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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Artù n°55 - Marzo - Aprile 2013

Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

Mufii: parte dal Novarese la riscossa italiana dei muffati Annuncio shock di Vinexpo: i consumi sono in netta crescita Monte delle Vigne, la cantina nata da una grande passione Creatività laziale in cucina: il successo di Pipero a Roma Longino & Cardenal: freschezza e qualità per grandi chef

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EDITORIALE n°55

Pronti per la RIPRESA? In un momento in cui le buone notizie si contano come le lucertole in Alaska, sarebbe bene non perdere del tutto le speranze residue e, comunque, imparare a guardare lontano, "nel gran lontano", come diceva il poeta austriaco Georg Trakl. Guardare avanti con la consapevolezza di dover affrontare situazioni nuove, del tutto inedite rispetto alle abitudini consolidate che ci ponevano al riparo da dubbi, ansie, tensioni. Oggi con l'ansia ormai ci si convive, le incertezze sono l'unica certezza e gli sforzi non vengono ripagati nel modo auspicato. Eppure, eppure.... Lo sapevate che i consumi di vino nel mondo

sono destinati a crescere nel prossimo triennio (secondo una ricerca di Vinexpo, che vi consiglio di andare a leggervi a pag. 16) e che la ristorazione commerciale – dopo l'impasse dell'ultimo biennio – è già in una fase di ripresa che toccherà anche l'Italia? Ce lo confermano le nostre esperienze dirette (non sono poca cosa!) ma anche i nostri inviati che, nei loro report, descrivono casi di successo che fanno a pugni con l'immagine depri-

mente (calo dei consumi, locali vuoti, scontrini medi dimezzati) che i media, televisivi e cartacei, ci propinano quotidianamente. A tal proposito va detto che in Europa, a dispetto dei tanti detrattori, l'editoria cartacea di qualità non soffre affatto, tutt'altro. Nascono nuove riviste, la comunicazione è in netta ripresa, i prodotti editoriali di qualità attirano l'attenzione e gli investimenti delle aziende: sono i numeri a confermarlo, a dispetto di ogni piagnisteo. Dobbiamo dunque vedere anche il bicchiere mezzo pieno, non solo quello mezzo vuoto. Questo appello lo rivol-

giamo anche alle aziende, che ci sembrano tramortite, impaurite, sofferenti: senza coraggio si resta al palo, cari imprenditori in crisi reale o apparente. Non vi esortiamo certo a "giocare d'azzardo" o a fare progetti sulle sabbie mobili....Vorremmo solo che riusciste a fare sistema, a fortificare i vostri messaggi, a condividere i problemi con chi mostra realmente di comprenderli. Chiudersi a riccio sarebbe l'errore più grave. D'altra parte, chi sa fare bene il proprio mestiere non deve perdere di vista le opportunità del mercato, che non è affatto moribondo, ma dà segnali di vitalità spesso sottovalutati. Chiaramente gli sforzi devono essere più mirati e ponderati, finalizzati a creare valore e non a vagheggiare profitti che oggi sembrano miraggi. Credo che, nella attuale situazione, solo un grande sforzo collettivo, sistemico, possa ridarci prospettive concrete di crescita. Comunicazione, sinergie, investimenti mirati, contatti di qualità... È necessario fare network, rilanciare il proprio valore, non certo puntando sulla svendita dei propri valori, in una sorta di becera cartolarizzazione dei nostri indiscussi assi nella manica. Se questa rivoluzione non avviene in breve tempo, non riusciremo a risalire la china. Nessuno, dall'alto, ci aiuterà a risorgere, ma se ci vedranno incerti, approfitteranno delle nostre debolezze e ci daranno la mazzata finale. Alberto P. Schieppati

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In copertina, uve di Erbaluce a Barengo, sui colli novaresi. Grazie all’intraprendenza e al coraggio di una coppia di professionisti milanesi, Ernesto ed Elisabetta Gilardi, nasce MUFii, un vino da uve appassite, “attaccato” dalla Botrytis cinerea, proprio come il Sauternes.

Info people TuttoFood 2013, sempre più “international” di Elisa Facchetti Una conferma per Taste, e Rhex punta sugli chef Info brand Le aziende sono attente ai mercati in movimento Krug Lovers a Milano con Bartolini Focus wine Vinexpo annuncia: consumi in crescita di Luisa Contri Fratelli Chiarli: i signori del Lambrusco di Giovanna Moldenhauer Focus food Locanda Le Muse, la carne abita qui di Alessandra Piubello Eblex, bontà sicura sotto ogni aspetto Protagonisti wine Monte delle Vigne: passione e unicità di Alberto P. Schieppati Si chiama MUFii il Sauternes italiano di Fiorenza Auriemma Pallavicini, il Frascati della Principessa di Roger Sesto Protagonisti food Longino & Cardenal: la selezione del meglio di Luisa Contri Effusioni di gusto al Desco di Verona di Alessandra Piubello Pipero al Rex, la forza dell’uomo di Alberto Lupetti Dalla Val d’Ossola a Rimini, il successo arriva dalle Alpi di Stefano Bonini Famiglia Cortesi, format inossidabili di Theo Smith Format food Verace Pizza Veronese: il caso del Du de Cope di Alessandra Piubello Tano Simonato, lontano da ogni schema di Anna Pesenti Accueil Mamilla di Gerusalemme. L’innovazione abita qui di Gualtiero Spotti Equipment Tacco e spacco contro cappa e spada di Giovanna Moldenhauer

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TuttoFood 2013, sempre più “international” 6 padiglioni, per una superficie occupata di 80.000 metri quadrati, grazie anche alla presenza confermata di oltre 1300 espositori. Tra questi, grandi realtà "made in Italy" che riconoscono in TuffoFood un interlocutore privilegiato per la propria attività e il business dei propri associati: AIDEPI – Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane; ASSICA – Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi; UNAPROL – Associazione del settore olivicolo a livello nazionale e comunitario; UNIONALIMENTARI – Unione Nazionale della Piccola e Media Industria Alimentare; UNAS-UnionAlimentari, Unione Ailimenti Surgelati. Lungo le food avenue del polo fieristico di Rho numerose inizative, di Elisa Facchetti convegni, eventi e degustazioni animeGrande attesa per TuttoFood 2013, la ranno la quattro giorni di TuttoFood vetrina delle eccellenze agroalimentari 2013, che grazie all'accordo con Expo che sarà ospitata alla Fiera di Milano 2015 aumentarà il valore internazionale dal 19 al 22 maggio. In primo piano, della manifestazione, accogliendo buyer in questa edizione, l'importante accordo della Gdo estera e nazionale, grossisti siglato tra Fiera Milano ed Expo 2015 e ristoratori provenienti, secondo le stiSpA, la società pubblica dell'Esposizione me, da oltre 50 paesi. Grande risalto Universale di Milano, al fine di creare dunque all'internazionalità, un tema una sinergia volta a risaltare il settore molto caro agli organizzatori dell'evento agroalimentare in un momento, quello che hanno, in questa edizione, promosso della fiera TuttoFood, che vede coinvolto un progetto ad hoc secondo il nuovo un grande pubblico di operatori non modo di "fare business": si tratta di solo italiani, ma sopratutto internazionali, EMP – Expo Matching Program, un'agenin una cornice che rappresenta l'eccel- da digitale che permetterà a tutti i lenza italiana. L'offerta espositva, come buyer di organizzare appuntamenti ha sottolineato Paolo Borgio, Exhibition prima dell'inizio della manifestazione. Manager di TuttoFood, vedrà coinvolti Per info www.tuttofood.it.

Paolo Borgio, Exhibition Manager TuttoFood

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Una conferma per Taste E Rhex punta sugli chef Famiglie Il dolore di Terredora

terroir. Ci mancherà quel suo modo di fare, concreto e spigliato, sempre teso alla ricerca della sintesi e della chiarezza, ci mancheranno le sue battaglie in difesa di qualità e territorio, con un occhio sempre rivolto alle esigenze dei consumatori e all’andamento dei mercati. La redazione di Artù si stringe alla famiglia di Walter Mastroberardino in questo momento di dolore. (APS)

Taste, formula vincente Lucio Mastroberardino Nel volgere di due mesi, la famiglia di Walter Mastroberardino ha subito due tragedie immani, prima con la morte di Dora Di Paola, una vera signora del vino, poi – poco più di un mese dopo – con il decesso di Lucio, figlio di Dora e Walter, fratello di Paolo e Daniela. Per due volte la morte, in pochissimo tempo, ha bussato alle porte della grande cantina di Montefusco, in Irpinia: un luogo magico in cui l’eccellenza vitivinicola si esprime ai massimi livelli, come riconosciuto non solo in Italia ma in ambito internazionale. Come spesso accade, un grave lutto (in questo caso quello della madre), ha scatenato una dolorosa risposta interiore che ha travalicato le difese immunitarie e riattivato un male che pareva assopito: Lucio, 45 anni, presidente dell’Unione Italiana Vini, lavorava nell’azienda di famiglia dal 1994, anno della fondazione. Ha dedicato tutta la vita alla difesa dei vitigni autoctoni, inseguendo (e realizzando) il sogno di restituire dignità e valore al grande patrimonio pedoclimatico ed enologico di un bacino territoriale di grande complessità. Anche grazie a lui, insieme all’impegno di tutta la famiglia (con papà Walter, con i figli Paolo e Daniela, in prima linea nel valorizzare e comunicare la forza dei vini Terredora), tutta la viticoltura irpina è rimasta fortemente legata alla tradizione dei vitigni di territorio, pur conformandosi a una modernità straordinaria, unita ad uno stile essenziale e caratterizzato, lontano da mode effimere, nemiche giurate del

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Alla sua ottava edizione Taste torna più agguerrita che mai. Il Salone dedicato ai professionisti dell'enogastronomia organizzato da Pitti Immagine, conferma con grandi numeri l'importante progetto ideato dal gastronauta Davide Paolini: in tre giorni, dal 9 all'11 marzo, la Stazione Leopolda di Firenze ha accolto 3.500 i buyer registrati, con un aumento del 6% rispetto a un anno fa, e in crescita ancora maggiore se si considera il totale delle ragioni sociali intervenute (+14%). L'ago della bilancia segna anche un +38% nelle presenze dei buyer esteri – provenineti da oltre 40 paesi – in cui i compratori di Stati Uniti, Giappone e peasi del Nord Europa hanno fatto la parte da leoni. Oltre 13.500 i visitatori totali. “Taste ha dimostrato ancora una volta di essere la manifestazione di riferimento per i professionisti dell'enogastronomia di qualità – afferma Agostino Poletto, vice-direttore generale di Pitti Immagine –. Le oltre 280 aziende di questa edizione hanno incontrato compratori di altissimo livello, alcuni nomi top se si considerano i rappresentanti di department store del calibro di Harrods di Londra, Eataly a New York, e dei giapponesi Isetan e Takashimaya, ma anche tanti altri operatori Taste

dei più importanti negozi di enogastronomia di nicchia, sia italiani sia delle capitali internazionali. Anche il pubblico di foodies e appassionati del buon mangiare è stato numeroso e di grande livello, così come molto seguiti sono stati gli eventi e i Ring alla Leopolda, orchestrati dal Gastronauta, con protagonisti nomi di punta dell’enogastronomia italiana, chef stellati, e food opinion maker. Una nota anche sul ricco programma di oltre 120 eventi targati FuoriDiTaste, che ha avuto l’ennesimo record di partecipazioni in città, e ha proposto appuntamenti originali e modalità sempre più coinvolgenti per il pubblico”. Proclamati durante la manifestazione anche i vincitori della terza edizione di “King of Catering”, unico premio internazionale dedicato alle società di catering e banqueting: è La Fenice Catering di Faenza ad aggiudicarsi quest'anno il massimo riconoscimento del concorso, il “King of Catering Platinum Plus / Ferrarelle”.

Nuovo chef al Principe del Forte È Valentino Cassanelli il nuovo head chef del Principe Forte dei Marmi, il boutique hotel più glam & chic della Versilia. Modenese, classe 1984, Valentino Cassanelli, nonostante la giovane età, vanta un’esperienza consolidata nel settore della ristorazione. Inizia la sua avventura nel mondo della ristorazione frequentando la scuola alberghiera di Serramazzoni (Modena) e a 17 anni parte per Londra per il suo primo stage. Da qui è un susseguirsi di esperienze sempre più importanti lavorando, tra l'altro, nel team di celebri chef stellati come Carlo Cracco, Nobuyuki

Valentino Cassanelli Matsuhisa, Andrea Berton, Giorgio Locatelli. Arriva ora al Principe Forte dei Marmi dopo un anno al Ristorante Sangal di Venezia e dopo tre anni al Ristorante Cracco. Il suo concept culinario si può riassumere così: ricerca del gusto attraverso i sapori e i vini locali partendo dal territorio e sviluppandoli nella contemporaneità. “Per me la cosa più importante – afferma Valentino Cassanelli – è la valutazione del territorio. Ciò che voglio è creare accostamenti che traducano in contemporaneità i prodotti tipici della zona come ad esempio la palamita, tipo di pescato peculiare del Tirreno o la bottarga di Orbetello o il prosciutto di Cinta Senese. Ricette in grado di saldare tradizione e innovazione. La carta menu che sto realizzando sarà particolarmente gradita agli estimatori di pesce, ma non solo. Chianina, maialino da latte e altri carni pregiate avranno comunque un ruolo di primo piano”. Con Valentino Cassanelli il ristorante dell’Hotel apre con un nome e uno stile ben definiti: LUX Lucis, un nome che ben si adatta allo spazio situato al piano terra, circondato da ampie vetrate dove la luce è protagonista assoluta. “Vorrei svincolare LUX Lucis dal contesto “albergo” e farlo vivere come un locale a sé – prosegue Cassanelli – è una grande sfida e io e la mia brigata di cucina faremo di tutto per vincerla”. Aria di novità, infine, anche al 67 Sky Lounge, la terrazza all’ultimo piano con vista sul mare e sulle Alpi Apuane. Qui, Valentino Cassanelli, ha previsto una zona dedicata al Raw & Grill. (C.Z.)


Rhex, il format del “fuori casa” La prima edizione di Rhex, il salone dedicato al comparto Hotellerie-Restaurant-Cafè (HoReCa), ha confermato la strategia adottata da Rimini Fiera che ha voluto convogliare tutta l'esperienza di Sia Guest e Sapore in un'unica grande manifestazione. Questi i numeri del successo: 53.115 visitatori professionali, 7.000 business meeting con buyers internazionali, 357 giornalisti accreditati, grandi nomi della cucina stellata, da Davide Oldani a Massimo Bottura, da Sergio Mei a Marco Sacco e Andrea Aprea; dell'hospitality design come Simone Micheli ed Ettore Mocchetti, Massimo Roy e Maurizio Papiri; del comparto alberghiero, con i delegati di EHMA e ADA; del mondo del vino e del bere miscelato, con l’Aibes protagonista. Un format promosso a pieni voti dai protagonisti del settore che si sono confrontati in talk show e meeting con centinaia di buyer stranieri, attirati dalla manifestazione che ha messo in mostra il meglio dei comparti del fuori casa, dell’hospitality design, del food & beverage, presentando le eccellenze del territorio italiano. "Rhex è nata dalla grande esperienza di due nostre manifestazioni storiche – ha commentato Lorenzo Cagnoni, Presidente di Rimini Fiera –. Manifestazioni che godevano di oltre 100 edizioni in attivo e che si sono sintetizzate qui al meglio per offrire al mercato una soluzione in sinergia con l’evoluzione dei mercati internazionali di riferimento. Oggi la richiesta è infatti quella di una maggiore concentrazione di eventi, una

razionalizzazione di tempi e di risorse e di appuntamenti operativi. La prima edizione di Rhex ha mantenuto fede a tale promessa e aperto la via a nuove e strategiche potenzialità per idee e tematiche future, già a partire dal prossimo anno". Parole condivise anche da Patrizia Cecchi, direttore di Business Unit di Rimini Fiera, che conferma l'ottima risposta giunta dai visitatori alla fiera. Prossimo appuntamento a febbario 2014.

Cucine regionali: l’Italia nel mondo Si chiama "La Giornata Mondiale delle Cucine Regionali italiane nel segno dell'Expo 2015", ma l'iniziativa proseguirà per tutto il 2013. Obiettivo dell'evento è celebrare i piatti tipici e tradizionali delle cucine regionali italiane in tutto il mondo, fino all'Expo 2015, piatti cucinati da chef italiani che lavorano sia in Italia, sia all'estero. L'inziativa, ideata dal giornale web parmigiano INformaCIBO in collaborazione con il CIM (Cuochi Italiani nel Mondo), l'UIR (Unione Italiana Ristoratori) e moltri altri chef, vede anche il sostegno del Consorzio del Prosciutto di Parma, Consorzio del Parmigiano Reggiano, Fabbri 1905, Parma Alimentare, Cibus, Alma, Apt dell'Emilia Romagna, del magazine Degusta e tanti altri, e sarà celebrata trionfalmente il 23 luglio 2013 in tutto il mondo, in concomitanza con la quarta edizione de “Il Gelato nel Piatto con Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma e prodotti Dop” (dal 23 al 28 luglio 2013). “La tradizione – affermano i promotori – è una tradizione così ben riuscita dall’essersi consolidata, tanto da entrare di diritto tra gli elementi di giudizio dell’autenticità di un prodotto agroalimentare e quindi anche di una preparazione culinaria. Per questi motivi vogliamo indicare la Grande cucina tradizionale italiana ai gourmet di tutto il mondo in vista dell'Expo 2015”. Info su www.informacibo.it/_sito/cucine-regionali/


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Le aziende sono attente ai mercati in movimento 120 anni con Ferrarelle e la sua effervescenza

Storico brand, Ferrarelle festeggia 120 anni con un rinnovato piano commerciale sul mercato italiano, rafforzando i risultati del 2012 – chiuso con un fatturato di 162 milioni di euro e 861 milioni di litri venduti – e guardando al futuro con nuove strategie. Chiari gli obiettivi dei manager Ferraralle, che hanno riposizionato il marchio creando una forza vendita diretta e più snella e hanno investito in modo significativo sui singoli marchi lavorando su nuove campagne pubblicitarie e consolidando quelle già presenti. Riposizionato anche il marchio Boario e acquisita la proprietà del marchio Vitasnella Acqua da Danone, di cui Ferraralle era già licenziataria, rimarcando così il valore globale del gruppo. Queste le strategie dichiarate da Nunzio Savasta, Direttore Commerciale e Marketing, da Michele Pontecorvo, Responsabile Comunicazione Corporate e da Carlo Pontecorvo, Presidente e AD di Ferraralle SpA, che così commenta i primi risultati positivi del 2013: "Ferraralle SpA è un'azienda finanziariamente sana. Un'azienda che non è gravata da debiti, se non quelli fisiologici legati ai costi industriali, ai quali fa serenamente fronte con la sua cassa. Un'azienda che ha operato un profondo rinnovo di tutte le sue parti e della sua cultura per portare avanti con successo i suoi marchi, pa-

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trimonio della storia del consumo italiano. Un'azienda che non disinveste, anzi si guarda attorno con la volontà di crescere nel mercato del food (...). Abbiamo iniziato il nuovo anno con soddisfazione e con l'ottimismo sostenuto anche dai primi cenni di risultati positivi. Più di ogni altra cosa siamo coscienti di lavorare con l'obiettivo di portare avanti questa azienda nel tempo". Di successo anche la partnership con lo chef bistellato Gennaro Esposito, testimonial di Ferrarelle, e la collaborazione con importanti realtà italiane no profit: Fai – Fondo Ambiente Italiano, Telethon e il sostegno, come unico sponsor, del premio Malaparte.

