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Artù n°52 - Settembre - Ottobre 2012

Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

Porto Santo Spirito: pescato del giorno per gli chef Modernità di Krug, bollicine di puro piacere Pasta, oltre i luoghi comuni: una storia di famiglia Mazagan Beach, sorprendente Marocco gourmet Non basta dire vino al bicchiere: la proposta Wikeeps

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EDITORIALE n°52

edi tori al Povero VINO

Sono stato fra i primi a combattere la “liturgia” del vino, ancora in tempi non sospetti. Decine di articoli lo testimoniano. Per “liturgia” intendevo, semplificando, quel mix di atteggiamenti esasperatamente presuntuosi e vagamente ieratici che mettevano da una parte, sul piedistallo, i cosiddetti esperti e, dall’altra, gli ignoranti, quelli – per intenderci – del vinello frizzante e beverino, quelli ormai “persi alla causa”. Allo stesso modo, venivano esaltate certe etichette, mentre se ne svilivano altre, spesso immeritatamente. Forse anche noi giornalisti del vino, o sommelier, o degustatori, non siamo stati immuni da questo atteggiamento. Un modo di comunicare che dava troppe cose per scontate e che, in una sorta di contrapposizione fra vitigni internazionali ed autoctoni, nascondeva in realtà un conformismo irritante. Protagonisti attivi dell’azione “liturgica” sono stati (e ancora in parte lo sono, visto lo spazio che la stampa generalista dedica a questa o quella classifica, a questi o a quei vini “bicchierati”, a certi punteggi di avvocati od altro) alcuni “personaggi del vino” che, in un momento favorevole, hanno incoraggiato e rafforzato questo divario talvolta ingiusto. Lo hanno fatto – mi auguro – in buona fede, rendendosi però complici di un gap incolmabile, che metteva da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, spesso senza averne alcun titolo. La realtà era, ed è, un’altra. Il vino, pur nella sua complessità, merita un approccio diverso, fatto sì di conoscenza ed esperienze ma anche di piacere, gusto, percezioni, amori. Valori che spesso arrivano prima, molto prima, della cultura del vino che, come ben si sa, non è un fatto né universale né collettivo. Certo, una cosa è la cultura, un’altra è la curiosità: insieme fanno miracoli, ma accade raramente che si uniscano per generare grandi passioni. Il

vino e la sua gradevolezza rappresentano un universo che va indubbiamente semplificato e i nostri lettori ben sanno quanto abbiamo detto, fatto e scritto in difesa di questa necessità di semplificazione e accessibilità dei contenuti. Ma, attenzione: una cosa è la semplificazione, un’altra è la banalizzazione. Ora, comprendiamo bene che in tempi di crisi (per non dire di recessione) come quelli che stiamo vivendo, tutti quanti si concentrino sull’elemento prezzo, nel senso che più è basso e meglio è (e qui ci sarebbe da aprire un capitolo a parte): ma è troppo facile cavalcare

esercizi). Una sera di settembre, su La7, l’ho sentito affermare, a proposito di “Vino libero” che “il vino si deve liberare, da analisi sensoriali che non fanno capire niente, dal rito degli abbinamenti, dalle pastoie fisiche e metafisiche”. Insomma, parla come mangi. Istintivamente, pare una teoria in linea con la semplificazione, tanto auspicata da molti. In realtà, riflettendoci, appare un J’accuse scontato verso valori e pratiche che, in realtà, hanno contribuito a far crescere la cultura e l’interesse di milioni di persone per il vino, aiutando il consumatore ad evolversi, a capire, a saper scegliere,

quest’onda, questa tendenza che ormai è diventata una sorta di moda, un tantino becera, oltre che nazional-popolare e è pure un pizzico demagogica. Oltre che banale e irrispettosa verso chi ha dedicato anni della propria vita a creare vini grandi o medi, ma comunque prodotti della terra, dietro ai quali ci sono impegno passione coraggio. Dispiace che fra chi sostiene tesi banalizzanti ci sia anche Oscar Farinetti, il guru di Eataly (la formula geniale di promozione e commercio di prodotti agroalimentari italiani, dei quali Artù ha spesso scritto, anche anticipando aperture di

ad approfondire. Ad analizzare e ad abbinare, anche. Dire oggi che il vino si deve “liberare” da pastoie fisiche e metafisiche può anche provocare una sana adesione empatica (e chi non è istintivamente d’accordo?) ma è uno slogan che, in quanto tale, non mi pare vada controtendenza ma, semmai, cavalchi quell’ onda di minimalismo banalizzante che non aiuta nessuno a crescere. Salvo chi, con la scusa di “liberare” il vino, finisca per ingabbiarlo nella illusoria fiera delle banalità. Alberto P. Schieppati

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In copertina: Santo Spirito è un piccolo borgo marinaro vicino a Bari. Qui pescatori coraggiosi pescano il meglio, per destinarlo – grazie alla distribuzione di Selecta – alle tavole della ristorazione italiana d’eccellenza. Nella foto, una suggestiva immagine di pesca a Porto Santo Spirito.

Info people Pellicano e Posta Vecchia: chef stellati a domicilio di Claudio Zeni Info people&brand Sempre più eventi nel futuro del settore Olio, vino e distillati, news e prodotti in movimento Info brand Modena gourmet, pianeta da scoprire Melini firma il RE-Chianti: un nuovo modo di bere di Claudio Zeni Cantina Tramin: tra tecnologia e design di Elisa Facchetti Bellussi e Belpoggio. Cultura per comunicare di Chiara Morellato Mionetto.com anima social di Elisa Facchetti Focus wine Cavit: rivisitazioni in cantina con Bottega Vinai di Elisa Facchetti Focus food C’è pasta e pasta. Oltre i luoghi comuni di Alberto Lupetti Protagonisti wine Universo Krug, il puro piacere di Alberto P. Schieppati Protagonisti food Il senso di Longoni per la farina di Luisa Contri Il risotto degli chef nasce a Livorno (Ferraris) di Fiorenza Auriemma Anche Palermo ha la sua passion-chef di Luisa Contri Santo Spirito: il pescato vien dal borgo di Fiorenza Auriemma Format food Refettorio fa rima con territorio di Luisa Contri Sempione 42: vince il servizio di Luisa Contri Accueil Mazagan Beach, insolito Marocco gourmet di Gualtiero Spotti Almenara, per golfisti e non solo di Elisa Facchetti Il Sole della Svizzera è vicino all'Italia di Elisa Facchetti Equipment Vino al bicchiere? La proposta di Wikeeps Secondo Artù Cantine Isola e trattoria Scaletta Artù n°52

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Pellicano e Posta Vecchia chef stellati a domicilio di Claudio Zeni Si chiamano “Casa in esclusiva” e “Chef a casa” le due iniziative che il Gruppo Pellicano Hotels propone per l’autunno e l’inverno 2012/13, mettendo a totale disposizione su richiesta i due celebri resort a 5 stelle Il Pellicano di Porto Ercole e La Posta Vecchia di Palo Laziale, cedendo a domicilio i rispettivi chef Antonio Guida (2 stelle Michelin) e Michele Gioia (1 stella Michelin) a chiunque desideri realizzare privatamente un piccolo o grande evento culinario fuori dall’ordinario. Il più elegante ed internazionale buen retiro dell’Argentario, il Pellicano di Porto Ercole, e la sontuosa villa romana arredata con pezzi da museo appartenuta alla famiglia Getty, La Posta Vecchia di Ladispoli, diventano così un sogno possibile per chi desideri goderne i servizi completamente in esclusiva e per il tempo che desidera. I pluripremiati re delle cucine stellate di entrambi gli alberghi, Antonio Guida e Michele Gioia, rispettivamente Chef del ristorante Il Pellicano e del ristorante The Cesar, si sposteranno invece “on demand” ovunque in Italia e nel mondo, per creare eventi gourmand privati, assistiti, in base al numero degli invitati, dai loro Sous Chef e Sommelier.

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Roberto Sciò, proprietario dei resort Il Pellicano e La Posta Vecchia, commenta: “Negli anni, tanti ospiti mi hanno confessato il desiderio di abitare almeno una volta La Posta Vecchia come fosse la loro residenza personale e, in effetti, l’atmosfera che si respira in questa dimora appartenuta un tempo a Jean Paul Getty è molto più simile a quella di una casa privata che di un albergo. Con le sue 19 camere, i salotti con i grandi camini e la terrazza affacciata sul mare, La Posta Vecchia è un’oasi di pace immersa in un parco secolare, e si presta perfettamente sia a riunioni di famiglia o di amici in cerca di una dimensione intima e privata per trascorrere una vacanza, usufruendo di un servizio a 5 stelle, sia a matrimoni e feste. Il Pellicano in esclusiva è invece meta ideale per grandi eventi ed ovviamente con questa offerta ci rivolgiamo alle aziende più che ai privati. Le proposte “Casa in esclusiva” e “Chef a casa” rappresentano un modo per tenere attive le nostre dimore anche nella stagione invernale, in cui restano tradizionalmente chiuse, offrendo a chi lo desideri l’opportunità di viverne il fascino in modo riservato.” I prezzi: ‘Casa in esclusiva’ Il Pellicano Hotel 45.000 euro al giorno; La Posta Vecchia 15.000 euro al giorno. “Chef a casa” a partire da 2.000 euro, cibo e vini inclusi.



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Sempre più eventi nel futuro del settore L’acqua in un piatto: arriva Acqua di Chef Moreno Cedroni, Rosanna Marziale, Tano Simonato, Enrico Crippa, Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Giuseppe Iannotti, Matias Perdomo, CristianTorsiello, Andrea Mainardi, Marco Perissinotto, Antonello Martuscelli, Frank Rizzuti. Sono i 12 chef finalisti del concorso Acqua di Chef, organizzato da Ferrarelle, chiamati a realizzare una video ricetta con protagonista l'acqua e selezionati da una giuria di esperti formata dallo chef Gennaro Esposito, dal sommelier Luca Gardini e dal professore universitario e gourmand Max Bergami. Sarà poi il popolo di internet a votare le videoricette caricate dagli chef sul sito www.acquadichef.com decreteando i primi tre vincitori: in palio un long weekend in uno spa center per due persone. Ma vera protagonista dell'evento è Ferrarelle – non poteva che essere sponsor ufficiale di questa prima edizione! – che insieme a ItaliaSquisita ha organizzato e sostenuto l'importante evento, il primo concorso dedicato all'acqua come elemento principale in cucina e nelle ricette degli chef. Ed è prorio la sede Ferrarelle di Milano, in via Ripamonti, ad accogliere la premiazione e lanciare l'edizione 2013.

Alto Adige, settembre in festa Latte, speck, pane e strudel: ecco i quattro punti cardinali per orientarsi nell'atmosfera festaiola che ha animato il Trentino Alto Adige nel mese di settembre. Ma procediamo con ordine. La federazione latterie Alto Adige, in cooperazione con le 10 latterie altoatesine ed Eos (Organizzazione export Alto Adige della Camera di Commercio di Bolzano), ha promosso la quarta Festa del Latte (25-26 settembre): Valles, a Rio Pusteria, ha accolto un pubblico, dai più grandi ai più piccini, svelando curiosità sul latte e organizzando attrazioni per tutta la famiglia. E non potevano mancare le degustazioni

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Nuove cariche in Co.Ge.Di

Speckfest 2012 delle prelibatezze altoatesine a base di latte. Decima edizione invece per il mercato del pane e dello strudel, tre giorni di festa (dal 28 al 30 settembre) ospitati a Bressanone: protagoniste, oltre ai percorsi storici e dimostrazioni, le degustazioni dei prodotti tipici, dalle pagnotte venostane e pusteresi al filone bianco, dal pane croccante di segale fino allo zelten e strudel di mele. Tutti prodotti certificati dal marchio "Qualità Alto Adige" che garantisce utilizzo di ingredienti naturali e l'assenza di conservanti nonchè esaltatori di sapidità. Negli stessi giorni la Val di Funes ha ospitato la decima edizione della Festa dello Speck Alto Adige. Fitto il programma organizzato nello spledido scenario di Santa Maddalena, tra cui non sono mancate le degustazioni dei prelibati piatti a base di Speck Alto Adige Igp, il tutto allietato dalla tipica musica folk. La festa dello Speck nasce da un'iniziativa comune promossa dall'Associazione Turistica Val di Funes, dal Consorzio Speck Alto Adige, da Eos e supportata da tutte le associazioni della vallata.

CocoFungo: l’Europa in un piatto Imperdibile la rassegna gastronomica trevigiana che da 36 anni fa del fungo il re dell'eccellenza del territorio della Marca: torna CocoFungo, ma con una marcia in più! La storica manifestaMonica Bortolini

zione, nata 36 anni fa da un'idea di Giuseppe Maffioli e Fernando Raris, porta quest'anno una ventata di internazionalità coinvolgendo i Junes Restaurateur D'Europe, l'associazione che riunisce ristoranti di eccellenza in tutta Europa, condotti da chef under 40. Nel dettaglio, come illustrato dagli organizzatori della rassegna Pamela De Giusti e Pierangelo Ranieri dell'agenzia OL3, insieme a Monica Bortolini del Ristorante Da Gigetto, l'evento si volgerà dal 25 settembre al 26 ottobre coinvolgendo i sei ristoranti soci di CocoFungo – Da Celeste, Barbesin, Miron, Hotel Terme, Da Gigetto e Der Katzlmacher – e gli ospiti dell'associazione JRE. Ogni appuntamento vedrà infatti la realizzazione di un menu preparato dallo chef patron insieme allo chef ospite di un paese europeo, sviluppando piatti della tradizione, ma con qualche influenza più "internazionale". Grazie inoltre al lavoro svolto dall'agenzia OL3, CocoFungo sarà anche "on web", sviluppando in parallelo una comunicazione "brandizzata" sull'evento tramite social media. Oltre al sito www.cocofungoradicchio.it, per essere aggiornati su tutti gli eventi e gli appuntamenti dell'evento, sarà presente anche un magazine quadrimestrale cartaceo dedicato alle attività dell'associazione CocoFungo.

È Giovanni Orazzo il nuovo Direttore Commerciale della Co.Ge.Di International S.p.A, azienda fondata a Roma nel 1984 e oggi proprietaria dei brand Uliveto, Rocchetta, Brio Blu Rocchetta ed Elisir di Rocchetta. L'esperienza maturata in 30 anni di attività nell'area commerciale di beni di largo consumo – è stato Direttore Commerciale di Birra Peroni e di Acqua Minerale San Benedetto S.p.A – contribuirà a svolgere al meglio l'incarico affidatogli dall'Amministratore Delegato Dr. Maurizio Bigioni: migliorare le quote di marketing in tutte le categorie merceologiche, rafforzando il posizionamento competitivo di tutti i prodotti e consolidare ulteriormente i rapporti di partnership con il trade.

Giovanni Orazzo

Arco Antico, l’alta qualità low cost È possibile diminuire i prezzi e aumentare la qualità? All'Arco Antico di Savona, ristorante stellato e citato dal Gambero Rosso e da L'Espresso come miglior ristorante della Liguria, tutto questo è possibile. Grazie all'idea vincente del suo chef Flavio Costa che ha ideato un nuovo menu all'insegna della ragionevolezza – dei prezzi –, ma non certo a discapito della qualità. Anzi, a voler vederci chiaro si scopre che la qualità dei prodotti è rimasta tale, se non addirittura migliorata. Come sia arrivato a un'alta ristorazione low cost lo chiediamo direttamente allo chef: "Il vero cambiamento sarà il numero dei piatti che proporrò nel mio menu – rivela




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chef Flavio Costa Flavio Costa –. Si passerà dalle attuali 18 a un menu a otto portate che verrà ulteriormente scomposto in due 'sottomenu', uno di Mare da sei portate e uno con quattro dei miei 'Classici' a prezzi ulteriormente ridotti. Questa riduzione delle portate mi permetterà di curare al meglio la preparazione di ogni singolo piatto e di scegliere accuratamente le materie prime che acquisterò quotidianamente. E potrò ridurre al minimo anche gli sprechi, che, purtroppo, gravano poi sul prezzo finale dei piatti, consentendo di fare una spesa mirata". Portate e prezzi ridotti, utilizzo di materie prime freschissime in base all'offerta del mercato e del pescato quotidiano, il tutto condito con la fantasia dello chef Flavio Costa: la ricetta anticrisi è servita su un piatto d'argento. Chapeau!

Anche Birichin pensa ai clienti Inizialmente dovevano essere sei le cene low cost organizzate di venerdì sera da Nicola Batavia, chef patron del ristorante Birichin di Torino. Ma l'adesione di pubblico è stata tale che l'iniziativa, partita il 24 febbraio scorso, si è prolungata fino a tutto maggio, raggiungendo così i 14 appuntamenti. Quella delle cene low cost, è una moda lanciata da alcuni ristoranti di tendenza londinesi, cui Batavia non si è limitato ad aderire organizzandole nel suo ristorante in Kensington Church street, ma che ha voluto estendere a tutti i ristoranti che gestisce, importandola così in Italia: al Birichin di Torino e al La Kava di Bergeggi, nel savonese. E anche in Marocco, al ristorante La Scuderia che gestisce a Casablanca. "L'idea delle cene low cost", spiega Batavia, "è nata dalla volontà di alcuni ristoranti londinesi

di approcciare in un modo differente un consumatore ansioso di conoscere, ma spesso impaurito da locali troppo abbottonati. Locali super gettonati e famosi stanno ora facendo a gara nel proporre, in serate speciali, menu firmati da noti chef a prezzi rigorosamente scontati del 50%. La ricerca, la novità, l'occasione di entrare in ristoranti spesso inaccessibili ha fatto sì che quest'idea si trasformasse in una moda". In ognuno dei venerdì in cui i ristoranti gestiti da Batavia hanno organizzato cene low cost, lo chef ha proposto menu degustazione a tema al prezzo di 40 euro invece che 80. Il menu della cena low cost inaugurale, quella del 24 febbraio, si intitolava "Birichin e La Morra: gusto a 360°". E si componeva dei seguenti piatti: arancini di parmigiano su crema di arachidi, essenza di rosmarino; crema di zucca in tazza; piccolo calamaro ripieno di mazzancolle cotto nel the hulong su guazzetto di cardi e flakes di arancia; risotto, topinambur, olio di sesamo e foie gras, caramello di Barbera; arrostino su caponata agrodolce di melanzane e menta; salsa di patate e cipolle rosse; granita di melone e vodka; Torino-zabaione-cioccolato. Pane e grissini di mamma Maria, olio Batavia. La cena era accompagnata dai vini della cantina Rocche Costamagna di La Morra (Cn): Osè Langhe Rosato 2010; Langhe Arneis 2010; Barbera d'Alba Annunziata 2009, premiata con la corona dalla guida Vinibuoni d'Italia 2012; Barolo Rocche dell'Annunziata 2007 giudicato da Wine Enthusiast tra i 100 Top Wine del 2011. L.C.

