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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Artù n°51 - Luglio-Agosto 2012
Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati
Sapori Ticino viaggia verso la Berlino gourmet TrentoDoc, la riscossa dei grandi viticoltori “minori” Paul Cunningham, il genio del gardening cooking L’abito non fa il monaco, ma il professionista sì
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EDITORIALE n°51
edi tori al Vince l’OSTERIA
Quando, una ventina di anni fa, direttore di una rivista specializzata che andava per la maggiore, pensai di inserire le “osterie” nel database (anche quelle con l’acca davanti, che non piacevano a Raspelli), qualcuno rise di gusto. “Le osterie? Ma sono l’anello più debole dell’offerta, gestioni perlopiù familiari, senza innovazione, legate a una cultura vecchia e superata, modello risotto e tagliatella!”… Questa era la risposta. Allora, tutti puntavano soprattutto sulla ristorazione top (e in un certo senso era giusto così), sui locali eleganti e di tendenza, con menù raffinati e mise en place da urlo, sui bar dei grand hotel con superbarman, ma anche sul presunto imminente arrivo delle catene internazionali, che avrebbero stravolto e rinnovato lo scenario di mercato, modernizzando e segmentando decisamente l’offerta. Oggi, a causa di una recessione che non ha precedenti nella storia recente del nostro Paese, il panorama si è ribaltato. Quelle che sembravano “gestioni minori”, si stanno rivelando, alla prova dei fatti, l’unica forma di offerta ritenuta credibile dalla clientela, nonostante limiti, ingenuità e quant’altro. Se un tempo la clientela gourmet organizzava trasferte chilometriche per “provare” la cucina di grandi templi gastronomici, guidati da megachef, stiamo ora tornando ad una situazione pre-anni Ottanta, contrassegnata dalla ricerca di trattorie ed osterie connotate da prezzo basso e qualità dell’esperienza percepita (ma non sempre oggettiva) come “ buona, gustosa, onesta, accettabile”. Ritorno al passato? Può darsi, anche se qualcuno non si è mai schiodato da questo concetto, neppure ai tempi delle vacche grasse. Ho già avuto modo di ricordare come la borghesia italiana sia da sempre alla ricerca di locali “genuini e familiari”, spesso privi di servizio adeguato ma “ruspanti e semplici, con menù magari raccontati a voce, con pochi piatti indimenticabili”. E, soprattutto, con prezzi bassi. Questo è il leit motiv di chi,
ancora, vuole (o meglio, può) andare al ristorante. Gli altri, i grandissimi locali (e in Italia ce ne sono molti), hanno una clientela numericamente sempre più limitata, per questioni di pecunia, ma anche in virtù di un mutato scenario economico. L’immagine dell’Italia è in costante declino, per molti fattori: un sistema fiscale perverso e generalizzante, l’assenza di una vera meritocrazia, una classe imprenditoriale incapace di fare sistema, una casta politica accaparratrice e indegna: cosa vogliamo di più? Il risultato è che l’Italia segna il passo, e si guarda sempre più verso i paesi emergenti, quelli in cui l’economia cresce a due cifre (anche perché in quei paesi la spending review è una realtà da sempre, in particolare per le classi povere e diseredate, la cui miseria consente di arricchire “l’altra metà del mondo”). Bella forza crescere così, senza vincoli, senza sindacati, senza costo del lavoro, senza tasse, senza etica… Così va il mondo: dobbiamo adeguarci ma con intelligenza e dignità. In questo adeguamento necessario, la ristorazione italiana (ed europea) può ancora fare qualcosa di importante, che cerco di elencare di seguito. Come se, in un certo senso, dovessimo ricominciare da capo, sapendo però che in realtà non è cosi’ (l’esperienza a qualcosa servirà bene!): 1) Diversificare e migliorare l’offerta, puntando su proposte essenziali ma fortemente connotate e rispondenti alle aspettative. 2) Costruire menù alternativi alle vecchie carte, reinventando formule connotate dal trinomio “gusto-qualità-prezzo”, in linea con un modello inedito di trattoria evoluta. 3) Superare le vecchie voci in menù, eliminando definitivamente “coperto e servizio”, tenendo in carta solo alcuni piattibandiera, che hanno reso il locale famoso nel tempo. 4) Sottolineare il concetto di tipicità e di legame con il territorio, abbandonando
idee astruse e campate per aria, frutto di pseudogenialità improponibili. Oggi nessun tipo di infantilismo è ammissibile. 5) Imparare seriamente le lingue (almeno l’inglese) per semplificare il lavoro ma anche per dare un’immagine di modernità alla clientela internazionale (che è la salvezza della ristorazione). 6) Qualificare ambiente e servizio, eliminando inutili orpelli di arredo e privilegiando un approccio semplice e cordiale verso la clientela. Osteria e trattoria sono formule rassicuranti, a differenza del “ristorante” classico, ritenuto meno “autentico”. 7) Eliminare ogni forma di liturgia nella proposta di piatti e vini, rendendo l’approccio più umano. Il successo di un locale nasce dalla propria capacità di sapersi sintonizzare anche emotivamente con il cliente. Senza presunzioni, senza dare il senso di volerti fregare, senza ammiccare con falsa cortesia. 8) Essere chiari e diretti (e mai approssimativi, come spesso accade) nella comunicazione di proposte e prezzi (esempio: vini al bicchiere 3 euro, 4 euro ecc, specificando poi l’elenco delle etichette presenti, riferite alle tipologie di prezzo). 9) Prevedere sempre un cadeau (enogastronomico, ovviamente) di commiato, alla fine del pasto. È un costo relativo, che soddisfa il cliente e lo farà ritornare volentieri. 10) Superare il concetto, ormai morto e sepolto, di menù completo. Ovvero: rispettare il cliente, anche se ordina un solo piatto. Le sue scelte possono non sembrare remunerative, ma trattarlo bene, anche a fronte di uno scontrino minimo, lo farà tornare volentieri. Non sentendosi giudicato in alcun modo un “poveraccio” o un limitato”, si sentirà libero di poter scegliere quello che preferisce, senza alcun problema. È la somma di tanti piccoli clienti soddisfatti che, oggi, può decretare il vostro successo… Alberto P. Schieppati
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In copertina: Veuve Clicquot riapre a Reims l’Hôtel du Marc, residenza storica della Maison. Un evento molto atteso, che consente di cogliere appieno la grandezza e la semplicità di uno stile architettonico unico, rivitalizzato e reinterpretato con il sorprendente apporto di grandi designer.
Info people Freewine Day, gusto e salute S. Pellegrino Sapori Ticino: perfetta ‘mise en place’ di Elisa Facchetti Info people&brand L’Emilia reagisce al sisma con grande coraggio Champagne, vino, birra, acqua. Appuntamenti contro la crisi La foto di Cioffi Focus wine TrentoDoc, la riscossa dei grandi ‘minori’ di Roger Sesto Focus food Dop Riviera Ligure. Olio fatto ad arte di Elisa Facchetti Protagonisti wine Ginori Lisci: Sangiovese Mediterraneo di Alberto P. Schieppati Educare al vino. La sfida è mondiale di Alessandra Piubello Protagonisti food Paul Cunningham. Lo stile sopra tutto di Gualtiero Spotti Format food Casa del Nonno 13. La grande semplicità di Luisa Contri Gran menu del giorno? Il Vicolo ci prova di Luisa Contri Design Lo chef? Nel loft ci sta benissimo di Fiorenza Auriemma Accueil Hôtel du Marc. Eleganza e stile firmati Veuve Clicquot di Elisa Facchetti Molino Stucky: Giudecca lifestyle di Gualtiero Spotti Equipment Il vestito fa il ristorante. Parola di ‘professional’ di Davide Deponti Dal mondo Maurizio Menconi a Bangkok di Claudio Zeni Secondo Artù Al top il genio di Palluda e il cuore di Bertinotti
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Freewine Day, gusto e salute Il 29 settembre, al Castello di Stefanago (PV), 20 aziende vitivinicole aderenti al progetto Freewine saranno le protagoniste di un evento unico, destinato ai professionisti del settore Horeca. Il mondo dell’enogastronomia sta evolvendo con grande rapidità ed un numero crescente di persone è ormai consapevole che è possibile godere del piacere di mangiare e bere bene senza trascurare benessere e salute. L’attenzione e la sensibilità dei consumatori alla riduzione dei conservanti è ogni giorno più forte, la consapevolezza degli effetti negativi dei solfiti sulla salute è sempre più ampia e la richiesta di vini a ridotto contenuto di solfiti è in continua crescita. Il settore enologico, da sempre attento ad interpretare l’evoluzione del gusto e delle richieste del mercato, ha ben percepito che le nuove tendenze rappresentano una grande opportunità per conciliare gusto e salute. Ormai il futuro è chiaro e possiamo tranquillamente affermare che la svolta del terzo millennio per le cantine sarà quella di arrivare ad escludere dal processo di vinificazione l’anidride solforosa - i famosi solfiti cioè il conservante che deve essere dichiarato in etichetta. Ad oggi, il progetto che ha dato una risposta finalmente completa alle esigenze dei consumatori è Freewine®: riduzione dei solfiti fino a sfiorare lo zero, massimo rispetto della natura del frutto, tutela della qualità e del gusto nel tempo. Sotto lo slogan ‘più qualità al gusto, più qualità alla vita’ i vini Freewine® presentano un profilo aromatico e gustativo che, senza il velo della solforosa, riesce ad esprimere al meglio le specificità del vitigno e trasmettere i valori del terroir, esaltando la freschezza e il sapore vero dell’uva. Per le enoteche, i ristoranti, i wine bar e l’accoglienza di qualità, Freewine® rappresenta un prodotto davvero nuovo che permette di differenziare l’offerta ri-
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spetto alla concorrenza, coinvolgere e fidelizzare i clienti, esprimere valore aggiunto. Consigliati dai professionisti della salute, e graditi dal pubblico, i vini Freewine® esprimono grande qualità a prezzi finalmente accessibili. Un’occasione imperdibile per valutare questi vini è il ‘Freewine Day’ l’evento che il prossimo 29 settembre animerà il Castello di Stefanago, antica dimora storica dell’Oltrepò Pavese. Il Castello apre le sue porte con un percorso suggestivo tra cortili interni, giardini all’italiana, la salita alla torre medioevale (sec. XI) e una degustazione dedicata ai vini a basso contenuto di solfiti. Il Castello di Stefanago rappresenta un rifugio, un approdo piacevole e ideale per concedersi un’esperienza stimolante ed appassionarsi ai vini aderenti a Freewine®, un progetto nato quattro anni fa che raggruppa più di 20 aziende vitivinicole indipendenti dal nord al sud Italia: una gamma straordinaria di aromi e sapori che spazia da Muller Thurgau, Croatina, Barbera a Lugana, Pinot grigio e Cabernet Franc per giungere fino al Nero di Troia, solo per citarne alcuni. L’evento Freewine Day, dedicato ai professionisti del settore e animato da illustri giornalisti e operatori, si aprirà il 29 settembre a partire dalle ore 10.30, in occasione delle ‘Giornate del Patrimonio’. L’accoglienza sarà riservata ai professionisti per tutto l’arco della giornata con degustazioni, confronti, workshop, momenti di ristoro, il tutto in una cornice paesaggistica e naturale di grande effetto. Domenica 30 settembre porte aperte al pubblico! Freewine Day Sabato 29 Settembre, h. 10.30-17.00 Castello di Stefanago Borgo Priolo - Pavia tel. +39 0383.875227 Per info e iscrizione: marketing@freewine.eu www.freewine.eu
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S. Pellegrino Sapori Ticino: perfetta ‘mise en place’ di Elisa Facchetti Grande entusiasmo per la VI edizione di S. Pellegrino Sapori Ticino, kermesse unica nel suo genere che dal 2007 propone le eccellenze del Cantone Ticino, accanto a prodotti internazionali. Interpreti dell'evento 2012 un team d'eccezione: sette chef, 10 stelle Michelin in tutto, hanno deliziato critici gastronomici e commensali, veri e propri padroni di casa che hanno ospitato 22 giovani chef in location d'eccezione. Ivo Adam, Andrea Bertarini, Luigi Lafranco, Marco Ghioldi, René Nagy, Dario Ranza e Alessandro Fumagalli. Questo il team vincente dell'evento S. Pellegrino Sapori Ticino, sette chef che hanno reso omaggio alla manifestazione confermando ancora una volta il proprio talento e dimostrando grande creatività e voglia di sperimentare, tutto questo nella speldida cornice del Grand Hotel Eden di Lugano alla presenza di 150 ospiti. Dal 15 aprile al 20 maggio, con un programma di ben 17 eventi, la kermesse ticinese ha voluto puntare i riflettori soprattutto sulle giovani promesse, confemando la maestria di ben 22 chef, tra ticinesi e internazionali, accolti nei ristoranti più rinomati del Cantone Ticino, come La Perla, l'Hotel Spledide Royal,
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Villa Principe Leopoldo, Conca Bella di Vacallo, Seven, Parkhotel Delta di Ascona e naturalmente il Grand Hotel Eden di Lugano: pranzi, cene e le serate Lounge – novità dell'evento 2012 – hanno di fatto sancito qualità professionali e capacità di gestire ben 1300 ospiti. Tra gli astri nascenti Markus Arnold, Aurora Mazzucchelli, Maryline Nozahic, Anton Schamus, Edouard Loubet, Ronny Emborg e Pier Giorgio Parini. Un risultato notevole, così commentato da Dany Stauffacher, creatore e coordinatore di S. Pellegrino Sapori Ticino: "Ciò che rende unico e indimenticabile un evento come S. Pellegrino Sapori Ticino sono le squisite portate di rinomati chef e la degustazione di ottimi vini. Ma è anche l'organizzazione e la passione di chi ci lavora". E sono le parole di Dany Stauffacher a coronare il binomio tra un eccellente piatto e un ottimo vino: accanto alla proposta di prestigiose etichette internazionali, brillano senza dubbio i vini ticinesi, perfetti interpreti della qualità dei prodotti del Cantone. Tradizione e territorio dunque, ma anche novità. Le tre serate Lounge hanno colpito nel segno richiamando un 'nuovo' pubblico e avvicinando i giovani al movimentato e vivace cosmo enogastronomico ticinese: tre locali di tendeza – il NYX Lounge e il Lido Beach Lounge di Lugano e il Delta Beach di Ascona – hanno accolto ben 350 ospiti in un'atmosfera ricercata e all'isnegna del buon gusto – in tutti i sensi! – affiancando a specialità del territorio in formato finger food e vini rinomati, degustazioni di birra svizzera Ittinger, caffè Nespresso e sigari Davidoff. La manifestazione, creata e diretta da Dany Stauffacher, si è confermata ancora una volta vincente, volta a svelare nuovi talenti e consacrarne altri, un'edizione che ha puntato sul piacere del gusto abbinato alla sua sublimazione più elevata: la mise en place delle portate, sempre innovativa e scenografica. Fiore all'occhiello della VI edizione il logo di S. Pellegrino Sapori Ticino aerografato sul fianco del velivolo di linea della svizzera Darwin Airline, un omaggio sentito all'impegno dimostrato dall'organizzazione dell'evento per la promozione del territorio ticinese.
2013, si vola a Berlino Se l'aereo con il logo della manifestazione è stato interpretato come il miglior augurio per arrivare sempre più lontano, allora la realtà ha superato ogni buon auspicio! L'edizione 2013 di S. Pellegrino Sapori Ticino sbarcherà in terra teutonica, a Berlino. Lo ha annunciato Dany Stauffacher: "Riconoscendo il valore della nostra manifestazione, la città di Berlino ci ha interpellati e il prossimo anno i nostri chef saranno in questa meravigliosa città, mentre i migliori chef berlinesi saranno accolti nel nostro Cantone Ticino". Arte, cultura e divertimento si fondono con il ritmo di questa città simbolo dell'architettura, dell'industria e del design, ma non solo. La sua popolazione, multietnica e dinamica, è tra quelle decise a riservare ampio spazio all’enogastronomia: “Sarà per tutti un’esperienza meravigliosa – afferma Dany Stauffacher – dove l’incontro fra due culture culinarie di qualità, potrà produrre risultati veramente interessanti”.
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L’Emilia reagisce alla crisi con grande coraggio SOS terremoto, Il Consorzio Tutela risponde Non tutto è perduto. Lo spirito delle popolazioni colpite recentemente dal sisma sembra far risorgere dalla polvere e dai detriti una forza senza eguali. Ma a volte non basta. C'è bisogno di inziative come questa, per consolidare nuovamente le numerose attività che rappresentano con i loro prodotti l'eccellenza del made in Italy. Ed è con un importante contributo che il Consorzio Tutela Vini Emilia vuole cercare di risollevare le sorti delle cantine colpite che hanno subito ingenti danni strutturali con ricadute sull’occupazione e sulla produzione. “Per dare un aiuto alle imprese vitivinicole consorziate che si trovano in sensibile difficoltà – spiegano Davide Frascari, presidente del Consorzio, e Pierluigi Sciolette, vicepresidente – a causa del terremoto il Consorzio Tutela Vini Emilia ha deciso di istituire una specifica voce di bilancio stanziando una somma iniziale di 40.000 euro la quale sarà integrata da un contributo di oltre 20.000 euro che verrà messo a disposizione dall’Unione Italiana Vini, organizzazione di settore che rappresenta le maggiori aziende enologiche nazionali”. A favore delle aziende colpite è stata aperta anche una sottoscrizione ad opera del Corriere Vinicolo, mentre sul territorio e all’estero si moltiplicano le iniziative che vedono l’impiego di Lambrusco modenese e reggiano in prima fila per sensibilizzare e raccogliere fondi per le zone colpite dal terremoto.
Sicurezza Europea: testimonial d’eccezione A luglio 2011 l’Unione Europea ha approvato il progetto biennale per la realizzazione di campagne promozionali di informazione sul significato dei marchi europei di qualità IGP (Indicazione Geografica Protetta) e DOC (Denominazione di Origine Controllata). A testimoniare la sicurezza alimentare tre ambasciatori d'eccezione che rap-
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Ritorna il premio di Capri Dopo 13 anni ritorna a Capri il Premio Malaparte, uno dei più importanti riconoscimenti letterari italiani dedicato a personalità internazionali. Un ritorno voluto e sostenuto da Gabriella Buontempo, nipote della fondatrice del concorso Graziella Lonardi Buontempo, che ha trovato in Ferrarelle S.p.A., unico sponsor del premio, un sostenitore vivamente interessato al progetto. Proprio a Graziella Lonardi Buontempo è stata dedicata la mostra 'Omaggio a Graziella Lonardi Buontempo e al Premio Malaparte', e con l'apertura della mostra è stato anche conferito un premio speciale a Paolo Mieli. “Il presentano la tipicità altoatesina di qualità: Mela Alto Adige IGP, Speck Alto Adige IGP e Vini Alto Adige DOC. Titolare del progetto il Consorzio Mela Alto Adige, a cui seguono due partner d'eccellenza: il Consorzio Tutela Speck Alto Adige e il Consorzio Vini Alto Adige. L’obiettivo è quello di sensibilizzare i consumatori, gli importatori, i distributori, gli opinionisti e la stampa del settore agro-alimentare dei paesi aderenti al progetto (Italia, Germania, Polonia e Repubblica Ceca) sull’importanza dei marchi UE di qualità IGP e DOC, motivo per cui il progetto prevede varie iniziative che mirano a promuovere i marchi IGP e DOC tramite la stampa, annunci pubblicitari, degustazioni dei prodotti di qualità e l’organizzazione di conferenze stampa esclusive nei quattro paesi di intervento: il sito www.suedtiroler-originale.info offre tutte le informazioni sul progetto. La scelta dei tre testimonial della tipicità altoatesina rappresentano di fatto un ottimo esempio di simbiosi tra un territorio d’origine unico per condizioni geografiche e climatiche, metodi di coltivazione che si tramandano di generazione in generazione e rigidi controlli di produzione volti a far riconoscere e garantire una qualità esclusiva dei prodotti contraddistinti dai marchi europei. La campagna informativa è finanziata dalla Commissione europea e dallo Stato italiano.
sostegno alla cultura italiana è una scelta che la nostra azienda intraprende costantemente con la convinzione che sia una modo, anche strategico, per porre l’accento su quei valori di eccellenza, qualità, tradizione ed italianità
che hanno portato Ferrarelle ad essere il marchio di acqua minerale più scelto dagli italiani sin dal 1893 – afferma Michele Pontecorvo, Responsabile Comunicazione Corporate Ferrarelle S.p.A. – ed è anche un modo, per un’azienda familiare come la nostra, per trarre gratificazione in un momento in cui fare impresa è diventato sempre più impegnativo. In questa occasione in particolare, la gratificazione è doppia perché collaboriamo a restituire all’isola di Capri, territorio a cui siamo storicamente legati da grande amore, una manifestazione che l’ha resa grande nel tempo”.
