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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Artù n°50 - Maggio - Giugno 2012
Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati
Grande degustazione di Krug al bistellato Villa Crespi Caffè Quadri, i fratelli Alajmo conquistano Venezia Milano, Andrea Aprea: lo chef dell’Hyatt convince Equipment: come proporre in tavola un ottimo pane
Marzo Aprile 2012
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EDITORIALE n°50
edi tori al Sparkling STOP
Dalla Franciacorta ci dicono, anzi ci impongono: “non usate più il termine bollicine, in quanto termine obsoleto e senza futuro”. La cosa più interessante è che fanno sul serio, per davvero. E che a questa dichiarazione ufficiale non è seguito alcun “aggiustamento”, com’è nello stile, tutto italiano, di rimangiarsi la parola una volta detta. Per vezzo, per amor di diplomazia, per politica delle alleanze, per mantenere attivi opportunismi trasversali. Niente più bollicine: detto e fatto. Il destino ha voluto che il mio blackberry ricevesse la mail del Consorzio Franciacorta proprio mentre ero in Champagne, per una degustazione di grandi bollicine (ooops, volevo dire di grandi, indimenticabili vintage di una reserve privée di una importante e blasonata Maison: va meglio così?). Si sa, Champagne è Champagne: e non c’è proprio bisogno di usare il termine bollicine per definirlo.
Noblesse oblige. Ma in Italia è diverso: segmentazioni, sottosegmentazioni, becero-localismi, campanilismi, invidie e invidiette, gelosie, rivendicazionismi, confini, sottolineature, distinguo. Posso definire insopportabile questo corporativismo che puzza ancora di sottocultura da ventennio? L’Italia non è la Francia: e la nostra grandeur, se esiste, è disseminata, sparsa in mille rivoli, senza una precisa identificazione. E, forse a rischio di annebbiamento d’immagine, per non dire di estinzione. Nel mondo, le vituperate “bollicine” italiane le chiamano, mi pare, “italian sparkling wines”. Dentro a questa espressione ci sta di tutto, di più: Prosecco doc, Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, Prosecco di ogni dove, Trentodoc, Asti Spumante, Franciacorta, spumanti (posso?) di Serralunga d’Alba, Oltrepo Pavese e di ogni altro luogo (Marche,
Emilia, Romagna, Alto Adige, Sicilia, Umbria ecc) che abbia (o non abbia) alcuna vocazione alla produzione di vini – passatemi il termine - frizzanti. Qualcuno ci aveva provato (e talvolta ancora insiste) a caldeggiare l’uso del termine Talento per definire la produzione spumantistica con il metodo classico. Ma con scarsi risultati: il termine non piace o forse il fatto è che nessuna logica sistemica può risultare vincente nel paese “degli uni contro gli altri”. Siamo ancora al “cicca cicca, io son più bravo di te!” Che stanchezza, che peccato! Continuiamo a difendere piccoli (o grandi) steccati in nome della sopravvivenza, o della piccola (o grande) prevaricazione in nome di una presunta supremazia. Si rinnova l’amara considerazione: evidentemente non siamo nelle condizioni di fare sistema, sparpagliato com’è il seme dell’incostanza e della parcellizzazione… E dell’eccellenza e della sana competizione, per carità! Non voglio mica essere scambiato per un ministro dell’ex DDR… Ora, premesso che comprendo Maurizio Zanella (con cui condivido romanticamente la fede calcistica) e la sua saggia volontà di eliminare ogni confusione e, insieme, di valorizzare la qualità dei nostri grandi vini, mi permetto a mia volta di lanciare un quesito-proposta. Ma non sarebbe allora il caso di eliminare anche l’uso (e l’abuso) del termine sparkling? A me, personalmente, questa espressione fa venire in mente l’acqua del rubinetto che, nei mitici anni Sessanta, veniva addizionata di polverine (chi si ricorda dell’Idrolitina?) per renderla frizzante. Sì, anche sparkling proprio non mi piace. È qualcosa che “buscia”, forse ancora peggio di “bollicine”. Aboliamo anche sparkling? Proviamoci, anche linkandoci a www.facebook.com/Artù.Edifis per vedere di nascosto l’effetto che fa! Alberto P. Schieppati
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SOMMARIO n°50 44 Pag. 04 Pag. 08 Pag. 12 Pag. 14 Pag. 16 Pag. 18 Pag. 20 Pag. 21
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In copertina: un succulento piatto della Credenza. Giovanni Grasso e Igor Macchia, della Credenza di San Maurizio Canavese (www.ristorantelacredenza.it), hanno saputo reinventare la tradizione piemontese creando una linea di cucina moderna e attenta al gusto delle materie prime. Il ristorante in provincia di Torino (una stella Michelin) dimostra come sia possibile innovare rispettando il territorio.
Info people&brand Gli chef protagonisti dei nuovi scenari futuri Innovazione necessaria per affrontare i mercati Info brand Dieci anni di Brunello. La forza di Belpoggio di Gianni Mercatali La magia di Krug alla corte di Tonino di Alberto P. Schieppati Royale e Dudson, vincenti nell’alta ristorazione Veuve Clicquot: Ponsardine al Clicq-nic Designstore Cast Alimenti: a scuola di cucina La foto di Cioffi Focus wine Villa Dianella, il Chianti moderno di Luisa Contri La passione di Luca. E Velier vola di Luisa Contri Fare il vino a zero emissioni di Annalisa Tirrito Puglia alla riscossa. Qualità da vendere Focus food Dalle torri Pellegrino messaggi per gli chef di Fiorenza Auriemma Alma Docet, formazione fondamentale di Fiorenza Auriemma Protagonisti food Lo chef della Magnolia, eleganza e sobrietà di Gianni Mercatali Format food Andrea Aprea, Hyatt sceglie bene di Anna Pesenti Caffè Quadri, la mano di Alajmo di Luisa Contri La Credenza, fusion... ma non “confusion” di Luisa Contri Quando si mangia quel che “passa il convento” di Isa Grassano Piazza Repubblica, W l’understatement di Fiorenza Auriemma De light, il gusto diventa sostenibile di Luisa Contri Tipico Assapora il territorio, senza esserne schiavo di Davide Bernieri Dal mondo Impronta italiana, da Torino ad Antigua di Claudio Zeni Il Mezdi di St. Moritz, originalità a 1850 metri di Gualtiero Spotti Equipment Pane di qualità, ritorno al futuro di Davide Deponti Secondo Artù Ba Asian Mood a Milano e i sapori di Mauro Elli Artù n°50
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Gli chef protagonisti dei nuovi scenari futuri Gusto in Scena a gonfie vele: gli chef soddisfatti
2012 ai migliori cioccolati italiani. In poche parole grande soddisfazione, soprattutto da parte di chi ha saputo ideare e curare la manifestazione, Marcello Coronini, che ha anche ospitato per l'occasione 120 studenti di diversi istituti alberghieri. Gusto in Scena ha dimostrato ancora una volta le geniali capacità culinarie di chef dell'alta ristorazione in grado di trovare soluzioni deliziose nella preparazione di pietanze, in questo caso, senza sale. Foto: credits Giulio Ziletti.
Veuve Clicquot premia Elena Arzak È tempo di bilanci per la quarta edizione di Gusto in Scena, l'evento-progetto che dal 15 al 17 aprile ha animato il capoluogo veneto. I numeri parlano da sè: oltre 3200 visitatori in tre giorni, 50 aziende vinicole e 25 produttori gastronomici partecipanti,100 giornalisti di tv, radio e carta stampata, oltre a 70 testate online e blogger e ben 20 chef schierati alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista: Fabio Pisani e Alessandro Negrini, Fabio Baldassarre, Paolo Barrale, Riccardo De Pra, Daniel Facen, Alfio Ghezzi, Herbert Hintner, Ernst Knam, Luca Marchini, Mara Martin, Nicola Portinari, Gian Paolo Raschi, Andrea Ribaldone, Ana Ros, Massimo Spigaroli, Paolo Teverini, Gaetano Trovato, Ilario Vinciguerra, Mauro Uliassi, tutti a interpretare il tema salutista della manifestazione 'Cucinare con… Cucinare senza... Sale' incontrando anche il parere favorevole del Ministero della Salute che ha deciso di patrocinare l'evento. In parallelo grande successo anche a 'Chef in Concerto – Il congresso di alta cuicna', 'Magnifici Vini di Mare e Montagna, Pianura e Collina' e 'Seduzioni di Gola'. E con Fuori di Gusto Venezia si è accesa di un variopinto tributo alla gastronomia italiana: 22 i ristoranti coinvolti con 65 cene, 30 aziende vinicole presenti, 16 produttori gastronomici, oltre ai partners Parmigiano-Reggiano, Surgiva, Koppert Cress e Limoncello di Capri. Dulcis in fundo la premiazione con la Tavoletta d'Oro
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Elena Arzak, Capo Chef congiunto del ristorante Arzak a San Sebastian in Spagna – uno dei primi 10 migliori ristoranti al mondo – è stata nominata Veuve Clicquot World’s Best Female Chef, nell’ambito del World’s 50 Best Restaurant Awards, sponsorizzato da S. Pellegrino e Acqua Panna. Il premio, ispirato alla vita e ai successi di Madame Clicquot, nonchè alle qualità di innovazione, creatività e determinazione, rappresenta un grande successo per Elena Arzak, capace di rispecchiare pienamente le caratteristiche di grande innovazione, senza mai tradire la propria storia: “La vedova Clicquot era una donna che, due secoli fa, riuscì a rivoluzionare lo Champagne, con la sua straordinaria forza, la sua sete di novità e la sua ricerca della qualità assoluta. Elena Arzak – commenta Stephane Gerschel, Responsabile delle Comunicazioni Internazionali di Veuve Clicquot – rappresenta esattamente gli stessi valori nella gastronomia di oggi e sono
fiero che il nostro nome e la nostra ricca storia siano associati a una simile meravigliosa personalità”. Lo scorso anno il padre, Juan Mari Arzak, è stato inoltre onorato con il prestigioso Premio alla Carriera, proprio in occasione della cerimonia di premiazione dei 50 Migliori Ristoranti del Mondo e Arzak è anche il primo ristorante basco ad aver ricevuto tre stelle Michelin. Elena, quarta generazione della famiglia Arzak, ha appreso la sua arte in casa, espandendo poi i suoi orizzonti nei molti viaggi che ha compiuto. Il Veuve Clicquot World’s Best Female Chef vuole così celebrare il lavoro di una chef eccezionale: “Mi sento onorata ed è una grande sorpresa – dice Elena Arzak –. Sono felice per Arzak, il ristorante, per mio padre e la mia famiglia… quattro generazioni! Ricordo quando mia nonna cucinava e quanto era d’ispirazione per noi. Grazie a questa onorificenza, la penso ancora di più”. Nella foto: Elena Arzak, recipient of Veuve Clicquot World's Best Female Chef 2012, al Veuve Clicquot's Hotel du Marc a Reims.
Prêt-a-Buffet al Principe Al Ristorante Acanto dell'Hotel Principe di Savoia a Milano l'Executive chef Fabrizio Cadei arricchisce il classico menu à la carte accompagnandolo ad altre due proposte originali. Il Prêt-a-Buffet, semplice e veloce, garantisce un pranzo ricco di gusto senza le consuete attese della cucina grazie a un ricco buffet. Prezzo 29 euro a persona, acqua minerale e caffè inclusi. Il Lunch Delights unisce la caratteristica del business lunch, completo ma rapido, con la possibilità di scegliere tra tre antipasti, tre portate e tre dessert. Menu a due portate 42 euro, menu a tre portate a 49 euro, acqua minerale, un calice di vino selezionato dall'esperto sommelier del ristorante e caffè inclusi. Inoltre gli ospiti potranno scegliere tra le specialità dell'Executive Chef Fabrizio Cadei: Spalla di maialino da latte à la broche insaporito con pepe di Sichuan o Spaghettoni di Gragnano e Astice in guazzetto con
vongole veraci e zucchine in fiore. Il ristorante Acanto propone le formule Prêt-a-Buffet e Lunch Delights dal lunedì al venerdì dalle 12.30 alle 15.00.
I Castagni di Vigevano protagonisti di primavera Lo Chef stellato Enrico Gerli del ristorante I Castagni di Vigevano ha ideato un nuovo piatto dedicato alla primavera: Zuppa Pavese Primaverile di Asparagi Moderna Concezione, un piatto appartenente alla tradizione pavese, rivisitato sostituendo i protagonisti invernali, cardo e cappone, con l’asparago, e precisamente il bianco di Cilavegna, quando disponibile. Il classico brodo di gallina diventa una leggera e vellutata crema di asparagi e riso su cui è adagiato l'uovo cotto precedentemente a bassa temperatura, rinnovando così la tradizione che voleva l'uovo rotto nel piatto e cotto direttamente dal brodo caldo. Rivista anche la classica 'nevicata' di Parmigiano, che per l'occasione diventa un cremoso gelato accolto da una crocante cialda sempre al Parmigiano. Il piatto si completa con le punte di asparagi impanate con del pane casereccio grattato. Da provare!
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Rummo Lady Chef
Il nuovo chef al Principe Forte dei Marmi
circondato da ampie vetrate, e novità anche al 67 Sky Lounge, la terrazza all’ultimo piano con vista mare: qui Valentino ha previsto una zona tutta dedicata al Raw & Grill, assaggi finger food sia di pesce crudo, servito secondo la vera tradizione italiana, sia di carne, verdure, pesce alla griglia.
Franciacorta in Roma
È Valentino Cassanelli, modenese, classe 1984. Inizia la sua vita nel mondo della ristorazione frequentando la scuola alberghiera di Serramazzoni (Modena), dove consegue diversi diplomi di specializzazione; a 17 anni sceglie Londra per il suo primo stage, per poi seguire il team di Carlo Cracco, Nobuyuki Matsuhisa, Andrea Berton, Giorgio Locatelli. Arriva quindi al Principe Forte dei Marmi dopo un anno al Ristorante Sangal di Venezia e dopo tre anni al Ristorante Cracco. "Per me la cosa più importante – afferma Valentino Cassanelli – è la valutazione del territorio. Ciò che voglio è creare accostamenti che traducano in contemporaneità i prodotti tipici della zona come ad esempio la palamita, tipo di pescato peculiare del Tirreno, o la bottarga di Orbetello, o il prosciutto di Cinta Senese… Ricette in grado di saldare tradizione e innovazione. La carta menu che sto realizzando sarà particolarmente gradita agli estimatori di pesce, ma non solo: chianina, maialino da latte e altri carni pregiate avranno comunque un ruolo di primo piano". Con l'arrivo di Valentino Cassanelli, il ristorante dell'Hotel apre con il nome evocativo Lux Lucis che ben si adatta allo spazio al piano terra
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Maurizio Zanella, presidente del Consorzio Franciacorta, annuncia la prima edizione del premio Franciacorta in Roma, l'evento creato dal Consorzio Franciacorta e organizzato dall’agenzia Tiziana Rocca Comunicazione per celebrare e omaggiare la Capitale insieme a numerose personalità del mondo delle istituzioni, della moda, dell’imprenditoria, della stampa, del cinema e della cultura che si sono distinte per la propria carriera. L’appuntamento è stato celebrato presso l’Open Colonna - Palazzo delle Esposizioni a Roma. “Con il Premio Franciacorta in Roma – spiega Maurizio Zanella – desideriamo ringraziare chi, lungo il corso della propria vita e della propria carriera, ha reso il made in Italy un biglietto da visita prestigioso con cui presentarsi nel mondo. È indispensabile, infatti, che le nostre eccellenze vengano supportate da un importante opera di diffusione, per consolidare la cultura internazionale in materia di qualità di cui, noi italiani, siamo riconosciuta espressione”. Il premio istituzionale è stato consegnato al sindaco di Roma Gianni Alemanno; il premio Franciacorta in Roma per l’imprenditoria alla stilista
Laura Biagiotti, mentre si è aggiudicato il riconoscimento Franciacorta in Roma per il personaggio mediatico maschile dell’anno il giornalista e presidente di Medusa, Carlo Rossella. Premiati anche Cristina Chiabotto e Bruno Vespa. Il premio per l’eccellenza nel settore gastronomico è stato riconosciuto a Franco Maria Ricci (Presidente AIS associazione italiana sommelier – Lazio) e lo Special Award è andato a Marcello Lippi, commissario tecnico della nazionale italiana di calcio campione del mondo. Nella foto: Maurizio Zanella e Cristina Chiabotto.
Il ‘Riso’ dei Cerea 276 pagine a colori dedicate al riso con 120 ricette create da due grandi chef. I tristellati del 'Da Vittorio' di Brusaporto (Bg) sono i fratelli Enrico e Roberto (Chicco e Bobo) Cerea, firmatari a quattro mani del secondo volume della collana 'Mono' di Reed Gourmet. Riso, questo il titolo inequivocabile del volume, racchiude grandi classici, come il risotto alla milanese o con l'ossobuco, e proposte creative, come il risotto con astice della Normandia e spuma di capperi, o spuma di castagne e Patanegra croccante. "Siamo felici e onorati
Rummo Lady Chef Il primo concorso organizzato dal pastificio beneventano Rummo per Lady Chef ha dato i suoi frutti. Il tema, 'Una grande pasta per un grande donna', ha riscosso grande entusiamo tra le otto Lady Chef finaliste, che si sono cimentate nella creazione di un primo piatto preparato rigorosamnete con uno dei formati di pasta Rummo Lenta Lavorazione®, dedicando così l'eleborato primo a una grande donna del presente o del passato distinta per impegno civile, sociale, culturale. Si è aggiudicato il Fusillotto d'Oro Rummo la siciliana Rosaria Fiorentino, proprietaria della sala ricevimenti Moon Flower a Monforte Marina in provincia di Messina. Ecco il 'primo vincente' dedicato a Maria Montessori: fusillotti Rummo Lenta Lavorazione® con carciofi e palmita al finocchietto selvatico su purea di zucca gialla profumata al cedro. Maurizio Zanella e Cristina Chiabotto
di presentare questo volume - dichiarano Enrico e Roberto Cerea - che racchiude le nostre migliori proposte. La storia del nostro ristorante è indissolubilmente legata a questo prezioso cereale che, insieme al pesce, ci ha fatto conoscere al mondo". Svelati anche i segreti per realizzare i differenti brodi (vero segreto per un buon risotto) e le tipologie di cereale più adatte per i singoli abbinamenti. Le fotografie del volume sono state realizzate da Paolo Picciotto.
Come to Italy with me Ovvero 'Vieni in Italia con me'. È questo il nome della nuova ricetta a base di caffè nata dalla collaborazione tra Massimo Bottura e Lavazza. Non un caffè come classica conclusione di pasto, ma una vera e propria 'ouverture' presentata in anteprima all'evento londinese The World’s 50 Best Restaurant, durante la cena di gala. La ricetta è infatti una
Simone Rugiati Lavazza rivisitazione salata della tradizionale granita siciliana, così composta: caffè Lavazza ¡Tierra!, bergamotto candito, capperi, origano, granita di mandorle, sale marino, scorze di limone e polvere di caffè, il tutto servito in tazzina Puraforma Lavazza. I 500 inviati, intervenuti da tutto il mondo per partecipare all'evento organizzato da Restaurant Magazine, hanno così degustato la ricetta del tristellato Massimo Bottura, un mix di sapori italiani riletti in una forma sicuramente originale e non convenzionale, una ricetta innovativa che sarà riproposta anche al Salone del Gusto di Torino (25-29 ottobre) e durante Identità Golose New York (metà ottobre).
prossimi anni saranno di grande importanza per la crescita dell’Asti Docg. Fra gli obiettivi primari porremo la promozione sia in Italia dove il prodotto presenta un problema di immagine, sia all’estero nei paesi tradizionalmente importatori di Asti, ma anche nei mercati emergenti".
Niko Romito fa scuola
Consorzio di Tutela dell’Asti Docg: nuovo direttivo Cambio ai vertici nel Consorzio di Tutela dell'Asti Docg. Gianni Marzagalli, che nel precedente CdA ricopriva il ruolo di vicepresidente, subentra a Paolo Ricagno. Il nuovo direttivo così eletto, guidato anche dai vicepresidenti Massimo Marasso e Gianluigi Biestro, sarà in carica per il triennio 20122014 con l'obiettivo, tra gli altri compiti, di difendere l'immagine e promuovere il Docg Asti e Moscato d’Asti. Queste le parole di soddisfazione di Gianni Marzagalli, che ha sottolineato l'importanza delle sfide che attendono il Consorzio: "Sono sfide per le quali mi sento pronto e determinato, perché i Gianni Marzagalli
"Il mio desiderio è riuscire a diffondere la cultura gastronomica in Italia e nel mondo, formando quelli che saranno i veri ambasciatori dei nostri prodotti e dei nostri saperi". Con queste parole Niko Romito ha inaugurato il primo centro di alta formazione gastronomica 'Niko Romito Formazione', realizzato con il supporto scientifico dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche e con Slow Food Italia. Inaugurato a Castel di Sangro (Aq) nei pressi del pluripremiato Reale – il ristorante dello chef –, il centro ospiterà numerosi corsi alternando parte didattica e pratica con laboratori e visite al territorio, per scoprire le grandi potenzialità dei prodotti della terra e non solo. Tra le tematiche trattate anche un corso di gestione economica per far comprendere ai futuri cuochi l'importanza dell'organizzazione quotidiana e dei costi. Il centro Niko Romito Formazione ha ricevuto l’accreditamento da parte della Regione Abruzzo per la Formazione Superiore e la Formazione Continua e il sostegno di alcune importanti aziende nel settore della gastronomia quali l’Antico Pastificio Garofalo, Angelo Po e Pentole Agnelli.
Ricette di Bordo, l’incontro tra Mochi Craft e Simone Rugiati Nautica e gastronomia fanno rima tra loro se ha mettere la firma a questa originale 'pagina del gusto' sono Mochi Craft, brand del Gruppo Ferretti, e lo chef Simone Rugiati. La grande cucina salpa e sale a bordo del Dolphin '74 Cruiser per dare vita a un viaggio gastronomico ispirato allo stile del famoso brand nautico made in Italy e ai colori intensi del mediterraneo. Ne nascono le Ricette di Bordo firmate da Simone Rugiati, sette piatti che rivivono i colori del mare, le sfumature cromatiche e profumi d'estate: tartare di scampi con schiuma di peperone rosso candito e zenzero; tonno e avocado in macedonia allo yogurt e cetriolo alla 'brezza' di menta; pasticcio di salmone cotto al cartoccio al lime con zucchine in crema al basilico; 'fuori rotta', ovvero scottata di gamberi liguri al rosmarino con finta salsa rosa. E si prosegue con 'Beccheggio', risotto alla spuma di mare, per finire con 'Ancora…ggio', Pina Colada al cucchiaio, una crema impalpabile che nasce dall’incontro del cocco con l’ananas. Queste le parole dello chef: "L’ imbarcazione Mochi Craft ha ispirato le mie ricette di bordo: la trovo un barca adatta a una clientela esigente che non rinuncia al comfort e all’eleganza stilistica, ma senza esibizione ed eccesso (...). Allo stesso modo i miei piatti sono sobri e nella semplicità esprimono immediata raffinatezza. Reputo questo stile molto affine alla mia arte culinaria: nel menù ho ripercorso tutti gli elementi che contraddistinguono le imbarcazioni Mochi Craft, a partire dal colore degli scafi, che lo rendono
unico al mondo e che ho riproposto nei miei antipasti di bordo".