Welsh Lamb Igp: dal Galles con amore

gallese, che ha visto Carlo Cracco declinare l'Agnello Gallese Igp in un menu d'eccezione. Oggi il Welsh Lamb è ben presente nei menu dei più rinomati ristoranti italiani, come nella grande distribuzione: "Nel 2012 molti grossisti italiani, fornitori di ristoranti di fama e buyer della grande distribuzione, si sono recati in Galles per visitare gli allevamenti, proprio in risposta alla crescente domanda di agnello gallese in Italia – afferma Jeff Martin, responsabile dell’ufficio italiano di HCC. – Allo stesso tempo, anche i produttori gallesi si sono resi conto delle necessità dei ristoratori e delle esi-

Nata nel 1950, l'azienda oggi si compone di oltre 4.500 viticoltori associati a 11 cantine e rappresenta il 60% della produzione vinicola trentina. Altemasi identifica altresì la linea di eccellenza degli spumanti Cavit, e in particolare il Pas Dosè è composto per il 60% da uve Chardonnay combinate con un 40% di Pinot Nero, aggiudicandosi la denominazione di Trento D.o.c.. Le uve selezionate provengono da diverse zone e i vitigni si trovano ad altitudini comprese tra i 450 e i 600 m s.l.m., con importanti escursioni termiche tra il giorno e la notte che infondono all'uva un patrimonio acidico importante. L'uva, perfettamente matura, ha fermentato in acciaio inox e barriques. Da tutto ciò nasce Altemasi Pas Dosè, spumante da abbinare a tutti i piatti a base di pesce affumicato, ostriche e crostacei crudi, linguine all'astice.

New look per Cantina Ponte Ha conquistato il mercato italiano con il suo sapore naturale e le sue importanti proprietà organolettiche, e dopo qualche anno di "gavetta" si è aggiudicato uno dei primi posti in qualità di ingrediente principe nell'alta cucina. Stiamo parlando dell'Agnello Gallese Igp, presente dal 2003 in Italia, un prodotto che ha riscosso un notevole successo, tale da indurre il management di HCC Meat Promotion Wales, l'Ente promotore di questi carni, ad avviare una campagna di comunicazione e di informazione su tutto il territorio italiano. A partire dalla Nazionale italiana di rugby in qualità di sponsor, passando poi alla costante presenza nelle mense scolastiche di Roma e del Lazio. Nel 2005 il grande passo: il Welsh Lamb ha coinvolto come testimonial lo chef stellato Carlo Cracco, una partenrship rimarcata nel 2012 in occasione della visita in Italia del Ministro dell'Agricoltura

genze dei consumatori e hanno messo a punto tagli e pezzature specifiche per il mercato italiano". E il futuro promette bene.

Cavit, il metodo classico di Pas Dosè Con Altemasi Pas Dosè vogliamo parlare di uno spumante, metodo classico, capace di offrire non solo la piacevolezza di un perlage fine e continuo, caratterizzato da profumi complessi di pesca matura e albicocca, ben integrati con piacevole note di liquirizia e vaniglia, con un gradevole retrogusto finale di mandorla, ma anche di raccontare il forte legame con il territorio, il Trentino, che da sempre identifica l’azienda da cui nasce questo spumante: Cavit.

Al Forum dei Consumi Fuori Casa di Cernobbio, a Villa Erba, Cantina Ponte ha presentato una nuova veste per i suoi Prosecco e Spumante, vini che l'hanno resa una delle cantine più conosciute e apprezzate in Italia e anche all'estero. L'evento scelto come passerella del "nuovo abito" è stato quanto mai azzeccato: il Forum dei Consumi Fuori Casa riunisce infatti le prime 30 industrie di marca più importanti detentrici di più dell’80% del fatturato del canale fuori casa e i 500 migliori distributori che realizzano più dell’80% del fatturato globale. A sfilare davanti agli occhi di un pubblico esperto e attento, il nuovo look


dei tre Spumanti Pinot Chardonnay, Manzoni Bianco, Verduzzo Dorato e del Prosecco Doc Treviso Extra Dry, forse il vino più rappresentativo di Cantina Ponte, proposto in ben quattro formati, dal magnum alla bottiglia da 0,200 lt., a dimostrazione di quanto la richiesta di Prosecco in Italia e nel mondo continui a essere elevata e diversificata. E Massimo Benetello, direttore generale di Cantina Ponte, conferma questo trend: "Il Prosecco mantiene la sua posizione privilegiata tra i vini più amati e apprezzati del momento, confermandosi saldamente ancorato a driver di consumo informali e disimpegnati come il momento dell’aperitivo e del brunch. Registriamo inoltre con piacere, in linea con la generale tendenza del consumo di vino, una grande attenzione per la segmentazione qualitativa e quindi per i Prosecco di fascia più alta come i millesimati. Da qui la scelta di rinnovare l’immagine della nostra linea più rappresentativa, per comunicare al consumatore l’eleganza e la ricercatezza che ritroverà assaggiando i nostri prodotti, ma anche tutta la cura, l’attenzione e l’impegno che mettiamo nel produrre i nostri vini".

Royale, la magia della porcellana Royale, aziende leader mondiale nella produzione di articoli da forno e buffet, si conferma ancora una volta importante punto di riferimento nell'universo Ho.re.ca. Prova ne è stata la partecipazione a Ristoexpo 2013, il salone dedicato ai professionisti della ristorazione promosso da Confcommercio Como e Lecco, che a Lariofiere ha dato appuntamento a 20.000 professionisti e 200 aziende, per presentare e conoscere tutte le tendenze del fuori casa. Il contesto si è dimostrato un imprescindibile appuntamento anche per Royale, come testimoniano le parole di Angelo Fanfarillo, Vice Presidente: "Siamo molti soddisfatti della nostra presenza a Ristoexpo 2013. Nonostante il momento di crisi, la manifestazione è

stata vissuta con grande positività e siamo molto felici dei risultati ottenuti. Abbiamo presentato diversi prodotti, tra cui la prima porcellana con effetto ardesia, riscuotendo un certo interesse nel nostro stand". La linea risponde infatti alle richieste del mercato, sposando l'effetto materico e il colore del piatto d'ardesia con tutti i vantaggi della porcellana: superficie non porosa, robustezza determinata dalla cottura a oltre 1300° C e la composizione di materie prime accuratamente selezionate da esperti tecnici, utilizzo in forno tradizionale o microonde e lavaggio in lavastoviglie, idoneità al contatto con sostanze alimentari e all'uso intensivo e professionale. Una rivoluzione che ben si inserisce in un settore in continua evoluzione come il mondo dell'Ho.re.ca.

Mc.Ilhenny: 100% Salsa Tabasco® Gusto deciso, piccante al punto giusto, saporita e versatile, perfetta con la carne, ma anche con il pesce. La famosa salsa Tabasco®, storico prodotto apprezzato in tutto il mondo da ben 125 anni, è solo Mc.Ilhenny, con l'originale bottiglietta con il tappo rosso e la fascetta verde: 60 ml di pura tradizione americana. In Italia, distribuita da Eurofood, ha conquistato un vasto pubblico che ha saputo apprezzare sempre più l'originalità di questa salsa da abbinare a numerosi e svariati piatti. Tra le tante ricette la millefoglie di Salmone affumicato KV Nordic (prodotto distribuito in



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Italia sempre da Eurofood), salsa al cetriolo e Tabasco® Mc.Ilhenny: frullare mezzo avocado maturo con il succo di limone, qualche goccia di Tabasco® e l’olio d’oliva a filo sino ad ottenere una crema liscia e omogenea. Ungere d'olio extra vergine di oliva due fogli di pasta fillo, sovrapporli tagliandoli in rettangoli di 5 per 8 cm e cuocerli in forno preriscaldato a 160° fino alla doratura. Comporre le millefoglie alternando il salmone (circa 500 gr. di salmone affumicato affettato KV Nordic), la crema, i cetrioli affettati sottilmente e la pasta fillo.

Fratelli Rinaldi, esclusiva per Casa Gheller Storico il Prosecco dalla famiglia Moretti Polegato, che negli anni ottanta rileva il marchio Casa Gheller, famiglia di viticoltori in Valdobbiadene produttori di quei famosi Valdobbiadene Prosecco D.o.c.g. e Prosecco D.o.c. riconoscibili dall'inconfondibile legatura a spago, omaggio alla consuetudine di legare i tappi del vino leggermente frizzante per garantirne la tenuta. Una tradizione proseguita anche con il nuovo packaging di Casa Gheller che oggi, per volontà della famiglia Moretti Polegato, gli attuali proprietari del marchio, sarà distribuito in esclusiva da Fratelli Rinaldi Importatori sul mercato italiano. Un accordo distributivo suggellato proprio da un innovativo restyling del marchio, delle bottiglie e delle etichette, con l’obiettivo di conferire a Casa Gheller un’identità allineata al concetto più attuale e contemporaneo del Prosecco e del suo consumo. Soddisfazione per Giancarlo Moretti Po-

legato, Presidente di Casa Gheller "per la lunga esperienza e tradizione di Fratelli Rinaldi Importatori nel mondo delle bollicine, che con Casa Gheller incontrano ora il Prosecco". A cui replica Giuseppe Tamburi, Presidente di Fratelli Rinaldi Importatori: "La splendida nuova veste della marca è l’auspicio migliore per l’imminente, forte rilancio distributivo e d’immagine di Casa Gheller, uno dei nomi più autentici e gloriosi nella produzione del Prosecco di altissima qualità".

Travaglino, brindisi con il Classese Dopo più di sei anni di attesa Cantina Travaglino, azienda storica dell’Oltrepo Pavese, stappa l'annata 2006, etichetta di punta della cantina. Si tratta del Classese Brut Selezione 2006, Oltrepo Pavese D.o.c.g. Metodo Classico, spumante che ha debuttato sul mercato con il millesimo 2006, prodotto solo nelle grandi annate e ottenuto dalle migliori uve Pinot Nero e Chardonnay, rigorosamente selezionate già in fase di vendemmia. Una storia secolare, quella del Classese, che nasce nelle cantine dell'azienda – di cui si ha traccia già nel 1111 – , dove le uve rifermentano per almeno 48 mesi sui lieviti, per essere degorgiato e commercializzato solo dopo cinque o sei anni. Il colore giallo paglierino, il caratteristico profumo ricco di sentori di crosta di pane e frutta esotica e il perlage finissimo e persistente, fanno di questo spumante un perfetto compagno sia al momento dell'aperitivo, sia a tutto pasto, abbinato anche a piatti robusti e strutturati, e non deluderà anche a distanza di 10-15 anni.


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Giorgio e Paolo Polegato

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Perfetta mise en place Rhex, il nuovo Salone della Ristorazione e dell'Ospitalità svolto a Rimini dal 23 al 26 febbraio, ha ospitato anche due tra i più importani marchi legati al mondo della tavola e della mise en place. Broggi e Villeroy&Boch hanno così esposto alcune novità dedicate al settore dell'hotellerie: Manhattan, la nuova linea di Broggi, è pensata per la preparazione di brunch e buffet, ispirata ai palazzi di New York; Affinity, novità 2013 del marchio Villeroy&Boch, è invece una collezione multifunzionale capace di rispondere alle esigenze dell'impiattamento incontrando il gusto del cliente. L'occasione ha visto anche protagonista il concorso Affinity Competition, un contest che ha coinvolto chef e ristoratori di tutta Italia.

Ferrari: bollicine a Fiumicino Dopo Madonna di Campiglio, Napoli e Porto Cervo, l'esclusiva formula di Ferrari Spazio Bollicine "atterra" – è il caso di dirlo – all'Aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino, a Roma. Il lounge

bar, nato dalla partnership con MyChef Emotion, nuova divisione di MyChef, vuole offrire alla variegata clientela dell'aeroporto un punto di incontro con il meglio della Trentodoc firmata Tenute Lunelli, bollicine sempre abbinate alle proposte dello chef Alfio Ghezzi, stellato di casa Ferrari. Obiettivo è quello di valorizzare la tipicità gastronomica italiana all'insegna della semplicità e della freschezza degli alimenti proposti: grandi salumi, olio del Garda Trentino Dop, carciofi alla romana, mozzarelle e pomodorini, il tutto accomodato in vassoi di ceramica su un grande tavolo espositivo refrigerato. Ampia la selezione di Ferrari Trentodoc, con degustazioni al bicchiere di tutte le etichette della casa, fino ai millesimati, accanto all'offerta di vini fermi, trentini, umbri e toscani, sia delle Tenute Lunelli, sia di alcune grandi famiglie del vino italiano. Così commenta il progetto Matteo Lunelli, Presidente delle Cantine Ferrari: "Nato in alcune delle piazzette più prestigiose d’Italia, il Ferrari Spazio Bollicine arriva per la prima volta in un contesto aeroportuale con un concept innovativo. Questo è un passo importante perché può costituire un modello per creare nel mondo altri locali all’insegna di quell’arte di vivere italiana di cui Ferrari è espressione". Seguono le parole di Sergio Castelli, AD di MyChef: "La formula dello Spazio Bollicine, oltre ad essere di grande pregio, si rivela molto adatta al contesto degli aeroporti, dove la clientela è molto attenta alla qualità e all’innovazione. E la competenza

della nostra divisione MyChef Emotion rappresenta la miglior risposta nella partnership con Cantine Ferrari, per l’attenzione e cura del dettaglio". Il Ferrari Spazio Bollicine si trova al Terminal 1, area B, dell'Aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino, in corrispondenza del gate 8.

Matto delle Giuncaie formato mignon Sulle colline di Vinci, a Ovest di Firenze nell'area del Montalbano, Fattoria Dianella si estende su 90 ettari di cui 25 a vigneto. L'antico borgo risale alla fine del XVI secolo dove troneggia la villa Medicea Dianella utilizzata dai Medici come casino di caccia, oggi simbolo di una tradizione vitivinicola che culmina con gli attuali proprietari Francesco e Veronica Passerin d'Entrèves

che hanno curato personalmente il restauro del borgo e che seguono tutte le lavorazioni in vigna e in cantina, convinti che il vino sia espressione del proprio territorio. Oltre al Chianti e Chianti Riserva, la fattoria propone Le veglie di Neri, All'aria Aperta, Sereno e Nuovole, Dolci Ricordi Vendemmia Tardiva e olio extravergine di oliva. Ultimo, non certo per ordine di importnaza, il Matto delle Giuncaie, rosso Igt di Fattoria Dianella che nasce solo da uve sangiovese, un vino capace di regalare morbidezza e bevibilità inaspettate. Imbottigliato per la prima volta

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nel 2001, Fattoria Dianella lo propone ora in un nuova veste che rispecchia un nuovo modo di bere vino: Il Matto delle Giuncaie sarà infatti proposto anche nella versione mignon da 375 ml, un piccolo assaggio dedicato a chi vuole concedersi il piacere e la qualità di un grande rosso, anche per un solo bicchiere.

Astoria Vini, vola il fatturato Ottimo 2012 per Astoria Vini, azienda vitivinicola di Refrontolo (Tv), che ha raggiunge i 30 milioni di euro di fatturato, con un incremento del 4,5%. L'azienda conferma una crescita costante: da 3,6 milioni di bottiglie nel 2008 fino a superare quest’anno i 5 milioni di bottiglie (+4,8%), in cui la parte da leone la fanno gli spumanti, in particolare la linea Cold Wine, spumanti a bassa gradazione. "Il 2012 è stato l'anno del Cold Wine Pink, il nostro spumante rosato a bassa gradazione – dichiara Paolo Polegato, titolare insieme a Giorgio Polegato di Astoria Vini –. Lanciato all'ultimo Vinitaly con l'obiettivo di raggiungere le 100mila bottiglie nel primo anno, ha superato le 300 mila. Merito anche della sponsorizzazione del Giro d'Italia e di oltre 400 serate a tema che abbiamo organizzato nei locali per fidelizzare la clientela. Riscontri superiori alle aspettative anche per il Celebration, il Prosecco Doc Treviso Millesimato lanciato lo scorso anno per festeggiare il 25 anni dell'azienda. Nel 2013 rafforzeremo la linea 9.5 che diventerà una gamma completa con due nuovi prodotti, Red e Zerotondo, proseguendo quindi con l'avventura dello Spumante Alcohol Free che ha avuto ottimi riscontri perché offre ai bar una valida alternativa non alcolica". Ma sono soprattutto i mercati esteri a segnare una crescita schiacciante del 14,5%, rappresentando ben il 38% delle vendite totali: in primis Giappone e Stati Uniti, seguiti delle new entry del Venezuela, Reunion e Canada.



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Krug Lovers a Milano con Bartolini

Dopo Parigi, con gli chef Arnaud Lallement e Emmanuel Renaut, la Maison Krug ha selezionato lo chef stellato Enrico Bartolini per l’apertura del suo primo ristorante “effimero” a Milano. Una scelta vincente, quella dello chef del Devero (il ristorante a Cavenago Brianza), visto il successo ottenuto da Krug en Capitale durante la settimana della moda milanese, a fine febbraio. Ogni sera 40 posti disponibili, scegliendo fra tre menu d’eccezione, elaborati dallo chef e dalla sua brigata, in abbinamento alle Cuvée della Maison.

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Krug en Capitale si è così rivelata un’occasione indimenticabile per degustare gli champagne più celebri al mondo, all’interno di una location senza pari, al ventisettesimo piano della Diamond Tower, a Porta Nuova. La “torre” è l’edificio in acciaio più alto d’Europa e si staglia per 140 metri dal suolo, creando un effetto estetico straordinario, di vaga impronta futuristica, in linea con la progettualità architettonica della città che vede un grande movimento di innovazione. Non poteva esserci location migliore per le bollicine preziose di Krug, apprezzate dai Krug Lovers che hanno letteralmente occupato tutti i tavoli del ristorante “aereo”

e che hanno potuto degustare le prestigiose bollicine di Grande Cuvée, Krug 2000, Krug Rosé: una terna straordinaria, che si è sposata perfettamente ai grandi piatti proposti durante le serate. Alla cena inaugurale di Krug en Capitale, apertasi con Grande Cuvée, finger food e stuzzichini, Enrico Bartolini ha dato il meglio di se stesso, confermando la sua genialità e la sua esperienza, oltre che la sua capacità di introspezione e conoscenza dei gusti (delle materie prime) e delle preferenze (dei gourmet). Per l’occasione ha proposto un menu perfetto, per esecuzione, ingredienti, presentazione: sgombro e foie gras confit al profumo di mandarino, abbinato a Krug 2000, bottoni di olio e lime con salsa al cacciucco e polpo alla brace,

abbinato a Krug Rosè, vitello in rosa al cavolfiore, abbinato a Grande Cuvée, cartelletta alla crema di limone e lampone con gelato allo yogurt di capra. Un’esperienza gustativa memorabile, che ha visto protagoniste le eleganti bollicine della Maison, la quale ha inteso rivolgere un omaggio a Milano, ritenuta oggi la capitale internazionale dell’eccellenza, come ha sottolineato la presidente di Krug, Margareth Enriquez, durante la serata di apertura. Lo stile Krug si è rivelato, ancora una volta, all’altezza delle aspettative, avvalorate dall’incredibile equilibrio tra potenza e raffinatezza, vivacità e persistenza, freschezza e armonia. Per il grande esercito degli amanti di Krug, un’occasione indimenticabile, da replicare senza attendere troppo...