Insubria di Gusto Sono state più di 4000 le persone che hanno animato gli spazi di Cascina Diodona, a Malnate (Va), in occasione della prima edizione di INSUBRIAdiGUSTO, l'incontro gastronomica dedicato ai piatti e ai gusti dell'Insubria. Dieci gli chef, alcuni stellati, che con le brigate dei propri ristoranti hanno dato sfogo a tutta la loro creatività e fantasia, a testimonianza dell'eccellente enogastronomia tipica dell'Insubria. L'affluenza costante e, come sottolineato dagli organizzatori Fulvio Cavadini e Antonio Latella 'vivace e caratterizzata dalla presenza di molti giovani', ha sancito definitivamente il successo di questa prima edizione che ha posto le basi per un futuro positivo. Chiusa questa prima edizione, gli organizzatori sono infatti già al lavoro per l'edizione 2013.
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Champagne, vino, birra, acqua Appuntamenti contro la crisi Veuve Clicquot Season Il Circolo Golf Torino, all’interno del parco de 'La Mandria', uno dei luoghi più belli dichiarati dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità, ha ospitato la seconda edizione del Veuve Clicquot Women Golf Invitational realizzato in collaborazione con il settimanale Io Donna e MilleEventi, una 'giornata speciale' che rientra nei numerosi e prestigiosi appuntamenti della Season Veuve Clicquot. A contendersi la vittoria 100 donne, che si sono sfidate in una gara a 18 buche stableford partenza shot-gun 2 categorie. La 1° categoria è stata vinta da Barbara Nejrotti, Linella Isasca e Eleonora Nejrotti, rispettivamente per il 1°, 2° e 3° netto, mentre il 1° lordo è stato vinto da Roberta Tirante. Nella 2° categoria si sono classificate Cristiana Garzena, Anna Sepertino e Dina Dantonia. Non solo golf, ma anche degustazioni accompagnate da Clicquot Twist che ha animato la gara e deliziato gli ospiti nella cena post premiazione. A tutte le partecipanti un gradito omaggio della Maison: una sacca da golf realizzata per l’evento e personalizzata Veuve Clicquot, mentre le vincitrici hanno festeggiato con esclusive Cuvée Veuve Clicquot e un elegante coprimazza, sempre personalizzato nello stile della Maison. La kermesse sportiva continua
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con un altro prestigioso evento sponsorizzato Veuve Clicquot: il 2 giugno, la Maison ha tenuto a battesimo al Liberty State Park, a New York, la quinta edizione del Veuve Clicquot Polo Classic, prima edizione, questa, svolta nella meravigliosa location con vista su Manhattan e la Statua della Libertà. Insieme alla presidente di Veuve Clicquot USA Vanessa Kay, anche Clive Owen, Nacho Figueras e Delfina Blaquier hanno dato il benvenuto a oltre 6.000 ospiti. Il beneficiario del Veuve Clicquot Polo Classic 2012 sarà Work To Ride, un programma equestre no-profit che offre agli adolescenti urbani di condizione disagiata una serie di attività che puntano sugli sport equestri e l’educazione.
Amita limited edition Arriva l'estate e Amita risponde, con una piacevole sorpresa. Il noto brand di succhi di frutta distribuito da CocaCola HBC Italia, è pronta alla sfida lanciando sul mercato due nuovi gusti: Pomodoro e Banana. Presente in più
di 30 mila bar e con oltre 50 milioni di consumazioni su territorio nazionale, Amita si rinnova per una piacevole pausa: Banana Amita è ideale nella calde giornate estive per reintegrare in modo fresco e gustoso magnesio e potassio, sali minerali naturalmente contenuti nella banana; Amita Pomodoro, condito e con qualche cubetto di ghiaccio, si trasforma invece in un ottimo aperitivo all'insegna della naturalità. Per gustarli c'è tempo fino a settembre, mentre è entrato a pieno titolo nella proposta Amita il gusto Pompelmo Rosa. Tutti i succhi Amita, ben 14 gusti, sono imbottigliati in vetro nel classico formato da 200 ml, e comprendono i tradizionali Nettari, ricchi di polpa di frutta, i Succhi 100% senza zuccheri aggiunti e i Gusti Mix. "Amita, primo brand di succhi di frutta prodotto da CocaCola HBC Italia, una delle categorie più importanti dopo acqua e bevande gassate, a quattro anni dal lancio, ha raggiunto una quota di mercato pari al 17,7%, diventando protagonista nel Day Time Bar" ha dichiarato Enrica Bacoccina, Trade Marketing Director. "Il successo del brand al secondo posto nel mercato dei succhi di frutta – continua Enrica Bacoccina –, nasce dagli elevati standard di qualità garantiti da frutta di primissima scelta, dall’innovazione continua assicurata dal nostro team di Ricerca e Sviluppo e dalla diversificata offerta di gusti. È proprio grazie a questi punti di forza che intendiamo diventare leader di mercato, ampliando e rafforzando sempre di più il nostro target di consumatori".
Chimento, vini di Calabria A Bisignano, in provincia di Cosenza, nel cuore della Calabria, sono i terreni ricchi e argillosi a fare da padrone, caratterizzati dal tipico colore rossastro, costantemente inumiditi da sorgenti naturali sparse su tutta la zona collinare. E qui, adagiata sulla collina alla destra della Valle del Crati, sorge la tenuta Chimento: dei 15 ettari di proprietà primeggia il vigneto, coltivato da sempre nel rispetto della tradizione. Ai vitigni autoctoni tipici calabresi, come il Magliocco e il Greco bianco, si affiancano vitigni internazionali quali il Merlot, il Cabernet Sauvignon e il Sauvignon, perfettamente inseriti in questo habitat ideale per esprimere al massimo le loro caratteristiche. Vitigni internazionali
che ben si sposano con uvaggi autoctoni, per originare vini rossi dal colore rubino molto carico, come il Vescovado, rosso IGP Valle del Crati, che presenta un uvaggio così composto: 70% Magliocco, 30% Cabernet Sauvignon. Uvaggio 100% composo da Magliocco per il rosso Vitulia, sempre IGP, caratterizzato da un coloro rubino conentrato, con sentori di mora e ciliegie, tabacco e caffè. Uvaggio misto per il rosato di famiglia, Il Gallice IGP, composto dal 60% di uve Magliocco,
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Festa a Vico 20% Merlot e 20% Cabernet Sauvignon. Matilde rappresenta invece la produzione di bianco dell'azienda Chimento: vino bianco IGP con un uvaggio in perfetto equilibrio, 50% Greco e 50% Sauvignon. La qualità nella vigna è frutto di un attento lavoro volto, sempre al rispetto per la tradizione, così da ottenere dalla pianta un prodotto sano e naturale, capace di rispecchiare a pieno i profumi e le caratteristiche della terra di origine. Lo spirito imprenditoriale di questa famiglia ha contribuito notevolmente alla crescita dell'azienda, tanto che Vincenzo Chimento, parte della famiglia Chimento e architetto, ha curato personalmente la ristrutturazione del casale dell’800 immerso nel vigneto, trasformandolo in un suggestivo agriturismo e in un punto di degustazione.
Ferrarelle a Festa a Vico Anche quest’anno Ferrarelle si conferma main sponsor di Festa a Vico, raduno di stellati e giovanissimi chef capitanati da Gennaro Esposito, in una splendida location sulla costiera sorrentina: Vico Equense. Presente in tutti i principali appuntamenti della kermesse – incontro dei giovanissimi con i grandi chef, party presso il Ristorante Stabilimento Balneare Bikini, Festa presso Complesso Turistico Le Axidie e, novità di questa nona edizione, il seminario 'La pizza centimetro per centimetro' presso il Ristorante Pizza a metro – Ferrarelle ha accompagnato con le sue bollicine naturali tutte le pietanze cucinate per l'occasione ispirate al tema di questa nona edizione: '… e tutti giù per terra, ovvero il mio piatto da fine del mondo!'. La rinnovata partecipazione di Ferrarelle a Festa a Vico ha rappresentato più che una semplice sponsorizzazione: oltre all’affetto e alla stima per l’amico Gennaro Esposito, l'evento si inserisce nel percorso intrapreso dall’azienda a sostegno dell’italianità e dei suoi valori, soprattutto a difesa della tradizione culinaria ed enogastromica. Una
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soddisfazione per Ferarelle accresciuta anche dal riconoscimento al Superior Taste Award conferito dall’ International Taste & Quality Institute di Bruxelles che le ha assegnato le tre stelle, massimo punteggio.
oro per la Colonia Braufactum, una Kölsch ad alta fermentazione. Ognuna da abbinare a diverse pietanze: dalle carni bianche al pesce, da stufati a pappardelle con ragù di cacciagione. Tutte le birre Braufactum sono distribuite in Italia da Radeberger Gruppe Italia.
Feine Bierkultur Tutto inzia dall'Editto Tedesco delle Genuinità del 1516: per produrre un birra eccellente non occorrono altro che acqua, malto e luppolo nelle diverse qualità, con lieviti e fermentazioni utili a esaltare profumi e aromi. Una tradizione di cui ha fatto tesoro Braufactum, un progetto più che un marchio, nato nel 2009 a Francoforte con l'obiettivo di 'smuovere' il classico panorama tedesco della birra ricercando le migliori produzioni al mondo per distribuirle in Germania. Ma non solo. Il progetto prevede anche la commissione ad alcuni birrifici tedeschi di produrre birre a partire da ricette inedite, insolite e antiche, ricercate proprio da Braufactum. Il risultato è una gamma di birre che riportano etichette personalizzate e la firma del mastro birraio che le ha prodotte, a cui si aggiunge la cura maniacale di Braufactum per il trasporto e lo stoccaggio delle varie birre. Come Darkon, una delle scure di famiglia, classica Schwarzbier a bassa fermentazione con un processo di brassatura molto complicato; Marzus, color caramello, deve il suo nome all'omonimo mese in cui per tradizone veniva brassata; aroma spiccato e colore giallo
Krug e musica a Villa Verdi
ti del Nido del Picchio, Isa Mazzocchi del ristorante La Palta e Patrizia Dadomo del ristorante La Fiaschetteria. Tre gli Champagne degustati: Krug Grande Cuvée, forte e deciso dal perlage fine e persistente; Krug 1998, ultimo millesimato degli anni ’90 definito da molti come omaggio allo Chardonnay; Krug 2000, Champagne in cui si intrecciano Pinot Noir, Chardonnay e Pinot Meunier. Nella foto: Francesca Terragni, Brand Director Italia Krug con Riccardo Caliceti, Brand Manager Italia Krug.
Sul green vince DAB
S. Agata Villanova sull'Arda (Pc). Qui, nella splendida cornice di Villa Verdi, una delle più belle residenze di Giuseppe Verdi, è andato in scena un evento esclusivo che ha visto l'universo dello Chanpagne Krug protagonista assoluto. L'evento, realizzato grazie alla concessione di Angiolo Carrara Verdi, ultimo erede del noto maestro, e con il patrocinio della Strada e dei Sapori della Bassa Piacentina, ha voluto rendere omaggio non solo alla Maison Krug, ma anche alle sinfonie di Giuseppe Verdi, appassionato di cucina e di Champagne. Diretta da Christian Roger, membro del Grand Jury Européen e Ami de la Maison, la Krug experience ha visto la degustazione degli Champagne Krug abbinati ai piatti del territorio realizzati dagli chef Filippo Chiappini Dattilo dell’Antica Osteria del Teatro, Daniele Repet-
La famosa birra cruda nata nel 1868 e prodotta solo con acqua di Dortmund, malto d’orzo e luppolo – secondo le norme dell’Editto della Purezza del 1516 – è sempre più presente nel mondo del golf. Nove anni fa la birra DAB sponsorizzava un circuito di gare al Golf di Gressoney, e da lì la sua presenza ne ha sancito il successo, sponsorizzando nel 2012 ben otto gare e diventando Main sponsor di AMSCI Golf – Associazione Italiana Maestri di sci golfisti, che nel 2012 prevede un calendario con 13 gare di circuito nazionale, il 20° campionato italiano, il 35° campionato europeo e la gara Amici/Maestri di Sci. Inoltre DAB è partner di Golf Impresa Cup 2012, un circuito di 48 gare distribuite su tutto il territorio nazionale. Fregiata dalla denominazione I.G.P., la 'cruda tedesca' ha deciso di rinnovare la propria presenza pubblicitaria anche sui canali SKY di sport e una specifica presenza nelle trasmissioni dedicate ai Top Events di golf nazionali e internazionali, per consolidare ulteriormente la propria immagine e ribadire lo stretto legame con il mondo del golf. Distribuita dal Gruppo Radeberger.
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Cantina Tramin
Cantina Tramin alla ‘Notte degli Aromi’ Sarà un simposio perfettamente equilibrato il dialogo conviviale che animerà l'atteso evento 'Notte degli Aromi'. Protagonisti i vini altoatesini di Cantine Tramin, importante realtà di Termeno (Bz) nota per le sue interpretazioni del Gewürztraminer, e il pregiato riso della Riseria Ferron di Isola della Scala (Vr) che da sei generazioni lavora il riso presso la Pila Vecia, la più antica struttura di lavorazione artigiana ancora funzionante in Italia. Cantina Tramin ospiterà il prossimo 11 agosto 2012 raffinate degustazioni preparate da Gabriele Ferron, Maestro di cucina: otto saranno i piatti creati sposando il riso artigianale dalla veronese Riseria Ferron con i vini aromatici dei vigneti altoatesini della Cantina Tramin nati dal lavoro dell’enologo Willi Stuerz, che dal 1995 ha accompagnato la cantina verso il successo internazionale. Tra le proposte un risotto al melone e gamberi mantecato al gorgonzola arricchito dai profumi intensi del Gewürztraminer Roen Vendemmia Tardiva e un risotto al Lagrein, il rosso intenso e pieno con profumo di viole e more. Durante la Notte degli Aromi sarà inoltre possibile acquistare un pacchetto di questo pregiato riso e il vino consigliato in abbinamento.
Villa: in Verticale e Sparkling Menu XVIII edizione per Villa in Verticale, la tradizionale degustazione tecnica organizzato da Villa Franciacorta per la stampa specializzata, la rete di vendita e i migliori clienti dell’azienda. Protagonista assoluta della kermesse il Franciacorta Brut millesimato, la cui prima bottiglia risale al 1978 con il nome di Pinot di Franciacorta Methode Champenoise, e in degustazione ben dieci annate, tra il 1983 e il 2008 'Emozione'. Le bottiglie degustate, alcune degorgiate 26 anni fa, hanno stupito per la straordinaria tenuta del prodotto che ha rivelato tutti i sentori del territorio da cui
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effettivamente nasce la Franciacorta: tra le colline di Monticelli Brusati, Rodengo Saiano, Ome, Gussago e Cellatica, terreni composti da strati argillosi alternati a marne, ricche di fossili e sostanze di nutrimento che danno alla vite tutti gli elementi fondamentali che contribuiscono alla sua crescita. Ottanta gli ospiti presenti alla degustazione, guidati dalla professionalità di Ermes Vianelli e da Corrado Cugnasco, team tecnico a cui è affidata la cura dell’intera filiera produttiva di Villa, dal vigneto alla cantina. La degustazione tecnica è stata invece guidata da Nicola Bonera, miglior
location del ristorante Dac a trà ('dagli retta' in dialetto brianzolo) diretto da Dario Colombo, Eleonora Mandelli e dallo chef Stefano Binda. Una giuria formata da giornalisti, enogastronomi e sommelier, hanno valutato sia le portate, sia l’attenzione data alla carta dei vini, al servizio e all’accoglienza: “Una serata d’eccellenza – ha dichiarato Alberto Schieppati, direttore della nostra rivista Artù – grazie ad una cucina altamente creativa, che ha sottolineato cultura, ricerca e straordinaria attenzione per i dettagli dello chef Stefano Binda e del suo team”. Quattro le portate,
sommelier d’Italia 2010, esperto conoscitore del territorio Franciacorta e neo ambasciatore del Metodo Classico in Italia, e Alessandro Scorsone, maitre sommelier di Palazzo Chigi e noto volto televisivo. Il risultato? I millesimi degustati hanno perfettamente evidenziato le caratteristiche delle diverse vendemmie, soprattutto i millesimi 1983 seguito dal 2001, e il 1998. Questo il commento di Alessandro Bianchi, titolare dell’azienda Villa: “Per me è un momento sensazionale. All’epoca, nel 1983, avevo già iniziato a tenere una riserva di bottiglie destinate all’affinamento, ma mai avrei pensato di poterle degustare con tanti amici e clienti affezionati a quasi trent’anni di distanza". Sorprese anche per la X edizione di Sparkling Menu, il concorso enogastronomico ideato da Villa per promuovere il Franciacorta a tavola, accolto quest'anno nella nuova
ognuna abbinate dal ristorante-ospite a un Franciacorta Millesimato Villa diverso. Tra le preparazioni – parmigiana estiva con anguilla leggermente affumicata & Franciacorta Diamant Millesimato 2005; gnocchi morbidi di piselli, pancia di maialino croccante, salsa agli scalogni ed erbe & Franciacorta Satèn Brut Millesimato 2008; uovo al cubo (3) & Franciacorta Rosè Demisec – ha ottenuto il miglior punteggio il piatto composto da filetto di fassone in crosta di pane e noci di macadamia, crema di fave e pecorino & Franciacorta Cuvette Brut Millesimato 2006.
Lungarotti: 50 anni di modernità Un anniversario degno di nota, per i 50 anni, ma soprattutto per il percorso innovativo intrapreso dalla famiglia
Lungarotti che ha reso l'Umbria terra di vini, il cui suo miglior interprete lo si poteva già degustare nel 1962, il Rubesco: un vino fresco e morbido, come le colline umbre a sud di Perugia. Il progetto, voluto e iniziato da Giorgio Lungarotti 50 anni fa trasformando la proprietà di famiglia a Torgiano in una cantina con vitigni e attrezzature moderne, ha da subito colto le grandi potenzialità di questa regione, valorizzando le zone a maggior vocazione viticola, Torgiano e Montefalco. E le scelte sono ancora oggi dettate dalla modernità: a 13 anni dalla scomparsa di Giorgio Lungarotti sono le figlie Chiara e Teresa, un'agronoma e un'enologa, e la moglie Maria Grazia, a dirigere l'azienda, insieme alla Fondazione Lungarotti. Ecosostenibilità e rispetto per l'ambiente sono i cardini su cui si fonda oggi l'azienda: in collaborazione con l’Università di Perugia e con il supporto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Lungarotti ha creato il primo impianto a biomasse in filiera completa di autoproduzione di energia dagli scarti di potatura delle viti. E questo consente oggi alla cantina di essere pressoché autosufficiente sotto il profilo energetico. Una modernità che continua a distinguere la cantina umbra, che oggi vanta 250 ettari di vigento, due cantine, due musei, un resort a cinque stelle nel borgo di Torgiano e un'etichetta che da alcuni anni si sta distinguendo sul panorama enologico: Vigna Monticchio Torgiano Rosso Riserva. Con la vendemmia del
2006 ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti, conquistando il secondo posto assoluto nella Top 100 dei vini italiani, ed è risultata protagonista di 'Opera Wine - Finest Italian Wines: 100 Great Producers', la grande degustazione del meglio dell’enologia italiana che si è tenuta in occasione di Vinitaly organizzata da Wine Spectator. Ma non poteva mancare un'edizione limitata per festeggiare i 50 anni. Si chiama '50' il Sangiovese in purezza annata 2010, prodotto in 1962 – anno di fondazione – bottiglie in formato magnum. Nella foto: Maria Grazia Lungarotti con le figlie Chiara e Teresa (Credits Stefania Giorgi).
