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Artù n°56 - Maggio - Giugno 2013

Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

Ferrarelle, le strategie dell’azienda raccontate da Michele Pontecorvo Alto Adige, Summa 13 di Alois Lageder e Pinot Bianco al top Sapori Ticino, un successo la partnership con la Berlino gourmet La geniale semplicità di Enrico Crippa, Piazza Duomo, Alba Chef di cucina: Cogo, Dallabona, Landi, Di Costanzo, Dolcimascolo

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EDITORIALE n°56

Guardare avanti. Ma DOVE? Milano, una sera piovosa di maggio. A Porta Ticinese incrocio un signore che attira la mia curiosità per un commento sui milanesi, espresso a voce alta, in solitudine, che peraltro condivido in pieno. Si comincia a parlare, si fa un pezzo di strada insieme. Lui è svizzero, ma vive in Canada, a Toronto. Fa l’architetto ma ama il cibo italiano, la pasta, i vini, l’olio extravergine di qualità. Al punto da far diventare un business la distribuzione di prodotti italiani sul mercato canadese. A dispetto della nostra incapacità di fare sistema, individualisti come siamo, rappresentiamo ancora nel mondo un’icona concreta, una solida espressione di gusto, sapori, qualità (almeno nel comparto enogastronomico). Ma, ovviamente, non sappiamo fino in fondo quanto vale questo repertorio unico, al punto che spesso - come nel caso del signore svizzero - sono stranieri i più capaci

portavoce dell’italianità nel mondo. Un recente viaggio negli Usa mi ha convinto una volta di più di questa certezza: il made in Italy, quello vero, non quello taroccato o spacciato per tale dai tanti contraffattori, ha un futuro importante e può aiutare non poco la nostra economia. È da qui, forse, che bisogna ripartire, senza indugiare troppo e sfidando una realtà “interna” molto complicata, in cui prevalgono (negli ambiti della politica e della finanza, ma non solo) approssimazione e fatalismo, fretta, impreparazione e presuntuosa ignoranza (combinate alla volontà di fare affari ad ogni costo, senza rispetto per le regole del mercato e i valori delle esperienze di chi fa impresa da una vita). Abbiamo un patrimonio inestimabile e, dopo anni in cui ci siamo beati a lungo di rendite di posizione, i nodi sono arrivati al pettine: siamo costretti a guardare lontano per dare valore a ciò che facciamo, produciamo, inventiamo, scriviamo. Come se, fra le nostre mura, obbligati ad arrabattarci per sopravvivere, vittime del nostro individualismo autoreferenziale e un po’ patetico, non riuscissimo più a creare nulla di nuovo, a meno di compromissioni con poteri nuovi (si fa per dire) orientati apparen-

temente a facili business, ma non sostenuti da esperienza, know how, sana imprenditorialità. Siamo allo sbando, ha detto il presidente di Confindustria Squinzi e in un certo senso ha ragione, anche se è sbagliato generalizzare, a rischio di nullismo autodistruttivo. Ma forse è la volta buona per far riemergere le nostre doti migliori, guardando al mondo e ai “mercati emergenti”, dotandoci di quella solidità interna che ancora manca, rafforzando un sistema-paese che ancora ama disperdersi in mille rivoli, valorizzando nei fatti il lavoro serio di decine di migliaia di professionisti, imprenditori, ristoratori, agricoltori, contadini, intellettuali: l’Italia che gira, l’Italia migliore, quella che ci ha reso famosi nel mondo. Ripartire dalla obiettiva qualità dei prodotti, aumentandone la percezione positiva, senza escludere il mercato interno ma fortificandolo: questa mi sembra essere la strada per rinascere. Basterà la buona volontà dei singoli? Sarà sufficiente la bontà dei nostri prodotti, dalla mozzarella di bufala al parmigiano, fino ai nostri grandi vini? Non credo che ce la faremo da soli,

almeno in tempi brevi. E non a caso, in assenza di investimenti autoctoni, il denaro arriva da fuori: per esempio, Wu Su Chuan, un noto importatore di vini italiani in Cina, ha da poco deciso di puntare sull’Italia, aprendo due enoteche (una a Roma e una a Milano) specializzate nella vendita di vini italiani di fascia alta. Singolare: mentre da noi tutti vogliono entrare nel mercato cinese, come se fosse una mecca inesauribile, la Cina guarda a noi. Se fossimo più consapevoli del cambiamento in atto nel mondo, dovremmo finalmente fare delle scelte coraggiose: abbandonare i luoghi comuni, chiudere con le piccole e grandi mafiosità, mettere ordine nel nostro agroalimentare, rafforzare seriamente l’offerta turistica, diversificare con professionalità. Non è facile. Ma neanche impossibile. Proviamoci. Alberto P. Schieppati

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SOMMARIO n°56

In copertina: capasanta con piselli freschi, cavolo rapa, cavolfiore. Un piatto magistrale che esprime freschezza e cromatismi intensi: ne è autore Philipp Jay Meisel, executive chef al Quadriga di Berlino. È stato proposto al Villa Orselina, di Locarno, durante San Pellegrino Sapori Ticino.

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Info people Ernst Knam al Casta Diva Resort Roma, la Viva Voce di Don Alfonso Cuttaia, D’Amato, Vissani e la cantina di Bulgari Info brand Aziende, brand, prodotti. Nuovi modi per comunicare Villa in Verticale: Satèn protagonista di Elisa Facchetti La cucina di Oldani incontra lo champagne Pommery Ferrarelle, strategia vincente di Elisa Facchetti Focus wine Summa 13: continua a crescere di Giovanna Moldenhauer Alto Adige. Pinot bianco al top di Giovanna Moldenhauer Focus food Stella d’Oro: il tempio del gusto di Alberto Lupetti La passione di Fabiana. Napoletanità vincente di Alberto P. Schieppati Olio Ronci, passione di famiglia di Elisa Facchetti Protagonisti food Lorenzo Cogo. La (eco)sostenibile leggerezza di Stefania Zolotti Sapori Ticino. Realtà europea di Theo Smith Luca Landi. Lunasia vale il viaggio di Gianni Mercatali Enrico Crippa. La modestia del genio di Gualtiero Spotti L’attitudine creativa di Andrea Dolcimascolo di Theo Smith Format food Cena bistellata in cucina. Il talento di Nino di Luisa Contri Accueil Costa Navarino. La Grecia senza crisi di Gualtiero Spotti Equipment Il caffè? Una questione di macchina di Stefano Bonini Sambonet-Paderno, leader in eleganza di Fiorenza Auriemma Secondo Artù Bottega del Vino, Futura e la “bistecca personale” dei 13 Gobbi

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Ernst Knam al Casta Diva Resort aveva la propria dimora. Una serata d’eccezione, nella quale il maestro pasticcere Ernst Knam, vincitore di numerosi premi fra cui l’Italian Chocolate Master nel 2007, ha espresso la sua grande professionalità nell’arte cioccolatiera. Un plauso va anche a tutta l’organizzazione della serata, che ha potuto contare sulla professionalità dello staff del Casta Diva, in particolare del management alla guida della prestigiosa struttura di ospitalità: oltre al general manager Andrea Luri ed a Miriana Verga, direttore marketing la cui professionalità è matuIl resort, inaugurato nel maggio 2010 rata in anni di attività al vicino Villa dopo anni di meticoloso lavoro di recupero d’Este, si sono distinti nella serata e ristrutturazione, si è reso protagonista Davide Rotondo, l’infaticabile food & negli scorsi mesi di una serie di appun- beverage manager del Casta Diva, ed tamenti gourmet, dedicati alle cucine di Alessio Mecozzi, executive chef del grandi celebrity chef del calibro di Chicco resort. La cucina di Mecozzi, che guida Cerea (Da Vittorio, a Brusaporto), Andrea l’Orangerie, il ristorante del Casta Diva, Bertarini (Concabella, a Vacallo), Umberto mette in evidenza un notevole impegno Vezzoli (Hotel De la Villa, a Roma), Ales- creativo e una solida attenzione verso sandro Circello, presidente di Euro Toques le materie prime ed il loro migliore Italia, Ernst Knam, il re dei pasticceri, utilizzo, doti capaci di realizzare una cualla guida de L’Antica Arte del Dolce a cina di grande valore, che merita sicuraMilano. Quest’ultimo, fra l’altro, si è reso mente una analisi approfondita. Il Casta recentemente protagonista indiscusso Diva Resort, che punta su una clientela di una creazione di alta pasticceria, pre- di taglio internazionale ma che, per la sentata (e gustata) durante una serata spettacolarità della location e per l’offerta al Casta Diva lo scorso aprile. Una torta complessiva, non disdegna l’ospite itarealmente incredibile, capace di esprimere liano di livello, è un luogo davvero sunei dettagli e alla perfezione l’opera perlativo, capace di dare emozioni medella famosa cantante lirica Giuditta morabili anche grazie ad una spa di Pasta che proprio qui, a Villa Roccabruna profilo superiore (1.300 metri quadrati (attorno alla quale si sviluppa il resort ) di wellness, trattamenti e massaggi). Magistralmente diretto da Andrea Luri, un general manager di grandi competenze e sana imprenditorialità, il Casta Diva Resort & Spa si è rivelato in breve tempo una location prestigiosa, capace di offrire agli ospiti il massimo del lusso e del comfort. La struttura, cinque stelle lusso, si trova sulla sponda orientale del lago di Como (a quattro chilometri dal capoluogo e a meno di un’ora di distanza da Milano), nel comune di Blevio, sulla strada che porta a Bellagio.