Cantina Tramin sinfonie olfattive dalla culla del Gew端rztraminer Termeno | Alto Adige S端dtirol | Italia

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Vinexpo annuncia: consumi in CRESCITA Consumo di vino nel mondo

previsione vino fermo

vino frizzante

volumi espressi in milioni di casse da 9 litri

Top ten dei paesi consumatori

vini fermi e frizzanti

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volumi espressi in milioni di casse da 9 litri

di Luisa Contri La lunga crisi non annacqua il mercato globale del vino. Secondo l’11° studio globale sui trend in atto nei mercati internazionali del vino e degli spiriti, commissionato da Vinexpo, nel quinquennio 2012-2016 i consumi di vino a livello mondiale cresceranno sia a volume che a valore, a fronte di una produzione sostanzialmente stabile. “E in questo scenario” spiega ad Artù Xavier de Eizaguirre, presidente di Vinexpo, “i produttori italiani hanno ottime chance di ulteriore affermazione sui mercati internazionali”. Ma facciamo un passo indietro e, prima di guardare in casa nostra, approfondiamo le principali evidenze globali della ricerca condotta in 28 paesi produttori e 114 mercati consumatori dall’agenzia The International wine and spirit research (IWSR), per conto del salone internazionale del vino e dei distillati, che si terrà a Bordeaux dal 16 al 20 giugno prossimi. Come anticipato, la produzione globale di vino non è prevista in crescita. Dai 3 miliardi di casse da 9 litri del 2011, e dopo 2-3 anni di ulteriore leggera contrazione, la produzione dovrebbe risalire lievemente, raggiungendo i 3,1 miliardi di casse nel 2016. Una stabilità


complessiva che deriva però da una forte regressione dei volumi nei tre grandi paesi europei del vino: Francia, Italia e Spagna, conseguente la politica di sostegno agli espianti, compensata dalla crescita produttiva di paesi come Cina, Cile e Argentina, che stanno ampliando le loro superfici vitate. “Fra le indicazioni più interessanti della ricerca” afferma de Eizaguirre, “c’è senz’altro la tenuta dei consumi di vino sia fermi che frizzanti nel quinquennio 20072011 e ciò nonostante la crisi globale”. Guardando al futuro, nel periodo 20122016, IWSR prevede un’accelerazione della crescita dei consumi a volume: +5,31% contro il +2,83% del quinquennio 2007-2011, che li porterà a superare i 2,8 miliardi di casse (pari a poco meno di 34,5 miliardi di bottiglie). A fronte, però, di una crescita a valore dell’8,66%, più contenuta rispetto al +15,3% del quinquennio precedente, ma che porterà il business del vino a sfiorare i 183 miliardi di dollari. Un andamento del mercato globale del vino, questo, che si spiega con un’ulteriore crescita della domanda negli Stati Uniti (+12,16%), ma in particolare nei paesi emergenti: in prima battuta in Cina (+39,67%) e Russia (+17,79%), che già nello scorso quinquennio si posizionavano rispettivamente al 5° e all’8° posto nella

classifica dei dieci paesi maggiori consumatori. E in un secondo momento, prevedibilmente nell’arco dei prossimi 20-25 anni, in India e Brasile. Lo sviluppo della classe media in questi paesi sosterrà di fatto quello dei consumi di vino. Al trend positivo dei consumi fuori dall’Europa fa da contraltare la contrazione della domanda in Italia (–4,89%), Spagna (–4,31%) e Francia (–2,91%), oltre che nel Regno Unito (–3,66%) e in Argentina (–2,38%), limitandoci ai primi dieci paesi consumatori. “Una perdita in termini di volumi” fa notare de Eizaguirre, “accompagnata però da un aumento del valore delle bottiglie consumate. Tendenza, questa, che si registra anche a livello globale, ma che in Italia è più accentuata”. Se a livello globale nel periodo 2011-2016 IWSR prevede una crescita del 2,77% della domanda di bottiglie di fascia economica (fino a 3,59 euro), del 9,99% di quelle di prezzo medio (compreso fra 3,59 e 7,19 euro), e del 29,93% di quelle più pregiate (da 7,19 euro in su), in Italia la richiesta di vino economico in bottiglia dovrebbe scendere nello stesso periodo dell’8,2%, mentre quella di vini di fascia media e alta dovrebbe salire rispettivamente del 13,49 e del 23,24%. “Francia, Italia e Spagna” prosegue de Eizaguirre, “possono co-

munque guardare con ottimismo al futuro, forti del positivo andamento del loro export. Ciò vale in particolare per i produttori italiani. L’export di vini del Belpaese, nel passato quinquennio, è incrementato del 42,69% a volume e del 52,68% a valore. Da poco più di 2,85 miliardi di euro nel 2007 le nostre esportazioni hanno superato i 4,35 miliardi di euro nel 2011”. Nello stesso periodo i francesi hanno incrementato il loro export a valore del 5,24% e gli spagnoli del 24.31%. Se l’atout della Francia è la sua capacità di vendere all’estero vini pregiati dall’alto costo unitario, l’Italia del vino ha nella popolarità della sua cucina nel mondo un elemento di traino ineguagliato. Ha inoltre dimostrato un’ottima capacità di conquistare posizioni di leadership con una gamma di vini di prezzo medio, ma di buona qualità. Guardando al futuro il ricco mercato tedesco, il volubile mercato britannico (dove avremo buone chance di prendere il posto dei vini australiani che hanno deluso i sudditi della regina Elisabetta) e il grande, e tuttora in crescita, mercato statunitense, continueranno a essere i più importanti sbocchi per il vino italiano. Ma non andranno trascurati i mercati emergenti, Cina in primis, ai quali proporre sia vini d’eccellenza, per l’elite alla ricerca

Top ten dei paesi esportatori

valore espresso in milioni di dollari USA / vini fermi e frizzanti

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Consumo Italia: fermi e frizzanti

previsione vino fermo

vino frizzante

volumi espressi in milioni di casse da 9 litri

Consumo Italia: rossi, bianchi, rosé

previsione vino rosso

vino bianco

vino rosé

volumi espressi in milioni di casse da 9 litri

Principali mercati dei vini italiani

vini fermi e frizzanti

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volumi espressi in milioni di casse da 9 litri

di status symbol, sia prodotti di fascia media per i consumatori della classe media che gradualmente si accultureranno in fatto di vino e affineranno i loro gusti. Né l’Est europeo. Le vendite di vini italiani in Ungheria sono più che raddoppiate nel quinquennio 20072011 raggiungendo i 132 milioni di bottiglie. Quanto ai consumi di spirits, IWSR stima che saranno ancora in crescita nel quinquennio 2012-2016, in particolare nei paesi asiatici, che oggi rappresentano il 61% dei consumi totali. Ma si tratterà di una progressione meno intensa rispetto a quella del quinquennio 2007-2011 (+8,98% contro il precedente +32,64%). In questo mercato, che dovrebbe superare di poco i 3,33 miliardi di casse da 9 litri nel 2016, le migliori progressioni le metteranno a segno cognac e armagnac (+12,22%), seguite da scotch whisky (+12%), tequila (+10,33%) e rum (+10,24%). In Italia i consumi di superalcolici sono previsti invece in contrazione (–4,7% nel quinquennio 2012-2016), seppure meno intensi rispetto al periodo 2007-2011 (– 6,85%). In un mercato da 14,84 milioni di casse da 9 litri, crescerà soltanto la domanda di vodka (+18,25%) e di rum (+9,04%).


Vi aspettiamo a Vinitaly 2013 Pad. Regione Lombardia Area Franciacorta Stand B16


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Fratelli Chiarli I signori del Lambrusco 20

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di Giovanna Moldenhauer

qui nelle sue molte varietà, non si è divulL’azienda modenese, creata su solide gato da altre parti. e antiche radici, esprime la miglior Molte varietà si sono sintesi tra avanguardia e rispetto perse definitivamente, della tradizione vinicola emiliana. dato che alla fine delFondata nel 2001 prevedeva nel suo l’Ottocento erano caprogetto d’esordio, in particolare, la talogate più di cento rivalutazione del vitigno simbolo della tipologie. Oggi quelle più conosciute sono zona nelle sue diverse tipologie. soprattutto tre: il “Il lambrusco è un gran vino, quando lambrusco Graspaviene prodotto con le sue caratteristi- rossa di Castelche, così come nasce! La sua unicità vetro, il Sorbara è motivata dal fatto che viene bene e il Salamino solo qui”. Queste affermazioni fanno di Santa Croparte del nostro incontro con Anselmo ce. Nei camChiarli, presso la Tenuta Cialdini di Ca- pi si trovastelvetro. Il paesaggio che troviamo no anche al nostro arrivo è di una campagna le variedolcemente ondulata dove gli edifici tà Olistorici sono circondati da molti vigneti e dalle colline dell’Appennino Modenese. Anselmo rappresenta, con il fratello Mauro, la quarta generazione dell’azienda fondata nel 1860 dal trisavolo Cleto Chiarli. La volontà di realizzare la produzione di vini d’alta gamma ha portato i fratelli a realizzare una nuova cantina presso la Tenuta di Castelvetro (divenuta operativa nel 2003) e a creare la Cleto Chiarli Tenute Agricole che produce, vinifica ed elabora solo uve provenienti dai vigneti di proprietà. “Per questo progetto – racconta Anslemo – ho parlato con mio fratello e ci siamo detti: “Siamo l’azienda più vecchia del Lambrusco, è nostro dovere portarla avanti al meglio”. Mauro Chiarli ha da decenni riordinato la gestione di tutta l’azienda agricola accorpando i vigneti in tre Tenute, eseguendo un’attenta selezione dei cloni, recuperandone alcuni di grande pregio, valutando con approfondite analisi i terreni. “Il lambrusco è, non dico l’unico – prosegue Anselmo – ma forse uno dei pochi veri autoctoni nel senso della parola. Quando si intende autoctono si vuole dire un vino ottenuto da una zona dove la tipologia di uva è presente da qualche centinaio d’anni. Il lambrusco si è sviluppato qui, ha fatto qui il suo percorso, si è fermato Artù n°55

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va, Maestri, Montericco, Marani che vengono tuttora utilizzate nella composizione dei vigneti. Si può dire che è una grande famiglia di uve”. Le più note devono la loro rinomanza a caratterische peculiari: il vitigno Sorbara è avaro, difficile, molto particolare, legato alla natura del terreno alluvionale del Secchia, di grande fertilità, con decisa salinità. La qualità del Grasparossa è anch’essa storica. Il Salamino di Santa Croce è coltivato in una larga fascia a nord di Modena e nel reggiano. Si è sparso un po’ di più perché ha delle proprietà di produzione, colore e solidità maggiore delle altre due qualità. “Nei nostri vigneti – prosegue Anselmo – ci sono vigne che hanno più di trenta anni, altre sono state rinnovate da mio fratello Mauro, con una potatura sopra l’innesto. Le viti hanno rigermogliato sopra salvando tutto l’apparato

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radicale, ritornando, in questo modo, produttive in tempi brevi. La zona del lambrusco Grasparossa è importante per numero di ettari. Nella zona del Sorbara della Tenuta Sozzigalli – dove alcuni cloni salvati da mio fratello verranno classificati a breve come cloni Chiarli – si trova un vigneto da cui otteniamo i cru Vecchia Modena Premium, vinificato con un particolare metodo martinotti/charmat, e Fondatore rifermentato naturalmente in bottiglia secondo il metodo tradizionale per una nicchia di 15.000 bottiglie all’anno”. Entrambi i vini hanno raggiunto i massimi punteggi sulle guide Ais e Gambero Rosso. La Cleto Chiarli produce, con cento ettari di proprietà, diversi vini, soprattutto di Grasparossa e Sorbara. La prima tipologia arriva soprattutto dalla Tenuta Cialdini e dalla Tenuta Belvedere, la seconda dalla Tenuta Sozzigalli. La qualità Sa-


lamino invece è impiegata solo in uvaggio con Grasparossa per il Nivola, vino dedicato a Tazio Nuvolari. Le etichette dell’azienda sono per la maggior parte classificate come D. O. C. (di Grasparossa o Sorbara in particolare) e spumanti V. S. Q. Riguardo alla vinificazione ascoltiamo il racconto di Anselmo Chiarli: “Il Lambrusco è un vino che facilmente ti scappa di mano. Qui siamo riusciti, con la nuova cantina, a imbrigliarlo. Durante la vendemmia cerchiamo di raccogliere al mattino presto per le alte temperature nelle campagne”. Dopo la pigiatura, il mosto che entra in cantina viene subito refrigerato per abbassarne la temperatura di 15° C. In seguito è trasferito nei vinificatori dove vengono effettuate le macerazioni per il Sorbara di 24 ore, per il Grasparossa, a seconda del grado di maturazione, su parametri da 36, a 48, a 72 ore. Il processo è eseguito a freddo per non iniziare la fermentazione. Il mosto viene poi svinato, filtrato e messo in serbatoi refrigerati dove viene stoccato alla temperatura di 0° C. A differenza di quanto avviene normalmente per il lambrusco la cui presa di spuma viene effettuata in autoclave attraverso una seconda fermentazione di un blend di vino fermentato e mosto, i vini a marchio Cleto Chiarli, prodotti nella cantina di Castelvetro, diventano frizzanti attraverso una sola fermentazione in “cuve close” ad una temperatura di 13°/14° C per un tempo di 60/90 giorni. Questa singola fermentazione consente di ottenere prodotti molto fruttati e totalmente integri. La precipitazione dei sedimenti residui della fermentazione avviene esclusivamente a mezzo refrigerazione (-3° C per un periodo di 15 giorni circa) sicché la stabilizzazione del vino è svolta in modo del tutto naturale. L’impressione, confermata da Anselmo, è che il metodo “cuve close” sia semplice, con ottimi risultati nonostante i costi più alti di produzione. Per le etichette Modém Blanc, ottenuto da uve Pignoletto, e Brut de Noir Rosé, da lambrusco Grasparossa per l’85% e da Pinot Nero per il 15%, vengono

aggiunti lieviti selezionati dato la loro tipologia di spumanti brut. Incuriositi, Anselmo ci spiega anche le tipologie di chiusure utilizzate: “Da più di un anno utilizziamo per la maggior parte dei nostri vini i tappi Mytik della Diam. Non danno nessuna contestazione da parte dei clienti, anche per l’aspetto dell’estrazione. Per le bottiglie chiuse con il tappo raso impieghiamo modelli differenti”. Durante la nostra chiacchierata abbiamo degustato dapprima un calice di Modém Blanc brut da uve Pignoletto. Aveva una spuma abbondante, con perlage fine e persistente, un naso leggermente aromatico con profumi di frutta che si ritrovavano poi in bocca. A seguire Anselmo ci ha proposto di conoscere dapprima il Vecchia Modena Premium da Sorbara al 100%. Siamo rimasti colpiti dal colore rubino chiaro con spuma fine ed evanescente, poi dal naso con intensi profumi di fragoline di bosco, ribes, seguiti da note floreali delicate di rosa. Al gusto era secco, fresco e sapido, intenso e armonico. In seguito nel calice è stato versato il Lambrusco del Fondatore sempre da uve Sorbara Artù n°55

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fermentato in bottiglia. Nonostante sia ottenuto dallo stesso vitigno è diverso nei profumi di amarene, frutti di bosco, more, grazie alla diversa tecnica di vinificazione. In bocca aveva un gusto secco, fresco e sapido. Come terzo vino abbiamo degustato il Vigneto Enrico Cialdini da uve Grasparossa di Castelvetro. Aveva un colore porpora con riflessi violetti e una spuma persistente. I profumi di more e lamponi erano accompagnati da note floreali e di eucalipto. Una buona acidità si accompagnava a tannini smussati, a un buon corpo. I tre vini da uve lambrusco, tra i più rappresentativi dell’azienda, erano di una grande piacevolezza e fascino accativante. La visita ha permesso di conoscere un'importante protagonista del territorio e di approfondire la conoscenza di un vitigno nelle sue varie espressioni.

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Salone Internazionale dell’Ospitalità Professionale

18-22 Oct. 2013

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Locanda Le Muse La carne abita qui di Alessandra Piubello "Fatti avanti, bistecca sui ferri, tagliata nel manzo giovane, con la costola attaccata; tu somigli a una lastra di broccatello, rosso e venato di bianco; tu vai cotta con gran fuoco di carbone di leccio dall’una e dall’altra parte, fino a che i ferri della graticola v’abbiano lasciato la loro ombra, e condita con una spruzzatina d’olio, di sale e pepe; fatti avanti senza vergogna, guarda senza timore la faccia sanguinante del rosbiffe all’inglese e quella mascherata della cotoletta alla milanese; non hai certo da scomparire al paragone". Vita di Nicolò Machiavelli di Giuseppe Prezzolini Trionfo delle carni alla Locanda Le Muse di Locara di San Bonifacio, quelle della Longino&Cardenal. Nessun vegetariano presente all’ultimo appuntamento a tema “Incontri di gusto” organizzato dalla famiglia Cederle nelle eleganti sale del ristorante familiare concepito nel 1974. Fornitore abituale di questo locale, conosciuto come storico nell’area est veronese, Longino&Cardenal (v. articolo in altra parte della rivista, a pag. 54) è una garanzia per l’attenzione riservata alla ricerca delle specialità rare e preziose. L’azienda di Pogliano Milanese venne fondata venti anni fa da quattro ragazzi appassionati per l’alta ristorazione ed il cibo. Il nome è di fantasia, ispirato alla storia inventata di due personaggi: Longino, uno svizzero di nobili origini, e Cardenal, un pescatore cubano, che, accomunati dalla passione per la gastronomia, si associano per selezionare in giro per il mondo le più raffinate specialità alimentari. L’azienda nel tempo aggiunge ai prodotti di nicchia un'offerta che spazia dall'antipasto al dessert. Ma torniamo alla cena. Armati di degni coltelli, assaporiamo dunque carne bovina e i suoi rossi peccati (con un consono fil rouge: i vini dell’azienda Piovene Porto Godi). Il menu, predisposto dal giovane chef Davide Piva, prevede vari assaggi realizzati con cotture, tagli e lavorazioni differenti, proponendo più

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razze, provenienti da diverse aree. L’apertura della degustazione è riservata al filetto Riding Reserve, con un carpaccio di cuore di filetto, sale maldon e particella 34 Pianogrillo, seguito da una tartare di testa e coda. Due esempi di carne succulenta e morbidamente fresca, dal gusto deciso e corroborante. È il Thovara di Piovene Porto Godi ad accompagnare il piatto. Un calice che ci porta a Toara (significa terra buona) nei Colli Berici, area estremamente vocata per questo Tai rosso del 2009: un’espressione armoniosa del vitigno autoctono di questa zona. Ottenuto da uve raccolte al massimo livello di maturazione, vinificato e maturato in tonneaux francesi per un anno, è un vino di spessore in cui si fondono sapidità e potenza alcolica. Proseguiamo l’assaggio con una pietanza di salumi: Vacum Beef e Bresaola Kaiserin. Il primo, dalla lunga frollatura con ventiquattro mesi di stagionatura, resta impresso per il sapore equilibrato ma intenso. La sapidità e la lunghezza gustativa della bresaola trovano un buon connubio con il merlot Frà i Broli 2010. Le Muse del quadro di fronte (che hanno ispirato il nome del locale) sem-


brano prendere vita al passaggio dei fumanti e profumati piatti successivi. In questi la mano precisa di Davide Piva si esprime nella cottura millimetrica alla griglia del controfiletto di carne americana Choise Us Beef e di quello di Vacca Vieja Luxury beef proveniente dalla Spagna. Carni fragranti, succose e di una morbidezza tale da sciogliersi letteralmente in bocca. Si chiude la carrellata carnivora con uno stufato di guancia di manzo al Merlot Frà i Broli, forse il piatto meno memorabile della serata. Dulcis in fundo, mousse al torrone e torrone entrambi a firma di Jijona Pablo Garrigòs Ibànez e bombolas di Enric Rovira, prelibatezze selezionate sempre da Longino&Cardenal. Un bicchiere di Thovara passito 2010 et voilà, les jeux son faits. Restano nel ricordo, oltre alle piacevoli sensazioni gustative, il sorriso appassionato di

Carla Perlotto, perfetta “padrona di casa”, l’operosità sentita di Emanuele Cederle, patron che unisce le due anime sala e cucina, e l’energia propositiva di Davide Piva, chef che dal 2000 fa parte del nucleo operativo.