Nicola Batavia


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Olio, vino e distillati, news e prodotti in movimento Da Starbukcs Il Fresco Villa Sandi Sull'argomento bollicine si è già parlato molto, ma non è la diatriba sull'utilizzo del termine che questa volta ci interessa, bensì la dinamicità di un'azienda, Villa Sandi, che con le sue bollicine, appunto, ha mirato lontano e ha sparato, oltre oceano, facendo centro nell'offerta di uno dei canali americani più noti: Starbukcs. E già, perchè la grande catena internazionale di caffetteria, nata negli Stati Uniti con sedi anche nelle principali capitali europee e nel mondo, ha messo in atto un nuovo progetto che rivoluzionerà l'offerta di alcuni locali Starbukcs nella terra a stelle e strisce. Dalle ore 16.00 in poi i coffee shops "eletti" si trasformano anche in wine bar, accanto al classico "menu" di caffè e pasticceria, con una proposta tutta italiana: snack, appetizers, finger food, e stuzzichini sono ora accompagnati da Il Fresco di Villa Sandi, Prosecco Doc molto apprezzato negli Stati Uniti ed eletto da sette anni miglior Prosecco dell'anno in Germania. Un ottimo risultato quello di Villa Sandi, un'ulteriore occasione di visibilità e promozione in uno dei mercati di maggiore interesse per l'azienda e una grande soddisfazione che premia la qualità del prodotto e la dinamicità della cantina di Crocetta del Montello.

La pasta. Tema libero È il titolo del nuovo volume realizzato da Surgital sulla linea di pasta fresca surgelata Divine Creazioni nata in collaborazione con Gianfranco Vissani. L’idea del libro nasce dalla volontà di raccogliere in uno scritto le lezioni tenute da Vissani a De Gusto, L’Ateneo della Pasta, il luogo in cui Surgital accoglie e incontra i propri clienti. Un'esperienza molto importante, tanto che

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l’azienda ha deciso di raccogliere alcune delle ricette che Gianfranco Vissani produsse durante quelle giornate in un prezioso volume dedicato a tutti gli chef. In questo libro le Divine Creazioni vengono interpretate in 36 ricette: antipasto, primo, secondo e dolce, e ogni ricetta è accompagnata da un breve commento del maestro che spiega la motivazione della scelta degli abbinamenti. Inoltre nelle pagine del libro viene raccontata anche la storia dell’incontro e della nascita della collaborazione fra Surgital e Gianfranco Vissani.

Olio Dop Riviera Ligure: la tavola “Chic” Il Consorzio Tutela dell’Olio Dop Riviera Ligure, in collaborazione con la Camera di Commercio di Imperia, si impegna ormai da anni a diffondere le informazioni relative al sistema di controllo e garanzia dell’Olio Extra Vergine di Oliva Dop Riviera Ligure segnando ogni bottiglia con il famoso collarino

giallo numerato, garanzia che solo quest’olio è autentico, originale e unico ligure al 100%: un olio delicato, dolce, lievemente fruttato con sentori di mandorla e pinoli. Una qualità riconsciuta e apprezzata anche nel mondo dell'alta ristorazione, tanto da consacrare un importante collaborazione tra il Consorzio di Tutela dell'Olio Dop Riviera Ligure e Chic, l'Associazione Charming Italian Chef, grazie anche al prezioso contributo della Camera di Commercio di Imperia. L’Olio Dop Riviera Ligure è stato nominato protagonista di una serie di 10 cene in tutto il territorio italiano, un tuor che ha coinvolto gli oltre 70 chef dell’Associazione che lo hanno utilizzato nelle loro esclusive ricette.

Jèma di Cesari conquista il Brasile Per la rivista brasiliana GULA è il vino dell'anno 2012, aggiudicandosi il titolo più ambito in Brasile di "o bom do ano 2012" nella consueta classifica annuale delle etichette “da scoprire ed amare”. Così il Jèma Corvina 2007 della Gerardo Cesari sbarca anche in terra carioca con i dovuti onori, grazie alla capacità di questo vino di esprimere tutta la tipicità del territorio da cui nasce: le zone più vocate della Valpolicella e del Lugana, nel veronese. La nota “gemma”, proveniente dai vitigni Jemà, propone nel calice un bouquet di frutti rossi e ciliegia macerata con note lievemente tostate ed evidenze di cacao e caffè, caratteristiche che ne sottolineano un’ottima lunghezza e persistenza. Note e profumi “ne giustificano il nome e fanno di questo vino una gemma preziosa”, come viene definito dalla recensione apparsa sulle pagine di GULA. Questo vino è prodotto al 100% con il monovitigno Corvina, base dei grandi rossi della

Valpolicella, ma utilizzato per Jèma 2007 in purezza.

Flaminio Dop, l’umbro extravergine Il nome vuole rendere omaggio alla via Flaminia, la via che fin dal 1300 d.C. veniva utilizzata per trasportare l'olio di Trevi alla corte papale. E proprio di olio vogliamo parlare e precisamente della Società Agricola Trevi "Il Frantonio". Nata negli anni 60' a Trevi (Pg), territorio vocato alla coltivazione di uliveti, i veri protagonisti della storia e dell'economia di queste zone, riunisce 59 soci olivicoltori che con i loro oliveti, – circa 250 ettari totali tra Trevi, Foligno e Campello sul Clitunno – contribusicono a rendere il frantoio unico per qualità di olio extravergine prodotto, con cultivar di Moraiolo (80%), Frantoio (15%) e Leccino (5%). Tanto che nel 1992 l'azienda di Trevi decide di creare la linea Flaminio, un'accurata selezione dei prodotti agroalimentari tipici dell'Umbria e dell'Italia, tra cui spicca l'olio Flaminio Dop Umbria, premiato con le Tre Foglie della guida "Oli d'Italia – I migliori extravergine 2011" e consacrato al secondo posto nella classifica nazionale, per la categoria fruttato leggero, all'Ercole Olivario 2011. Una qualità superiore, tangibile anche dai parametri restrittivi eseguiti per la produzione: in primis raccolta delle olive per "bru-



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catura" a mano e trasformazione delle olive in meno di 12 ore; la seconda fase prevede il lavaggio delle olive con acqua corrente e successivamente l'estrazione a freddo e filtrazione. A questo punto i Mastri Assaggiatori, con esperienza trentennale, selezionano l'olio in Dop Umbria, Fruttato e Delicato. Anche la fase di imbottigliamento segue regole restrittive, per fornire al consumatore finale un prodotto sempre fresco e di altissima qualità. Una produzione che rispetta anche l'ambiente: nel 2009 la Società Agricola ha adottato il più grande impianto fotovoltaico in Italia per la produzione di olio extravergine di oliva e ha attivato un nuovo frantoio a gestione automatizzata.

Roner, distillati ad arte Con il claim “Artisti del gusto” Distellerie Roner racchiude tutta la passione che la contraddistingue dal 1946. Da tre generazioni l'azienda di Termeno (Bz) ha elevato la tecnica della distillazione di frutta e vinacce in arte, riscuotendo numerosi successi e riconoscimenti, tanto da spingere l'azienda a rendere ancora più riconsocibili marchio e prodotti. Nuovo infatti il logo realizzato per il 2012, dove protagonista è la frutta rappresantata in modo artistico, e dove compare anche il nome di famiglia in rosso a simboleggiare garanzia e passione

nel distillare. Fiori all'occhiello della produzione Grappa La Gold, distillata da un mix di vinacce di vitigni autoctoni di primissima qualità di origine da Gewüztraminer, Schiava e Pinot Noir; Roner Williams è invece un distillato di pere Williams Christ selezionate e lavorate con il metodo della doppia distillazione, con alambicchi a bagnomaria. E poi la Reserv, la Roner Williams prodotta utilizzando per bottiglia ben otto chili delle pere Williams Christ più fragranti, per ottenere, con doppia distillazione in alambicchi a bagnomaria, un'esclusiva acquavite dall'inconfondibile aroma delle

pere mature. Ma sono i prodotti dedicati a un prezioso regalo di Natale i veri protagonisti. Le proposte comprendono: Set La Morbida + Ambra La Morbida: set La Morbida 0,7l e Ambra La Morbida 0,7l con gli esclusivi bicchieri da degustazione Roner, confezionate in elegante cofanetto di radica di noce. Il Set Raritas + Privat è invece un cofanetto regalo di radica di noce con Williams Privat 0,5l e Raritas Mora 0,5l. Cofanetto anche per il tris di assaggi da 0.2l: Pommé, La Gold e Williams. Mentre per gli amanti della Williams Roner ha creato due proposte regalo: il Set Williams, kit composto da una bottiglia di Williams 0.7l, baby pere sciroppate e 2 bicchieri Williams Roner, e il cofanetto di radica di noce Williams Reserv.




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Riondo: international awards Sono numerosi i riconoscimenti che Cantine Riondo ha già ricevuto nel primo semestre del 2012, conquistando ottimi risultati nelle più importanti competizioni internazionali. Riscontri positivi che dimostrano come l’azienda, attenta alle evoluzioni dei consumi, sia in grado di offrire prodotti di qualità apprezzati su un mercato di larga scala, capace di varcare i confini italiani. Ecco i più premiati: Excelsa Castelforte Soave Doc 2011 (medaglia argento International Wine Challenge; menzione Decanter WorldWine Awards), Riondo Prosecco Doc Frizzante Spago Nero (medaglia bronzo International Wine&Spirit Competion UK; medaglia bronzo International Wine Challenge), Cà Barone Cabernet delle Venezie IGT 2010 (medaglia d'oro Berliner Wine Trophy; medaglia bronzo International Wine&Spirit Competion UK) e il Castelforte Amarone della Valpolicella Doc 2008 (medaglia d'oro International Wine Challenge; medaglia argento International Wine&Spirit Competion UK), a testimonianza di un crescente attenzione ai grandi vini della tradizione Veronese. “Considerata la nostra forte vocazione esterofila - commenta Abele Casagrande, Direttore Generale di Cantine Riondo - siamo decisamente molto soddisfatti di questi prestigiosi elogi e, più in generale, degli apprezzamenti e delle risposte che il mercato ci sta dando. Ritengo che nel momento storico in cui stiamo vivendo, economicamente molto critico per molti Paesi, queste performance siano la dimostrazione che con un progetto di ampio respiro, incentrato su una cultura di valorizzazione del territorio e un corretto rapporto qualità -prezzo, si possa mantenere la proposta nostra di vini molto interessante per il consumatore”.

Bouquet di Emozioni al Principe di Savoia Il ristorante Acanto dell’Hotel Principe di Savoia di Milano ha organizzato nel mese di settembre un ciclo di serate di alta gastronomia dedicate alla fine dell'estate. A deliziare i palati il menu proposto dallo chef Fabrizio Cadei, capace di esaltare il vero protagonista di queste serate: lo Champagne Marguerite Guyot. A ogni portata lo chef ha infatti saputo abbinare uno dei cinque Champagne della Margherita, simbolo della Maison di Florence Guyot. Dopo l'ouverture, un aperitivo con la cuvée Désir, è stato servito il rollé di salmone e pescatrice con germogli di crescione, lamponi e pinoli tostati, accompagnato dalla cuvée Séduction; a seguire riso di Grumolo delle Abbadesse con mazzancolle e dragoncello, abbinato alla cuvée Passion. Con la cuvée Extase, Champagne Blanc de Blancs Grand Cru millesimato 2002 lo chef ha servito il filetto di vitello steccato con scampi, granella di pistacchio e crema di pastinaca. A chiusura una tarte tatin di fichi, mandorle tostate e gelato alla vaniglia, per esaltare al meglio le note del Brut Rosé Fleur de Flo, frutto dell’assemblaggio in parti uguali dei tre vitigni, con aggiunta di Côteaux Champenois di Pinot Meunier vinificato in rosso.

Cinzano, il “Cocktail Italiano” Si gusta freddissimo il nuovo cocktail firmato Cinzano, l'aperitivo fruttato con poco alcol pronto da bere. Nato da una miscela di infusi di erbe e aromi, Cinzano Cocktail Italiano rivela toni leggeri e agrumati, accompagnati du una gradevole frizzantezza. A casa, come al bar, è comodo e facile da presentare perchè già pronto in bottigliette monodose. Per questa novità del mondo aperitivo una confezione innovativa: un cluster da 3 bottigliette da 20cl. Cinzano Cocktail Italiano è disponibile nella grande distribuzione organizzata e al bar.



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Birra Moretti

Street Food: Uliassi con Birra Moretti Ottimo cibo alla portata di tutti. È questa l’idea che Mauro Uliassi promuove da tempo attraverso il progetto Street Food, per valorizzare il patrimonio gastronomico locale in modo semplice e genuino, senza dover spendere cifre eccessive per assaporare piatti preparati ad hoc. Lo chef bistellato ha così proposto, in uno degli eventi organizzati da Street Food, una serie di portate accompagnandole alle diverse specialità di Birra Moretti, a sottolineare ancora una volta il clima di convivialità. La famosa "Rotonda sul mare" di Senigallia ha visto sfilare gli sfiziosi abbinamenti creati da Mauro Uliassi e Birra Moretti. Qualche esempio? Alici, melanzane alla brace e scalogni in agro dolce con Birra Moretti La Rossa; salmone marinato, maionese alla senape e pane brioches con Birra Moretti Baffo d'Oro; trapizzino di pollo alla cacciatora in abbinamento alla Doppio Malto e trapizzino e panzanella con Birra Moretti, per finire con il panino di porchetta con porchetta accompagnata da Birra Moretti Grand Cru. 8 euro a piatto, compresa la birra. Ragionevolezza da 10 e lode!

Natural break Novità in arrivo da Seeberger, lo storico brand tedesco distribuito in Italia da Eurofood. Sugli scaffali dei supermercati sarà disponibile una vasta gamma di prodotti sani a naturali, frutta secca e disidratata proposta in comodi sacchettini per un snack nutriente o per arricchire piatti e ri-

cette. Sono oltre 20 le varietà Seeberger, tra cui i pinoli extra, i fichi soft – ottimo spuntino energetico durante la giornata – e il must dell'azienda: Luxury Mix di Frutta Secca e Uvetta, una combinazione di anacardi, nocciole, mandorle pelate e noci, con un equilibrato mix di uva passa.

La birra Theresianer premiata a Londra “Rewarding Quality, Celebrating Excellence”, ovvero “Premiando la Qualità, Celebrando l’Eccellenza”. È questo il claim della 16esima edizione del concorso International Beer Challenge 2012: 35 esperti di birra si sono dati appuntamento al White House Pub di Parson’s Green, a Londra, per decretare le migliori tra le 430 birre in gara, valutando aspetto organolettico, aroma, colore, profumo e consistenza, per finire con una vera e propria degustazione alla cieca. E tra le migliori birre – in palio 30 medaglie d'oro – spicca l'italianità dell'antico birrificio triestino Theresianer che si aggiudica l'ambito riconoscimento con la birra artigianale non filtrata Wit 0,75 lt, bronzo invece per Theresianer Premium Pils 0,33 lt.


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Modena gourmet pianeta da scoprire

Solo quando è in questa bottiglia (progettata da Giorgetto Giugiaro car designer) il prodotto è certificato, garantito, e si può chiamare Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop. In alto: Enrico Corsini, Presidente Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizonale di Modena, e lo chef Massimo Bottura.

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professionale (chef, ristoratore, sommelier) che intende qualificare la propria offerta e “andare sul sicuro” grazie alla qualità della produzione enogastronomica modenese. I prodotti a denominazione di origine modenesi, non a caso, rappresentano una fetta importante del Made in Italy e sono un prestigioso biglietto da visita per valorizzare la cultura e il territorio modenese. Innanzitutto l’Aceto balsamico tradizionale (www.balsamicotradizionale.it), definizione in cui il termine “tradizionale” segna una profonda demarcazione qualitativa, nato da antiche tradizioni dell’aristocrazia modenese, che ha reso celebre Modena nel mondo (dopo la Ferrari col suo cavallino rampante, ovviamente), frutto di attente selezioni di uve prodotte da vitigni autoctoni e di lenti processi di fermentazione. Un prodotto ormai divenuto essenziale nell’offerta di ristorazione di qualità, un elemento di distinzione e raffinatezza sul quale si concentra l’attenzione di chef e ristoratori di ogni segmento di offerta, dalla trattoria tradizionale al ristorante stellato. E grazie al Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena viene svolta un'importante promozione e salvaguardia di questo prodotto, simbolo anche del patrimonio culturale e delle tradizioni modenesi, seguendo precisi obettivi: garanzia dell'osservazione del Disciplinare di Produzione, promozione dell'immagine del prodotto, guidare i produttori nel raggiungimento di alti livelli qualitativi e aiutare gli associati sostenendo soprattutto i piccoli produttori di eccellenze. Solo seguendo rigorosamente un disciplinare di proUna città e un territorio ricchi di duzione Dop l'aceto balsamico può frestoria enogastronomica, che la dicono giarsi dell'appellativo Tradizionale, parlunga in materia di gusto, di sapori, tendo dai vigneti delle zone tipiche. E poi il Lambrusco (www.lambrusco.net), di tendenze e di stili di vita. un vino per troppo tempo ritenuto soSe è vero che qui opera uno degli chef prattutto un vino “beverino”, una sorta più celebri del momento, Massimo Bot- di bevanda a base alcool che alcuni tura (recentemente insignito delle tre esperti del vino sottovalutavano a stelle Michelin), è altrettanto vero che scapito di grandi vini rossi strutturati e in questa “food and wine valley” sono corposi. Per fortuna, grazie agli enormi parecchie le eccellenze, destinate al miglioramenti produttivi e alla crescita consumatore attento e alla ricerca di qualitativa, oggi il Lambrusco, in tutte autentica tipicità, ma anche all’operatore le sue tipologie, è entrato a pieno titolo



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In alto: Ermi Bagni, Presidente Consorzio Tutela del Lambrusco di Modena.