Eat’s, cena in enoteca Focus sul vino ogni lunedì sera con Cena in Enoteca. È la nuova iniziativa dell’Eat’s store dell’Excelsior Milano, per vivere in modo inedito il rapporto tra cibo e vino. Da accompagnamento dei cibi, infatti, durante le cene del lunedì sera nello spazio enoteca del food store & restaurant meneghino, i vini diventano protagonisti. A poter sperimentare la nuova proposta sarà, su prenotazione, un gruppo di 4-6 persone ogni settimana. La cena, per costoro, sarà allestita non nell’area del bistrot, bensì al centro dello spazio enoteca, circondati dalle oltre mille etichette di vini italiani e stranieri internazionali e dal centinaio di birre artigianali selezionate da Eat’s. I commensali saranno assistiti da Michele Garbuio, direttore di sala dell’Eat’s Bistrò e sommelier professionista (vincitore del concorso AIS Miglior Sommelier d’Italia 2006), nella scelta dei vini da degustare. E solo in seguito affronteranno la questione cibo, che verrà scelto secondo una delle tre formule previste da quest’insolita cena. Ogni cliente, infatti, potrà decidere se andare a comporre il suo menù, scegliendo autonomamente gli ingredienti fra i banchi del food market al piano inferiore oppure se farsi aiutare da un personal shopper Eat’s, esperto conoscitore dell’intera gamma di prodotti presenti sugli scaffali dello store. I più pigri potranno rimanere comodamente seduti al tavolo e farsi servire uno dei piatti freddi, studiati da Eat’s, da abbinarsi ai vini scelti. Luisa Contri
Eat’s
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Innovazione necessaria per affrontare i mercati Eblex: al via la nuova etichettatura facoltativa “L’etichetta facoltativa delle carni maturate vuole rappresentare un aiuto concreto per incrementare ulteriormente la fiducia dei consumatori italiani nella qualità delle carni bovine inglesi e vuole porre particolare attenzione sulla tenerezza di questi prodotti, caratteristica che dipende dai peculiari sistemi di frollatura inglesi”. Le parole di Jeff Martin, responsabile Eblex Italia, illustrano in modo chiaro un nuovo sistema di rintracciabilità facoltativo che cosente di riportare in etichetta un'informazione aggiuntiva riferita al perido di frollatura applicabile alle carni bovine Quality Standard. Nello specifico dal mese di aprile 2012 Eblex, l’ente inglese non governativo per il sostegno e lo sviluppo dell’industria delle carni, attraverso il suo organo di controllo Meat Importers’ Consortium, è in grado di offrire un sistema di rintracciabilità e di etichettatura facoltativo inerente al periodo di frollatura che, per tutte queste carni bovine, è attestato in un minimo di 7 giorni in osso. L’etichetta con le informazioni obbligatorie – codice di rintracciabilità, paese di nascita, di allevamento, di macellazione e di sezionamento – consente già di garantire al consumatore informazioni trasparenti: un aspetto, questo, che ha portato un’influenza positiva sul consumo delle carni bovine e in particolare su quelle inglesi. Il nuovo disciplinare di etichettatura riconosciuto alla società inglese, permetterà al consumatore italiano di conoscere le modalità di maturazione della carne appena acquistata grazie all’etichetta 'Meat Importers’ Consortium – Carne Maturata' che riporterà il pe-
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riodo di frollatura delle carni poste in vendita nei banchi di carne fresca dei supermercati e delle macellerie.
Enomatic, 10 anni di modernità
delli di Wine System, 6000 locali nel mondo che hanno adottato il sistema, 35 milioni di bicchieri di vino serviti all’anno con Enomatic, 50 concessionari in 70 paesi. Grazie ai Wine System Enomatic si eliminano sprechi e si offre al consumatore la possibilità di assaggiare vini diversi, anche molto preziosi, con la garanzia della massima qualità a un prezzo proporzionato. Vini, ma non solo: in futuro il nuovo sistema Flûte tradurrà il sistema Enomatic nel mondo della bollicine e una speciale applicazione si integrerà con i sistemi Enomatic per fornire ai clienti tutte le informazioni utili a conoscere il mondo del vino i interagire con esso.
tondo. Nasce sulle colline di Conegliano, ma è ideale per accompagnare crostacei e pesci marinati, o un aperitivo e antipasti salati.
ORA Wine, ‘sensational’ idea
Dall’intuizione del fondatore, a marchio leader di mercato: questa è la case history tutta italiana che nasce nel 2002 dall'idea di Lorenzo Bencistà Falorni a Greve in Chianti, ovvero far assaggiare il maggior numero possibile di grandi vini al bicchiere, al maggior numero di persone possibili. E proprio10 anni fa nasceva un sistema altamente tecnologico che consentiva di spillare vino direttamente della bottiglia al bicchiere, mantenendone intatte le caratteristiche organolettiche fino a un mese dall’apertura, in una sola parola Enomatic. Non solo un marchio dunque, ma un nome e un prodotto conosciuto a livello internazionale sinonimo di qualità, tecnologia, design italiano, e modernità. I numeri parlano da soli: 7 milioni di euro di fatturato, 5 brevetti internazionali, 14 mo-
Un packaging assolutamente innovativo e dinamico, non convenzionale. Un concept rivolto a un target ben preciso, un pubblico giovane, ma anche attento alle novità e alla qualità. ORA Wine nasce da qui, dall'incontro tra esigenze di mercato e voglia di creare qualcosa di nuovo, ma con stile. Più precisamente nasce dall'incontro tra Uvemaior e Sansation Idea, con l'obiettivo di creare un nuovo brand nel mondo del vino che rispecchiasse l'incontro tra la storia di un'azienda agricola, Uvemaior, e la creatività della comunicazione di oggi, Sansation Idea. La forza del brand che ne scaturisce si fonda sulle due figura distinte che si prendono carico, rispettivamente, degli aspetti produttivi del prodotto e degli aspetti commerciali e di marketing. Si lavora con presse soffici con rese del 70%, spumantizazioni frequenti, di piccole quantità di bottiglie per evitare lunghe giacenze del prodotto in magazzino. Quello che viene proposto sul mercato è un prosecco Docg extra dry, colore giallo paglierino chiaro con riflessi verdognoli, dal perlage fine e persistente, profumo intenso, piacevolmente fruttato e floreale con note di mela matura e delicati sentori di rosa e fiori d'acacia. Sapore morbido e ro-
Ventura e Alma Da oltre 50 anni Ventura è sinonimo di qualità nella lavorazione di frutta secca. L'azienda di Chieve, in provincia di Cremona, da anni è presente sul mercato con prodotti ben noti per le proprietà nutritive e come alimenti dalle particolari caratteristiche energetiche e indicati per esseri integrati in diverse preparazioni culinarie. Ed è da qui che nasce nel 2010 l'importante collaborazione tra Ventura e Alma, il centro di formazione della Cucina Italiana per eccellenza diretto da Gualtiero Marchesi, un progetto che vede la frutta secca protagonista dell'alta cucina grazie all'iniziativa 'Le ricette dei Grandi Chef'' pubblicate sulle confezioni dei frutti sgusciati in vaschetta bi-porzione: pinoli, mandorle pelate, nocciole tostate, pistacchi, noci e anacardi, granella di nocciole e di mandorle e mandorle a lamelle.
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Cinzia Merli
Le nuove Divine Creazioni Ovvero le paste ripiene firmate Surgital. Tre quest’anno, due delle quali vantano anche un nuovo formato: gli Scrigni, un quadrato dal bordo stretto e dalla sfoglia sottile. I ripieni? Scrigni con burrata di Puglia; Scrigni ai funghi porcini, presenti all'80% nel ripieno, insieme a porro, patata e mirtillo che intensifica il colore del fungo e ne attutisce il tratto ferroso; Balanzoni con ricotta e prezzemolo, un classico emiliano- romagnolo. E continua anche la collaborazione con Gianfranco Vissani e la sua squadra, parte integrante del reparto Ricerca&Sviluppo Surgital per la sezione Divine Creazioni, lo studio di paste ripiene che richiedono continuamente la ricerca di nuovi abbinamenti e ripieni speciali. Nella foto: Scrigni con burrata di Puglia.
Villa Franciacorta, nuove etichette Un vino per ricordare e uno per stupire. Le novità di Villa Franciacorta rivivono la storia, la studiano e la ripropongono con uno stile unico. Ed è così per Emozione Brut millesimato 2008, un nome evocativo scelto proprio per le grandi emozioni suscitate nel corso degli anni. Era il 1978 e casa Villa produceva le prime bollicine con il nome di Pinot Franciacorta Methode Champenoise, un Brut premiato nel 1980 con il Duja d'Or di Asti e ancora oggi considerato il biglietto da visita della Maison. Tanto che il fondatore, Alesandro Bianchi, decise di celebrare con la vendemmia del 2008 i trent'anni di questa bottiglia: Emozione, questo il nome scelto, è stata presentata in anteprima alla 46° edizione del Vinitaly e sarà in commercio da giugno. Solo 1500 esemplari in formato magnum, invece, per la bottiglia
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Bianchi Roncalli, nata per celebrare l'anniversario dei cuniugi fondatori di casa Villa, Alessandro Bianchi e Ivonne Roncalli. L'unione dei cognomi ha regalato il nome all'etichetta, prestigiosa riserva ottenuta allora, era il 1997, da uve Cabernet Sauvignon in purezza. Dopo 10 anni, durante la vendemmia del 2007, la barbera si fa notare per le sue caratteristiche peculiari, tanto che Alessandro decide di produrre la riserva con uve barbera in purezza: nessun intervento in cantina, affinamento in barrique nuove in legno di rovere di Allier per 18 mesi, imbottigliamento dopo un'accurata selezione delle basi migliori. Il risultato è notevole: un Barbera di Franciacorta.
Le Macchiole: 100% sperimentazione Presenti in 33 paesi nel mondo con un export che rappresenta il 70 % delle vendite. È questa la dimensione internazionale de Le Macchiole, azienda vinicola di Bolgheri, a 100 km da Firenze, nata nel 1983 dal desiderio e dalla passione di Eugenio Campolmi e dalla moglie Cinzia Merli. Un progetto senza dubbio di grande respiro e di grande coraggio: concentrarsi sul vigneto, investire tutto sulla sperimentazione, anche di varietà poco usate nel territorio. Nel 1991, con l'entrata in azienda di Luca D’Attoma, enologo, si sperimentano nuove varietà per la zona, come il Syrah, e si vinifica in purezza il Cabernet Franc, progetto protagonista di una vera e propria rivoluzione che si concretizzerà con la nascita del vino Paleo. Con l’impegno e la determinazione, Eugenio conquista la stima dei grandi nomi del territorio ma, nel momento in cui inizia a raccogliere i frutti di tanto lavoro, scompare tragicamente.
È Cinzia a prendere le redini dell’azienda, e i risultati non si fanno attendere. Nel 2008 il Messorio, Merlot in purezza, ottiene i 100 punti Wine Spectator: è la conferma del lavoro fatto, ma anche un nuovo stimolo a lavorare sempre meglio. Oggi i vini Le Macchiole sono 5: Paleo Rosso, Messorio, Scrio, Bolgheri Rosso e Paleo Bianco, e il sogno di Cinzia si amplia: il nuovo impegno è l’introduzione su una superficie sperimentale di 5 ettari a viticoltura biodinamica. Nella foto: Cinzia Merli.
La Semaine en Rosé L'incantevole scenario dei giardini all'italiana dell'Hotel Bulgari a Milano sono la cornice della Lounge Dom Pérignon, il luogo prescelto dove poter degustare la collezione di Champagne Dom Pérignon Blanc e Rosé fino alla fine di settembre. Un'inaugurazione, quella della Lounge all'Hotel Bulgari, che ha sancito il via alla famosa 'La Semaine en Rosé' (dal 7 al 13 maggio) evento voluto dalla Maison per celebrare il prezioso vino, a cui hanno fatto da eco una selezione di luoghi esclusivi in tutta Italia: sempre a Milano il ristorante Cracco e Trussardi, a Mantova il ristorante Dal Pescatore, a Roma, tra gli altri, La Pergola e Oliver Glowig, solo per citarne alcuni. Una settimana tutta dedicata alle note fruttate, floreali e speziate della cuvée Dom Pérignon Rosé Vintage 2000, sette giorni volti a scoprire le varie sfaccettature di un vino che richiede tempo per rivelarsi pienamente e per rivelare i suoi segreti. E per ricordare l'esperienza 'en Rosé' a tutti gli ospiti un piccolo omaggio: una card realizzata con la tecnica dell'acquerello raffigurante una rosa, simbolo della settimana del Rosé.
Ancora una medaglia per Mionetto Medaglia d’oro per il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Extra Dry della linea MO di Mionetto. Il premio, consegnato durante la 42° Mostra del Cartizze e Valdobbiadene Docg di San Pietro di Barbozza (Tv), rientra tra le attività della manifestazione della 'Primavera del Prosecco Superiore' che si svolge ogni anno nel territorio di Conegliano e Valdobbiadene da Febbraio a Giugno. Il riconsocimento è stato accolto con queste parole da Alessio Del Savio, enologo e direttore tecnico di Mionetto: “Per la nostra cantina questa medaglia d’oro è un’ulteriore conferma della nostra capacità di affiancare a dei numeri importanti una costante attenzione per la qualità dei nostri vini, risultato di avanguardia tecnologica coniugata al rispetto per la sapienza della tradizione. Quest’annata nello specifico (vendemmia 2011) è stata particolarmente favorevole per i vigneti della zona più vocata della denominazione. Una perfetta maturazione delle uve, unita alla loro sanità, ha così permesso a Mionetto di realizzare un Valdobbiadene Docg Extra Dry Mo unico, caratterizzato da una particolare espressione aromatica che esalta al massimo le peculiarità del vitigno Glera: il colore giallo paglierino con sfumati riflessi verdognoli e l’aroma tipico e inconfondibile della mela acerba con sentori di frutta esotica che sfumano nel floreale intenso. Un sapore morbido, vellutato e fresco, esaltato da un’esplosione di fini bollicine”.
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Dieci anni di Brunello La forza di Belpoggio di Gianni Mercatali Durante l’ultima edizione di Benvenuto Brunello si è svolta una grande degustazione di dieci annate di Belpoggio, il Brunello di Montalcino della famiglia Martellozzo, che vanta un secolo di tradizione enologica con le bollicine del proprio Bellussi Superiore di Valdobbiadene. Come da tradizione, anche l’ultima edizione di Benvenuto Brunello, è stata una sorta di celebrazione per il grande rosso toscano. È stata presentata l’annata 2007 per il Brunello, il 2006 per la Riserva e il 2010 per il Rosso. Mentre alla vendemmia 2011 sono state assegnate quattro stelle. Ora bisognerà aspettare i 5 anni previsti dal disciplinare per assaggiare il Brunello 2011. Molti produttori a manifestazione conclusa hanno ospitato giornalisti ed esperti nelle proprie aziende. Il nostro giornale era presente a Belpoggio dove il campione del mondo dei sommelier Luca Gardini ha presentato una verticale su 10 anni di Brunello dell’azienda di proprietà di Enrico Martellozzo e della moglie Renata. Discendente da una famiglia che vanta oltre un secolo di tradizione enologica con le bollicine del proprio Bellussi Superiore di Valdobbiadene, Enrico Martellozzo nel 2005 è arrivato alla grande forza del Brunello di Montalcino acquistando una tenuta che ha chiamato Belpoggio. Ancora una volta un territorio di primo rango, non semplici vigneti. L’azienda è di 10 ettari, di cui 5 vitati con Sangiovese grosso al 100%. Gli altri sono costituiti da un antico oliveto. La tenuta è situata a soli 500 metri dall’Abbazia di Sant’Antimo con uno straordinario panorama
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sulla Val d’Orcia. È stata completamente ristrutturata e rinnovata con rigore filologico nelle parti architettoniche della residenza e delle cantine, ma anche con le più moderne tecnologie di vinificazione con particolare attenzione all’area dell’invecchiamento. Qui il vino matura quattro anni in botte da 30 ettolitri prima di andare in affinamento. Non solo, pannelli fotovoltaici permettono una totale autonomia energetica dell’azienda, senza alcuna fonte di inquinamento. La conduzione della vigna è estremizzata perché Martellozzo, con il suo enologo di fiducia Francesco Adami, sono convinti che è lì, prima di tutto, che nasce un grande vino. L’ultima vendemmia ha un approccio olfattivo elegante e rotondo, di eccezionale equilibrio, con un tannino finissimo, di notevole persistenza. Anche per questo Belpoggio, di cui sono state prodotte 8.000 bottiglie, si conferma un vino di territorio, un Brunello chiaramente marcato dalla tipicità. Ma perché è stata scelta questa zona? “L'area di Montalcino è molto estesa e la morfologia del territorio, unita alle variabili climatiche, all'esposizione e all'altitudine, fa sì che vi siano notevoli diversità tra una superficie e l'altra – ha detto Enrico Martellozzo –. La scelta di Castelnuovo dell'Abate è stata la conseguenza di un’accurata ricerca del territorio che abbiamo fatto insieme al mio enologo Francesco Adami. Abbiamo capito che era il più adatto a dare i vini secondo la nostra concezione. Mi auguro e spero che anche a Montalcino, come già è nelle più importanti aree viticole del mondo, si cominci a parlare di una zonazione che valorizzi ulteriormente le diversità esistenti, non per privilegiarne alcune o sminuirne altre, ma per farle apprezzare in modo più specifico.”
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La magia di Krug alla corte di Tonino
di Alberto P. Schieppati Qui sopra, da sinistra, Margareth Henriquez, presidente di Krug, lo chef Tonino Cannavacciuolo, la brand director Krug Italia Francesca Terragni e il direttore della Maison Olivier Krug.
Le preziose bollicine di Maison Krug hanno incontrato, durante un evento esclusivo, la grande cucina di Antonino Cannavacciuolo, lo chef bistellato di Villa Crespi, sul lago d’Orta. La degustazione è stata guidata da Olivier Krug, direttore della Maison, alla presenza di pochi, privilegiati ospiti. Tra gli champagne presentati, anche il mitico Clos d’Ambonnay 1998, il più raro champagne al mondo. Le bollicine più celebrate al mondo, sinonimo di raffinatezza, stile ed eleganza, hanno trovato nella grande cucina di Tonino Cannavacciuolo, sul lago d’Orta, l’abbinamento ideale, all’insegna di un pranzo esclusivo che ha avuto per protagonisti assoluti i nuovi millesimati di Maison Krug. Un viaggio attraverso preziose bollicine, accostate alle preparazioni dello chef bistellato Michelin, ha consentito di entrare nel “mondo Krug” e di riceverne splendide conferme, ma anche eccitanti sorprese. Così, se il Krug Clos Du Mesnil 2000 ha rivelato il suo carattere
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unico, la sua finezza e la sontuosa eleganza, perfettamente abbinata ad un eccellente piatto a base di uova, gamberi rossi e caviale, identiche emozioni ci hanno dato le altre bollicine degustate. A cominciare dal primo piatto proposto dallo chef di Villa Crespi, memorabili ravioli con cozze, aglio dolce e conserva di pomodori di San Marzano, è stato un crescendo di suggestioni che hanno, una volta di più, confermato la modernità dello stile Krug. In questo caso, l’abbinamento con Krug 2000, ha saputo esaltare le consistenze della pasta ripiena, abbinandosi perfettamente anche alla dolcezza dell’aglio e alla moderata acidità dei pelati: Tonino Cannavacciuolo si è rivelato anche in questa occasione all’altezza dell’impegno assunto con Maison Krug, ovvero di “far parlare” il gusto dei suoi ingredienti affiancandoli ad eccellenze consolidate e sempre in grado di stupire: la ricchezza del Krug 2000, preciso, acuminato, complesso ha rappresentato un grande momento nel corso dell’evento, anche perché – grazie allo stile della conduzione della degustazione da parte di Olivier Krug – si sono ben comprese tutte le “anime” di questo prezioso vintage, “uno dei più intensi e romantici mai vendemmiati”. Per questo, come ha sottolineato durante il pranzo Francesca Terragni, brand director Krug in Italia, “la lunga persistenza di questo 2000, abbinata agli aromi espressivi di caramello, yogurt, lime, si è rivelata perfetta nel connubio con l’eleganza del piatto dello chef”. È stata poi la volta di Krug 1998, abbinato al maialino arrosto (o meglio,“porchetta”, come ha definito il piatto lo chef) con scampi grigliati e salsa all’anice stellato: un millesimo di grande personalità, un omaggio allo chardonnay, con un grande potenziale di invecchiamento. Le sue note di pane, nocciole, frutta secca, arancia e caramello, con un finale leggero di zenzero, hanno impressionato gli ospiti. Con il dessert, poi, è stato servito Krug Grand Cuvèe, “l’essenza della Maison, l’archetipo della filosofia Krug”. Uno champagne
straordinario, un blend di oltre 120 vini provenienti da oltre dieci differenti vintage, alcuni dei quali raggiungono quindici anni di vita. La sua grande pienezza aromatica, la sua incredibile generosità, la sua assoluta eleganza si sono ben abbinati ai mitici baba e alle sfogliatelle di Tonino che, da partenopeo di razza, ha voluto proporre i dolci tipici della sua terra, eseguiti al massimo delle possibilità. Olivier Krug ha voluto, in fine di giornata, stupire i giornalisti stappando alcune pregiate bottiglie di Krug Clos d’Ambonnay 1998, espressione del carattere unico del Pinot Noir. Prodotto in poche centinaia di esemplari, destinato a pochi e affluenti conoscitori, si è rivelato la degna conclusione di un evento di alto profilo, splendida espressione dello stile unico di Maison Krug.