'Il' UGO!, ready to drink Si chiama proprio così il nuovo aperitivo dell’estate firmato Mionetto. Pronto da servire e a bassa gradazione alcolica (8° vol) arricchisce la linea IL dedicata all'aperitivo o a occasioni informali. Ispirato a un aperitivo originario dell’Alto Adige, a base di vino bianco frizzante e sciroppo di fiori di sambuco, 'il' UGO! è già miscelato per essere consumato al momemento, così come il celebre Spritz. La base di vino bianco originario del Triveneto viene miscelata a uno sciroppo di fiori di sambuco prodotto in Tirolo, il tutto mixato in una bottiglia originale, caratterizzata dal comodo tappo a corona: " È un prodotto che nasce per dare un’alternativa in più al momento dell’aperitivo e con un gusto nuovo, a base di sciroppo di fiori di sambuco – spiega Paolo Bogoni, Marketing & Communication Director Mionetto –. Una proposta formulata pensando ad un consumatore sempre più alla ricerca di soluzioni a bassa gradazione alcolica e magari già pronte da versare nel bicchiere in modo da poterle degustare anche a casa, oltre che al bar. Il successo in Italia e all’estero di 'il' SPR!Z, lo spritz già pronto proposto da Mionetto nel
2010 nel formato da 750 e 375 ml, e ora arricchito del formato da 200 ml, ci porta ad essere fiduciosi nella risposta di un consumatore attento all’innovazione, alla qualità, alla facilità d’uso e alla bassa gradazione alcoolica (8° C) e che da oggi può trovare anche in 'il' UGO!".
Ramazzotti, be natural Ed è così il nuovo Aperitivo Rammazzotti, una ricetta tutta naturale che ha come ingrediente principe l'arancia dolce, accompagnata dalle note di erbe aromatiche. Zero coloranti artificiali per questo nuovo aperitivo che è diventato il must dell'happy hour milanese: 2 parti Aperitivo Ramazzotti, 3 parti di Prosecco, uno spruzzo di seltz, una
fetta d'arancia e ghiaccio, quanto basta per dissetarsi con una bevanda rinfrescante e leggermente alcolica. La bottiglia non cambia, stesso design e grafica, dove campeggiano anno di fondazione, logo, firma Fratelli Ramazzotti e la località d’origine, Milano. A confermare il gradimento della novità una ricerca commissionata da Ramazzotti all'agenzia Synovate Italia, che ha coinvolto un campione di 600 persone rappresentativo del target aperitivio italiano: uomini e donne di età com-
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presa fra i 25-45 anni (68% uomini, 32% donne), consumatori di aperitivo fuori casa almeno 2 volte a settimana. Il risultato? L’idea del prodotto che rispecchia la natura è percepita come rilevante e originale, ottenendo inoltre un alto gradimento sia del prodotto, sia del pack. Aperitivo Ramazzotti fa parte del Gruppo Pernod Ricard, la cui filiale italiana Pernod Ricard Italia è il risultato dell’evoluzione e trasformazione delle Distillerie Fratelli Ramazzotti. A seguito delle recenti acquisizioni di Seagram (2001), Allied Domecq (2005) e di Vin & Spirit (2008), si è ulteriormente rafforzata potendo offrire ai consumatori italiani, oltre all’Amaro Ramazzotti, i marchi Havana Club, Absolut Vodka, Chivas Regal, Ballantine’s, G.H. Mumm, Malibu, PerrierJouët, Ricard, Wodka Wyborowa, Beefeater, Jameson, The Glenlivet, Lillet, Absinthe Supérieure.
Illyteca: dopo Trieste, Brescia Inaugurata di recente, la nuova illyteca si ispira al concept store già aperto lo scorso anno a Trieste, proponendo anche nello spaizo bresciano, in via Crocifissa di Rosa 78, i prodotti del Gruppo Illy: illycaffè, Domori, Dammann Frères, Mastrojanni e Agrimontana. “Il consumatore è sempre più selettivo
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nelle sue scelte, ricerca prodotti e aziende che si distinguono per l’eccellenza qualitativa, apprezza luoghi d’acquisto personali e accurati nella selezione e nella presentazione dei prodotti che offrono. Il successo di illyteca a Trieste ci ha spinto a portare questa esperienza anche a Brescia, dove, siamo sicuri, sono molti i gourmand e i consumatori attenti ed esigenti che sapranno riconoscere l’altissima qualità dei prodotti enogastronomici delle aziende di Gruppo illy”, dichiara Maurizio Valenti, ideatore e gestore dell'illyteca a Brescia. Nato da un progetto di Maurizio Valenti, Massimo Cirimbelli e Antonio Gardoni, lo store di Brescia rappresenta un punto vendita al dettaglio dei prodotti del Gruppo illy, in un’atmosfera avvolgente, caratterizzata dai caldi colori-icona dei marchi proposti e da arredi in legno e lavagna. Il mondo illycaffè è ben rappresentato dal caffè 100% arabica, da diverse proposte di macchine da caffè e dall'oggettistica pensata ad hoc per il rituale del caffè, come le tazzine d’artista illy art collection.
A Milano Nicolas Feuillatte Per parlare degli Champagne di Nicolas Feuillatte è proprio il caso di dare i numeri: l'azienda vinifica le uve provenienti da 82 cooperative associate coltivate in 2.250 ettari di vigne, con uno stoccaggio in cantina di 100 milioni di bottiglie e 10 milioni di bottiglie vendute ogni anno in 76 paesi diversi. Il suo fondatore, Nicolas Feuillatte, amante della bella vita e figura di spicco del jet-set degli '60, decide di lasciare da parte l'attività di famiglia, distributori di caffè e bevande a Parigi e in tutto il mondo, per cimentarsi con lo Champagne: nel 1972 acquista 12 ettari a Bouleuse, vicino a Reims, e grazie alla sua notorietà, e anche alla qualità dello champagne prodotto, gli affari si prospettano più che positivi. Tanto che nel 1986, quando il mercato gli richiede più volumi, Nicolas Feuillatte unisce il proprio marchio al Centre Vinicole che dal 1970 riunisce e vinifica il lavoro di decine di cooperative. Il passo al grande successo è davvero breve: oggi gli Champagne Nicolas Feuillatte rappresentano la terza realtà al mondo per le vendite, secondo la Rivista Impact di giugno 2011 relativa alle spedizioni di Champagne del 2010, piazzandosi al primo posto in Francia. Un approvigionamento eccezionale, grazie al contributo di 5000 viticoltori, qualità, solidità e innovazione rappresentano i quattro punti cardinali su cui si è costruita un'immagine senza eguali nel mondo dello Champagne, con prodotti che presentano valori omogenei e costanti pur nel loro volume. Oggi il marchio punta sempre più a consolidare la propria presenza in tutto il mondo, cercando di penetrare in fette di mercato non ancora del
tutto esplorate. Un importante segno tangibile in Italia è stato infatti la degustazione di Champagne Nicolas Feuillatte proposta nella cornice del Park Hyatt e dell'Osteria Cavallini, entrambi a Milano.
Chianti Classico, arriva il San Felice Il classico chianti toscano oggi rivela inaspattate aperture alla sperimentazione, grazie a una piccola aggiunta di un vitigno, sempre toscano, quasi estinto e recuperato dalla Cantina San Felice in collaborazione con l'Università di Agraria di Perugia. L'aggiunta di solo il 10% di uve di Pugnitello al Sangiovese regalano al Chianti Classico intensi profumi di prugna, mora e lampone, un importante progetto che l'azienda ha voluto sottolineare dando al 'rivisitato' chianti lo stesso nome dell'azienda e una nuova etichetta: nasce San Felice Chianti Classico. “La scelta di affiancare questo antico vitigno al Sangiovese e al Colorino nel Chianti Classico annata 2009 prodotto in 300.000 bottiglie – spiega Leonardo Bellaccini, enologo di San Felice – nasce da precisi criteri produttivi: abbiamo osservato che le sue caratteristiche si sposano perfettamente con il Sangiovese esaltandone le caratteristiche gustative e abbiamo deciso di aprire al vino base questa potenzialità. È stata una scelta importante nella direzione della qualità e dell’identità, di cui siamo molto orgogliosi ”. Oggi il Pugnitello è coltivato a San Felice in 12 ettari, dal 2003 dà vita in purezza a un omonimo vino già molto apprezzato e premiato, e dal 2008 è entrato con successo nelle cuvée del Cru Chianti Classico Riserva Poggio Rosso, a partire dall'annata 2009.
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Tenute Collesi miglior birrificio internazionale Sale sul gradino più alto del podio aggiudicandosi la medaglia d'oro, conquistando altre tre medaglie di bronzo nello stesso concorso. La Fabbrica della Birra Tenute Collesi, birrificio di Apecchio (PU) che produce birre artigianali d’eccellenza, si aggiudica il tititolo come miglior birreria internazionale dell’anno alla prima edizione del New York International Beer Competition e si aggiudica anche tre medaglie di bronzo nella stessa competizione per le birre Imper Ale Nera, Imper Ale Rosa e Imper Ale Chiara Hop Ritter. Un successo senza eguali per il birrificio marchigiano, che ha sbaragliato centinaia di birre provenienti da diversi paesi. Il concorso, ideato all’inizio del 2012 da Adam Levy, professore e degustatore di vini e birre, è un riconoscimento prestigioso: una delle sue caratteristiche distintive è quella di premiare solo il 4% delle marche iscritte che si sono contraddistinte per merito. Giuseppe Collesi, dell’azienda omonima, così commenta il prezioso riconoscimento: "Stiamo cercando di far conoscere maggiormente le nostre birre alla distribuzione americana e credo che questo premio contribuirà in modo sostanziale ad accelerare l’identificazione del marchio e la consapevolezza tra i consumatori di birra più esigenti degli Stati Uniti".
lazione da Poste Italiane per celebrare la Vernaccia di Serrapetrona Docg, raro spumante rosso che subisce ben tre fermentazioni, unica presenza marchigiana di una serie di 15 esemplari dedicati alle eccellenze enologiche italiane riunite in un unico foglio, esemplari filatelici autoadesivi del valore di 60 centesimi. "La Vernaccia di Serrapetrona sarà l’unica eccellenza marchigiana a far parte della serie – commenta Adriano Marucci, Sindaco di Serrapetrona - insieme a vini del calibro di Barolo, Brunello di Montalcino e Sagrantino di Montefalco, tanto per citarne alcuni. Davvero un’occasione di prestigio per le Marche, entrate a far parte della rosa delle regioni che avranno una rappresentanza in questa serie, e un riconoscimento di grande importanza per un’eccellenza enologica inestricabilmente legata al territorio e di cui è diventata uno dei maggiori simboli. La Vernaccia non può essere delocalizzata!". I francobolli e i prodotti filatelici sono in vendita presso tutti gli Uffici Postali, gli Sportelli Filatelici del territorio nazionale, gli 'Spazio Filatelia' di Roma, Milano, Venezia, Napoli, Trieste, Torino e sul sito internet www.poste.it
Un francobollo per celebrare la Vernaccia Calvisius, raffinate forme di Serrapetrona Docg Fa parte della della serie tematica 'Made in Italy – eccellenze eno-gastronomiche d’Italia – il Vino Docg' il nuovo francobollo emesso in circo-
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Stiamo parlando del famoso caviale prodotto da Agroittica Lombarda, proposto sul mercato in una nuova confezione che rimanda alle forme del pre-
zioso metallo. Il Lingotto di Caviale Calvisius nasce da un’innovativa tecnica di asciugatura messo a punto dall’azienda bresciana: il caviale fresco viene riposto, senza essere pressato, in stampi creati appositamente a forma di lingotto e lasciato riposare; trascorso il tempo dovuto, il prodotto ottenuto ha un sapore gustoso e deciso ed è pronto per essere tagliato a lamelle o grattugiato. La garanzia di una filiera controllata al 100% (Agroittica ha implementato la tecnologia RFID-Radio frequency identification per il controllo di tutte le fasi di lavorazione) eleva il Caviale Calvisius a prodotto unico e certificato da Agroittica Lombarda, oggi proposto in nuova e preziosa veste: il formato consente al caviale di preservarsi per lungo tempo, è avvolto in una pellicola dorata e confezionato in una raffinata scatola nera e oro. In vendita da aprile 2012 ai ristoratori, è disponibile presso le migliori gastronomie italiane a partire dalla seconda metà dell’anno, in grammature tra i 50 e i 100 grammi.
L’estate Sammontana Anche quest'anno arrivano le novità firmate Sammontana. Il classico Barattolino, il prodotto icona dell'azienda toscana, ritorna nei bar con un formato mini da 210 grammi e con nuovi gusti: noce, stracciatella, caramello e crema; nella grande distribuzione il formato tradizionale da 500 grammi è disponibile anche nel gusto Pesca/Vaniglia. La gamma Cinque Stelle propone per i classici coni i gusti caffè e ciccolato con un formato da 75 grammi. E il caffè è ancora il protagonista di un inedito stecco, il Café Glacé (distribuito nelle gdo): gelato alla panna ricoperto da sorbetto al caffè. Cica Bum è invece la novità assoluta firmata Sammontana, un gelato alla vaniglia variegato al gusto mou adattato al formato push up dei ghiaccioli. Sul fornte stecchi nascono i Cremolati:
latte e menta, latte e mandorla, latte e liquirizia, mentre sul fronte coppe Sammontana conferma la collaborazione con Disney Pixar per una nuova edizione della Coppa Cars2, e firma un accordo di licenza con un altro grande protagonista dell’intrattenimento, DreamWorks, per la realizzazione della Coppa Madagascar 3. In arrivo inoltre quattro nuovi concorsi: maggiori informazioni, dettagli e regolamenti saranno pubblicati sul sito www.sammontana.it.
La Charta del Lago di Caldaro Ovvero un il diciplinare fortemente voluto dai produttori di questa zona. Il vino del lago di Caldaro è infatti ottenuto da schiava rossa, un vitigno storico, a cui questo territorio si sta dedicando con grande entusiasmo grazie a una stretta collaborazione tra i produttori. I quali hanno deciso di mettere nero su bianco le ragole d'oro per produrre questa tipologia di vino, elaborando un vero e proprio disciplinare chimato La Charta del Lago di Caldaro, un codice deontologico dedicato ai produttori e attivo dal 2010. I rigidi parametri da rispettare, in vigna come in cantina, hanno di fatto regalato un nuovo slancio e una nuova immagine a questo vino che sembrava aver perso notorietà. L'importante opera di valorizzazione ha dato i suoi frutti. I risultati? Quattro vini del lago di Caldaro sono stati insigniti dei Tre Bicchieri. Si è avviato così un percorso virtuoso dedicato a innalzare la qualità dei vini di un intero territorio, riconoscibili dal sigillo posto sulla capsula che sancisce il rispetto delle norme previste dalla Charta.
la foto di Cioffi
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TrentoDoc la riscossa dei grandi ‘minori’
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di Roger Sesto Continua il nostro viaggio all’interno del pianeta TrentoDoc, il distretto di montagna vocato alle bollicine di qualità. Le particolari condizioni ambientali di cui il Trentino gode – clima, altitudine, forti escursioni – sono quelle ideali per creare i migliori vini base possibili, capaci dopo la rifermentazione di generare spumanti sapidi, profumati, giustamente acidi, armonici e non eccessivamente ricchi di alcol. Tutti tratti distintivi per fare la differenza.
di altissimo livello. Cominciamo da Abate Nero: situata a Gardolo, è tra le poche aziende regionali a dedicarsi unicamente alla produzione spumantistica. Nata quasi per gioco nel 1975, quando un Riprediamo il nostro viaggio prendendo gruppo di amici, già legati al settore vitiin esame altre realtà, forse erroneamente vinicolo, decidono di cimentarsi con le ritenute 'minori' rispetto alle cantine più bollicine, allo scopo di produrre uno paludate di cui abbiamo scritto sul nu- spumante identitario, marcatamente mero 49 di Artù, ma che sanno esprimere espressione del territorio trentino. una vocazione territoriale e identitaria ABATE NERO: bollicine stilizzate ed essenziali Capitanata da Luciano Lunelli, Abate Nero non è un'azienda agricola, ma seleziona le migliori base spumante della regione e le elabora per ottenere dei prodotti tersi, nitidi, eleganti. Ogni anno si selezionano circa 500 ettolitri di vino, per il 90% Chardonnay, varietà ritenuta la più idonea per valorizzare la spumantistica della provincia, e si producono poco più di 60.000 bottiglie. Le etichette sono cinque, tutte Trento Doc: Brut, Extra Brut, Extra Dry, Brut Rosé, e la millesimata Riserva Brut Cuvée dell'Abate. Lo stile aziendale è improntato alla finezza, a un'eleganza immediata, scevra da barocchi orpelli gustativi. Per questa ragione si punta soprattutto sullo Chardonnay, sull'uso dell'acciaio – solo nella Riserva una piccola frazione della base affina in piccoli fusti –, su liqueur d'expedition molto lineare, composte solo da zucchero di canna e vini di millesimi più ricchi di alcol. Questo per avere spumanti minerali, freschi, fini e capaci di maturare con eleArtù n°51
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ganza. In linea con tutto ciò, si evita anche lo svolgimento della malolattica, per trattenere quella naturale freschezza così tipica del terroir trentino. I tempi di affinamento sur lies vanno dai 18 mesi per i prodotti più semplici, ai 36 mesi per le edizioni che escono millesimate, sino ai 60 mesi della Riserva. Punta di diamante della produzione, cuvée dell'Abate a parte, può dirsi la versione Extra Brut, che in pratica è un Pas Dosè, visto che di fatto non si usa liqueur: il suo essere quasi privo di zuccheri lo rende essenziale, austero, netto, difficile da fare – non volendolo 'correggere' in alcun modo – e, di primo acchito, anche da bere. Ma quando ne si comprende l'anima, si rivela essere il più suggestivo e 'parlante', oltre che il più gradevole anche a pasto, non essendo appesantito dalla presenza di zuccheri. BELLAVEDER: suoli adeguati e poco zucchero Pur esistendo da alcuni decenni, questa bella realtà di Faedo produce vini in chiave moderna da una dozzina di anni, ossia da quando Tranquillo Lucchetta, subentrando al suocero, ha afferrato le redini della cantina. E la produzione spumantistica, di piccole dimensioni, ancorché interessante, è ancora più recente: il primo Trento Doc
Brut Riserva è del 2006, uscito nel 2010, e la Riserva Nature del 2007 al debutto nel 2011. La base impiegata per le due bollicine è la medesima, con l'impiego di uve Chardonnay in purezza. La scelta di questa varietà, ritenuta la più espressiva del Trentino a livello di basi spumante, è strettamente legata alla filosofia aziendale di porre in bottiglia il territorio. Fra l'altro i suoli da cui provengono queste uve, di natura argilloso-marnoso e piuttosto alti a livello altimetrico, infondono nelle bacche una spiccata acidità, che rende assai freschi e vitali gli spumanti che ne derivano. Un terzo della base fermenta in legno, il resto in acciaio, con svolgimento parziale della malolattica. I tempi di affinamento giudicati ottimali sono di 36 mesi sui lieviti; si è provato anche una sosta più lunga, di 48 mesi, ma che non ha dato i risultati sperati; secondo l'esperienza di Lucchetta, il salto di qualità avviene dopo i 30 mesi, tempi più prolungati per il momento 'non valgono la candela'. Importante è invece il dosaggio zuccherino, in ogni caso mai superiore ai 5 g/l, sempre nella logica di esaltare il terroir, senza coprirlo con aggiunte 'posticce'. Oggi la superficie vitata dedicata alle bollicine si estende su 1,6 ettari, per una produzione nel 2011 di circa 11.000 bottiglie. Le viti sono ubicate in quattro location differenti, sempre attorno alla cantina, ma con diverse esposizioni, a dare maggior complessità ai prodotti. BORGO DEI POSSERI: l'altimetria è l'atout vincente Giovane e dinamica cantina trentina, è tra le ultime nate in provincia. Nel 2000 Martin Mainenti decide di realizzare il suo sogno, dando vita a Borgo dei Posseri. L'azienda è situata in un luogo incantevole che domina la Val d'Adige, circondata da fitti boschi a 500 m slm, sulla strada che porta verso i Monti Lessini, sopra l'abitato di Ala. Qui prima la vite non c'era: il podere in cui ora sorge la cantina era di proprietà di un'azienda zootecnica, con pascoli e terreni abbandonati: gran-
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de perciò lo sforzo di recupero e riqualificazione posto in essere da Mainenti. Allo scopo di riconvertire l'azienda, senza però deturpare l'ambiente circostante, sono stati piantati nel corso di questi anni 22 ettari di vigna. I poderi, del tutto inerbiti, posti a un'altitudine compresa fra i 500 e i 720 m slm, sono nascosti nel bosco. L'aerale è particolarmente vocato, caratterizzato dalla presenza dell'Ora del Garda; la favorevole esposizione su terreni limosi, sabbiosi e argillosi, costituisce un habitat ottimale per la viticoltura. “Fin dall'acquisto di questa azienda, grazie anche ai consigli dell'amico Mario Falcetti, si sono sfruttate le elevate altimetrie delle vigne, gestite con la lotta integrata e con diserbo meccanico, per avere uve dalle caratteristiche non riscontrabili nelle bacche provenienti da fondovalle. Parlando nello specifico di Chardonnay e Pinot Nero nelle loro vesti di base spumante, questo tipo di terroir garantisce oltretutto un contenimento naturale delle rese, che mediamente si attesta attorno ai 50 quintali di uva/ha per il Pinot Nero e 70 per lo Chardonnay, con una densità di impianto pari a ben 7.000 piante per ettaro. Vigne a così alta quota – sottolinea Mainenti – permettono a queste bacche di maturare lentamente, mantenendo alti livelli di acidità, indispensabili per la produzione di spumanti freschi, persistenti e longevi. Le rese così basse e la grande escursione termica legata all'altezza dei vigneti garantiscono poi eleganza, finezza, complessità, con una particolare nota minerale dettata dalla tipologia dei suoli. A marzo abbiamo sboccato, dopo una sosta sui lieviti di 38 mesi, le 5.000 bottiglie del nostro primo Trento Doc, vendemmia 2008, con soli 6 g/l di zuccheri e con l'aggiunta di solo vino di riserva, frutto di un paritario blend di Chardonnay e Pinto Nero”.