Sotto: spillatura del prosciutto di Modena.

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il Consorzio controlla ogni anno partite di Lambruschi Dop per oltre 25 milioni di bottiglie, e un apposito comitato tecnico effettua l’esame organolettico su campioni anonimi prelevati presso i consorziati e preventivamente sottoposti ad analisi. In base a tale esame viene espresso un punteggio che indica se il vino è idoneo a fregiarsi del marchio o contrassegno consortile. Ancora, il Prosciutto di Modena Dop (www.consorzioprosciuttomodena.it), ottenuto esclusivamente dalla coscia fresca di suini nati, allevati e macellati secondo le nel gotha dell’eccellenza vinicola, pro- prescrizioni produttive più avanzate per ponendosi anche – in virtù della sua quanto riguarda le razze, l’alimentazione, forte componente gustativa “sgrassante” l’allevamento dei suini destinati alla – come l’abbinamento ideale per la cu- produzione tutelata da un disciplinare. cina di territorio, particolarmente per Una realtà tutta da scoprire, di cui Mole ricette più sapide e gustose. Sia a dena è il punto di riferimento impreModena che a Reggio Emilia ha ottenuto scindibile: una realtà a cui Artù dedica ben sei riconoscimenti di Denominazione questa vetrina, destinata ai professionisti di Origine Protetta: il Lambrusco, in e agli enogourmet alla ricerca di virtù delle proprie caratteristiche di graqualità, gusto e sicurezza devolezza, è oggi il vino italiano più alimentare. venduto al mondo, oltre che uno dei più tutelati grazie anche all’attività del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi, del Consorzio di tutela del Lambrusco di Modena e del Consorzio Vini Reggiani. Sono ben 11 le aziende che fanno attualmente parte del Consorzio e rappresentano circa l’85% della produzione di Lambrusco Dop della provincia di Modena. A garanzia della qualità,



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Melini firma il RE-Chianti Un nuovo modo di bere terpretata da una casa vinicola che fa dell’innovazione il proprio orgoglio da oltre trecento anni. Il risultato è un vino dal carattere autentico e intenso, che si sposa perfettamente sia con i piatti della tradizione, sia con la delicatezza della nuova cucina e con il piacere di un aperitivo conviviale. Sangiovese grosso all’80% e 20% di uve complementari sono il risultato di un vino (dati analitici: alcol 14%; acidità totale 5,40 g/l; pH 3,5; zuccheri 3,5 g/l; estratto 29 g/l) dal colore rosso rubino intenso e vivido, con un profumo avvolgente e complesso, con spiccate note di frutta matura (marasca e lampone) e piacevoli sentori floreali (giaggiolo, di Claudio Zeni mammola), dal sapore pieno, corposo, Un racconto antico narrato con parole morbido e fruttato, molto sapido e arnuove. Melini firma Il Chianti Governo monico. Un vino di pronta beva, ma all’uso toscano, nato dalla riscoperta che saprà sorprendere dopo qualche di un affascinante metodo tradizionale, anno e che ben si abbina con antipasti basato sulla lenta rifermentazione del di salumi e formaggi assortiti, primi vino appena svinato con uve appassite, piatti saporiti e zuppe di verdure, grigliate parte in vigna e parte in “fruttaio”. Una di carni rosse, ma anche con il piacere pratica ricca di storia e di territorio, in- di un aperitivo conviviale. Altra nuova firma di Melini è il Chianti Docg, una bottiglia che richiama alla memoria le forme panciute dei fiaschi in vetro e paglia, la cui spiccata personalità e straordinaria piacevolezza fanno di questo prodotto un modo originale e accattivante di apprezzare uno dei vini più tradizionali e antichi della Toscana. Sangiovese grosso al 75% e 25% di uve complementari per un vino (dati analitici: alcol 13,40%; acidità totale 5,40 g/l; pH 3,45; zuccheri 3,5 g/l; estratto 28,5 g/l) dal colore rosso rubino intenso, un profumo fresco con note dominanti di frutta e con eleganti sentori floreali, dal sapore pieno, piacevole ed armonico, morbido e fruttato, che ben si abbina a primi piatti saporiti, carni rosse e grigliate, salumi e formaggi di media stagionatura. Da sempre la casa vinicola Melini, ricca di trecento anni di storia, sperimenta nuovi metodi di coltivazione e di vinificazione delle uve Sangiovese per produrre vini che possano conquistare tutti i consumatori, anche quelli più giovani abituati a degustare vini diversi, più fruttati e attuali. Mantenendo questa tradizione, Melini

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ha pensato e realizzato la nuova linea RE–Chianti, che è stata ufficialmente presentata il primo giorno dell’estate 2012 nella sede storica della cantina, a Gaggiano, tra le dolci colline chiantigiane. Unitamente al Chianti Governo all’uso toscano è stato presentato il Chianti Docg, altro prodotto con un innovativo metodo di vinificazione: una parte di grappoli integri viene aggiunta al vino appena svinato per conferirvi una maggiore freschezza, esaltarne gli aromi varietali e sottolinearne il fruttato. Protagonisti dell’interessante giornata di presentazione delle nuove bottiglie sono stati anche tutti coloro che hanno sempre avuto la Toscana ed i suoi vini nel cuore e hanno raccolto la sfida lanciata da Melini con la creazione della nuova linea RE–Chianti: i buyer della distribuzione moderna italiana e straniera, la stampa e i rappresentanti del territorio, mentre “ricordare e rinnovare” è stato il filo conduttore dell’evento, ovvero ricordare il passato e toccare con mano il futuro rinnovato, dove la passeggiata tra i filari di vite, per comprendere l’importanza del vigneto, il rapporto Clima-Suolo-Uomo e la visita in cantina sono stati resi speciali dal racconto di Marco Galeazzo, direttore ed enologo della Melini, e dal suo staff di agronomi ed enologi. Firmando il Chianti Docg e il Chianti Governo all’uso toscano Melini segna un’altra tappa importante della sua storia: la storia di una casa vinicola che fa dell’innovazione il proprio orgoglio da oltre trecento anni.



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Cantina Tramin: tra ecologia e design ecocompatibile: ben il 90% dei vigneti produttivi sono infatti lavorati senza l’uso di diserbanti, preservando così la vitalità del terreno tra i filari. In questo modo vengono mantenuti tutti gli elementi organici del suolo, sfruttando al 100% i benefici della biodiversità e della fertilizzazione naturale. La spinta "green" dell'azienda non si ferma solo alle coltivazioni ecocompatibili, ma prosegue verso una maggiore sostenibilità ambientale con un nuovo progetto avviato proprio di recente. Se la nuova sede di design firmata dall’architetto Werner Tscholl, simbolo di avanguardia progettuale in campo enologico, è stata già un forte segnale di cambiamento verso un nuovo approccio ecologico, con una ristrutturazione che ha impiegato materiali ad alto risparmio energetico, ottimizzando il calore invernale e schermando da quello estivo, da giugno 2012 l'iter green di Cantine Tramin si completa con il nuovo impianto fotovoltaico, installato sul tetto di copertura, con una piena esposizione a sud. La potenzialità massima di questo impianto è di 100 di Elisa Facchetti kwp e produce 100.000 kwh all'anno, Famosa per il suo Gewürztraminer, Can- andando a coprire l’85% del fabbisogno tina Tramin si distingue anche per l'im- totale dell’azienda. Il restante 15% viene pegno ambientale e per la cultura del coperto dall’acquisto di energia da fonti vino, salvaguardando qualità dell'uva e 100% naturali, riconosciuta dal certificato del territorio. L'azienda altoatesina di RECS (Renewable Energy Certicate SyTermeno (Bz) ha infatti optato per una stem - Sistema di ceftificazione volontaria gestione dei vigneti secondo un modello dell'energia da fonti rinnovabili).

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Bellussi e Belpoggio Cultura per comunicare chitettura, magia e romanticismo per il gala della Mostra Internazionale Coltura nella vigna e cultura in canti- d’Arte Cinematografica al Lido. Cena na. Ma anche nelle occasioni e nei a lume di candela all’Hotel Excelsior, luoghi che sono patrimonio del sapere al Lido, offerta dagli organizzatori della e della creatività. In questo modo le Biennale con un grande menu carataziende vinicole di Enrico Martellozzo terizzato da piatti di terra e di mare. comunicano con efficacia il proprio Vini veneti e toscani in abbinamento. impegno totale a difesa del patrimonio Per i bianchi, Bellussi Valdobbiadene e, per i rossi, Belpoggio di Montalcino, culturale del nostro Paese. le due aziende vinicole di proprietà di Eleganza ed internazionalità nella Enrico Martellozzo, che per il quarto serata d’apertura della Biennale di Ar- anno consecutivo ha firmato un condi Chiara Morellato

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tratto di collaborazione con la Fondazione Biennale di Venezia quale fornitore ufficiale per i vini. “L’esperienza degli anni precedenti e il lavoro svolto insieme – ha detto Enrico Martellozzo - hanno permesso delle sinergie di sicuro interesse. D’altra parte da oltre dieci anni abbiamo scelto di supportare le varie forme d’arte per comunicare i nostri brand.” Bellussi, fra l’altro, ha ottenuto un significativo apprezzamento dal Premio Guggenheim – Impresa & cultura.

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Mionetto.com Anima social di Elisa Facchetti Crescita continua nel marketing digitale per la storica cantina di Valdobbiadene. La vetrina virtuale di Mionetto si rinnova nella veste e nei contenuti – restano invariate le classiche cromie del nero e dell’oro – per dare spazio a un sito con nuove funzionalità, nuovi video e una migliore fruibilità delle informazioni. I navigatori potranno così scoprire il mondo Mionetto a partire dai suoi prodotti, conoscere la storia e il territorio di origine, nonchè gli eventi ai quali l'azienda partecipa sia in Italia che all’estero. In primo piano anche una panoramica completa delle campagne stampa e i riconoscimenti ottenuti nei concorsi enologici nazionali e internazionali. Novità del nuovo sito web una sezione dedicata ai social media da cui è possibile entrare nella pagina ufficiale “Mionetto Prosecco” presente in Facebook (dove ha superato quota 10 mila fan), Twitter, Flikr, YouTube, e da Gennaio 2012 in Pinterest ed Instagram. "Oggi è il web il luogo in cui c’è più dinamismo e vitalità" afferma Paolo Bogoni, Director of Marketing & Communication Mionetto, "La nostra presenza in questo contesto è, inoltre, perfettamente in sintonia con quell’attenzione all’innovazione che ci permette di riscuotere sempre più importanti

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successi in Italia e nel mondo". Con questa nuova strategia comunicativa Mionetto rivela la volontà di avvicinarsi ancor più al consumatore finale e di costruire una comunità di appassionati di bollicine che possa dialogare e stimolarsi reciprocamente, aggiornata sulle novità e le attività di Mionetto, il tutto con un servizio chiaro, utile e facilmente fruibile.



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Cavit: rivisitazioni in cantina con BOTTEGA VINAI Il Gruppo Cavit, il consorzio di cooperative trentino che riunisce 11 cantine sociali, realizza il 75% del proprio fatturato all’estero, esportando soprattutto negli Stati Uniti d’America, primo marchio italiano (fonte dati Nielsen), in Canada, Germania, Europa del Nord, Inghilterra, Svizzera, Belgio, Austria e in Oriente, dove Cina e Giappone stanno diventando realtà sempre più rilevanti. E le politiche commerciali dell'azienda rispondono attivamente a questo consistente incremento produttivo, a cui deve corrispondere una lettura più profonda delle dinamiche di mercato, a partire dalla necessità di curare al meglio l'intera produzione: non si tratta solo di certificare ogni fase di affinamento e imbottigliamento, ma in questo caso di studiare mirate strategie di marketing e di comunicazione, curare i diversi passaggi della di Elisa Facchetti commercializzazione e partecipare L'impegno del Gruppo Cavit, da sem- con i propri vini ai più importanti conpre volto alla costante ricerca della corsi enologici. E con una produzione qualità dei prodotti, rivela anche eterogenea come tale è l'offerta del una naturale propensione alla diffu- Gruppo Cavit, con i suoi 4.500 vitisione della cultura e della tradizone coltori associati e 5.500 ettari, è nedei vini trentini. Da qui nasce la vo- cessario stabilire delle priorità per lontà di esaltare le caratteristiche sottolineare l'impegno dell'azienda dei vitigni di montagna. E ne rinasce volto a sviluppare linee prodotto rinuna linea, Bottega Vinai, evoluta novate e ripensate dedicate a un consumatore sempre più attento. Ed è nell'essenza e nel packaging.

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sulla linea Bottega Vinai che l'azienda ora punta i riflettori, per dinamicità d'offerta e varietà. La linea racchiude da sempre un vasto assortimento di vini rossi, bianchi e rosati, tutti Doc, dedicati al mondo della ristorazione e delle enoteche: Pinot Grigio, Müller Thurgau, Chardonnay, Nosiola, Sauvignon, Gewürztraminer, Schiava Gentile, Cabernet Sauvignon, Pinot Nero, Marzemino, Teroldego Rotaliano, Lagrein Dunkel e Merlot. Un rilancio, quel-

lo della linea Bottega Vinai, che rivela un progetto volto a valorizzare gli stessi vitigni di provenienza, per recuperare le caratteristiche di un vino di montagna. Punto di partenza la cantina: un team di enologi, supportati da Giorgio Grai, ha lavorato su ciascun vino esaltando le caratteristiche del vitigno di provenienza dal punto di vista organolettico. Nel dettaglio Cavit ha seguito con rigore un vero e proprio protocollo, per dare nuovo slancio al vasto assortimento della linea a partire dai bianchi, in cui si voleva esaltare maggiormente i caratteri aromatici e di freschezza, per passare poi ai rossi: l'obiettivo in questo caso mirava a enfattizzare l'eleganza e la finezza. Il risultato? La nuova linea Bottega Vinai, introdotta sul mercato da luglio 2012, è stata rinnovata per l'occasione anche nel pack e nell'etichetta, individuando tipologie di bottiglie differenti in funzione del vino. Un rilancio importante per il Gruppo Cavit, capace di leggere nelle varie e sfaccettate sfumature del mercato la necessità di avvicinarsi ai gusti dei consumatori e di recuperare al tempo stesso le caratteristiche dei vini di montagna. Artù n°52

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C’è pasta e pasta Oltre i luoghi comuni

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di Alberto Lupetti L’emblema dell’Italia a tavola non sempre vanta filiera corta, materia prima nazionale e produzione votata all’eccellenza qualitativa. Ma, per fortuna, c’è chi di tutto ciò ha fatto la propria bandiera, al fianco di un’instancabile ricerca innovativa votata al continuo miglioramento. Curioso paese l’Italia: la pasta è l’alimento nazionale, ma molti (troppi) ritengono che debba costare poco, molto poco, per buona pace della qualità. Fortunatamente, però, con la ristorazione a fare da traino, la tendenza sembra invertirsi e diversi piccoli pastifici stanno proponendo prodotti di elevatissima qualità. Uno di questi è l’abruzzese Verrigni, che non si trova nella conca d’oro della pasta di Fara San Martino, bensì a Roseto, sul mare. Dove, peraltro, questo pastificio è radicato da oltre un secolo, anche se in passato è stato fortemente orientato a un mercato prettamente locale e a una produzione conto terzi. La svolta arriva solo nel 2007, quando Gaetano Verrigni, terza generazione della famiglia e sua moglie Francesca, decidono di rilevare interamente marchio e azienda dalla famiglia per dare una netta svolta al pastificio. Così, l’ovale rosso con la scritta gialla lascia il posto a un’inedita interpretazione grafica del marchio che vuole essere il biglietto da visita di una pasta tutta nuova, fondata su una materia di prim’ordine. “Caspita, che profumo di grano!". È stata questa la nostra esclamazione non appena abbiamo varcato la soglia dell'area produttiva di Verrigni. In teoria una frase del genere dovrebbe rappresentare la norma o quasi, invece, e paradossalmente, diventa l'eccezione che, però, 'certifica' l'eccellenza di questo pastificio. Invitati da Gaetano Verrigni, abbiamo assaggiato i Superspaghettoni appena scolati, senza il benché minimo condimento: beh, credeteci, erano talmente buoni che una forchettata, anzi una presa (per Gaetano Verrigni la pasta va assaggiata così, con le mani) tirava l'altra. Ma come hanno fatto i due a rendere tanto buona la loro pasta al punto da essere osannata in Artù n°52