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Roma, la Viva Voce di Don Alfonso Meno di un anno dopo siamo tornati a Roma, per il primo compleanno del primo Luxury Urban Resort (www.granmeliarome.com) della capitale, l’hotel 5 stelle lusso del Gruppo Gran Melià. Inaugurato nella primavera 2012, il Gran Melià Villa Agrippina è già uno dei luoghi più attraenti ed esclusivi di Roma: circondato da un meraviglioso giardino a due passi da Città del Vaticano, vicino a Trastevere, offre l’opportunità di un soggiorno decisamente superlativo, che consente di godere incredibili panorami a 360 gradi sulla città, ma soprattutto assicura agli ospiti il privilegio di “scendere” in una struttura caratterizzata dalla cura estrema per ogni dettaglio. La proposta gastronomica della catena spagnola, per il proprio ristorante gourmet, non poteva che puntare sul massimo della professionalità: la scelta, dunque, di coinvolgere la famiglia Iaccarino per la guida del ristorante Viva Voce si è rivelata vincente e in linea con le aspettative di una clientela molto esigente. Affidarsi ad Alfonso Iaccarino ed al figlio Ernesto, la cui carica inventiva è ormai proverbiale, significa avere la certezza di proporre ai propri clienti il meglio della ristorazione italiana, il meglio della ricerca e della creatività mediterranea, confortata da anni di esperienza che hanno portato il Don Alfonso di Sant’Agata sui due Golfi (due stelle Michelin) ad essere il riferimento della grande ristorazione italiana del

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sud. Con la supervisione di Alfonso ed Ernesto Iaccarino (e con la collaborazione di Lidia, sempre presente con la sua delicata armonia, anche se fisicamente lontana da Roma e concentrata sulla conduzione del Don Alfonso), la brigata di cucina del Viva Voce è guidata dal giovane Claudio Favero, 29 anni, uno dei più bravi e capaci cuochi del Don Alfonso. Oggi il Viva Voce, a un anno dall’apertura, si conferma come una delle principali mete gastronomiche gourmet della capitale, da frequentare per la qualità e l’eccellenza delle proposte del menu (“una sfilata di eccezionali sapori mediterranei”), oltre che per la sua location straordinaria: con l’arrivo dell’estate, le cene “bordo piscina” si trasformano nell’appuntamento ideale per rilassarsi, nel meraviglioso giardino del Resort (116 camere e una Spa di profilo superiore). La “mano” di Afonso ed Ernesto si vede in tutta l’impostazione del menu: da provare, fra gli altri piatti in carta, le mezzelune con fegato d’oca, gli gnocchetti con scamorza affumicata, basilico e pomodoro, il manzo in carta pane con guanciale e salvia. Da non perdere, fra i dolci, alcuni veri capolavori di semplicità “iaccariniana”, perfettamente eseguiti da Claudio Favero: il concerto di sapori ai profumi di limone e il soffiato di pastiera napoletana. Un’esperienza, quella al Viva Voce, resa fascinosa dalla bellezza del Resort e dei suoi spazi open, oltre che dalla grande cucina di Alfonso Iaccarino (T.S.)



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Cuttaia, D’Amato, Vissani e la cantina di Bulgari Cuttaia: l’uovodiseppia fa scuola!

Pino Cuttaia Pino Cuttaia, due stelle Michelin. Con La Madia, il suo celebre ristorante di Licata (Ag), ha saputo esaltare il territorio siciliano nella sua purezza, partendo da elementi semplici, giocando con loro per dare nuova forma alla materia prima: l'uovodiseppia ne è stato l'esempio più sorprendente. Tanto da spingere Pino Cuttaia a utilizzare lo stesso nome del famoso piatto per la sua boutique gastronomica, con tanto di progettazione grafica del logo affidata a Maurizio Armellin che ha messo "nero su bianco" la sua interpretazione dell'uovodiseppia. A Licata, da oggi, a pochi passi da La Madia, ha aperto un nuovo spazio dedicato alla cucina e agli appassionati della buona tavola. Uovodiseppia è il progetto principe di Cuttaia: al pianterreno la dispensa, al primo piano la scuola. Si, perchè all'uovodiseppia è possibile trovare tutte le materie prime

utilizzate a La Madia - come il pistacchio di Raffadali, i datterini che Pino Cuttaia usa per il sugo, olio, pasta, il cioccolato dell'Antica Dolceria Bonajuto -, portare a casa alcune delle preparazioni del ristorante, tuffarsi nel reparto pasticceria e lasciarsi tentare dalla famosa cornucopia cialda di cannolo, da poter riempire con ricotta fresca a casa. Non solo. Uovodiseppia è anche scuola: "Il lavoro del cuoco - spiega Pino Cuttaia - appartiene alla fatica quotidiana dell'artigiano, che cerca di realizzare un prodotto buono, affidabile, che parla poco e non ha paura di sporcarsi le mani. Attraverso gesti comuni, con attrezzi semplici, un approccio di curiosa conoscenza, cerco di esaltare le caratteristiche e le qualità di un prodotto, rispettandone la stagionalità. Come un artigiano apre la sua bottega agli allievi così ho deciso di aprire agli appassionati il mio laboratorio, dove potranno apprezzare e conoscere meglio i miei piatti ed i grandi prodotti da cui nascono (...)". Ricette tipiche del territorio siciliano, utilizzo di ingredienti genuini, ma soprattutto imparare, a bordo di una bicicletta, a fare la spesa al mercato, comprare il pesce e gli ortaggi. Uovodiseppia è anche questo!

Anche Gianni D’Amato a Chef all’Opera Il 24 maggio Reggio Emilia ha ospitato sul palcoscenico del Teatro Valli l'evento Chef all'Opera. L'appunat-

mento ha visto come protagonisti i quattro chef stellati Mauro Uliassi, Bruno Barbieri, Gennaro Esposito e Gianni D'Amato, che hanno animato la serata dedicata al Parmigiano Reggiano raccontando e descrivendo il loro rapporto con questo formaggio millenario e offrendo al pubblico ricette e una degustazione finale per tutti. Lo showcooking, condotto dalla giornalista Licia Granello e dallo scrittore e gastronomo Alfredo Tarrachini Antonaros, per la regia di Marco Macceri, si inseriva nella quattro giorni "In Forma Re", manifestazione dedicata a Reggio Emilia e al suo territorio. La kermesse Chef all'Opera non è stato solo un momento di alta cucina, ma un tributo a questa terra che conta ben 384 caseifici con 20.000 addetti impiegati nella produzione di Parmigiano Reggiano, divenuto simbolo, purtroppo, anche del terremoto dell'Emilia (600.000 forme cadute e 100 milioni di danni). La serata con i grandi chef ha dato spazio anche a proiezioni relative alla produzione del Parmigiano Reggiano e dell'Aceto Balsamico Tradizionale con interviste a produttori locali. Ciliegina sulla torta gli assaggi di Parmigiano Reggiano di diverse stagionature e la preparazione creata dallo chef Gianni D'Amato, patròn del ristorante due stelle Michelin Il Rigoletto di Reggiolo, chiuso momentaneamente dopo il terremoto, ma anche del Rigolettino

e del Caffè Arti e Mestieri di Reggio Emilia inaugurati di recente. Nella foto: Gianni D'Amato con la moglie Fulvia e il figlio Federico.

Il Miglior Sommelier

Luca Martini È Luca Martini il Miglior Sommelier del Mondo 2013. Già Wine Ambassador de Il Borro, spledidio Relais a Cortona della famiglia Ferragamo, il 31enne di origine Aretina ha dato prova del suo grande talento per la sommellerie, un dono naturale che, nonostante la giovane età e con tanta dedizione, gli ha permesso di conquistare importanti vittorie: nominato Miglior Sommelier d’Italia nel 2009; Miglior sommelier toscano nel 2007 e nello stesso anno semifinalista al concorso nazionale; vincitore nel 2008 del Gran Premio Sagrantino di Montefalco e nel 2009 della Palma d’oro al Gran Prix Excellentia a Perugia. A Luca Martini sono arrivate le congratulazioni di tutta l’Associazione Italiana Sommelier, dal Presidente Nazionale, Antonello Maietta, e in particolare da Massimo Rossi, delegato Ais di Arezzo, nonchè da tutto il Wine Team della struttura di Ferragamo.