rispetto alla 'casa madre', è ospitata in uno splendido Maso situato sulle colline di Trento, in località Martignano, all'inizio della Valsugana. Un risolto esempio di architettura rurale trentina del Settecento, che mette a disposizione accoglienti camere rustico-moderne, circondato dal bel vigneto aziendale. Nei sotterranei dell'edificio vi sono le cantine dove fra l'altro ha luogo l'affinamento dei Trento Doc prodotti dall'azienda, circa 30.000 bottiglie su un totale produttivo di 100.000 unità. Due le etichette: il Corte Imperiale Brut, frutto di una base di 70% Chardonnay e 30% Pinot Nero, che sosta sur lies per circa 24 mesi, prodotto in 25.000 esemplari; e la Riserva del Conte Fondatore Brut, millesimata, 5.000 bottiglie, figlia di una base inizialmente con una presenza importante di Pinot Nero, ma che ora si sta avviando a divenire quasi uno Chardonnay in purezza, marginalmente fermentata in legna, che permane sui lieviti non meno di 36 mesi. Sono bollicine, soprattutto la prima, giocate sull'eleganza, sull'armonia, sull'immediatezza e la bevibilità, CONTI WALLENBURG: lo “spu- che non vogliono incutere soggezione reverenziale in chi le beve. Fra l'altro è mante di montagna” Questa bella realtà del Gruppo Montre- possibile organizzare degustazioni in sor, di Bruna Montresor e diretta da Eu- cantina, con la possibilità di dormire genio Urru, con gestione indipendente nel b&b del Maso, godendo di una Artù n°51
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è necessario in primis decidere il tipo di target di mercato a cui queste bollicine si devono indirizzare: se si esce con dei prezzi troppo ribassati si crea confusione presso il consumatore e si danneggia lo stesso valore del marchio; oltre al fatto che poi diventa impossibile configurare una strategia di marketing unitaria per rafforzarne la visibilità. In seconda battuta vi è un problema di eterogeneità dei prodotti. D'accordo i diversi stili e interpretazioni aziendali, ma nel Trento Doc sono davvero troppe le differenze, rendendo difficile la riconoscibilità di una bollicina che dovrebbe comunque essere espressione di un territorio. E proprio a proposito di quest'ultimo aspetto, arriva la critica più serrata. Perché mai non si è ancora sfruttato seriamente il concetto di montagna per la promozione delle bollicine trentine? Anzi quasi sino a qualche anno fa ci si vergognava di laprima colazione davvero esclusiva, a vorare prodotti alpini. L'immagine della base di confetture fatte in casa, ricercati montagna, se sfruttata bene, potrebbe croissant, taglieri di salumi e formaggi. essere un traino incredibile per l'immaParlando con i responsabili di Conti gine del TrentoDoc, da legarsi al concetto Wallenburg, sono emersi alcuni spunti di viticoltura eroica e da porsi in sinergia interessanti in merito allo sviluppo del- con il turismo invernale, fondamentale l'immagine del TrentoDoc. Secondo loro per l'economia regionale.
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MASO MARTIS: fuori dal coro, qui si punta sul Pinot Nero Negli anni '80 la famiglia Stelzer acquista un'antica casa colonica con annessi i terreni in quel di Martignano, una frazione sopra Trento. Era la 'Casa della Vendemmia', la casa delle famiglie contadine che lavoravano la terra per conto del nobile proprietario. Le vecchie stalle diventano la cantina per l'affinamento dei vini e dello spumante; dai magazzini si ricavano i locali per la vinificazione e l'imbottigliamento, il laboratorio, l'appassimento dell'uva e gli uffici; nella soffitta la nuova abitazione. La gamma dei vini di Maso Martis è ormai quasi del tutto mirata alla produzione di bollicine. Questa sincera passione per il Trento Doc accompagna i coniugi Stelzer, Antonio e la moglie Roberta Giuriali, da sempre, a livello professionale e privato, tanto che oggi questa piccola azienda modello può dirsi una fra le re-
altà artigianali più solide dell'intera denominazione. Il vigneto, tutto di proprietà, 12 ettari impiantati nel 1986, è un unico nucleo che cinge la cantina di vinificazione. Ubicato ai piedi del Monte Argentario, gode di un ambiente vocato alla viticoltura, chiuso da boschi e cinto dai classici muretti in pietra; posto su suoli calcarei con venature di roccia rossa, è allevato a Guyot e a pergola trentina, con trattamenti di matrice biodinamica. Stile della Casa è la produzione di Trento Doc strutturati, opulenti, importanti, ma armonici, eleganti e di buona beva al tempo stesso. Spumanti da pasto, aristocratici e di un certo impegno, dalla buona acidità, temperata dal giusto dosaggio zuccherino, dai notevoli estratti; capaci anche di lunghe e virtuose evoluzioni nel tempo. Altra caratteristica di Maso Martis è quella di puntare molto sul Pinot Nero, dalle cui vigne nasce maturo e sontuoso, ancor più che sul più diffuso (in Trentino) Chardonnay. Infine, i tempi di affinamento sur lies qui sono mediamente lunghi: sui 24 mesi per Brut, Demi Sec e l'imponente Rosé, frutto di una vinificazione in rosa di Pinot Nero in purezza; almeno 60 mesi per la materica Riserva; non meno 8-9 anni (!) per la rarissima Riserva Brut Madama Martis, autentico fuoriclasse, 500 bottiglie prodotte solo nelle vendemmie
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eccelse, con l'insolito contributo di un pizzico di Pinot Meunier – regolarmente previsto dal disciplinare del Trento Doc – a complemento di una base di Pinot Nero (70%) e Chardonnay (25%). Oggi è in commercio il millesimo 2002, tirato nel maggio del 2003 e sboccato nell'agosto del 2011. METHIUS: un Trento Doc artigianale, fatto per sfidare gli anni L’azienda spumantistica Methius nasce nel 1986 per volontà di due amici, gli enologi Carlo Dorigati, già patron della Dorigati, ed Enrico Paternoster. Tutt’oggi la produzione è gestita dalla Cantina Dorigati di Mezzocorona, in stretta collaborazione con Paternoster. I locali di invecchiamento si trovano nel centro storico, in una fascinosa cantina risalente ai primi del Novecento. Le uve di Chardonnay e Pinot Nero a base dei Trento Doc della Casa provengono dai vigneti ubicati per la maggior parte nella zona collinare pre-
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sente tra gli abitati di Pressano e Faedo, in terreni argillosi dove i minerali di dolomia della Valle dell’Adige si mischiano a quelli porfirici della Valle di Cembra, con contenuti calcarei medi. Una esigua parte di Chardonnay proviene invece dalle colline pedemontane del Monte di Mezzocorona, dove prevalgono terreni ghiaiosi. Le uve, vendemmiate in leggero anticipo per mantenere una freschezza acida ottimale, vengono poi vinificate in bianco in maniera classica. Il taglio finale risulta essere all’incirca 60% Chardonnay e 40% Pinot nero. Solo il 30% dello Chardonnay viene travasato a fine fermentazione in piccole botti di rovere per un affinamento di 78 mesi. Nel maggio successivo la vendemmia, viene effettuato il tiraggio con ceppi di lievito selezionati e l’aggiunta di zucchero per la rifermentazione. Quest’ultima – fase cruciale di tutto il processo produttivo – avviene nei locali sotterranei della cantina, a una temperatura costante di circa 15-16 °C, ottimale per una rifermentazione lenta, che oltre a produrre aromi eleganti e complessi, consente la formazione di un perlage fine, per via della lenta solubilizzazione dell'anidride carbonica nello spumante in fieri. Dopo il tiraggio e la rifermentazione, segue un affinamento in bottiglia sulle fecce fini costituite dai lieviti di almeno 5 anni, durante i quali le bottiglie vengono movimentate annualmente per mettere in sospensione i lieviti stessi, operando una sorta di batonnage in vetro; ciò ovviamente per aumentare il fenomeno della lisi, e quindi la struttura e la piacevolezza delle bollicine finali. Al quinto anno viene svolto il remuage, manuale, e successivamente la sboccatura (una unica per ogni annata). Dopo due mesi minimo di affinamento, lo spumante è finalmente pronto per il mercato. Si tratta di 15.000 bottiglie, etichetta unica, prodotte artigianalmente, molto curate nei dettagli. Il tutto per una bollicina impegnativa, ricca, opulenta e vinosa, che ha tra i suoi punti di forza una grande capacità di evolvere virtuosamente nel tempo, tanto che dopo la commercializzazione sarebbe bene con-
servarsela nelle proprie cantine almeno qualche mese, se non qualche anno, a sicuro beneficio dell'armonia e della complessità del prodotto.
acidità/zuccheri nell'uva non è cosa semplice: potrei rispondere banalmente che tutto dipende dal terroir... Ma vorrei essere più preciso. Nel nostro caso le uve, al momento della venMOSER: dalle due ruote a una demmia, hanno alti valori di acidità bollicina dal perfetto rapporto che normalmente oscillano fra 10 e acidità-zuccheri 12 espressi in g/l di acido tartarico, La cantina di Francesco Moser, famoso con valori zuccherini che sono fra i 16 recordman dell'ora e grande campione e i 17 gradi Babo (circa 11-11,5 gradi di ciclismo, nasce nel 1979, su iniziativa alcolici potenziali). I fattori che per sua e del fratello Diego. La famiglia, di mia esperienza concorrono maggiororigini contandine, ha da sempre pos- mente a questi valori analitici sono siseduto vigne in Val di Cembra, ma è curamente i terreni calcarei, in quanto appunto a fine anni Settanta che i favoriscono un basso assorbimento di due fratelli decidono di intraprendere potassio, ma anche l'altitudine, consila strada della vitivinicoltura, anche a derato che i nostri vigneti per lo spuintegrazione delle attività dell'agriturismo mante vanno dai 350 ai 600 m slm; di famiglia. La cantina, inizialmente un aspetto da non dimenticare sta ubicata a Palù di Giovo, si attrezza nella scelta dei portainnesti, selezionati così per l'attività enologica. Nel 1987 nel corso degli anni per gli impianti di Francesco, che ha nel frattempo portato Chardonnay e per quel poco di Pinot a termine la sua carriera cicilistica, de- Nero che abbiamo, preferendo quelli cide di acquistare un maso nelle vici- a basso assorbimento di potassio”. nanze di Trento, per stabilire la nuova sede aziendale. Oltre all'ampliamento delle superfici vitate, viene costruita una cantina più grande nella nuova tenuta di Maso Villa Warth, un antico podere vescovile che si estende su una superficie di 25 ha, di cui 10 vitati, sopra Trento. Infine, negli anni 2000 entrano in azienda Matteo – figlio di Diego – e Francesca – di Francesco – e l'azienda si arricchisce di nuove risorse che le consentono, tra l'altro, di avviare la produzione del Trento Doc 51,151, numero che corrisponde al celebre record di Città del Messico. Il 51,151 è frutto di una base di Chardonnay, con una piccola frazione di Pinot Nero, da uve provenienti dalle colline poco a Nord di Trento di Maso Villa Warth, anfiteatro di vigneti con un'esposizione ottimale per le basi spumante, dai terreni tipicamente calcarei. Questo Trento Doc si caratterizza per una spiccata acidità, tanto da rendersi indispensabile un dosaggio zuccherino relativamente generoso, sui 9 g/l. Matteo ci spiega il segreto della spiccata acidità di queste bollicine: “Individuare con precisione tutti i fattori che concorrono a definire il rapporto Artù n°51
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OPERA: il terroir della Val di Cembra per identitarie bolle di montagna Dopo alcuni anni di ricerca e costruzione del progetto, Opera Vitivinicola, in Val di Cembra di Giovo, nasce formalmente nel 2007, per iniziativa di due amici, entrambi figli di viticoltori, accomunati dalla passione per il vino e dal desiderio di valorizzare il proprio territorio di origine, ossi la Val di Cem-
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bra. Alfio Garzetti ricopre il ruolo di direttore generale, Bruno Zanotelli è responsabile della gestione del ciclo produttivo e controllo qualità dei prodotti. Opera Vitivinicola è il frutto di un progetto architettonico di recupero e ampliamento della cantina Rossi Napoleone, la più antica in Val di Cembra, fondata nell’800. La cantina si inserisce in un paesaggio di notevole pregio ambientale, caratterizzato da vigneti terrazzati che si estendono lungo la gola della vallata. Le scelte architettoniche e la cura dei materiali hanno inteso rispettare questo contesto ambientale, cercando il connubio armonico tra contemporaneità della struttura e dolcezza del paesaggio disegnato dalla natura. L’intervento di ricostruzione e ampliamento ha perseguito un duplice obiettivo: da un lato la riqualificazione dell’offerta, con particolare riguardo alla promozione turistica della valle, dall’altro la creazione di spazi e di impianti di vinificazione all’avanguardia, accanto al recupero architettonico del nucleo originario. Principale caratteristica di questa realtà è quella di dedicarsi, fatto raro in Trentino, unicamente alla produzione spumantistica. Gli ettari vitati da cui si ricavano le uve per le basi sono 10, di cui 8 a Chardonnay e 2 a Pinot Nero. Il tutto, per una produzione complessiva attuale di 70.000 bottiglie, che, a regime, potranno diventare 100.000. Al momento la gamma contempla un Trento Doc Brut, 100% Chardonnay, 50.000 bottiglie; una Riserva con un 30% di Pinot Nero, non ancora uscita sul mercato, 20.000 bottiglie; un Rosé con un 45% di Pinot Nero, 4.000 bottiglie; e, in futuro, un Pas Dosé. Punto di forza aziendale è il particolare terroir della Val di Cembra, dove insistono i vigneti, posti a un'altitudine media di 500 m slm. La Valle è difatti nota e riconosciuta per la sua vocazione alla produzione di vini base spumante. Qui Chardonnay e Pinot Nero hanno trovato nel tempo
una particolare adattabilità climatica e pedologica, ciò grazie alla perfetta posizione delle vigne: il versante orografico posto a destra del torrente Avisio gode di un'ottima illuminazione, esposto com'è a Est Sud-Est; le elevate escursioni termiche, soprattutto autunnali, permettono il raggiungimento di un'ottimale maturazione delle uve, pur mantenendo un adeguato tenore acidico. Conseguenza dell'eterogeneità geologica dei suoli, è una modulazione di variegate e infinite cuvée.
nell’inconscio il nostro percorso”. E poi, cosa è successo? “In età adulta, il desiderio di tornare a 'giocare in casa' è scattato dalla voglia di valorizzare le nostre origini, di cui andiamo fiere. Il fatto che nostro padre abbia seguitato a custodire di anno in anno delle 'Riserve in Grotta' è stata una fortuna che ci ha aiutato nelle nostre scelte; del resto il Trento Doc, spumante di montagna, rappresenta al meglio le potenzialità del Trentino!”. Donne produttrici di vino, in Trentino... impresa ardita! “In quanto donne, mantenere PEDROTTI SPUMANTI: bollicine e sviluppare un’attività che nella nostra declinate al femminile provincia è così tradizionalmente ma“L’avventura della nostra famiglia nel schile, non è stato certo facile. Siamo settore vitivinicolo – raccontano Dona- state aiutate dalla nostra formazione tella e Chiara Pedrotti – comincia grazie (Economia e Commercio con Master a Emanuele Pedrotti, nostro bisnonno. specialistico sugli spumanti, e Ingegneria Fu poi suo figlio Italo, a Nomi, a strut- Gestionale) e grazie a esperienze maturare l’azienda, impostandola in chiave turate all'estero: affrontare con commoderna per la produzione di vini di petenza fornitori e clienti, agenti e istiqualità. Negli anni Settanta nasce il tuzioni aiuta a migliorare la propria nostro primo metodo classico. A fine credibilità, e a quel punto la barriera anni Ottanta, la svolta: nostro padre di genere viene a cadere”. Paolo, convinto del potenziale qualitativo del territorio Trentino, vocato alla produzione di bollicine metodo classico, decide di abbandonare la produzione dei vini fermi per dedicarsi alla sua passione, lo spumante. Il suo desiderio era testare la capacità di un ambiente di origini belliche, acquistato dalla nostra famiglia nel 1978, di far affinare al meglio i nostri metodo classico, sui loro lieviti ('la Grotta della Spumante'), accantonando di anno in anno poche bottiglie per valutare la loro tenuta dopo lunghissimi anni di affinamento sur lies; d'altra parte l'ambiente pareva perfetto: temperature costanti, assenza di vibrazioni, buio assoluto. La nostra storia di bimbe innamorate del Trentino e del Trento Doc nasce da queste esperienze. In quegli anni giocavamo alle piccole imprenditrici: in campo a raccogliere qualche grappolo d’uva, in cantina a sentire i profumi del vino in fermentazione, in ufficio a fare le segretarie, al Vinitaly a proporre il vino di papà, in grotta mentre le bottiglie venivano remuate. Giochi, immagini, profumi e ricordi che hanno segnato Artù n°51
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REVÌ: un passione da far smuovere le montagne Si tratta di una piccola realtà spumantistica a gestione familiare fondata nel 1982 da Paolo Malfer, che con la moglie Giovanna, la cognata Carmen, i figli Giacomo e Stefano, porta avanti la sua passione per le bollicine. Passione talmente intensa da condurlo ad abbandonare il lavoro svolto in un altro settore e a dedicarsi all'arte della spumantizzazione. Un amore, quello per gli spumanti, nato fin dai banchi di scuola, affinato con la frequentazione dell'Istituto Agrario di San Michele all'Adige a inizi anni Settanta. Il nome dell'azienda deriva dal toponimo della zona in cui è situata, e sembra essere legata a un vino
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superiore che vi veniva prodotto, il Re Vin appunto. “Vi chiederete – spiega Paolo – perché non costituire un'azienda agricola: mi ero reso conto che con il piccolo vigneto di famiglia non avrei potuto in futuro soddisfare le esigenze della nascente attività, perciò decisi di rivolgermi direttamente ad altri che condividevano questa mia passione, per l'acquisto di uve e vini base. Un formula che si è rivelata giusta per noi”. Ci racconti dei vigneti dai cui ottenete la materia prima per le vostri basi. “Ci avvaliamo di una vigna posta in parte sul conoide di deiezione del torrente Arione in comune di Aldeno a un’altitudine di 210 m slm, esposta a Sud Sud-Est. I suoli sono di tipo alluvionale, a tessitura grossolana con presenza di ciottoli calcarei misti a limo e ad argille. Si tratta di un impianto a pergola doppia modificata, che ormai ha superato la bella età di 30 anni, ma che sicuramente ha ancora una lunga vita davanti a sé. Altre vigne si trovano sulle pendici del monte Calisio, su suoli argillosi in superficie, ma duri e calcarei sul 'fondo', a un’altitudine di 500 m slm, esposte a Sud-Ovest, allevate a Guyot e dalle rese molto basse: da qui otteniamo il Pinot Nero. In pratica, sebbene non certificate, le vigne sono a conduzione biologica”. La filosofia aziendale è da sempre quella di produrre un Trento Doc il più possibile legato al territorio, sua fedele espressione; Paolo Malfer è convinto che lo spirito che anima le vigne trentine, di montagna, possa trovare una perfetta modalità espressiva proprio nelle bollicine. Dopo gli anni di sperimentazione, quando si producevano circa 2.000 bottiglie all’anno, lentamente la produzione si è consolidata, arrivando alle attuali 14.000 bottiglie, di cui 8.000 Brut, 3.000 Dosaggio Zero, 3.000 Rosé Brut; tutti millesimati. In un prossimo futuro è prevista l'uscita di una Riserva ottenuta da Chardonnay proveniente da vigne ben esposte a 700 m slm, mantenendo sempre viva l'attenzione verso la valorizzazione del territorio, l'originalità dei prodotti, la sostenibilità ambientale.