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Royale e Dudson, vincenti nell’alta ristorazione Articoli professionali di alta qualità. Questa la mission di Royale, importante azienda italiana con sede a Lomazzo (Co), leader nel settore delle porcellane da forno e buffet per la ristorazione professionale. Resistenza dei prodotti, pregiate materie prime utilizzate, processi produttivi affidati a tecnici con trentennale esperienza nel settore delle porcellane, hanno di fatto distinto Royale sul mercato nazionale e internazionale. Un successo che ha permesso all'azienda di espandersi, grazie anche a lungimiranti strategie di mercato, come il sodalizio nato nel 2010 con Dudson, azienda inglese attiva nel settore Horeca e da più di 40 anni presente sul mercato italiano. L'importante accordo che ha sancito Royale distributore esclusivo del marchio inglese, ha permesso a Dudson di beneficiare della consolidata rete vendita e distributiva Royale e di affermarsi in ogni regione e in quasi tutte le province d’Italia. Tutto questo grazie al supporto dei 5.000 mq della fabbrica di Lomazzo capace di conservare adeguati stock
sulle più importanti linee Dudson e garantire così evasione di ordini in 48 ore, con la possibilità di aggiungere alla spedizione complementi Royale e ottimizzare costi e consegne. La chiave del successo? La risposta è racchiusa in tre parole: qualità, servizio ed efficienza. Dudson assicura una garanzia a vita, certificata in inglese su carta originale e presentabile a qualsiasi acquirente, sia sulla linea “Finest Vitrified”, sia su alcune linee in “Fine Porcelain”, garantendo ai professionisti della ristorazione un investimento certo e sicuro. Non a caso la professionalità certificata Dudson è richiesta da una vasta tipologia di clientela: dal classico ristorante e dalla semplice trattoria, alla catena alberghiera, alla società di ristorazione collettiva e commerciale, fino ad arrivare agli “stellati” italiani e chef pluripremiati. E la rete capillare di distribuzione è supportata da un funzionario di vendita Royale-Dudson costantemente itinerante sul territorio nazionale, garantendo efficienza senza eguali. Rispetto del cliente, in primis, ma anche dell'ambiente: la nuova linea Evolution, lanciata recentemente, è stata creata con l’obiettivo di ridurre la percentuale di carbonio solitamente impiegata in un normale processo produttivo. www.royale.it tel. 02 96779645
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Veuve Clicquot: Ponsardine al Clicq-nic Designstore La design week milanese ha proposto per il Fuorisalone appuntamenti davvero imperdibili, come l'inaugurazione del Clicq-nic Designstore.
in tema con la stagione primaverile e con l'eleganza dello stile delle bollicine firmate Veuve Clicquot, vere star dell'evento. Ciliegina sulla torta la presentazione della nuova creazione della Maison: Ponsardine by Veuve Clicquot, l'originale packaging della Cuvée Brut Yellow Label che ricorda una scatola di sardine di dimensioni extra large, al cui interno alloggia la preziosa bottiglia di champagne. Un gioco di parole e un omaggio al cognome da nubile, Ponsardin appunto, di Madame Clicquot, che nel 1805 diresse, a soli 27 anni, l'azienda di Champagne del marito scomparso prematuramente, conquistando tutte le corti europee con "le vin roi", il famoso Champagne firmato Veuve Clicquot. L'appuntamento al Clicqnic ha sancito ancora una volta il successo della Maison, capace di proporre con ironia e disincanto l'eleganza delle famose bollicine in un contesto assolutamente alternativo, la settimana del design, e accogliente, lo spazio del De light di via Ponte Vetero.
Un progetto dedicato alle bollicine più famose, uno spazio rivisitato per l'occasione e realizzato dall'intraprendenza di un team tutto al femminile: Francesca Terragni, Brand Director Italia Veuve Clicquot, Roberta Antonioli, Responsabile Ufficio stampa Veuve Clicquot, Ilaria Marelli, architetto e designer, Sylvia Pichler, creatrice del marchio di borse Zilla realizzate con materiali di riciclo, e Cristina Morozzi, esponente portante del design contemporaneo. Lo spazio dell'ex Cucchiaio di Legno ospita infatti dallo scorso novembre un protagonista davvero speciale, di cui poco più avanti riportiamo un approfondimento: il ristorante "De light". Ed è proprio nello spazio di via Ponte Vetero 13 che ha preso vita il Clicq-nic Designstore, l'evento-progetto dedicato per l'occasione al tema del pic-nic, un "promenade" attraverso oggetti di design di noti marchi – tra cui Alessi, Covo, Mario In alto da sinistra: Francesca Terragni, Luca Giusti, Seletti, Skitsch, Zilla – rea- Ilaria Marelli, Sylvia Pichler, Roberta lizzati ad hoc per un pic-nic moderno, Antonioli, Cristina Morozzi
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Cast Alimenti a scuola di cucina 6 Acronimo di Centro Arte, Scienza e Tecnologia dell'Alimento, Cast Alimenti rappresenta una delle più importanti realtà italiane nata con l'obiettivo di formare figura professionali nel settore alimentare: cuochi, pasticceri, gelatieri, panifacatori, pizzaioli o barman. Una vera e propria scuola, dove gli allievi, anche stranieri, dispongono di un corpo docenti all'avanguardia, strumenti e laboratori professionali e prodotti tipici del made in Italy. Nata nel 1996 per volontà di Vittorio Santoro e Iginio Massari, Cast Alimenti ospita nella sua sede a Brescia anche numerosi eventi e seminari organizzati dalle più importanti associazioni di settore, come il Relais Dessert International, il Richemont Club Italia, l'Accademia Maestri Pasticceri Italiani, l'Unione Maestri Gelatieri Artigiani e la Federazione Italiana Cuochi (F.I.C.) insieme alla Nazionale Italiana Cuochi (N.I.C.). Le proposte per il 2012 mirano ancora una volta a sottolineare l'importante attività di Cast Alimenti: durante l’anno i Cast Open Days daranno la possibilità alle scolaresche di visitare la sede e vedere all'opera i docenti, un'iniziativa nata nell'ottica di colaborare sempre con le scuole superiori a indirizzo ristorativo. Dulcis in fundo – è il caso di dirlo – il Master di Pasticceria 2012, un corso di 13 lezioni dedicato a figure professionali che praticano già l'attività di pasticcere, nato con lo scopo di studiare
La ricetta Guancina di vitello cotta a bassa temperatura con crema di polenta di grano Marano prezzemolata Ingredienti per 4 porzioni Per le guancine: 800 gr. guancine di vitello; 40 gr. burro chiarificato; 2 gr. aglio; 6 gr. rosmarino; 300 gr. fondo di vitello; 5 cl vino bianco; 80 gr. carote; 200 gr. zucchine; 60 gr. sedano verde; 20 gr. cipolla; sale e pepe Per la polenta di grano Marano prezzemolata: 250 gr. farina gialla di grano Marano; 1 l acqua minerale naturale; 50 gr. burro; 6 gr. sale fino; 20 gr. prezzemolo
a fondo gli impasti e le preparazioni, e capire la chimica di tutti gli ingredienti e delle loro modalità di interazione. Pasticceria, ma non solo. Anche alta cucina. Qui di seguito riportiamo, passo a passo, una delle ricette preparate dallo chef e docente di Cast Alimenti Beppe Maffioli. www.castalimenti.it
3 3. Disporre le guancine in un piatto e condire con sale e pepe.
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giungere il fondo di vitello, deglassando la seconda volta, e lasciare bollire per qualche minuto. Togliere dal fuoco la padella, filtrare il sugo ottenuto allo chinoix e conservarlo in una casseruolina di alluminio di cinque millimetri. Lavare e tagliare a cubetti di circa due millimetri per lato le carote, il sedano, le cipolle e la parte verde delle zucchine. Aprire i sacchetti sopra a una teglia forata, recuperare il liquido di cottura, filtrarlo e ritirarlo nella casseruola d'alluminio con il sugo già ridotto, aggiungere le verdure tagliate, rimettere sul fuoco e lasciare ridurre ottenendo una salsa lucida. 7. Per la polenta: versare in un paiolo di rame un litro di acqua con il sale grosso e una noce di burro, portare a ebollizione e versare a pioggia la farina gialla, continuare a mescolare con una frusta per evitare la formazione di grumi, abbassare la fiamma e continuare la
4. In una padella d'alluminio antiaderente dello spessore di cinque millimetri, rosolare le guancine con burro, poco aglio e rosmarino. Quando le guancine risulteranno ben dorate, scolarle sopra a un foglio di carta assorbente. 7 cottura per circa un'ora mescolando di tanto in tanto con un mestolo di legno. Infine aromatizzare con poco prezzemolo tritato al momento. 5 5. Ritirare le guancine e inserirle nei sacchetti sottovuoto, aggiungere un rametto di rosmarino, aglio in camicia e gr. 30 di fondo bruno di vitello.
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2 1. Ingredienti
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2. Pulire le guancine, eliminando con un coltello il grasso in superficie.
6. Chiudere i sacchetti condizionandoli al 99 % ed immergerli in una pentola d'acqua con un roner alla temperatura di 68° C per 24 ore. Le guancine dovranno risultare morbide e succulente. Deglassare la padella con il vino bianco, lasciare evaporare completamente, ag-
8 8. Presentazione: in quattro piatti fondi fare una base di polenta di grano Marano molto morbida, adagiare le guancine con la salsa ottenuta precedentemente. Decorare con un velo di polenta croccante.
la foto di Cioffi
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Villa Dianella
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Villa Dianella
Villa Piaggia
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Il Chianti moderno
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di Luisa Contri C’è Veronica Billeri dietro il rilancio di Villa Dianella Fucini, azienda agricola di Vinci (Fi) a vocazione vitivinicola da oltre 200 anni, acquisita dalla sua famiglia nella prima metà del ’900. Ricoprendo, in chiave moderna, il ruolo svolto fino a pochi anni fa da sua madre: portare avanti con garbo e fermezza la valorizzazione sia dell’offerta vinicola e olivicola della tenuta, sia della vocazione ricettiva della villa medicea, fulcro del piccolo borgo cinquecentesco di Dianella. Una produzione vinicola, quella realizzata nella cantina di Villa Dianella Fucini, incentrata sul Chianti e che, già in passato, ha conosciuto momenti di gloria. Negli anni Cinquanta e Sessanta le più rinomate trattorie italiane proponevano, nel classico fiasco impagliato, il Chianti di questa azienda
agricola che rientra nel Montalbano, una delle sottozone del Chianti DOCG. Si deve però a Giovanni Gronchi, terzo presidente della Repubblica italiana, se il Chianti di Fattoria Dianella Fucini, già negli anni del boom economico, è assurto agli onori delle cronache: durante il suo mandato, fra il 1955 e il 1962, Gronchi lo faceva servire durante i pranzi ufficiali al Quirinale. Tutt’oggi il sangiovese è il vitigno prevalente all’interno dei 20 ettari di vigneto della tenuta vinciana. Gli si affiancano canaiolo, colorino, malvasia del Chianti, merlot, cabernet sauvignon e trebbiano. Non per niente i vini più rappresentativi della produzione Fattoria Dianella Fucini sono Il Matto delle Giuncaie, un IGT Toscana Rosso da uve sangiovese 100%, che fanno un passaggio di un anno in barrique di rovere francese; e il Chianti Riserva DOCG Fattoria Dianella Fucini, da uve sangiovese 95% e colorino 5%, che pure maturano
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Veronica e Piero Antonio Billeri con l’enologo Francesco Bartoletti e le piccole Maria Vittoria e Ottavia.
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un anno in legno (in questo caso in una botte grande di rovere francese) prima di tornare un altro anno in acciaio. Va specificato che, in onore del fatto che nella tenuta ha vissuto a lungo lo scrittore Renato Fucini, buona parte dei vini prodotti portano il nome di sue opere: Il matto delle giuncaie è, per esempio, il titolo di un racconto della raccolta Le veglie di Neri. Al sangiovese in purezza e al Chianti si affianca un altro rosso: Le Veglie di Neri, un IGT rosso da uve sangiovese 85% e cabernet sauvignon 15% di pronta beva. Un vino bianco: Sereno e Nuvole, un IGT Toscana Bianco da uve trebbiano 60% e malvasia del Chianti 40%, pure da bere giovane. E il vin santo Dolci Ricordi, da uve trebbiano 85% e malvasia del Chianti 15%, che riposa quattro anni in caratelli. Tutti vini che hanno ottenuto positive recensioni sulle guide di Veronelli, de L’Espresso, del Gambero Rosso ecc. E il sangiovese è ancora
una volta alla base dell’ultimo nato di Fattoria Dianella Fucini: All’aria Aperta, un rosé da aperitivo, ma anche da tutto pasto, la cui commercializzazione partirà a breve. Per il design della sua etichetta i conti Passerin d’Entrèves hanno indetto un concorso fra i diplomati del Polimoda, l’international institute of fashion design & marketing di Firenze, conclusosi il 20 marzo scorso con la vittoria della giovane designer Elena Bertocchi. E Veronica Billeri già guarda avanti. Orgogliosa del suo ruolo di Iap, ossia d’imprenditore agricolo a titolo principale, e confortata dall’agronomo e dall’enologo Francesco Bartoletti, sta impostando un nuovo progetto enologico per un secondo bianco, che intende ottenere vinificando uve di orpicchio, un vitigno autoctono presente nell’Elenco delle varietà idonee alla coltivazione in Toscana dal 2007, ma finora non valorizzato. “È una cultivar molto difficile da reperire”, sottolinea Billeri. “Per il momento abbiamo impiantato le prime 600 barbatelle che sono riuscita ad acquistare da un vivaista della zona. Quando entrerà in produzione, non prima del 2014, almeno nei primi tempi dovremo affiancargli delle uve
di vermentino. In base alle esperienze fatte finora nella nostra tenuta, riteniamo di poterne ricavare un vino dai profumi molto interessanti”. Come anticipato, la contessa Passerin d’Entrevès sta portando avanti di pari passo la valorizzazione dal punto di vista ricettivo di Villa Dianella Fucini, mettendo così a frutto l’esperienza maturata in 10 anni d’attività come wedding planner. La grande villa padronale, fatta costruire alla fine del ’500 dai Medici e utilizzata ai tempi come casino di caccia, oggi completamente ristrutturata e parte del circuito delle “Case della Memoria” della Regione Toscana, è d’altronde una cornice ideale per matrimoni, ricevimenti, convention, cene a tema ed eventi, circondata com’è dall’ampio e magnifico giardino con una splendida vista sulle colline. All’interno della villa due grandi salon, uno al piano terreno (la Limonaia) e l’altro al primo piano (il Granaio) sono in grado di ospitare fino a 350 persone sedute (200 in una sala unica). E con la bella stagione gli eventi possono essere organizzati nel giardino, reso ancor più suggestivo e romantico dalla presenza della chiesetta di S. Michaelis de Aliana, risalente al 1200, dove riposano le spoglie di Fucini e tutt’ora consacrata, ma purtroppo non utilizzabile per celebrarvi funzioni religiose pubbliche. Più recente e in fase di potenziamento è l’attività di bed & breakfast. La localizzazione in un contesto supertranquillo, ma al contempo in posizione strategica a due km da Empoli (Firenze si raggiunge comodamente in treno), hanno già fatto di Villa Dianella Fucini la destinazione d’elezione di clienti sia stranieri che italiani, parecchi dei quali sono diventati degli habitué. Al momento sono tre le camere doppie, dotate di ogni comfort (connessione internet, aria condizionata e tv/sat), destinate agli ospiti. Sono tutte arredate nello stile tipico di una
vecchia casa di campagna, con soffitto con travi a vista, pavimento in cotto originale, letti a baldacchino e mobili d’epoca. “Il trattamento che riserviamo agli ospiti”, tiene a precisare Billeri, “è molto familiare. La colazione, per esempio, oltre che in camera, possono farla insieme a noi. Gli ospiti, insomma, sanno che, quando siamo presenti, siamo sempre disponibili a scambiare due chiacchiere e a fornire indicazioni e suggerire escursioni, itinerari di visita e ristoranti in tutta la Toscana. Anche i corsi di cucina che organizziamo hanno volutamente un’impronta non professionale. Siamo noi della famiglia a insegnare, più spesso a clienti stranieri,
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come preparare le ricette tradizionali di questa parte della regione: dalle marmellate al castagnaccio, dalla pasta fresca alla pappa al pomodoro. Sto inoltre pensando di ricomprendere nel pacchetto del soggiorno un momento di convivialità, in cui tutti gli ospiti possano ritrovarsi se lo desiderano. Probabilmente d’estate organizzeremo un aperitivo verso le 19,00 e, d’inverno, il tè delle cinque davanti al caminetto acceso”. Procedono intanto i lavori di ristrutturazione di un secondo edificio dell’antico borgo Dianella, dove Billeri conta di ricavare altre 15 stanze da destinare all’attività di bed & breakfast e, nella loggia esterna con una magnifica vista sulla campagna, una grande cucina attrezzata ove trasferire i corsi. Villa Dianella Fucini può comunque risultare una meta attraente anche per persone di passaggio, interessate a degustare i vini dell’azienda e l’olio extravergine d’oliva Toscana Igp da olive frantoio (70%), leccino (15%), moraiolo (10%) e pendolino (5%), coltivate e frante nella fattoria, e per approfondire la conoscenza delle tecniche di coltivazione e trasformazione delle uve e delle olive seguendo il percorso di visita/museo allestito all’interno della villa padronale. Percorso che passa per l’antica
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cantina e per l’orciaia, per terminare nel locale degustazioni-bottega e corredato da diversi pannelli che illustrano le fasi di lavorazione in campagna e in cantina/frantoio, inframmezzati da esemplari di vecchi attrezzi, talvolta anche integrati in artistici e originali complementi d’arredo. L’attività ricettiva dei conti Passerin d’Entrèves, comunque, non si esaurisce con Villa Dianella Fucini. A metà strada fra Empoli e San Giminiano, lungo la via Francigena, Veronica Billeri ha appena terminato la ristrutturazione di Villa Piaggia, l’ex residenza di campagna della sua famiglia. Anche Villa Piaggia è al centro di una tenuta agricola di 150 ettari, dei quali 25 a vigneto e altri 20 a oliveto, e gode di un panorama mozzafiato sulle colline. Diversamente da Villa Dianella Fucini, Villa Piaggia è proposta in locazione per periodi di almeno una settimana a un unico gruppo familiare o d’amici composto da un massimo di 18 persone. La grande casa allungata con facciata in pietra a vista si sviluppa su due piani e dispone di nove stanze doppie fra camere a due letti, matrimoniali e suite, ciascuna dotata di bagno privato, arredate con stile e con ogni comfort. E in giardino c’è anche la piscina.
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La passione di Luca E Velier vola
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di Luisa Contri È riuscito a fare della sua passione un lavoro. È forse proprio questo il segreto del successo di Gian Luca Gargano, patron della Velier, azienda genovese specializzata nella distribuzione in esclusiva di vini e distillati d’alta qualità principalmente d’importazione, e oggi anche produttrice di vini e rum. Con un fatturato in continua crescita, nonostante la congiuntura economica sfavorevole: nel 2011 la Velier ha messo a segno un +16-17%, chiudendo a circa 25 milioni di euro. “La realtà” spiega ad Artù Gargano “è che sono un appassionato, un sognatore. E, quando si fanno le cose con un impulso positivo, vengono anche i risultati”. In effetti, l’ampio portafoglio prodotti della Velier (ha un catalogo di circa 240 pagine fra vini veri, bollicine, champagne, vini di Porto, rum e rum agricole, whisky, cognac, grappe, gin, vodke ecc.), pur includendo prodotti commerciali (per esempio i rum Matusalem e Brugal), è caratterizzato da vini e da distillati e da altre specialità, come il cioccolato di Claudio Corallo o i the della Maison du Trois Thés, per i quali Gargano dichiara una profonda passione e che ha selezionato per la loro eccellenza. “La mia prima preoccupazione” spiega Gargano “è mantenere le promesse fatte al cliente. Essere il più onesto possibile fa la differenza, in special modo in tempi difficili come gli attuali. Il cliente ha il diritto di sapere se quello che viene proposto è un prodotto eccezionale, unico, che emozionerà lui e i suoi clienti, oppure se è un proArtù n°50
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dotto buono e godibile, ma commerciale”. Proprio la passione per il suo lavoro, ha portato Gargano a compiere scelte coraggiose che gli sono valse anche aspre critiche. In primis quella di vendere soltanto 'vini veri' o 'vini Tripla A', ossia ottenuti senza chimica nel vigneto, provenienti da agricoltura biologica e biodinamica, senza ricorso a lieviti selezionati, bensì soltanto impiegando i lieviti naturalmente presenti sulle uve e nel vigneto in cui sono nate, e vinificati senza 'trucchi' in cantina tali da cambiare i parametri chimico fisici del vino, quindi non chiarificandolo, non filtrandolo e con zero o pochissima solforosa aggiunta in fase di imbottigliamento. Una scelta non scontata – soprattutto se teniamo conto del fatto che proprio la Velier è stata la prima azienda, a fine degli anni Ottanta, a importare in Italia vini dal nuovo mondo (Cile, Argentina, Nuova Zelanda, Australia) – ma di cui Gargano va orgoglioso. “Quando mi resi conto, a fine anni Novanta, che i vini non mi entusiasmavano più” racconta Gargano “ne indagai i motivi. È da questa indagine che vide la luce nel 2001 il protocollo delle Triple A. Individuato un primo drappello di produttori di vini che rispettavano il mio protocollo, da un giorno all’altro fra il 31 dicembre del 2002 e il 1° gennaio 2003 tolsi dalla vendita in Italia tutti i vini convenzionali che distribuivo, nonostante avessi in stock grandi vini per un valore di 800 mila-1 milione di euro, dalle cui vendite dipendeva già allora il 1015% del mio fatturato. Tuttora il concetto delle Triple A in Italia fatica a passare. Ciononostante lo scorso anno le nostre vendite di vini veri sono cresciute del 42% sul 2010 e sono giunte a
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rappresentare più del 10% del nostro business. Al di là dei risultati economici, per me è una grossa soddisfazione aver portato alla ribalta produttori come Manfredi Martini, il cui Brunello di Montalcino, Il Paradiso di Manfredi, figura oggi nella carta dei vini dei migliori ristoranti italiani”. Oltre che con un portafoglio prodotti assemblato per passione, Gargano ha portato la Velier al successo grazie ad almeno altre due scelte azzeccate. La prima è una politica distributiva 'di precisione'. La seconda punta sulla curiosità suscitata nei clienti proponendo periodicamente piccole partite di vini e distillati rari e pregiatissimi scovati nei suoi continui viaggi. “Ogni prodotto”, spiega Gargano a proposito della distribuzione di precisione, “deve essere veicolato nel canale giusto perché se ne possa garantire nel tempo un buon volume di vendita e lo si possa proporre al giusto prezzo. Uno champagne eccelso come il mio Billecart-Salmon, per esempio, fatico a venderlo ai grossisti, perché ritengo fondamentale sapere in che mani va a finire, chi lo proporrà e come lo presenterà e lo servirà. Meglio quindi venderne meno, ma direttamente a ristoratori, baristi ed enotecari dei quali conosco la professionalità. Allo stesso modo, un whisky di nicchia, come per esempio il Macallan 12 anni che ha un potenziale di 50 mila bottiglie in Italia, non va veicolato nei supermercati. Se ne venderebbe certo di più, ma non lo si potrebbe poi proporre alle migliori enoteche. Trovarlo nei supermercati invece che da Peck o da Ronchi, N’Ombra de Vin, Al Parlamento finirebbe per comprometterne l’immagine e il valore percepito”. Per la Velier distribuzione di precisione significa altresì evadere ordini anche di una sola bottiglia e curare moltissimo l’informazione sui prodotti in portafoglio organizzando degustazioni ed educational, spiegando ai clienti il valore di ogni singolo vino o distillato, di persona o tramite i propri agenti (146 in tutto) che, assicura Garagano, non sono soltanto raccoglitori d’ordini bensì grandi gourmet, esperti in grado
di consigliare la clientela. Inoltre collegandosi al sito www.velier.it una serie di filamti e interviste ne supportano il loro lavoro. Fra i 10 mila clienti, Gargano cura con particolare attenzione il servizio rivolto al mondo della ristorazione di qualità: “Sono stato uno dei primi amici della sezione italiana dei Jeunes Restaurateurs d’Europe. Sono cresciuto insieme a molti chef italiani oggi di successo, che ritengo siano i migliori ambasciatori dei prodotti che distribuisco”. L’unico rammarico di Gargano è che in pochi finora l’abbiano seguito sulla via dei vini veri. “Gli chef”, sostiene il patron della Velier “dovrebbero interessarsi molto di più della loro carta dei vini. Non so come facciano a correre il rischio, dopo aver passato 12-15 ore in cucina per far in modo che ogni piatto sia perfetto, che un loro cliente si ricordi dell’esperienza gastronomica fatta nel loro ristorante per il mal di testa dell’indomani, causato da una bottiglia di vino, magari pagata anche 100 euro. Sono convinto che un buon 30-40% del calo dei consumi di vino nella ristorazione sia dovuto al fatto che la gente non è più disposta a spendere per vini convenzionali che non emozionano. E le nuove norme legate ai limiti di alcol hanno senza dubbio dato modo a molti clienti di non ordinare il vino, senza fare la figura dei poveracci”. Tornando alle scelte vincenti della Velier, come anticipato, Gargano non smette mai di stupire. Dai suoi frequentissimi viaggi (viaggia 200 giorni su 365) riporta sempre qualche chicca meritevole d’essere gustata. È stato il caso negli anni passati della vodka Gengis Khan scovata in Mongolia o degli whisky giapponesi o della Tasmania o di ottimi rum agricoles di cui Gargano ha comprato interi stock per poi invecchiarli, imbottigliarli e distribuirli in tiratura limitata. Guardando al futuro prossimo, fra le chicche che Gargano sta prepa-
rando, figurano dei nuovi vini veri georgiani, fatti ancora in anfore interrate come una volta. In questo caso, come in quello del rum agricoles RhumRhum – prodotto con solo succo fresco integrale di canna da zucchero dell’isola di Marie Galante nelle Antille Francesi, sottoposto a lunghe fermentazioni a temperatura controllata e distillato con alambicchi di rame a bagno maria progettati dal grande maestro distillatore Gianni Vittorio Capovilla – Gargano è il produttore, oltre che il distributore. Altre novità in arrivo sono dei vini Tripla A di tre o quattro nuovi produttori, un sale proveniente dal deserto del Sahara, estratto in una piccola miniera situata a mille chilometri a nord di Timbuktu e trasportato ancora con i cammelli, e una piccola produzione di gin ottenuto da ginepro autoctono raccolto in Toscana e lavorato dai monaci dell’Abbazia di Vallombrosa, vicino a Firenze. Artù n°50
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Fare il vino a ZERO emissioni di Annalisa Tirrito Nel basso Lazio, a Casalvieri, in provincia di Frosinone, il professor Mariano Nicòtina – enologo, docente di fitoparassitologia, e ricercatore – ha intravisto in questa terra i prodromi per una vitivinicultura innovativa e virtuosa, innalzando l’Azienda Poggio alla Meta a realtà imprenditoriale di successo, certificata come prima azienda italiana ‘Zeroemission’.