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tutto il mondo? Innanzitutto la materia prima, ovvero il grano. Gli ingredienti di un’ottima pasta Oggi si parla tanto di filiera corta, di made in Italy, ma troppo spesso dimentichiamo che basta effettuare in Italia l’ultima parte del processo produttivo per fregiarsi del marchio tricolore. Nella pasta, ad esempio, si usa in maniera massiccia semola proveniente dall’estero, soprattutto canadese, al punto che la forte industrializzazione dei pastifici ha portato alla banalizzazione della materia prima (e dello stesso made in Italy…). Quindi, la pasta si riduce a essere solo il prodotto finito, senza preoccuparsi di ciò che c’è a monte. Non in casa Verrigni, però, dove già la qualità del grano è un’ossessione. Gaetano fa notare che la fama del grano canadese è dovuta al buon glutine che possiede, quindi alla sua naturale predilezione alla produzione della pasta, anche se rimane un grano da taglio. Ma c’è di più: la sua digeribilità non risulta ottimale per gli italiani in quanto ogni popolazione, nel corso dei secoli, ha sviluppato enzimi che digeriscono meglio varietà per così dire autoctone. Inoltre, sempre a proposito di grano nordamericano, va considerato il fattore trasporto: i lunghi viaggi in nave rappresentano uno stress per il grano, che deve anche essere sottoposto a trattamenti per la conservazione e tutto ciò gli fa anche perdere i profumi tipici, che poi dovrebbero ritrovarsi nella pasta. Non a caso Gaetano consiglia di assaggiare la sua pasta molto

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basta che sia pura, anche perché, a pensarci bene, nella pasta è più l'acqua ‘estratta’ durante l'essiccazione di quella ‘aggiunta’ per l'impasto”. La fase dell'essiccazione è infatti un momento fondamentale, per molti considerato il vero segreto della pasta, ma a livello industriale il processo si riduce a un tempo di un paio d’ore grazie all’impiego di forni, con il risultato che la superficie della pasta non è più porosa ma vetrificata. Da Verrigni l’essiccazione è lenta - 20-60 ore a seconda del formato - ed effettuata a bassa temperatura (45-50°C), ma c’è di più: avviene in movimento e non su vassoi (statica), il che permette un’essiccazione veramente uniforme sull'intera produzione ed evita le microfermentazioni che potrebbero affliggere la pasta. Inoltre, Gaetano fa notare che dopo la trafila la loro pasta subisce un ulteriore processo di estrazione dell’umidità presente sulla superficie della pasta, il che permette all’umidità interna di passare all’esterno durante la fase di riposo che precede l’essiccazione.

al dente e senza alcun condimento, proprio per apprezzare il sapore del grano. La pasta Verrigni, dunque, poggia le sue basi su una materia prima di eccellenza, rigorosamente italiana, in parte biologica. Una percentuale importante del grano (duro) è prodotto nella stessa azienda agricola, mentre il resto è acquistato da coltivatori di fiducia delle regioni limitrofe, tra i quali il loro amico Francesco Paolo Valentini in quel di Loreto Aprutino (sì, lo stesso dei celebri vini). A proposito di filiera corta (e italiana), tutto questo grano destinato alla produzione di Verrigni, anche delle varietà Kamut e Senatore Cappelli, viene molito a pietra in strutture selezionate nei pressi delle coltivazioni e poi la semola è messa sottovuoto fino al momento dell’impasto, quando si unisce all’acqua del Ruzzo, proveniente dalle sorgenti del Gran Sasso e talmente pura da poter essere definita oligominerale. In proposito, Francesca sfata il mito dell’acqua: “L'acqua è importante, ma fino a un certo punto, senza estremismi. Quindi

Oro: tecnica non marketing Ciò che ha reso particolarmente famosa la pasta Verrigni, però, è la trafila in oro, riservata in origine a due soli formati (Spaghettoro e Fusilloro). Alcuni ritengono si

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tratti di un’operazione commerciale, invece ci sono ragioni tecniche, puntualmente suffragate da diversi, importanti chef: la superficie della pasta trafilata in oro ha una rugosità e una porosità non tanto maggiori, quanto, piuttosto, diverse. Questa diversità contribuisce certamente a legare meglio la pasta al condimento, ma la marcia in più della trafila in oro è data dal minor stress termico che subisce la superficie della pasta durante questa fase di lavorazione. E pensare che questa idea dell’oro nacque quasi per caso: Gaetano e Francesca partecipavano nel 2008 alla loro prima fiera gastronomica e notarono come tutti i visitatori dello stand chiedevano se la pasta fosse trafilata al bronzo. Con questa tiritera del bronzo iniziarono a chiedersi se si potesse fare una pasta con un metallo migliore, pertanto chiesero a un loro amico gioielliere di sviluppare una trafila in oro per gli spaghetti, i primi della serie. Che dimostrarono subito straordinarie doti di porosità, croccantezza e profumi. E il desiderio di sviluppare formati di pasta che esaltino i condimenti è quasi un’ossessione per Verrigni. Così, quest’anno è nata un’altra linea trafilata in oro, la Quadri (Ri-Quadro, So-Quadro e Pi-Quadro), tre formati di diversa lunghezza e dimensione che possiamo assimilare a un rigatone a sezione quadrata. Sono prodotti esclusivamente con grano di Valentini millesimato (l’anno del raccolto e il mulino sono indicati sulla confezione). E sta per essere lanciato una sorta di bucatino a sezione quadrata, ma questa è un’altra storia… . Alla fin fine, perché la pasta Verrigni è tanto buona? Sembra banale, ma è la risposta di Gaetano e Francesca a chiarirlo: “Si tratta di un insieme di cose: stesse lavorazioni di 50 anni fa, materie prime non solo di qualità ma anche locali e, infine, essiccazione in movimento”. Chapeau.

quali: Maccheroni, Tubetti Rigati, Pennette Rigate, Penne Rigate, Lumaconi, Rigatoni, Mezzi Rigatoni, Pennoni Rigati, Fusilli, Radiatori, Fusilloni, Sandrina, Paccheri, Mezzi Paccheri, Calamari, Tortilli, Spaghettini, Spaghetti, SuperSpaghettone, Conchiglie, Cuoricini, Chitarra, Linguine e Bucatini. A questi si affianca la linea biologica, che comprende anche formati prodotti con semole di grano duro integrali, nonché varietà Kamut e Senatore Cappelli. Da notare che Verrigni è stata una delle prime aziende italiane la cui produzione biologica è certificata dall’Icea. In proposito, su queste confezioni di pasta è riportato non solo l'anno del raccolto (quindi è una pasta millesimata), ma anche l'intera filiera produttiva, come mostrato nella foto qui sopra. E non è finita, perché l'Antico Pastificio Rosetano proProduzione bio: tracciabilità duce anche pasta di farro e aromatizzata in primo piano (al pomodoro, agli spinaci, al peperoncino, La produzione Verrigni si basa sull'utilizzo all'ortica, allo zafferano, al basilico, ai di grano duro italiano attentamente sele- funghi e al tartufo, ma non con surrogati, zionato e su tecniche artigianali dalla bensì con gli ingredienti naturali macinati produzione al confezionamento. Oltre alla e poi impastati con la semola). Più recenlinea "oro", Verrigni significa numerosi temente, poi, sono arrivati anche i pomodori formati, dai tradizionali ai “giganti”, tra i (passata e pelati) e perfino la birra.

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protagonisti

Universo

Krug Il puro piacere

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di Alberto P. Schieppati Per chi ama Krug, in tutte le sue declinazioni (che confermano l’unicità e il carisma del marchio di Champagne, appartenente al gruppo LVMH), partecipare alla Celebration Week della Maison è un fatto memorabile. Varcare la soglia della Maison di Reims ed entrare nel pianeta Krug equivale a effettuare una full immersion “nell’arte della creazione dello Champagne”, come ha sottolineato la brillante presidente di Krug, Margareth Henriquez. La casa di Champagne più famosa al mondo ha dunque aperto le proprie porte, nella scorsa estate, per consentire a fortunatissimi amanti e specialisti delle grandi bollicine (i cosiddetti “krugistes” ma non solo), di toccare con mano l’universo Krug di cui, da sempre, sono perdutamente innamorati. A proposito di “amanti di Krug”, vengono alla mente le parole di Bernard Pivot, un famoso giornalista francese, che ha scritto fra l’altro: “I krughisti sono una categoria a sé, completamente diversa da tutti gli altri. Secondo padre Bernard Bro, ai tempi delle frequentazioni con lo scrittore franco-americano Julien Green, non poteva essere servito in tavola nessun altro Champagne che Krug. Così era anche per Hemingway, per Paul Morand, per Jan Voss, per talenti ed artisti, intellettuali e scrittori di ogni parte del mondo che ne hanno apprezzato e descritto la personalità”. Olivier Krug, che rappresenta la sesta generazione di famiglia, direttore generale della Maison e riferimento internazionale per chi “vuole conoscere l’universo Krug attraverso i suoi protagonisti”, ha recentemente affermato con orgoglio: “Il nostro approccio non convenzionale, il modo di operare delle scelte che non sono mai le più facili e che, quando occorre, vanno al di là dei ruoli precostituiti, bene rivelano la nostra filosofia imprenditoriale, la nostra visione complessiva: una vera e propria costante da quando la Maison Krug è stata fondata”. Eclettica, versatile, innovativa, rivoluzionaria ma, al tempo stesso, profondamente radicata alle tradizioni, Maison Krug nasce nel 1843 quando Artù n°52

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protagonisti

Joseph Krug crea uno stile unico, grazie anche alla vinificazione in botti da 205 litri di rovere di Argonne, prolungato contatto con i lieviti, complessi assemblaggi. Uno stile tramandato di padre in figlio, che ha portato, nell’arco di sei generazioni, Olivier Krug alla guida della Maison, ottimamente rappresentata, a livello enologico, da un personaggio del calibro di Eric Lebel, chef de caves: nell’incontro di Reims con la stampa, durante la Celebration Week, ha ammesso che “la nostra filosofia è di selezionare uve da ogni singolo appezzamento di terra, che sia capace di esprimere fattori distintivi propri e una grande caratterizzazione”. Così è per Clos du Mesnil, il blanc de blancs realizzato solo nelle annate migliori, un prodotto di una complessità infinita, che esprime appieno il carattere del territorio: il clos, di 1,87 ettari complessivi, venne acquisito dai monaci di Oger, villaggioicona per lo chardonnay, nel 1971 e solo dal 1979 si iniziò a produrne, dopo avere integralmente ripiantato le vigne. Il Clos du Mesnil 2000, che abbiamo degustato con entusiasmo, ha naso profondo che rimanda a note di burro e crosta di pane, con accenti speziati e leggermente agrumati. Un capolavoro, definito con paragone musicale da Henri Krug, padre di Olivier, una “sonata”, a fronte della Grande Cuvée,

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una “sinfonia”. Colpisce, nella degustazione delle bollicine Krug, la modernità del gusto, che sa rispettare tecniche e tradizioni consolidate, ma che regala quel tocco in più, quell’elemento distintivo che fa la differenza con altri pur eccellenti Champagne. Non a caso Joseph Krug, il visionario, pionieristico fondatore della Maison, aveva intuito che “l’essenza dello Champagne è tutta compresa nel piacere che dà”. Semplice ma efficace dichiarazione di intenti. A proposito di piacere ed emozioni, va sottolineato qui che la Grande Cuvèe, pur nella sua austerità, esprime profondamente l’approccio culturale di Krug: attacco olfattivo complesso, sentori di tostatura, spezie raffinate, stile elegante: uno Champagne che, non dimentichiamo, è un blanc d’assemblage (pinot noir, chardonnay, pinot meunier) e lascia intuire la propria eccellenza in modo formalmente ineccepibile, senza fretta roboante ma con lento e cadenzato progredire del gusto nel palato. I Vintage 1998 e 2000, che hanno accompagnato in abbondanza le libagioni durante le “Porte Aperte” Krug, hanno a loro volta rivelato eleganza e pienezza: millesimi ancora in pieno divenire, soprattutto il 2000, travolgente e succoso nel finale: un’esperienza infinita, che rasenta la perfezione. Il “culto Krug” si esprime anche, nella sua apoteosi, attraverso il Clos d’Ambonnay, il blanc de noirs lanciato ufficialmente nel 2007, con la vendemmia 2005. Oggi è ritenuto lo Champagne più costoso al mondo, una rarità che ci è “toccato” di degustare, non senza un’emozione particolare, nel millesimo 1998. Il carattere è unico, sapiente espressione del Pinot Noir coltivato in questo piccolo clos, appunto, di 0,68 ettari nel cuore del villaggio di Ambonnay: bollicine preziose, rivelatrici di una personalità forte e persistente, precisa e potente, direi contemporanea. E, a proposito di tempi, mi piace ricordare qui un pensiero di Eric Lebel, lo chef de caves tanto meticoloso quanto geniale: “Dalla selezione delle uve fino alla loro lenta maturazione, valori come pazienza, attesa, sintonia e rispetto del tempo sono elementi imprescindibili, la nostra vera guida. Krug non può essere forzato in alcun modo, perché la fretta non ci appartiene”.



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Il senso di per la farina 44

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di Luisa Contri Il mago della lievitazione naturale, il brianzolo Davide Longoni, ha un passato di comunicatore. Ma alla pubblicità ha preferito il pane, di cui è oggi uno dei massimi interpreti. Sedotto, ma non abbandonato, dalla farina. In chiave scherzosa potremmo riassumere così il percorso personale e professionale di Davide Longoni, 38 anni, laurea in filosofia, master in comunicazione e una brillante carriera nella prestigiosa agenzia Magnum interrotta 10 anni or sono per dedicarsi a un lavoro totalizzante, faticoso e molto meno glamour: quello del fornaio. Non un fornaio convenzionale, si badi bene. Bensì uno specialista della lievitazione naturale. Fare il pane, ma anche i dolci, con la pasta madre è un’arte che Longoni continua a perfezionare, cimentandosi nella lavorazione di farine di varietà antiche, dimenticate o semplicemente inusuali, di cereali, e non solo, coltivati secondo i dettami dell’agricoltura biologica da fornitori di fiducia e macinati rigorosamente a pietra. Le farine Davide Longoni le ha respirate fin da piccolo nel panificio dei genitori a Carate Brianza. E non se n’è mai disinteressato. Anche durante gli studi universitari, e quando già lavorava in Magnum, non ha mai smesso di dare

una mano ai genitori in laboratorio nel suo tempo libero. Fino a che si è reso conto che quella del fornaio, del lavorare le farine, del conoscerne i segreti, era la sua vera passione. Lasciato il lavoro nel mondo della comunicazione non ha esitato, con l’avvallo dei genitori, a dare una svolta al panificio, intraprendendo la scomoda – e ai tempi negletta ai più in Italia – strada della panificazione con lievito madre. Un tipo di lavorazione che richiede levatacce in piena notte per poter essere pronti a sfornare il pane al mattino presto. Di recente la produzione industriale ha inventato anche il lievito madre istantaneo. Ma Davide Longoni non ci si avvicina neanche morto. A lui non interessa fare il lavoro in poco tempo. Il suo obiettivo è farlo bene, rispettando i tempi della natura. Il primo impasto di farina, acqua e lievito madre è dunque lasciato riposare per 1-2 ore. È poi reimpastato aggiungendo acqua, sale ed eventuali ingredienti e lasciato a lievitare nei mastelli per altre 3-4 ore. E nuovamente lavorato per fare le varie forme, che lieviteranno sulle assi per un altro paio d’ore, prima di essere infornate. Tanto lavoro, impegno fisico e veglie notturne sono però ripagati dalla soddisfazione di veder crescere la clientela e di vederla tornare. “Spesso nel nostro settore si sente parlare di crisi, di calo dei consumi” dice Longoni, “ma il nostro panificio vive Artù n°52

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una realtà diversa. I nostri prodotti sono richiestissimi perché sono considerati dalla clientela di qualità superiore alla media”. Longoni non intende apparire presuntuoso, ma rispetto alla concorrenza con cui si confronta, assicura di non far fatica a figurare come un campione di qualità. “Eppure non faccio nulla di speciale” dice. “Il mio modello di panificazione è perfettamente replicabile. Non ho segreti, tanto che organizzo spesso corsi di panificazione per privati e ho insegnato a fare il pane anche ad alcuni chef. Uso semplicemente delle buone farine, le più semplici e naturali possibili, e le impasto con la pasta madre”.“A dire il vero” riferisce ad Artù Tatiana Moreschi, l’eterna fidanzata di Longoni (come lei stessa si definisce) nonché sua collaboratrice in laboratorio e nella conduzione dell’azienda, “Davide ha una particolare sensibilità e una mano che pochi hanno. Riesce anche a impastare il monococco in purezza, cosa che noi del laboratorio facciamo più fatica e fare”.

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L’evoluzione Longoni ha iniziato a panificare utilizzando il lievito madre legato, quello più duro, per intenderci. Ben presto è però andato in Francia a seguire un corso da un noto esperto della pasta madre liquida, che altro non è se non un impasto molto morbido. E oggi usa quest’ultimo per la panificazione, mentre continua a impiegare quello legato per i dolci. E la sua scelta è stata premiata. I primi ad aver apprezzato i pani a lievitazione naturale di Davide Longoni sono stati i clienti della panetteria originaria di via Grotte a Carate Brianza, ceduta la

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scorsa estate ai cugini, per proseguire in autonomia la sua attività a partire dal laboratorio con panetteria di via Volturno a Monza, avviato alcuni anni orsono. “Ho fatto caso in particolare quando abbiamo aperto a Monza” ricorda Moreschi. “Inizialmente la clientela comperava 200-300 grammi di pane al giorno, non di più. In molti mi dicevano che avevano problemi a digerirlo e quindi ne mangiavano poco. Quegli stessi clienti, nel giro di poche settimane, hanno cominciato a comprare pagnotte da un chilo. E qualcuno lamenta di stare ingrassando perché il pane è così buono che finisce per mangiarne in abbondanza”. Piano piano, il passaparola, i contatti sviluppati collaborando con Slow food e le buone recensioni ottenute sulle testate gastronomiche, hanno fatto circolare il nome del panificio. E oggi non sono pochi i clienti del mondo della ristorazione che si riforniscono da Longoni: da laTaste bistronomia prêt à porter di Seregno a Eat’s dell’Excelsior Milano, al ristorante dell’Hotel Bulgari, al Refettorio simplicitas di Milano al ristorante Pierino Penati a Viganò. C’è da dire che i gourmand più esigenti oggi fanno attenzione alla coerenza del pane con il menu, tanto che nell’alta ristorazione si sta affermando la moda di presentare anche la carta del pane. Una componente del servizio che da spezzafame si è trasformata in una parte integrante della ricetta che lo chef propone. Va anche detto che il panificio Davide Longoni si fa in quattro per servire i clienti. E assicura consegne quotidiane, panificando sette giorni su sette tutto l’anno, con la sola eccezione della notte del 31 dicembre.