Pordenuovo a Palazzone: la Cantina di Bulgari Gianni D’Amato, la moglie Fulvia e il figlio Federico

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La passione per il vino ha fatto ancora centro. Questa volta nel cuore della nota maison di gioielli Bulgari che,


Cantina Bulgari grazie alla volontà di Paolo, presidente Bulgari, e del figlio Giovanni, ha inaugurato la nuova Cantina Podernuovo a Palazzone, a San Casciano dei Bagni (Si), incantevole luogo immerso tra le colline del Chianti. Meritevole di attenzione, il progetto della cantina rivela una grande sinergia tra commitente - Paolo e Giovanni Bulgari - e progettista, ovvero lo studio Alvisi Kirimoto + Partners fondato da Massimo Alvisi e Junko Kirimoto. “La richiesta di Giovanni Bulgari è stata quella di realizzare un progetto rigoroso, efficiente, di qualità partendo dal fatto che per lui questa sarebbe stata un’attività totalmente nuova rispetto alla sua tradizione familiare e in qualche modo pionieristica" afferma Massimo Alvisi. Cemento faccia a vista, cotto, klinker, acciaio verniciato, vetro sono i materiali utilizzati per la realizzazione della cantina, 4500 i mq complessivi: nell’edificio tutto è in vista, a partire dai grandi setti murari per continuare nelle attrezzature funzionali alla produzione fino agli impianti meccanici. L’interno appare come una “sezione aperta” grazie alle ampie pareti vetrate. Al piano inferiore, in corrispondenza delle zone di accesso alla produzione, il corridoio separa la zona che ospita la barricaia, la tinaia e il deposito cestoni dal magazzino e dall’area di imbottigliamento; al secondo livello lo stesso corridoio divide la sala degustazione dagli spazi per il personale; l'ultimo livello è dedicato ai visitatori. La produzione? Ovviamente vini rossi, tre declinazioni nate dalla vendemmia 2009: Therra, Argirio e Sotirio. Tutte le foto del progetto sono di Fernando Guerra | FG+SG fotografia de arquitectura.

vigne Bulgari

Guida Gallo, l’arte del risotto in un libro 384 pagine, 101 ricette di 101 risotti, per provare anche a casa a cucinare i risotti dei migliori ristoranti del mondo. Il volume è quello della nona edizione della Guida Gallo, presentato di recente al Four Seasons di Milano dal presidente di Riso Gallo Mario Preve, accompagnato dalla conduttrice televisiva Tessa Gelisio: oltre ai 400 opsiti, alla serata hanno preso parte 67 chef provenienti da Italia, Sudamerica, Europa e Asia, riuniti per celebrare l'arte del risotto italiano per eccellenza. E per assegnare il Premio Gallo "Risotto dell'Anno", aggiudicato ad Andrea Cerutti, classe '87 di Cuggiono (Mi), con la ricetta "Risotto con Gran Riserva Gallo all'acqua di Parmigiano, pesto di alghe, aria di latte di mandorla e croccante di riso integrale soffiato", piatto a cui è dedicata la copertina del libro "101 risotti dei migliori ristoranti del mondo". La Guida, vera e propria collezione di risotti-capolavoro, si compone di due parti: la prima parte, con prefazione di Marialuisa Trussardi, presidente dell'omonimo

gruppo, è dedicata agli autori delle ricette e ai loro ristoranti; la seconda parte è costituita dal ricettario, 101 risotti creati da 50 chef italiani e 51 stranieri. Ingrediente principe il riso Gran Riserva maturato un anno, top di gamma Riso Gallo. La Guida, edita da Guido Veneziani Editore, è disponibile da maggio al prezzo di 14, 90 euro, scaricabile con l'applicazione per iPhone, iPad Touch e iPad al costo di 5,49 euro.

L’Altro Vissani Ovvero il nuovo ristorante aperto a Capri dall'omonimo chef. Lui, Gianfranco Vissani, interpreta i prodotti del territorio con qualche nota esotica, piatti ricchi di ingredienti per un menu che non tradisce mai, dai piatti di pesce a quelli di carne: pesce del Golfo di Napoli, carni tosca-

ne, pomodorini del Vesuvio, mozzarella Campana Dop, burrata freschissima di Andria, solo per citarne alcuni, si trasformano, con la mano del Maestro, in pietanze geniali: risotto con sogliola marinata al black velvet, baccalà con gelato di Taggiasche, panna ed estragone, o cacio e pepe; i dolci sono quelli tipici partenopei, ma con quel tocco in più. A Luca Vissani il compito della scelta della carta dei vini, selezionati con grande competenza. L'Altro Vissani, nato in collaborazione con la famiglia Vertecchi di Capri, si identifica come luogo dal gusto tipicamente mediterraneo, per proposta culinaria e per scelta stilistica del locale stesso, con un pizzico di modernità, grazie al contributo dell'architetto Simonetta Michelangeli. Gli ospiti, accolti da Monica Scrimieri, possono godere da una parte della vista sulla cucina, dall'altra del banco di sushi. Entrando nel locale gli arredi semplici in legno naturale guardano alle sculture in terracotta di angeli e aeroplani sospesi al soffitto, così come le sculture in acciaio rosso a forma di manine dello sculture Giuliano Tomaino. Grandi finestre si affaciano su un panorama mozzafiato: Capri e Marina Grande, fino a Ischia e Procida. I prezzi? Decisamente accessibili, vista l'offerta di eccelenti materie prime e la mano esperta del Maestro. Si può cenare alla carta con 60-70 euro, esclusi i vini, o scegliere il menu degustazione a 45 euro.

Gianfranco Vissani

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Aziende, brand, prodotti Nuovi modi per comunicare Monte delle Vigne tra degustazioni ed eventi

Nei mesi di maggio e giugno si moltiplicano gli appuntamenti con Monte delle Vigne, l'azienda vinicola di grande interesse che produce sulle colline parmigiane vino dei Colli di Parma, "...vini di forte personalità, capaci di rispettare profondamente il territorio, regalando emozioni memorabili grazie a etichette di estrema caratterizzazione..." e all'impegno di Paolo Pizzarotti e Andrea Ferrari che hanno saputo valorizzare il vitigno autoctono. Artù ne ha recentemente approfondito le caratteristiche

Piazzale XII Ottobre 1492: i vini di Monte delle Vigne da degustare erano stati selezionati da Helmuth Köcher, presidente e fondatore del Merano WineFestival. Sabato 18 e domenica 19 maggio l'incontro con Monte delle Vigne è stato al Festival della Malvasia, a Sala Baganza (Pr): due giorni di iniziative enogastronomiche, cene e degustazioni, spettacoli, mostre e laboratori dedicati al cibo e al vino. Domenica 26 maggio l'evento enoturistico più atteso dell'anno: Cantine Aperte 2013. Monte delle Vigne ha aperto per l'occasione le proprie cantine, tra degustazioni e visite ai vigneti. Novità 2013 la sezione Degustazioni con il produttore, con la possibilità per le 30 persone che si erano prenotate all'evento, di degustare l'annata Nabucco 2010 e Callas 2011, nonchè "Franc 2010: Un vino due anime. En Primeur: Cabernet Franc Riserva 2010". Lunedì 17 giugno sarà la volta di Genova: con un proprio banco di assaggio, Monte delle Vigne parteciperà alla nona edizione di TerroirVino ai Magazzini del Cotone al Porto Antico.

Villa, Solomille limited edition

Monte delle Vigne in un articolo sul numero 55, a pag. 30, (ne abbiamo riportato un brevissimo frammento sopra) a firma del direttore Alberto P. Schieppati. In questa sezione vogliamo ricordare la presenza dell'azienda ad alcuni eventi, già passati e nuovi, di assoluto interesse per tutti gli enoappassionati. Primo appuntamento è stato il 17-18-19 maggio al Food&Wine Festival, a Roma, da Eataly,

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Una nuova limited edition per raccontare l'eccezionalità del territorio Franciacorta, per celebrare le caratteristiche del suo terroir. Caratteristiche esaltate dalla passione di Villa Franciacorta: da questa terra derivano infatti i bouquet dei Franciacorta Villa, millesimati vinificati esclusivamente da uve coltivate nei vigneti di proprietà. Solomille è l’espressione di questa filosofia: un nuovo Franciacorta millesimato prodotto in limited edition per raccontare l’eccezionalità del territorio, ma non solo. Nella creazione di questa Cuvèe - che deriva dalle cinque delle migliori basi della vendemmia 2007 - sono stati

coinvolti tutti gli agenti e i distributori di Villa, a cui era stato chiesto il 22 febbraio 2008 di scegliere una liqueur fra quelle proposte dallo staff tecnico dell’azienda. Ne è nato un millesimato che forse più di altri può rispondere alle diverse esigenze di una clientela eterogenea, proprio perchè scelto da chi conosce al meglio i futuri acquirenti di Solomille. Così commenta Roberta Bianchi, al timone dell’azienda Villa con il marito Paolo: “Quante volte in questi anni ci siamo sentiti chiedere dai nostri agenti: quando è pronto il 'nostro' Franciacorta? E finalmente eccolo! Solomille: collezione da mille bottiglie di Franciacorta Extra Brut millesimato 2007. Il nome è stato scelto da loro, votato fra le varie proposte: ed è per questo che a tutti loro dedichiamo il nostro nuovo prodotto”. Abbinamento ideale a piatti di pesce, ottimo come aperitivo.