Pescosolido
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Alvito
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Casalvieri
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Zero gas serra emessi nell'atmosfera, questo significa il certificato Zeroemission, accompagnato lo scorso gennaio dal premio internazionale per l’innovazione introdotta nel processo viti-vinicolo, in ambito dell’Innovation Awards 2012 at CiscoLIVE. Il premio ricevuto a Londra ha messo in luce l’architettura tecnologica di Poggio alla Meta per la gestione dei parametri (endogeni ed esogeni) che caratterizzano il processo viti-vinicolo per una metodologia innovativa per la definizione di qualità, tracciabilità, e sostenibilità. Un lavoro di squadra ha reso possibile tutto ciò, grazie al prezioso contributo di Concept Reply e dell’ingegnere Roberto Quadrini che ha progettato e realizzato il sistema Cisco System, fornito a Poggio alla Meta, dove il professor Nicòtina ha garantito l’appoggio tecnico-scientifico per la riuscita ottimale del progetto. Replicabile in tutti i processi di trasformazione di prodotti agricoli e/o animali, il sistema consente la gestione e il monitoraggio dei processi di trasformazione e la raccolta dei dati presenti nella filiera per definire diversi parametri: carbon footprint, profilo qualitativo della filiera, profilo economicofinanziario (costi di gestione, OPEX). WineWise, il sistema di sensori che controlla tutte le caratteristiche del vino, impiega come modulo integrato l’algoritmo Visocchi Tracking Code (VTC) che codifica in modo univoco i parametri della filiera agricola: fisici (chimico-fisici-biologici del terreno), energetici (TOE) e ambientali (CO2), e igienico-sanitario (sottoprodotti di
lavorazione). Correla tali parametri con la resa per ettaro della filiera, ottenendo indicatori economico-finanziario (capex/opex), igienico-sanitario (ambienti salubri ed igienici), della struttura e sicurezza degli ambienti di lavoro (contesti a norma), dell’impatto ambientale (impronta di carbonio, CO2). Calcola inoltre, per ogni bottiglia prodotta, l’esborso relativo in termini di emissione di gas serra (CO2). I dati acquisiti e analizzati consentono il conseguimento della 'Zero Emission Certification' secondo la normativa ISO 14064 del 'Comitato Tecnico ISO/TC 207 Environmental
Management'. Con beneficio per la distribuzione, e la tutela dei consumatori, grazie alla tracciabilità, e l’impossibilità di alterare la filiera produttiva con vino proveniente dall’esterno del centro di trasformazione. Una soddisfazione che porterà l’azienda Poggio alla Meta a ulteriori cambiamenti innovativi, in una zona di grande soddisfazione per il prodotto, con i terreni collinari ai piedi dei Monti della Meta che permettono la produzione di vini intensi e rispettosi del frutto, tanto che poi, in cantina, l'uso dei legni è limitatissimo. Tra le prime aziende a confezionare una Passerina fresca e
minerale (Piluc), Poggio alla Meta deve la sua fama ai due morbidissimi blend bordolesi (Il Giovane e Il Vecchio) uniti dall'uvaggio, e da un concept vincente. Sono in lancio etichette autoctone sperimentali, molte delle quali inedite. Grappe e Ratafià completano la gamma. Non a caso qui sono state riproposte le cultivars bordolesi (Cabernet sauvignon, Cabernet franc, Merlot e Syrah), secondo i dettami della “zonazione viticola” studiata e imposta dalle regole della moderna tecnologia. L’agronomo ed enologo Nicòtina, direttore tecnico della Società, con 5 cloni di Cabernet e 4 di Merlot, ha
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applicato in questa terra l’esperienza di docente universitario del settore, sperimentando anche l’ampia prodigalità di vitigni locali di assoluto valore, non valorizzati e dispersi tra le colline alternate da vallate, creando una nuova linea produttiva con vitigni autoctoni che prende il nome di Primovero. L'azienda Poggio alla Meta, nata nel 2001, rappresenta una scommessa e un sogno realizzato, con sette ettari di vigneto che si trovano soprattutto ad Alvito (Fr) nel territorio collinare della Valle di Comino e in piccola parte anche nel territorio comunale di Pescosolido (Fr) nella Media valle del Liri, non distanti dalla Cantina di Casalvieri (Fr). Ed è stato scelto proprio il vigneto di Alvito, che non dista più di due chilometri dall’enopolio aziendale, come protagonista per lo studio da cui è nata l’idea che ha portato all’Award Wine Wise. L'impianto, la potatura, la legatura dei tralci, il diradamento dei grappoli e la raccolta delle uve vengono compiuti tutti a mano. L’altezza dei vigneti è ottimale: dai
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400 m s.l.m. del vigneto di Alvito, ai 550 m s.l.m. del vigneto di Pescosolido, dove si pratica la viticoltura biologica sottoposta al controllo dell’ICEA. Il sistema di allevamento è a spalliera con potatura a Guyot per i vigneti delle uve bianche, a cordone speronato basso per quelli dei rossi. In questo panorama idilliaco di produzione di qualità, la fortuna ha voluto che l’ingegnere Quadrini della Reply, nativo di Isola Liri e trapiantato per studi e lavoro a Milano, apprezzando i vini di Poggio alla Meta anche per un giustificato ritorno alle origini, si interessasse al lavoro e alla perseveranza del professor Nicòtina e prendesse a cuore lo sviluppo e l’evoluzione del settore vitivinicolo di Atina. La collaborazione tra i due si è concretizzata nel progetto dell’ingegnere Quadrini con la tracciabilità totale del vino con un QR-Code sulla bottiglia che individua sia i fattori produttivi che conducono al prodotto vino, sia l’abbattimento degli inquinanti, il tutto letto e dimostrato attraverso moderni ausili informatici.
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PUGLIA alla riscossa Qualità da vendere Un recente incontro, durante Vinitaly, con produttori vinicoli pugliesi mette in evidenza gli ottimi risultati raggiunti dall’imprenditoria regionale. Un impulso fortemente legato al territorio e alla valorizzazione del turismo e dell’offerta gastronomica locale. Il Movimento del Turismo del Vino pugliese, per la prima volta, si è presentato a Vinitaly nella nuova veste di Consorzio: una rinnovata identità, voluta per offrire alle aziende vitivinicole opportunità inedite di visibilità e promozione. Presidente del Consorzio è Sebastiano De Corato (Cantine Rivera), vicepresidente Gianvito Rizzo (Feudi di Guagnano), direttore Vittoria Cisonno, già presidente dell’associazione protagonista attiva dei successi di questi anni. E, a proposito di successi, va sottolineato l’impegno dimostrato proprio allo scorso Vinitaly, che ha
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visto nuove iniziative tese a valorizzare e divulgare i vini di Puglia. Per i professionisti dell’horeca, l’evento Taste, Press & Blog, ha creato opportunità di dialogo e confronto tra giornalisti specializzati e produttori, che hanno messo in evidenza i grandi progressi della vitivinicoltura pugliese. Durante gli incontri, sono emerse novità di notevole interesse, che hanno letteralmente stupito e favorevolmente impressionato i degustatori. Nello specifico, abbiamo ottimi ricordi dei vini prodotti da aziende come Teanum, Bardulia, Tenuta Viglione, Bosco, Miali, Castello Monaci, Nuova Vite: aziende e cantine di diverse dimensioni e linee di prodotto ma, tutte orientate alla qualità, espressione delle differenti zone viticole della regione. In particolare, ci ha impressionato la qualità raggiunta dai vitigni Nero di Troia, Primitivo, Negroamaro, simbolo, quest’ultimo, del Salento enologico. La cantina Teanum (www.teanum.com), azienda giovanissima con un team di lavoro molto affiatato, ad esempio, ha proposto fra gli altri vini in degustazione un eccellente Nero di Troia 2009, che in etichetta riporta il nome Otre: un rosso luminoso e importante che ha colpito per i suoi profumi di confettura, vaniglia, ciliegia e per i tannini decisamente morbidi. Serbevole e fresco, fa sei mesi di barrique di secondo e terzo usa (solo per il 50%). Notevole anche il Gran Tiati, dal packaging prezioso, Montepulciano in purezza, prodotto solo nelle annate che hanno dato grandi vendemmie. Le cantine Bardulia (www.cantinedellabardulia.it), in fase di grande espansione, rappresentano un esempio positivo e coraggioso di cooperativa vinicola, forte di 1500 ettari di terreno vitato. Nell’incontro abbiamo degustato due vini della gamma, il Cuor di Vino 2009, un Nero di Troia di struttura, e il Barletta Doc Vigna della Disfida, una piacevole sorpresa, con ampi profumi e sentori di caffè tostato e spezie. Tenuta Viglione (www.tenutaviglione.it) ha presentato due etichette, il Johe (antico nome di Gioia del Colle) e il
Marpione: un rosso che fa solo acciaio il primo, un Rosso IGT Puglia del 2009, molto gradevole: 50% primitivo e 50% aleatico, è destinato ad un consumo più informale; un concentrato di potenza il secondo vino degustato, il Marpione, un primitivo 100%, morbido e persistente: si tratta di un Gioia del Colle Doc, ideale per abbinamenti con piatti importanti di carne e formaggi stagionati. Miali (www.cantinemiali.com) era presente alla degustazione con un grande rosato, Ametys: 70% primitivo, 30% syrah, ha un’ottima struttura, con finale elegante e persistente. Di colore rosa cerasuolo brillante e acceso, di gusto avvolgente e raffinato di ciliegia e frutti a bacca rossa, è ideale per esperienze a tutto pasto, ma anche per abbinamenti con piatti di pesce. È un vino di estrema gradevolezza, che conferma la vocazione produttiva del Salento vinicolo, mix di grande tradizione e spirito moderno e innovativo. Il gruppo De Padova (www.gruppodepadova.com), ben conosciuto fra gli addetti al settore non solo per la vocazione vinicola, ma anche per la produzione di ottimo olio extravergine di oliva (notevole quello prodotto con i cultivar Pecholin e Nociara), ha presentato i vini della società cooperativa Bosco, che si connota, fra l’altro, per effettuare l’affinamento di gran parte dei propri vini in serbatoi inox: una scelta coraggiosa che garantisce freschezza e gradevolezza al prodotto finale. Una linea ricca e composita, in cui spicca il Primitivo di Manduria, utilizzato al 100% per produrre tre grandi rossi: Teseo, Gladio, Nonno. Rotondi e fragranti, consentono abbinamenti interessanti nella ristorazione, soprattutto con piatti di carne ma anche con legumi, verdure e formaggi. Tra le scelte di Bosco anche quella di valorizzare il Negroamaro, presente all’80% - più un restante 20% fra malvasia nera e primitivo - nel Negro, un Salento Rosso Negroamaro IGT dal bouquet fruttato e dal gusto gradevolmente tannico. Castello Monaci (www.castellomo naci.com), che fa parte del Gruppo Ita-
liano Vini, ha presentato due vini, il Kreos, un Rosato (Salento IGT) che impressiona per la sua gradevolezza, espressione del negroamaro (90%) e della Malvasia (10%): colore rosa brillante e grande frutto al naso, si rivela poi in bocca particolarmente armonico e fresco. Artas è invece un rosso di grande struttura, dal sapore pieno, caldo e avvolgente (fa un affinamento di 12 mesi in barrique e di 6 mesi in bottiglia): un grande primitivo che rappresenta il top di gamma dell’azienda. La cantina Nuova Vite (www.nuovavite.it) dimostra come lo Chardonnay possa sviluppare risultati rimarchevoli nella Lacrima di Drago, un bianco equilibrato e fragrante, che esprime grande eleganza e versatilità negli abbinamenti a una cucina regionale in cui il pesce è protagonista. Il Negroamaro, anche in questo caso al 100%, è protagonista di un rosato di estrema gradevolezza, il Corallo: colore rosa tenue, non aggressivo, aroma fragrante e fresco, con sentori fruttati e di viola, rosa, ciliegia, ha sapori equilibrati, rafforzati dalla sua nota acida e dal retrogusto piacevole. Anche in questo caso, una conferma concreta delle grandi possibilità espresse dai vini pugliesi degustati che hanno, una volta di più, dimostrato enormi potenzialità di proposte intelligentemente segmentabili. A.P.S. Artù n°50
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Dalle torri Pellegrino messaggi per gli chef
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di Fiorenza Auriemma In allestimento per il prossimo autunno una nuova edizione per Cooking Festival di Pellegrino, l’evento (ideato dal direttore marketing della storica Cantina siciliana, Emilio Ridolfi) che è ormai diventato un appuntamento fisso con la grande cucina italiana e mondiale.
Tra i numerosi festival gastronomici che si svolgono in Italia, quello ideato e organizzato dalle Cantine Pellegrino ha diverse peculiarità, come abbiamo già visto nei numeri scorsi. Prima fra tutte, quella di svolgersi nella bellissima Marsala, e per la precisione all’interno delle Torri Pellegrino. La moderna struttura, inaugurata nel 2004 dopo due anni di lavori, sorge al centro delle Cantine Storiche ed è frutto della ristrutturazione di due preesistenti silos di stoccaggio, raro esempio di archeologia industriale risalente agli anni 50. Mentre dall’ultimo piano panoramico, sulla sommità della struttura, si può godere di una splendida vista su Mozia, lo Stagnone, le Isole Egadi, nell’interno sono stati ricavati vari ambienti distribuiti su più piani e attrezzati a sala conferenze e proiezioni, sala degustazioni e cucina professionale. Ed è proprio in queste ultime due che si svolge il Pellegrino Cooking Festival. È nato un po’ per gioco, questo appuntamento con la cucina di alto livello, a corollario dell’inaugurazione delle torri Pellegrino nel settembre 2004. “Invece di organizzare la solita cena, avevamo scelto di optare per un evento enograstronomico”, racconta Emilio Ridolfi, direttore commerciale di Cantine Pellegrino. “Però senza pensare a temi né contenuti, e nemmeno a un obbiettivo specifico, anche se già nelle prime edizioni i cuochi ospiti erano di qualità”. Le prime edizioni di questa kermesse del gusto si sono svolte dunque così, senza molte pretese né un preciso filo conduttore, e articolate in tre sere. Così, nelle cucine delle Torri si sono alternati chef siciliani, italiani e stranieri, alle prese con pesce spada, aragosta, cucina molecolare e a base di fiori, erbe, pesce crudo, antiche Artù n°50
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ricette siciliane rivisitate in chiave moderna. Tutto questo, fino al quinto appuntamento, come ricorda Ridolfi: “Visto che il Festival stava crescendo, abbiamo pensato di dare altri contenuti e un filo più logico, e quindi ci siamo avvalsi della consulenza del giornalista enogastronomico Martino Ragusa per far crescere ancora di più questo evento”. Ed è nato proprio da un sogno nel cassetto di Ragusa il primo tema definito: era il 2008 quando il Festival ha avuto come tema la presentazione del Manifesto della Cucina Italiana, elaborato dallo stesso Martino Ragusa per mettere in risalto le basi fondanti la cucina italiana e regionale. “Poi abbiamo pensato di valorizzare gli chef under 30, e quindi abbiamo invitato tra l’altro Enrico Bartolini e Alessandro Negrini”, ricorda Ridolfi. “Nel 2010, è stata la volta dei festeggiamenti dei 130 anni delle Cantine, insieme a quelli dei 150 anni dello sbarco a Marsala; e siccome la maggior parte dei garibaldini erano lombardi, abbiamo ospitato di-
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versi chef di Lombardia, tra i quali i fratelli Cerea, Tano Simonato, Matteo Scibilia, Vittorio Fusari, che hanno preparato piatti all’insegna dei colori del tricolore”. Il significato di questo Festival però va al di là di lasciare spazio ad artisti della cucina italiani e stranieri: è valorizzare il binomio cibo-vino. “Questo soprattutto perché la gran parte dei vini di produzione Pellegrino non è di facile abbinamento, come i vini marsala che purtroppo vengono spesso relegati esclusivamente alla pasticceria”, spiega Ridolfi. “Ecco allora che il Cooking Festival dà a noi la possibilità di comunicare l’abbinamento vini e marsala non solo con i dessert, bensì ad esempio anche con formaggi stagionati o erborinati. Lo stesso vale per il passito di Pantelleria, che oltre ai dessert si può sposare con formaggi a pasta dura moderatamente stagionati”. In altre parole, questa manifestazione dedicata al cibo e al vino ha la valenza anche di area di sperimentazione, luogo e occasione per “matrimoni”
nuovi da proporre ai consumatori; e tutto questo grazie alla creatività dei ristoratori, la competenza dei sommelier e il contributo della stampa. Lo scorso anno, i fornelli delle Torri si sono finalmente colorati di rosa, per via della presenza, la bravura e la professionalità di chef donne provenienti dall’Italia e dall’estero: da Viviana Varese ad Agata Parisella, da Rosanna Marziale a Patrizia di Benedetto; da Fabrizia Meroi a Reiko Yanagi, per citarne alcune. “Per la prossima edizione, invece, abbiamo scelto di dare risalto alle isole minori e agli chef che vi lavorano”, anticipa Ridolfi. “E questo perché Cantine Pellegrino quest’anno compie 20 anni di vendemmia e di cantina a Pantelleria, dove ha raggiunto una leadership incontrastata con il 6,96% di quote di
mercato in volume”. Quindi, il prossimo appuntamento con le serate del gusto – che nel frattempo sono diventate due, e si svolgono nell’ultima decade di settembre o ai primi di ottobre – vedrà protagonisti grandi chef di piccole isole; a cominciare da Pantelleria, per poi toccare Favignana, Ischia, Ventotene, Salina, Capri. E come è avvenuto per le otto edizioni che lo hanno preceduto, anche gli chef che firmeranno questo prossimo Festival – così come le ricette che proporranno nelle due serate verranno immortalati in un volume della collana “Le torri della Cucina”, curato da Martino Ragusa.