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Dop Riviera Ligure olio fatto ad arte
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di Elisa Facchetti A certificarne la garanzia ora anche un Consorzio, che ne tutela la qualità e ne garantisce la tracciabilità. Famose sono le vedute di Michele Cascella, paesaggista crepuscolare italiano, che con il suo inconfondibile tratto stilistico ha saputo rendere su tela l'anima di alcuni dei luoghi più caratteristici d'Italia: le vedute di Portofino e la terra ligure. La bellezza di un paesaggio a volte rude, una bellezza battuta dal vento e dalla salsedine che arriva fino su in collina. Un paesaggio che è stato addolcito dalla mano dall'uomo, caparbio nell'addomesticare un territorio aspro da cui è riuscito a spremerne – non a caso – tutta la sua bontà. Stiamo parlando dell'olio d'oliva Dop Riviera Ligure, un olio che può vantare una tradizione millenaria risalente al Medioevo, quando i monaci benedettini introdussero per la prima volta la tecnica del terrazzamento e la varietà Taggiasca per migliorare le piante d'olivo, trasformando il territorio in quello che oggi rende inconfondibile la Liguria. Clima temperato e brezza marina rendono l'olivocoltura ligure il fiore all'occhiello di questa terra, producendo un olio noto in tutta Italia e anche a livello internazionale: più del 20% del prodotto certificato viene assorbito dal mercato estero. L'olio Dop Riviera Ligure deve il suo carattere tenue e delicato, a bassa acidità, alle varietà della pianta Taggiasca e in parte anche Lavagnina, Pignola e Frantoio. Un olio che si è meritato a pieno titolo la Dop per garantire al consumatore finale un prodotto controllato
Carlo Siffredi, presidente Consorzio Tutela dell'Olio Extra Vergine di Oliva Dop Riviera Ligure. in ogni singola fasa produttiva: dalla raccolta delle olive effettuata esclusivamente in Liguria alla spremitura, fino alla vendita, il tutto certificato e documentato grazie a periodiche analisi sensoriali e chimico-fisiche. Solo così un olio ligure ottiene la Dop. E a difesa di tutti i parametri da rispettare per la produzione dell'olio ligure a Denominazione di Origine Protetta nasce il Consorzio per la Tutela dell'Olio Extra Vergine di Oliva Dop Riviera Ligure: costituito nel 2001 comprende più di 500 soci tra olivicoltori, frantoiani e imbottigliatori. Grazie al riconoscimento ottenuto dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali svolge un'importante e fondamentale azione di promozione e controllo
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dell'Olio di Oliva Dop in riferimento alla tre aree geografiche da cui derivano le olive per la spremitura: dalla Riviera dei Fiori, che rappresenta la provincia di Imperia, si producono oli morbidi e suadenti ricavati quasi esclusivamente da olive taggiasche; dalla Riviera del Ponente Savonese arrivano sulle nostre tavole oli dal delicato profumo fruttato, mandorlati e dal gusto vegetale, ottenuti prevalentemente da olive Taggiasche; le province di Genova e La Spezia, ovvero la Riviera di Levante, regalano un olio decisamente più fruttato e sapido, ottenuto da olive Lavagnina, Razzola, Rossese, Lantesca e Olivastrone. Ma quali sono le esigenze che hanno portato alla nascita del Consorzio? Lo abbiamo chiesto a Carlo Siffredi, Presidente del Consorzio per la Tutela dell'Olio Extra Vergine di Oliva Dop Riviera Ligure: "Il Consorzio è nato dall’esigenza di far conoscere al consumatore l’Olio Extra Vergine a Denominazione di Origine Protetta Riviera Ligure, riconosciuto come prodotto a denominazione nel 1997, ma anche quello di creare un luogo dove i protagonisti del prodotto possano condividere strategie per il suo sviluppo. Il Consorzio di tutela, come previsto dalla normativa, è costituito unicamente da imprese della filiera che aderiscono al sistema dei controlli dell’olio DOP Riviera Ligure (olivicoltori, frantoiani e imbottigliatori). Tra le azioni principali vi è la promozione e la valorizzazione dell’olio DOP Riviera Ligure e la sua tutela, con l’importante azioni di vigilanza sui mercati, condotta attraverso propri agenti vigilatori e in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali – Ispettorato centrale tutela qualità e repressioni frodi”.
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Sono più di 500 i soci del Consorzio. Quali sono i parametri da rispettare per produrre un olio extra vergine di oliva Riviera Ligure DOP e riconosciuto dal Consorzio? “Le imprese socie si sottopongono volontariamente al Piano dei Controlli dell’ente di certificazione. Si tratta di un insieme di procedure ed adempimenti volti a garantire al consumatore che l’olio Dop Riviera Ligure è 'certamente' ligure ed è di maggiore qualità rispetto all’extra vergine. Infatti al termine del percorso di tracciabilità, assicurato con verifiche in campo e registrazioni, vi è il prelievo dell’olio prima dell’imbottigliamento che viene analizzato dal punto di vista chimico-fisico e sensoriale. Se supera le analisi l’olio ottiene il collarino giallo numerato dal Consorzio di Tutela. Dopo la certificazione opera il consorzio con la sua azione di verifiche ispettive nei punti vendita per il controllo sulla qualità dell’olio con prelievi e ripetizioni delle analisi. Obiettivo è quello di garantire il consumatore sulla bontà e tipicità di questo olio 100% ligure. I dati delle diverse campagne rivelano una produzione in quintali eterogenea. Da cosa dipendono questi valori e in che modo incidono sul prezzo finale? “Attualmente la produzione di olio Dop Riviera Ligure in tutta la Liguria si attesta annualmente sui 5.000 quintali, la maggior parte proveniente dalla Riviera dei Fiori, area dove vi è la presenza della famosa cultivar Taggiasca. L’olio Dop Riviera Ligure, in questo territorio, è infatti un olio monocultivar Taggiasca 'certificata', ossia autentica, originale, ligure al 100%. Le variazioni di produzione dipendono quasi esclusivamente da fattori naturali: ad esempio più sole o più
pioggia al momento della fioritura. La differenza con l’extra vergine 'convenzionale' è che nell’olio Dop Riviera Ligure vi è la massima trasparenza sul processo produttivo e sulle qualità dell’olio offerto al consumatore: la prossima sfida del consorzio è quella di fornire nella prossima campagna al consumatore la carta d’identità dell’olio Dop Riviera Ligure”. Gli oliveti, delimitati da un un preciso disciplinare che ne stabilisce confini territoriali ben precisi, producono una quantità ridotta di questa eccellenza ligure che viene distribuita soprattutto nel Nord Italia. Tuttavia, per le sue caratteristiche di delicatezza e di dolcezza, l'Olio Dop Riviera Ligure è presente, nella categoria degli oli fruttati leggeri, anche su scala nazionale, accanto a produzioni del Centro e Sud Italia. I dati sulla distribuzione, segnalati dal Presidente Carlo Siffredi, rivelano che circa il 70% viene assorbito nella grande distribuzione, ma rilevante è la quota di mercato della vendita diretta grazie anche alla forte azione di grandi e piccole aziende. “Grande attenzione vogliamo dedicare al punto debole: la ristorazione – dichiara ancora Carlo Siffredi –. Purtroppo pochi chef e ristoratori colgono l’importanza di avere un olio di qualità per la preparazione dei piatti o per le proprie tavole, nonostante
il maggior costo sia ampiamente 'ripagato' dalle qualità accresciuta della pietanza e pochi sono inoltre gli chef che operano una scelta di identità con il territorio in cui operano. È stato fatto negli anni passati con i vini, non lo è ancora purtroppo per l'olio. In Liguria, ad esempio, ogni ristorante dovrebbe offrire al consumatore un pezzetto di pane con una goccia di olio Dop Riviera Ligure: sarebbe il biglietto da visita della Liguria, estremamente semplice da fare e poco costoso”. E il vantaggio del Dop Riviera Ligure si esprime nella sua caratteristica intrinseca: la leggerezza, il sapore lievemente fruttato con sentori di mandorla e pinoli, fa del Dop Riviera Ligure un olio adatto ad ogni tipo di cucina e ideale per esaltare il gusto dei cibi senza alterarne il sapore. Tuttavia le parole del Presidente rivelano che la strada per accompagnare il consumatore verso scelte consapevoli e sull'importanza della denominazione di origine, è ancora lunga: “La priorità – afferma Carlo Siffredi – è la diffusione dell’informazione sia a livello nazionale nel mondo dell’olio con altre piccole produzioni di eccellenza come il Garda, Chianti Classico, val di Mazara in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole, sia a livello regionale con un'altra eccellenza garantita, il basilico genovese Dop”.
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di Alberto P. Schieppati “La natura è un alleato prezioso: non c’è sviluppo senza equilibrio”. Questa frase di Lionardo Ginori Lisci, proprietario della tenuta, è una sorta di dichiarazione programmatica, confermata dall’attività imprenditoriale dei nipoti. La cantina, situata tra Volterra e la costa, produce vini di grande carattere e il castello offre un’ospitalità semplicemente autentica, in linea con le aspettative di chi cerca una Toscana alternativa, rafforzata dalla cultura 'green' della famiglia Ginori. Siamo nel cuore della Val di Cecina, tra Volterra e la Costa degli Etruschi: in questo lembo incontaminato di Toscana si trova il Castello Ginori di Querceto, borgo di origine medioevale la cui lunga storia si intreccia da due secoli con la storia di una famiglia nobiliare fiorentina, i Marchesi Ginori Lisci, il cui nome è celebre nel mondo per le preziose porcellane. Grazie alla attività imprenditoriale della famiglia Ginori, il borgo è parte integrante del tessuto economico locale, vocato soprattutto ad una intensa attività vitivinicola ma anche dedicato all’organizzazione di eventi e supportato da una offerta di ospitalità di alto profilo (www.castelloginoridiquerceto.it). La produzione vinicola dei Ginori Lisci prende avvio nel 1999, quando vennero orgogliosamente impiantati – dopo atArtù n°51
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tente valutazioni pedoclimatiche – 17 ettari di vigneto costituiti da vitigni di uve Merlot, Cabernet Sauvignon, Viognier, Sangiovese e Vermentino; un impegno enorme e gestito meticolosamente, che ha consentito alla famiglia di produrre vini di elevata qualità, che si fregiano della Doc Montescudaio. I vitigni si trovano nella zona di prima collina, su tre appezzamenti con caratteristiche omogenee. Cinque sono – al momento – le etichette prodotte dall’azienda agricola (www.marchesiginorilisci.it): il Castello Ginori (Merlot e Cabernet Sauvignon), il Macchion del Lupo (Cabernet sauvignon e Sangiovese), il Campordigno (Merlot e Sangiovese), il Bacìo, un sorprendente rosato da uve Merlot e Sangiovese, il Virgola (Vermentino e Viognier). Per chi ha avuto l’opportunità – come il sottoscritto – di degustare i vini dell’azienda Ginori
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Lisci, va detto che ci troviamo di fronte a vini di grande carattere e personalità: concentrato e ricco il Castello Ginori, espressione diretta ed autentica del territorio dell’Alta Maremma, fruttato ed armonico il Macchion del Lupo, in cui il Cabernet Sauvignon esprime i noti sentori speziati, ma con finale fresco ed elegante; gradevolissimo il Campordigno, la cui forza viene sintetizzata nell’espressione ‘generosità mediterranea’. Un vino, quest’ultimo, che fermenta in vasche d’acciaio a temperatura controllata per 15 giorni, invecchia parzialmente in botte grande (e un’altra parte in acciaio) e affina per 4 mesi in bottiglia. Il suo stile è, come sottolinea Luigi Malenchini, nipote di Lionardo, l’espressione mediterranea del Sangiovese: colore porpora, intenso e brillante, ha profumo piacevole di piccoli frutti rossi, accompagnato da lievi note speziate. Il gusto è fresco, rotondo e armonico, con tannini equilibrati. Si abbina a salumi, pecorino stagionato, paste fresche e molte altre specialità tipiche di questo lembo di Toscana. Il
percorso innovativo della famiglia Ginori Lisci è confermato anche da una spiccata sensibilità ambientale: non a caso, l’azienda è ormai conosciuta per la capacità di 'coltivare energia alternativa', grazie a un impianto di biogas che sfrutta la fermentazione di prodotti e sottoprodotti aziendali (come le vinacce e la sansa di oliva). Il biogas viene poi trasformato in energia rinnovabile, che viene utilizzata dall’azienda e dal borgo ed entra poi nella rete elettrica nazionale: le biomasse degradate dai processi di fermentazione vengono, in un secondo tempo, utilizzate come concime naturale per i terreni dell’azienda. Una capacità di guardare avanti certo non comune nel mondo dell’imprenditoria vinicola, spesso ancorata a concetti di tradizione e blasone che – alla lunga – immobilizzano ogni potenzialità di sviluppo e crescita. Il Borgo Ginori offre anche, come si accennava prima, forme di ospitalità autenticamente in sintonia con l’ambiente, ideali per vacanze rigeneranti all’insegna della semplicità: gli appartamenti del Castello Ginori di Querceto sono stati recentemente ristrutturati con l’obiettivo di mantenere intatti lo stile e l’atmosfera delle case di campagna, connotate da autenticità e integrità architettonica e ambientale, in un contorno panoramico mozzafiato.
Castello Ginori di Querceto
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Educare al vino La sfida è MONDIALE qualità della sua formazione. Riconoscimento che poi è arrivato anche a liNel cuore del Chianti Classico, nel- vello internazionale. Così dal 1990 ha l’antico monastero di Badia a Passi- cominciato ad insegnare anche all’estegnano o a Tenuta Tignanello, nome ro. Oggi i due terzi degli studenti si troevocativo dei celebri vigneti di Tigna- vano al di fuori del Regno Unito (Hong nello e Solaia, o ancora, nella culla Kong da sola costituisce circa il 10%). del Rinascimento, a Firenze: ecco dove si possono studiare vini e supe- Come è strutturato? ralcolici sotto l’egida del più impor- È composto da otto trustees, che sono tante ente di formazione e insegna- l’espressione dell’industria del vino e mento di vino nel mondo, il Wine & dei liquori britannica: tre sono espressi dalla Vintner’s Company, tre dalla Wine Spirit Education Trust. & Spirit Association, due dal Worshipful Siamo andati a trovare Maurizio Colia, Company of Distillers e uno dall’Institute il primo referente in Italia qualificato of Masters of Wine. I corsi sono suddivisi dall’istituto inglese per insegnare se- in 5 livelli, dal Foundation, livello 1, secondo le metodologie WSET. Colia riesce guito cronologicamente dall’Intermediate, a trasmettere la sua grande passione Advanced, Diploma e Honour Diploma in ogni parola, in ogni gesto. Assistere del livello 5. Il corso di Diploma dura alle sue lezioni – rigorosamente in in- due semestri ed è parificato formalmente glese, come prevede il regolamento – ad un primo anno di università. È l’unica è un’opportunità di crescita e di con- associazione approvata dall’authority fronto. Deciso e preparato come sanno per l’educazione britannica, il 'Qualifiesserlo gli uomini che si sono fatti da cation and Curriculum Authority'. soli lavorando duramente e tenacemente, ironico per quel suo vissuto di viag- Qual è il taglio del corso? giatore del mondo sempre a contatto Il focus principale, specialmente per i con persone diverse, sa coinvolgerti livelli di insegnamento più elevati, è il con entusiasmo, spontaneità e umiltà, business del vino. Quindi, non solo coqualità per le quali è molto amato fra i noscere le varietà di uva, i terroir, i vini del mondo, ma comprendere le dinasuoi allievi. miche con le quali funziona il commercio Maurizio, cos’è il Wine & Spirit Edu- internazionale e locale in ogni area di insegnamento. A livello di Diploma, cation Trust? Il WSET, fondato nel 1969, oggi è la uno dei moduli obbligatori principali è più grande organizzazione per l’inse- il 'Global Business of Wine'. Penso che gnamento del vino e alcolici nel mondo. questa tipologia d’insegnamento avrà Insegna a 27.500 studenti in cinquan- un’influenza determinante per i futuri tacinque Paesi del mondo in quindici leader del settore. L’altra istituzione, lingue (ma non in italiano, le lezioni e i sempre inglese, è The Institute of Master libri di testo su cui studiare sono in in- of Wine, difficilissima e molto selettiva, glese) con un programma che copre la con sole 290 persone al mondo che produzione globale, studiato su vari possono usare il suffisso MW dopo il livelli di conoscenza. La struttura di loro nome (nessun italiano fra questi, base è formata da 450 centri di inse- purtroppo), ma forse l’impatto a livello gnamento affiliati (Approved Program mondiale è maggiore per il WSET: Providers, o APP) che sono imprese pri- da qui escono buyer, responvate, regolate e controllate dal WSET, sabili acquisti, professionisti che ne forma gli insegnanti, fornisce il che tengono in pugno le programma e il materiale di studio e sorti del mercato del vino inne valuta i risultati. È un’organizzazione ternazionale. In realtà, in 'no-profit', che si è fatta conoscere ed Inghilterra per esempio, apprezzare nel Regno Unito per la tutti gli esperti di vino handi Alessandra Piubello
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Chi è Maurizio Colia no frequentato questi corsi, inclusa Jancis Robinson. Parliamo per esempio del livello 2, l’Intermediate. È destinato a coloro che possiedono già una conoscenza di base sulle bevande alcoliche in commercio. Ecco un elenco di alcuni temi trattati durante le lezioni, a partire da come si produce il vino, ai fattori determinanti lo stile del vino, ai vitigni a bacca bianca e rossa, alle regioni che producono vino nel mondo, ai vini spumanti, dolci e liquorosi, ai distillati e liquori, a come degustare il vino, agli abbinamenti cibo e vino, con degustazione pratica di circa venti vini provenienti dal mondo. I libri, spediti mesi prima della full immersion di tre giorni durante la quale vengono spiegati gli argomenti studiati precedentemente, sono molto chiari ma approfonditi. La 'study guide' racchiude praticamente, per punti essenziali ('key facts'), un riassunto del libro principale 'Looking behind the label', con molte domande test per verificare l’apprendimento. Un metodo anglosassone di sicura efficacia, anche se è necessario studiare seriamente per passare gli esami, in quanto la scuola è selettiva. Per ottenere la qualifica bisogna passare un esame di 50 domande a risposta multipla.
Originario del Molise, fin da piccolo vive le vigne, camminando fra i filari dei nonni. Dopo il diploma alberghiero, comincia la sua avventura per il mondo, che lo porterà fuori dall’Italia per una decina d’anni, prima a Londra (dove entra in contatto con il WSET, studiando fino all’ultimo livello mentre lavora per Gualtiero Marchesi, per il Colony Club e il Ritz Club), poi negli Stati Uniti, passando per ruoli di responsabile dei ristoranti di prestigiose navi da crociera. Rientra in Italia e si trasferisce in Toscana, dove lavora come sommelier presso lo stellato Osteria di Passignano, di proprietà dei Marchesi Antinori. Nel 2009 prende l’Approved Program Provider, ovvero la licenza per poter insegnare in Italia il WSET fino al terzo livello e nel 2010 fonda la prima scuola d’Italia. Nel 2012 ottiene il Wine Making Certificate della California University UC Davis e attualmente sta studiando per diventare Master of Wine.