Il lato estivo di Roner Dopo il lancio ufficiale della nuova collezione di cocktail estivi in occasione di Vinitaly, Roner propone per l'estate due cocktail realizzati con liquore Roner - Fragole di bosco: freschi, colorati, semplici da realizzare, ideali per un aperitivo o un after dinner. La ricetta del Rossinispritz si compone di: 4 cl Liquore Fragole di bosco, 7 cl Spumante Brut, 2 cl seltz, fragole fresche. Realizzarlo è molto veloce: in un calice versare il liquore Fragole di bosco

Roner, aggiungere il seltz (o minerale), mescolare; riempire il bicchiere con lo spumante, decorare con pezzi di fragola fresca. Il secondo cocktail proposto da Roner a base di liquore Fragole di bosco ha un nome che rappresenta l'allegria della stagione estiva: Oh là là. Bastano ghiaccio tritato, 3 cl di Liquore Fragole di bosco, 5 cl Sauvignon Ritterhof, 5 cl Sprite o Gassosa, frutta fresca di stagione: in un calice versare il Sauvignon Ritterhof, il liquore Freagole di bosco Roner e i pezzetti di frutta. Mescolare, aggiungere il ghiaccio tritato e rifinire con la Sprite.

La pausa a Ca’Pelletti

Ca’Pelletti Vincente il nuovo format - collaudato già da qualche mese - di Surgital, l'azienda di Lavezzola (Ra) che da oltre trent'anni produce pasta fresca surgelata per il canale horeca, una realtà che ha saputo creare piatti d'autore, grazie anche all'importante collaborazione con il noto chef Gianfranco Vissani. L'offerta al Ca'Pelletti, così si chiama il primo punto vendita pilota inaugurato a Bologna, intende valorizzare la tradizione culinaria romagnola e ricreare quall'atmosfera del "mangiar bene". Il menu spazia dalla prima colazione al brunch, dalla pausa pranzo agli spuntini pomeridiani fino alla cena: protagonisti i primi piatti a base di pasta, ma anche piadina, salumi e formaggi, sformatini e tanto altro. I punti di forza del nuovo format? In primis la capacità di proporre i piatti dell'intero menu durante tutto l'arco della gior-


nata, in secondo luogo - ma forse aspetto prioritario di questi tempi! l'ottimo rapporto qualità/prezzo (circa 10 euro per un primo di qualità). Surgital, presente con i suoi prodotti per oltre il 60% nel menu, ha l'obiettivo di sviluppare il progetto pilota Ca'Pelletti in tutta Italia, ma anche e soprattutto in ambito internazionale.

Da Tartuflanghe il “tartufo d'estate” Si sa, uno dei prodotti tipici delle Langhe piemontesi è il tartufo. Ingrediente principe per primi o secondi piatti, rivive in nuove forme: perchè, infatti, non sfruttare il suo profumo intenso anche d'estate? È questa la domanda che si sono posti Domenica Bertolusso e Beppe Montanaro, titolari dell'azienda Tartuflanghe nata nel 1975. Affermata realtà nel comporto di prodotti per l'alta gastronomia, la nota azienda piemontese sfata il mito della stagionalità proponendo il "tartufo d'estate". Nelle forme e nelle soluzioni più innovative, autentiche ricette della tradizione piemontese con una marcia in più: dal tartufo disidratato, ai condimenti, dalle salse, agli oli aromatizzati fino alle praline dolci e alle creme da dessert. È davvero possibile "godere" anche durante il periodo estivo di piatti a base di tartufo? Gli anni di sperimentazione di Tartuflanghe ne esaltono, a dire il vero, non solo aroma, sapore e profumo, ma anche modalità alter-

native per gustare il tartufo in piena estate. Prezioso è, per esempio, il Tartufo noH2O®, ottenuto grazie a un processo di estrazione dell’acqua che mantiene intatte tutte le caratteristiche organolettiche. Tartuflanghe sorprende con Perlage® di tartufo, succo di tartufo nero pregiato che, dopo essere stato estratto in fase di cottura, viene sferificato attraverso una tecnica molto sofisticata, ottenendo così delle piccole perle. La Crema al Salmone e Tartufo e quella ai Peperoni e Tartufo sono indicate per aperitvi, tartine e primi piatti, specialmente d'estate, il tutto accompagnato dai nuovi Aperituber: biscottini salati con tartufo e olio extravergine di oliva.

Astoria: il 9.5 diventa Red Continua con Astoria il piacere di bere uno spumante a bassa gradazione alcolica, grazie alla linea di vini 9.5 Cold Wine Brut creata nel 2010: ricordiamo il 9.5 Cold Wine, spumante dal colore giallo paglierino caratterizzato da un perlage molto fine e persistente; 9.5 Cold Wine Pink, spumante extra dry rosè dedicato, in particolare, ad un pubblico femminile e 9.5 Cold Wine Alcohol Free Zerotondo, primo spumante a zero alcohol ottenuto in modo naturale evitando il processo fermentativo. Novità 2013 il 9.5 Cold Wine Red, sperimentazione dei fratelli Polegato che si sono cimentati per la prima volta con uno spumante rosso. Nasce da uve rosse aromatiche, malvasia dolce, marzemino e moscato. Il risultato? Un vino dal brillante rosso rubino, dai profumi di frutta sciroppata, agrumi canditi e fragolina di bosco, a soli 7 gradi alcolici.

Paleo Rosso, verticale a Greve in Chianti

insalate. Un QR code su ogni bottiglia permette di accedere al video con le ricette preparate da Bruno Barbieri.

Le Cantine di Greve in Chinati (Fi), una delle più rinomate enoteche in Italia, ha ospitato recentemente la verticale dedicata al Paleo Rosso, il celebre Cabernet Franc prodotto da Le Macchiole: in degustazione le tre annate - 1997, 2001, 2004 - di questo rosso simbolo dell'azienda, ma anche altre produzioni declinate in Le Macchiole 2010, Scrio 2006 e Messorio 2009. A cornice della splendida location della cantina che ospitava la verticale, la mostra fotografica di Maurizio Gjivovich dedicata al Paleo Rosso de Le Macchiole, alla cittadina in cui nasce, Bolgheri, ai personaggi e alle sue storie.

Le “Terre Francescane” di Bruno Barbieri Grande sensibilità, amore per il territorio e rispetto delle materie prime. Sono queste le caratteristiche che hanno dato vita a un nuovo progetto dedicato all'oro verde, l'olio extravergine di oliva. Protagonsiti lo chef Bruno Barbieri e C.U.FR.OL., Frantoi Oleari Umbri, cooperativa diretta da Carlo e Andrea Gradassi con Tiziano Scacaroni, nata nel 1998 con la volontà di promuovere l'eccellenza dei prodotti enogastronomici dell'Umbria, e non a caso la cooperativa annovera alcuni imprenditori titolari dei più antichi frantoi umbri. Con "Terre Francescane by Bruno Barbieri", questo il nome della nuova linea di olio extravergine di oliva, la ventennale collaborazione dello chef emiliano con l'aizenda umbra si rinnova con un prodotto che è vera espressione del territorio e dell'alta gastronomia, finora ad uso esclusivo degli chef e oggi presentato anche alla gdo. Tre gli oli extravergine di oliva proposti, con tonalità e gusti differenti in base alla destinazione d'uso: per carni, pesce e

Amita Anguria, il gusto dell’estate! Amita, il brand di succhi di frutta di Coca-Cola HBC Italia, posiziona sul mercato un nuovissimo gusto per l'estate 2013: Amita Anguria. Fresco, dall'inconfondibile gusto, Amita Anguria risponde alle esigenza di sposarsi con i gusti preferiti durante la stagione calda, come l'anguria. "Il successo del brand - ha dichiarato Martina Loventinska, nuovo Trade Marketing Director di Coca-Cola HBC Italia - deriva dall’ampia referenza di gusti offerti e dall’intenzione di soddisfare le esigenze dei nostri consumatori alla ricerca di sapori nuovi. A questo proposito, siamo convinti che Amita Anguria possa rappresentare per il Canale Horeca un notevole valore aggiunto; infatti una buona visibilità e un adeguato posizionamento in shop del materiale pubblicitario sapranno stimolare la richiesta anche da parte dei consumatori più esigenti". Artù n°56

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Caffetteria Torinese a Palmanova

Calvisius, l’eccellenza a Slow Fish 2013 A Slow Fish 2013, al Porto Antico di Genova, c'era anche Caviale Calvisius, il caviale italiano prodotto negli stabilimenti di Calvisano (Bs) attraverso una filiera eco-friendly, nel pieno rispetto della riproduzione e la crescita delle specie ittiche più pregiate, nonchè unico produttore europeo di Storione Bianco. Ad interpretare la preziosa materia prima si sono cimentati, tra 16 dei più blasonati nomi della ristorazione italiana e internazionale, Moreno Cedroni (La Madonnina Del Pescatore – Sinigallia), Vittorio Fusari (Dispensa pani e vini – Adro) e Davide Scabin (Combal.Zero – Rivoli). Di Cedroni il piatto intitolato Pollicino, bocconcini di tonno bianco e carne, con erbe di campo dai sentori di bosco, piadina e scaglie di Lingotto di Caviale Calvisius; con Sapori dal Sale Fusari ha dato vita a una sardina essiccata del Lago d’Iseo con cous cous di broccoli crudi e Caviale Calvisius, mentre l'essenzialità di Scabin ha sbalordito con la sua "insalata e pasta", magistrale interpretazione del Caviale Calvisius Tradition e dello Storione Bianco Calvisius.