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al nostro metodo di panificazione anche facendo coltivare alcuni cereali secondo nostri capitolati. La segale che abbiamo utilizzato finora, per esempio, era coltivata da un contadino a Biassono, su un terreno che Davide aveva appositamente preso in affitto. Anche per le verdure e gli altri ingredienti per i pani speciali ci approvvigioniamo per lo più direttamente da contadini. La barbabietola rossa, invece, proviene dal mio orto ed è cotta nel forno a legna del nostro laboratorio di Monza che è sempre acceso”. Il risultato di questa ricerca sono pani di frumento tipo 0, semi-integrale e integrale, di segale, di farro, di farro monococco, di kamut, di cereali antichi, di frumento tumminia, d’orzo, avena e miglio, di granoturco. E ancora tantissimi pani speciali che seguono la stagionalità: dalla treccia tricolore, fatta con pane bianco, agli spinaci e alla barbabietola, al pane alle olive taggiasche, all’uvetta, con le noci di Sorrento, sgusciate e frantumate a mano dai proprietari di un noceto, coi fichi, col pomodoro,

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La ricerca sui grani Longoni poi, coadiuvato dalla squadra formata da lui stesso, ce la mette tutta per ottenere i migliori pani possibili. Innanzitutto seleziona personalmente i fornitori delle materie prime. Le farine che impiega sono in gran parte ottenute da cereali coltivati secondo il metodo biologico e macinati a pietra, così da preservarne i nutrienti. E come insaporitore usa sale marino integrale dolce di Cervia o sale di Trapani. “È Davide in prima persona” spiega Moreschi, “che si occupa della selezione dei grani e delle farine, perché sente l’esigenza di conoscere a fondo il prodotto, chi lo coltiva e come”. Fra i suoi fornitori di farine di grani antichi e pregiati figurano, per esempio, il mugnaio piemontese Renzo Sobrino, da cui si approvvigiona anche Eugenio Pol (si veda Artù nr. 47). E il siciliano Filippo Drago, titolare della Molini del Ponte di Castelvetrano, nel trapanese, da cui Longoni acquista farine integrali di tumminia, una varietà antica e saporitissima riscoperta dall’imprenditore siciliano; di rossello, un altro grano duro dal profumo inconfondibile, e il farro lungo della varietà percia sacchi. Restando in Lombardia, un altro fornitore di farine di tipo 0 di Longoni, è la Cascina Litta del Parco Sud Milano. Per far fronte a un fabbisogno di tre tonnellate di farina la settimana, previsto in ulteriore crescita grazie all’acquisizione di nuovi clienti e ai nuovi progetti in via di realizzazione, Longoni ha costituito un’azienda agricola con Walter Meles, imprenditore agricolo Lombardo conduttore dell’azienda agricola Triulza, insieme al quale ha preso in affitto 30 ettari di terreno di pertinenza della Cascinazza – una cascina storica che si sviluppa in riva al Lambro a ridosso del centro storico di Monza – sui quali coltiveranno due varietà di grano tenero. Su altri terreni agricoli all’interno del Parco Sud Milano, che andranno a individuare a breve, avvieranno inoltre la coltivazione di farro monococco e segale. “Già da tempo” racconta Moreschi, “ci garantivamo la disponibilità di materia prima adatta

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con la pancetta o la salsiccia, con la zucca e l’uvetta, con i pomodorini secchi. Cui si aggiungono le focacce, i pani al latte, quelli tramezzini, quelli senza sale, il pane dolce del sabato degli ebrei (il hala), i kranz, le brioches siciliane anche integrali col miele. E, per restare sul dolce, crostate, panettoni (in vendita tutto l’anno), colombe, bauletti con l’impasto della colomba e scorze d’arancio candite di Corrado Assenza e tante altre prelibatezze. E, se Moreschi l’avrà vinta su Longoni, dal prossimo Natale la produzione si estenderà anche al pandoro a lievitazione naurale.

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Tre nuovi progetti Sempre sostenuto dal suo team d’entusiasti e affiatati collaboratori, Davide Longoni ha tre nuovi progetti in via di realizzazione. Il primo a concretizzarsi, fra fine ottobre e inizi di novembre, sarà l’apertura di una seconda panetteria a Milano, in via Tiraboschi. In realtà, in via Tiraboschi, sotto alla panetteria, avrebbe dovuto aprire anche un secondo laboratorio di panificazione, inteso a servire più agevolmente la clientela meneghina che sta crescendo esponenzialmente. La mancata concessione dell’autorizzazione a installare una canna fumaria per il forno a legna

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del laboratorio ha però costretto Longoni a individuare una location alternativa. “Non tutti i mali vengono per nuocere” assicura Moreschi. “Questo intoppo ha fatto sì che ci accordassimo con Don Gino Rigoldi per realizzare il nostro laboratorio in un edificio della sua Cascina Sant’Alberto a Rozzano. I lavori di ristrutturazione e allestimento sono già partiti e pensiamo di poter essere operativi col laboratorio per gennaio. E chissà che non si possa offrire un’opportunità di lavoro a qualcuno dei ragazzi di Don Rigoldi”. Longoni sta inoltre valutando la possibilità di macinare in proprio i grani che coltiverà insieme a Meles, avviando un mulino con macina a pietra. Ma non è tutto. Davide Longoni è anche coinvolto in altre iniziative legate all’Expo 2015. Dovrebbe partecipare come docente di panificazione alla costituenda università dei mestieri, promossa da Slow Food Milano nell’ambito del progetto Nutrire Milano. “Nell’ambito del progetto Nutrire Milano”, dice Longoni, “sono anche coinvolto nell’individuare le varietà di grano più produttive nell’areale del parco Sud Milano e al contempo più adatte per la panificazione con lievito madre, che potrebbero essere coltivate secondo il metodo biologico sui terreni di alcune aziende agricole attive nel parco”.



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Il risotto degli chef nasce a Livorno (Ferraris)

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di Fiorenza Auriemma Andarci in tarda primavera è un’esperienza davvero particolare, per via dei giochi cromatici tra il rosso mattone degli edifici e il verde brillante delle risaie, il blu deciso del cielo e il grigio antico dei sassi della corte. Un’esperienza particolare, a dire il vero, lo è sempre, e in qualunque stagione dell’anno. Perché Tenuta Colombara è un posto speciale dove nasce, cresce e matura un riso altrettanto speciale. Già a partire dal nome – Acquerello – passando poi per la confezione – la lattina e il pacco finemente dipinti – per terminare ai protagonisti, ovvero i chicchi: esclusivamente varietà Carnaroli, e invecchiato almeno 12 mesi prima di poter entrare in commercio. “Nel mondo del riso bisogna fare una cosa che sia difficile e costosa per avere successo. Io sono un sognatore, ho guardato per anni ciò che facevano gli altri e poi non l’ho fatto, proprio per non mettermi nello stesso canale”. Piero Rondolino si aggira parlando

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con passo deciso nella Tenuta di Livorno Ferraris, nel vercellese, famosa per la fertilità dei terreni e la ricchezza d’acqua: in questi campi il riso si coltivava già nel 1500, anche se è solo dal 1935 che, grazie all’intuizione e alla decisione di Cesare Rondolino, padre di Piero, diventa una pratica di “famiglia”. Nel 1970 Cesare, insieme ai figli Piero e Michele, amplia l’azienda a 600 ettari: “All’epoca era una tipica agricoltura estensiva dove il riso, delle varietà più produttive, era coltivato in modo da ottenere la massima quantità, mentre la vendita era indirizzata solo alle industrie”, ricorda Piero. Fino alla svolta da “sognatore”, che nel 1992 porta alla nascita di Riso Acquerello, seguita nel 1997 da un’altra scelta ancora più coraggiosa: puntare solo su un Carnaroli invecchiato e di qualità extra superiore a tutti gli altri, riducendo la superficie dell’azienda ai 140 ettari migliori. Da queste poche righe è chiaro perché alla Tenuta Colombara tutto è “speciale”, fuori e dentro gli

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edifici. “È una riseria piccolo-industriale in quanto ci sono tutti i macchinari di un’industria con in più alcuni che ho recuperato dal passato”, racconta Piero. “In sostanza, siamo riusciti a integrare alcune macchine di un tempo che oggi non si usano più. Il nostro chicco passa attraverso 20 diverse macchine: optare per una riseria più ridotta andrebbe a scapito della qualità”. Chi lavora o frequenta l’alta ristorazione, sa già che cosa vuol dire preparare e gustare un risotto con il Riso Acquerello. Perché è tra gli chef di livello che Riso Acquerello ha iniziato il suo cammino, e non solo in Italia: da Massimo Bottura ad Alain Ducasse in Francia, da Heston Bluementhal in Inghilterra a Thomas Keller negli Stati Uniti; da Iosean Martinez Alija in Spagna ad Alex Atala in Brasile. Venduta in oltre 30 Paesi, l’elegantissima lattina – o il pacco da 2,5 chili, pensato ad hoc per la ristorazione - è diventata l’emblema del riso di qualità. Al punto che l’Università di Scienze Gastrono-


miche di Pollenzo (Cn), fondata da Slow Food, ha scelto i Rondolino e Tenuta Colombara come sede didattica distaccata ideale per svolgere alcuni brevi stage per gli studenti del corso di laurea di Pollenzo e dei master post lauream in ‘Italian Gastronomy and Tourism’ e ‘Food Culture and Communications’ della sede di Colorno, a Parma. “Questo è un aspetto della mia attività che mi dà molta soddisfazione: posso trasferire agli studenti contenuti sul riso, che poi ovviamente viene anche assaggiato!”, sottolinea Piero. Perché è solo assaggiandolo che si capisce che cos’è Riso Acquerello. Invecchiato, come già detto, e quando è ancora grezzo fatto riposare al fresco nei silos in modo che l’amido, in presenza di ossigeno, nel tempo perfezioni le sue caratteristiche. E poi, raffinato con l’elica, inventata nel 1875 e successivamente abbandonata da tutti eccetto che dai Rondolino che la considerano la migliore perché lascia i chicchi perfettamente integri. Contrariamente a quanto avviene nelle lavorazioni tradizionali, nelle quali il riso viene sbiancato energicamente in pochi secondi attraverso uno spazio di circa sei millimetri, all’interno dell’elica il riso viene sbiancato in dieci minuti, sfregando delicatamente in uno spazio di venti centimetri. E non finiscono qui le diversità e le caratteristiche di questo riso “speciale”: “Abbiamo brevettato un procedimento per arricchirlo con la sua gemma, che viene miscelata lentamente con il riso bianco in modo che compenetri nella parte esterna del chicco” spiega Piero, mostrando la macchina che compie questo pas-

saggio. “In questo modo riusciamo a integrarla al chicco in una percentuale del 3%. Nel risotto, non fa la differenza, ma dal punto di vista nutrizionale sì, perché rispetto ad altri risi bianchi Acquerello contiene più proteine, minerali, vitamine e microelementi”. Ecco perché anche solo bollirlo non è “reato”, bensì può essere un’alternativa per assaporarne in modo diverso le caratteristiche. Delle circa 400 tonnellate prodotte all’anno, alla ristorazione va il 70%, mentre sull’assoluto il 70% viene venduto all’estero. “In Italia, circa metà di quello che produciamo finisce sulle tavole dei ristoranti, e l’altra metà nei negozi. E se la ristorazione è ancora il core business, non sarà sempre così perché stiamo cercando di comunicare il nostro riso anche ai consumatori. Un riso ottimo per preparare risotti, ma anche da concumare semplicemente lessato!” insiste Piero. Oggi contribuiscono alla crescita di Acquerello anche Umberto e Anna, figli di Piero, che si occupano dell’immagine (a cui si deve la spettacolare confezione), mentre Maria Nava, moglie di Piero, segue la parte commerciale. Last but not least: Tenuta Colombara convive con un interessante e ricco ecomuseo della risaia dove le abitazioni, i dormitori delle mondine, il laboratori degli artigiani e la scuola hanno ripreso vita: tutti ancora collocati nella loro sede originale - proprio lì dove in passato viveva la comunità della cascina – sono costantemente arricchiti con gli oggetti, gli accessori, gli attrezzi e gli abiti dell’epoca. E a disposizione di chi li voglia vistare: una visione “speciale” in una Tenuta “speciale”. Artù n°52

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Anche Palermo ha la sua

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di Luisa Contri Clienti fidelizzati a suon di coccole. È così che Patrizia Di Benedetto, chef patron del ristorante Bye Bye Blues di Mondello, affronta la congiuntura. In un’ottica di lungo periodo, sostenuta da una passione per la cucina fuori del comune, Di Benedetto non ha esitato a limare i suoi margini e a farsi in quattro per venire incontro a una clientela oggi più esigente e oculata nello spendere, pur di mantenere sulla cresta dell’onda il locale che ha rilevato 20 anni fa insieme al marito, il sommelier Antonio Barraco. A riprova della passione fuori del comune di Di Benedetto per la cucina il fatto che la sua luna di miele negli Stati Uniti non l’abbia trascorsa ad ammirare le bellezze naturalistiche o a provare i ristoranti di grido di quell’immenso paese,

bensì ai fornelli del Valentino, il mitico ristorante italiano di Piero Selvaggio a Santa Monica-Los Angeles. “Nel frattempo” racconta Di Benedetto, “mio marito se la godeva in sala, facendo il sommelier e assaggiando vini di un certo pregio”. Dopo alcune esperienze nelle cucine di grandi ristoranti d’Oltralpe, da sola e in coppia con Barranco, vicino a Marsiglia, al Cockpit di Londra e da Jordi Butrón a Barcellona per uno stage di pasticceria, Di Benedetto e suo marito sono tornati a Palermo e hanno rilevato il Bye Bye Blues di Mondello, allora un pub, trasformandolo in ristorante. Originalità premiata E si sono ben presto affermati. “Un po’ per la testardaggine tipica della nostra Qui sotto: il sommelier Antonio giovane età d’allora” ricorda Di Bene- Barraco, Sara Lucchese e la chef detto, “un po’ perché anche noi eravamo e patron Patrizia Di Benedetto.

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appassionati di musica, ci ostinammo a conservare il nome dato al locale dai precedenti proprietari, nonostante tutti ce lo sconsigliassero. E anche questo ci ha consentito di differenziarci dagli altri ristoranti che si chiamavano Da Antonio, La case del mare o nomi di questo genere”. Il solo nome “esotico” non sarebbe comunque bastato al Bye Bye Blues per sfondare. “In effetti” prosegue Di Benedetto, “portammo una ventata di rinnovamento in una ristorazione palermitana allora statica che si atteneva a canoni classici: la solita cucina di mare abbinata al carrello di dolci e a un’offerta di vini per lo più della casa. Forti delle nostre esperienze all’estero, abbiamo introdotto cotture più leggere, come per esempio quella a vapore o, più di recente, quella sottovuoto, che consente di preservare inalterate le caratteristiche organolettiche

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e le proprietà nutritive degli ingredienti. E abbiamo proposto una cucina mediterranea rivisitata, trasformando le ricette classiche e un po’ pesanti della cucina locale in piatti adatti a uno stile di vita più moderno. Con le ottime materie prime che la nostra Sicilia offre, non è difficile fare una cucina gustosa, ma allo stesso tempo fresca e digeribile”. Se la ricetta classica della pasta con le sarde prevede il soffritto di cipolla, il doppio concentrato di pomodoro, le alici fritte e il finocchietto saltato, la versione Bye Bye Blues contempla il finocchietto selvatico lessato e le alici fresche scottate, amalgamati con zafferano, pinoli e uvetta. Una soluzione che conferisce gusto e allo stesso tempo leggerezza al piatto. Meno calorica rispetto alla ricetta originale, per quanto non dietetica, anche la cassata siciliata del Bye Bye Blues, premiata nel recente


Bye Bye Blues

Officina del Gusto

passato dalla guida de L’Espresso. Al semifreddo di ricotta e al pan di Spagna, Di Benedetto unisce una crema di ricotta resa più leggera e aerea da una mousse di meringa, che ha sostituito la glassa di zucchero, e, al posto delle arance candite, impiega una salsa tiepida di marmellata d’arance amare. Gusto e leggerezza Il menu del Bye Bye Blues appare decisamente ben fatto. I nomi dei sette antipasti, dei sette primi e dei sette secondi sollecitano le papille gustative e al contempo danno un’impressione di freschezza e leggerezza, grazie alla componente vegetale che accompagna buona parte dei piatti. Qualche esempio? Carpaccio di gamberi con insalatina di calamari e verdure scottate, flan di Ragusano Dop e marmellate di frutta, tortelli di pecorino siciliano con ragù di maialino

nero e crema di piselli, lasagnette nere con baccalà mantecato su passata di zucca, trancio di pesce in crema di porri e fondo di gamberi rossi, falso magro di coniglio in agrodolce su schiacciata di patate. Evocativi e irresistibili per i golosi di dolci anche i nomi dei sette dessert, fra i quali figurano il cheesecake ragusano con mele caramellate e piccola creme brulèe e il tiramisù siciliano e macaron di cassata. Resistere alla tentazione di chiedere il menu degustazione, fatto di cinque portate più il dessert (60 euro a persona, vini esclusi), può insomma risultare difficile per i clienti del ristorante. Chi comunque mangia à la carte, in questo locale finisce normalmente per ordinare un antipasto, un primo e il dessert o un antipasto, un secondo e il dessert spendendo 50 euro, vini esclusi. “In questi tempi di crisi” spiega Di Benedetto, “facciamo molta attenzione a mantenere un giusto equilibrio fra prezzo e qualità dell’offerta e a venire incontro alle richieste di una clientela più esigente e più attenta al conto. Non soltanto abbiamo riveduto al ribasso i nostri ricarichi sia sul cibo come sui vini, ma abbiamo anche migliorato ulteriormente il servizio: oggi offriamo un piccolo stuzzichino di benvenuto e una maggior varietà di piccola pasticceria a fine pasto. Stiamo anche per ampliare la carta dei vini, che già comprende circa 400 etichette dal

Qui sopra: Patrizia Di Benedetto e lo chef giapponese Yukihiko Matsuguma. A lato: tortelli di pecorino siciliano con ragù di maialino nero e crema di piselli.