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di Gualtiero Spotti La vita di Paul Cunningham è cambiata lo scorso anno, a settembre, quando il cuoco inglese ha chiuso le porte del suo ristorante stellato The Paul, a Copenhagen, e ha iniziato a guardarsi intorno per capire come continuare a svolgere al meglio la sua professione. The Paul, lo splendido atelier-serra all’interno dei giardini Tivoli, ha sicuramente determinato negli anni molto dello stile del cuoco cresciuto, tra gli altri, alla corte di Heston Blumenthal. Con il suo grande spazio immacolato, ricco di piante, oggetti d’arte, libri, una deliziosa cucina a vista e le frequentazioni Vip garantite dalla capitale danese, un po’ tutti sono passati dal suo ristorante, da Helena Christensen ai Rem, e in parecchi hanno subìto il fascino trasgressivo e la strabordante simpatia di Paul ai fornelli. Il quarantatreenne esuberante e talentuoso è, come si suol dire, una forza della natura, ed è incontenibile ancora oggi che dalle luci della ribalta di Copenhagen si è trasferito sulla costa occidentale dello Jutland, a Henne, nell’ambiente ruralchic di Henne Kirkeby Kro, una locanda con cucina tra le più belle della Danimarca. Per Paul Cunningham, che ha inaugurato il suo nuovo indirizzo gourmet pochi mesi fa, si può dire che la destinazione inconsueta e al di fuori dei giri che contano, sia legata a una scelta di vita, ovvero alla necessità di godersi un po’ di tranquillità campagnola e di giocare con la professione di giardiniere/agricoltore diventata in breve tempo la sua vera passione. Infatti Henne Kirkeby Kro, oltre ad avere alcune belle stanze in stile moderno per l’accoglienza, due discrete sale nel ristorante e una private room con cucina a vista, ha dalla sua la forza di un giardino enorme (e riscaldato nel sottosuolo per la stagione invernale), ricco di verdure, piante, erbe, che è diventato ben presto il nuovo terreno di conquista di Paul Cunningham. Al punto che perfino il look del cuoco, ai tempi Artù n°51
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questo angolo di Danimarca non manca nulla. Basta seguire il ritmo delle stagioni e affidarsi all’estro e alla creatività della cucina, che spesso si concede delle piacevoli divagazioni extra menu. E quando il produttore, il pescatore o l’allevatore chiama, Paul risponde sempre: è così che nel corso della nostra recente visita ci siamo trovati di fronte a un rombo di otto chili e mezzo preparato con timo e salsa al limone (e condiviso con buona parte dello staff di cucina!). Lo stile un po’ internazionale e un po’ locale di Cunningham a Henne Kirkeby Kro gioca sempre la carta della convivialità, del piacere assoluto di stare a tavola, della condivisione con gli amici, del contatto fisico con il cibo. Al punto che, per la serie di amuse bouche destinata ad aprire il pasto, non viene consegnata nessuna posata. E sono le mani a cercare le olive verdi e le mandorle Marcona, la croccante sfoglia di prosciutto iberico, sardine e lamponi, il foie au tourchon, gli asparagi bianchi di Fyn (squisiti e dalle dimensioni abnormi!), il pane fatto in casa e chiamato The Who, perché nato in cucina mentre la brigata ascoltava i brani della celebre rock band anglosassone (e da accompaclassico, con grembiule e divisa di ordinanza, è stato soppiantato da una grezza camiciona a quadretti in stile grunge, da un bizzarro fiore all’occhiello (che fa molto hippie) e da una pesante cuffia verde scura, una 'mise' diventata il suo nuovo, inconfondibile, marchio di fabbrica: una via di mezzo tra il fattore che è abituato a lavorare in campagna sporcandosi le mani e il giovane reduce da un rave party notturno, per intenderci. Ma fa parte del gioco, della verve che contribuisce a rendere Paul Cunningham un personaggio unico nella scena dell’alta cucina internazionale. D’altro canto proprio qui, tra mucche e maiali, il cuoco pesca la materia prima di casa con la quale inventa i suoi piatti, facendo poi affidamento ai prodotti scelti sul mercato locale. Dalla carne al pesce, dai funghi ai formaggi bio, in
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gnare obbligatoriamente con il burro della fattoria di Aabybro). Poi si passa a preparazioni più complesse come la zuppa di prezzemolo con il pesce della costa e una vinaigrette di sidro di mele, o l’astice nero danese con lardo, pomodoro e burro, fino alla carne grigliata accompagnata da cipolle di Henne e verdure, vero piatto simbolo della cucina di pancia del cuoco inglese. Anche i dolci meritano grande attenzione perché hanno il pregio, a fine pasto, di pulire il palato, come il sorbetto al finocchio con mele e foglioline di sedano o l’imperdibile piatto di carciofi Jerusalem con radici di dente di leone e creme caramel al burro salato. Dolci 'freddi', per non dimenticare dove ci troviamo, ma squisiti e avvolgenti, che incuriosiscono nella loro capacità di stimolare sottili sensazioni di contrasto nei diversi sapori. La curiosità e la verve di Paul Cunningham hanno fatto centro ancora una volta, e sono la base sulla quale costruire un viaggio gourmet in una zona poco conosciuta della Danimarca. Info: Henne Kirkeby Kro, Strandvejen 234 – Henne www.hennekirkebykro.dk www.paulfood.com
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Casa del Nonno 13 La grande semplicità 48
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di Luisa Contri Una cucina tradizionale ristrutturata. È quella che propone con successo Raffaele Vitale, chef patron di Casa del Nonno 13, il ristorante che gestisce da sei anni nella piccola frazione Sant’Eustachio di Mercato San Severino, in provincia di Salerno. Frutto della ristrutturazione delle cantine di un palazzo settecentesco, il locale è stato studiato nei minimi particolari dallo stesso Vitale, laureato in architettura. Ma i veri protagonisti restano i prodotti dell’agro-alimentare salernitano e campano. “Siamo nella regione più prolifica d’Italia quanto a prodotti tipici”, sottolinea Vitale. “Non è dunque un caso che in questo territorio ci sia un buon numero di ristoranti e di chef stellati. Qualità dei prodotti e qualità della mano fanno qualità al quadrato”. A rendere una cena a Casa del Nonno 13 un vero e proprio viaggio nella storia della cucina regionale campana non è soltanto il fatto che protagonisti dei piatti di Vitale siano materie prime del territorio d’alta qualità: dal vero pomo-
doro San Marzano alle pappacele, dai pomodorini del Piennolo del Vesuvio a quelli di Corbara, dai fagioli di Controne al cipollotto bianco di Nocera, dalla mozzarella e ricotta di bufala campana al provolone del Monaco, dalla cacioricotta cilentana al pecorino camasciano, dalla salsiccia pezzente alla carne di bufalo o d’agnello, dai paccari trafilati al bronzo dell’antico pastificio Vicidomini agli ziti spezzati a mano o alle candele, dall’olio extravergine d’oliva Cilento Dop a quello delle colline salernitane Dop. Tutte leccornie che Vitale si reca personalmente ad acquistare, facendo visita ad agricoltori, allevatori e trasformatori artigianali, così da poterne valutare qualità e metodi produttivi. “È chiaro che non bisogna andare a fare la spesa al supermercato”, afferma Vitale. “Per trovare gli ingredienti buoni occorre girare un po’”. Ma ciò che fa risaltare la cucina di questo chef, è la sua passione per le ricette antiche, di cui è costantemente a caccia e che reinterpreta in chiave moderna, mai banale, facendo in modo che i più fortunati dei suoi commensali, assaggiandole, compiano un viaggio a ritroso nel tempo e ritrovino i gusti della loro infanzia.
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È il caso, per esempio, delle ricette come la parmigiana di melanzane, il ragù alla genovese, una salsa ottenuta dalla cottura prolungata e a fuoco lento di carne di manzo e cipolle, o ancora come il pane cotto al pomodoro San Marzano, che Vitale propone nella versione di un frate del convento di Baronissi: fra Carlo. Gli ingredienti sono: 500 grammi di panella rafferma (un pane di farina di grano duro) cotta a legna, 1 kg di pomodori San Marzano, aglio, origano di montagna, olio extravergine d’oliva delle colline salernitane Dop, sale e una bella spolverata di cacioricotta cilentana grattugiata. Una cucina, quella di Casa del Nonno 13, comunque alla portata dei più.
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“Mantenere prezzi ragionevoli”, afferma Vitale, “commisurati con la qualità della nostra proposta, è una necessità. Se fossimo a Milano potremmo fare prezzi anche doppi, ma per gli standard della zona siamo già considerati di fascia alta e se aumentassimo i prezzi rischieremmo di dover mangiare noi quello che cuciniamo. Qui la crisi si sente e i controlli della Guardia di Finanza hanno dato il loro contributo a scoraggiare la gente dall’uscire per cena. Non tanto per i controlli sulle ricevute fiscali, quanto per quelli sulle auto. Va detto poi che la collocazione del locale nell’entroterra, in una zona appartata rispetto ai percorsi turistici più battuti della regione, e il fatto che il nostro nome non sia ancora famosissimo, fa sì che la nostra clientela sia costituita per il 90% da campani. Sono insomma pochi i clienti di passaggio. Diciamo che ci collochiamo nella fascia della buona ristorazione, non ancora in quella dell’eccellenza”. Casa del Nonno 13 è anche un locale fruibile secondo diverse modalità. La più completa e classica è quella del pranzo o della cena nella sala ristorante in cantina, con 45 posti a sedere. In un’ambientazione rustica ma raffinata, si può optare per cenare à la carte, scegliendo fra i piatti in menu e fra quelli del giorno. “Quello che propongo”, precisa Vitale, “è un menu che segue le stagioni e che si rinnova quasi completamente quattro volte l’anno. Ogni due settimane, comunque, mentre alcune proposte classiche rimangono fisse, inserisco piatti nuovi. A seconda di quello che trovo sul mercato, poi, preparo dei piatti del giorno, che restano fuori carta”. La spesa media à la carte si aggira intorno a 50 euro, vini esclusi. “In questa cifra”, spiega Vitale, “rientra un benvenuto, un antipasto, due assaggi di primi, un secondo, un dolce e la piccola pasticceria”. Piatti da accompagnare con vini campani: sono il 60% delle circa 500 etichette presenti in carta. O con i migliori vini italiani, alcuni francesi, per lo più champagne e vini alsaziani, e qualche
tedesco della Mosella. “Non ho inserito vini del nuovo mondo”, riferisce Vitale. “Non mi entusiasmano e non li tengo”. Ben differenziata la proposta dei menu degustazione. Casa del Nonno 13 ne ha previsti ben cinque. Il più completo è il 'Raffaè… fai tu', pensato per gli ospiti che amano le sorprese e composto da otto piccole portate tra mare e terra: benvenuto, doppio antipasto, doppio assaggio di pasta, secondo, pre dessert, dolce e piccola pasticceria a 50 euro a persona, vini esclusi. C’è poi il menu degustazione 'territorio' da cinque portate, fra tradizione e innovazione (40 euro a persona vini esclusi), quello 'Il nostro mare', stesso numero di portate a 45 euro; il 'vegetariano' composto da benvenuto, tre portate e sorbetto a 35 euro e il 'senza glutine'.
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Casa del Nonno 13 si propone però anche come destinazione per un aperitivo in piedi o uno spuntino veloce a base di crudité di pesce, di carne e di verdure. Oppure per una colazione di lavoro nei giorni feriali (antipasto, primo, sorbetto, acqua e calice di vino a 25 euro) o ancora per una cena informale nel locale salumeria (25 posti). Qui la carta è più essenziale ed è incentrata su piatti semplici della tradizione: dalla pizza di maccheroni al ‘baccalà alla puveriello’, al ‘pollo scucchiato’, alle salsicce e ‘vruoccoli suppettiati’, e sui taglieri di salumi che Vitale stesso produce, e di formaggi. “In salumeria la spesa media si aggira sui 30 euro”, riferisce Vitale. “È una proposta che consente alla clientela di uscire a cena una volta in più al mese”. Per venire incontro alla passione dei
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suoi conterranei per la pasta, lo chef patron di Casa del Nonno 13 non lesina sulle porzioni. “La dose standard di pasta che prevediamo a persona è di 90 grammi”, precisa Vitale. “Ma invitiamo i nostri clienti a dirci se desiderano una porzione più abbondante, ovviamente senza alcun sovrapprezzo”. La brigata di Casa del Nonno 13 – cinque persone in cucina, Vitale compreso, e un sommelier e tre camerieri in sala – è poi a disposizione della clientela con il servizio banqueting, in location in grado di accogliere consistenti gruppi di persone, oppure offrire un servizio per pochi commensali e organizzato fra le mura domestiche detto 'o’ maccaturo': così si chiama in dialetto locale il canovaccio nel quale si avvolgono i tegami per trasportare pietanze da una casa all’altra.
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Gran menu del giorno? IL VICOLO ci prova di Fiorenza Auriemma Il ristorante di Corsico, legato per anni alla conduzione professionale di Christian Magri, chef innovativo e professionale, è ora guidato da Remo Briziarelli: artefice di una cucina raffinata ed elegante, Remo ha portato qui la sua esperienza. E propone piatti, soprattutto di pesce, connotati da gusto e armonia. “Per una miglior qualità del servizio, è gradita la prenotazione. E… possibilmente non avere molta fretta. Le cose buone hanno bisogno di tempo, e i nostri prodotti vengono puliti e cucinati al momento”. Ecco l’eloquente biglietto da visita del ristorante Il Vicolo, a Corsico, piccolo e vivace centro alla periferia sud-ovest di Milano. Già entrando nell’antica corte che ospita il locale, si capisce che qui la fretta non è di casa. Nel centro del cortile raccolto e silenzioso svetta infatti un enorme esemplare di ‘albero degli dei’ o ‘della felicità’. Si tratta di una pianta imponente che ha alle spalle già duecento
Qui sopra: zuppetta di cozze e ceci con fondo di crostacei.
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anni e che domina la corte, altrettanto importante dal punto di vista storico. Perché qui nell’800 era situata l’ultima stazione di posta per coloro che si dirigevano verso il capoluogo lombardo. Ancora oggi, concedendosi qualche minuto di tempo per sostare in silenzio nella corte, sembra di udire lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e le voci dei viandanti che qui trovavano cibo e ristoro. Ora, la stessa pianta secolare invita i moderni viaggiatori a entrare, fermarsi e concedersi un pranzo e/o una cena all’insegna del mare e del relax. Perché lo Chef Remo Briziarelli ama molto il pesce, e lo cucina con tutto il rispetto e l’abilità che questo dono del mare richiede. “Io e la mia brigata lo interpretiamo nel modo che riteniamo sia migliore. Per questo da noi non viene chi desidera mangiare un fritto misto o una grigliata. Anche perché non li troverebbe. Quello che invece offriamo sono piatti nei quali la materia prima di mare freschissima viene lavorata il meno possibile, così da permettere al pesce di conservare le proprie caratteristiche”, spiega lo
chef. La storia di Briziarelli è frutto di un amore per l’Italia e per il Kenya: il suo percorso professionale infatti comincia in patria qualche decennio fa, collaborando con diversi ristoranti per poi aprirne uno tutto suo nel 1998. Fino alla scelta, nel 2001, di andare in Kenya dove per tre anni lavora in diversi ristoranti e resort imparando molto circa la cultura, i sapori e le modalità di preparazione di piatti di ogni parte del mondo. Al suo rientro, decide di lavorare saltuariamente con Christian Magri a Il Vicolo di Corsico, che acquisisce alla fine del 2007. Lo spazio però gli sta stretto, e così lo scorso anno coglie l’occasione per aprire Il Vicolo nel più ampio spazio dell’ex Stazione della Posta di Corsico. “A Il Vicolo non abbiamo una carta, e quindi informiamo i clienti di volta di volta e a voce in merito a quanto la cucina può offrire”, spiega Briziarelli. Una scelta personale e che può sembrare radicale, ma che di fatto ben si adatta a una materia prima così particolare come il pesce. Che viene acquistato ogni giorno dal Mercato Ittico di Milano e da Mazara del Vallo e conservato abbattendolo a -35°, mentre la pasta è sempre fresca e fatta in casa, così come tutti i dolci. E proprio per rispettare un prodotto tanto delicato come il pesce, la cucina de Il Vicolo è stata pensata e attrezzata con abbattitore e altri strumenti specifici, in modo da lavorare, cucinare e offrire il pesce al meglio. Ecco allora che chi prende posto ai tavoli de Il Vicolo ha l’occasione di gustare patti dove la tradizione viene reinterpretata e reinventata dallo chef per offrire una palabilità nuova ricca di stimoli ed emozioni. Così, un filetto di ricciola viene proposto come una millefoglie ricoperta di tartufo nero; le cappesante al gratin sono scottate con pomodoro pachino e abbinate a bordo piatto con cacao amaro di Valrhona; i paccheri di Gragnano vengono abbinati con cuore di baccalà, pistacchi di Bronte, uva sultanina e croccante di calamaro; la zuppetta di cozze e ceci è preparata con un fondo di crostacei;
le cruditè e i carpacci si abbinano ai germogli di asparago, ravanello o di cavolo rosso; la seppia tagliata in fettuccine si sposa con il tartufo blanquette o al nero uncinato di Norcia; e così via, in un percorso sempre
Sopra: trittico di crudo con ostrica di Bretagna, gambero rosso di Mazara e cannolicchi su letto di germoglio di cavolo rosso.
Il Vicolo
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nuovo. Il tutto presentato e curato nel minimo dettaglio. Sono circa 80 i posti di questo locale, a cui nella bella stagione si aggiungono i tavoli imbanditi nella corte. E la presenza al piano superiore dell’antico edificio di una sala meeting attrezzata, permette a Remo Briziarelli e al suo staff di poter ospitare anche aziende che abbiano necessità di riunire un gruppo di lavoro, abbinando la parte professionale a un momento di convivialità. “A pranzo, c’è la possibilità di gustare una colazione di lavoro a 22 euro con due portate a scelta, vale a dire un primo e un secondo, un antipasto e primo, oppure un antipasto e secondo, con flute di vino e acqua”, racconta lo chef. La sera, invece, la degustazione del pescato prevede due/tre antipasti (uno crudo e uno cotto), primo, secondo, dolce, acqua è caffè, al prezzo di 65 euro vini esclusi. “Ma nulla è inciso sulla pietra”, specifica Briziarelli, “per cui chi lo desidera può cenare anche con solo un antipasto e un primo. E ovviamente siamo in grado di soddisfare anche coloro che non amano il pesce, preparando ad hoc un percorso di terra a base di riso, tagliatelle, carne ecc. A patto che – come gli altri - siano disposti ad aspettare il tempo necessario”. Perché qui tutto è espresso. Perché, come si diceva, la buona cucina richiede tempo. Per info www.ilvicoloristorante.it
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Qui sopra: le Saint Jacques atlantiche scottate con pomodorino di Pachino con bordo di cacao amaro Valrhona e in basso la millefoglie di rombo chiodato al tartufo nero uncinato di Norcia e cruditè germogli di asparago.
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Lo chef? Nel LOFT ci sta benissimo di Fiorenza Auriemma La ricerca di spazi per lavorare ed esprimere la propria creatività è sempre in movimento. Lo dimostra bene Inkitchen Loft, un esempio concreto di 'sostenibilità gourmet' per appuntamenti, eventi, manifestazioni.