Roma: il gruppo Gran Melià festeggia con Pommery

torità e il jet set della capitale, tra cui: Isabella Rauti, Francisco Javier Elorza, Ambasciatore di Spagna, Marta Marzotto, Renato Balestra, Livia Azzariti, il Principe Giovannelli e molti altri. Tra intrattenimenti, musica e balli, gli ospiti hanno goduto dell'eccellenza enogastronomica che ha accompagnato l'evento: i piatti dello chef stellato Don Alfonso Iaccarino abbinati allo Champagne Pommery, che per l’occasione ha proposto le cuvée Apanage Prestige, Apanage Rosé e Blanc de Blancs. Villa Agrippina Gran Melià Rome è infatti anche Station Champagne Luxury Pommery, esclusivo meeting point dove è possibile degustare le migliori cuvée di Champagne Pommery. "Siamo orgogliosi di avere arricchito l’offerta dell’ospitalità romana di una proprietà importante che regala un’esperienza unica sia ai turisti che al mercato locale. Sono certo di poter festeggiare nuovamente tanti altri successi", afferma Francesco Ascani, General Manager Gran Melià Rome Villa Agrippina. "Quest’occasione - ribadisce Gabriel JamueEscarrer- rappresenta un ulteriore passo avanti nel nostro impegno con l’Italia. Qui a Roma, ma anche a Milano e Genova, il gruppo Melià Hotels International ha concentrato infatti la sua strategia degli ultimi anni (...)". Un ringraziamento speciale è stato infine rivolto alla famiglia Torlonia, che ha affidato la gestione dell'hotel al gruppo Gran Melià.

Il profumo dell'estate romana si apre con un ricevimento all'insegna del lusso, non solo per celebrare la calda stagione in arrivo, ma per brindare al primo compleanno del Gran Melià Rome Villa Agrippina. Gabriel JamueEscarrer, Presidente e Amministratore Delegato di Melià Hotels International, e Francesco Ascani, Direttore del Gran Melià Rome Villa Agrippina, hanno accolto, nello splendidio scenario di questo hotel 5 stelle lusso, numerose au-

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il ricevimento al Gran Melià di Roma

MySmoothie, benessere rinfrescante Con l'estate cresce la voglia di mangiare cibi sani. I centrifugati di frutta svedesi mySmoothie, distributi in Italia da Eurofood, sono un vero concentrato di salute perchè svolgono un'azione disintossicante, mineralizzante e neutralizzante dell'acidità in caso di una alimentazione poco equilibrata. MySmoothie mirtillo è ideale per chi ha problemi di circolazione, mySmoothie al lampone, invece, è ricco di principi naturali antiossidanti. E non manca mySmoothie al gusto melograno, con tutte le proprietà di questo frutto. Tre gusti in comodi brick da 250 ml.

Food-retail: allestimenti professional Tecnoarredamenti Srl, azienda di Aviano (Pn) specializzata nella progettazione e realizzazione di spazi di vendita nel settore food-retail, ha realizzato il nuovo locale di Caffetteria Torinese a Palmanova (Ud), locale che si è aggiudicato anche il riconoscimento da Gambero Rosso nella categoria di milgior bar. Il progetto, ideato da Tecnoarredamenti, ha voluto dare grande spazio alla presentazione di tutti i prodotti del locale (di cui

Nereo Ballestriero è titolare), creando una disposizione degli elementi flessibile. Spazio dunque a un’offerta di somministrazione legata alla pasticceria e allo snack, alla gastronomica per il pranzo, un'offerta più ampia con piatti ricercati per la cena, creando una zona dedicate alle sedute e un’area dedicata alla preparazione a vista dei piatti. La tecnologia inserita all’interno dei banchi Tecnoarredamenti permette di esporre prodotti che hanno necessità di avere umidità e temperature diverse mantenendo un’unica linea espositiva e rendendo poliedrica l’offerta a seconda delle ore del giorno. Queste tecnologie ideate e realizzate da Tecnoarredamenti aiutano senza dubbio il cliente ad offrire un prodotto che mantiene sempre inalterate le proprie caratteristiche, così da poter soddisfare una clientela sempre più esigente.

Vini Pradio, con Menotti più valore al territorio A pochi chilometri dall’antica città fortezza di Palmanova, nella zona delle Grave del Friuli Doc, sorge la cantina Pradio, azienda agricola nata 1972 per volontà della famiglia veneta Cielo. La quarta generazione prosegue, ancora oggi, l'obiettivo di produrre vini unici per eleganza e personalità, grazie anche alla consulenza, a partire dalla vendemmia 2012, di Gianni Menotti, esperto enologo goriziano proclamato “Miglior Enologo 2012” “Oscar del Vino” per Bibenda”. Con il suo contributo, l’azienda agricola Pradio conferma quella sensibilità volta a valorizzare le uve e le microproduzioni nel rispetto assoluto del terroir di questa parte del Firuli. A firma del noto enologo è infatti tutta la gamma dei vini Pradio: in dettaglio i bianchi, vinificati in acciaio, si declinano in Gaiare, prodotto da uve Tocai Friulano, Priara da uve pinot grigio, Teraje da uve chardonnay, Sobaja da uve sauvignon e il Passaparola, prosecco spumante. Affinati in barrique di rovere i rossi, come il Crearo da uve cabernet sauvignon, il Roncomoro da uve merlot e il Tuaro da uve refosco.



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Villa in Verticale: Satèn protagonista di Elisa Facchetti Immancabile l'appuntamento con i Franciacorta delle cantine Villa. La XIX edizioni di Villa in Verticale è stata di fatto accolta, come sempre, con grande entusiasmo. Un momento imprenscindibile dedicato alla degustazione tecnica che da 19 anni anima un pubblico selezionato e appassionato: stampa specializzata, rete vendita e i migliori clienti dell'azienda. A Villa in Verticale sono state oltre dieci le annate degustate, tra il 1996 e il 2009, ma il ruolo di protagonista di questa edizione è stato assegnato al Franciacorta Satèn millesimato, presentato in anteprima per l'occasione, interprete perfetto della filosofia di Villa Franciacorta che utilizza esclusivamente le uve provenienti dai 37 ettari vitati di proprietà, al fine di garantire l’intera filiera produttiva: in particolare, il Satèn, rappresenta circa un quarto della produzione dell’azienda Villa che produce ogni anno circa 250.000 bottiglie di Franciacorta millesimato. Ma entriamo nel dettaglio della Verticale. Corrado Cugnasco, enolgo, ed Ermes Vianelli, responsabile della produzione a cui è affidata la cura dell’intera filiera produttiva, dal vigneto alla cantina, hanno illustrato il percorso evolutivo che ha caratterizzato le diverse vendemmie negli anni di riferimento. La degustazione tecnica è stata guidata da Nicola Bonera, Miglior Sommelier d’Italia nel 2010 esperto conoscitore del territorio franciacortino - e Dennis Metz, Miglior Sommelier

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d’Italia in carica e vincitore dell’ultimo Premio Franciacorta, i quali hanno identificato nella freschezza delle annate più recenti e nella rotondità e corposità del gusto in quelle invecchiate, le due caratteristiche che fanno del Satèn Villa un unicum nel panorama franciacortino: ognuna delle annate degustate ha saputo esprimere al meglio le caratteristiche e le peculiarità delle diverse vendemmie. “La gioia più grande – commenta Roberta Bianchi, alla guida dell’azienda con il marito Paolo Pizziol – viene proprio dalle parole che maggiormente ricorrono durante la degustazione: parole come emozione, eleganza, eccellenza. Sostantivi che si sono accentuati specialmente al termine della degustazione quando, all’insaputa degli ospiti, è stata servita una Selezione Satèn 2001 che ha letteralmente lasciato senza parole tutti i presenti”. Questo è ciò che ogni anno l’azienda Villa si prefigge con i propri millesimi: contraddistinguere l’annata e valorizzare il terroir. Grande l'entusiasmo per il Millesimo 2004, seguito dal 1996 e dal 2001. Cifra stilistica distintiva delle tradizionali degustazioni tecniche di Villa Franciacorta, è senza dubbio la presentazione in degustazione non di prodotti di annate storiche con sboccature recenti, ma di quegli stessi prodotti che venivano commercializzati negli anni passati: per dirla in poche parole Villa Franciacorta invita a vedere la sboccatura non come “data di scadenza”, ma come chiave di lettura a complemento del vino anziché un limite. Prossimo appuntamento con la Verticale di Villa nel 2014.