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Alma DOCET Formazione fondamentale Colorno
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svolta poche settimane fa nella sede della Scuola. “La mission della nostra Secondo un recente studio redatto Scuola è formare i giovani professionisti dall’Us Bureau of Labor Statistics, della cucina, della pasticceria e della rila figura professionale destinata a storazione italiana”, ha spiegato Riccardo essere più richiesta nei prossimi Canelli, Amministratore delegato di Alma, anni, almeno fino al 2018, è quella “una mission che non si realizzerebbe del cuoco. Anche se si tratta di pro- pienamente se poi questi giovani non iezioni riferite agli Usa, si possono trovassero un’adeguata collocazione nel applicare all’Europa e all’Italia. E mondo del lavoro. In altri termini, non comunque, vale la pena di tenerle vogliamo preparare ‘brillanti disoccupati’, in considerazione. bensì persone che grazie alla loro seria e profonda preparazione, la maturità e Alla luce di questi trend e del suc- la volontà di riuscire, trovino agevolmente cesso e attenzione che suscita il un posto di lavoro adatto e gratificante”. mondo gastronomico a 360 gradi, Da qui, l’esigenza di facilitare il contatto la Camera di Commercio Industria tra aziende, ristoranti, catene alberghiere Artigianato e Agricoltura di Parma ha allo studio un progetto per favorire l’incontro di domanda e offerta di professionalità qualificate nell’ambito della ristorazione. Con la consulenza di Alma, la Scuola internazionale di Cucina Italiana di Colorno nata nove anni fa, l’idea è quella di creare un network professionale dedicato al mondo dell’ospitalità, cui Alma potrebbe apportare il know-how specifico accumulato in questi anni nell’ambito specifico. Proprio il rapporto tra la Scuola e il mondo del lavoro è stato l’oggetto di una tavola rotonda “Alma Viva – Atto I”, che si è
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appassionati di cibo e cucina: un modo per ringraziare anche i professionisti che in questi anni ci hanno permesso di formare tanti giovani cuochi e pasticceri”. Perché se è vero che si lavora in cucina, è altrettanto importante non limitarsi a ciò che avviene nel proprio piccolo: e studenti, fornendo uno strumento che “Sono contento che ora anche le persone permetta l’incontro tra domanda e offerta. di provenienze diverse possano accedere L’occasione è servita anche per presentare alla formazione del cuoco: ai miei allievi un nuovo volume curato dalla scuola e dico sempre di andare in giro, guardarsi che fa parte della collana Alma-Plan: intorno, vedere mostre che prima o poi ‘Gusto italiano’, ovvero un collage foto- vengono fuori e danno linfa alla grafico di 370 ricette ideate da oltre 78 loro creatività. Il cuoco ha il dovere chef, tutti maestri di Alma, e a cura di di imparare, ascoltare e studiaLuciano Tona e Andrea Sinigaglia. “Ab- re”, ha sottolineato Gualtiero biamo voluto provare a raccontare l’ultimo Marchesi, rettore di Alma. Il ventennio della cucina italiana, compresa quale, oltre a partecipare la nuova generazione di cuochi”, racconta all’incontro, ha curato il meAlbino Ivardi Ganapini, Presidente di nu della cena di gala che Alma. “Da un lato, gli allievi di Gualtiero in serata a concluso i laMarchesi, cui va il merito di aver dato vori. Realizzato dagli stuun respiro di modernità alla cucina ita- denti di Alma, e dal titolo liana; e dall’altro, cuochi che hanno ‘Verso la Semplicità’: uovo viaggiato all’estero alla scoperta di nuovi all’uovo, astice ai macchetrend. E anche condividere il patrimonio roni, carciofo al verde, viteldi Alma con le scuole, gli studiosi e gli lino da latte al forno.
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Lo chef della
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di Gianni Mercatali Andrea Mattei, poco più che trentenne, è l’artefice di una cucina raffinata e moderna, che punta sull’esaltazione della freschezza degli ingredienti. La sua creatività non poteva trovare location migliore del Byron, il cinque stelle di Forte dei Marmi che esprime un’ospitalità di altissimo profilo. È dal lungomare di Forte dei Marmi, da quella spiaggia dove gli Agnelli “vestivano alla marinara”, che si può accedere all’Hotel Byron. Un raffinatissimo ambiente di lusso a 5 stelle voluto dalla Famiglia Madonna. Aperto nel 1990 dopo una lunga ristrutturazione, questo albergo è nato dall’unione di due ville liberty dei Duchi Canevaro di Zoagli. Qui gli ospiti trovano l’atmosfera tranquilla, tipica delle grandi residenze private, ma con ogni moderno confort. Niente è lasciato al caso. Tantomeno la ristorazione, che secondo la filosofia della proprietà deve avere una propria identità grazie anche alla professionalità e creatività dello
Hotel Byron
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chef. Ricavato da una dependance, il ristorante La Magnolia si apre su uno dei giardini interni e sulla piscina. Ai fornelli, ma non solo, il giovane Andrea Mattei. Nato a Pietrasanta, quindi totalmente autoctono, è da nove anni chef di cucina. Un ritorno alle origini. Perché il suo percorso di formazione, iniziato nel 1994 a soli quindici anni, si è sviluppato a Cervinia nel Relais Chateau Hermitage, a Parigi al Carpaccio con Angelo Paracucchi e poi da Taillevent quindi al Plaza Athénée con Alain Ducasse. In Italia all’Enoteca Pinchiorri e al San Domenico d’Imola. Niente male come esperienze professionali. Esperienze che gli sono servite per arrivare comunque a una sintesi che rende la sua cucina immediata, fresca e leggera, senza eccessi di tecnicismo. I suoi piatti sono particolarmente apprezzati per il loro equilibrio e anche per il loro effetto scenografico. Uno chef di talento, in-
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somma. Capace di muoversi fra tradizione e creatività, senza tabù. “Il mio obiettivo – dice – è di realizzare sempre più una cucina semplice e buona, dove al primo posto siano la soddisfazione e il benessere del cliente”. Qui si vivono belle esperienze gastronomiche perché le sue proposte spaziano da una tradizione fedele ai gusti del passato fino alla pura creatività. Si può scegliere fra tre menu: classico, tradizionale, e La Magnolia. Oppure alla carta. Gli antipasti sono di mare e di terra: dall’apprezzato carpaccio di gamberi rossi, caviale Asetra, polvere di erba cipollina e olio extravergine di oliva, ai calamaretti alla “plancha” con farro della Garfagnana, fagiolini verdi, cenere di porro, all’insalata di pollo nostrale con erbe aromatiche, pop corn e senape. “Mi intrigava l’idea – continua Mattei – di un crudo di pesce accompagnato dal caviale di qualità Asetra, con un retrogusto simile al mallo di noce”. Da gustare, ma anche con gli occhi, gli agnolotti alle cicale con fave, brodo di pecorino Scoppolato di Pedona, pepe d’acqua. Il cameriere porta al tavolo il piatto, ma anche una piccola teiera con il brodo che viene versato sugli agnolotti. Un gesto rituale, di eleganza quasi orientale, che coinvolge e incuriosisce il cliente. Oppure un risotto agli asparagi, lingotto d’oro di pecora e liquirizia, un piatto classico, ma proposto in modo moderno dove la liquirizia si inserisce senza prevalere, anzi, amalgamando i singoli sapori in un unico gusto. E poi il baccalà con intingolo al
pomodoro e cipolla di Treschietto, o un leggerissimo fritto misto di scampi, mazzancolle, calamari, verdure, rafano. Non manca mai la scelta di pesce dai pescherecci, in varie cotture. Dalla campagna si può scegliere un agnello di Zeri al testo con patate, salvia, rosmarino e aglio o il maialino nostrale arrostito sulla cotenna con finocchio e sidro. Originale una scelta dal mare e dalla campagna con gli scampi cotti/crudi e lampredotto accompagnati da sedano e mela verde. Un piatto da veri intenditori. Anche per i dolci c’è soltanto l’imbarazzo della scelta. Dalla fragole al naturale con timo, limone, viola, erbe aromatiche al tradizionale marzapane di Pietrasanta servito con mandorle, gelato al latte di mandorle e Aleatico. Unico, e sicuramente da provare per i più golosi, torrone ghiacciato 2012 con semifreddo al torroncino, arancia, cioccolato, miele della Lunigiana. Gli amanti dei formaggi possono scegliere una selezione con confetture, mostarde e pane alla frutta secca. Ottima la carta dei vini, mirata al menu, che comunque dimostra un lavoro di attenta ricerca. Interessante la proposta di alcuni vini a bicchiere e buona la scelta dei distillati. Tutti gli ingredienti sono scelti con cura. Il riso è soltanto Acquerello. La pasta al germe di grano è prodotta artigianalmente dal pastificio Morelli. La stessa attenzione è riservata per le altre materie prime come la carne, dove l’agnello è quello di Zeri in Lunigiana. Le pezzature per la ‘fiorentina’ provengono da un piccolo Artù n°50
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di cucina e soprattutto la fiducia che la Famiglia Madonna, e in particolare Salvatore Madonna, hanno avuto in me e nello sposare questo progetto di ristorazione. Se per certi aspetti può sembrare un punto di arrivo, per me è soltanto un punto di partenza. Oggi sento una responsabilità in più verso questo lavoro”. La Magnolia è un luogo di incontro nell’estate versiliese, non soltanto per coloro che alloggiano nell’hotel, ma anche per chi desidera uscire volendo però vivere l’atmosfera di una casa propria. Perché il servizio è professionale ma familiare. macellaio di Pietrasanta e il baccalà arriva da Bilbao mentre il pescato, sempre di giornata, è assolutamente locale. Anche verdura e frutta hanno la loro tracciabilità, garantita da fornitori scrupolosamente selezionati dallo stesso Mattei. Di qualità superiore i pani dove non manca quello di campagna toscano, non salato, che può essere apprezzato in degustazione a inizio pasto insieme all’olio extravergine di oliva della Tenuta del Casone 1729 di Massarosa. E con tanto “ben di Dio” non poteva mancare un apprezzabile riconoscimento dalla “Rossa”. Così, per questo 2012, è arrivata la prima stella Michelin. Un premio alla cucina che lo stesso Mattei ama definire ‘semplice’, diretta al cuore, ma diretta anche con il cuore. “Una grande emozione – ha detto – e una immensa soddisfazione. Che premia tanti miei anni di lavoro e di ricerca, ma anche l’affiatamento di tutta la brigata
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di Anna Pesenti Un altro chef napoletano allunga la schiera dei cuochi partenopei che arrivano a Milano con le idee chiare, anzi, chiarissime. E gli imprenditori della ristorazione non se li lasciano scappare… Così, da ormai quasi un anno, il Park Hyatt, diretto da Claudio Ceccherelli, affida ad Andrea Aprea le sorti di una cucina già solida, ma oggi diretta verso mete ancor più ambiziose. Lo chef napoletano Andrea Aprea si conferma davvero Maestro del panorama enogastronomico milanese. Scelta vincente, quindi, quella dell’Hotel “Park Hyatt”, in Galleria Vittorio Emanuele nel centro di Milano, che ha voluto affidare ad Aprea la conduzione della cucina del proprio ristorante “Vun”, che ambisce ad essere “the best” nel proprio settore, come attesta lo stesso nome che si riferisce alla traduzione in dialetto milanese del numero “uno”. Basta osservare la presentazione dei
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suoi piatti per capire che Aprea unisce un grande senso estetico, quasi da poter esser definito un raffinato cesellatore, alla professionalità profusa nella loro preparazione. Gli spaghettoni cacio, pepe nero, finferli e cipollotto, sembrano farci immergere all’interno di una conturbante piramide conica, mentre le capesante, finocchio, zenzero, yoghurt e bottarga, l’astice blu, friarelli, crocchetta di ricotta di bufala, caviale Asetra Baeri, e la faraona petto e coscia, pastinaca, senape e funghi pioppini sembrano piccoli capolavori di una mostra di arte contemporanea. E ancora il petto d'anatra leggermente affumicato, perfetto di fegato grasso, noci e rabarbaro, la composizione di gianduia e lamponi, la torta alla vaniglia, datteri e arance, e la mousse al cioccolato, sale, frutto della passione e caramello appaiono come miniature di un grande architetto dalla perfezione geometrica; mentre il riso Vialone Nano, rapa rossa, blu di bufala, capperi e petto di quaglia, e l’uovo, patata, bagoss e tartufo nero sono una macchia di colore intenso, il primo, e sobrio, il secondo, ma entrambi di impatto “appetitoso”; sono a colpo d’occhio di ispirazione picassiana il rombo, patate, gazpacho di cavolo rosso e funghi porcini, e "Il mio orto", piatto prediletto dallo chef, che comprende un tripudio di circa 34 ingredienti tra verdure cotte, secche e crude, erbe gentili e selvatiche,
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fiori, germogli e tuberi. Non ci si meravigli di tanta ricchezza, se si pensa che Andrea Aprea ha un curriculum di vero prestigio, dato che vanta “soggiorni” in hotel di super lusso: basterà citare quelli in Inghilterra presso grandi locali gourmet, come il tre stelle Michelin, a Bray on Thames, The Waterside di Michel Roux (direttore l’italiano Diego Masciaga), fino all’ultimo incarico di Executive Chef presso il Ristorante il Comandante, presso il Romeo Hotel di Napoli. Vero perfezionista nell’apparecchiare un piatto, Aprea unisce tecnica e creatività, tradizione e contemporaneità, al fine di creare e far gustare uno stile tutto personale e ammaliante. La scelta dei suoi fornitori è rigorosa al massimo perché cibi di classe partono dall’utilizzo di ingredienti di alta qualità, in primo luogo carni di provenienza nazionale, ma anche pesce azzurro, accompagnati da una varietà di verdure. Per Andrea Aprea, i cui clienti sono competenti e preparati, è fondamentale proporre una cucina raffinata e sana, al fine di porre attenzione alla totalità della esigenze dei clienti che degustano le sue creazioni. Il “Vun” certamente è l’ideale per pranzi o cene di lavoro, o semplicemente per la degustazione di un aperitivo o del buon cibo con amici che sanno apprezzare il bello a 360°. Le splendide porcellane di J.L.Coquet e di Jaune De Chrome contribuiscono all’atmosfera
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di classe che si respira nel locale. Per quanto riguarda i vini, una delle caratteristiche che sottolineano sempre più l’alto livello del Vun è la possibilità per i clienti di portare con sé a fine serata il vino rimasto nella bottiglia: una consuetudine intelligente, partita anni fa in Piemonte (grazie all’intraprendenza del giornalista Sergio Miravalle) ma non ancora consolidata nel resto del paese. La carta dei vini del Vun spazia da bollicine, quali Cà del Bosco, Brut Prestige Franciacorta D.O.C.G e il Collavini Ribolla Gialla Brut, a preziosi champagne, come il Billecart Salmon Rosé, dai vini bianchi nazionali provenienti da tutte le regioni d’Italia a quelli esteri, fino al neozelandese Sauvignon Blanc Cloudy Bay, dai vini rossi italiani a quelli stranieri, come il californiano Insignia Joseph Phelps di Napa Valley, senza trascurare i rosati quale il lucano Il Rogito I.G.T. Cantine del Notaio di Aglianico del Vulture. Si tratta, in ogni caso, di una miriade di etichette molto famose, scelte personalmente dal direttore Ceccherelli. Artù n°50
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di Luisa Contri Uno più uno, a Venezia, fa tre, se a sommarsi sono due nomi simbolo come Alajmo, icona dell’alta ristorazione con le Calandre di Rubàno (Pd) e Quadri, pietra miliare dell’ospitalità all’ombra delle Procuratie Vecchie di piazza San Marco. “L’affiancamento del nostro nome a quello del Gran Caffè e Ristorante Quadri”, assicura ad Artù Raffaele Alajmo, “ha dato una visibilità internazionale istantanea al locale. È stato lo stesso personale, che abbiamo rilevato dalla Raffaele Alajmo con i calici in vetro precedente gestione Ligabue, a segna- soffiato di Mario Reggiani. larci che la clientela di colpo era cambiata”. Ai turisti in visita a Venezia, tuttora la tipologia prevalente di clienti di questo storico locale aperto nel 1775, e ai veneziani, che stanno tornando a frequentarlo, la famiglia Alajmo ha inteso proporre la sua offerta ristorativa completa. E da novembre scorso ha affiancato all’ormai ben avviato Ristorante Quadri, al primo piano, l’Abc Quadri, ossia la sua formula più informale, già sperimentata con successo nella club house del ristorante La Montecchia a Selvazzano Dentro, una ventina di chilometri dal centro di Padova, ai piedi dei Colli Euganei. Due volte al giorno, all’ora di pranzo e a cena, la sala Ponga del Gran Caffè Quadri – quella a destra entrando, con i quadri Artù n°50
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dell’artista Giuseppe Ponga incastonati negli stucchi verdi e gialli alle pareti – si trasforma dunque nel ristorante Abc Quadri: una quindicina di tavolini da due in tutto, mise en place raffinata e che si rifà allo stile dei locali gestiti dagli Alajmo. Non potevano mancare i calici in vetro soffiato artigianalmente, e la possibilità di poterli acquistare direttamente nel ristorante. Servizio professionale e attento: sono due/tre i camerieri che si occupano della sala Ponga, sui 15 complessivi che servono i clienti seduti ai tavolini del Gran Caffè in piazza. Rispetto al ristorante al primo piano, l’Abc Quadri, come anticipato, è più informale ed essenziale: tavoli di dimensioni più piccole, tovagliette che coprono solo il piano del tavolo (non hanno cioè la caduta), e un sacchettino di carta come cestino del pane. “Il pane però” sottolinea Alajmo “è a lievitazione naturale ed è quello che serviamo anche al ristorante. Stesso discorso
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vale per i grissini, per l’olio extravergine d’oliva, per le carni, per il pesce, rigorosamente pescato e non di allevamento (il fornitore è Marco Bergamasco il pescatore con uno dei più bei banchi di pescato di laguna del mercato di Rialto, ndr), e per tutti gli altri ingredienti impiegati in cucina. Nell’Abc mettiamo infatti la medesima attenzione e applichiamo la stessa filosofia della ricerca e della qualità delle materie prime, che i clienti trovano negli altri nostri ristoranti”. Identica è anche la mano. L’Abc Quadri e il Ristorante Quadri condividono, d’altronde, la medesima brigata. La 'sporca dozzina', come la definisce scherzosamente Raffaele Alajmo, è diretta dal primo chef Silvio Giavedoni, coadiuvato dal suo secondo, Denis Mattiuzzi. E lavorano ovviamente sotto la supervisione di Massimiliano Alajmo. “Le uniche differenze fra il ristorante e l’Abc” prosegue Alajmo, “stanno nel fatto che la cucina di quest’ultimo, come suggerisce il nome, è semplice, semplice, semplice. Il filetto di vacchetta piemontese, per esempio, è soltanto scottato alla griglia e proposto con un po’ di sale di Maldon, un filo d’olio extravergine e del radicchio condito con un goccio d’aceto. E anche il servizio è stato spogliato dei corollari: per esempio lo snack di benvenuto e i due cioccolatini di commiato”. Una semplicità, quella della cucina dell’Abc Quadri, comunque impegnativa, considerando che la cosa più difficile è garantire la perfetta riuscita dei piatti meno elaborati. Proprio quelli su cui punta l’Abc Quadri, orgogliosamente impegnato a dimostrare la differenza che corre fra un ristorante d’alta qualità e i tanti locali veneziani 'per tu-
risti'. Nel menu dell’Abc Quadri figurano piatti simbolo della cucina italiana: dagli spaghetti alle vongole ai cannelloni gratinati al ragù, alla pasta e fagioli con i maltagliati (nella carta invernale c’erano anche gli spaghetti al pomodoro e aglio olio e peperoncino). “ Sono proprio quei piatti” osserva Alajmo “che i ristoranti per turisti usano come esca per attrarre la clientela straniera e che noi italiani non ci sogneremmo mai d’ordinare in tale contesto”. E nel menu non potevano mancare alcuni dei piatti tipici veneziani, come la degustazione di cicchetti, lo scartosso de pesse fritto alla venexiana con salsa Quadri, subito affermatisi come best seller, insieme agli spaghetti con le vongole. Quest’inverno c’erano anche le sarde in saor con polenta, il lotregrano (ossia il pregiato cefalo dorato) arrostito con senape, erbe e patate tostate. Né potevano mancare le selezioni di salumi tagliati al momento con l’affettatrice a volano (all’Abc è di color verde, come il medesimo pantone degli stucchi), la culaccia di Parma con mostarda di pere di Max, le selezioni di formaggi e alcuni piatti d’ispirazione internazionale, come i club sandwich (nel menu della passata stagione figurava anche pollo fritto, salsa Quadri e insalata di rape ed erbette). Essenziale, ma completa la carta dei vini con una decina di bollicine fra prosecco, franciacorta e champagne, sei bianchi, altrettanti rossi, tre vini dolci, in maggioranza proposti anche al calice. E nulla impedisce ai clienti dell’Abc di scegliere vini della carta del ristorante Quadri. “Succede spesso” riferisce Alajmo “anche perché la cantina è di fronte ai servizi igienici, al mezzanino, quindi gli appassionati si rendono conto che c’è un’offerta importante e ci chiedono di poterne godere”. E la flessibilità con cui gli Alajmo hanno scelto di gestire il Gran Caffè & Ristorante Quadri sta dando i risultati sperati: “Il fatto che oggi si possa consumare un caffè al banco, senza necessariamente doversi sedere al tavolo e spendere 5-6 euro” evidenzia Alajmo “ha fatto riscoprire il locale ai veneziani. Poco dopo il nostro arrivo il bar aveva già triplicato gli scon-
trini e, con il semplice passaparola, la clientela locale si è resa conto che oltre che per un caffè, può venire da noi per un aperitivo accompagnato da due cicchetti, per un pranzo informale o per una cena importante. Già prima di Pasqua il 5-10% della nostra clientela era costituita da residenti”. E se in bassa stagione l’Abc Quadri ha fatto il pieno, o quasi, tutti i mezzogiorno e almeno una decina di coperti la sera, con l’arrivo della bella stagione gli Alajmo contano di fare il pieno tutti giorni e anche di sera, magari a rotazione su due turni, considerato che c’è chi cena alle 19,00 e chi alle 22,00. Dal 1° aprile fino al 31 ottobre l’Abc sospenderà la chiusura settimanale del lunedì (che resta invece confermata per il Ristorante Quadri). Per il momento non sono previste variazioni d’orario per il servizio Abc: dalle 12,00 alle 15,00 a mezzogiorno e dalle 19,00 alle 22,30 la sera. “Valuteremo in seguito se estendere i tempi d’apertura della cucina la sera” riferisce Alajmo. “Tutto dipenderà dallo stato fisico e mentale della 'sporca dozzina'”. I ritardatari potranno pur sempre placare un eventuale languorino consultando la carta del Gran Caffè, che resterà aperto tutte le sere fino alle 2,00 di notte.
Qui in alto da sinistra: il primo chef Silvio Giavedoni, i fratelli Alajmo Massimiliano e Raffaele e a destra il secondo chef Denis Mattiuzzi.