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Una cucina al centro di un grande spazio illuminato dall’alto, ottenuto ristrutturando un laboratorio preesistente nel centro di Milano in zona Porta Romana. È questo il cuore del progetto InKitchen Loft, spazio dedicato a ospitare la creatività e la sperimentazione gastronomica, così come per accogliere chi voglia riunire amici e/o clienti all’insegna della buona cucina e della proposta di materie prime di qualità. Infatti, i 250 metri quadri sono stati studiati per diventare luogo
di eventi e feste private, ma soprattutto per fornire spazio e attrezzature a corsi di cucina e all’attività di chef che abbiano 'molto da dire e da fare'. E non solo: “È uno spazio polifunzionale, un centro culinario fornito delle migliori attrezzature sul mercato sia per la cottura, sia per la conservazione, lo stoccaggio e il lavaggio. Come se fosse un ristorante, anche se di fatto non lo è”, racconta Alessandro Gioè, giornalista appassionato di cucina, che ora ha scelto di dedicarsi del tutto alla sua passione come seguito dell’esperienza 'Incontri con lo chef', dove i partecipanti imparano a cucinare direttamente con gli chef per poi cenare insieme a loro al termine della preparazione. “Ed è anche a disposizione degli chef che lo vogliano utilizzare come laboratorio di catering”. Per informazioni: www.inkitcheloft.it
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Hôtel du Marc Eleganza e stile firmati Veuve Clicquot 60
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di Elisa Facchetti Da semplice frutteto a simbolo dello stile inconfondibile Veuve Clicquot espressione di raffinatezza estrema. Stiamo parlando della storica residenza acquistata a Reims da Madame Clicquot nel 1822 e donata all'allora socio tedesco Edouard Werlé nel 1840: il contemporaneo Hôtel du Marc. Al numero 18 di rue du Marc, a Reims, l'edificio sfoggia ancora tutto il suo splendore: un omaggio al classicismo di metà ottocento, con le facciate in pietra tagliata di chiaro stile romanico e il rivestimento a motivi floreali. Completato nel 1846 per ospitare la famiglia di Werlé, fu poi rilevato nuovamente dalla Maison Veuve Clicquot Ponsardin nel 1907 come dimora per gli ospiti invitati a visitare le caves. In quasi un secolo sono stati propri i numerosi personaggi passati per l'attuale Hôtel du Marc a plasmare con i loro ricordi, i loro oggetti portati da tutto il mondo, i loro libri e il loro carattere gli ambienti della storica residenza. Anche la guerra ha lasciato i suoi segni, ma non ha mai intaccato la vera forza di questa dimora che ha iniziato a ritrovare un
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nuovo splendore nel 2001, grazie a un'attenta opera di ristrutturazione dal sapore contemporaneo, sempre rispettosa della memoria di questa casa. A dirigere l'opera di restauro l'architetto Bruno Moinard, capace di creare un'osmosi continua con i ricordi lontani, segni evidenti del passaggio di persone care alla famiglia Clicquot, mixati con originali creazioni di artisti e designer, come le opere di Pablo Reinoso: una personale ode alla vite viene decantata sottoforma di una panca-scultura in legno collocata al piano dove si trovano le camere da letto, sei stanze ispirate ognuna a una stagione, a un luogo e a un personaggio significativo nella storia della Maison. Come la camera da letto creata dal designer Mathieu Lehanneur ispirata a Barbe Nicole Clicquot Ponsardin che amava trascorrere le ore notturne girando nelle cantine. Queste
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le parole di Sabina Belli, General Manager International Marketing & Communication Veuve Clicquot Ponsardin: "Siamo stati attenti a reinterpretare la residenza senza annullarne l'anima, per stupire, preservandone comunque lo spirito di questa casa sobria, classica e senza tempo". La contemporaneità si legge soprattutto nell'intelligenza di aver reso un edificio di metà ottocento un esempio di perfetta ristrutturazione a impatto zero: la palazzina, grazie all'opera di restauro, ha raggiunto un'autonomia energetica dell'85%, riducendo l'impronta di carbonio del 90%. Sfruttamento dell'energia geotermica per riscaldamento e aria condizionata, nonchè utilizzo di pannelli solari per fornire energia elettrica e acqua calda all'intero edificio. Abbinando a tutto questo l'isolamento completo dell'edificio, Veuve Clicquot ha fatto dell' Hôtel du Marc
La Grande Dame Rosè 2004
nella sala da pranzo piccola, con tonalità pallide di blu pastello e ocra ispirate all'Oriente. Nel cuore dell'edificio, invisibile a chi non è stato invitato, uno spazio tutto dedicato alla degustazione e a dimostrazioni di grandi chef che rivelano i propri segreti, come abbinare i biscotti di pasta frolla spruzzati di verbena alle note di frutti rossi del Veuve Clicquot Rosè. un modello perfetto di risparmio energetico, in linea con la strategia aziendale che punta sempre più sulla salvaguardia dell'ambiente, tanto da essere stata la prima casa produttrice di Champagne a ottenere nel 2004 la certificazione ISO14001. Come allora, anche oggi l’Hôtel du Marc non è aperto al pubblico, ma è esclusivamente riservato agli invitati della Maison: in base al numero le persone vengono accolte nella sala da pranzo grande, con decori dorati su sfondo nero e parquet color cenere, o
61% Pinot Noir (+15% Bouzy rosso del Clos Colin) e 39% Chardonnay: un'esclusiva miscela di otto Grands Crus e una vendemmia, quella del 2004, eccezionale. Colore luminoso, bronzo rosato con brillanti striature ambrate. Perlage raffinato e leggero, al naso rivela una notevole intensità di frutti quali pesca bianca, ribes rosso, lampone e mirtillo; roteando il vino nel calice si intensifica il bouquet, rivelando note di brioche, torrone, cannella e ciliegia. All'assaggio il vino è corposo e sostanzioso, con una texture frizzante e setosa. Per i prossimi 10 anni, il vino continuerà a rappresentare l'aperitivo ideale, da abbinare a stuzzichini o antipasti a base di crostacei, pesci o carni affumicate e salate. Da degustare in un bicchiere di generosa capienza per apprezzarne ancora di più le note fruttate. Servire a temperature comprese fra i 10 e 12 °C.
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Molino Stucky
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Giudecca lifestyle di Gualtiero Spotti A cinque anni dall’apertura, la struttura veneziana dell’Hilton si conferma una delle mete più gettonate. Notevole l’offerta di ospitalità, ma molto significativa anche la proposta di ristorazione, garantita da uno chef del calibro di Ivan Catenacci, lombardo di Montodine (Cr). A lui si deve una intelligente capacità di segmentare 'le' ristorazioni, dalla semplicità del Bacaromi alle proposte gourmet dell’Aromi. Venezia è un mondo a parte. Perché è una città unica nel suo genere, splendida e decadente, ricca di storia e imponente, ma al tempo stesso fragile e delicata, quasi fosse un ecosistema da proteggere o una specie in via di estinzione. Isolata dalla terraferma e frequentata da orde di turisti che la affollano per buona parte del giorno, solo la sera recupera una sua dimensione di vita normale, da antico borgo marinaro, quando viene lasciata ai veneziani e i visitatori si ritirano verso
Mestre. All’interno della laguna, staccata dal corpo centrale della città da un trafficatissimo canale, l’isola della Giudecca rappresenta un angolo della Serenissima sicuramente meno frequentato, e forse per questa ragione più autentico, più sincero nel suo placido scorrere quotidiano tra piccole botteghe e negozietti, con l’occasionale presenza di qualche turista che ama osservare piazza san Marco e la Venezia che conta da un altro punto di vista, da un’altra angolazione, per qualche scatto con la macchina fotografica. Eppure l’isola offre grandi motivi di interesse come due imperdibili monumenti veneziani dell’accoglienza: lo storico Hotel Cipriani, sulla punta più a nord, e il Molino Stucky, con un passato non meno importante come struttura di archeologia industriale, ma che è stato inaugurato come hotel di lusso solo recentemente, nel 2007, situato nella parte più a sud dell’isola. L’albergo, che occupa uno spazio davvero considerevole ed è impossibile non notarlo passando sulle acque del
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canale, è nato dal restauro di tredici edifici realizzati tra l’Ottocento e il Novecento e originariamente adibiti a mulino, secondo la volontà del fondatore Giovanni Stucky, industriale veneziano nato da una famiglia di origine svizzera. La struttura, tra granai e mulini realizzati in stile neogotico, è rimasta pressappoco la stessa di un tempo, nella sua grandiosa area perimetrale, mantenendo l’inconfondibile look con mattoni rossi, travi, torrette e soffitti a forma di silos. Ora però è una delle destinazione più lussuose della laguna, con alle spalle il marchio internazionale Hilton a garantire la qualità dell’accoglienza. Giunto al suo quinto anno di vita, l’albergo offre una serie di unicum davvero esclusivi per una città che di per sé rappresenta
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un’eccezione. Come la suite presidenziale, la più ampia e alta di Venezia con i suoi 300 metri quadrati a 35 metri d’altezza, per una vertiginosa veduta d’insieme della città comodamente seduti in una vasca Jacuzzi a mosaico dorato. Oppure lo spazio benessere, chiamato E’Space, che gioca bene le sue carte affidandosi alle tecniche e cure firmate dalla dottoressa Nadia Payot (ma ci sono anche i prodotti Decleor), dove si mescolano sapientemente il benessere fisico e quello spirituale, dell’anima, attraverso numerosi trattamenti estetici, massaggi, musicoterapia e bagni di vapore. Con la possibilità di usufruire dei trattamenti anche nella privacy della propria camera. Uno degli angoli più ricercati e belli dell’intero hotel rimane però lo spettacolare Skyline Rooftop Bar che, a fianco della piscina open air sul tetto del Molino Stucky, offre una grandiosa vista della laguna ed è ormai uno dei posti 'to see and to be seen' di tutta Venezia. Con un’atmosfera rilassata, sprofondati in comode poltrone sorseggiando aperitivi e cocktail sopraffini, il bar sul tetto è un vero e proprio angolo lounge dall’impronta cosmopolita (vista anche la clientela internazionale dell’albergo) e il luogo ideale dove sostare per un drink o solo per un caffè, al tramonto o nel dopocena. Se invece si parla di ristorazione, i pasti si possono consumare in uno dei quattro locali sparsi all’interno della struttura. C’è il Pool Restaurant all’ottavo piano (e funziona solo nella bella stagione, a bordo piscina), per un pasto light veloce,
Molino Stucky
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oppure il Molino, al piano terra vicino alla lobby, aperto anche per la colazione e suddiviso in intime salette private. I due ristoranti principali sono però il simpatico e pittoresco Bacaromi, versione poco più elegante della classica cicchetteria o del bacaro veneziano, con la cucina tipica locale servita in stile più informale, e poi quello principale, l’Aromi, per le cene gourmet. Questo vede una sala più sofisticata, nell’arredamento, nel servizio e, ovviamente, nella cucina, che mantiene una sua forte impronta mediterranea e più in generale marinara nei piatti, per volontà del solido cuoco di origini cremonesi (è di Montodine), Ivan Catenacci. Un nome che è una certezza
ai fornelli, visto che dalla sua c’è una lunga esperienza pluridecennale nell’hotellerie che conta e la carta del ristorante offre sempre un'ampia scelta di piatti perfetti per una clientela curiosa. Si possono trovare in menu le noci di cappesante di Caorle arrostite con insalatina di taccole, gli gnocchetti di patate mantecati con polpa di granchio nella sua salsa, con pomodoro fresco e foglioline di maggiorana, i paccheri insaporiti alle erbe aromatiche e ricotta di pecora infornata o l’agnello di Alpago in due cotture: stinco stufato e cosciotto confit, con senape al Cognac e caponata di verdure miste. Rimarchevole poi, da parte del cuoco e dello staff, la reintroduzione in sala
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del taglio delle carni e del pesce, sempre piacevole quando, come in questo caso, è ben eseguito. Una destinazione, il Molino Stucky, che mette insieme storia e tradizione a tutta una serie di servizi moderni richiesti da una clientela sempre più esigente. Con una curiosità per il futuro prossimo: si vuole reintrodurre l’antico marchio del mulino con una serie di prodotti firmati (la pasta, ad esempio) per gli ospiti dell’albergo che vogliono portarsi a casa un pezzo di Venezia e della sua gloriosa storia industriale. Info: Molino Stucky, Giudecca 810, Venezia – www.hilton.com/venice, info.venice @hilton.com
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Il vestito fa il ristorante Parola di ‘professional’ 70
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“Un cameriere è un uomo che porta un frac senza che nessuno se ne accorga. Per contro ci sono degli uomini che hanno l'aspetto di camerieri appena si mettono un frac. Così in ambedue i casi il frac non ha nessun valore”. Come sempre l’ironia tagliente dello scrittore e commediografo austriaco Karl Kraus riesce nell’intento di dissacrare ogni argomento preso in considerazione. Nonostante la sarcastica osservazione dell’intellettuale però, quando si fa ristorazione è importantissimo dare il giusto peso all’abbigliamento che devono indossare sia coloro che stanno in sala, sia quelli che appartengono alla brigata di cucina. E se nel secondo caso l’importanza del vestire è più una questione tecnica, che riguarda la salute e la sicurezza di chi lavora ai fornelli e la garanzia di pulizia e tranquillità per i clienti che stanno in sala, un peso maggiore invece, nell’economia di un’impresa di ristorazione, lo riveste lo stile e la confezione delle divise di coloro che accolgono e servono gli ospiti, dal maitre al cameriere, dal sommelier al barman. E il motivo è molto semplice: per avere successo nel vario e variegato mondo dei ristoranti italiani è assolutamente necessario darsi un’identità che rispecchi anche il contenuto manageriale della propria attività. Sia nel caso si debba allora predisporre l’immagine di un locale nuovo, sia quando si pensi di rinnovare quella di ristorante già noto, è necessario, oltre che imprescindibile, 'vestire' chi ci lavora nel modo più adatto e abbinato all'idea che si vuole trasmettere al cliente.
di Davide Deponti Usare abbigliamento adeguato per sé e per il proprio personale permette di rispettare le regole sanitarie e allo stesso tempo di creare un’immagine caratteristica per il locale.
Precisi e organizzati Per fare ciò bisogna utilizzare capi di abbigliamento professionale di sala, composizioni di vestiti che uniscano l’aspetto funzionale e quello estetico dell’abito da lavoro. E il primo elemento da considerare è proprio un fattore professionale: usare un’adeguata 'divisa' da ristorazione è una condizione necessaria per ottenere una corretta igiene nella somministrazione degli Artù n°51
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Per la cucina La divisa deve essere confezionata preferibilmente in cotone di colore bianco o chiaro, in modo da garantire la traspirazione del corpo e lavaggi frequenti. La giacca, anche a doppio petto, ha le maniche lunghe per proteggere le braccia da scottature, e i bottoni sono di facile apertura per facilitare lo svestimento in caso di infortuni con liquidi bollenti. I pantaloni, sempre di cotone, possono anche essere quadrettati, ma sempre su tonalità chiare. In commercio esistono anche divise scure: queste vanno usate soprattutto in occasioni di rappresentanza più che di preparazione. Il cappello e la cuffia servono invece a raccogliere i capelli ed evitare che finiscano nelle vivande, ma anche a proteggere la testa da sbalzi di temperature, vapori e grassi di cucina. Ne esistono anche versioni 'usa e getta' di carta. Un fazzoletto (bianco) al collo si usa per assorbire il sudore ed evitare correnti d’aria. Il grembiule si indossa per proteggersi durante operazioni di pulitura con le quali è alto il rischio di sporcarsi. Le scarpe, a norma di legge EN20346 e antiscivolo, devono essere bianche anch’esse, chiuse dietro, con plantare anatomico per garantire comodità.
alimenti. Proprio per questo deve essere d’obbligo che l’abbigliamento indossato dal personale di sala debba essere, oltre che pulito, utilizzato solo per la sua destinazione d’uso, ovvero il servizio in sala stesso. Ciò vuol dire che ogni addetto, come ad esempio un cameriere, ogni volta che arriva nel ristorante, deve sostituire gli abiti 'borghesi' indossati con i capi da lavoro. Tutti, e in particolare quelli della parte alta del corpo, come la camicia e la giacca, che sono i vestiti maggiormente a rischio di contatto con i piatti di portata e le cibarie. Passando a considerare invece il valore estetico e di immagine dell’abbigliamento professionale, va sottolineato che l’uniforme del personale deve essere scelta con cura e attenzione poiché è in molti casi attraverso essa che si contribuisce in maniera sostanziale alla percezione di qualità e stile che il ristoratore vuole trasmettere ai suoi clienti. Alla pari della biancheria, degli arredi e della manutenzione della struttura in generale. Si può con certezza affermare insomma che non è possibile apparire agli occhi della clientela in maniera elegante o moderna o informale se non si cura con attenzione l’abbigliamento da lavoro, e se lo stesso non viene indossato in modo organico e organizzato da tutto il personale a contatto con i clienti. Chi più spende… Non va mai dimenticato che l'aspetto esteriore del personale di sala è la prima cosa che il cliente vede quando entra e si siede a tavola. Cura, pulizia e giusta impostazione cromatica nella scelta, certamente sono fattori importanti, ma non si deve dimenticare anche di pensare alla qualità dei prodotti. È per questo che l’uso di giacche, gilet o grembiuli di fattura professionale è veramente economico nel medio-lungo periodo, rispetto, ad esempio, a quello di camicie 'normali'. Il motivo risiede nel fatto che quando si crea, a livello industriale, un capo che deve essere indossato, oltre che, molto importante, lavato tutti i giorni,
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Per la sala L’abbigliamento 'classico' prevede un abbinamento di camicia e pantalone: la prima deve essere di cotone con un colletto che permette, se si vuole, di allacciare un papillon o una cravatta. Il colore classico è il bianco, ma si possono fare infinite variazioni sul tema per andare incontro alle necessità di personalizzazione di un locale. I pantaloni, di norma neri, ma anch’essi variabili alla bisogna estetica, devono comunque essere di taglio classico e non a vita bassa. Per le donne è possibile scegliere gonne anch’esse di taglio classico a tubino e lunghe fino al ginocchio. Le scarpe sono un modello classico di pelle nera, con comodi plantari e suola antiscivolo: l’uomo sceglie di norma un mocassino senza lacci e la donna un modello chiuso con tacco medio. Abbinate alle scarpe: per lui calzini di cotone nero o scuro (abbinato alla divisa), ma niente modelli di spugna o fantasmini. Per lei collant di colore neutro o carne.
bisogna inevitabilmente utilizzare determinati accorgimenti che rendono il prodotto, oltre che funzionale, molto duraturo. E, ovviamente, un po’ più costoso. Le maggiori aziende che operano nel settore dell’abbigliamento professionale per la ristorazione, allora prestano sempre grande attenzione alle materie prime utilizzate – dal tessuto alle fodere, dagli accessori come i bottoni alle chiusure lampo – ben consapevoli del fatto che questi indumenti professionali devono avere la possibilità di essere lavati anche in casa, in lavatrice e con prodotti a base di cloro (candeggina e simili) senza scolorirsi né apparire logori dopo poco tempo. E per lo stesso motivo anche la manifattura viene realizzata in modo che le cuciture siano particolarmente resistenti. In questo modo quindi un abito professionale non solo dura più a lungo, ma riesce anche nel tempo a conservare l’aspetto di nuovo, giustificando perfino l’investimento economico iniziale e anzi spesso realizzando un risparmio. A tutto questo infine, le sartorie specializzate per la ristorazione uniscono la possibilità di effettuare ricami diretti sui capi o di applicare etichette ricamate. È di norma infatti possibile personalizzare questo tipo di indumenti tramite serigrafia, transfert o intaglio. Artù n°51
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Maurizio Menconi a Bangkok
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di Claudio Zeni Bangkok, metropoli dalle mille seduzioni e dai mille nomi, chiamata dai thailandesi la 'Città degli Angeli', è un angolo di mondo dove l’incontro fra antico e moderno si trasforma in un armonioso mix di tradizioni e tecnologia. In questo luogo, insieme frenetico e rilassante, uno chef toscano ha trovato la sua strada, proponendo i nostri migliori piatti regionali. Un hotel nel cuore di Bangkok che unisce la tradizione con il meglio dell’eleganza e della vita contemporanea è il Sukhothai, uno dei pochi grandi alberghi asiatici che non si trova all'interno di maestosi grattacieli. Disegnato da Ed Tuttle, l’hotel si estende su sei acri, un'isola di tranquillità nella confusione dell'altra città degli Angeli, dove giardini, cortili e fiori di loto vi aspettano dietro ogni angolo. Anche l'arredamento non è proprio quello tipico dei business hotel e si addice a un luogo decisamente più gradevole, con pavimenti in parquet, pregiate sete tailandesi e porcellane cinesi, mentre le stanze per gli ospiti sono un ibrido tra classico e moderno, colorate con le tonalità della terra e arredate con parti in legno e altre con materiali più moderni. La sensazione è quella di un complesso turistico urbano che però ha le comodità della grande città, come le TV giganti a schermo piatto, i fax e le connessioni a Internet. Un hotel simbolo della nuova straordinaria ospitalità orientale, dove per arrivare alla reception si percorre un elegante colonnato con oggetti d’arte e dove si possono assaporare raffinate cene in uno dei due ristoranti: il Celadon, con la migliore cucina thai della città e l’italiano La Scala, diretto dallo chef Maurizio Menconi. Toscano della Versilia, Maurizio Menconi ha lasciato l’Italia nel 1996 per Berlino per poi proseguire la sua esperienza culinaria in altri Paesi fino a quando, otto anni fa, si trasferì a Bangkok per dare vita nel 2008 all'interessante progetto ‘The Art of Dining’, che lo ha visto ospiArtù n°51
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Qui a lato: maccheroni al ferretto con ragù di papero, terrina di fegato grasso e bacche di cacao sbriciolate.