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La cucina di Oldani incontra lo champagne Pommery storia, nel quarto di bottiglia. Un vero e proprio successo che permise alla Maison Pommery di rafforzare la propria solidità finanziaria sviluppandone la vendita ed aprendo un nuovo mercato. Oggi come allora, l’innovazione e la creatività della cucina Pop del suo Chef Davide Oldani, attenta al benessere e alla qualità in equilibrio con l’accessibile, si sposa perfettamente con lo Champagne nel piccolo formato, prezioso ma Tutto ebbe inizio nel 1929, durante la raggiungibile. Un connubio ideale quello grande crisi e all’iniziativa di Melchiorre con la Maison Pommery, che ha fatto de Polignac, nipote della fondatrice Lo- della filosofia dell’innovazione, dell’anuise Pommery, all’epoca Presidente ticonformismo e della creatività la della Maison che ha voluto imbottigliare propria bandiera: Madame Louise Pomlo champagne per la prima volta nella mery ha scritto la storia dello Champagne: la prima ad aver inventato il Brut, la prima ad aver aperto le proprie Caves al pubblico, ad aver accolto l’Arte e favorito il Mecenatismo. Nel contesto di Casa Villa, prestigiosa location settecentesca immersa nel parco adiacente al ristorante D’O di Davide Oldani, si è svolto lo scorso 15 maggio uno degli eventi più glamour e più attesi della stagione degli eventi promossa da Vranken Pommery. Un light lunch di quattro portate, su menu creato dallo Chef Davide Oldani, giovane ma già celebre stella Michelin e talentuoso discepolo prima di Gualtiero Marchesi, poi di Albert Roux, Alain Ducasse e Pierre Hermé. Nel 2003 apre il D’O, con il concetto di portare la tradizione in cucina a tavola, buona e raffinata ma accessibile. Concetto tanto rivoluzionario all’epoca del suo debutto nello scenario dell’alta cucina italiana ed internazionale, tanto attuale oggi; una visione che ha portato nel tempo consensi e riconoscimenti. Le Mini Champagne Pop provengono da una selezione attenta di 20 Cru di Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay della Côte des Blancs e della Montagne de Reims e maturano sui lieviti per oltre 24 mesi. Pop, Silver, Pink e Gold, le quattro differenti qualità che si ispirano ai diversi assemblaggi, tradizionale per il Pop, Rosé per il Pink, Chardonnay per il Silver e Millesimato 2006 per il Gold, fanno di Pommery l’unica Maison a produrre uno champagne millesimato in un quarto. Creatività, anticonformismo, innovazione, rivoluzione: le parole non mancano per descrivere la filosofia dello Champagne Pop, l’excellence pas chère. Lo Champagne Pommery Pop, dedicato in particolare ad un pubblico giovane e anticonformista, si lega all’idea del Buon Bere prêt-à-porter, della qualità, della raffinatezza e del lusso ricercato anche nei piccoli formati.

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Ferrarelle, strategia vincente

di Elisa Facchetti Artù incontra Michele Pontecorvo, Responsabile Relazioni Esterne di Ferrarelle. Sotto i riflettori la nuova politica commerciale del gruppo, per rispondere colpo su colpo a un mercato altamente differenziato, con l'obiettvio di radicare nella ristorazione, come nel consumatore finale, il valore di un marchio che ha da poco festeggiato 120 anni. Forza vendita rinnovata, nuovo asset della politca commerciale, mantenimento di un pricing corretto in linea con il valore del proprio marchio, alleanze mirate con il mondo della ristorazione. Questi i punti chiave che fanno di Ferrarelle un'azienda competitiva capace di mantenere numerose referenze a portafoglio, nonostante il mercato attuale, per ovvie ragioni di mera politica economica, tenda a semplificare e ricercare forse un minore numero di brand, ma sempre più mirati e con una logica di servizio quasi esasperata. "Nella nostra cultura di impresa - ci spiega Michele Pontecorvo - siamo abi-

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tuati a gestire al meglio quello che è di nostra proprietà. Siamo un’azienda che non ha problematiche finanziarie. In un momento come questo bisogna senza dubbio salvaguardare maggiormente le spese, ma è giusto portare avanti degli investimenti. L’attenzione verso il cliente è la prima cosa per noi. È senza dubbio vero che un numero molto elevato di referenze significa anche un onore di costi molto più alto, ma significa anche offrire al cliente un servizio altamente perfezionato a cui non può più rinunciare e che ci consente di raggiungere con il cliente stesso un accordo economico finanziario che sia vantaggioso per entrambe le parti". Con la nuova direzione commerciale Ferrarelle dimostra di fatto di mantenere un pricing decisamente corretto per la qualità che rappresenta. " È presto per fare bilanci - continua Pontecorvo -, ma il prezzo medio euro/litro che stiamo avendo in questi mesi è molto più soddisfacente rispetto a quello dell’anno passato. Siamo convinti che questa sia la strategia corretta da portare avanti nonostante le circostanze difficili, anche perché offriamo al consumatore finale una gamma di prodotto molto ampia: dall’acqua "premium price" rappresentata da Ferrarelle e Vitasnella, all’acqua di medio-basso prezzo come Boario o Santagata". Si punta dunque sulla valorialità del marchio, cercando di soddisfare il consumtore finale anche grazie a delle "partnership" con la grande distribuzione: per un cliente della gdo è stata creata, ad esempio, nel 2012, la bottiglia da 1,25 litri in seguito a una richiesta di maggiore ribasso nel prezzo. E il rapporto con la ristorazione? I tempi sono cambiati anche in questa (ex) oasi di pace! Se il grande ristorante stellato apre sotto casa il piccolo bistrot (sinonimo di lusso molto più sostenibile!) cambia anche la referenza offerta da Ferrarelle, magari con la bottiglia in vetro da 33 cl, anche se il problema di fondo resta sempre lo stesso, come ci spiega Pontecorvo: "Quello che il ristoratore dovrebbe comunicare al cliente in tale circostanza, ovvero il piccolo bistrot, è


che l'acqua minerale è un prodotto pienamente rispecchiante quella categira di beni perchè ha e dà un valore aggiunto". La ristorazione più "classica", secondo una piramide di clusterizzazione, in questo momento di crisi viene nettamente sorpassata dal format "pizzeria". Non a caso Ferrarelle ha adotttao una politica di alleanze molto interessanti, la prima con l'Associazione Verace Pizza Napoletana, per poi seguire con il Campionato Mondiale della Pizza, l'evento dedicato alla mozzarella di bufala a Battipaglia, Pizzafestival, Pizzaioli emergenti di Napoli..." Il nostro obiettivo in questo caso è fare cultura, far capire l'abbinamento pizza e acqua Ferrarelle, organizzando anche dei corsi di degustazione. A livello di trade marketing continua Pontecorvo - abbiamo riorganizzato le varie categorie di ristoranti su una piramide di clusterizzazione, al cui vertice si posizonano i ristoranti

top e gorumet. In questo caso si parla più di investimento di immagine (come la nostra presenza al Teatro alla Scala e al Marchesino). A livello "trade" ci concentriamo sulla fascia media-alta della ristorazione e il cluster su cui si lavora molto bene è rappresentato proprio delle pizzerie, format che si specializzano su un’offerta di qualità del cibo. E abbiamo anche "coltivato" una politica di trade-marketing investendo sui materiali di visbilità, come la promozione dedicata ai cartoni pizza. Forniamo anche tovagliette, portapane, porta menu...". Il concetto ribadito da Michele Pontecorvo, sia per il consumatore finale, sia per la ristorazione, resta sempre lo stesso: riportare in auge il concetto di qualità delle cose semplici, come la pizza e l'acqua, dando il giusto valore per non perdere di vista le proprietà intrinseche di un prodotto eccellente per natura.