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costo medio di 25 euro a bottiglia. Per consentire poi a chi mangia à la carte di saziarsi ordinando due soli piatti più il dessert, abbiamo anche aumentato leggermente le porzioni”.

possibilità di sedersi anche all’aperto nel cortile interno dell’antico palazzo che lo ospita e che d’inverno viene verandato. E vi si possono gustare piatti tipici palermitani e mediterranei rivisitati secondo lo stile di Di Benedetto, seppure Toccata e fuga all’Officina del gusto più semplici rispetto a quelli proposti a Per i palermitani più frettolosi, o i turisti Mondello. Qui la cucina è affidata a Fidi passaggio in città che non hanno lippo Ventimiglia, chef che ha lavorato modo di raggiungere Mondello, ma che a lungo al Bye Bye Blues. La carta pronon vogliono rinunciare a mangiare pone cinque antipasti, altrettanti primi, bene anche a mezzogiorno (d’estate il sei secondi e sei dessert. E la linea Bye Bye Blues di Mondello è aperto sol- prezzi è volutamente mantenuta più tanto per cena e il lunedì resta chiuso), bassa rispetto a quella del ristorante di da circa 2 anni e mezzo, Di Benedetto Mondello: 40-50 euro mangiando à la e Barranco hanno aperto un secondo carte un antipasto, un primo o un seristorante: l’Officina del gusto Bye Bye condo e il dessert (più entré e piccola Blues nel centro di Palermo, in via pasticceria offerte) oppure 40 euro per Vittorio Emanuele 316, all’interno dell’- il menu degustazione da tre portate hotel 4 stelle Quintocanto. Il ristorante più il dessert. Prezzi più contenuti è sempre aperto ed è di poco più dunque, grazie al fatto che la cucina fa piccolo del locale storico: ha circa 40 più ampio ricorso a materie prime del sedute, contro le 50 a Mondello, con territorio, preferendo a gamberoni, scampi e crostacei il pesce azzurro; e la piccola pasticceria è più strettamente siciliana, mentre a Mondello è più varia e più ricca. “Da quando abbiamo aperto a Palermo” racconta Di Benedetto, “Antonio si è spostato in città per dirigere il locale. E io a Mondello sono passata ad occuparmi anche dell’accoglienza, insieme al sommelier Claudio D’Alessandro e a Sara Lucchese. Potendo contare su un valido secondo, il trentasettenne chef giapponese Yukihiko Matsuguma, che lavora con me ormai da sette mesi, e sui tre ragazzi palermitani della brigata, ho potuto in parte delegare il mio lavoro in cucina”.

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Santo Spirito Il pescato vien dal borgo 62

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di Fiorenza Auriemma Pescare il pesce e lavorarlo nel migliore dei modi possibili, per consegnarlo alla ristorazione in tempo reale, all’insegna della freschezza totale e dell’eccellenza gustativa. La sfida nasce da un progetto “familiare”, messo in atto da professionisti del settore ittico e supportato dalla qualità distributiva di un marchio come Selecta. Santo Spirito è un piccolo borgo marinaro distante una manciata di chilometri da Bari, lungo la litoranea che porta a nord verso Molfetta, Bisceglie e Trani. Forse sarebbero in pochi a conoscerne l’esistenza, al di fuori dei confini regionali, se non fosse che da qualche anno qui si pesca e si lavora il pesce in modo che possa arrivare al meglio sulle tavole dei ristoranti italiani. Il tutto, grazie al lavoro di squadra che permette di mettere insieme le conoscenze, le risorse e le capacità locali con la pro-

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fessionalità e la rete di distribuzione di un’azienda specializzata proprio in questo: fornire materia prima eccellente ai ristoratori di tutta Italia. Un'avventura chiamata Porto Santo Spirito, che ha come protagonisti principali, sul luogo, i fratelli Vito e Antonio Vasile; e sul territorio nazionale, un marchio conosciuto e storico come Selecta. Per comprendere in pieno questa bella ed edificante storia, è necessario prenderla alla lontana. Da che mondo è mondo, il pescato delle piccole barche e dei grandi pescherecci che operano in quest’area ha sempre avuto come destino la vendita al dettaglio e/o all’ingrosso, soprattutto presso il grande mercato ittico di Manfredonia. Poi, verso la fine degli anni 80, Sebastiano Vasile, ex insegnante figlio di ristoratori, decide di provare a dare vita a qualche cosa di diverso: un’attività che potesse consentire la lavorazione immediata del pescato e la vendita ai ristoratori, anche al di fuori del territorio regionale. L’idea è geniale, ma stenta a prendere il volo perché manca un partner in grado di occuparsi in modo professionale della distribuzione. Fino alla grande svolta del 2007, anno in cui

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nasce appunto il marchio Porto Santo Spirito, grazie ai figli di Sebastiano, Antonio e Vito, che rilanciano il progetto paterno, forti della loro personale esperienza e competenza nel settore. Antonio, ad esempio, è un grande esperto in materia ittica, e come tale ha lavorato in qualità di consulente per importanti realtà nel settore della ristorazione e della distribuzione, compresa Selecta: ecco come questa azienda - che da oltre 20 anni ricerca, seleziona e distribuisce materie prime di qualità destinate alla ristorazione approda in questo piccolo borgo e diventa partner del progetto Porto Santo Spirito. Marchio cui fa capo una piccola ma specializzata comunità di pescatori che lavorano su imbarcazioni d’altura, così come su piccole barche di legno, preparando e confezionando a bordo parte del pesce, tra cui i magnifici gamberi rossi di Gallipoli pescati a 1000 metri di profondità, confezionati e congelati in barca per garantire la freschezza e la trasportabilità. Un’équipe altamente qualificata affianca il lavoro svolto dai pescatori nel laboratorio a terra dove vengono eseguite le principali lavorazioni e il confezionamento, ad esempio di seppie e polpi, affinché Selecta possa recapitarlo ai ristoratori di tutta Italia. Ora però Porto Santo Spirito è vicino a poter battezzare la “fase 2” della propria attività: “Insieme all’Università di Salerno” spiega Antonio, “stiamo lavorando a un progetto con atmosfera protettiva sia per il pesce sia per i molluschi, che presto permetterà di allungare la durata di conservazione fino a nove giorni”. In sostanza, la scommessa sta nel lavorare il pesce appena rientra dal mare e in modo tale da poterlo mantenere fresco per nove giorni. “Quando tutto sarà pronto, e manca poco, funzionerà così: le barche che pescano solo per noi ci comunicheranno gli orari di arrivo in porto e così noi saremo in grado di attrezzare il laboratorio e organizzare il lavoro chiamando il personale addetto alla lavorazione. Che avverrà a terra, in un laboratorio at-


trezzato e totalmente sterile, proprio come una sala operatoria, in modo che anche questo contribuisca a prolungare i tempi di conservazione”. Ovviamente, massima attenzione verrà riservata – come del resto già da ora - a ogni passaggio, a partire dal momento della pesca, così da avere una materia prima eccellente destinata a passare attraverso una lavorazione supportata dalla tecnologia più moderna. “Mi permetto una piccola polemica: spesso i ristoratori parlano di km zero, ma tutto questo applicato anche all’ittica è più che altro uno slogan”, sottolinea Vasile. “Quello che noi invece facciamo, con l’attività attuale di Porto Santo Spirito e il progetto che partirà a breve, è permettere loro di avere il prodotto ittico nazionale quasi 365 giorni l’anno, compresi i periodi di cattivo tempo. Il 40% del prodotto pescato sarà lavorato secondo queste nuove metodologie, mentre il 60% continuerà a passare attraverso la fase della congelazione di qualità. In sostanza, non possiamo intervenire sulla stagionalità, come avviene ad esempio con le serre, e quindi lavoriamo sulla conservazione facendo in modo che sia il più naturale possibile, grazie anche alla tecnologia”. Antonio Vasile sa quello che dice. E sa anche di che cosa hanno bisogno gli chef che attraverso Selecta si riforniscono dei gamberi rossi, dei polpi ecc. pescati nel mare pugliese. “Con noi” dice Antonio, “lavora sempre uno chef, il quale ci indica ogni volta come congelare il pesce in modo che il ristoratore che lo riceverà lo possa usare al meglio: questo ci permette ad esempio di sfilettarlo e porzionarlo nel modo più opportuno, risparmiando al ristoratore un passaggio”. Sono circa una ventina gli addetti che lavorano per Porto Santo Spirito: una vera e propria task force pronta a intervenire in qualunque momento, anche di notte e in ogni giorno dell’anno. “Dobbiamo essere attrezzati per ogni evenienza ed emergenza”, conferma Vasile. “Anche se, ovviamente, a volte abbiamo tempi morti. Ma

non è questo che conta: noi siamo sempre attrezzati per il picco del lavoro”. Grazie a questa unione tra il lavoro di un gruzzolo di persone nel sud del Paese e l’esperienza di un’azienda affermata come Selecta, il pesce a marchio Porto Santo Spirito raggiunge tutto il territorio nazionale e parte anche verso l’estero: “Abbiamo alcuni clienti chef con locali a New York, Singapore e Pechino, i quali ce lo chiedono”, sottolinea orgoglioso Vasile. “E noi ovviamente siamo ben lieti di poterli rifornire con il pesce e i gamberi pugliesi”.

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I fratelli RIVA e il progetto FRANCIACORTA Acquisiti nel 1990, i vigneti di Alberto e Alfredo Riva sono ubicati in una delle zone più vocate di Franciacorta. Nel 2005 prende il via la prima produzione che, come afferma Mario Zuffada, direttore commerciale dell’azienda, nel tempo si è sviluppata dando vita a una produzione vinicola di elevata qualità, adatta alla ristorazione d’eccellenza.

Informazione promozionale

In quattro tipologie. Si presenta così la gamma dei Franciacorta dei fratelli Riva, Alberto e Alfredo, che nel 1990 decisero di acquistare terreni e vigneti nelle zone più vocate della Franciacorta, per poi aspettare di avere competenze tecniche e professionali che rappresentassero il meglio che il mercato offrisse. Nel frattempo hanno coltivato la passione per l’arte che ne ha affinato il gusto estetico. Il risultato? Opere di Bruno Munari che accolgono in cantina e fanno da contraltare ad etichette curatissime per Franciacorta di gran classe. Nel 2005 ha avuto inizio la prima produzione, dopo che la conoscenza delle diverse attitudini del suolo ha permesso di personalizzare la coltivazione delle differenti varietà di vite. Alla definizione delle scelte hanno concorso l’agronomo Marco Tonni, associato allo Studio Sata, mentre per la parte Enologica i fratelli Riva decisero di avvalersi dell’enologo Marco Zizioli. La fase successiva è stata la commercializzazione, affidata per l’Italia a D&C, compagnia di distribuzione di prodotti alimentari, vini, liquori e champagne di alta gamma. Ma come si riconosce un Franciacorta? La risposta viene fornita da Mario Zuffada, direttore commerciale dell’azienda: alle spalle diverse consulenze con affermate cantine in Franciacorta, un Master sensoriale a Bordeaux che l’ha formato sotto l’aspetto gustativo e olfattivo, rendendolo uno dei pochi professionisti presenti in Italia. “I nostri Franciacorta si presentano con ottime caratteristiche di acidità ed estrema pulizia, dall’approccio olfattivo freschissimo: giusta gradazione alcolica, zuccheri bassi 4/5g.l, vivace bouquet dalle note floreali e le tonalità chiare sono i tratti distintivi che fanno riconoscere i nostri vini fin dal primo impatto”. Il Brut - 90% Chardonnay e 10% Pinot Nero - si presenta giustamente sapido e dai delicati sentori di fiori e lievito: si caratterizza per la grande bevibilità e la buona persistenza. L’affinamento avviene per rifermentazione naturale

in bottiglia e quindi élevage sui lieviti per un periodo non inferiore ai venti mesi. Il Rivalto Franciacorta Docg Millesimato Brut - 70% Chardonnay, 25% Pinot Nero, 5% Pinot Bianco è caratterizzato da fragranza, complessità aromatica e delicati sentori di agrumi, mandorla e crosta di pane. Rivalto è un vino importante, dalla ricca trama, ben definito da freschezza e da una sapida mineralità, con ottima persistenza gusto-olfattiva. Una percentuale variabile, a seconda delle annate, viene affinata in barriques di rovere francese, in seguito avviene la rifermentazione naturale in bottiglia e quindi l’élevage sui lieviti per un periodo non inferiore ai trentasei mesi. Il Franciacorta Docg Rosé - 100% Pinot Nero - conquista con il suo perlage fine e persistente e quel tipico color cerasuolo di buona intensità e variabile in relazione alle annate. La rifermentazione naturale avviene in bottiglia e quindi l’élevage sui lieviti per un periodo non inferiore ai ventiquattro mesi. Il Franciacorta Satèn - 100% Chardonnay - presenta un perlage molto fine e persistente che si combina con un bouquet con caratteristiche tipiche della fermentazione in bottiglia. In bocca Satèn Riva di Franciacorta si presenta bilanciato, setoso, con buona struttura, tenuta in tensione da sapidità e freschezza agrumata. A seconda delle annate, una percentuale variabile viene affinata in barriques di rovere francese, in seguito avviene la rifermentazione naturale in bottiglia e quindi l’élevage sui lieviti per un periodo non inferiore ai ventiquattro mesi. “Le condizioni ideali per conservare le bollicine Riva di Franciacorta sono: ambiente buio, umidità al 75% e temperatura attorno ai 16 gradi - prosegue Zuffada. I nostri Franciacorta sono perfetti come aperitivo, ma raggiungono la loro massima espressione nell’abbinamento a piatti complessi e strutturati. Sono quindi particolarmente consigliati a tutto pasto, anche se purtroppo questo modo di bere sta solo prendendo piede in questi ultimi anni. È basilare alzarsi da tavola dopo un buon pasto o un’ottima cena senza avere mal di testa, per questo motivo sempre più spesso vengono consigliati dei buon Franciacorta” conclude Mario Zuffada. Società Agricola Riva di Franciacorta Cantina www.rivadifranciacorta.it



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Refettorio fa rima con territorio 68

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di Luisa Contri Nel cuore di Milano, in via dell’Orso 2, affacciato su uno dei tanti giardini nascosti nei cortili degli antichi palazzi del centro, dal 20 febbraio scorso ha aperto al pubblico Refettorio simplicitas, un ristorante che si propone come un’oasi di naturalità, essenzialità, quiete e value for money nella frenetica capitale della finanza italiana. Un ristorante dall’impostazione originale e innovativa, per quanto si ispiri al modello millenario del refectorium dei conventi. Portatore di valori positivi, universali e forti, che ne fanno il potenziale apripista di un nuovo modo d’intendere il ristorante cittadino di fruizione quotidiana, ma di qualità. In Refettorio simplicitas l’essenzialità si declina sia nella proposta ristorativa, sia nell’impostazione del servizio. Piatti delle tradizioni contadine Quella che si può gustare in questo locale è infatti tutto fuorché una cucina creativa. Al Refettorio protagonisti sono piatti semplici, leggeri, sani, tratti dall’ampio repertorio della cucina contadina del Belpaese e sapientemente realizzati da uno chef giovane, ma di talento:

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Giovanni Ruggeri abbina a un’approfondita conoscenza delle verdure, dei frutti, dei cereali, dei legumi, delle carni e dei pesci di lago e di fiume del Piemonte e dei momenti in cui la natura ce li propone al meglio, due esperienze professionali al fianco di chef di gran nome come Enrico Crippa, del Piazza Duomo di Alba, e Alfredo Chiocchetti, dello Scrigno del Duomo di Trento. I piatti che Ruggeri confeziona per la clientela del Refettorio sono realizzati a partire da materie prime fresche italiane, trasformate direttamente in cucina. Al bando, dunque, frutta esotica e altri ingredienti estranei alle tradizioni nostrane, ma anche semilavorati o prodotti già pronti. Le paste fresche, gli gnocchi, le marmellate, le confetture, i dolci, i gelati sono rigorosamente preparati in cucina. Unica eccezione il pane a livitazione na-