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casione per scoprire come una brigata di chef, affiatata e che non smette mai Il 2012 per La Credenza è partito di sperimentare e di guardarsi attorno, molto bene. La crisi non ha proprio sia in grado di riassumere in ciascun bussato alla porta di questo ristorante piatto localismo e internazionalità, di stellato di San Maurizio Canavese, reinventare ricette tipiche della cucina 20 km a nord di Torino, dove la gente piemontese, dando modo al cliente di va e torna di nuovo, per gustare una riconoscere e assaporare ingredienti e cucina “fusion, ma non confusion”, abbinamenti di gusto codificati e classici, come la definisce Giovanni Grasso, lo ma anche di creare piatti inediti, curiosi chef patron cui si deve la nascita del e sorprendenti, abbinando materie prime locale 21 anni fa. d’eccellenza sia a km zero, sia del lontano oriente. La Credenza è insomma A far sì che i 10-12 tavoli de La Credenza un ristorante ove trascorrere una piacevole siano quasi sempre tutti occupati e che serata in un’ambientazione raffinata e il 70-80% della clientela ordini il menu allo stesso tempo calda e familiare, degustazione o quello gastronomico, è coccolati ed esauditi in ogni desiderio – il fatto che una cena in questo ristorante al di là di quanto è la norma in un ristoè un’esperienza sempre nuova. È un’oc- rante stellato – da Grasso, sempre di-
sponibile a spiegare ogni piatto, per consentire a ciascuno di apprezzarlo al meglio, e da sua moglie, la sommelier Franca Pulcini. Perpetuando la tradizione dei cuochi piemontesi dei secoli passati, divenuti famosi per ricette fusion perché abbinavano ingredienti di terra, di produzione locale, ad altri di mare, provenienti da più lontano – si pensi al vitel tonné o alla bagna càuda – e per la sapiente lavorazione di materie prime di altri continenti, come il caffè e il cioccolato, Grasso e il suo socio, lo chef stellato Igor Macchia, propongono una cucina che in vent’anni si è sempre rinnovata, grazie alla sperimentazione quotidiana di nuovi ingredienti e di nuove tecniche di cottura. Con la scusa di portare la sua cucina all’estero Grasso e Macchia
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hanno sempre viaggiato molto e hanno così avuto modo di scoprire e apprendere come utilizzare materie prime di terre lontane. Ingredienti esotici che hanno inglobato nelle loro ricette. I loro viaggi sono stati anche occasione per cogliere le nuove tendenze del gusto e per proporsi sul mercato in modo originale, mettendo in ogni loro servizio quel tocco personale che consente loro di non subire e dover seguire mode imposte da altri. Proprio in queste settimane, per esempio, Macchia ha affidato la cucina a Grasso, al secondo chef Ivan Onorato, alla chef-pasticcera Chiara Patracchini, a Takaaki Tanaka e ai quattro ragazzi della “primavera” per andare a lanciare La Festa, il nuovo ristorante dell’hotel 5 stelle Grand Victoria di Taipei sull’isola di Taiwan. “È vero che bisogna innanzitutto valorizzare gli ingredienti principali del proprio territorio”, afferma Grasso, “ma senza rigidità. Nella nostra cucina diamo spazio alla carne di fassone piemontese, al tartufo, al peperone di Carmagnola… Se si vuole fare una cucina più varia, divertente, intrigante, non si può però prescindere dall’impiego di tanti altri ingredienti. Non bisogna porsi dei limiti”. È così che nel menu de La Credenza convivono piatti di respiro internazionale come le cappesante scottate, passata di finocchi, daikon e pomodoro con-
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fit o l’agnello marinato nel caffè, salsa al mais e germogli aromatici. E piatti che reinterpretano la cucina piemontese come i ravioli farciti con salsa verde, lingua scottata e spinaci freschi o il risotto ai peperoni rossi e acciughe con salsa al prezzemolo. “Nella cucina piemontese”, spiega Grosso, “il peperone arrostito con sopra un filetto d’acciuga e un battuto di prezzemolo si mangia come antipasto. Il gusto codificato di quest’entré i nostri clienti lo ritrovano in un primo gustoso, ma leggero. Cuociamo infatti il peperone alla brace, poi lo inseriamo in un sacchetto e lo facciamo raffreddare nel ghiaccio. Quindi estraiamo il peperone dal sacchetto, lo puliamo, lo frulliamo e lo teniamo al freddo. Filtriamo l’acqua che si è formata nel sacchetto e con questa facciamo partire il risotto, evitando così d’impiegare il vino bianco. Proseguiamo la cottura del riso bagnandolo con del brodo vegetale e, a fine cottura, lo togliamo dal fuoco e lo mantechiamo con la polpa frullata fredda del peperone. In questo modo, quasi non aggiungiamo burro, perché usiamo il freddo per stabilizzare gli amidi del riso. Serviamo poi il risotto con un filo d’olio extravergine d’oliva, della clorofilla di prezzemolo e un pezzetto d’acciuga”. La sperimentazione, oltre che una passione condivisa da Grasso e Macchia, è comunque un’esigenza per questo ristorante. La localizzazione fuori città e da itinerari turistici di richiamo, fa sì che la clientela de La Credenza sia costituita principalmente da torinesi e da persone che risiedono in località a non più di un’ora di percorrenza in macchina. Quasi assenti avventori di passaggio. “Far in modo che i clienti tornino”, evidenzia Grasso, “è vitale per noi. Da questa esigenza sono derivate alcune scelte impegnative in termini sia organizzativi che economici, ma che hanno fin qui funzionato”. Innanzitutto quella di rinnovare costantemente il menu, per assecondare il desiderio di novità degli habitué. E questa è un tale must che Grasso vive le recensioni delle guide come una sorta di freno alla creatività sua e della sua brigata. Oltre a rinnovare la carta a ogni cambio di stagione, mantenendo
fissi alcuni piatti recensiti sulle guide appunto, l’offerta de La Credenza è resa sempre diversa dall’inserimento di proposte del giorno, che non figurano nel menu. Può essere il caso, per esempio, di un dessert a base di fragole di Tortona, reperibili sul mercato soltanto 15 giorni l’anno. Altra scelta di Grasso è quella di coccolare i clienti, essendo estremamente flessibile. Diversamente da quanto avviene di norma nei ristoranti di pari rango, il menu degustazione (due antipasti, due primi, un secondo e il dolce) e quello gastronomico (tre antipasti, tre primi, due secondi e il dolce) non sono predefiniti. Grasso consente ai clienti di scegliere i piatti fra quelli presenti in carta, consigliando il percorso più equilibrato, ma assecondandone sempre gusti ed eventuali esigenze personali. Alcuni piatti possono essere adattati per venire incontro a vegetariani o intolleranti al glutine o ad altri specifici alimenti. La scelta di un menu degustazione o gastronomico non vincola poi tutti i clienti che siedono allo stesso tavolo. Grasso lascia insomma libertà ai commensali di optare per un percorso completo nella cucina de La Credenza o di mangiare à la carte. Una coccola, oltre che un segno di profondo rispetto per il cliente, va poi considerata l’attenzione di tutto il personale di sala de La Credenza (comprese quindi Sandra Manierato e Monica Sbardella) a che i clienti si sentano sempre a loro agio. Ne viene assicurata la privacy, evitando il sovraffollamento delle tre sale che compongono il locale (quella piccola con un solo tavolo vicino alla cantina, appena ristrutturata
prima di Pasqua, quella del quadro rosso, con i suoi cinque tavoli da due persone, risistemata a inizio anno, e quella che si affaccia sul giardino con sei tavoli più grandi), ma anche il deprimente effetto deserto, distribuendo correttamente i gruppi di commensali ai tavoli. Per quanto sia una componente minoritaria, Grasso ha pensato a una proposta a misura anche dei clienti stranieri di passaggio. I viaggiatori costretti a sostare diverse ore nell’aeroporto torinese di Caselle, prima di reimbarcarsi su un altro volo, possono ingannare piacevolmente l’attesa avvalendosi del servizio “La Credenza eat and... fly”. Su prenotazione una navetta andrà a prelevarli in aeroporto e li porterà al ristorante dove li aspetterà un menu ispirato alla cucina piemontese, composto da uno stuzzichino, un primo, un secondo, un predessert, un dolce, acqua e un calice di vino. Il tutto, compreso il viaggio di andata e ritorno dall’aeroporto, a un costo più che ragionevole: 40 euro a persona. Già, perché nonostante tutte le attenzioni profuse, i prezzi de La Credenza sono decisamente contenuti. Il menu degustazione è proposto a 75 euro a persona (90 euro con i vini in abbinamento) e quello gastronomico a 90 euro (110 vini inclusi). Il coperto non si paga e anche i ricarichi sui vini, tutti ordinabili anche al calice, sono contenuti. A proposito di vini va specificato che l’ampia carta consultabile dal cliente su iPad, prevede un centinaio di etichette fra spumanti e champagne. Fra i vini fermi il territorio è ben rappresentato. A un 40-50% di etichette piemontesi si Artù n°50
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come anticipato, la scelta dei menu degustazione o gastronomico da parte della maggioranza dei clienti del locale. Cosa non così scontata di questi tempi in altri ristoranti di pari livello. Fra i servizi di corollario de La Credenza non mancano le lezioni di cucina, sia per privati, sia per gli allievi degli istituti alberghieri o il personale di piccole catene di ristoranti, e la cucina a domicilio (anche solo per due persone) o il catering per eventi (fino a 500 persone) e le iniziative editoriali: è appena uscito il volume La Credenza-The new season. affiancano quelle delle principali regioni enologiche italiane ed estere. Tutti vini scelti accuratamente in modo da valorizzare le diversità di ciascun territorio: la mineralità dei vini del Trentino o la sapidità di quelli del Centro-sud Italia. Proprio l’equilibrio fra componenti come la gradevolezza e originalità della cucina, abbinata alla leggerezza, frutto di un ricorso moderato e sapiente di grassi e condimenti; la diversità e l’alternanza dei piatti a base di carne, pesce e verdure, accompagnata a porzioni calibrate così da consentire di arrivare al dolce senza sentirsi eccessivamente appesantiti quando si opta per i menu; la flessibilità che viene incontro alle preferenze di ognuno, unita a prezzi alla portata di tutte le tasche, favoriscono,
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Quando si mangia quel che “PASSA IL CONVENTO” di Isa Grassano La zuppa del monaco, servita in una ciotola di terracotta? La preparano all’Abbazia Benedettina della Santissima Trinità a Cava de’ Tirreni (Salerno), seguendo un’antica ricetta. Il tartufo monacale è, invece, il fiore all’occhiello delle consorelle benedettine di Sant’Antonio Abate a Norcia. Nel silenzio di abbazie e conventi, i religiosi, oltre a pregare e lavorare, secondo il motto “ora et labora”, pensano anche al benessere delle persone laiche, offrendo cibi genuini, tramandati di badessa in badessa, di superiore in superiore, preparando prodotti artigianali nel segno della qualità e in armonia con la natura, dando ospitalità per la notte. Ciascuno con le proprie regole.
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Chi accetta solo uomini o solo donne; chi solo famiglie o gruppi; chi solamente persone desiderose di fare un ritiro spirituale. Ovunque, diventa un’occasione per prendersi una pausa dalla frenesia della vita moderna, ritrovare se stessi e stare a contatto con una vita semplice. Come semplici sono i piatti e i prodotti che “passa” il convento e che mantengono i profumi e i tempi delle stagioni. Scopriamo allora alcune di queste mense “ispirate”, ben lontane dalla fama di mistici e severi digiunatori che si è creata attorno a frati e suore. All’Abbazia Benedettina di Cava de’ Tirreni, il piatto forte, si diceva, è la zuppa del monaco, preparata con fagioli e salsiccia, farro, spezie aromatiche, alloro e fiori di sambuco. Ma alla tavola del refettorio, con una spesa di circa 20 euro, non mancano le
linguine alla monastica, improvvisate al momento con gli ingredienti disponibili in dispensa o la pasta della casa con pomodorini e rucola. Anche le religiose Cassinesi di Sant’Antonio Abate a Norcia hanno una particolare attenzione alla tavola, oltre al tartufo monacale, una sorta di pesto da utilizzare come condimento per la pasta, la carne e i crostini, utilizzano i frutti del loro orto o il loro miele, un millefiori di
montagna. Sempre in Umbria, nel centro storico di Bevagna, si trova il Monastero delle Monache Benedettine di Santa Maria del Monte. Vengono accolti famiglie e gruppi (30 stanze, con servizi privati) e la cucina è genuina e abbondante. Da assaggiare gli gnocchi ripieni di carne. Ha scelto di adeguarsi al correre dei tempi e sa miscelare raccoglimento e svago anche il Convento di Montecasale, a Sansepolcro, ad Arezzo, piccolo gioiello dell'architettura povera francescana, incastonato nel verde folto dei boschi. Conserva 20 ceramiche del 1667 narranti i prodigi di San Francesco, che qui vi dimorò nel 1212. Si può condividere la tavola con i frati, oppure prepararsi i pasti da soli. Accanto alla possibilità di mangiare, si possono acquistare un po’ dappertutto i prodotti gastronomici negli spacci
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Gli indirizzi Abbazia Benedettina della Santissima Trinità Cava de’ Tirreni (Salerno) Foresteria per soli uomini in ritiro spirituale. Vendita di prodotti tipici Tel. 347 1946957 - www.badiadicava.it Monastero di Sant'Antonio Abate Norcia (Perugia) Oltre ad offrire il vitto ci sono 70 posti letto. Le camere hanno servizi privati. Le suore suggeriscono vivamente di partecipare alla giornata liturgica. Tel. 0743 828208 Santa Maria del Monte Bevagna (Perugia) Non è necessario condividere la vita monastica. La struttura consente agli ospiti di essere piuttosto liberi negli orari di entrata e di uscita. Il costo del soggiorno varia da 20 euro al giorno per il solo pernottamento fino a 46 euro per la pensione completa. Tel. 0742 360133 Convento di Montecasale Sansepolcro (Arezzo) È isolato in mezzo ai boschi. Sette camere per soli uomini. Tel 0575742648 Monastero di Subiaco Roma I metodi usati per preparare infusi e tisane sono quelli della tradizione. Anche vendita on line. Tel. 0774 822862 - www.benedettini-subiaco.org Monastero benedettino di San Michele Mazara Del Vallo (Trapani) La specialità? I “muccunetti”, bocconcini di pasta di mandorle. Tel. 0923 942491 La Monasticheria Milano Specialità provenienti da 17 monasteri. Non solo prodotti per la tavola ma anche unguenti, creme ed elisir per la cura del corpo. Tel. 02 3088042 - www.missioni.org La Badessa Torino Ristorante che evoca le atmosfere di un refettorio, dove assaggiare la cucina monastica. Tel. 011 835940 - www.labadessa.net
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decorano la chiesa sono un curioso contrappunto alla vita “chiusa” dietro le mura. Per fare shopping di liquori, preparati secondo la tradizione, si può degli eremi. Non si vedono, ma si pos- fare tappa al monastero di Subiaco a sono immaginare mentre armeggiano Roma, prescelto da San Benedetto. in cucina per preparare i buonissimi Tra le specialità ci sono il Limoncino “muccunetti”, bocconcini di pasta di di Padre Bernardo e il Nocino di fratel mandorle e ripieni di frutta candita, Giuseppe. E se non si vuole andare diavvolti uno per uno nella carta argentata. rettamente alla fonte, basta recarsi a Sono le suore del monastero benedet- Milano, per degustare ed acquistare tino di San Michele, a Mazara Del una selezione delle bontà gastronomiVallo, che fanno passare i sacchetti at- che preparate da “mani benedette”. È traverso la ruota claustrale. L’aria è nata “la Monasticheria” dei Frati Misinebriata dal profumo di forno, mentre sionari Cappuccini lombardi che ragle statue di donne drappeggiate che gruppa eccellenze di 17 monasteri. Vi si trovano grappe e amari dell’Abbazia delle Tre Fontane a Roma, la tisana di erbe essiccate prodotta da una formula della farmacia dell’Abbazia di Novacella (nei pressi di Bolzano); i quadretti di propoli e miele dell’Abbazia di Praglia (vicino Padova), ad alto potere nutriente; olio, pistilli di zafferano e peperoncino sono forniti dal Monastero di Siloe, Poggi del Sasso (Gr). E ci sono persino i biscotti artigianali, senza aggiunta di conservanti, che arrivano direttamente dal Monastero di Betlemme. La novità? Il «Pranzo missionario», kit da 22 euro, un pasto completo per 5 persone, e i guadagni sono devoluti ai bisognosi in terre lontane.
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Non è gestito direttamente da suore, ma l’atmosfera è quella tipica di un refettorio monacale, tanto da chiamarsi “La Badessa”, un ristorante singolare, all’interno di un palazzo nobiliare nel centro di Torino. È dedicato al personaggio di una nobile badessa, vissuta in Piemonte nel 1800, che dopo aver lasciato gli abiti sacri per amore di un soldato, prestò servizio nelle cucine della corte dei Savoia, diventando bravissima ai fornelli e nascondendo a
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lungo la sua vera identità. Le sale sono ricche di sculture lignee e quadri di arte sacra, frutto della passione della proprietaria Rossella Ratclif che proprio andando alla ricerca di questi pezzi da collezione, è entrata a contatto con la cucina dei monasteri (ha scritto anche il libro “La cucina della Badessa”). La carta, ovviamente, è la summa di queste antiche proposte: baccalà alla cappuccina, zuppa di quaresima con ceci e verza, “macarùn del fret à la piemonteisa” (maccaroni al ferretto). Ricette che soddisfano il palato, nutrono l’anima e sono la chiave d’accesso al Paradiso del gusto.
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di Fiorenza Auriemma In un periodo nel quale gli chef sono così presenti, intervistati, protagonisti e ricercati da rischiare a volte la sovraesposizione nonché di diventare più noti dei loro stessi piatti, è piuttosto fuori dagli schemi la genesi, la gestione e la filosofia della nuova era di un locale di Milano, dove non esiste una ‘prima donna’, bensì un team di persone che con competenze, storie e tempi diversi lavorano insieme per farlo crescere. Il ristorante in oggetto è Piazza Repubblica, in via Manunzio all’angolo con Finocchiaro Aprile: poco lontano dalla Stazione Centrale e dalla omonima grande piazza della metropoli lombarda, si trova in un angolo piuttosto appartato e non certo di passaggio. E questo, si sa, non aiuta a farsi conoscere né ad assicurare il ‘tutto pieno’ a prescindere. Se a ciò si aggiunge che chi è subentrato alla precedente conduzione ha scelto di lasciare invariato il nome, con tutto quanto una simile decisione – nel bene e nel male – può comportare, è chiaro che siamo di fronte a una voce fuori dal coro. Per dare un volto e un nome a questa ‘eccezione’ è ora d’obbligo lasciare la parola ai patron, ovvero tre fratelli, professionisti e con vite e carriere separate, però con una grande passione in comune, ovvero quella della cucina ‘come si deve’. “Il tutto è nato con l’intento di non prenArtù n°50
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derci troppo sul serio, facendo però una cosa seria, e da un’idea che ha preso spunto da diversi motivi. Il primo è che noi tre abbiamo sempre fatto molte cose insieme, e poi da tempo avevamo voglia di mettere piede nel settore della ristorazione”. Inizia così il racconto di Matteo Bernasconi, il quale molto cortesemente si presta a fare da portavoce per gli altri due fratelli che condividono con lui l’avventura: Giorgio, di professione avvocato, e Marco che invece è architetto, mentre lo stesso Matteo si occupa da sempre di assicurazioni. Di origini comasche, i tre Bernasconi qualche anno fa cominciano a pensare di investire – a fianco delle loro rispettive attività – soldi ed energie per aprire una trattoria ‘come quelle di una volta’, dove poter condividere con i clienti i piatti della tradizione milanese e comasca. Poi però il caso mette sulla loro strada questo locale di Milano, e così decidono di buttarsi in un qualcosa di diverso dal progetto iniziale, ma solo fino a un certo punto. Perché ciò che colpisce di Piazza Repubblica è proprio questo: è sì un locale elegante, curato e accogliente, dove i piatti richiedono da parte dell’avventore attenzione e rispetto, però con una sensazione di ‘familiare’ e di ‘antico’ che mette come prima cosa a
proprio agio, e quindi apre la porta a un’esperienza culinaria che lascia il segno senza intimidire né frastornare. “Ovviamente, dato che non avevamo le conoscenze per affrontare in modo adeguato questa nuova sfida”, prosegue Matteo Bernasconi, “ci siamo avvalsi dell’appoggio, dei consigli e della regia iniziale di persone del settore nostre amiche. Prime fra tutte Maurizio Vaglia, proprietario di MGM, grande esperto e commerciante di tartufi e molto noto tra i ristoratori perché fornisce loro materie prime e specialità; e lo chef Sergio Mei, per l’impostazione del menu”. Ed è proprio dalle cucine del Four Seasons – il regno di Mei - che arriva il giovane chef di Piazza Repubblica: Pietro Penna, pugliese di nascita e cittadino del mondo della gastronomia e della ristorazione d’hotel: a soli 28 anni è infatti a capo di una ridotta ma efficiente e affiatata brigata che nelle cucine di Piazza Repubblica lavora sette giorni su sette. Perché questa è un’altra delle caratteristiche di un ristorante molto concreto e per niente modaiolo: essere aperto sempre, compresa la domenica, giorno nel quale i milanesi che vogliono uscire a pranzo o a cena hanno una scelta decisamente ristretta. “Abbiamo pensato di proporre una sorta di anti-bruch, a 40-50 euro,
puntando su quello che un tempo si chiamava ‘il pranzo della domenica’ e vedeva riunita tutta la famiglia a tavola”, interviene Giorgio Bernasconi. E così, coppie e nuclei familiari che nei giorni di festa vogliano mangiare bene senza spadellare in proprio, possono contare sul menu domenicale di Piazza Repubblica, che comprende anche una versione su misura per i bambini. “Siamo partiti in sordina nel maggio del 2010, senza grandi investimenti in comunicazione e puntando invece a consolidarci e farci conoscere anche tra gli stranieri che sono molti in questa zona”, aggiunge Matteo. “La sfida principale è stata far comprendere la cucina del locale che punta senz’altro in alto, con materie prime di grande qualità, una notevole cura nella preparazione, però con molti richiami alla nostra storia, personale e italiana”. Il dialogo tra proprietà e chef è importante nell’impostazione dei tre fratelli Bernasconi, perché ognuno apporta del suo. Così, ogni tre-quattro mesi circa, quando si tratta di cambiare il menu, i componenti del team – dai tre fratelli proprietari allo chef, al suo secondo Francesco Grassitelli (milanese trentenne), al direttore di sala Edi Beqja – si riuniscono e propongono, preparano, assaggiano, commentano, fino a trovare un accordo soddisfacente per tutti. E che sia accattivante per gli ospiti, ovviamente, molti dei quali apprezzano anche la cantina ben fornita di etichette italiane e qualche francese. “Sia attraverso il nostro sito del locale in inglese e russo, sia grazie a diverse recensioni su siti internazionali dedicati, pian piano abbiamo allargato e consolidato la nostra clientela, che per il 50% circa arriva da fuori Italia ed è in sintonia con la cucina di Piazza Repubblica, forse proprio perché fonde quella milanese e mediterranea con un tocco di creatività dello chef”. E così che sono nati piatti come il polpo arrosto laccato alla senape con la stracciatella, la zuppetta di farro e lenticchie con quenelle di carne cruda al rafano e pane carasau al rosmarino, il risotto alla milanese con sugo d’arrosto, la composizione di branzino, scampo arrostito e vongole con patate bollite allo scalogno e broccoletti, la cotoletta di vitello alla milanese con rucola e pomodorini. “Allo chef però chiediamo di
proporre anche piatti che ci ricordano la nostra infanzia, come i dolci a base di zabaione, o il guanciolo di manzo e anche gli spaghetti con le vongole”, chiosa Matteo Bernasconi. Perché, in fondo, lo scopo dei tre fratelli è sì portare avanti un’impresa, ma che li rispecchi e faccia sentire ‘a casa’ anche loro. “Vorremmo che il nostro fosse considerato un ristorante di famiglia che fa onore alla famiglia”, precisa Matteo, “con piatti che si sposano con la nostra realtà e storia, e con la voglia dello chef di cimentarsi con qualche cosa di innovativo. Il tutto, cercando un’armonia prima innanzitutto tra di noi, così che poi la possa percepire anche il cliente e trovare qui da noi un clima piacevole e rilassante. Puntando anche sulla limpidezza, a cominciare dal menu – identico a pranzo e cena – e dalla lista dei vini, entrambi consultabili direttamente sul sito ”.