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SUMMA 13 continua a crescere di Giovanna Moldenhauer Grande successo per l’annuale appuntamento di aprile organizzato da Alois Lageder e dedicato ai vignaioli d’eccellenza che si ritrovano a Magrè, in Alto Adige, per presentare i propri vini. Gli ospiti, nella storica cornice di Casòn Hirschprunn, palazzo rinascimentale del XVII secolo, hanno degustato i vini selezionati di oltre 50 produttori. Diversi sono i vini biologici e biodinamici, provenienti da Italia, Germania, Austria, Francia, Portogallo, Spagna e Nuova Zelanda. Alois Lageder proponeva le etichette delle sue nuove annate tra cui l’assaggio molto interessante del Tannhammer 2010, da chardonnay e sauvignon, con una buona acidità, sapidità. Delle Tenutae Lageder abbiamo degustato in particolare tre etichette: l’uvaggio Casòn Hirschprunn Bianco 2009 aveva un naso intenso, una bocca equilibrata e lunga. Il Pinot Nero Krafuss 2009 e il Merlot MCM 2009 hanno confermato il loro grande livello di produzione. Tra le aziende tedesche Weingut Dr. Burklin-Wolf del Pfalz (Palatinato) presentava riesling di grande personalità data dai suoli vulcanici con argilla. L’azienda, biodinamica dal 2005, ha suddiviso i vigneti ispirandosi alla classificazione della Cote d’Or in Borgogna in Gran Cru e Premier Cru. Due vini in particolare erano eccellenti: il Kirchenstuck Gran Cru 2009 e il Jesuitengarten Gran Cru 1999. L’Azienda Agricola La Raia ha esposto a Summa la sua intera produzione di Gavi e Barbera tra cui l’eccellente

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nuovo Gavi Docg Riserva 2010 (unica produzione nella denominazione) che nasce da un vigneto di Cortese di 60 anni, uve surmature, con una permanenza sui lieviti per 6 mesi. Singolare la proposta di A Casa Società Agricola che fra le altre etichette proponeva in degustazione il Vigna di Noè Riserva Aglianico Taurasi Docg 2007. Il vigneto, impiantato nel 1830 su un suolo vulcanico, è tuttora costituito da viti prefilossera tramandate. Vino molto interessante con profumi inusuali, complessi, era morbido, equilibrato nella beva. A Summa è avvenuta la presentazione ufficiale del nuovo referente per i settori agricoltura, enologia, ricerca e didattica della Tenuta Lageder, Georg Meissner, che succede dopo 45 vendemmie a Luis von Dellemann, enologo e maestro cantiniere. “Ritengo che la qualità è sempre il risultato di molti dettagli, a volte, anche minimi” ha sostenuto ai suoi ospiti Alois Lageder, accompagnato dal figlio Alois Clemens. “In tutte le fasi di lavorazione in campagna e in cantina cerco, prima di tutto, di trovare un’armonia fra tutti i fattori coinvolti, lavorando per questo in sintonia con la natura. Per me ispirarsi a un approccio olistico significa non soltanto agire in modo sostenibile, rispettare la natura, sentirci responsabili nei confronti delle generazioni future, ma anche guardare al di là dalla mera produzione vitivinicola. La biodinamica, che per me rappresenta una filosofia di vita, dà ai vini, prodotti con questa metodologia, più armonia ed equilibrio, minore alcolicità”. La proposta gastronomica che ha abbinato prodotti stagionali di derivazione biologica o biodinamica, è stata realizzata in collaborazione con Hannah & Elia Fine Cooking Great Events e lo chef della Vineria Paradeis, Ignazio Vigneri. Lo chef Antto Melasniemi, fra gli espositori, ha utilizzato un innovativo ed ecologico sistema di cottura con energia solare. Tra i partner della manifestazione il Monografo Felicetti ha proposto in cucina Davide Scabin, chef due stelle Michelin del Combal.Ze-

A lato: da sinistra l’enologo e maestro cantiniere Luis von Dellemann, il nuovo enologo della Cantina di Magrè Georg Meissner, il vignaiolo Alois IV Lageder e il figlio Alois Clemens Lageder.

ro, che ha interpretato la pasta con piatti che hanno coniugato classico e contemporaneo, tra cui il canederlo magico con ripieno di pasta. Le diverse preparazioni hanno reso la pausa pranzo un momento culinario interessante e gustoso. Summa 13, ideata come green event, è stata organizzata in collaborazione con Aiutare senza Confini - ONLUS per aiutare i profughi della guerra civile in Birmania. La precedente edizione e il progetto musicale Vin-o-Ton 2012 hanno permesso di raccogliere e interamente devolvere all’associazione umanitaria oltre 36.000 euro. L’ingresso alla manifestazione, rigorosamente su invito, ha consentito di trascorrere una giornata speciale con vignaioli d’eccellenza, di conoscere e degustare vini di grande interesse per millesimo e caratteristiche produttive.

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ALTO ADIGE Pinot bianco al top

A lato a partire da sinistra: Thomas Augschoell coordinatore della Promozione Vini Alto Adige, Rudi Kofler enologo della Cantina di Terlano, Helmuth Zanotti Direttore del Consorzio vini Alto Adige e Anton Zublasing presidente del Consorzio vini Alto Adige. di Giovanna Moldenhauer Carlo Cracco ha recentemente ospitato nel suo ristorante milanese una degustazione dedicata al Pinot Bianco dell’Alto Adige. Il Consorzio che tutela il Weissburgunder, ha presentato quindici etichette di diverse annate provenienti dalle diverse zone vinicole, con risultati degustativi sorprendenti. Il clima, i suoli, le altitudini, le forti escursioni termiche nel periodo di fine maturazione dei grappoli hanno consentito il perfetto adattamento di questo vitigno presente sul territorio dalla metà dell’800. Il vitigno, che costituisce attualmente il 9,26% dell’intera superficie vitata, si caratterizza nelle diverse situazioni pedoclimatiche in cui è allevato in modo diverso quanto a freschezza, struttura, complessità, possibilità di invecchiamento. Il Pinot Bianco negli abbinamenti predilige piatti di pesce, torte di verdure, asparagi, formaggi morbidi. Carlo Cracco ha proposto per l’occasione 10 diverse preparazioni con inusuali abbi-

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namenti come il tuorlo d’uovo croccante, il salmone marinato e foie gras, la bresaola d’agnello. La degustazione, dopo un’introduzione del presidente del Consorzio Toni Zublasing, è stata preceduta da una presentazione da parte di Rudi Kofler, enologo della Cantina di Terlano, che ha messo in evidenza come il vitigno, poco conosciuto rispetto ad altre varietà, abbia eleganza, finezza, un’acidità vivace, una bella freschezza, espressioni saline e minerali. I vini degustati erano tutti ottimi, alcuni hanno lasciato un ricordo più profondo. Il Pinot Bianco Plattenriegl 2012 della cantina Girlan, ottenuto da vigne a 550 metri d’altitudine sopra San Michele Appiano, è vinificato con un 25% in grandi botti di legno. Per quanto giovanissimo aveva profumi di mela cotogna e una grande persistenza in bocca. Del millesimo precedente il vino Anna Turmhof 2011 di Tiefenbrunner vinificato in acciaio e botte grande, proponeva non solo profumi di mela, ma anche di pompelmo, mandorla. Nella degustazione era fresco con note sapide, un finale lungo di frutta e fiori. Ottenuto da una vigna di 40 anni a 600 metri di altezza il Pinot Bianco Riserva Passion 2010 di San Paolo, dopo avere fatto la fermentazione in

botti grandi di rovere, è maturato nelle stesse per 18 mesi. Il vino con profumi di mela e melone bianco aveva complessità, eleganza, ottima struttura e sapidità. Il vino in degustazione della linea St. Valentin di St. Michele Appiano era del 2007. Dopo avere fermentato e affinato in barrique e legno grande per 11 mesi, ne passa per altri 6 in acciaio. Al naso aveva un bellissimo aroma di frutta matura, mela, pesca, di fiori, di vaniglia. In bocca era ricco, minerale, con una grande finezza. Fra tutti spiccava il Pinot Bianco 1980 di Terlano. È stato vinificato come da tradizione per la cantina in botti da 70 ettolitri dove ha eseguito la fermentazione, la malolattica e la sosta sui lieviti per circa 12 mesi prima dell’imbottigliamento. Una buona consistenza e finezza hanno reso molto interessante questo vino. Nell’esame olfattivo emergevano soprattutto la mela golden, la confettura d’albicocca, in quello gustativo una buona acidità e mineralità. Tutti i vini, con le proposte di Carlo Cracco in abbinamento, hanno reso la degustazione un momento davvero speciale. Artù n°56