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turale, per cui Refettorio si approvvigiona normalmente dal panificio dei F.lli Longoni, a causa dell’impossibilità d’installare un forno a legna (manca una seconda canna fumaria). Gli ingredienti sono rigorosamente di stagione, perché siano più gustosi e abbiano la consistenza giusta. E provengono da coltivazioni e allevamenti biologici e biodinamici selezionati con cura: la ricerca dei fornitori è iniziata circa un anno prima dell’apertura del locale e si attiene al criterio di preferire, a parità di qualità e disponibilità dei prodotti, il fornitore geograficamente più vicino e quando possibile di fare acquisti direttamente dai produttori. Una politica, quella dell’approvvigionamento, resa esplicita dalla cartina dell’Italia, costellata dalle bandierine che segnalano la collocazione geografica e il nome delle aziende fornitrici, che campeggia sulla parete di fronte alla porta d’ingresso. L’elenco dei fornitori è consultabile anche sul sito internet del ristorante. Naturali anche i vini, per la cui scelta Refettorio simplicitas si è affidato a Stefano Sarfati. Menu a refettorio Ma è l’impostazione del servizio, come anticipato, a distinguere nettamente il Refettorio simplicitas dalla concorrenza. Chi mangia “a refettorio” nella sala principale del locale, quella con poco meno di 70 sedute, abbraccia la proposta del menu del giorno, che dà tre possibilità di scelta: menu semplice primo piatto a 12 euro, menu semplice secondo piatto a 15 euro e menu completo del giorno a 18 euro. Prezzi che restano invariati sia a pranzo (dalle 12,00 alle 15,00 dal lunedì al venerdì), sia a cena (dalle 19,00 alle 22,00 dal lunedì al sabato). Il menu semplice primo piatto comprende un assaggio di benvenuto (tre stuzzichini a base di verdure in crudité e cotte), il primo del giorno, una fetta di torta (di mele, di nocciole oppure frolle e frolle di mais) o una macedonia monofrutto di stagione, un calice di vino naturale, l’acqua microfiltrata, pane a volontà e il caffè della moka. Nel menu semplice secondo piatto il secondo del giorno si sostituisce

al primo e nel menu completo il primo si aggiunge al secondo piatto del giorno. Nel rispetto delle tradizioni contadine, il venerdì il secondo del menu del giorno è a base di pesce, il lunedì è vegetariano, il martedì e il mercoledì ancora vegetariano oppure di carne rossa e il giovedì di carne bianca. Per mantenere prezzi moderati senza sacrificare in alcun modo la qualità delle materie prime, la proposta a refettorio prevede una mise en place essenziale. Niente tovaglia: i piatti sono posati direttamente sul tavolo in legno (sanificato a ogni cambio dei commensali). Niente cambio delle posate durante il pasto (se non su espressa richiesta dell’ospite). Il cliente le troverà già sul tavolo in un cestino insieme ai tovagliolini e anche a un quadernetto sul quale può lasciare i commenti, critiche e suggerimenti. L’altra possibilità che Refettorio simplicitas offre è quella di mangiare à la carte, nella saletta in fondo al locale con 34 sedute. In questo caso si ha la possibilità di scegliere fra cinque primi, sei secondi, i dolci della casa e la carta dei vini naturali e delle birre. Il coperto comprende tovaglietta all’americana, pane, acqua microfiltrata, assaggi di benvenuto e caffè della

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La campanella del silenzio Un’altra peculiarità del Refettorio simplicitas è la presenza, in fondo alla sala principale, su un mobiletto, di un misuratore di decibel, di una campanella e di una lavagnetta con le istruzioni per il loro uso. Di fatto, in caso si superino in sala gli 80 decibel, gli ospiti sono autorizzati a far uso della campanella e a richiedere agli altri clienti di moderare i toni.

moka. Optando per il menu à la carte la spesa si aggira sui 20 euro se si prende un solo piatto principale e sui 50-60 euro, bevande incluse, se si fa un pasto completo dal primo al dolce. Mentre è gradita la prenotazione in saletta sia a pranzo che a cena, chi sceglie di mangiare a refettorio può prenotare solo la sera. A mezzogiorno chi prima arriva meglio alloggia. “A quattro mesi dall’apertura” spiega ad Artù Riccardo Mascheroni, che attualmente svolge le mansioni di manager di sala insieme a Marcello Piris, “facciamo mediamente 100 coperti a mezzogiorno. E il 72-73% della clientela di questo turno sceglie la proposta a refettorio. La sera la frequentazione è via via crescente. Al momento siamo a una quarantina di coperti a cena, con un 50% che di nuovo opta per il menu refettorio. La posizione, a due passi dal Teatro alla Scala e dal Piccolo, dalla Pinacoteca di Brera e delle sedi d’importanti gruppi bancari italiani e stranieri, maison dell’alta moda e studi legali, ha fatto sì che fin da subito potessimo contare su una frequentazione d’alto livello, oltre che su una nutrita clientela fatta da colletti bianchi, a mezzogiorno. Mentre la sera, accanto ad alcuni clienti abituali residenti in zona e a clienti del mezzogiorno che tornano con la famiglia o con gli amici, sta aumentando la presenza di clientela di passaggio, spesso straniera, anche grazie ad alcune buone recensioni apparse su Tripadvisor”.

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Gli sviluppi futuri Chi ha concepito il Refettorio simplicitas? L’idea è di Rinaldo Invernizzi, un professionista milanese del mondo della finanza, rientrato in patria dopo diversi anni trascorsi all’estero per lavoro. Da neofita nel campo della ristorazione, Invernizzi si è avvalso della consulenza di esperti ed amici. Fra gli esperti, oltre a Ruggeri, c’è Mascheroni, che proviene da un’esperienza nella ristorazione commerciale nel gruppo Finiper, seguita da un periodo al Jpeg di corso Italia 22 a Milano. Fra i neofiti Piris, che ha fatto uno stage presso il Piazza Duomo, i due apprendisti in cucina, che Ruggeri sta istruendo, e i quattro giovani camerieri in sala. La squadra del Refettorio simplicitas sta comunque crescendo perché a partire da settembre l’obiettivo è di aprire anche la domenica per l’ora del brunch e in settimana di pomeriggio, per l’ora del te e per gli aperitivi, da servire in un angolo wine bar in via di allestimento. In prospettiva (non prima del 2013) l’ambizione è di aprire altri locali e di allestire in via dell’Orso un piccolo dehors con una decina di tavoli sotto il porticato che dà sul giardino interno. A dar man forte a Mascheroni e Piris in sala, da metà giugno, è arrivato un direttore di sala di provata esperienza: Enrico Merli McClure. Anche la brigata di cucina dovrebbe essere stata rafforzata con l’inserimento di un aiuto chef, in grado di turnarsi con Ruggeri, che dall’apertura non ha perso un turno di lavoro.



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SEMPIONE 42 Vince il servizio accessibili. L’offerta, in questo orario, è organizzata su quattro menu da 8, 10 o Un autunno ricco di sorprese attende 12 euro a seconda se la scelta ricade su la clientela serale del ristorante Sem- un primo, un secondo o in alternativa su pione 42 di Milano, che dal 17 febbraio un’insalatona o su un primo e un secondo, scorso è gestito dai gemelli Rossi: più acqua e caffè. La sera l’atmosfera Davide (lo chef) e Matteo (il responsabile del Sempione 42 si fa invece più elegante: di sala), coadiuvati dall’estrosa mamma, nella mise en palce le tovagliette all’ameCristina Monreali, artefice dei dessert ricana di carta del mezzogiorno lasciano oltre che decoratrice del locale (suoi il posto alla tovaglia. Il servizio, più sono i quadri alle pareti e i fiori, che ar- formale, abbraccia anche l’entratina di rivano dal giardino della casa sul lago benvenuto, che può essere un assaggio di Varese). Insieme, questo trio familiare di salmone in carpione, un fiore di zucca sta progettando di animare il locale ripieno, un gambero agliato, un fungo con serate culturali e a tema. E sta pre- fritto, una polpettina. E la proposta, escluparando tante novità che renderanno sivamente à la carte (non è previsto ancora più ricco e invitante il menu alcun menu degustazione), presenta gli mediterraneo, con contaminazioni orien- ingredienti più nobili: dai gamberoni artali, ma soprattutto con influenze a gentini al granchio, dall’astice al black angus irlandese, che compongono piatti stelle e strisce. di una cucina che potremmo definire fuGià, perché buona parte dell’esperienza sion, oltre che elaborata. I secondi sono dietro ai fornelli del 36enne chef Davide sempre accompagnati da verdure fresche, Rossi si è svolta sulla costa orientale alcune di provenienza dell’orto biologico degli States. Per la precisione nel Maryland, coltivato personalmente da Monreali, che nel tratto più interno della Chesapeake sta rubando sempre più spazio al giardino Bay. A Baltimora Davide ha realmente im- della casa sul lago. Incentrata sui vini itaparato il mestiere, sotto la guida dello liani in gran parte fermi (una delle poche chef Raffaele Dall’Era, allora patron del ri- eccezioni è il Franciacorta Antica Fratta), storante Sotto Sopra. E ha anche trovato la carta dei vini si rinnova stagionalmente. l’amore. Di Baltimora è infatti sua moglie, Per la cena il conto sale a una media di la sommelier italo-americana Christa Bru- 30-40 euro a persona. “Quando lavoravo no. Poco più a Sud, a Boothbay Harbour, negli Stati Uniti la mia cucina era molto ha aperto e condotto per sei anni il suo centrata sui primi a base di pasta fresca, primo ristorante, il Ports of Italy, che oggi gnocchi e ravioli” spiega Davide Rossi, perpetua la sua cucina sotto la guida del “tanto che nel 2000 ho vinto il premio di nuovo patron, l’ex sommelier del Bice di miglior pastamaker di Baltimora. Qui, a New York, Sante Calandri. Davide è poi Milano, mi ispiro di più alla cucina giaptornato a Baltimora per rilanciare il Pazza ponese, che gli italiani dimostrano di apLuna, locale che nell’arco di pochi mesi prezzare. Fondamentalmente, comunque, ha scalato la classifica dei migliori ristoranti cucino quello che mi piace mangiare, italiani della città. Alcune divergenze con piatti dai sapori decisi, resi particolari da i proprietari dei muri del Pazza Luna e un spezie e salse, e innovativi, perché mi po’ di nostalgia per l’Italia, hanno spinto piace sperimentare”. Rossi impiega anche Davide a tornare in patria e a imbarcarsi spezie poco conosciute in Italia, come la verso la fine dello scorso anno nella old bay seasoning, un trito di alloro, semi nuova avventura milanese subentrando di sesamo, senape, cardamomo, noce moscata, pepe bianco e nero, paprika nella gestione del Sempione 42. dolce, chiodi di garofano, un mix molto utilizzato nella zona di Baltimora per inUn ristorante, due anime Il locale, a mezzogiorno, è già un punto saporire i granchi blu della baia di Chesadi riferimento per gli impiegati della zona, peake. Al Sempione 42 è un ingrediente grazie al servizio essenziale ed efficiente, del bloody mary e dell’insalata di pesce. alla qualità degli ingredienti e ai prezzi E lo sarà anche della zuppa di granchio di Luisa Contri

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blu e verdure (piselli, carote, patate e sedano) che Rossi introdurrà nei prossimi mesi. Come alcune salse reinterpretate dalla ricetta segreta: quella al basilico e quella al parmigiano che Davide utilizza per condire le sue gettonatissime Caesar salad di mezzogiorno.

alla griglia e riduzione d’aceto balsamico o un risotto agli asparagi con sella di coniglio arrotolata nello speck, rosolata in forno e servita con una demi-galze alla paprika. Proposte che consentono al cliente d’ordinare un solo piatto”. Mamma Cristina, per parte sua, sta progettando di allestire un tavolo dei cioccolati, preLe novità dell’autunno sentando tante diverse varianti, tutte di Auspicando che l’autunno porti una mag- qualità eccelsa, per arricchire l’offerta giore continuità delle presenze serali, al- di dessert. E curerà l’organizzazione di quanto erratiche nei primi mesi d’apertura serate-evento. “Mi piacerebbe farne un anche per la location un po’ appartata paio al mese con una certa regolarità”, dalla movida milanese, come anticipato dice. “Una serata potrebbe essere dediil team del Sempione 42 sta studiando cata all’arte o alla cultura. Quando a nuovi piatti e nuove proposte, che vanno giugno scorso abbiamo invitato il paral di là del semplice avvicendamento rucchiere-scrittore milanese Gianluca dei piatti per seguire la stagionalità. Veltri a presentare il suo noir L’odore delRossi proporrà infatti dei piatti unici, l’asfalto, è stato un successo. Una secom’è abitudine nei ristoranti italiani conda serata potrebbe invece essere lepresenti negli States, dove le porzioni gata più specificamente al mondo del sono abbondanti e molto raramente i cibo. Ci stiamo ragionando perché voclienti ordinano il primo e anche il gliamo che sia originale”. Diverse le secondo (lo fanno solo di giocatori i fo- opzioni al vaglio: dal dedicare una serata otball!). “Sto pensando a nuovi risotti alla cucina americana di Rossi, all’orgacombinati” anticipa Rossi. “Per esempio nizzare cene a quattro mani invitando un risotto alle erbe con petto d’anatra altri chef, all’ospitare pasticceri creativi.

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EFFICIENZA



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Mazagan Beach Insolito Marocco gourmet

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di Gualtiero Spotti El Jadida è una località fuori dalle rotte classiche del turismo internazionale presente in Marocco. Solitamente le mete tradizionali sono Marrakech, le altre città imperiali come Fes e Meknes, oppure le località più vicine alla costa mediterranea. Invece, per arrivare a El Jadida, bisogna prima atterrare a Casablanca e poi percorrere la strada costiera dell’Atlantico che conduce verso sud, verso la città bianca di Essaouira e Agadir. Dopo un’ora di macchina si arriva in un’area che spalanca le porte verso un Marocco meno conosciuto e, per certi versi inusuale. Sicuramente più autentico e tutto da scoprire, con le sue cittadelle fortificate (quelle dell’antica dominazione portoghese nel sedicesimo secolo), con una quotidianità più rurale e, in molti casi contadina, visto che (soprattutto a sud di El Jadida) si aprono agli occhi distese di campi rigogliosi e ricchi di frutta e verdura e con una presenza quasi nulla di turisti. È la regione del Doukkala, e El Jadida è una città che si sta sviluppando notevolmente come luogo di villeggiatura al mare per un turismo interno al Marocco, in forte espansione con la costruzione di grandi quartieri residenziali, ma anche con la nascita di alcuni hotel di lusso che si sono già fatti notare come punto di riferimenti imprescindibile per questa nuova destinazione e per la qualità dei servizi proposti. La punta di diamante della regione è rappresentata dal Mazagan Beach & Golf Resort, nato tre anni fa sulle coste di El Jadida e diventato immediatamente una cittadella dell’ospitalità di alto livello grazie al sostegno del Re del Marocco Mohammed VI e alla qualificata logistica di Sol Kerzner, il leader di Kerzner International. Su una superficie di 250 ettari (e con ben sette chilometri di spiaggia), la struttura, realizzata con i tipici colori ocra della regione, è stata concepita come un vero e proprio riad, grazie a una grande costruzione a Artù n°52

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i numerosi servizi a disposizione soddisfano le necessità dell’ospite più esigente, da chi vuole trascorrere una serata in discoteca (l’Alias è un delizioso e intimo club che si anima nelle ore notturne) oppure la famiglia che ha al seguito i pargoli ma vuole passare qualche ora di relax: il kids club dell’albergo offre, in questo senso, servizi all’avanguardia, con stanze dotate di computer, di mirabolanti giochi elettronici oppure di svaghi più tradizionali per i bambini. Ma non è finita. Una setpianta quadrata con fontane, piscine timana trascorsa al Mazagan in realtà e palme, ispirata allo stile arabo e mo- è appena sufficiente per sfruttare le resco e contornata da circa cinquecento molte opportunità offerte dalla struttura. stanze comprese le suite. All’interno C’è un campo da golf a 18 buche a invece si possono trovare molti negozi, pochi metri dall’oceano, disegnato da il più grande Casino del Nord Africa e, Gary Player, un maneggio che permette in una grande corte, i principali ristoranti di scegliere un destriero e cavalcare dell’hotel. Tutto è a portata di mano e sulla spiaggia, una deliziosa Spa (con

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il brand Espa) dove rilassarsi lasciandosi massaggiare da mani sapienti, un fitness con un team di personal trainer qualificati. E per i gruppi più numerosi di ospiti (Mazagan è anche centro di eventi e conferenze) a disposizione un campo di calcio, un campo di tiro con l’arco, i quad per chi vuole scorrazzare sulle dune di sabbia, mountain bikes, un percorso di paint ball e si possono praticare numerosi sport acquatici, dal surf al jet-ski fino al windsurf. Mazagan però significa anche molti ristoranti e diverse realtà legate al buon gusto. A partire dal Morjana, una magnifica porta d’accesso al mondo arabo e alle sue delizie gastronomiche. Il ristorante, con specialità marocchine a libanesi, diventa il luogo giusto per una full immersion con tanto di musica dal vivo di ottima qualità in un ambiente da Mille e una Notte. Qui si degustano piatti classici come l’Harira (la zuppa tradizionale marocchina con carne, coriandolo e piselli), briouat, pastilla, méchoui (la spalla d’agnello marinata e a lunga cottura, con grani di cumino e accompagnata dal riso allo zafferano), tajine (di pollo, agnello o di pesce) e il couscous con legumi della regione, mentre tra i piatti libanesi spopolano hummus, falafel, reyach (cotolette di agnello marinate con timo fresco, aglio e olio d’oliva), chiche taouk (petti di pollo marinati nell’aglio, con spezie, succo di limone e olio d’oliva) e kebab. Nella stessa piazzetta che ospita il Morjana si può anche decidere di sostare al Sel de Mer che, come dice bene il nome, è un ristorante dedicato esclusivamente al pesce. E che è in Artù n°52

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buona parte fresco e si può scegliere direttamente a un grande banco ricoperto di ghiaccio di fronte alla cucina, proprio come se ci si trovasse in pescheria. In carta piatti dal gusto internazionale: crostacei, cassolette di rana pescatrice, linguine ai frutti di mare, anche se, in stagione, vale la pena di provare una delle specialità dell’area, le pregiate ostriche di Oualidia (una località che si trova a un’ora di macchina a sud di El Jadida). I gourmet più avventurosi possono spingersi fino a questo paese in riva all’oceano per visitare, e assaggiare sul posto, le ostriche dei numerosi allevamenti ospitati all’interno di una graziosa baia. Il tour