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Eblex, bontà sicura sotto ogni aspetto

Dall’allevamento alla tavola le carni inglesi abbracciano la “trasparenza” comunicando con il consumatoregourmet tutte le fasi della loro lavorazione. E dal mese di febbraio è nato il “Roast Beef Club”, la prima associazione che riunisce le macellerie e i ristoranti che utilizzano il beef Eblex. La qualità non è improvvisazione, lo sa bene Jeff Martin, responsabile dell’ufficio italiano di Eblex, il consorzio di promozione delle carni bovine e ovine d’oltremanica, che da molti anni sta lavorando per comunicare al mercato italiano il valore di una carne che proviene da un paese – l’Inghilterra – dove l’allevamento ha una tradizione secolare e i controlli sulla filiera sono all’ordine del giorno. Non solo: Eblex ha avviato proprio in Italia una serie di iniziative e di azioni volte a garantire ancora di più l’acquisto di questa carne bovina, quali l’etichetta facoltativa che indica il periodo di frollatura della carne, oppure l’istituzione del Roast Beef Club, un’associazione che riunisce macellerie e ristoranti che utilizzano la carne bovina Eblex. Dall’allevamento alla nostra tavola, dunque, è possibile

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sapere tutto di questo beef perché la qualità dipende dal lavoro di tutti i soggetti che intervengono lungo il processo produttivo: dall’allevamento alla macellazione, dalla trasformazione alla distribuzione, ogni singolo componente contribuisce al valore del risultato finale. In Inghilterra i controlli sull’intera filiera sono molto severi e tutti i produttori rispettano le misure di sicurezza alimentare. Proprio per garantire al consumatore la sicurezza e la provenienza della carne acquistata, Eblex ha introdotto nel 2005 un marchio di qualità: il Quality Standard Mark (QSM), il cui disciplinare impone norme molto rigide e l’intera filiera è oggetto di verifica da ispezioni indipendenti secondo gli standard dell’Unione Europea. Solo la carne di manzo e di agnello prodotta, trasportata e macellata attraverso la catena di produzione garantita da EBLEX, può essere contrassegnata con il marchio Quality Standard. Questo sigillo costituisce una parte importante della strategia di EBLEX: esso, infatti, si propone di differenziare manzo e agnello “EBLEX-Quality” dalla carne “comune”, favorendo così in modo diretto e significativo lo sviluppo di un’industria delle carni di qualità. Grazie a questa tracciabilità di filiera, il consumatore italiano sa di aver acquistato una carne garantita e controllata: tutto questo per offrire una bontà sicura sotto ogni aspetto. Con l’obiettivo di dare ulteriori garanzie al momento dell’acquisto Eblex ha inoltre attivato due importanti azioni appositamente per il mercato italiano. La prima riguarda l’introduzione dell’etichetta facoltativa relativa alla frollatura che, per queste carni, si attesta ad un minimo di 7 giorni in osso: oltre alle informazioni obbligatorie, quali il codice di rintracciabilità, il paese di nascita, di allevamento, di macellazione e di sezionamento, il consumatore italiano potrà sapere con che modalità è avvenuta la maturazione della carne appena acquistata. La seconda iniziativa per il mercato italiano, – ed è questa la grande novità per il 2013 – invece, è l’istituzione del Roast Beef Club, l’associazione che riunisce le macellerie, i


punti vendita specializzati e i ristoranti che, da nord a sud della penisola, vendono o prevedono nei loro menu il beef d’oltremanica. Alla base di questo progetto tutto made in England, c’è il desiderio da parte dell’Ente inglese di soddisfare la richiesta del consumatore italiano di dove poter comprare o mangiare la pregiata carne bovina. Il beef Eblex è, di fatto, presente sul mercato nazionale da molti anni e, proprio in virtù della domanda sempre maggiore, si è reso necessario organizzare una vera e propria mappa dei luoghi di consumo e di vendita di questo prodotto. Il Roast Beef Club è quindi innanzitutto una “bussola” a disposizione del consumatore: basterà infatti collegarsi a uno dei due siti della società (www.eblex.it o www.carneperfetta.it) per consultare l’elenco dei nominativi e degli indirizzi degli aderenti all’iniziativa ed orientarsi nella ricerca della qualità. “Riunire in un unico Club tutti i clienti e gli amici di Eblex – spiega Jeff Martin

rappresentante Eblex in Italia – ci è sembrato il modo più semplice per fornire al consumatore italiano indicazioni su dove trovare il nostro beef. Le macellerie e i ristoranti aderenti all'iniziativa saranno riconoscibili grazie al logo esposto che li qualificherà come punto di consumo di questa carne d'eccellenza. Chi ne farà parte, inoltre, sarà automaticamente “garante” dell’eccellenza e della qualità tipiche della nostra carne”. Quali invece i vantaggi per i membri del Club? “Gli iscritti avranno sicuramente un filo diretto con Eblex per qualsiasi problema o necessità legata agli ordini e agli acquisti” spiega Martin. “Eblex è inoltre molto attiva a livello promozionale, partecipa a numerosi eventi e manifestazioni per cui sarà un piacere per noi coinvolgere anche i clienti nelle nostre attività di comunicazione. Infine – puntualizza Martin – l’iscrizione è totalmente gratuita e resterà valida finché l’associato non vorrà revocarla”.

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Monte delle Vigne Passione e unicità

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di Alberto P. Schieppati Sui colli di Parma, tra le dolci colline adagiate sul fiume Taro, nascono vini di forte personalità, capaci di rispettare profondamente il territorio, regalando emozioni memorabili grazie a etichette di estrema caratterizzazione. Il tutto grazie a Paolo Pizzarotti ed Andrea Ferrari, che hanno saputo valorizzare un terroir ad altissima vocazione, in cui il vitigno autoctono (e il rispetto dell’ambiente) la fanno da padrone. C’è chi, in un territorio unico e baciato dalla sorte, produce con passione, costanza e determinazione grandi vini, destinati a un consumo intelligente e qualificato, i cui protagonisti principali sono gli enoappassionati alla ricerca di un’offerta coerente e fortemente caratterizzata. Un privilegio, questo, reso possibile dal lavoro costante, ostinato e appassionato di chi ha voluto ridare impulso e valore ad un terroir senza eguali, connotato da colline dolci, linee morbide che da 300 metri di altitudine digradano verso la riva destra del fiume Taro. Questi “signori del vino”, apparentemente defilati rispetto a zone “vocate” di paludata notorietà, producono le proprie etichette in provincia di Parma, in un territorio che già nel 1250 veniva definito da Fra Salimbene de Adam – frate e studioso di profonda cultura, una delle fonti storiche più interessanti del secolo XII – “li monti de le vigne”, oggi Monte delle Vigne (www.montedellevigne.it). Dolci colline adagiate sulla riva destra del fiume Taro, solcate dall’antica via Francigena, il cammino della Strada Romea che ha unito per secoli Roma all’Europa favorendo cultura, correnti di pensiero, scambi intellettuali di grande valore. Una zona, già decantata nel Medio Evo, che ha assunto nel corso dei secoli un’importanza strategica per la coltivazione della vite, perfezionatasi nell’Ottocento grazie a un processo di progressivo rinnovamento delle metodiche tradizionali dell’agricoltura. Artù n°55

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Alcuni proprietari terrieri della zona fecero propri gli insegnamenti delle scuole enologiche di impronta francese e, lentamente ma progressivamente, riuscirono a creare un unicum produttivo, connotato da costanza produttiva e ricerca ossessiva del meglio. Dopo una parentesi storica, fra le due guerre, in cui la vitivinicoltura locale segnò una battuta d’arresto (per motivi contingenti ma anche in seguito all’arrivo della filossera), è solo nell’ultimo dopoguerra che il vino ritorna ad essere protagonista incontrastato di queste colline dalle caratteristiche pedoclimatiche uniche. Terreni profondi, marnosi, ricchi di argilla e calcare, decisamente minerali,

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che offrono alla vite di sviluppare intensità, aromi, struttura. Sono ormai passati trent’anni da quando, nel 1983, Andrea Ferrari inizia la sua avventura imprenditoriale, fondando Monte delle Vigne: alla base del progetto la convinzione di poter produrre grandi vini lavorando su vitigni autoctoni, in un territorio ad altissima vocazione vinicola. Nei primi anni Novanta nasce Nabucco, un grande rosso affinato in barrique per 12 mesi e per altrettanti in bottiglia, il vino da sempre sognato che, da subito, attira l’attenzione sul marchio Monte delle Vigne. Al Nabucco si affianca successivamente Callas, una Malvasia in purezza vinificata ferma (è la prima volta che accade a Parma) ed affinata in acciaio per sei mesi, caratterizzata da una intensa ed elegante aromaticità. Nove anni fa, nel 2004, entra in azienda come socio di maggioranza Paolo Pizzarotti,


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il famoso industriale attivo nel settore delle costruzioni. Innamorato del vino d’eccellenza, porta in dote un podere di 100 ettari, quaranta dei quali vengono progressivamente vitati. Alla fine del 2006 viene inaugurata la nuova cantina di Ozzano Taro, ipogea (nel solco di una grande scuola architettonica che ha letteralmente rivoluzionato l’estetica di molte cantine italiane “d’autore”), disegnata e progettata per essere una perfetta sintesi fra estetica e funzionalità produttiva. Monte delle Vigne copre oggi una superficie vitata di 60 ettari, splendidamente esposti e collocati nel cuore della Doc Colli di Parma. “Il rispetto della natura e della tradizione significa per noi la tutela di un patrimonio – dice Andrea Ferrari – che è parte della nostra cultura e della nostra identità”. E, aggiungiamo noi, la storia insegna quanto

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il rispetto del territorio e dell’ambiente sia fondamentale per assicurare livelli produttivi di elevato standard qualitativo. In questa linea di difesa dell’ambiente, si inserisce la scelta del fotovoltaico, rafforzata dall’adesione al progetto di lotta integrata, certificato e sostenuto dalla UE, che prevede l’uso di tecniche di produzione agricola che minimizzino l’impiego di prodotti chimici e di fitofarmaci, riducendo completamente l’impatto ambientale. “Inoltre - continua Ferrari - la raccolta manuale delle uve permette di raggiungere in tempi brevissimi le vasche di fermentazione, senza venire minimamente danneggiate da attrezzature meccaniche. A breve, con l’attivazione del regime di conversione al biologico in campagna e in cantina, faremo un nuovo, decisivo passo in questa direzione, puntando in modo netto su un modello di sviluppo pienamente sostenibile e perfettamente integrato con l’ambiente che ci accoglie”. Una sensibilità identitaria, questa di Monte delle Vigne, che si rivela alla grande anche nella cantina vera e propria: progettata per essere una sintesi fra estetica architettonica e funzionalità, la cantina è dimensionata per acco-


gliere tutte le uve prodotte e permetterne la trasformazione con modalità operative naturali e rispettose della materia prima. “La cantina l’abbiamo pensata, immaginata, amata prima ancora che esistesse. È il contenitore in cui viticoltura ed enologia si fondono, per permettere al vino di raggiungere l’eccellenza”. Nessuno dei vini di Monte delle Vigne nasce per caso, sia che si tratti dei classici frizzanti, da sempre prodotti secondo tradizione nella zona dell’appennino parmense, sia che si parli di vini fermi, frutto di grande cultura innovativa e destinati ad un pubblico di intenditori. “Li abbiamo prima pensati, poi realizzati. Ognuno di loro presenta una forte personalità, frutto di uno stretto legame con questa terra unica che li rende irripetibili, essendo l’espressione privilegiata di uno splendido terroir”, sottolinea Ferrari, orgogliosamente consapevole di quanto le etichette del-

l’azienda siano apprezzate dalla critica più seria e prestigiosa. Così, se il Nabucco (barbera 70%, merlot 30%) rappresenta un vertice assoluto, grazie alla sua struttura ed al suo equilibrio, rafforzato da tannini morbidi e setosi (si abbina perfettamente a carni rosse, arrosti ma anche al re della tavola, il Parmigiano reggiano), il Callas stupisce per la sua grande pienezza e intensità: malvasia di Candia aromatica al 100%, affinata per sei mesi in acciaio, rivela note floreali e agrumate molto raffinate. Al palato è morbido ed equilibrato, con un lungo finale aromatico e minerale, trova abbinamento ottimale nella ristorazione di qualità, dove primeggiano grandi salumi di lunga stagionatura, ma anche piatti di pesce, crostacei, foie gras, formaggi erborinati. Una grande Malvasia, che è riuscita a modificare profondamente la percezione che per anni i consumatori avevano di questa

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tipologia. Tornando ai rossi, Monte delle Vigne punta su un altro “SuperParma”, Argille, un barbera 100%, ottenuto dai vigneti di proprietà esposti a ovest, che ha saputo conquistarsi un posto di primo piano nell’offerta italiana di eccellenza. “Un omaggio incondizionato al grande terroir di queste colline – dice Andrea Ferrari – capace di donare alle uve struttura e profondità, unite ad eleganza e ad una personalità inconfondibile”. È poi dai frizzanti che emerge la tradizionalità

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più “territoriale” di Monte delle Vigne, che ha saputo cogliere il meglio della cultura vitivinicola del territorio emiliano: il Lambrusco IGT Rosso Emilia (Lambrusco Maestri al 100%) è un vino dalla freschezza memorabile, di estrema piacevolezza al palato e dal colore intenso, che associa la sua immagine alla ricca cultura della convivialità, così forte in Emilia Romagna. Insieme al Rosso e al Sauvignon, entrambi Colli di Parma Doc, rappresenta la triade delle bollicine frizzanti, af-


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fiancate dal grande spumante Brut Monte delle Vigne (chardonnay 70% e chardonnay musqué 30%) e dal Brut Rosé, barbera al 100%: un ottimo charmat fatto con sole uve barbera che permane sui lieviti per sei mesi. Una gamma, quella di Monte delle Vigne, fortemente diversificata, capace di esprimere diversi livelli tipologici, ma tutti connotati dall’intelligente, fedele, appassionato rapporto con il territorio, vero protagonista dell’eccellenza qualitativa. Una qualità che nasce dalla passione e dallo spirito imprenditoriale che, quando si combinano con entusiasmo e lucida efficienza, danno i risultati migliori e riescono ad accontentare i mercati, anche nei momenti difficili...

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Si chiama MUFii Il Sauternes italiano 40

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di Fiorenza Auriemma Una coppia di professionisti milanesi recupera e valorizza un’antica vigna di Erbaluce, nel novarese, e realizza un vino muffato, “attaccato” dalla botrytis cinerea. Il risultato è sorprendente, al punto di iniziare la produzione e proporlo sul mercato della ristorazione. Un uccello si riposa vicino a un grappolo d’uva, il capo volto verso la meta del prossimo volo, o il luogo dal quale è appena arrivato. Quest’icona classica e antica dà un senso di stabilità e al tempo stesso di movimento e cambiamento. E lascia intuire la potenza vitale che può generare questo cambiamento. L’immagine è un particolare di un affresco del tardo ‘400 custodito in un antico convento nel novarese trasformato poi in dimora. E da poche settimane è anche il simbolo e il logo che Elisabetta Golzio ed Ernesto Gilardi hanno scelto per l’etichetta del loro MUFii. Che, come il nome suggerisce, è un muffato ottenuto da uve Erbaluce impiantate, cresciute, colte, appassite e imbottigliate in un angolo d’Italia dove tutto ci si aspetterebbe tranne trovare la culla di un vino speciale, elegante, intenso e dalle notevoli potenzialità. Le prime bottiglie di MUFii che hanno da poco visto la luce lasciano infatti presagire un grande fu-

● Barengo

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turo per questo vino che potrebbe persino diventare – perché no – la versione italiana del ben più noto Sauternes d’Oltralpe. Per comprendere meglio le peculiarità della nuova e promettente etichetta del panorama enologico italiano ci spostiamo a Barengo, in provincia di Novara. Qui, seduti nel giardino della casa di campagna rifugio di Elisabetta ed Ernesto – psicoterapeuta lei, ginecologo lui, dividono il loro tempo tra Milano e questo angolo del Piemonte – li ascoltiamo raccontare la storia che ha portato alla nascita del loro vino. “Dove c’è uno svantaggio, c’è sempre anche un vantaggio. E MUFii è la testimonianza dell’esistenza del vantaggio dell’imperfezione. Ovvero, come una muffa può essere utile per produrre un grande vino”, esordisce Ernesto Gilardi. Il quale sa per istinto ed esperienza come tutto sia collegato, e come la vera forza stia nel mettere a frutto le proprie conoscenze per dare spazio e vita a ciò che già esiste. Perché in natura il vantaggio dell’imperfezione è già lì: bisogna solo saperlo cercare

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e trovarlo. È proprio questo che hanno fatto Elisabetta ed Ernesto. Lo dimostrano gli avvenimenti che, nel giro di pochi anni, hanno portato alla nascita di MUFii. “Abbiamo comperato questa casa nel 1990, e poco dopo, da una signora del paese, anche una piccola vigna sulla collina di poco più di mezzo ettaro, dietro il castello di Barengo”, racconta Elisabetta. Perché, spiega la padrona di casa, nell’ordine delle cose è giusto che una casa di campagna antica e vissuta abbia sì l’orto e il giardino, ma anche la sua vigna. Che però né Elisabetta né Ernesto sanno come coltivare, pur intuendo quanto quell’angolo di terra vitato abbia da dire e dare. “Ci siamo affidati a un agronomo, il quale ha proceduto a estirpazione, scasso e arricchimento della terra con letame”, prosegue il racconto della coppia. “Poi, insieme all’università di Torino abbiamo impiantato 900 barbatelle di Erbaluce autoctono”. Passano cinque anni, ma ancora la vigna non dà grappoli d’uva. In quel periodo Elisabetta ed Ernesto sono molto impegnati