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tare all’interno del Sukhotahi alcuni dei migliori chef stellati del momento come Pascal Barbot de L’Astrance di Parigi, Claude Bosi dell’Hibiscus di Londra, Alex Atala dal D.O.M di San Paolo e gli italiani Massimo Bottura dell’Osteria Francescana di Modena e Gaetano Trovato dell’Arnolfo di Colle Val d’Elsa (Si), entrambi superstellati dalla guida Michelin. “Per me il cibo è dare soddisfazione alla gente – dice Maurizio Menconi –: metto tutto il mio amore e la mia energia nei miei piatti. Da venti anni cerco sempre di dare tutto me stesso nel cibo, cercando materie prime ineccepibili per gusto e sapore. Sembra una dichiarazione di una semplicità disarmante, ma è proprio così, come i miei piatti: semplici e riconoscibili nei propri ingredienti”. Sebbene Maurizio Menconi provenga dalla Toscana, al ristorante La Scala ha inserito in carta le proposte di tutte le regioni italiane, frutto di ricette tradizionali, presentate però con un gusto contemporaneo e utilizzando solo prodotti di qualità, disponibili senza problemi sui mercati locali. “Preferisco seguire le stagioni e non le mode” sottolinea Maurizio Menconi. Una delle sue
passioni sono i tartufi, quelli autenticamente espressioni delle migliori zone italiane vocate. Vini e formaggi italiani rivestono anch’essi un ruolo importante nelle proposte de La Scala. “Lavoriamo con piccoli produttori – conclude Maurizio Menconi – che con la loro passione trasmettono emozioni ai nostri clienti, perché la genuinità fa sempre la differenza: il lusso della semplicità, come diceva Gianfranco Bolognesi in un suo libro di ricette”. “Lo chef Maurizio è il valore aggiunto del nostro hotel – evidenzia Gorge Benney, General manager del Sukhothai –: i suoi menu evidenziano la sua personalità ed entusiasmano i nostri clienti, fidelizzandoli alla nostra ospitalità complessiva”. The Sukhothai Bangkok 13/3 South Sathorn Road Bangkok 10120, Thailand Tel: +66 (0) 2344 8888 Fax: +66 (0) 2344 8899 www.sukhothai.com info@sukhothai.com
secondo Artù
Al top il genio di Palluda e il cuore di Bertinotti L’OFFERTA RAGIONEVOLE
ENOTECA
Continua la pubblicazione delle schede sui ristoranti italiani che la redazione di Artù monitora grazie a un attento lavoro di verifica e di visite, in alcuni casi anonime e non programmate. L'obiettivo non è certo quello di allinearsi all'attività delle guide gastronomiche: ce ne sono già abbastanza e, nel bene e nel male, svolgono una funzione che ha sicuramente delle motivazioni rispettabili, sulle quali non intendiamo intervenire in questa sede. "Secondo Artù" vuole essere un momento di riscontro dell'evoluzione della scena ristorativa, in tutti i suoi segmenti, in grado di delineare sinteticamente le caratteristiche, positive o meno, che vengono riscontrate durante la visita. A questo fine abbiamo creato una simbologia - le corone e i cervelli - che intende evidenziare lo "stato dell'arte" dei locali italiani di ristorazione. Le corone hanno la funzione di indicare il livello complessivo della cucina, mentre i cervelli segnalano la coerenza dell'offerta, la rispondenza a un price for value intelligente, la sensibilità e la conoscenza dei propri mercati di clientela. In una parola, quella che noi di Artù chiamiamo la RAGIONEVOLEZZA, ovvero la capacità di sintonizzarsi con le esigenze di una clientela che cambia nel tempo. Ovviamente, sono proprio i cervelli che manifestano il buon senso e la correttezza, attraverso la quale la clientela della ristorazione può essere fidelizzata su basi nuove e contribuire, quindi, a un rilancio dell'economia. All’assegnazione dei simboli contribuiscono, oltre all'eccellenza delle materie prime e alla qualità del servizio, anche elementi di attenzione per la clientela, come un ricarico corretto sui vini, la presenza di menu degustazione o menu del giorno particolarmente interessanti sotto il profilo del rapporto qualità-prezzo, la volontà di ridurre al minimo i profitti e di allargare la base numerica della clientela. E, siccome non siamo buonisti ad oltranza, abbiamo anche introdotto, nella simbologia dei punteggi, anche corone e cervelli "neri": in questo caso, la valutazione negativa sta ad indicare che troppi errori vengono commessi e che, per sopravvivere, è necessario cambiare registro e migliorare la propria professionalità. APS
Via Roma 57 12043 Canale d’Alba (Cn) 0173 95857 www.davidepalluda.it
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Davide Palluda è un vero talento della ristorazione italiana. Lo diciamo senza timor di smentita, forti di antiche esperienze (Davide era poco più che un ragazzo quando, negli anni Novanta, ci vedemmo per la prima volta) e rinnovate frequentazioni, sia dirette che di nostri “sconosciuti” inviati speciali: il suo stile è incomparabile ed è frutto di una sensibilità innata, confortata da una profonda esperienza e da una conoscenza notevole delle materie prime, piemontesi (Langa e Roero in testa) e non solo. Venire all’Enoteca di Canale è un’esperienza che non si dimentica, per diversi fattori, che vanno dalla perfezione dei piatti fino alla particolarità ed eleganza dell’ambiente. Tre menu degustazione consentono di conoscere appieno la cucina di Palluda, sintesi fra tradizione e innovazione. Alla carta, da non perdere: i mitici agnolotti al sugo d’arrosto o semplicemente al fumo marocchino, i tortelli di carciofo con intingolo di coniglio e olive taggiasche, gli gnocchi ripieni di erbe selvatiche, con parmigiano e verdure nuove, il fassone “dalla testa ai piedi”, il piccione in casseruola con tartufo nero e ceci. Strabiliante l’agnello della Valle Stura con carciofi croccanti. Eccellenti predessert e dessert. Notevole anche la selezione di formaggi (di
Parola, affinatore in Saluzzo). Impossibile pretendere di più.
PINOCCHIO Via Matteotti 147 28021 Borgomanero (No) www.ristorantepinocchio.it
Ci sono capitato in una giornata di primavera, un martedì di aprile freddo e piovoso. Era il giorno di chiusura e Piero Bertinotti – chef patron - stava tranquillamente pranzando con la sua famiglia, nel meritato momento del riposo settimanale. Ma Piero, visto che il ristorante era chiuso, mi ha aperto le porte di casa, condividendo quanto prevedeva il “menu familiare del giorno”. Una straordinaria conferma di amicizia (ci conosciamo da quasi vent’anni), ma soprattutto una incredibile capacità di adeguarsi
alle situazioni senza badare a formalismi di sorta. Piero, chef di grande esperienza, propone al Pinocchio una cucina di repertorio tradizionale, contrassegnata dal protagonismo assoluto del gusto e del sapore. Affiancato dalla infaticabile moglie Luisa e dalla figlia Paola (sommelier e comunicatrice di valore), Piero Bertinotti è capace di creare piatti di grande emozione. Da assaggiare gli agnolotti “del Presidente” (chiamati così perché molto apprezzati dal presidente Napolitano in occasione di un evento), la paniscia novarese, il tapulone al Nebbiolo, il piccione al pepe rosa. Memorabili anche le semplicissime costine arrostite di maiale, più volte suggerite da Paolo Massobrio e Marco Gatti nella loro guida, anche se il piatto che più richiama oggi la clientela gourmet è l’uovo in piedi in crosta di mandorle con fonduta di Bettelmatt, il formaggio di alpeggio (una vera rarità) che esprime al meglio la tradizione casearia artigianale delle vallate Antigorio
LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità, serietà e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Cucina eccellente, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Ottimo per qualità dell’offerta Una corona = Cucina corretta e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Molto ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole
e Formazza. Notevole anche l’offerta di etichette, che comprende il meglio di Piemonte e resto d’Italia.
DAC A TRÁ Via San Lorenzo 1 23884 Castello Brianza (Lc) 039 5312410 www.dacatra.it
Il servizo è ottimo, ineguagliabile, al punto da far meravigliare chi – abituato a questo lembo di Brianza – è ormai pronto al peggio. Peraltro, qui siamo nella Brianza più autentica, in quella porzione di territorio racchiusa tra Oggiono ad ovest e Colle Brianza ad est, ovvero tra il ramo di Lecco del lago di Como e il fiume Adda, che delimita i confini con la provincia di Bergamo. Davvero bravi questi ragazzi: una brigata giovane (tre cuochi guidati da un executive, Stefano Binda) che allieta gli ospiti in un ambiente postmoderno e vagamente hitech, in cui i coperti non superano le quaranta unità. La carta delle vivande, essenzialmente stagionale, propone un menu degustazione a 55 euro, ma è ovviamente possibile scegliere da una ricca carta, che privilegia verdure fresche e ottime materie prime, sia di carne che di pesce, proposte con intelligente creatività. Piatto da provare, gli gnocchi verdi di piselli, che regalano un’intensità di sapori e freschezza inaspettati. Ma anche il fassone in crosta è un plus del menu.
CASA FONTANA 23 RISOTTI Piazza Carbonari 5 20129 Milano 02 6704710 www.casafontana.it
Ritorniamo in questo locale, già stella Michelin negli anni Ottanta, per apprezzarne la qualità complessiva: qui senza ombra di dubbio si trova la migliore varietà di risotti del capoluogo lombardo, proposti a prezzi decisa-
al dilagare di locali anonimi. L’atmosfera è decisamente padana (ma non nel senso bossiano del termine, grazie al cielo!), essendo che siamo vicini al Po e all’Oglio. Profumi d’osteria e semplicità, avvalorati da una ricerca incessante delle migliori materie prime e da una scelta di vini decisamente superlativa. D’inverno, La Crepa è il regno dei grandi bolliti misti (alla cremonese, con la mitica mostarda) e dei salumi (provare il Culatello di Zibello è d’obbligo, ma anche il Pata Negra Joselito). D’estate, i proprietari suggeriscono un ARMANDO E CHRISTIAN menu a base di pesce d’acqua dolce, Corso Cristoforo Colombo 16 nel quale primeggiano luccio (proposto 20144 Milano con polenta gialla) e anguilla marinata. 02 8322062 Fra i primi piatti, suggeriamo i tortelli all’erba San Pietro o i più tradizionali di zucca: memorabile poi il cotechino Un approdo sicuro per la clientela di con lenticchie, verze e polenta, che ci mezzogiorno, anche se ci dicono che augureremmo di poter mangiare anche la sera questa trattoria “di servizio” nella stagione estiva. Insaziabili gourmet si trasformi in ristorante di cucina controcorrente? No, semplicemente sarda con tutti gli attributi. Noi ci li- amanti del gusto unico che il cotechino mitiamo a constatarne la correttezza della Crepa ci ha più volte regalato in per quanto riguarda l’offerta del pran- fredde serate di novembre, rimirando zo, dignitoso ed affidabile. Da Arman- la pace della splendida piazza antido e Christian, trattoria recentemente stante. Prezzi sotto i 35 euro, bevande ristrutturata, è possibile infatti pranzare escluse. con 11 euro (primo, secondo, contorno) ma anche al 30% in meno se si LA BRINCA sceglie un secondo con contorno. I Via Campo di Ne 58 piatti, semplici ma curati, prevedono 16040 Ne (Ge) primi a base di pasta (sempre al 0185 337480 dente) – buone le orecchiette –, mi- www.labrinca.it nestre di verdure ottimamente eseguite con materia prima fresca, piatti di carne ben presentati: segnaliamo l’hamburger di manzo e la carne cruda. Felice eccezione alla mediocrità dilaUn indirizzo utile per una pausa gante nella ristorazione ligure (fatti i pranzo corretta, a prezzi in linea con dovuti distinguo), questa storica Brinca i bisogni della clientela. è un vero regno del gusto. In cucina dominano le erbe spontanee, ingrediente fondamentale per molte prepaCAFFÈ LA CREPA Piazza Matteotti 13 razioni, a cominciare dalle foglie di 26031 Isola Dovarese (Cr) borragine in pastella, al mitico pesto, 0375 396161 alla torta baciocca, ai testaieu: quewww.caffelacrepa.it st’ultimo piatto, semplicissimo, prende il nome dai recipienti in terracotta nei quali vengono cotti al forno semplici impasti di acqua, farina e sale marino, Lo chiamano Caffè, ma è una delle da condire poi con pesto o, nel rispetto più autentiche trattorie che sopravvivono delle tradizioni locali, con olio extramente abbordabili. Roberto Fontana, chef patron, guida con passione il locale, suggerendo ai clienti una selezione di risotti ripartiti fra “delicati”, “saporiti” e “piccanti”. Da provare, fra i tanti, il risotto alla milanese: ineccepibile, di giusta cottura e coretta mantecatura, prelibato. Fontana, in linea con le aspettative della clientela, propone anche menu low cost a 25 euro, con un ottimo rapporto fra prezzo e qualità.
vergine e formaggio. Un piatto decisamente a km zero, visto che i “testetti” vengono prodotti proprio a Ne, nella frazione di Iscioli. La Brinca è un esempio di come si possano proporre piatti semplici ma caratterizzati, in cui i sapori prevalgono su ogni altro aspetto; in questo senso il piattobandiera del locale resta la cima di faraona e rostu russu (fiocco di vitellone cotto in un sugo di pomodoro fresco ed erbe spontanee). Prezzi sotto i 40 euro, per un’esperienza molto positiva.
VIGNETO Via Don Belotti 1 24064 Grumello (Bg) 035 831979 www.alvigneto.it
La stella Michelin, arrivata nel 2011, ha confermato il valore e l’impegno della gestione di questo elegante locale, immerso fra i vigneti (da cui il nome) della Valcalepio. La cucina è essenzialmente di pesce, proposto nella sua massima espressione e nel rispetto di provenienze illustri (Sicilia, Mazara del Vallo, la patria del miglior gambero rosso dei nostri mari). Si comincia, volendo, con una selezione di crudo, proposto in plateau, composto da scampi, ostriche, gamberi rossi, per passare ad un piatto decisamente “fuori dal coro” per originalità e caratterizzazione: il minestrone di una volta “con le delizie del mare”, cotto al vapore. Da provare il Carnaroli alle erbe aromatiche e gamberi rossi, i cannoli di pasta rossa con sauté di conchigliame e patate alla menta, i tortelli di pera con squacquerone alla vaniglia e confettura di arancia. In alternativa , paccheri di Gragnano con pomodorini, basilico, mantecati al grana padano: un piatto di superlativa semplicità. I secondi sono ovviamente un grande trionfo di pesce (molto buono il leggerissimo fritto di pesce e crostracei con verdure in tempura) e di succulenza, proposta con grande raffinatezza anche in piatti di carne, come il petto di anatra arrosto Artù n°51
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secondo Artù ARTÙ Luglio-Agosto 2012 Editore: Edifis S.p.A. Viale Coni Zugna, 71 - 20144 Milano tel 02 3451230, fax 023451231 info@edifis.it - www.edifis.it _______________________________________________________________________________________________________
co lo ph o Direttore editoriale: Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile: Andrea Aiello Redazione: Elisa Facchetti artu@edifis.it
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Collaboratori: Sara Alberti, Fiorenza Auriemma, Davide Bernieri, Luisa Contri, Davide Deponti, Beppe Francese, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Isa Grassano, Marta Lai, Rocco Lettieri, Giuseppe Martelli, Gianni Mercatali, Claudio Francesco Merlo, Aldo Nenzi, Anna Pesenti, Alessandra Piubello, Carlo Ravanello, Celeste Riccoboni, Giulio Cesare Saviozzi, Roger Sesto, Theo Smith, Annalisa Tirrito, Piero Valdiserra, Gianni Ventura, Monica Zani, Claudio Zeni, Stefania Zolotti _______________________________________________________________________________________________________
Art director: Claudio Rossi Oldrati
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Foto: Ferdinando Cioffi, Thomas Duval, KLR Foto, Romano Magrone, Luisella Savorelli, Costas Voyatzis
con spinaci alle nocciole e sorbetto al mango, delizioso nella sua ricercatezza. Ottime le proposte di menu: degustazione a 45 euro, business lunch a 20. Per uno stellato niente male!
DA ARMANDO AL PANTHEON Salita de’Crescenzi 31 00185 Roma 06 68803054 www.armandoalpantheon.it
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Artù n°51
Superate la fitta coltre di turisti, curiosi, passanti che fa da cordone permanente (si fa per dire!) all’ingresso di questa vera, autentica, trattoria romana. Un format senza uguali, capace di richiamare una clientela alla ricerca di romanità doc. Da Armando ha compiuto da poco il mezzo secolo di vita e si conferma come una location di tutto rispetto (e di grande suggestione, anche per i nomi di clienti illustri e famosi che si succedono ai tavoli ravvicinati del locale) nell’offerta della cucina tipica romanesca. I figli di Armando, Claudio in cucina e Fabrizio in sala, sono i garanti della continuità di una offerta di cucina verace e corretta, che si esprime attraverso piatti superlativi: bucatini all’amatriciana o alla gricia, spaghetti cacio e pepe, la carbonara (per molti la migliore della città, anche se è una bella lotta…). Tra i secondi suggeriamo varie declinazioni del “quinto quarto”, come la trippa, la coda alla vaccinara, l’ottimo abbacchio alla scottadito e altre amenità gastronomiche, in linea con la
grande tradizione culinaria della capitale. Prezzi solo abbastanza ragionevoli. Ma, si sa, Roma è città eterna.
VENTO Via Washington 20 20146 Milano 02 4983997 www.ristoranteilvento.it
L’accoppiata è vincente: Beppe Lamantea, patron per antonomasia, il manager che ha fatto grandi parecchi locali di Milano, e Gaspare Della Rocca, l’eclettico chef siciliano noto per la sua esasperata difesa della classicità, sono da ormai un anno alla guida di questo nuovo ristorante in zona Magenta, il Vento. “Ristorante e pizza”, dice l’insegna di questo bel locale, con due grandi sale per 120 coperti, un banco bar liberty all’ingresso e tanti, ma proprio tanti, quadri alle pareti, tutti a soggetto golfistico. Se poi questo sia un ritrovo di amanti del golf, non possiamo dirlo: di certo sappiamo che è un tempio della buona cucina, capace di richiamare una clientela che, nonostante crisi e recessione, è disposta ancora a spendere i suoi bei cinquanta euro per un pasto completo. “Ma si può spendere molto meno”, dice Beppe Lamantea, uno dei quei pugliesi schietti e coraggiosi, più milanesi del sciur Brambilla, che ha da sempre fatto sua la tradizionale imprenditorialità meneghina. Il menu è molto ampio, le proposte classico-creative dell’infaticabile e tenace “chef Gaspare” attirano e incuriosiscono: provate il tagliere di grandi salumi italiani (ma non manca un ottimo Pata Negra), le linguine con zucchine e pesto di vongole, la sella di maialino in crosta di senape con gateau di patate e porro croccante, la tagliata di tonno al sesamo su caponatina siciliana, la immancabile costoletta alla milanese con le memorabili patate chips, la fiorentina di castrato bavarese (un azzardo). Ma, se siete vittima di understatement metropolitano, assaggiate le eccellenti pizze (diverse da tutte le altre): vi consentiranno di godere e risparmiare…