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goloso a Mazagan può invece proseguire con la visita all’ottimo Market Place, un ristorante a buffet (ma di ottima qualità) dove si assaporano tutti gli aromi dell’oriente e della cucina locale, oltre a pizze, sushi e piatti asiatici per i clienti incontentabili. Una sosta perfetta invece per un pranzo light è quella al ristorante della Club House del Golf Club: ambiente ovattato, una terrazza dalla quale osservare l’oceano e preparazioni più semplici e immediate. In tutti i ristoranti si può anche scegliere di bere un buon vino, magari marocchino, visto che qualche etichetta di valore non manca. www.mazaganbeachresort.com



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Almenara per golfisti e non solo

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di Elisa Facchetti

sono presenti ben 45, oasi di verde e tranquillità che attirano numerosi golfisti Sinonimo di eleganza e professionalità tutto l'anno. Il campo da golf dell'Almenara, nei servizi offerti, l'Hotel Almenara progettato dall'architetto di campi da golf Golf Resort sposa un concetto di lusso Dave Thomas, con le sue 27 buche e il che non cede mai il passo all'eccesso suo verde sfavillante, abbraccia il resort sfrenato, puntando su uno stile che in un atmosfera di assoluto benessere. potremo definire "natural chic". Nei dintorni completano l'offerta "green" altri tre campi da golf: il Real Club Golf di L'Almenara Golf Resort, baciato dal sole Sotogrande, il Club di Golf La Reserva e 300 giorni all'anno, si trova nella famosa il Club Valderrama. E chi non gioca a golf Costa del Sol, nella regione dell'Andalusia può sempre trascorrere il tempo abbana Sud della Spagna, tra le province di donandosi alle cure di un team di esperti Malaga e Cadice, precisamente a Soto- professionisti nell'Elysium, la Spa di Sogrande, una zona residenziale che permette togrande, o praticare attività sportive di godere al meglio della terra andalusa. offerte dal resort: equitazione, tennis o Caratterizzata da un clima temperato, la paddle tennis. Ma soprattutto può godere Costa del Sol è altrattanto famosa per i del beach club di proprietà dell'hotel ragnumerosi campi da golf, tanto da fregiarsi giungibile con un servizio navetta gratuito. dell'appellativo di Costa del Golf: ne A pochi minuti di auto, poi, altre splendide

calette fanno da cornice a un mare cristallino circondato da una vegetazione semitropicale caratterizzata da palme, cipressi, bouganville, oleandri e hibiscus. Nei dintorni di Sotogrande ristoranti, bar, negozi e mercatini offrono una valida alternativa alle giornate di relax in hotel, potendo secegliere di visitare Marbella, Puerto Banus, o Gibilterra che dista solo 15 km dall'Almenara, spingendosi fino a Cadice, Siviglia o Granada. Ma l'Andalusia è anche terra di flamenco e sherry. Jerez de la Frontera, borgo a pochi chilometri da Cadice, ospita ogni anno il Festival del Flamenco, e nello stesso borgo è possibile visitare le bodegas, storiche cantine dove si produce lo sherry. Lo stile "Almenara" La struttura dispone di 148 camere arreArtù n°52

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date con gusto e semplicità in uno stile tipicamente mediterraneo e dotate di tutti i comfort. Immerse completamente nel verde del resort, offrono agli ospiti un panorama rilassante. Il resort dispone inoltre di un'area fitness e una piscina dinamica con idroterapia. Tre le esperienze gastronomiche proposte all'interno dell'Almenara, sotto la super visione dell'Executive Chef Christian Puigros Baldowsky: il ristorante Gaia propone una cucina mediterranea in un'atmosfera intima, un open space semi circolare con vista su Sotogrande; Veinteeocho, più informale, si affaccia direttamente sul campo da golf con una splendida terrazza, mentre a bordo piscina l'atmosfera informale del Cucurucho Beach Club propone in spazi accoglienti con vista mare gustosi piatti a buffet. Location d'eccezione Paradiso dei golfisti, l'Hotel Almenara rappresenta la migliore propsta per godere appieno della primavera andalusa, visitando città d'arte e località balneari, come Malaga – la città di Picasso –, Marbella e Gibilterra. A soli 45 km da Sotogrande, Tarifa, definita "La Capitale del vento", è il punto di incontro di surfisti, windsurfisti e kitesurfer d'Europa,

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mentre vale la pena affrontare 140 km per visitare Cadice, città antichissima ricca di storia, di monumenti e panorami mozzafiato. Da Sotogrande, percorrendo pochi chilometri, è possibile visitare il Parco Naturale Los Alcornocales (querce di sughero), una foresta che si affaccia direttamente su Gibilterra e sulla costa marocchina; nello stesso parco si trova anche la località Castellar de la Frontera, antico borgo arroccato sulla collina, e il suo castello. Da non perdere anche la cittadina di San Roque, e i famosi mercadillos di Sotogrande, Marbella e Malaga, senza rinunciare, tra shopping e visite, ai gustosi "giri delle tapas", assaggiando in ogni posto una specialità diversa.



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Il SOLE della Svizzera è vicino all’Italia

di Elisa Facchetti Ci troviamo nel cuore del Canton Ticino, ad Ascona, dove si specchia direttamente sul Lago Maggiore il Castello del Sole. Eletto per tre anni consecutivi dalla SonntagsZeitung (edizione domenicale del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung) come miglior hotel di villeggiatura della Svizzera e due volte dalla rivista di economia svizzera Bilanz, il Resort del gruppo Relais & Chateaux, 5 Stelle Lusso, offre un'esperienza indimenticabile per ospitalità, natura e per la raffinatezza della cucina. Ha un passato ricco di storia il Castello del Sole di Ascona. Costruito nel 1540 come rifugio per ospitare i perseguitati della religione protestante, fu poi trasformato nei primi del '900 in piccola “Osteria”, con poco più di sei camere per gli ospiti, e succesivamente ingrandito nell'attuale struttura mantenendo le caratteristiche architettoniche di antico maniero. Oggi il resort si compone di 38 junior suite e 43 camere singole e doppie, è circondato da più di 11 ettari di parco, da una riserva del WWF e dall'azienda agricola di proprietà dell'Hotel Terreni alla Maggia, con oltre 150 ettari di produzione agricola. Irrinunciabili i trattamenti offerti dalla Spa & Beauty, come la VinoAqua-Terapia

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che utilizza i prodotti dell'azienda agricola: peeling, bagni energizzanti nello Chardonnay e bagni rilassanti nel Merlot; l'area benessere dispone inoltre di due suite spa, vasca idromassaggio, saune, solario e area fitness. E per rilassarsi durante la stagione estiva è possibile usufruire della spiaggia in riva al lago. Il Castello del Sole si distingue inoltre per l'eccellente cucina gourmet offerta dalla Locanda Barbarossa, fiore all'occhiello della proposta gastronomica del resort, sotto la guida dello chef de cuisine Othmar Schlegel. La cucina è una scoperta della tipica cucina mediterranea, reinventata secondo alcune peculiarità della tradizione francese, ma sempre fedele alla lavorazione di materie di primissima scelta che derivano direttamente dall'azienda agricola Terreni alla Maggia: qui, oltre al grano per la pasta, frutta, verdura ed erbe aromatiche, si coltiva il riso nell'unica risaia di tutta la Svizzera. E non possiamo non citare i vigneti che circondano l'azienda agricola: Merlot e Chardonnay in primis, tra cui spicca il Merlot "Il Querceto" e "Cuvèe Renato". Cura nel dettaglio e creatività trasformano i piatti, dall'aperitivo alla cena, in una esperienza gastronomica da provare: dal risotto loto – una varietà di riso dal chicco lungo e convesso – "della nostra fattoria" con composta di zucchine e bergamotta, burro ed erbette al filetto di rombo in padella con spezie del Sud; pasta e fave con astice e finocchio selvatico, spalla di vitello glassata al forno con carote glassate e piselli


Qui a lato un dessert di fragole e fragoline di bosco con succo di fragola, gelato alla farina bona e granita al Fragolino dello Chef Othmar Schlegel. Sotto: tonno di sot-l'y-l'aisse.

freschi; dal gazpacho di verdura con uovo di quaglia, cipolle e peperoni allo zafferano o il tonno di sot-l'y-l'aisse al parfait al pistacchio con fragole al basilico e coulis di lamponi o fragole e fragoline di bosco con succo di fragola, gelato alla farina bona e granita al Fragolino. Lo chef, appasionato ricercatore di ricette dimenticate, reinterpreta con vivacità i piatti della tradizione in chiave contemporanea: "La tradizione è qualcosa di molto importante, la ritengo la base per una buona cucina. Ogni pietanza, però, deve essere adattata alle esigenze di oggi – afferma Othmar Schlegel – e in particolar modo presto molta attenzione alla dimensione delle porzioni, alla riduzione di grassi e alla digeribilità di ogni portata". Una cucina, quella proposta dalla Locanda Barbarossa, premiata con 17 punti sulla Guida GaultMillau, a cui si aggiunge la professionalità dello chef Othmar Schlegel, i consigli del sommelier Stefano Bonomi e l'esperienza del general manager del resort, Simon V. Jenny, nonchè di Guido Livrini, eletto migliore maître d'hotel dell'anno presso i ristoranti Tre Stagioni e Parco Saleggi all'interno del Castello del Sole. Accoglienza perfetta e uno staff altamente qualificato rendono il soggiorno al Resort di Ascona un momento di puro relax, fidelizzando i clienti con proposte per ogni esigenza: hospitality, food&beverage e wellness. Artù n°52

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Vino al bicchiere? La proposta di WIKEEPS Un nuovo sistema di conservazione e di servizio del vino, che consente di degustare “al calice” prodotti che mantengono inalterate tutte le loro qualità organolettiche. Un modo intelligente per servire vini all’altezza della situazione, anche vari giorni dopo l’apertura della bottiglia. “Bene, vi porto anche del vino? Scegliete dalla carta?” “Molto gentile, ma mia moglie non beve, avete niente al bicchiere?” Spesso per le nuove regole del codice della strada, a volte anche solo per non esagerare con l’alcol, coppie e amici al ristorante rinunciano alla scelta di un vino che accompagni il loro piatto. Una bottiglia in due potrebbe superare la soglia limite, le signore spesso non bevono o bevono poco. E durante una cena al ristorante veder rinunciare a un buon bicchiere di vino, non è più ormai uno scandalo. Lei sceglie carne bianca, lui la fiorentina. E la condivisione dell’abbinamento di uno stesso vino si fa complicata. La convenienza di poter scegliere tra più vini, attraverso il servizio al bicchiere, oggi regala la libertà di assaggiare e scoprire diversi tipi di vini, e fare un’esperienza sensoriale, magari con un bicchiere di vino diverso ben abbinato ad ogni piatto. Per un ristoratore o un enotecario, poter rispondere alle attuali esigenze dell’ospite a tavola, è certamente un valore aggiunto importante. “Vai li, che mangi bene e bevi ancora meglio!” Oggi, la qualità della cucina sembra ormai un prerequisito, mentre la carta dei vini e il servizio del vino alla mescita, sono tra i criteri che maggiormente ci influenzano nella scelta del ristorante per la prossima cena con amici. Nuovi ritmi e nuove abitudini, hanno quindi convinto i ristoratori ad attrezzarsi per rispondere a queste nuove esigenze. Wikeeps, il nuovo sistema di servizio al bicchiere, risponde al bisogno dell’enotecario di essere aggiornato con le esigenze del momento: è un sistema di conservazione che permette di proteggere e mante-

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nere l’integrità sensoriale del vino dopo l’apertura della bottiglia e fino a tre settimane. È costituito da soli tre componenti in acciaio, inseriti direttamente nella bottiglia; per questo la sua semplicità d’uso agevola la mescita e conserva il vino, inertizzando la bottiglia durante il servizio al bicchiere: una cannula, inserita nella bottiglia, distribuisce al suo interno una miscela di gas inerti contenuti nella pistola, che hanno la funzione di sostituire l’aria, man mano che la bottiglia si svuota durante il servizio. Wikeeps si adatta a tutti i formati di bottiglia, e può essere anche dotato di un’estensione della cannula inserita nella bottiglia per i formati magnum. Grazie al suo sistema brevettato, Wikeeps mantiene gli aromi dei vini anche dopo vari giorni di apertura della bottiglia, nelle migliori condizioni e in completa sicurezza d’integrità del prodotto, proteggendoli dall’ossidazione, principale nemico del vino.Wikeeps è uno strumento elegante, che permette di portare la bottiglia al tavolo degli ospiti, mostrando anche l’etichetta del vino scelto. Per questa particolare esigenza del ristoratore, Wikeeps ha creato anche un carrello dedicato “Wiserve” che consente di portare direttamente al tavolo una selezione di bottiglie tra le quali scegliere, senza la necessità di procurarsi costosi impianti fissi, o sistemi a vuoto che sottraggono aromi ai vini. Apparentemente, i vantaggi di Wikeeps sono la conservazione del vino e un servizio eccellente ai clienti in sala. Ma quanto è variato in pochi anni il consumo di vini importanti, anche complice la congiuntura economica sfavorevole? Quante persone possono permettersi di ordinare una intera bottiglia molto costosa? Wikeeps è soprattutto una nuova opportunità! Quella di stappare vini importanti, vini di prestigio, che da tempo attendono negli scaffali della cantina, offrendoli anche al bicchiere. Con un enorme vantaggio anche per il consumatore! Dunque, perché limitarsi a offrire solo


vini in bottiglia, quando grazie a sistemi di conservazione sicuri, possiamo far divertire il consumatore, assaggiando vini di provenienze o stili differenti? Il beneficio è condiviso: per le papille dei clienti e per l’immagine del locale! www.wikeeps.com

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secondo Artù ARTÙ Settembre-Ottobre 2012 Editore: Edifis S.p.A. Viale Coni Zugna, 71 - 20144 Milano tel 02 3451230, fax 023451231 info@edifis.it - www.edifis.it

co lo ph o

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Direttore editoriale: Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile: Andrea Aiello Redazione: Elisa Facchetti artu@edifis.it

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Collaboratori: Sara Alberti, Fiorenza Auriemma, Davide Bernieri, Luisa Contri, Davide Deponti, Beppe Francese, Elio Ghisalberti, Isa Grassano, Marta Lai, Rocco Lettieri, Alberto Lupetti, Giuseppe Martelli, Gianni Mercatali, Claudio Francesco Merlo, Chiara Morellato, Aldo Nenzi, Anna Pesenti, Alessandra Piubello, Carlo Ravanello, Roger Sesto, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Annalisa Tirrito, Piero Valdiserra, Monica Zani, Claudio Zeni, Stefania Zolotti _______________________________________________________________________________________________________

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Vino in Chinatown, e trattoria in Brianza CANTINE ISOLA ENOITECA VINARIUS

dalla legge. Sfido la polizia locale a fermare dei “pedoni in stato di ebbrezza”.

Via Paolo Sarpi 30 20154 Milano (Mi) 02 3315249

LA SCALETTA Via Milano 30 22063 Cantù (Co) 031 716540 www.trattorialascaletta.it

Una cantina vera, né modaiola né trendy, ma molto ben frequentata e, soprattutto, ottimamente gestita da una famiglia che ha nel proprio dna la passione per il vino. I Sarais (madre Tina, padre Gianni e figlio Luca) sono di origine sarda ma, come si dice, sono più milanesi del sciur Brambilla: qui hanno messo radici e qui hanno rilevato, molti anni fa, questo locale divenuto un punto di riferimento per gli enoappassionati in cerca di etichette celebri, famose o sconosciute purché di qualità e vendute al giusto ricarico. Situata a Milano, in piena Chinatown, Cantina Isola propone vini al calice e all’asporto, abbinati a stuzzichini preparati al momento con ingredienti freschi e di qualità, a riprova della gestione professionale che evita giustamente di proporre pseudo happy hour “alla milanese” (ovvero, riciclo dei panini avanzati dal mezzogiorno). Tanto Champagne, molte bollicine di Franciacorta (con etichette fuori dal coro), una notevole quantità di rossi. Il wine bar, grazie alla sua ubicazione, richiama anche una fitta schiera di clienti abitudinari, che ne hanno fatto il proprio quartier generale. Altra nota positiva: essendo in isola pedonale, si può bere anche qualcosa in più rispetto agli assurdi limiti imposti

Ci si veniva (e ci si torna ancora) per la cassoeula, il piatto brianzolo (e milanese) che tanto riempiva le pance nelle serate invernali. Organizzava gli incontri conviviali Rocco Lettieri, il panettiere-gourmet-giornalista che, messa famiglia a Cantù, amava riunire amici enogastronomi e colleghi di penna. Oggi si occupa di vino, segue il marketing di Podere Forte, in Val d’Orcia, da cui escono grandi vini (Petrucci, per dirne uno). Fu un’ottima scoperta, questa Scaletta: negli anni il locale si è profondamente evoluto e raffinato, fino ad essere oggi una delle mete ristorative più interessanti della Brianza comasca (insieme a pochi altri, il Grillo in primis). Gestione famigliare (i Terraneo) cordiale e affiatata: la cucina del ristorante è di territorio e creatività, a cominciare dai primi piatti, sempre ispirati alla stagionalità, felice sintesi di diverse culture. Un esempio per tutti: i trucioli canturini con cipolla di Tropea, coniglio e parmigiano, vera apoteosi del gusto; o, fra gli antipasti, il paté di quaglia, da assaggiare senza indugio. Locale da provare, anche per i prezzi, che non superano la soglia dei 40 euro.

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LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità, serietà e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Cucina eccellente, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Ottimo per qualità dell’offerta Una corona = Cucina corretta e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Molto ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole




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