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con le rispettive professioni: da lunedì a venerdì lavorano a Milano, e durante il week end girano l’Italia per congressi, lui da una parte, lei dall’altra. Di tempo per la cura del vigneto non ne resta, quindi. Per questo nel 1998 decidono di darlo in gestione a un contadino del luogo. Quando nel 2004 finalmente riescono ad assaggiare una bottiglia del nettare prodotto dalle loro uve, si accorgono con delusione che quel vino è acido e imbevibile. Indecisi se vendere la vigna o lasciarla al suo destino, nel mese di agosto del 2009 ecco che si fa strada l’intuizione. Alla quale Ernesto ed Elisabetta sono in grado di aprire le porte della mente razionale. È Ernesto a dare voce a una comprensione profonda comunicandola ad Elisabetta davanti a un tramonto marino e a un aperitivo: “Se a Barengo matura il gorgonzola, allora si può fare anche il muffato, perché è segno che clima e territorio lo permettono. Ci proviamo?”. Detto fatto, cercano un altro agronomo in grado di ridare energia a quel vigneto ormai allo stremo delle forze. “Abbiamo fatto analizzare il terreno e scelto di non diserbare. E via di nuovo con i lavori”, ricorda Elisabetta. Ed è così che nel 2011 le creature vegetali di quel fazzoletto di terra risorto a nuova vita producono i primi 20 chili di uva Erbaluce. Che dopo la raccolta sono appesi nella passitaia della casa di campagna, all’aria, in attesa di vedere che cosa sarebbe successo. Nel frattempo, Ernesto nutre la sua intuizione con il cibo della conoscenza e si mette a studiare con impegno tutto ciò che riguarda la muffa nobile botrytis cinerea. La stessa del Sauternes, e la stessa che può dar vita a un vino muffato. La quale lo ricambia della fiducia e dell’impegno presentandosi puntuale all’appuntamento e dando il via a quello straordinario processo di trasformazione virtuosa delle uve che ha fatto la fortuna di tanti Domaines francesi. “Quando il nostro vinificatore di zona ci ha visto arrivare con quei grappoli pieni di muffa, non ne voleva sapere

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di lavorarli: temeva di rovinare i suoi macchinari”, racconta sorridendo Elisabetta. “Ma noi lo abbiamo rassicurato: eravamo disposti a farci carico di tutti i costi aggiuntivi, perché a quel punto volevamo andare fino in fondo e vedere che cosa avremmo potuto ricavare dalle nostre uve muffite”. Pigiata l’uva e messa in damigiana, già al primo assaggio il vino mostra tutto il suo carattere speciale e promettente: “L’abbiamo fatto provare a un amico, il quale ha esclamato: “Ma questo è il Sauternes di Barengo!”. È stato lì che abbiamo deciso di andare avanti”. E così ora sono nate le bottiglie pioniere, l’etichetta, le prime degustazioni in abbinamento con gorgonzola, foie gras e pasticceria secca. In attesa però di nuovi e ulteriori stimoli enogastronomici: “I passiti in antichità erano considerati medicamentosi, poi sono diventati vini da dessert. La nostra

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sfida oggi è riportare il muffato – meno dolce del passito – a tutto pasto”, spiegano Elisabetta ed Ernesto. Quest’anno, MUFii è stato imbottigliato in 1000 bottiglie da 500 ml. L’intento per le prossime stagioni è arrivare a una produzione ottimale di 22002400 bottiglie, partendo da 25-26 quintali di uva, che dopo la raccolta riposa sei mesi all’appassimento prima di essere vinificata per poi, dopo l’inoculazione dei lieviti, riposare ancora un paio di settimane a una temperatura compresa tra i 14 e i 18 gradi. “Per questa prima produzione, metà del vino lo abbiamo messo in acciaio per mantenere integri i profumi ottenuti dalla fermentazione e dall’affinamento sulle fecce fini, l’altra invece in botticelle di acacia a tostatura lieve, per cercare un’evoluzione più complessa”, spiega Ernesto. Dopo circa dieci mesi le due masse sono state nuovamente unite in un blend pronto per essere imbottigliato, senza alcuna stabilizzazione a freddo per non “smagrire” un vino per sua natura delicato e caratteristico. Ed è così che nato il primo MUFii, di un bel colore tra il paglierino intenso e l’oro antico, con sensazioni olfattive molto ampie che vanno dal muschio alla confettura al miele di acacia. È morbido, caldo al palato, senza essere stucchevole. Un vino senz’altro di nicchia, ma destinato a far parlare molto di sé.

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L L’eleganza ’eleganz anz za n nella ella a rist ristorazione orazi az one ha una nuo nuova protagonista. va p rotagonist ta.


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PALLAVICINI, il Frascati della Principessa di Roger Sesto Una straordinaria passione per l'arte – la galleria di Palazzo Rospigliosi Pallavicini è tra le più importanti pinacoteche private d'Italia – e per l'agicoltura sono i tratti più evidenti di questa antica famiglia della nobiltà romana. Il rilancio del Frascati è il primo obiettivo della cantina di Colonna. L’azienda Principe Pallavicini – con sede a Colonna – appartiene a Donna Maria Camilla Pallavicini e ai suoi figli Sigieri e Moroello Diaz della Vittoria. La principessa, discendente di una delle più antiche famiglie della nobiltà italiana, dopo studi classici e una laurea in scienze dell’opinione pubblica, si è dedicata per alcuni anni al giornalismo, per poi occuparsi della gestione imprenditoriale delle numerose e diversificate attività di famiglia. Tra queste, si è soprattutto appassionata a quelle legate all’arte e alla terra, portandola a dividersi in prevalenza tra la gestione della Galleria Pallavicini, una delle più belle pinacoteche private italiane, e la guida dell’azienda vinicola Principe Pallavicini.

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Palazzo Pallavicini Rospigliosi, straordinaria dimora-museo Dimora di Maria Camilla e sede al contempo della straordinaria Galleria è Palazzo Pallavicini Rospigliosi; le attrattive principali della sontuosa costruzione oggi includono un vero e proprio museo privato, che contiene una collezione rinascimentale-barocca superba, e il Casino dell'Aurora con un affresco di Guido Reni del 1614. Edificato a Roma dalla famiglia Borghese sul colle del Quirinale, l'edificio occupa il luogo in cui sono stati rinvenuti i ruderi delle Terme di Costantino, di cui restano ancora i resti nello scantinato del Casino. Il palazzo fu costruito dal cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, come un grande luogo di ritiro privato voluto a lato della residenza papale del Palazzo del Quirinale. La costruzione del palazzo fu affidata dal cardinale Caffarelli-Borghese a Flaminio Ponzio al quale succedette nel 1613, dopo la morte del Ponzio, l'architetto Carlo Maderno, mentre il giardino fu progettato da Giovanni Vasanzio. Successivamente, passato per breve tempo a Giovanni Angelo Altemps, che lo acquistò nel 1616, già sei anni dopo fu rivenduto ai Bentivoglio; passò


quindi ai Lante e poi al cardinal Mazarino e quindi ai suoi eredi, i Mancini. Durante questo tempo, è servito da ambasciata francese prima del suo trasferimento al più spazioso Palazzo Farnese. Nel 1704 diventa abitazione della famiglia Rospigliosi-Pallavicini. La Galleria d'arte Pallavicini, non accessibile al pubblico, è stata avviata dal cardinale Lazzaro Pallavicini e include – oltre ad arredi e suppellettili di inestimabile valore artistico – più di 540 pitture, disegni e sculture di artisti come Annibale Carracci, Pietro da Cortona, Nicolas Poussin, Botticelli, Lorenzo Lotto, Peter Paul Rubens, Domenichino, Luca Signorelli, Guido Reni e Guercino. Essa costituisce, con le collezioni possedute dalle famiglie Colonna e DoriaPamphilij, una delle più grandi raccolte private d'arte a Roma. Gli ambienti sono affrescati da Paul Brill e una loggia in giardino è decorata dagli affreschi di Orazio Gentileschi e di Agostino Tassi. Il Casino è stato progettato da Vasanzio. Sulle pareti quattro affreschi delle stagioni dipinti da Brill

e due trionfi dipinti da Antonio Tempesta. Oggi il grandioso edifico è ancora abitato dalla famiglia; il Casino è occasionalmente affittato per riunioni e conferenze. Le attività agricole: tra valorizzazione e rilancio La famiglia Pallavicini è presente nel Lazio fin dalla seconda metà del 1600 e intreccia la propria storia con quella della regione nei settori più svariati; tra questi, la gestione delle proprietà agricole e vinicole intorno a Roma ha da sempre avuto un ruolo di primo piano. L’impegno nella vitivinicoltura gode ora di un rinnovato slancio grazie a Maria Camilla Pallavicini, che intende perseguire un progetto che le sta particolarmente a cuore: contribuire alla valorizzazione della viticoltura laziale e del Frascati in particolare, facendo delle tenute di famiglia il teatro naturale di questo percorso. Principe Pallavicini rappresenta il più grande vigneto privato di Frascati con 54 ettari – su 80 complessivamente vitati – dedicati alla coltivazione di uve bianche per la produzione di Fra-

L’azienda nomi e cifre Principe Pallavicini Via Roma 121 00030 Colonna (RM) telefono: 06 943 8816 e-mail: info@vinipallavicini.com website: www.vinipallavicini.com Titolare: Maria Camilla Pallavicini Agronomo: Mauro De Angelis Enologo: Carlo Roveda Consulente enologo: Carlo Ferrini Ettari complessivamente vitati: 80, di cui 54 a Frascati Bottiglie prodotte annualmente: 550.000

In alto il blasone di famiglia e in basso una panoramica della Piazza del Quirinale (Roma) e sullo sfondo, dietro l’obelisco, Palazzo Pallavicini Rospigliosi.

Principali mercati: Italia 75%, Export 25% (Inghilterra, Irlanda, Svizzera, Germania, Belgio, Spagna, Estonia, Polonia, Bielorussia, Russia, USA, Canada, Malta, Cipro)

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offrono una lontana vista sulla città, di grande fascino e suggestione. La forme di allevamento della vite includono il tradizionale cazenave e i più moderni cordone speronato e Guyot, meno produttivi e più adatti a fornire vini di maggior spessore e concentrazione. Dopo secoli di colture tradizionali, nell’obiettivo di adottare sempre le migliori innovazioni in campagna e in cantina, i vigneti di Principe Pallavicini agli inizi degli anni Novanta sono stati tra i primi nel Lazio ad essere coltivati ad alta densità. Successivamente, tra la fine del secolo scorso e i primi anni Duemila, sono state implementate alcune pratiche agronomiche volte a migliorare ulteriormente la qualità dei vini: inerbimento dell’interfilare, doppio sistema di raccolta ragionata delle uve per migliorare le caratteristiche organolettiche e analitiche dei mosti, concimazione fogliare con microelementi basata sull’analisi di foglia e picciolo per ottimizzare gli zuccheri e il corredo aromatico delle uve. Non è tutto. Da alcuni anni nelle due tenute vitate, quella storica di Colonna nei Castelli Romani e quella di Cerveteri nella bassa maremma, si è scelto di perseguire una produzione a basso scati, in particolare del Superiore Poggio impatto ambientale, mettendo in atto Verde, oggi a Docg, da un uvaggio ba- processi agronomici più rispettosi della sato in prevalenza sulla più qualitativa salute dell’uomo. Un esempio? L’adeMalvasia del Lazio (o Puntinata), in sione dell’azienda al piano di sviluppo luogo della più quantitativa Malvasia rurale con il quale ha realizzato un imdi Candia. La posizione delle vigne è pianto di depurazione biologica a di particolare interesse, sia a livello di fanghi attivi che consente lo scarico suoli che di microclima e di esposizione; delle acque di lavorazione in corpi parte di esse – in Comune di Roma – idrici superficiali e il suo riutilizzo nelle

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Cerveteri

Palazzo Rospigliosi Pallavicini

Colonna

fasi di lavorazione. Sempre in linea con questo credo aziendale sono state avviate due importanti sperimentazioni: dal 2007 la produzione di vini senza solfiti aggiunti e dal 2010 l’utilizzo di prodotti esclusivamente biologici per la fermentazione dei mosti, con la selezione di lieviti autoctoni presenti nei vigneti di proprietà. La tenuta storica di Colonna e quella di Cerveteri La tenuta di Colonna si trova nel cuore dei Castelli Romani, a soli 25 chilometri a Sud-Est dal centro della Capitale; rappresenta il nucleo originario della attività vinicola della famiglia Pallavicini. Oggi conta circa 90 ettari complessivi, dei quali 65 vitati, tutti caratterizzati da una posizione prevalentemente collinare ad altezze tra i 100 e i 300 metri, con orientamento Est-Ovest su terreni calcarei, argillosi, ben drenati. La tenuta si compone di tre corpi: Colonna, Pasolina e Marmorelle. A Colonna, in un edificio seicentesco che si affaccia sulla Via Casilina, si trovano cantina, linea d'imbottigliamento, magazzini, uffici e il ristorante aziendale L'Osteria della Colonna. Nella vicina Pasolina, una culla di olivi e vigneti circonda una torre medioevale che domina Roma. In questo suggestivo paesaggio dal particolare microclima sono coltivate le uve

per la produzione di grandi vini rossi da invecchiamento. Qui il territorio gode di inverni temperati e di estati contrassegnate da forti escursioni termiche fra il giorno e la notte, interessantissime per ottenere produzioni di uve sane, perfettamente mature e ricche di aromi. Nella parte più alta della collina di origine vulcanica, su terreni strutturati, mediamente profondi e con alta componente di lapilli, opportuni terrazzamenti ospitano viti di Cabernet Sauvignon e Franc, Cesanese e Petit Verdot; a quote leggermente più basse si trova la Malvasia Puntinata. Nei vigneti di Marmorelle sono stati impiantati Falanghina, Greco e Malvasia Puntinata: qui i terreni, piuttosto profondi, calcarei e molto argillosi, esaltano le qualità aromatiche proprie di queste varietà. A queste uve si affiancano Trebbiano Toscano, Malvasia di Candia, Bombino, Grechetto, Sémillon e Chardonnay. Qui sono inoltre ancora presenti i vigneti storici dell’azienda, tra i quali una vigna di oltre 50 anni, ancora a piede franco, di un particolare ecotipo di Cesanese selezionato in zona. Alle Marmorelle si trovano inoltre viti di Cabernet Sauvignon che raggiungono qui una maturazione ottimale e Artù n°55

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un carattere decisamente meno verde e ruvido del consueto, caratteristiche che contribuiscono a dare un'impronta particolare di longevità ed eleganza al vino. Alle Marmorelle è infine presente una seconda cantina di vinificazione che fronteggia un antico casale nei cui locali sono collocate grandi botti in legno per la conservazione dei vini rossi e barriques di acacia per la fermentazione del passito. Nelle nicchie delle grotte sottostanti sono presenti le barriques di rovere francese e le bottiglie per l'affinamento dei vini rossi e bianchi. In Bassa Maremma – 40 chilometri a Nord-Ovest di Roma – sulla collina di Montetosto a 150 m slm, si trova la Tenuta di Cerveteri, dove insistono 15 ettari a vite. Qui la famiglia Pallavicini ha individuato la collocazione ottimale per l'impianto di cloni nobili di Sangiovese, Merlot, Syrah, Petit Verdot e Cesanese ad alta densità. Alla natura di un terreno aspro inserito in una macchia mediterranea, si congiungono fattori dati dal microclima caldo e asciutto con un ideale esposizione al sole a alla brezza marina. Queste fortunate caratteristiche ambientali, unite alla densità dell’impianto, cedono al vino un'impronta caratteristica di grande personalità e riconoscibilità. I nettari della cantina, divisi in due linee Da un punto di vista commerciale, le etichette si ripartono in due linee: Principe Pallavicini e Terre dei Pallavicini: distinte, ma entrambe caratterizzate dal fatto di riconoscere al Frascati – autentico vino-simbolo dell'azienda – un posto d’onore. Alla prima appartengono le etichette più importanti, prodotte in quantità limitate. Ne fanno parte vini bianchi quali il Frascati Superiore Poggio Verde; lo Stillato, passito da Malvasia Puntinata in purezza; il 1670, da un blend di Malvasia

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e Sémillon il cui nome celebra l’anno di acquisto dell’azienda da parte della famiglia Pallavicini; La Giara. E rossi come l'Amarasco, ottenuto da uve Cesanese vinificate dopo un appassimento al sole per circa un mese, e il Casa Romana, blend di Petit Verdot e Cabernet, affinato prima in legno e poi in bottiglia nelle antiche grotte di recente restaurate, oltre a Moroello (Merlot e Sangiovese Grosso), Soleggio, Rubillo e Syrah. Terre dei Pallavicini è stata volutamente dedicata a vini tradizionali e di più larga diffusione: Frascati, Cesanese, Malvasia Puntinata, proposti a prezzi accessibili anche al grande pubblico.


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Vinitaly 47th edition Organized by

Verona, 7/10 April 2013

Together with


protagonisti

Longino & Cardenal La selezione del

meglio

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di Luisa Contri Palato fino, discernimento, arguzia, perseveranza, coraggio, fantasia, razionalità, misura, rigore, distacco, organizzazione, efficienza, precisione, correttezza, affidabilità, cortesia. Mixate bene e otterrete… Riccardo Uleri, imprenditore che in vent’anni ha fatto della Longino&Cardenal un punto di riferimento per il sourcing di prodotti alimentari freschi, freschissimi e trasformati di qualità sopraffina per grandi chef, responsabili acquisti food d’alberghi di livello e gestori di salumerie e negozi di delicatessen.

Seppure Uleri non sia uno dei suoi fondatori – la Longino&Cardenal fu creata nel 1988 da quattro giovani imprenditori: un petroliere, un dentista, un grossista di alimentari e un costruttore, allora trentenni, che oggi definiremmo dei foodies – fin dal suo ingresso in azienda come quinto socio nel 1992, aveva in animo di rilevarla. “Entrai in società” ricorda Uleri, “perché i quattro fondatori avevano bisogno di qualcuno che si occupasse a tempo pieno dell’azienda, che cominciava a crescere con l’importazione di salmone affumicato irlandese e foie gras francese, oltre che di caviale iraniano, ma che non era ancora grande a sufficienza per potersi permettere d’assumere un manager. Già l’anno successivo divenni il socio di maggioranza e trasferimmo la sede da La Spezia a Pogliano Milanese, location

più comoda per me che sono di Varese. E nel 2008-2009 rilevai la totalità delle quote, insieme a mia moglie”. La gestione Uleri ha fatto bene alla Longino&Cardenal. In 20 anni l’azienda è passata dai due dipendenti per un fatturato di 700 mila euro del 1992, ai 25 dipendenti e ai 14 milioni di euro di ricavi del 2012. Ciò grazie alla scelta d’ampliare gradualmente l’offerta dai prodotti secchi e freschi – conserve, condimenti, salumi, latticini, pasta, riso, farine, pane e dolci – a quelli freschissimi: carni, volatili, pesce, frutta e verdura, affermandosi come fornitore di riferimento della ristorazione, che necessita di materie prime più che prodotti trasformati. L’assortimento della Longino&Cardenal oggi si aggira sulle mille referenze di circa 200 fornitori, tutti prodotti scovati e selezionati personalmente da Uleri fra quelli di qualità superiore. “Quello in Longino&Cardenal può considerarsi il mio primo vero lavoro” ricorda Uleri. “Prima avevo lavorato soltanto nella filatura di famiglia che poi vendemmo. Già allora, però, stavo coltivando il mio palato e questo mi ha aiutato”. Uleri si è insomma affidato alle sue naturali capacità di distinguere fra un alimento buono e uno eccellente. E con la metodicità, costanza e perseveranza che lo contraddistinguono, in questi vent’anni è andato indefessamente a caccia di nuove leccornie da proporre alla clientela. Una caccia che avviene in due fasi. Uleri individua i prodotti papabili durante le sue visite alle principali fiere di settore: dal Sirha di Lione al Sial di Parigi, all’Anuga di Colonia, ad Alimentaria Barcellona in alternanza con Gourmet Madrid, al Seafood di Bruxelles. A metterlo sulle tracce di qualche prelibatezza gastronomica meritevole d’inserimento nel portafoglio della Longino&Cardenal, può essere però anche il caso. “Più volte” racconta, “mi è capitato di assaggiare un prodotto eccellente in un ristorante e di informarmi dallo chef sull’identità del produttore per poi contattarlo e verificare il suo interesse a distribuire la specialità in Italia concedendoci l’esclusiva. In alcuni casi sono i produttori a prendere contatto con noi per proporci le loro specialità”. La seconda fase è la visita all’azienda produttrice Artù n°55