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De light, il GUSTO diventa sostenibile A concepire questo format, che intende conciliare delizia del palato e leggerezza Gusto e leggerezza possono benissimo appunto, non poteva che esserci una andare a braccetto. A dimostrarlo ai donna-manager, sensibile all’esigenza milanesi vuole essere “de light”, il di tanti colleghi e colleghe di mantenere ristorante bar caffè che da metà no- la linea nonostante le frequenti colazioni vembre scorso ha aperto i battenti di lavoro, senza per questo dover sacriin via Ponte Vetero 13, nel cuore di ficare il gusto. Stiamo parlando di RoBrera. E che ha fatto di una cucina berta Antonioli, titolare dell’agenzia di con pochi grassi, ma tanto sapore, il public relations Halas, specializzata nella comunicazione di brand del luxury suo leit motiv. food & beverage, che sfoggia un impeccabile physique du rôle, e della sua socia e collaboratrice in Halas: Jane Cardani. A una clientela curiosa e attenta alle novità, di fascia alta quindi, Antonioli e Cardani dedicano dunque questo locale, il cui menu è tutto meno che punitivo, monotono e insapore come una bistecchina ai ferri. E il cui pay off “my food my life my style”, vuol significare che de light può essere un vero e proprio stile di vita, improntato al benessere-bellessere e a una semplicità comunque chic. Consapevoli del fatto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, le due anfitrione si sono affidate a uno chef esperto per tradurre in un menu completo il concetto di leggerezza-delizia del palato che avevano in mente. Chef che ha ideato il menu invernale del de light e individuato e istruito colei che è diventata la chef del locale: la ferrarese Vania Ghedini, giovanissima (ha solo 24 anni) diplomata dell’Alma, con alle spalle due stages in altrettanti ristoranti stellati di Parigi e una precedente esperienza come chef del Ristorante Villa Donna Mazza a Lamezia Terme, insieme a un altro allievo dell’Alma, Antonio De Fazio. “Entro il prossimo inverno”, assicura Antonioli, “Vania sarà autonoma in tutto e per tutto. Ha già creato alcuni piatti del nuovo menu primaverile, ancora impostato insieme al nostro consulente. Per lei fare una cucina de light è diventata una mission, un’impegno che ha sposato in pieno”. Attenzione alla qualità delle materie prime, spesso biologiche o biodinamiche, a km zero, ma anche di provenienza estera. Modalità di cottura: alla piastra, al vapore, a bassa temperatura, in tegami antiadi Luisa Contri
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derenti che consentono di ridurre al massimo l'uso di grassi. Abbinamento degli ingredienti ad arte per esaltarne il gusto. Questi sono i capisaldi della cucina de light che mira a soddisfare il palato della clientela, per esempio, con il sapido salmone norvegese cotto al vapore e ripassato in padella antiaderente con spinaci saltati in padella antiaderente, decorato con caramello di birra, in realtà una vera e propria riduzione di birra: ”Il piatto è materia prima pura”, sottolinea Antonioli, “perché l’unico condimento che contiene è la riduzione di birra. Ciononostante è un’esplosione di gusto e di profumi”. Oppure con la versione de light della cotoletta alla milanese: una dadolata di filetto di vitello cotta al forno e ripassata in padella antiaderente, tuffata ancora ben calda nell’uovo sbattuto e quindi nel pan grattato caldo e dorato, appena tostato in padella antiaderente. “L’accompagniamo con della misticanza”, precisa Antonioli, “condita con una maionese senza uova né olio, fatta con senape all’antica. Una salsa la cui ricetta è un segreto di Vania, al pari della ‘maionese’ di barbabietola”. De light sono anche i dessert, a base di frutta abbinata a massa di cacao amaro (la parte del cioccolato priva di burro di cacao) o a spuma di yogurt al naturale, che sembra panna. A riprova che quella del locale di via Ponte Vetero non è una cucina punitiva, da dieta stretta, il fatto che proponga ogni giorno un piatto della trasgressione. “Di solito è un primo”, spiega Antonioli, “cucinato in modo tradizionale e con un apporto normale di grassi. Un esempio può essere la pasta cacio e pepe”. E anche la scelta d’abbinare ai cibi il vino, non soltanto l’acqua. Champagne al calice, Veuve Chicquot e Krug in primis, o Franciacorta o Prosecco di Valdobbiadene per l’aperitivo. E ancora vini fermi bianchi e rossi sia italiani che esteri, in gran parte biologici e biodinamici di piccole cantine, sempre disponibili anche al calice. “Per declinare il concetto di leggerezza nel vino”, spiega Antonioli, “abbiamo pensato alla semplicità, alla trasparenza produttiva, alla versatilità.
Di qui la scelta delle bollicine, che si adattano a tutto pasto, e dei vini da uve bio”. Leggerezza che non è necessariamente prerogativa di vini a bassa gradazione alcolica. Nella carta figurano infatti anche vini rossi sardi come il Cannonau di Sardegna Mirei o il Pedra Rubia dell’omonima cantina. Tipicamente femminile, ancora una volta, la scelta di ricorrere a diversi tipi di tessuti per spiegare le differenti caratteristiche dei vini in carta. Gli champagne eleganti e aristocratici sono dunque assimilati al georgette, le bollicine italiane al taffettà, i rossi corposi al damascato, i bianchi leggeri e delicati allo chiffon e così via. Semplicità e flessibilità caratterizzano anche l’impostazione più complessiva dell’offerta de light. L’ambientazione del locale è cheap-chic con pavimento e soffitto grigio effetto cemento, pareti Artù n°50
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e tavoli color beige, seggioline di design, tovagliette in cotone grezzo rigorosamente non stirate. Veloce ed efficiente il servizio al tavolo. Ampi gli orari d’apertura. Dalle 9,00 a mezzanotte, infatti, il de light fa servizio bar, fino alle 11,00 si servono le colazioni, dalle 12,00 alle 15,30-16,00 si può pranzare e dalle 18,00 alle 24,00 si può prendere l’aperitivo al banco o si può cenare. Oltre che mangiare à la carte (la spesa media sarà di 25-30 euro a mezzogiorno e di 40 euro la sera, vini esclusi), da questa primavera, sia a pranzo che a cena, si può optare per il menu degustazione: il costo è di 40 euro vini esclusi e il menù si compone di sette portate in versione tapas (mezze porzioni scarse), incluso il dessert. A mezzogior-
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no si può inoltre optare per il menu fisso (da 15 euro, acqua e caffè inclusi) e da dopo il Salone Internazionale del Mobile si potrà acquistare il lunch box take away. In vendita ci sono anche tutti i vini in carta e una selezione di specialità food esposte nelle nicchie lungo le pareti della sala.
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ASSAPORA il territorio, senza esserne schiavo di Davide Bernieri
Hotel. La sala dell’Assapora di Parma è piccola e minimalista, pavimenti di Assapora, ristorante aperto all’in- ardesia grigia e uso del bianco mateterno dell’Ora Hotel di Parma, non rico per le pareti e i complementi di vive la parmigianità e la 'padanità' arredo, una cinquantina i coperti. La (la brigata ha un’alta densità di filosofia è semplice: ricerca delle mibresciani) come punto di approdo, gliori materie prime di terra e di mare, ma fa vivere la dimensione dell’hotel in tutto il mondo; piatti con cotture restaurant in un’ottica nuova, più rapide, semplicità per preservare al cosmopolita, senza alcuna facile massimo le caratteristiche dei prodotti e uso spinto del contrasto non per concessione al folklore. stupire a tutti i costi, ma per ridare Il territorio? Un concetto che non rac- forma nuova e inaspettata alle piechiude la cucina dentro sterili steccati tanze: come, per esempio, tradurre geografici, storici e 'della tradizione', la trippa alla parmigiana in un piatto bensì una piattaforma dalla quale con sfumature mediterranee, accopartire per esplorare il mondo 'con le stando mozzarella di bufala e origano, spalle coperte'... Lo chef Fabrizio oppure prosciugare la pizza da ogni Albini, giovane, ma con una solida accenno alla tradizione partenopea, esperienza conquistata alla scuola plasmandola in una focaccia ariosa Fusari, Botta, Cappotto e Marchesi, e aerea da materie prime biologiche, oggi vive quest’avventura nella duplice condita con un sugo di pomodoro veste di executive chef e food & beve- ricco e corposo accompagnato dalla rage manager per tutto il gruppo Ora fetta di mortadella che riporta tutto in una dimensione emiliana. Tra polenta e crostacei, testina di vitello bollita con limone e gamberi, la cucina di Albini tradisce svariate influenze della cucina internazionale più innovativa, interpretate con piglio gentile ma sicuro: tra gli antipasti la tartare di crostacei, crema di mandorle
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e spritz gioca sulle differenti temperature e propone un’intrigante altalena al palato tra la morbidezza della crema, la nota fresca del pescato e l’amaro dell’aperitivo. La battuta di Fassona con fragoline di bosco e topinambur vive sull’asse dolce amaro, che esalta la morbidezza della carne della celebre razza bovina piemontese, mentre Albini gioca con forme e consistenze proponendo un uovo al tegamino 'ricostruito', con morbido Parmigiano-Reggiano a simulare l’albume rappreso e foglie di spinaci a far rivivere il canonico abbinamento tra uovo e foglia verde. Tra i primi, di terra e di mare, stupisce il guazzetto tiepido di crostacei con gelato alla seppia, sulle corde del contrasto di temperature che svela una della grandi passioni di Albini, quella per il gelato in tutte le sue forme e varianti di gusto, mentre un risotto al ginepro, lime e acqua tonica,
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sfumato in una tenue nota di colore verde, mette in scena la grande apertura d’orizzonti del giovane chef bresciano, attento a rivedere in chiave moderna e ben riuscita uno dei classici della cucina tricolore. Torna in scena il territorio con i passatelli, tipica minestra in brodo della cucina romagnola ed emiliana, stavolta rivisti con l’uso di barbabietola rossa e cipolla, serviti sopra una crema di pastinaca. Già detto della trippa alla parmigiana in chiave mediterranea, il dessert vede il gelato tornare protagonista, questa volta in una versione alcolica con l’uso di bargnolino, liquore tipico del parmense ottenuto dall’infusione di bacche di pruno spinoso, servito con un soffice pan di spagna al pistacchio e frutti di bosco. La cantina, in omaggio alle origini bresciane di Albini, vede una folta rappresentanza di etichette della Franciacorta, che si sposano ottimamente con la cucina spumeggiante dell’Assapora e riescono a offrire una spalla intrigante e sempre attenta alla cucina innovativa del ristorante parmense, a volte assecondando la texture dei piatti, altre volte accentuando il contrasto, vero leit motiv di tutta l’esperienza dell’Assapora di Parma.
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Impronta Da Torino ad Antigua
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italiana
di Claudio Zeni ½ Banana Liquor, ½ Absolute Vodka, ½ English Harbour Rum invecchiato cinque anni, 1 succo d’ananas, 1 spicchio di lime sono gli ingredienti da shakerare con ghiaccio per ‘The Prince’, il cocktail ideato per Alberto di Monaco al The Inn di English Harbour di Antigua, il resort italiano più elegante dei Caraibi scelto dal Principe Alberto di Monaco e da sua moglie Charlene per trascorrere la prima vera luna di miele da sposati. Un resort da sogno il The Inn di Antigua, un paradiso scelto dalla coppia reale monegasca per concedersi una
parentesi di relax assoluto. E proprio al Principe è dedicato 'The Prince', il nuovo cocktail ideato dalla bar tender che si esibisce ogni sera sulla spiaggia del The Inn. Immerso nel verde di oltre sette ettari di natura incontaminata, il resort si presenta come una casa padronale in perfetto stile coloniale rivisitato in chiave moderna; si affaccia su una spiaggia bianca privata circondata da splendidi giardini tropicali in un contesto di assoluta serenità, ma a soli due minuti di water taxi dai ristoranti e dai locali notturni del vivace English Harbour. Le camere sono 28, divise tra 16 Junior suite e 8 Deluxe suite, nei due edifici in stile coloniale, e 4 Cabanas caraibiche direttamente sulla spiaggia. Tutte le caArtù n°50
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mere sono state recentemente oggetto di un accurato restyling. Ogni camera è stata dotata di veranda privata o terrazza, e i servizi offerti resi ancora più esclusivi: dai letti king size alle lenzuola in lino egiziano, dalle docking station per iPod alla connessione internet Wifi. Nella cura dei dettagli e nella dotazione dei servizi e dei confort più raffinati nulla è stato lasciato al caso: tutto concorre a mantenere inalterato il fascino e la grazia della struttura originale, pur garantendo servizi e amenities all’altezza dei più esigenti viaggiatori contem-
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poranei. In questo paradiso terrestre si trova anche la secolare tradizione gastronomica italiana, grazie a Massimo Calcagno, torinese doc, che qui conduce una brigata internazionale nelle cucine del ristorante The Terrace. Dalla Svizzera, dove ha iniziato la formazione professionale, Massimo Calcagno è partito alla volta delle migliori cucine di mezza Europa: Parigi, Dusserdolf, la raffinata isola di Sylt, passando per il tristellato Maison Pic di Valence, per lo stellato Le Bonne Etàpe di Chateau Arnoux in Francia. E poi numerose esperienze tra Europa, Stati Uniti e Africa, prima di tornare in Italia sulla Costiera Amalfitana e a Positano, prima di approdare come un moderno Colombo sull’isola di Antigua, dove ha incontrato i colori, i sapori e le suggestioni forti dei Caraibi. Da qui una cucina inedita che combina cultura culinaria italiana con la ricca tradizione creola, mixando ingredienti e texture: il riso e le spezie, il pescato locale (barracuda, aragoste, king fish, cernie), la verdura fresca dell’isola e la meravigliosa frutta tropicale. Un sincretismo gastronomico che conferisce un singolare twist ai piatti di Calcagno e del Terrace restaurant. Il menu degustazione è un
omaggio all’Italia dove tra portate di pesce e pasta, carni cotte a bassa temperatura, spicca l’aragosta antiguana, specialità dello chef, servita alla catalana con cipolla rossa di Tropea, avocado e lime. Superba la cantina, che prevede una ricca selezione di etichette internazionali. Dalle grandi maison de Champagne alle bollicine italiane, dai bianchi fermi da vitigno internazionale ai grandi rossi, fino alle selezioni suggerite dello chef: ogni etichetta in carta conferma la vocazione all’eccellenza di questo indirizzo. The Terrace è aperto anche al
pubblico esterno al resort. È lo scenario ideale per cene a due a lume di candela, dove ogni dettaglio parla di stile e ricercatezza italiani, che sono il filo conduttore di tutta l’accoglienza del resort di Susanna ed Enzo Addari. Le belle tovaglie in lino ricamante a Capri su disegno esclusivo, le porcellane, i candelabri, gli argenti d’antan che provengono direttamente dalle collezioni private di famiglia, convivono perfettamente con vasi e suggestioni caraibiche, creando l’atmosfera unica del The Inn. www.theinnantigua.com
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Il Mezdi di St. Moritz originalità a 1850 metri 86
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di Gualtiero Spotti La scena gastronomica engadinese è in continuo fermento, e forse a un punto di svolta rispetto a qualche stagione fa. La classicità e il rigore di certe cucine da grand’hotel certamente proseguono, come è giusto che accada, perché legate a frequentazioni stagionali con una clientela abituata a una cucina di tradizione, da grande maison. Ma sono sempre più originali gli aspetti di una cucina 'trasgressiva'. La tradizionalità abbinata alla creatività, anche in Engadina. È questa la tendenza del momento, ben visibile nel lavoro dei cuochi più giovani, quelli, per intenderci, arrivati ai fornelli del Kempinski, del Badrutt e del Carlton, giusto per citare le tavole di alcuni degli alberghi cinque stelle più 'in' di St. Moritz. E poi perché stiamo parlando di una valle alpina svizzera dove, oltre all’impronta dei piatti tipici dei Grigioni, con molte commistioni gastronomiche montane vicine alla Valtellina (i pizzoccheri sono il classico esempio di piatto che ha superato i confini), si è sempre mantenuto vivo uno spirito franco-teutonico di forma, e di sostanza, che nel corso dei decenni ha preso sempre più piede radicandosi nel tessuto gastronomico della regione. In fin dei conti, a parte qualche esempio tra i rari stellati della zona degli ultimi vent’anni (Johri’s Talvo, Chesa Pirani tra questi) e i pochi premiati dai punteggi alti della Gault-Millau, che in Engadina, va detto, conta più della Michelin, l’intera valle non è mai stata una destinazione gourmet tra le più ricercate. Forse anche perché un po’ nascosta ed elitaria, con poche chance di emergere presso un pubblico vasto. Ma, come detto, le cose stanno progressivaArtù n°50
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Qui sopra: rana pescatrice, conchiglie, verdure d'estate, cerfoglio e farfalle.
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mente cambiando e alcuni nomi nuovi si fanno avanti. Tra i cuochi più promettenti di St. Moritz, pur avendo un curriculum lungo e di tutto rispetto, vale la pena segnalare Marcus Helfesrieder, che da meno di due anni ha inaugurato il suo ristorante Mezdi in un punto strategico della cittadina engadinese, in una bella costruzione moderna a metà strada tra il lago e il centro del paese. La storia del cuoco è di quelle importanti e affonda le sue radici negli anni novanta con l’apprendistato in alcune delle migliori cucine a nord delle Alpi: prima in Austria al ristorante Hirschen di Salisburgo, poi nelle vesti di commis saucier in Germania alla Gasthof Zum Storchen di Bad Krozingen e in seguito alla corte di Roland Johri a Champfer, a due passi da St. Moritz, in uno dei passaggi formativi fondamentali nella carriera
del giovane cuoco. Qui diventa commis entremetier e si fa un nome prima di spostarsi, nel 1997, al bistellato Le Raisin di Cully, e subito dopo, per due anni e mezzo (cioè fino all’aprile del 2000) al rinomato Bareiss di Baiersbronn, in Germania, come executive sous chef. Il nuovo secolo per Marcus Helfesrieder si accompagna ad altre avventure entusiasmanti come lo stage al mitico French Laundry californiano e al ritorno a Johri’s Talvo in Engadina. Da Roland si ferma per quattro anni, fino al 2004, diventando executive chef e uno dei punti fermi del magnifico ristorante. Le ultime stagioni hanno poi visto Marcus spostarsi sempre in Svizzera tra cucine di nome (Lampart, Chesa Chantarella) fino alla bella opportunità, colta nel 2010, di aprire un proprio ristorante. Che è stato puntualmente ribattezzato Mezdi, dal nome del
gioni mette in fila zuppa d’orzo, salmerino alpino e polpettone con purea di patate e verdure), ma la scelta alla carta appare subito più originale. Qui vale la pena provare la zuppa di gallinacci con animelle e ravioli di ricotta, la magnifica bouillabaisse (era un mitico piatto di pizzo che si può osservare dalla vetrata Roland Johri, qui giustamente riproposto), della sala e che si trova proprio di l’astice del Maine con anguria, piselli e fronte al ristorante, dall’altra parte del guancia di maialino da latte (delicato lago di St. Moritz. Con la complicità come poche volte accade quando si indella simpatica moglie ha ricreato un contrano carne e pesce), la rinfrescante ambiente moderno e accogliente, dal zuppa di fragole con fiori di sambuco e gusto piacevolmente informale (all’ester- crema di vaniglia o il clafoutis di albino si può anche sostare per un aperitivo), cocche con gelato di crema di panna dove non manca qualche complemento acida. I formaggi svizzeri si accompad’arredo dal taglio classico, ma anche gnano al pane di frutta secca, alla mouna bella cantina a vista e un menu di- starda di fichi e al chutney di pomodoro vertente e vario. Per intenderci un locale e albicocche, mentre la carta dei vini che rappresenta un riassunto delle pas- presenta curiosità svizzere degne della sate esperienze di Marcus in giro per il massima attenzione. Interessante l’idea mondo, con una carta molto equilibrata, di proporre per molti piatti anche la vercapace di concedere il giusto spazio sione 'mezza porzione', che permette ai alla tradizione locale, ricercando materie meno affamati di rifocillarsi senza troppo prime da produttori vicini (vale ancora impegno, e ai più curiosi di 'testare' dila pena definirli a km zero?), ma possiede verse preparazioni. anche una certa freschezza e una finezza realizzativa che non sono semplici da trovare a queste altezze, visto che siamo pur sempre oltre i 1850 metri di altezza sul livello del mare. I piatti aiutano a riempire lo stomaco secondo le esigenze del mangiare montano (il menu dei GriQui a lato: sella d'agnello engadinese, polpettone, melanzane, tartare di pomodori e cremolata.
