagliata al coltello); fra i primi, Artù segnala caldamente i tonnarelli al ragù di coniglio, gli gnocchi di ricotta di pecora al burro e salvia, i tonnarelli con la ventresca di tonno fresca siciliana, il risottino con i petti di quaglia. Fra i secondi, formidabili le costate e le fiorentine di fassona, il controfiletto di agnello alle erbe, il fritto (inimitabile) di gamberi e fiori di zucca in pastella, il polletto allevato a mais al forno, il filetto di cervo grigliato con la marmellatina di vino. Fra i dolci, bravi a riprodurre (lontano da Mantova) una Sbrisolona di qualità, ma anche destano interesse le pere cotte al marsala e cioccolato fondente. In un ambiente di rara
LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole
Numero 70 settembre/ottobre 2015
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Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello In redazione Elisa Facchetti - elisa.facchetti@edifis.it Contatti artu@edifis.it - www.artumagazine.it _______________________________________________________________________________________________________
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Hanno collaborato Rebecca Andreola, Giuseppe Arena, Fiorenza Auriemma, Denise Battistin, Irene Bernabò Silorata, Guido Bernardi, Davide Bernieri, Stefano Bonini, Luisa Contri, Davide Deponti, Antonio Ezio, Maurizio Forte, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Alessandro Luongo, Emilio Magni, Rosa Marchetti, Gianni Mercatali, Giovanna Moldenhauer, Calogero Moscato, Aldo Nenzi, Riccardo Oldani, Cristina Panigada, Anna Pesenti, Gio Pirovano, Alessandra Piubello, Gualtiero Spotti, Theo Smith, Olivia Vachon, Claudio Zeni, Stefania Zolotti. _______________________________________________________________________________________________________
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suggestione, all’ombra di un vecchio glicine, qui si gustano ottime portate, eseguite correttamente, all’insegna di una imprenditorialità ben strutturata, non immune da slanci creativi.
QUEL SIGILLO IN COLLINA NON DELUDE AFFATTO Osteria il Sigillo Via Poggio S. Rocco 4 57016 Rosignano Marittimo (Li) Tel 0586 764737 www.osteriailsigillo.wix.com
fagioli cannellini al coccio e una serie di toscanità molto apprezzabili, che culminano con il classico Vinsanto (buono) proposto con i cantucci di Prato. Un’osteria vera, da rimpiangere una volta usciti, per correttezza dei prezzi e qualità dei piatti. Sui vini c’è una ricerca particolare, che vede in pole position i grandi rossi di Bolgheri, venduti a ricarichi di assoluta coerenza.
TRAMEZZINI VENEZIANI IN CENTRO A MILANO L’altro tramezzino
Via Lupetta 5 20123 Milano Tel 02 36798084 Dalla vicina costa sovraffollata (d’estawww.laltrotramezzino.it te) e semideserta (d’inverno), in pochi minuti si raggiunge questa “osteria” di collina che appare da subito come una di quelle mete sicure, tanto ragionevoli quanto disponibili all’accoglienza. Già Lo spazio è angusto, ma la selezione dall’ingresso si comprende bene che la di tramezzini “gobbi” è incredibile! Il cucina è retta da una donna, Letizia, che tramezzino come a Venezia? Quasi, vi accoglie con gentilezza e ritorna su- anche se il prezzo è milanese (fra i due bito in cucina, dove è la protagonista as- e i tre euro a tramezzino) e non propriasoluta. In sala, il marito che, al posto del mente lagunare… Ma sulla qualità menu (peraltro presente sui tavoli) vi in- nulla da eccepire: ottimo e morbido dica una lavagna che espone chiara- il pane bianco, gustose e corrette mente piatti e prezzi (di una onestà (anche per quantità) le farciture. Abencomiabile). Di interesse: il tortino ru- biamo ottimi ricordi da quelli classici: stico di patate con cake di olive e guan- tonno e uova, prosciutto cotto e uova, cia di maiale con tartufo nero fresco, la asparagi e uova, tonno radicchio e bruschetta “incavolata” nera, il tomino grana, porchetta e funghi, baccalà, pacon prosciutto toscano. Fra i primi: i pici tate e capperi, ma anche da proposte con salsiccia di cinta senese, i tortelli più innovative come bresaola, Philadelcon spuma di ricotta e tartufo nero fre- fia e pomodoro, gamberetti e zucsco, gli gnudi pere e pecorino (memora- chine. Ci è sembrata un’alternativa bili), la mitica bistecca alla fiorentina, i gustosa al solito panino di corsa, di quelli che non sai mai bene che cosa c’è dentro…. Viene servito anche, al calice, un Prosecco dignitoso. Manca lo Spriz e poi, anziché dietro a via Torino, in centro a Milano, potreste trovarvi sul ponte di Rialto…