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della potenziale new entry. Uleri vuole infatti conoscere di prima mano il produttore e il suo modus operandi. “Sono due, oltre alla qualità superiore, le caratteristiche che i prodotti devono assolutamente soddisfare per entrare nel nostro portafoglio” spiega Uleri. “Innanzitutto la costanza della qualità. Perché un prodotto può essere superartigianale, ma deve essere sempre perfetto. Non si possono giustificare, con l’artigianalità della produzione, imperfezioni od oscillazioni sensibili della qualità. In secondo luogo la disponibilità in quantitativi non troppo limitati. Devono essere sufficienti, in relazione alla tipologia del prodotto, a soddisfare il fabbisogno della nostra clientela, costitutita da circa 3 mila account attivi. Un prodotto di supernicchia, che posso dare solo a un paio di clienti e poi è finito, secondo me, lascia il tempo che trova, come un vino che costa 1.500 euro a bottiglia perché il produttore ne fa soltanto una barrique. Se una specialità deve essere giudicata, necessita anche di essere reperibile sul mercato. È vero che trattiamo prodotti artigianali, di nicchia. Ma se un artigiano fa pochi chilogrammi l’anno di una specialità è meglio che la venda direttamente a 2-3 ristoranti della sua zona. Non ha senso che venga a proporci di distribuirla”. Per esempio, il gigot d’agneau presalé della Normandia, non viene trattato perché prodotto in quantità limitatissime, e pur avendolo cercato per anni, Uleri ancora non ha trovato un produttore in grado di garantire quantitativi accettabli della qualità adeguata. Quanto alla provenienza delle prelibatezza del portafoglio della Longino&Cardenal, sono in prevalenza d’importazione. Nutrita la rappresentanza di specialità francesi e spagnole. “Spagna e Francia, insieme all’Italia” constata Uleri, “sono d’altronde i paesi dove si mangia meglio. Abbiamo anche molte tipicità italiane, su cui però puntiamo

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meno perchè i produttori nazionali hanno già i loro canali di distribuzione sul mercato interno. Ampio è anche l’assortimento di specialità di altre origini. Le nostre cappesante, per esempio, provengono dagli Stati Uniti, il tonno pinne gialle dalle Maldive. Il salmone dall’Irlanda è uno dei nostri bestseller: lo distribuiamo da più di vent’anni e fa volumi fra i più elevati. Le carni sono anche tedesche o inglesi. Proprio queste ultime, oggi, sono il nostro primo prodotto per volume di vendita”. Negli ultimi anni le soddisfazioni maggiori provengono proprio dai freschissimi: carni bovine in primis, che rappresentano il 28% dei volumi, ma anche pesce (realizza il 16% delle vendite complessive) e frutta e verdura (6%). E questo perché si tratta di prodotti servizio. Le carni, per esempio, sono consegnate al cliente ristoratore in confezioni sottovuoto, in tagli puliti alla perfezione e pronti all’uso. Lo stesso vale per i pesci. “I nostri prodotti freschissimi” afferma Uleri, “sono pronti all’uso e risparmiano allo chef e al suo personale l’esecuzione di tutte quelle lavorazioni che, fatte nel ristorante, non migliorerebbero in alcun modo la riuscita del piatto. Con i nostri tagli lo chef può inoltre calcolare più agevolmente il food cost, perché non ha scarti”. Restando in tema di freschissimi i prodotti del portafoglio della Longino&Cardenal cha stanno avendo maggior successo al momento sono spagnoli. Ne sono esempio la Vacca Vecchia, il baccalà dissalato Giraldo e del tonno rosso. “La Vacca Vecchia l’abbiamo inserita due anni fa” racconta Uleri, “e oggi è fra le prime tre tipologie di carni che vendiamo. L’ho battezzata provocatoriamente così perché si tratta di carne di vacche da latte a fine carriera, che invece di essere macellate e vendute per farne mangimi, vengono reingrassate da un mio fornitore per un anno in stalla. Alimentate a mais e mangime, le loro carni, già saporite


perché più mature rispetto a quelle di una bestia giovane, s’infiltrano di grasso. Il risultato è una carne straordinaria, dal sapore intenso e dal colore scuro, morbida perché ben frollata e adatta in particolare a una cottura media alla griglia o al forno, così da lasciarla un po’ rossa al centro. Si presta comunque anche al consumo a crudo. Altrettanto successo sta avendo il baccalà dissalato della Giraldo. Costa 35 euro al kg, ma non ha né scarto né perdite di peso. Una porzione da 150-200 g del nostro baccalà ha quindi per il ristoratore un costo di 7 euro, ma può essere tranquillamente venduto a 20 euro”. Del tonno rosso, una specie dalle carni ottime, ma molto controversa in quanto a rischio d’estinzione, Uleri è riuscito a fare un prodotto sostenibile. “Lo compriamo da un fornitore spagnolo” racconta, “che lavora benissimo. Cattura i tonni con pesca di circuizione durante la campagna e nel pieno rispetto delle quote assegnategli dall’Icat. Poi li sistema in gabbie galleggianti al largo di Tarragona e li alimenta con sardine e sgombri freschi fino a portare le loro carni alla percentuale di grasso ideale per la ristorazione. E li mantiene in queste condizioni fino alla pesca successiva. In questo modo riesce a rifornire tonno rosso fresco tutto l’anno, nonostante si tratti di un prodotto con una stagionalità cortissima. E le loro carni sono molto apprezzate. I clienti mi dicono che sono diverse da qualsiasi altro tonno rosso che hanno comprato altrove. La cosa non mi meraviglia. Il nostro fornitore è d’altronde attentissimo a evitare che i tonni si stressino in fase di pesca. Sono uccisi da

sommozzatori in apnea ed eviscerati immediatamente”. Al contrario uno dei prodotti più problematici per Longino&Cardenal sono i crescioni e i germogli. “Sono molto richiesti” afferma Uleri, “ma appassiscono solo a guardarli. Se li tieni troppo al freddo si seccano. Se stanno troppo al caldo appassiscono. Sono talmente delicati che ogni due crescioni c’è un cliente scontento”. Nonostante i prodotti freschissimi rappresentino circa il 60% del portafoglio della Longino&Cardenal, la percentuale di sfridi è molto contenuta: si aggira sullo 0,8%. “Lo zero davanti alla cifra” avverte Uleri, “non deve ingannare. Si tratta pur sempre d’interi bancali di prodotti ancora ottimi che si buttano via. È un vero peccato, ma non ci sono alternative. Proprio perché sono prodotti scaduti non possiamo neppure regalarli al vicino canile. Sono così diventato il più gran consumatore di prodotti che hanno oltrepassato la data di scadenza”. In Longino&Cardenal fanno comunque di tutto per calibrare con la massima attenzione gli ordini ed evitare sprechi. “L’università di Castellanza” spiega Uleri, “ha realizzato per nostro conto un programma che ci consente di stimare quello che venderemo. Per fare gli ordini utilizziamo algoritmi che si basano sull’andamento delle vendite degli ultimi due anni, sulla stagionalità, sulle feste, eventualmente corretti dal buyer. Nonostante l’aiuto della tecnologia, non siamo degli indovini. Grazie alla nostra rete di agenti cerchiamo però di pilotare le vendite, spingendo i prodotti di cui ci accorgiamo di aver fatto un ordine un po’ sovradimensionato. La Artù n°55

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nostra esperienza fa sì che capiamo se abbiamo fatto un ordine sottodimensionato o sovradimensionato ancor prima che il prodotto ci venga consegnato. Quindi i prodotti che eventualmente ci troviamo a spingere sono sempre freschissimi”. Sui prodotti deperibili Longino&Cardenal applica poi un’allettante politica promozionale. “La nostra clientela” evidenzia Uleri, “è disponibile a comprare a prezzo pieno un prodotto con una shelf life di 5 giorni nei primi 2 giorni. Già al terzo giorno non lo vuole più. A quel punto un nostro programma in au-

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tomatico lo mette nel paniere delle offerte. E i tagli prezzo sono molto interessanti”. Anche i prodotti trasformati stanno però avendo un buon successo. “Paradossalmente” assicura Uleri, “il fenomeno dei bistrot, costola dei ristoranti gastronomici dei grandi chef, ci sta favorendo. Queste trattorie di lusso, infatti, per contenere i prezzi puntano sulla semplicità dei piatti, risparmiano sulla mise en place e sulla carta dei vini, che si fa più essenziale, ma non rinunciano alla qualità delle materie prime. Mentre nei ristoranti stellati la creatività degli chef si esprime prevalentemente nel modo di lavorare e abbinare le materie prime migliori, nei bistrot salumi come il pregiatissimo jamón ibérico de bellota Guijuelo o prosciutto della Foresta Nera, conserve di pesce come la ventresca di tonno Hijos de José Serrats o di verdure come i peperoni del piquillo di Lodosa Dop di El Navarrico, coniugano perfettamente gusto e semplicità”.



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Effusioni di

gusto al Desco di Verona

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Un raffinato volume mette in luce i grandi piatti di Elia e Matteo Rizzo, gli chef del bistellato Desco. I cromatismi gustosi delle creazioni culinarie sono abbinati alle opere d’arte di Gino Marotta, che esprimono un sentimento comune ai piatti e sono capaci di regalare emozioni uniche per i loro cromatismi. Accostamenti dei piatti ai vini e ricette esposte nei dettagli completano degnamente l’opera. Maria Paola Poponi, responsabile della collana editoriale Effusioni di Gusto, di Maretti Editore (www.marettieditore.com), ha avuto la geniale idea di “abbinare” grande cucina a grande pittura attraverso la realizzazione di volumi molto caratterizzati e dalla veste molto raffinata. In particolare, l’opera dedicata alla cucina del Desco di Verona (www.ildesco.com), guidato dallo chef patron bistellato Elia Rizzo, traccia un percorso storico che tiene conto di due diversi approcci, ugualmente affascinanti, che esprimono al meglio la stretta e intima congiunzione esistente fra grande cucina e grande espressione artistica, questa volta in chiave decisamente futuristica. Una “fusione” interdisciplinare, che muovendo da elementi di sperimentazione audace e ardita, “è uno specchio dell’avanguardia artistica del Novecento, che parte Artù n°55

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dal movimento letterario di maggiore novità nel panorama culturale europeo (il futurismo). Per poi trovare una delle sue massime potenzialità espressive nella rielaborazione inedita del piatto”, scrive la curatrice Maria Paola Poponi nell’introduzione del volume. Dunque, se l’artista dei fornelli è il grande Elia Rizzo, affiancato in cucina dal figlio Matteo, l’abbinamento con l’artista è con Gino Marotta, esponente di quella corrente artistica che vide protagonisti, con lui, Pietro Cascella, Piero Dorazio, Fabio Mauri, Mimmo Rotella e molti altri personaggi, innamorati della creazione artistica alla continua ricerca del nuovo e dell’inedito, “osteggiando le garanzie e le certezze del passato”: un gruppo di artisti profondamente impegnati, seppur profondamente diversi fra loro. E, come nel Manifesto della cucina futurista (1930, quasi un secolo fa), si ponevano le basi di una grande rivoluzione del costume e del pensiero, basata – anche – su innovazione dei menu e abbinamenti gastronomici strabilianti, così la cucina di Elia Rizzo incontra le opere di Gino Marotta, in un equilibrio iconografico degno di un grande, attualissimo museo delle emozioni, culinarie e pittoriche. Ogni piatto del Desco, splendidamente ritratto dal fotografo Bernardo Ricci, si

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incontra – in bella alternanza – con le opere di Gino Marotta, fino a creare un unicum interdisciplinare, destinato a restare nel tempo, grazie alla qualità delle immagini, alla particolarità delle ricette, all’eccellenza dell’offerta gourmet di un locale che ha fatto la storia della migliore Verona enogastronomica. Lo spazio dedicato alle ricette è diviso in quattro capitoli: risotti, carni, pesce, dolci, ma sono assolutamente da leggere le sezioni dedicate alla “cantina del sapere”, nella quale emergono le peculiarità del pensiero gastrosofico della famiglia Rizzo. Scrive a proposito Maria Paoloa Poponi: “Intensità, emozione, calde atmosfere, meticolosa ricerca di un percorso enogastronomico che trasmette, a dispetto della conicità dei tempi moderni, la serenità di un mestiere ancora sentito con passione ed eseguito con amore. È un “difetto” di tutta la famiglia Rizzo quello di avere scoperto un legame profondo fra l’Anima e la


Cucina, cercando sempre nella comunicazione creativa del piatto di arrivare allo scopo di una vita: la socievolezza della gente che sospira soddisfatta al loro Desco. Me lo disse fin da subito il giovane Matteo, mentre insieme scendevamo le scale in ferro battuto déco che portano al luogo di culto per eccellenza del buon gusto e dell’equilibrio: la cave. “Qui si selezionano i vini che si legano alle pietanze in un probabile e sensuale sposalizio, grazie al fascino della filosofia della riflessione”. Riflessioni che, leggendo il libro, confermano il grande lavoro (ma anche la grande cultura) che stanno alla base di un’attività che, nel caso del Desco, è coinvolgimento emozionale prima ancora che appassionata soddisfazione del proprio gusto. Piatti come la battuta di gamberi crudi con latte di cocco ed erbette aromatiche, il “mare” al vapore con asparagi e salsa al frutto della passione, gamberi rossi marinati con melone, nocciola, pistacchio e caramello di vino, ben dimostrano la tensione e la cura per i dettagli che la brigata del Desco mette nel realizzare grandi piatti.

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PIPERO al Rex La forza dell’uomo so), ora maître per vocazione, ma soprattutto autentico personaggio. Già, Se ne parla tanto, forse anche troppo, perché Alessandro, da persona intellima a ragione. Sì, perché Pipero al gente qual è, sa bene che l’enorme Rex è proprio un gran ristorante, in successo che lo ha investito è dovuto grado di appagare il gourmet con anche alla sua grande abilità come copiatti d’autore, come di coinvolgere municatore, sfruttando abilmente anche l’avventore curioso per via dell’acces- i social network. Ma tiene a sottolineare sibilità di questi piatti. Con in più il come questo successo sia arrivato perplus dello stesso Alessandro Pipero... ché alla comunicazione corrispondono poi i fatti, ovvero una cucina straordinaria Quando ti siedi da Pipero al Rex, noti e un modo di gestire la sala unico, su ciascun tavolo un piccolo orologio, possibile solo da Pipero: “il mio non è molto grazioso, ma osservando bene un ristorante come gli altri… Qui si seti accorgi che è fermo. Chiedi e ti ri- gue il “metodo Pipero”, basato sull’imspondono che... sono tutti fermi, perché provvisazione. Anche nella sequenza “a tavola il tempo si ferma”. È una delle portate!”. Detta così può sembrare delle simpatiche trovate di Alessandro una bizzarria superficiale, ma Pipero è Pipero, cameriere di nascita, sommelier Pipero e così, alla fine, si esce dal riper necessità (ai tempi di Labico con storante estremamente soddisfatti, Colonna, quando vinse il premio di della cucina come del servizio. Come Sommelier dell’Anno 2006 con L’Espres- dimostra poi l’enorme successo, tanto da far parlare di fenomeno. D’altronde, come altro si può definire l’iter che ha portato da zero alla conquista della Stella Michelin dopo solo undici mesi? Però, il successo di Pipero al Rex, è fondato su un altro aspetto, spiegato dallo stesso Alessandro: “Posso dedicarmi alla sala e alla gestione del ristorante perché oltre quella porta - e indica la cucina - non ho preoccupazioni e non vorrò mai averne”. Oltre quella porta è il regno di Luciano Monosilio, concittadino di Alessandro (sono entrambi di Albano Laziale) e già chef di Pipero quando il ristorante si trovava proprio nella cittadina sulle sponde del lago omonimo. Questa prima esperienza di Alessandro in prima persona gli era servita per farsi conoscere, per far apprezzare il “metodo Pipero” combinato con la geniale creatività di Luciano. Può apparire singolare, dunque, che, proprio quando le cose iniziavano ad andare per il verso giusto, i due abbiano deciso di prendersi un anno di pausa per prepararsi adeguatamente alla discesa su Roma. Un anno durante il quale Alessandro Pipero cerca il locale nella Capitale, mentre Luciano Monosilio “affila le armi”, avendo modo di formarsi definitivamente alla corte del grande Enrico Crippa. Finalmente, di Alberto Lupetti

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a ottobre 2011, i due sono pronti per l’esperienza di Pipero al Rex. Si parte, dunque, ed ecco un’altra trovata di Alessandro per far parlare del ristorante: la carbonara a peso da 50 a 250 g. Non una carbonara qualunque, beninteso, ma una squisita, tanto che diventa ben presto il punto di riferimento del genere. La ricetta di Monosilio prevede spaghetti, tuorli d’uovo, mix di formaggio tra Pecorino e Parmigiano, con predominanza del primo (due terzi/un terzo), guanciale e pepe cinese in grani. Però, sarebbe un gran torto limitare la cucina di Luciano Monosilio a questo celebre piatto. Penso, infatti, agli squisiti “Spaghetti mantecati di mare” o i gustosissimi “Tortelli d’abbacchio, menta e pecorino”. La carne ovina è radicata nella tradizione laziale, ma Monosilio riesce a valorizzarla in un perfetto bilanciamento di gusti nel quale il sapore “forte” di questa carne non si avverte mai, tanto che “L’agnello al thè Lampsang” risulta un vero capolavoro anche per chi non ama il genere. Il genio di questo giovane chef trasuda letteral-

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mente nella perfetta compiutezza di due piatti: il “Crudo d’oca” e il “Petto di pollo, maionese e ostrica”, due antipasti che da soli valgono la visita. Il primo è di una raffinatezza esemplare, il secondo stupisce per il suo non essere tale. Parlare, infatti, di petto di pollo in un grande ristorante può sembrare una nota stonata, ma il gusto, la morbidezza, l’esplosione di sapori di questo piatto lasciano a bocca aperta, facendo dimenticare la nota insipida e la trama stoppacciosa di questa carne banale. E pensare che Monosilio ha solo 28 anni, e ciò nonostante appare già maturo, non solo per via delle sue creazioni, ma anche del suo pensiero. Non ha paura di dichiarare, a proposito della sua giovane età, che “Non posso dire ancora di avere un mio stile perché mi sto formando”, ma anche, con onestà e in controtendenza, con una discutibile moda del momento, di “non credere nel “Km zero” per l’incostanza della disponibilità dei prodotti”, di non amare i carciofi (non li troverete mai in un suo menu nonostante simbolo della cucina laziale)

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e, infine, che “Amo improvvisare, al punto che cucino anche un piatto diverso quasi ogni giorno, rispettando la stagionalità. Ovviamente restano sempre i cavalli di battaglia del menu”. Pipero al Rex, dunque, funziona perché lo chef è dotato e si trova a “poter fare ciò che voglio”, mentre la forte personalità di Alessandro Pipero rende la permanenza in sala un’esperienza nell’esperienza. Senza montarsi la testa. Per questo l’ambita Stella è vista non come un punto di arrivo, ma di partenza, nel senso che il ristorante deve crescere ancora in qualità, perché ora è sotto gli occhi di tutti, e anche nel numero dei coperti (oggi non arriva a 30), magari arrivando anche alla seconda Stella. Non per la gloria, tiene a specificare Alessandro Pipero, ma per la passione, perché “ogni giorno ho lo stesso entusiasmo, non mi annoio mai…”. Chapeau. Pipero al Rex Via Torino 149 00184 Roma Tel. 06-4815702 – 339-7565114