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Pane di qualità ritorno al futuro 90
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di Davide Deponti Spesso a torto sottovalutato, il ruolo del pane nella ristorazione di qualità oggi cresce ancora di più sulla base delle nuove tecnologie: in particolare, bisogna dire grazie a una macchina impastatrice che recupera la tradizione e la rende contemporanea, offrendo ai ristoratori un aiuto molto importante. L’arte antica della panificazione viene incontro all’arte moderna della ristorazione per mostrare sempre meglio il lato più genuino e artistico della gastronomia da tavola. Abituati per anni a considerare il pane come semplice parte del “coperto” al ristorante, oggi i clienti, diventati più esigenti in tutti gli aspetti dell’alimentazione fuori casa, pretendono di più. Ed è compito dei ristoratori, ovviamente, venire incontro alle loro esigenze e fornire, anche in questo caso, un servizio all’avanguardia che possa, allo stesso tempo, soddisfare le loro richieste di gusto e stupire i loro palati di intenditori. Tutto questo solo con il pane? Certo, perché produrre da sé panini e sfilatini di qualità e di tendenza, da proporre sulle tavole del proprio locale, non è così difficile e anzi si può tradurre in vero plus commerciale per la propria attività di ristorazione. Certo è necessario utilizzare i giusti strumenti per la panificazione, arte antichissima come abbiamo detto, ma che per essere praticata nel giusto modo deve essere rivelata nei propri segreti di produzione. È per questo, infatti, che Bernardi Impastatrici, azienda italiana specializzata
da trent’anni nella produzione di macchine per la panificazione, ha sviluppato, creato e realizzato un modello ritagliato sulle esigenze di chi deve fare pane per il ristorante. Ovvero per chi deve essere in grado di agire in fretta, senza per questo perdere di vista la qualità e ancora poter osare nelle sperimentazioni culinarie, senza temere di venire tradito dalla tecnologia. In questo, la tradizione di Bernardi non tradisce: e se la prima generazione della famiglia ha condotto l’azienda soprattutto nel business della panificazione casalinga, la seconda e attuale ha capito l’importanza dello sviluppo dell’arte panificatoria nel mondo della ristorazione. Ed è andata a recuperare la tradizionale, ma proprio per questo insuperabile per la preparazione di impasti lievitati, la tecnologia dei “bracci tuffanti”. Il risultato è stato Miss Baker, una macchina impastatrice tuffante da banco in grado di lavorare impasti lievitati da un minimo di 300 grammi di farina. Grazie al fatto di nascere da un progetto all’avanguardia con dimensioni ridotte e perfette per l’inserimento negli spazi di una cucina professionale, Miss Baker racchiude nel suo telaio interamente in acciaio inox quanto di meglio la tecnologia del settore offre: pannello comandi touch-system e motore brushless ad alta efficienza che permette di ottenere un'elevata coppia motrice con minimi consumi e in assoluta silenziosità. La sua comodità d’uso secondo le diverse esigenze di ristoranti più o meno grandi si declina poi nelle cinque velocità d’impasto e nella vasca estraibile per la pulizia. Artù n°50
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Bocconcini alla polvere di cacao Abbinare e scegliere Un ritorno alla tecnologia antica, per essere all’avanguardia nella panificazione contemporanea? È davvero possibile? Lo abbiamo chiesto a un vero esperto di pane e panificazione: Giovanni Gandino, consulente di “arte bianca” anche per la stessa Bernardi Impastatrici, lievitista e docente in scuole professionali di tutta Italia. “La domanda di strumentazione nuova, nata appositamente per seguire le richieste della ristorazione professionale, è oggi sicuramente pressante – spiega – ed è proprio per questo che è stato un bene ritornare al passato e da lì ripartire. Riscoprire la tecnologia dei bracci tuffanti infatti ha voluto dire andare incontro soprattutto a quei ristoratori che vogliono seguire la tradizione del buono e del gusto. Si tratta infatti di una impastatrice all’antica, ma con soluzioni moderne, che è stata pensata da Bernardi proprio per le necessità, di tempo e di spazio, della brigata di cucina. Per questo motivo, da esperto di panificazione, è stato un piacere essere il primo addetto ai lavori a testare e a provare la nuova macchina tuffante. E ho capito subito che si trattava di uno strumento perfetto per la ristorazione di qualità. Il motivo poi è quasi filosofico, tanto che lo insegno sempre anche ai miei allievi delle scuole professionali. L’arte della panificazione, intesa come produzione di qualsiasi pasta lievitata, è fatta di fantasia ed esperienza personale, soprattutto oggi che in un ristorante di buon livello è necessario fare tutto all’insegna della qualità per colpire il cliente. Quale “strumento” migliore per fare il pane se non l'uso della propria fantasia e creatività? Abbinamenti
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Ingredienti: 1 chilo di farina (240W), 500 millilitri di acqua, 25 grammi di lievito di birra, 25 grammi di cacao amaro in polvere, 60 grammi di burro, 15 grammi di sale. Procedimento: disporre la farina nell’impastatrice e mescolarvi all’interno la polvere di cacao. Successivamente aggiungere l’acqua a temperatura ambiente con il lievito sciolto. Terminare con l’aggiunta del burro e del sale fino a ottenere un impasto morbido. Lasciare riposare per circa quaranta minuti e poi spezzare nelle forme di peso voluto (consiglio circa 50 grammi). Lasciate quindi nuovamente lievitare coperto da nylon e successivamente infornare a 170°C con forno ventilato. Abbinamento: questi panini sono consigliati in accompagnamento a carni di selvaggina oppure a dell’ottimo speck.
di panini e piatti sono oggi plus all’avanguardia per rendere perfetta una cucina già ottima. È a questo punto allora che entra in gioco la macchina impastatrice di Bernardi, proprio in virtù del suo potere di essere usata dal panificatore per dare libero sfogo alla sua arte gastronomica”. Il futuro del pane sulla tavola del ristorante è allora un futuro interessante e da protagonista. Anzi meglio dire da co-protagonista. “La star non è e non deve essere il pane da solo – conclude Giovanni Gandino –, ma ad essere al centro dell’attenzione e a colpire il cliente deve essere l’abbinamento di esso con il piatto. Io sono assolutamente convinto che il futuro del pane nella ristorazione sarà legato agli abbinamenti creati dagli chef, oltre che alle diverse possibilità di scelta da parte del cliente. Un grande ristorante si ricorda anche, se non soprattutto, per i dettagli di alta qualità nel servizio che propone. In quest’ottica, proporre pani particolari e abbinati ai cibi sarà un mossa vincente per il futuro della ristorazione”.
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Ba Asian Mood a Milano E i sapori di Mauro Elli L’OFFERTA RAGIONEVOLE Continua la pubblicazione delle schede sui ristoranti italiani che la redazione di Artù monitora grazie a un attento lavoro di verifica e di visite, in alcuni casi anonime e non programmate. L'obiettivo non è certo quello di allinearsi all'attività delle guide gastronomiche: ce ne sono già abbastanza e, nel bene e nel male, svolgono una funzione che ha sicuramente delle motivazioni rispettabili, sulle quali non intendiamo intervenire in questa sede. "Secondo Artù" vuole essere un momento di riscontro dell'evoluzione della scena ristorativa, in tutti i suoi segmenti, in grado di delineare sinteticamente le caratteristiche, positive o meno, che vengono riscontrate durante la visita. A questo fine abbiamo creato una simbologia - le corone e i cervelli - che intende evidenziare lo "stato dell'arte" dei locali italiani di ristorazione. Le corone hanno la funzione di indicare il livello complessivo della cucina, mentre i cervelli segnalano la coerenza dell'offerta, la rispondenza a un price for value intelligente, la sensibilità e la conoscenza dei propri mercati di clientela. In una parola, quella che noi di Artù chiamiamo la RAGIONEVOLEZZA, ovvero la capacità di sintonizzarsi con le esigenze di una clientela che cambia nel tempo. Ovviamente, sono proprio i cervelli che manifestano il buon senso e la correttezza, attraverso la quale la clientela della ristorazione può essere fidelizzata su basi nuove e contribuire, quindi, a un rilancio dell'economia. All’assegnazione dei simboli contribuiscono, oltre all'eccellenza delle materie prime e alla qualità del servizio, anche elementi di attenzione per la clientela, come un ricarico corretto sui vini, la presenza di menu degustazione o menu del giorno particolarmente interessanti sotto il profilo del rapporto qualità-prezzo, la volontà di ridurre al minimo i profitti e di allargare la base numerica della clientela. E, siccome non siamo buonisti ad oltranza, abbiamo anche introdotto, nella simbologia dei punteggi, anche corone e cervelli "neri": in questo caso, la valutazione negativa sta ad indicare che troppi errori vengono commessi e che, per sopravvivere, è necessario cambiare registro e migliorare la propria professionalità. APS
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Ba: branzino fritto con pepe nero, “Noi amiamo quello che facciamo”, anatra su foglia di insalata (da provare, dice sorridendo Giulia salutando i doverosamente!), gamberi con man- clienti. Una frase che conferma come dorle in salsa agrodolce in cestino di il cocktail “passione-fatica-professiopatate croccanti… La leggerezza e la nalità” sia davvero il segreto del sucfreschezza delle materie prime è ai cesso, come dimostra la fedeltà della massimi livelli possibili: e sa di poter clientela, soprattutto italiana. contare sull’apporto di una brigata di cucina che è superprofessionale, a co- CANTUCCIO Finalmente a Milano un grande, vero minciare dagli chef Chung Ping e Ye Via Dante 32 ristorante di cucina cinese, capace di Haiou, due chef per due cucine: la co- 22031 Albavilla (Co) entusiasmare e fidelizzare una clientela siddetta “vapore-olio.cottura” e quella 031 628736 abituata da troppo tempo alle varie “al salto”, due varianti che sono espres- www.mauroelli.com “pantomime” (fatte alcune doverose sione di una medesima passione culieccezioni) di molti ristoranti “cosiddetti” naria. Giulia in sala è bravissima, ma cinesi. Qui al Ba c’è l’impegno concreto anche Marco (e Claudio) sono cordiali, e appassionato della famiglia Liu, ori- efficienti e chiari nel descrivere minuginaria della Cina, ma naturalizzata ziosamente i piatti proposti. I prezzi L’esperienza merita il viaggio: veniteci italiana (sono di Correggio, in Emilia), sono ragionevoli, soprattutto se rap- da Como (sette chilometri) o da Milano che ha avuto la forza di creare (dopo portati alla qualità dell’esperienza. In- (quaranta chilometri), o dalla vicina anni di esperienza in altre situazioni) teressante la carta dei vini, ma è pre- Svizzera (Chiasso è a una ventina di un punto di riferimento strutturato per feribile degustare il thé verde proposto minuti)… Non importa da dove arriviate, chi ama l’autentica cucina cinese. In da Giulia e dalla affiatata squadra di ma il Cantuccio è luogo da conoscere. sala Giulia e Marco, rispettivamente ragazze e ragazzi che seguono la sala. L’ambiente, raffinato, elegante e raccolto, 27 e 21 anni, accolgono il cliente con garbo, eleganza e discrezione: è la seconda generazione della famiglia Liu, LEGENDA proprietaria anche di un altro ristorante di cucina giapponese (sempre di alto Cervello incoronato = Memorabile, coerente, profilo), l’Iyo in via Piero della Franceineccepibile per qualità, serietà sca, sempre a Milano. Nella recente e ragionevolezza dell’offerta esperienza al Ba, abbiamo assaggiato, Tre corone = Cucina eccellente, nell’ordine, toast di gamberi, involtino perfetta esposizione delle voci in menù, primavera (fragranza e gusto memoraambiente e servizio all’altezza bili), ravioli al vapore e ravioli alla Via Carlo Ravizza, 10 20149 Milano 02 4693206 www.ba-restaurant.com
griglia (inimitabili), cannelloni di gamberi (un primo piatto dai sapori intensi ma armoniosi). Fra i secondi, alcuni classici, ma anche piatti decisamente più creativi rispetto alla cucina di Canton che è il leit motiv dell’offerta di
Due corone = Ottimo per qualità dell’offerta Una corona = Cucina corretta e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Molto ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole
venne concepito dal buon Angelo Foresti (personaggio mitico della ristorazione innovativa) negli anni Ottanta: una bomboniera di lusso, per quei tempi di riscatto gastronomico, la cui cucina sapiente (ai fornelli c’era la moglie del patron) richiamava frotte di gourmet da ogni dove. Ora i tempi sono cambiati, Foresti se ne è andato in Puglia (innamorato di una terra insieme ricca ed autentica) e qui, dal 2003, c’è il giovane Mauro Elli, brianzolo con molte esperienze, a condurre le danze. E che danze! La sua simpatia ed affabilità sono pari alla perfezione dei suoi piatti, pieni di gusto e intensamente proiettati alla soddisfazione dei palati della clientela. Mauro Elli stupisce con discrezione, i suoi sono piatti in cui sostanza e piacevolezza diventano valori sinergici: a cominciare dall’uovo impanato e fritto su salsa di acciughe che, nonostante la potenza gustativa, non mortifica lo stomaco (come qualche scellerato ha scritto) ma, semmai, è una evidente dichiarazione di intenti dello chef. Qui comanda il gusto! È questa la filosofia culinaria di Mauro, per nulla timoroso di critici e obiettori ma, anzi, attento ad ogni suggerimento (purché proveniente da voce riconosciuta e credibile) e sempre disponibile a capire ogni esigenza intelligente. Il perfetto servizio di sala, condotto nel nostro caso da una gentile quanto attenta cameriera, contribuisce alla qualità dell’esperienza, a cominciare dai vini in carta (ricaricati con onestà inedita) fino agli amouse bouche (triangolini di gnocco fritto e crocchettine di mortadella). Ma la vera forza della cucina di Elli sta nella proposta di materie prime di qualità sopraffina, paste e carni in testa, lavorate con saggia discrezione: provate i calamaretti rosolati con purea di ceci, i maccheroncini al ragù di coniglio, la quaglia in sfoglia con fonduta di parmigiano, il maialino di cinta senese di Podere Forte con tortino di patate e topinambur. Assaggiate anche, recentemente introdotto in carta, un antipasto che sovverte le regole e che ha già parecchi fan: le cappesante
con scalogni e cioccolato bianco, un apripista che vi entusiasmerà e che vi farà tornare volentieri in questo paesotto brianzolo fra Como ed Erba che vanta una stella Michelin davvero meritata. Meno di 50 euro, senza strafare.
OSTERIA AL VECCHIO SARCA Via Monte Spinale 37B 38086 Madonna di Campiglio (Tn) 0465 440287 - 338 4655049 www.osteriaalvecchiosarca.it
Altro vanto dell’offerta del Vecchio Sarca sono i salumi: particolarissima la mortandela della Val di Non, che si può abbinare ai crauti della Val di Gresta. Fra i dolci, ottimo lo strudel della Nonna Resj, preparato sulla base di una antica ricetta asburgica. Prezzi accettabili, molto al di sotto della media dei ristoranti locali, in linea con quelli della media delle trattorie moderne “rivisitate”, che propongono materie prime di qualità: intorno ai 40 euro. (PF)
AL FARO VERDE DA BENITO Siamo nel regno della tipicità trentina, “garantita” anche dal marchio “Osteria Trentina”. Non è così comune, nelle località turistiche come Campiglio, trovare locali che rispecchino fedelmente le tradizioni gastronomiche del territorio. Anche se Tripadvisor, con alcune recensioni discutibili, ha irritato i simpatici titolari di questo locale, l’Osteria Vecchio Sarca (è il nome del fiume che forma la valle e poi sfocia nel lago di Garda, da cui esce col nome di Mincio) è un’eccezione alla norma. Grazie a Roberto (in sala) e Roberta (chef di cucina), esperti e navigati conoscitori del mercato delle materie prime, qui si può gustare la vera cucina locale, con tutti i crismi (buona anche l’offerta di cantina, con vini trentini in maggioranza). Fra i primi, da assaggiare i canederli proposti in brodo (tradizionali), al burro fuso o con il ragù di selvaggina, gli strangolapreti, la tagliatelle fatte in casa, la zuppa d’orzo. Piatti semplici e paradigmatici, certamente adatti per chi vuole restare fedele alla cucina del territorio, che qui è magistralmente eseguita: senza fronzoli, senza esagerata creatività, ma con stile e correttezza. La cucina, fra l’altro, propone una chicca: il coniglio del Bleggio, ripieno alla trentina, un piatto proposto raramente nella ristorazione della provincia di Trento. Da provare, fra i secondi, la carne salada con i fasoi, la polenta con la salamella grigliata, la polenta con i formaggi locali fusi.
Largo S. Nicolicchia 90017 Porticello Santa Flavia (Pa) 091 957977 www.mauriziobalistreri.it
Pesce, pesce e ancora pesce. In questo lembo di mare siciliano vicino a Palermo la cultura del pesce fresco anzi freschissimo è legge. I figli di Benito Balistreri tengono alta la fama di questo locale “fronte mare” proponendo un’ottima cucina, semplice e ricercata nello stesso tempo. Da provare, oltre agli antipasti di crudo e ai gustosi primi piatti fra cui segnaliamo gli spaghi con i gamberi rossi (nitidi ed essenziali nella loro semplicità), il tonno all’olio, lo spada marinato, la grandissima bottarga di tonno, ma anche i saraghi, i dentici, i polpi. Non perdetevi le frittelle di nunnata (ovvero di “neonata”, con chiara allusione agli avannotti di sarda): un’esperienza memorabile, che riconcilia con il fritto. La famiglia Balistreri (con Maurizio in cucina aiutato dal fratello Francesco) e Stefano con Marcello in sala, assicura una eccellente continuità con la cucina storica del locale, che propone in abbinamento ai piatti una linea di vini isolani con un ottimo rapporto prezzo-qualità. Nel prezzo considerate la percentuale di servizio (10%), molto diffusa al sud. Ma i piatti, la freschezza delle materie prime, la simpatia del personale di sala garantiscono che l’esperienza rientri fra quelle assolutamente da ripetersi. (TS)
RIFUGIO ANNA MARIA DA “PITEL” Fraz. Piano Rancio 22030 Civenna (Co) 031 963589
Per venirci bisogna prenotare con largo anticipo, soprattutto nei giorni festivi. Locale storico del Triangolo Lariano, nei fine settimana è letteralmente preso d’assalto dai “puristi” della cucina tipica, in cui la polenta è protagonista assoluta, soprattutto nella versione “uncia”, ovvero condita con formaggella e burro fuso, anzi fusissimo. Una bontà esclusiva, sulla cui perfetta esecuzione si concentrano molti ristoratori (meglio, trattori) della zona. Da Pitèl, che è il soprannome che venne dato al fondatore del Rifugio (a 1.000 metri di altezza, splendida vista sulle Grigne), purtroppo mancato alcuni anni fa, si mangiano poche cose ma eseguite correttamente e con attenzione. Oggi la conduzione è in mano al figlio e alla sua consorte, l’anima della cucina, aiutati dal figliolo, attento e professionale. La cucina, qui, è fatta di poche, semplici proposte che, proprio per la loro essenzialità, sono molto richieste da una clientela in cerca di tradizione verace e ruspante (ma corretta). Il maialino arrosto (la “porchetta”, come la chiamano qui evocando una specialità del centro Italia, in cui il porcellino viene cotto con aromi), il coniglio al forno, “le” patate fritte, freschissime e di rara fragranza. Difficile poter ordinare primi piatti, se non su prenotazione ed espressamente richiesti. La gestione è assolutamente familiare, ai limiti del confidenziale. Al punto che, come ha detto qualcuno, i clienti di Pitèl sembrano fare parte di un grande club di appassionati, che si ritrovano in questo locale vecchiotto, ma sempre fascinoso nella sua atmosfera autentica, simpaticamente rude e montanara, lontana da velleità modaiole. Vini in linea con l’ambiente. Prezzi di comprovata onestà. Artù n°50
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LA GERA Corso Vittorio Emanuele 15 27030 Confienza (Pv) 038 464018 www.lagera135.it
Tra Lombardia e Piemonte, anche se ancora (per pochi metri) in provincia di Pavia, Confienza è un borgo agricolo minuscolo e silente, vicino alle risaie vercellesi e novaresi ma – amministrativamente- pavese, più per antiche decisioni geopolitiche che per cultura di territorio e flussi di gravitazione. In effetti qui siamo in Lomellina, e il salame d’oca di Gioacchino Palestro nasce a una manciata di chilometri più in là, a Mortara. Ma Novara è la città più facilmente raggiungibile, insieme a Vercelli, il che conferisce a Confienza una piemontesità inevitabile e conclamata. Piemontesità e discrezione che si percepiscono chiaramente nella linea di cucina semplice e gustosa di questo bel locale, la Gera. Al vostro ingresso, nella piccola e raccolta sala con pochi tavoli ben distanziati, verrete accolti da una signora cortese, professionale e gentile, che vi porgerà una carta tanto semplice quanto invogliante. Nella nostra visita abbiamo assaggiato gli ottimi agnolotti (ma qui li chiamano ravioli) al ripieno di oca, che da soli valgono il viaggio. In menu anche tagliata di petto d’oca con salsa al marsala, cosciotto brasato, ma anche selvaggina proposta in diversi modi (talvolta lo chef propone anche altri piatti della tradizione lombarda, come l’ossobuco). La carta dei vini è inconsueta, sia per la presenza di etichette non convenzionali ma di
qualità, sia per i prezzi, connotati da un ricarico più che ragionevole.
DA VITTORIO Via Torchio 12, Fraz. Montinelle 25080 Manerba del Garda (Bs) 0365 551464 - 333 5634341 www.da-vittorio.it
Vittorio, padre di Marco (il giovane che governa la sala) è “vecchio del mestiere”. È uno di quei ristoratori del Garda bresciano che, con dedizione, impegno e passione, hanno sempre offerto ai clienti le migliori materie prime del territorio, scegliendole con cura e proponendole con sapienza. Marco Veggio lo ha seguito fin da ragazzo, apportando il suo entusiasmo e la sua professionalità alla gestione del locale e sapendo mutuare dal padre e dalla madre, purtroppo mancata alcuni anni or sono, l’umanità tipica di chi è segnato da grandi dolori. Ma Vittorio è ripartito, e ha consolidato la sua struttura (che ha anche alcune belle e funzionali camere, realizzate qualche anno fa con molta cura), dotata di una bella vista sul lago e di un giardino attrezzato per pranzi all’aperto nella bella stagione. Assaggiate i grandi salami prodotti in zona, una rarità per gusto e consistenza gustativa, ma anche i primi piatti di pasta fatta in casa (ineguagliabili i ravioli al bagòss al burro fuso di malga), gli spaghetti con acciughe all’olio della Valtenesi, in stagione le tagliatelle fresche ai porcini. Fra i secondi, da provare le carni, a cominciare dalle costate alla fiorentina (ma la carne è barbina bresciana, una razza che fa invidia alla scottona bavarese), fino allo stracotto d’asino al Groppello e alla tagliata di cavallo. In menu anche piatti di pesce di lago: dal golfo di San Felice, ogni giorno un pescatore porta il meglio del pescato quotidiano, fra tutti un grande coregone, da abbinare alla polenta e alle erbette fresche dell’orto (davvero). Una garanzia di affidabilità, che conferma la serietà di questa famiglia di ristoratori capaci e professionali. Onestà estrema nei prezzi e nei ricarichi del vino, perlopiù locale (Franciacorta e Garda Classico).