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Dalla Val d’Ossola

a Rimini Il successo arriva dalle Alpi

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di Stefano Bonini Nel panorama gastronomico riminese ci sono quattro situazioni ristorative di successo un po’ particolari. La particolarità sta nel fil rouge che accomuna questi locali: a guidarli c’è infatti Giuliano Canzian, un dinamico e instancabile trentasettenne di Domodossola che, più di tanti ristoratori riminesi, è stato in grado di interpretare l’anima più tipica della cucina romagnola. Un quartetto ben diversificato, quello di Canzian: c’è il ristorante di pesce che strizza l’occhio ai gourmet (Dallo Zio), l’osteria romagnola della memoria (Osteria de’ Borg), la trattoria di pesce “vecchia maniera”, semplice e informale (La Marianna) e la piadineria “nuova maniera” (Nud e Crud) che punta sui presidi Slow Food e sui prodotti del territorio. Giuliano Canzian, dopo le classiche stagioni estive da cuoco negli hotel della Riviera Romagnola, nel 1994 decise di fermarsi a Rimini per lavorare e frequentare l’Università. I motivi di questa scelta di vita ce li spiega proprio lui: “Decisi di fermarmi a Rimini perché questa è una città speciale, un luogo dove c’è spazio per tutti. Rimini è la capitale italiana (e Artù n°55

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non solo) delle vacanze, un luogo nel quale si incontrano tendenze, cultura e persone di varie provenienze. È una città che contiene tutto e il suo contrario. E soprattutto è ricca di stimoli”. A Rimini Giuliano ha poi trovato anche la compagna della sua vita (Enrica, ora moglie e socia) e ha creato questa case history di successo. Che si avvia nel 2003, quando rileva il ristorante Dallo Zio, rinomato locale del centro storico riminese. Qui, a due passi dal maestoso e millenario Arco d’Augusto, Giuliano mette in pratica la sua filosofia gastronomica che, da buon piemontese, è molto legata al ter-

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ritorio e alla stagionalità dei prodotti e trae ispirazione dai principi di Slow Food con cui negli anni è entrato in contatto. Dopo qualche anno di “ambientamento” Giuliano ed Enrica decidono di “allargarsi”. Coinvolgono Mirko (amico d’infanzia di Giuliano, ossolano anche lui, ma con parenti riminesi) e nel 2007 prendono in gestione l’Osteria de’ Borg, tipica trattoria romagnola nel Borgo San Giuliano, un quartiere di Rimini carico di storia e fascino. L’Osteria è un successo immediato. Il menu è semplice, valorizza i piatti della tradizione romagnola con grande attenzione alle materie prime e


alla qualità dei fornitori: salumi di mora romagnola, paste fatte in casa, carni fornite da piccoli e selezionati produttori locali. Stesso discorso per la carta dei vini che “spinge” in particolare le aziende del territorio. Prezzi corretti, genuinità e generosità, anche nell’accoglienza, sono alla base del successo. Un anno dopo, nel 2008, sempre nel Borgo San Giuliano, Giuliano ed Enrica rilevano e rilanciano La Marianna, storica trattoria di pesce le cui origini risalgono addirittura al lontano 1908. La ricetta è sempre la stessa: ospitalità calorosa, atmosfera vincente, pesce dell’Adriatico (soprattutto quello azzurro) e prodotti a km zero, prezzi corretti. Ed ennesimo successo di pubblico. Certo la location aiuta e la scelta di Giuliano è stata lungimirante perché, contemporaneamente ai suoi locali, si rilancia anche il Borgo San Giuliano, l’antico quartiere dei marinai, tanto caro a Federico Fellini. Tra piccole case dai colori pastello a ridosso del porto canale e pittoresche piazzette di acciottolato, in pochi anni è un boom di ristoranti e wine bar. Così nel Borgo Giuliano, Enrica e Mirko affondano le loro radici e nel 2010 coinvolgono Sergio (un giovane avvocato riminese che ha deciso di abbandonare la professione) nell’avventura del Nud e Crud, il primo locale italiano a lanciare il concetto di cucina a “chilo-

metro vero”. Il Nud e Crud è la piadineria moderna, dove il classico street food romagnolo si trasforma in sosta gastronomica a tutto tondo. Il “chilometro zero” (ovvero l'utilizzo di prodotti di qualità e di stagione del territorio) si amplia e diventa “chilometro vero” per proporre anche i prodotti di altre zone d’Italia con un’identità e una filiera di produzione rintracciabile (numerosi i presidi Slow Food utilizzati). Piade e cassoni sono disponibili anche all’olio extravergine di oliva o al kamut e farro e proposti, oltre che nelle farciture tradizionali, anche in versioni più audaci, come il PidBurger: la piada con l’hamburger di carne chianina allevata nei pascoli dell’Appennino Tosco-Romagnolo, il guanciale di mora romagnola e, al posto di maionese e ketchup, una crema a base di squacquerone. Ma nella visione gastronomica e imprenditoriale di Giuliano il cerchio non è ancora chiuso. Manca ancora una proposta ristorativa: la pizza. Che lo scorso dicembre fa il suo ingresso all’Osteria de’ Borg. E, in linea con la filosofia comune a tutti gli altri locali, anche la pizza diventa un cibo di qualità: ecco allora il forno a legna, la lievitazione naturale, le farine e gli ingredienti del territorio, selezionati e scelti con cura da Giuliano e Mirko. E adesso il cerchio si è chiuso … forse! Artù n°55

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Famiglia CORTESI Format inossidabili sua famiglia confermano la solidità di un’intuizione vincente: il modello trattoria, comunque declinata, vince sempre. Milano è una città strana, non solo sotto il profilo enogastronomico. Oggi tutti parlano di chef (e spesso sono i soliti nomi), dimenticando che, ben prima della affermazione della creatività esasperata, qui si sono poste le basi per la crescita di una solida industria della ristorazione, con le radici ben fissate nella tradizione. A crearle furono innanzitutto le famiglie…Quando, nel dopoguerra, arrivarono qui – sulla spinta della grande emigrazione dalle campagne verso le metropoli del nord – giovani e meno giovani, richiamati dal miraggio dell’occupazione, la città assunse un volto nuovo, dinamico, ma soprattutto diversificato. Sì, perché ogni “gruppo” arrivava portandosi la propria cultura, le proprie esperienze, il proprio carattere, insomma il proprio modo di affrontare le di Theo Smith cose della vita. Milano, che venne un Milano capitale dell’innovazione ga- po’ soppiantata della propria cucina stronomica, ma anche espressione territoriale, diventò in poco tempo la di una classicità senza tempo, che città italiana con più ristoranti extraresiste ad ogni moda e, in un certo regionali, gestiti da famiglie toscane, senso, diventa anch’essa tendenza pugliesi, napoletane, così come Roma rassicurante, al riparo da sorprese era sovraffollata di locali di impronta e con la certezza della qualità. I ri- abruzzese, marchigiana, calabrese. storanti di Alberto Cortesi e della Nella “colonia” dei toscani, capitanata

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Torre di Piasa

da nomi divenuti poi famosi nella storia della ristorazione italiana (i Gori, i Mungai, i Pagni, i Bocciardi, solo per citarne alcuni), c’era un giovane, Alberto Cortesi, destinato a diventare – in pochi anni – il “signore” della ristorazione milanese. Arrivato da Ponte Buggianese (Pt) a Milano con il grande miracolo economico, nel 1961, Cortesi aveva una fissa, quella (comune a molti, ma non a tutti) di “riuscire nella vita”. E, a giudicare dai fatti, l’obiettivo può dirsi decisamente raggiunto. O addirittura superato, visto che l’imprenditore toscano è oggi a capo di un network che comprende cinque locali di successo. Oggi la famiglia Cortesi (Alberto è affiancato dalla moglie Mariuccia, dal figlio Fabio e dalla figlia Silvia) è proprietaria di alcuni dei ristoranti più glamour (pur nelle differenti tipologie di offerta) della città, a cominciare dalla Trattoria Torre di Pisa (www.trattoriatorredipisa.it), un locale tanto tradizionale nelle sue proposte quanto moderno e innovativo nella percezione di una clientela di fedelissimi. L’intuizione di Alberto Cortesi? Semplicissima: “Il Torre di Pisa deve rimanere Trattoria e non trasformarsi in locale di lusso!” E allora il ristorante, nato nel 1951 e frequentato già allora dalle più importanti personalità del mondo dello spettacolo, della cultura e del giornalismo della città, dopo l’acquisizione da parte di Cortesi alla fine del secolo scorso, si è andato configurando come la location più esclusiva di Brera, frequentata dal gotha di quello che un tempo veniva ampollosamente definito jet set. Qui ci si viene per assaggiare la salsiccia di Querceta (“va mangiata cruda, se no la si rovina…”), il tagliere di salumi toscani, i pici cacio e pepe, i maltagliati freschi al ragù, la peposa de’ Fornaciari, ma anche il gallo ruspante alla cacciatora, i fegatelli di maiale con le cime di rapa, la trippa alla fiorentina. Alberto Cortesi la sa lunga e conosce molto bene gusti e desideri della clientela milanese, annoiata da cucine ritenute troppo “sofisticate” e alla pe-

I Quattro Mori

A Santa Lucia ● Cocopazzo

Charleston ●

renne ricerca di piatti genuini, ruspanti, perfettamente eseguiti, nei quali il gusto e la qualità della materia prima prevalgano sulla sperimentazione fine a se stessa. Il successo della Trattoria Torre di Pisa, diretta professionalmente da Ettore Gallarello, conferma la validità delle intuizioni di Cortesi (una chicca in più: il 40% della clientela è internazionale, a riprova del gradimento di una cucina italiana di tradizione, che pochi in città praticano correttamente, e che si permettono di vendere a prezzi non certamente popolari). E, siccome è “dal ceppo che nascono le cose buone”, Alberto Cortesi, attento imprenditore della ristorazione moder-

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na, si è assicurato anche fedeltà, passione e impegno da parte della nuova generazione, rappresentata dai figli Fabio e Silvia. Fabio, quarantenne, è il deus ex machina del A Santa Lucia (www.asantalucia.it), in via San Pietro all’Orto: un classico evergreen, come direbbe qualcuno. Sempre affollato, rappresenta la garanzia di una certezza: quella di trovare piatti sempre identici alla volta precedente, senza il rischio di sterili sperimentalismi e di “salti nel vuoto”. Il piatto preferito dai giornalisti di Artù? La mozzarella in carrozza, eseguita alla perfezione secondo i semplici dettami della cucina classica napoletana. Locale storico della città, con tanto di targa, A Santa Lucia è la prima “pizzeria” di Milano: aperta nel 1929, è sempre stato un locale di grande suggestione, pur nella semplicità dell’ambiente (costellato da foto di personaggi famosi, perlopiù in bianco e nero) e dei tavoli ravvicinati. Un locale che è un vero e proprio concept, magistralmente diretto da Fabio Cortesi, coadiuvato da Vincenzo Traglia, figura storica della ristorazione cittadina, che coccola i suoi ospiti facendoli sentire a proprio agio. Ma sarebbe

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sbagliato non dare il giusto valore alle “quote rosa” della famiglia Cortesi, rappresentate dalla moglie Mariuccia e dalla figlia Silvia, che seguono il complesso compito della gestione amministrativa e delle “public relations”. Mariuccia è l’anima del Charleston (www.ristorantecharleston.it), in piazza del Liberty: un locale elegante, ristrutturato tre anni fa all’insegna del nuovo décor urbano, che pur offre pizze straordinarie e si è ormai configurato come il regno delle paste fresche a Milano. Lo spazio esterno, ricco di piante e ambientazioni, è molto ambito dalla clientela che, nella bella stagione, può cenare nel cuore della città, all’aperto. L’impero della famiglia Cortesi comprende anche il Cocopazzo (www.cocopazzo.it) in via Durini, ristorante pizzeria ed enoteca molto frequentato, sia per l’ubicazione strategica che per l’innovatività delle proposte… Un ristorante dall’ambiente informale, che offre anche l’opportunità di acquistare specialità alimentari, soprattutto toscane, per replicare fra le mura domestiche le esperienze gustative fatte ai tavoli. Dal 2004, anche i Quattro Mori, in Largo Maria Callas 1,


locale storico di Milano (fondato nel 1949) è entrato nell’orbita di Alberto Cortesi che si è così aggiudicato un vero e proprio business restaurant di alto profilo, famoso per illustri frequentazioni: un locale classico ed elegante, in cui proposte di carne si alternano a piatti di pesce tradizionali, adatti a quella clientela d’affari che – soprattutto per i pranzi di lavoro – preferisce una cucina semplice. Chiude il cerchio il Pandino, un bar in Galleria, in cui Cortesi ha voluto privilegiare le esigenze della clientela più giovane, propensa a gustare un buon panino di qualità in modo veloce e informale.

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Verace Pizza Veronese Il caso del

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di Alessandra Piubello “Fatte 'na pizza c'a pummarola 'ncoppa vedrai che il mondo poi ti sorriderà”, cantava Pino Daniele … Mystic pizza. Con castello medievale, inquadratura fuori campo. È quello di Villafranca, con le sue merlature sia guelfe, sia ghibelline (forse la cittadina, già Burgus Liber, non si schierava apertamente né per il papa né per l’imperatore…) e le sue torri, ben visibili dal plateatico del Du de Cope.

Il gioco delle carte, nelle vecchie locande scaligere, era un passatempo molto diffuso. E, dato che la prima pizzeria Du de Cope nasce a Verona, in un’osteria che fu, il nome è rimasto immutato. La filiazione del secondo Du de Cope in terra villafranchese avviene nel febbraio del 2010. Ma il due di coppe che significato ha nei tarocchi? L'inizio di un'unione, che è prima di tutto emotiva e spirituale; una carta favorevole a chiunque porti avanti un progetto di gruppo all'insegna di valori condivisi e affinità elettive. “La mia storia professionale” racconta Giovanni Bertoni, proprietario della pizzeria in quel di Villafranca “con Giancarlo Perbellini (chef bistellato di Isola della Scala, noto ai più) nasce da una profonda amicizia che dura da venticinque anni. All’epoca lavoravo in Galbani, l’azienda alimentare nella quale ho trascorso un ventennio di attività, e coltivavo le mie inclinazioni gastronomiche. Per passione prestavo il mio tempo nel tempio culinario di Giancarlo, imparando tantissimo. Mi ha trasmesso il senso della perfezione in cucina, in ogni suo aspetto. Per diletto lo accompagnavo a conoscere i fornitori e condividevo con lui una filosofia di vita e di ricerca sul cibo. Non restava che l’ultimo passo: diventare soci a tutti gli effetti, atto che fu suggellato nel 2006 con il mio ingresso societario nella pizzeria scaligera”. Giovanni si dedica anima e corpo al progetto Du de Cope, sposandolo in pieno. Gestisce per cinque anni l’attività in centro storico e poi ricomincia all’ombra del castello scaligero, tre anni fa. Pizza connection, Verona-Villafranca. Poi, nel luglio del 2012 decide di rendersi indipendente e di iniziare un percorso auArtù n°55

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tonomo, uscendo dalle società precedenti. “Nulla di personale con nessuno, le relazioni professionali e umane sono rimaste intatte. Credo solo sia giunto il momento di “metterci la mia faccia” e di fare una “pizza a modo mio””. E mo’ com’è allora ‘sta pizza? Napoletana, jenno scennenno 'a farina (tr: analizzando la cosa) come potrebbe essere altrimenti? Eppure la pizza ha tremila anni di storia. Tutte le civiltà, si può dire, hanno conosciuto forme differenti di focacce, schiacciate e simili che trovavano nell'impasto tra farine di cereali di vario genere, acqua e i più svariati condimenti, una fonte di nutrimento. È un alimento tipico delle culture che storicamente si sono affacciate sul bacino del Mediterraneo. Ma è proprio in una delle regine del Mar Mediterraneo, Napoli, che essa trova la sua patria e il punto di partenza di una diffusione che può ben dirsi planetaria. “Noi abbiamo scelto la pizza napoletana” spiega Leonardo Pasini, pizzaiolo prima al Du de Cope cittadino, poi qui, un totale di un quadriennio “come unica depositaria della vera tradizione. Giovanni va spesso a Napoli dai nostri fornitori, rafforzando le sintonie con la terra partenopea. Anche il nostro forno a legna, studiato per mantenere la tipicità, è stato costruito da artigiani napoletani, con la corretta proporzione cielo-terra per la giusta cottura. I materiali isolanti, tutti naturali, consentono una cottura uniforme e conservano il calore più a lungo. I legni che utilizziamo sono ulivo e faggio”. “Per fare la nostra pizza usiamo

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molti ingredienti”, aggiunge Giovanni, “ma le basi sono principalmente mozzarella di bufala, tagliata a mano per mantenere le fibre più compatte, un impasto di 250 grammi (invece dei classici 170 -180) che ha subito minimo quarantotto ore di lievitazione e poi pomodoro non in salsa, ma “in carne ed ossa”. Selezioniamo personalmente i nostri prodotti e li seguiamo dall’inizio alla fine. Mi piace molto creare nuovi abbinamenti, anche se la Margherita per me resta la grande depositaria della tradizione partenopea, sin dal 1889, quando Gennaro Esposito confezionò una pizza con pomodoro e mozzarella per la Regina Margherita, che la trovò buonissima. La nostra pizza nasce da ingredienti e tecniche di lavorazione, conservazione e cottura che privilegiano la digeribilità del piatto a tutto vantaggio del benessere del consumatore. Non voglio far business sulla salute delle persone. Mangio la mia pizza tutti i giorni e la sua perfetta digeribilità è la garanzia del lavoro che facciamo nella scelta delle materie prime e nella giusta cottura. Non abbiamo pizze a base di pesce, gli preferiamo la terra. Gli ingredienti arrivano quasi tutti dal Sud, a parte alcuni del territorio circostante, come il crudo di Montagnana o il guanciale di Sauris. La carta delle pizze viene aggiornata secondo la stagionalità degli ingredienti per dare al nostro cliente l'opportunità di alimentarsi secondo i ritmi della natura: le pizze stagionali non sono scritte sul menu standard ma vengono raccontate a voce,


oppure inserite volta per volta con un “invito proposta”. Oggi un impasto ben realizzato e gustoso valorizza gli ingredienti di pregio senza la formalità più o meno accentuata di una portata di alta cucina: ritengo che la pizza sia la nuova frontiera dell'alimentazione volta al benessere della persona”. Dopo tante parole, passiamo ai fatti. Ci accomodiamo nell’allegra e coloratissima sala valorizzata dalle artistiche mattonelle di Nocera Superiore. L’atmosfera è familiare e rilassante, il sorriso di Sara Cecchetto in sala e i suoi modi garbati predispongono all’assaggio. Una scorsa al menu: una ventina di pizze, dalle tradizionali alle più diverse. Schiacciate, insalatone e dessert fatti in casa fra cui svetta la famosa millefoglie “strachin” di Perbellini. Ad accompagnare i piatti, birre artigianali (sette microbirrifici), industriali e qualche bottiglia di vino. Iniziamo con una burrata con pomodorini, basilico, olive taggiasche. Bordo alto, pasta elastica

e morbida. Bel contrasto caldo- freddo tra la pizza infornata da rossa e condita successivamente con burrata tiepida e gli altri ingredienti. Le taggiasche sono una scelta azzeccata, gusto fragrante e la burrata, per non essere ad Andria, è fresca. Un’invenzione del duo Bertoni-Pasini, sempre pronti a confrontarsi per migliorarsi, è la pizza bianca con mortadella IGT e granelle di pistacchio. Armoniosa intensità per una pizza ancora in fase di studio, ma che promette bene. Chiudiamo con una Romana con pomodoro, bufala, alici di Cetara, origano, grana. La pasta è dorata, regolare, gonfia, priva di bolle e bruciature. La saporosità delle alici tratteggia con carattere questa pizza, marcata anche dall’origano: cottura perfetta e decisa personalità per una vera romana. “La soddisfazione più grande? Sentirsi dire da clienti napoletani che spesso la pizza partenopea non è così buona come la nostra” conclude Giovanni con un sorriso.

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Tano Simonato lontano da ogni schema di Anna Pesenti Figlio d’arte e autodidatta, Gaetano Simonato, chef e proprietario del ristorante Tano passami l’olio a Milano, è riuscito ad ottenere sia il riconoscimento massimo della critica gastronomica, ottenendo una stella Michelin, sia della gente comune che ogni sera frequenta il suo locale, in via Villoresi 16 angolo via Pastorelli. La storia della “nascita” di Tano come chef è lunga e travagliata, ma, proprio per questo, frutto di una passione viscerale protesa a volere esprimere ciò per cui si sentiva portato fin da ragazzo: fare cucina a modo suo per inventare piatti originali che vogliono la-

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sciare il segno. “L’attitudine è un grande elemento perché io non ho studiato”, afferma con decisione Tano. Ci confida che guardava la madre, da sempre nel settore della ristorazione, e cercava di capire le tecniche che lei usava per fare determinati piatti. “Neanche lei aveva studiato arte culinaria e faceva una cucina prettamente lombarda perché dal Friuli si era trasferita qui a 10 anni con il padre e la madre e avevano aperto un locale in Viale Monza, che hanno tenuto per qualche anno, prima che la guerra destabilizzasse tutto”. È davvero particolare sentire parlare questo chef che ha fatto della cucina la sua vita e che racconta con trasporto, come fosse qualcosa di ineluttabile, il suo destino tra pentole e fornelli. Tano inizialmente ha fatto il barista: a questo punto è doveroso citare i ricordi, ricchi di nostalgia, per una Milano che non c’è più, da parte del direttore di Artù, Alberto Schieppati: “Tanu’s Bar era proprio sotto casa mia e, non ancora trentenne, frequentavo il locale di piazza Vetra, con un Tano Simonato, un professionista dello shaker e dei fornelli, innamorato del gusto e della professionalità, sia nel food che nel beverage: un giovane capace di stupire e di regalare già allora grandi emozioni gustative, grazie a memorabili nappetizer e a drink degni dei grandi bartender”. “Mi sono interessato di cocktail e ho letto diversi libri, due o tre di Gino Marcialis, un maestro”. Ma il suo input primario era sempre quello di inventare, anche i cocktail, e soprattutto un ristorante tutto suo. Il suo sogno lo ha realizzato nel 1995, quando dopo il Tanu’s Bar, ha aperto il suo Tano passami l’olio, in via Vigevano, il cui nome fa dedurre la sua predilezione per questo prodotto ottenuto dalla spremitura delle olive, l’oro liquido che produce la terra. Dopo essere rimasto per undici anni in quel locale, si è trasferito nel 2006 nell’attuale location frutto di una ristrutturazione attenta e precisa e protesa a creare l’ambiente più adatto per degustare i suoi originali piatti. Fare cucina per Tano significa


dare alle proprie “creature” la leggerezza della digeribilità senza perdere il sapore profondo e sensuale di ogni ingrediente utilizzato. Il benvenuto che offre nel suo sito, in cui afferma di avere più difetti che pregi, ma di voler accogliere sempre al meglio i suoi ospiti, dimostra notevole umiltà mista al desiderio di fare sempre il meglio, di dare sempre il meglio, ai clienti che vogliono recarsi nel suo locale. Insieme con la moglie Nadia che si occupa della sala, Tano vuol far mangiare bene la gente, senza utilizzare burro, panna o soffritti vari, ma dando rilievo all’olio extravergine di oliva, che ha studiato per proprietà e sapore e che per questo considera l’ingrediente migliore del mondo. Lo chef parla sempre di oli e non di olio

perché anche nello stesso territorio, si hanno produzioni variegate per leggerezza e gusto. Nel suo ristorante sono presenti circa 52 oli che lui abbina sapientemente a carni e pesci alla griglia o al vapore, e ad ogni pietanza che offre con grande senso estetico ai suoi clienti. “Il bello della cucina è quello di inventare e fare sempre qualcosa di nuovo, possibilmente originale, diverso, caratterizzato”. Questa affermazione di principio, Tano la concretizza nei suoi meravigliosi piatti che per colori e presentazione già stupiscono e rapiscono la curiosità del cliente spronandolo all’assaggio. Tano utilizza la cucina molecolare intridendola di sostanza creativa, come negli innumerevoli “ravioli” che ha creato, come il Raviolo trasparente fatto di acqua scozzese e whisky, mousse di corallo, tartare di capesante e crema di pomodoro, tra i premiati del concorso Acqua di Chef 2012. E ancora il Raviolo aperto con ripieno di parmigiano reggiano, patata, pinoli e carciofi con carciofi caramellati e ribes in un velluto di carota. Per non parlare dei Ravioli liquidi di pasta di pesto con fagiolini glassati, crema di fagiolini e patate, versione rivisitata della tradizionale pasta al pesto genovese. Dal temperamento impetuoso e avvolgente, Tano, alla domanda sui vini presenti nella sua cantina, ha risposto con una nota di polemica nei riguardi di chi, invece di incentivare Artù n°55

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chi vuole acquistare prodotti di un certo livello, lo ostacola con norme assurde: “Noi piccoli artigiani cerchiamo di migliorare l’Italia perché la nostra nazione ha bisogno, e non solo nella ristorazione, di tanti piccoli autori che facciano ancora vero artigianato, perché il rischio è di rendere tutto “sintetico”, standardizzato, nei comportamenti e nelle scelte di consumo. Andiamo tutti al supermercato, andiamo tutti nei grandi magazzini di elettrodomestici a comprare la televisione, invece è bello che esista ancora la drogheria, il ristorante che è una chicca, il maniscalco. Noi in Italia siamo famosi perché siamo bravi, perché il piccolo dettaglio è quello che ha dato l’impronta di ciò che l’Italia può dare, ma non ci devono ammazzare come stanno facendo. Per esempio, per quanto riguarda le etichette da acquistare, la recente legge per cui si devono pagare con scadenza mensile o al massimo bimestrale i prodotti richiesti, costringe notevolmente i ristoratori a ridurre il numero dei vini sulla carta”. Lui comunque di vini ne ha parecchi e so-

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prattutto italiani, per ovvio senso patriottico. Come non restare estasiati di fronte al suo piatto portabandiera? Ossia le uova di quaglia caramellate presentate in due versioni? Sia l’uovo di quaglia caramellato su mousse di tonno, bottarga di tonno e tonno crudo marinato a limone e menta, che le uova di quaglia caramellate su mousse di anatra, bottarga di uovo d'anatra e anatra fredda, sono in carta ormai da parecchi anni e sempre molto richiesti dai convitati. Per quanto riguarda l’anatra fredda, che viene cotta a bassa temperatura per 13 ore a 58° dopo averla marinata per cinque ore in vino rosso e succo d’arancia, si presenta come una fettina che sembra un prosciuttino, che si scioglie in bocca e che sfida alla prova anche i palati che ritengono di non gradire questo tipo di carne. Sfizioso, anche nella presentazione, il piccione laccato in fondo di piccione e la crema delle sue frattaglie con una pera cotta nel porto e vino rosso, la sua riduzione e frutti di bosco. Di sfide Tano se ne intende: infatti anche il dessert, che inizialmente non era uno dei suoi cavalli di battaglia, ora è diventato un punto di forza perché, come dice lui, “basta metterci la testa”. Ed ecco realizzate leccornie come i cannoli croccanti di mandorla, ripieni di mousse di mandorla e arancia candita con marmellata di mandorle e crema di agrumi, realizzati senza burro, quindi di particolare leggerezza e con una scorza friabilissima simile ad una lingua di gatto, oppure la pesca croccante ripiena di mousse di pesca, crema inglese al limone, pesca caramellata e meringa. Ed ancora da degustare, anche con gli occhi, un piatto tipico della tradizione milanese, a lui molto cara, ossia il riso Carnaroli cotto in brodo vegetale allo zafferano con gel di midollo, crema di vino rosso e cipolla caramellata. Una cucina, quella di Tano, estremamente personale ma, alla prova dei fatti, capace di esprimere tradizione e innovazione, in una logica di continua, quotidiana, ricerca del meglio. Bravo, un outsider da cui si può imparare parecchio. Artù n°55

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Mamilla di Gerusalemme L’innovazione abita qui

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di Gualtiero Spotti Gerusalemme è una città che pochi conoscono al di fuori dei classici percorsi religiosi, delle chiese, del Santo Sepolcro, del Muro del Pianto. Nell’eterno conflitto, tutto israeliano, con la più vivace e modaiola Tel Aviv, che con le sue spiagge e la frenetica vita notturna è diventata in pochi anni una meta giovanile ambita, Gerusalemme rappresenta forse il luogo maggiormente tradizionalista della società ebraica. Eppure i segnali di qualche novità, di un progressivo cambiamento, sono palpabili e si percepiscono soprattutto nell’accoglienza turistica, nella nascita di quartieri più moderni, nell’apertura di negozi che rappresentano molti dei marchi internazionali più noti. Tutto questo avviene fuori dalle mura della Città Vecchia, ancora oggi il fulcro della Gerusalemme storica, e offre al visitatore un miscuglio affascinante di sensazioni, di visioni tra il moderno e l’antico che rendono interessante una sosta per scoprire un lato nuovo della città. In questo senso una delle zone più apprezzate è senza dubbio Mamilla, quartiere poco fuori la porta di Jaffa e ormai diventato la via principale dello shopping all’occidentale, tra bar, negozi di abbigliamento ed esposizioni d’arte open air. Qui si vede il volto più intraprendente della società ebraica, fatto anche di alberghi nuovi che hanno ridisegnato Artù n°55

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l’area adiacente alle mura. Uno dei simboli di questo cambiamento, dal 2009, anno dell’apertura, è il Mamilla Hotel, sensazionale albergo di design che in qualche modo ha nel suo dna una matrice italiana, essendo nato da una partnership tra l’architetto israeliano Moshed Safdie (noto per aver realizzato edifici come il Columbus

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Center di New York e il Centro Culturale Shenzen in Cina) e il nostro Piero Lissoni, designer di fama internazionale. Elegante, naturalmente lifestyle e con interni raffinati (per non parlare dei molteplici servizi offerti), il Mamilla risulta essere in qualche modo l’antagonista fashion del più classico King David Hotel, che da sempre rappre-


senta l’eccellenza dell’hotellerie israeliana. Da qualche anno, però, molti clienti, quelli dal gusto più internazionale e trendy (ma anche i giovani ebrei che frequentano il bar e l’enoteca) si affacciano sulla soglia e decidono di entrare al Mamilla per vivere un ambiente certamente più contemporaneo e vivace. Un segnale di modernizzazione che in qualche modo si era già fatto sentire poche stagioni fa con opere importanti nate improvvisamente in città come il museo del design disegnato da Ron Arad a Holon e il ponte della ferrovia “Chord” realizzato da Santiago Calatrava. Il Mamilla non è certo l’ultimo tassello di una Gerusalemme che si sta evolvendo rapidamente confrontandosi con gli stili dell’architettura e del design contemporaneo, visto che a breve, nel prossimo futuro sono previste le inaugurazioni di nuovi hotel, ma per ora questo rimane il luogo più trendy dove capitare a Gerusalemme. Basta entrare nella spaziosa e imponente hall per accorgersene. Oppure salire all’ultimo piano, al Rooftop Restaurant

per una cena (o un cocktail, visto che è anche un rinomato bar lounge) con vista sulla Città Vecchia e sui tetti di Gerusalemme. Qui, il giovane e simpatico cuoco Cobi Bachar, appassionato di cucina italiana e mediterranea, vi proporrà un percorso gastronomico tra ravioli alle melanzane con infusione allo zafferano, tortellini d’oca confit con foie gras, gnocchi, poderose entrecôte e filetti di pesce. Con un tocco creativo inaspettato e il piacere di un ambiente informale e cosmopolita. Lo stesso che, se vogliamo, si incontra al Mamilla Café, dove invece si può stuzzicare l’appetito con delle tapas, al Mirror Bar, con la musica di rinomati deejay in sottofondo, o alla Winery, prezioso indirizzo interno all’hotel per scoprire le etichette più prestigiose dell’enologia israeliana, da Nord a Sud, dalle alture del Golan al Negev. Anche se uno degli ambienti più rinomati e frequentati del Mamilla rimane sicuramente la Akasha Spa, già premiata da Condé Nast Traveller come uno dei centri wellness più sensazionali in circolazione. Per la deliziosa piscina dedicata ai trattamenti Watsu (lo shiatsu praticato in acqua, mentre si viene cullati dalle mani sapienti di un terapista esperto), per la relaxation room dove trascorrere il tempo in meditazione, per l’Hammam, per il bar Artù n°55

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di prodotti organici, tra tapas, succhi di frutta e energy drinks, e per la stanza Yoga che offre corsi personalizzati ai propri clienti, ma anche attività olistiche, Tai Chi e Pilates. Il Mamilla Hotel, con le sue 194 stanze sintesi di un’architettura contemporanea, capace di fondersi insieme ad elementi classici, in qualche modo ben rappresenta la volontà di Gerusalemme di mostrarsi con un nuovo volto. Che, se vogliamo, è anche quello di città dalle molteplici anime culturali e dai sapori mediorientali capaci di unire diverse etnie, come si può scoprire facendo quattro passi tra i banchi del bellissimo mercato Mahane Yehuda, vero crogiuolo pulsante di razze e di profumi che raccontano benissimo questo lembo di terra affacciato sul Mediterraneo. Mamilla Hotel 11 King Solomon Street Gerusalemme Tel. +972.2.5482222 www.mamillahotel.com

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Tacco e spacco CONTRO cappa e spada di Giovanna Moldenhauer Lo showroom di Electrolux Professional a Vallenoncello di Pordenone ha fatto da scenario per la gara culinaria tra chef “Tacco e spacco contro cappa e spada – stoccate in punta di spedino” tenutasi a metà febbraio. Un modo molto efficace per valorizzare competenza professionale e utilizzo di attrezzature innovative.

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L’evento, organizzato dalla delegata del Friuli Venezia Giulia Cristiana Cirielli, fa parte delle iniziative previste per festeggiare il venticinquennale dell’Associazione Nazionale Le donne del Vino che culmineranno con diversi programmi durante il prossimo Vinitaly. Alla manifestazione enologica di Verona Electrolux Professional sarà partner fornendo le attrezzature necessarie per il “Ristorante delle Donne del Vino”, installazione, lo scorso anno, di grande successo. La singolare sfida ha visto le chef Donne del vino Silvana Segna, Marina Ramasso e Micol Pisa contrapporsi a Maurizio Bottega, Paolo Pettenuzzo e Luca Moro corporate chef Electrolux. Il tema dato per la gara era “Dal territorio al piatto per i 25 anni di Donne del Vino”. Alla presenza della giuria, degli ospiti e della stampa, i contendenti hanno preparato due primi, due secondi e due dolci unendo la loro tecnica alla strumentazione messa a loro disposizione. Durante lo showcooking in diretta Aurora Endici, comunicatrice e wine educator, ha intervistato, con brio e competenza, gli chef sugli ingredienti scelti per le preparazioni e sulle diverse modalità di cottura. L’Innovation Center di Vallenoncello è allestito con diverse apparecchiature professionali tra cui l’air-o-chill®, abbattitore e congelatore al tempo stesso, l’air-o-steam Touchline, forno con bruciatori a gas (tra i più “verdi” presenti attualmente sul mercato), il forno Mini Combi che abbina la cottura combinata convenzione/vapore alle dimensioni ridotte, i frigoriferi Ecostore della linea Green Spirit, dalle prestazioni elevate, maggiore capacità, effettivi risparmi e nuovi standard ecoambientali. La giuria composta da Mario Busso, curatore della Guida ViniBuoni d’Italia, Federico Zoppas, imprenditore, Giuseppe Fagiotto titolare, di Peratoner, Ezio Zigliani, giornalista di enogastronomia di Mychef.tv, Carlos Santos, amministratore delegato di Amorin azienda portoghese di tappi in sughero, Alvise Cerato, broker assicurativo e gourmet, Max Maestroni, responsabile di festival cinematografici, ha valutato i piatti di ogni con-


A lato: Silvana Segna all’opera del suo piatto vincitore assoluto, i tortelli al pan di segale profumati al timo agnello di montagna crema leggera di trentingrana. Sotto: il dolce di Micol Pisa “andar per boschi”, vincitore per i dessert. tendente in base alla tecnica, alla presentazione e al gusto. Silvana Segna, titolare del Ristorante Locanda Alpina a Brez in Valle di Non in Trentino, ha preparato come primo dei “tortelli al pan di segale profumato al timo e agnello di montagna con crema leggera al Trentingrana”. L’altro primo proposto da Maurizio Bottega è stato “polenta con cuore caldo di radic-

chio di Treviso, crema di zucca e ciccioli di pancetta affumicata”. Per i secondi Marina Ramasso del Ristorante del Paluch a Baldissero Torinese, ha preparato un “purè di patate con animelle di vitello picate al tartufo”, reinterpretazione della cucina tradizionale piemontese. Lo chef corporate Paolo Pettenuzzo di Electrolux ha scelto il cappello del prete per il suo originale piatto “ti porto dal Piemonte alla Calabria”. Per i dolci la friulana Micol Pisa, chef titolare della scuola di cucina “Mestoli e Padelle” a Udine, si è esibita con un dolce al cucchiaio “andar per boschi”. Luca Moro ha risposto con una preparazione “Dolcenera al Picolit”. La giuria ha poi degustato tutte le diverse creazioni con i giusti abbinamenti dei vini, naturalmente friulani delle associate Donne del Vino, e ha votato per la squadra vincitrice. I vini proposti spaziavano da un Pinot Bianco 2011 di Venica & Venica a una malvasia istriana del Carso 2011 di Palovel, dal Terre Alte 2010 uvaggio di friulano, pinot bianco e sauvignon di Artù n°55

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Livio Felluga al Ter Rosso refosco 2009 di Foffani, dal Refosco dal peduncolo rosso 2009 di Livio Felluga al passito di traminer aromatico in purezza Alba 2010 di Borgo delle Oche. La vittoria a sorpresa è stata per le chef: Silvana Segna ha ottenuto il massimo punteggio di 242 punti contro i 195 di Maurizio Bottega, Marina Ramasso e Micol Pisa hanno superato con un minor distacco le preparazioni di Paolo Pettenuzzo e di Luca Moro. La premiazione della squadra femminile, da parte della presidente delle Donne del Vino Elena Martusciello con premi offerti da Electrolux Professional, è stata accompagnata da un trailer di spezzoni di film dal titolo “Cin Cin Cinema in rosa” dove il vino e la donna sono protagonisti in diverse situazioni. La proiezione ha concluso piacevolmente una giornata molto interessante, una tenzone ben riuscita.

In alto a sinistra piatto preparato da Marina Ramasso, vincitrice per i secondi piatti: purè di patate con animelle di vitello piccate al tartufo.

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