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di Alberto Lupetti Il ristorante di Soragna stella lo è sia di nome, sia per via del prestigioso riconoscimento della guida Michelin. Ma, più d’ogni altra cosa, lo è per il brillare della cucina di Marco Dallabona, che affianca in maniera superba gusto emiliano e creatività. La Bassa Parmense è la culla del gusto emiliano. Vi nascono straordinari Parmigiani, è la patria del Culatello, ma è anche terra di squisite cucine figlie di quella tradizione di piccole osterie che, dal bicchiere di Fortana al fianco di due fette di Culatello o di salame, si sono evolute negli ultimi vent’anni in mete culinarie. Tra queste emerge con autorevolezza la Stella d’Oro, al punto di valere da sola il viaggio nonostante il suo patròn Marco Dallabona l’abbia battezzata con fin troppa modestia "trattoria e antica locanda con alloggio". Siamo a Soragna, antico abitato di epoca longobarda incastonato nel cuore della Bassa, tra la Busseto di verdiana memoria e la regale Colorno, all’ombra del grande fiume Po. Marco Dallabona e la sua famiglia hanno rilevato il locale nel 2001 e nello spazio di una decina d’anni ne hanno fatto un ristorante dal grandissimo tasso di soddisfazione. A cominciare dall’ambientazione, perfetto equilibrio di eleganza e rusticità, in altre parole accogliente. E nella bella stagione si può anche mangiare nel cortile interno in pietra, con vista sulla straordinaria cantina costruita man mano con grande passione. Ecco, la cantina… Purtroppo, molti (troppi) ristoratori vedono il vino come mezzo per fare cassa, quando, invece, dovrebbe essere il complemento irrinunciabile dei piatti della loro cucina. Per fortuna lo chef emiliano l’ha capito immediatamente, così se la carta dei vini della Stella d’Oro impressiona immediatamente per qualità e quantità, a seguire stupisce per l’onestà, anzi la competitività dei ricarichi, finanche dei

più pregiati champagne, che occupano una parte importante. D’altronde siamo a Parma, città che ama oltremodo le bollicine d’Oltralpe e che ha il vantaggio di sposare alla perfezione la sua gastronomia al re dei vini… . Ma non è tutto: una nota all’inizio della carta specifica che le bottiglie sono anche disponibili all’asporto a un prezzo ancora più basso. Tra l’altro, lo stesso Marco Dallabona è sommelier, ma soprattutto grande appassionato, pertanto il consiglio è di affidarsi a lui nella Artù n°56

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Anche piatti di pesce tra le creazioni di Marco Dallabona. Nella foto Baccalà alla plancia, cipollotto e tropea glassata, passata di broccoli.

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lo stesso chef emiliano a confessarlo: “Ho sempre lavorato per amore ma, dopo il primo anno della Stella d’Oro, ho capito che avrei cominciato ad amare per lavoro. Volevo creare un luogo dove non si venisse semplicemente a sfamarsi, ma uno dove la gente vivesse il ristorante in tutti i sensi, offrendo cordialità e piacevolezza in prima persona”. Allora, in un’atmosfera golosa la cui conviviale scelta cordialità sfiora l’amichevolezza, ecco del vino: si po- scoprire un menu nel quale la pasta trebbe rimanere assolutamente stupiti, fresca è assoluta protagonista, da un anche da etichette teoricamente molto piatto semplice ma straordinariamente semplici della zona da uve Fortana o gustoso come il “Nido di pappardelle con pasta di salame fresco e fonduta Lambrusco! Un’altra specialità di Marco Dallabona di Parmigiano”, a uno più sofisticato sono i salumi. Ovvio, vista la colloca- come i "Tortelli di patate con tartufo e zione, verrebbe da dire, ma la cosa sugo d’arrosto", mentre gli amanti della non è così scontata, anzi. Le specialità tradizione più rigorosa applaudiranno i servite alla Stella d’Oro sono il frutto “Tortelli alle erbette” (ricotta e spinaci, di una ricerca maniacale che rasenta con burro chiarificato e Parmigiano l’ossessione e l’ultima parte della sta- della Bassa) e gli immancabili “Anolini gionatura viene sempre terminata in brodo”. Il menu specifica che questi nelle cantine di famiglia (“sono nato ultimi sono quella della “vecchia traditra i Culatelli” ricorda). Pertanto, a tavola arrivano autentiche prelibatezze, dallo Strolghino - veramente particolare - alla selezione di tre Culatello di Zibello, da un’imperdibile Salame della Bassa (molto simile al Felino, ma più stagionato, fino alla “goccia”) a un Prosciutto di Parma da sogno il cui affinamento è stato “tirato” dal Dallabona fino a 54 mesi! Naturalmente, vino e salumi fanno da apripista alla cucina della Stella d’Oro, una cucina basata sulla tradizione, ma arricchita da una creatività intelligente e senza disdegnare puntate extra territorio. “La mia è indubbiamente una cucina padana - spiega Dallabona quella storicamente fondata sui latticini e sul maiale, anche se, rispetto al passato, i piatti hanno guadagnato in leggerezza”. Ma manca un altro ingrediente fondamentale, forse la colonna portante della Stella d’Oro: la passione. È ancora


Scorcio della Stella d’Oro. Le bottiglie esposte possono far intuire l’eccellenza della carta dei vini.

Uno dei secondi creati da Marco Dallabona: filetto rosa di Parma con salsa al tartufo nero e patate al rosmarino.

zione”, quindi non ripieni di carne, bensì di pane e Parmigiano, mentre il brodo è il doppio ristretto dai bolliti preparati in cucina. Già, perché una volta a settimana, la domenica, è proposto il classico carrello dei bolliti. Il cavallo di battaglia di Marco Dallabona, però, è il “vero (in maiuscolo sul menu…) Savarin di riso”, qui proposto “con lingua salmistrata e salsa classica in ricordo di Mirella e Peppino Cantarelli”. Per rimanere a tema riso, poi, si rischia addirittura la commozione di fronte al gusto travolgente del “Tortino al Lambrusco con Mariola e riduzione di Parmigiano”. E i secondi? Beh, ammesso di avere ancora spazio dopo queste squisitezze, ci si può divertire tra proposte non necessariamente legate al maiale. Gustosissimo e leggero il “Filetto rosa di Parma con salsa al tartufo nero e patate al rosmarino”, più intenso il “Filetto rosolato nel guanciale su vellutata di peperoni gialli”, immancabile la “Suprema di faraona caramellata all’Aceto Balsamico” (le faraone sono quelle al-

levate nel piacentino da Luciano Pigorini); il maiale c’è, ma toscano: “Cinta Senese glassata al forno con timo, castagne e cicoria”. Al pesce, invece, è dedicata una parte specifica del menu, dall’antipasto al primo e fino ai secondi. E questi piatti non sono proposti solo per accontentare anche gli amanti del genere, ma dimostrano la ricerca, la bravura dello chef emiliano, dai crudi (ad esempio “Gallinella cotta nel sale, patate, pomodorini, basilico, salsa acida d’uovo sodo”) ai piatti più elaborati (“Barretta di zucchine, pesce spada al lime, gamberoni al vapore e vinaigrette d’agrumi”). A parte il menu dei dessert, si può chiudere anche con un ottimo Parmigiano-Reggiano selezionato dallo stesso Marco Dallabona. www.ristorantestelladoro.it

Geniale e gustosissimo omaggio alla tradizione: tortino al Lambrusco con Mariola e riduzione di Parmigiano. Nel menu è specificato che il Lambrusco è il Maritata della Tomasetti.

Marco Dallabona, appassionato gourmet, fine conoscitore dei vini, talentuoso chef, squisito ospite.

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La passione di Fabiana Napoletanità vincente

di Alberto P. Schieppati

Fabiana Piantieri, napoletana doc, è una ristoratrice di razza, anche se Apre a Milano un ristorante di schietta non è figlia d’arte né ha alle spalle impronta napoletana e ischitana. Raf- attività legate alla ristorazione o alfinate proposte di gusto e sostanza l’ospitalità. È forse proprio per questo in cui dominano sfiziosità, primi piatti che Fabiana, moglie di un noto avvodi grande struttura, secondi di pesce. cato, ha la freschezza e la passione Il contesto contemporaneo, dominato che si convengono a chi apre un da atmosfera soft ed elegante convi- locale di ristorazione innovativa, punvialità, crea ambientazioni inedite. Il tando su una clientela alla ricerca di ristorante Non è peccato si trova a gusto, sapori, piatti di tradizione saMilano, nel cuore di Brera e promette pientemente riadattati ai tempi momolto bene: lontano da mode effimere derni. Il ristorante, aperto a Milano e fortemente caratterizzato per qualità nei mesi scorsi, può già contare su e quantità dell’offerta. Vini campani, una clientela di grande affezione, initaliani e internazionali. namorata dei piatti partenopei ed ischitani che sono il fulcro sul quale punta la semplice (quindi ricercata e mai banale) cucina del locale, curato nei minimi dettagli. L’ambientazione è singolare e - pur nella indubbia atmosfera di italianità pura (resa ancora più efficace dalla naturale parlata napoletana del personale di sala, giovane e simpaticissimo) - ricorda vagamente certi concept newyorkesi: atmosfera informale per il lunch, aperitivo rinforzato per la sera, convivialità e socializzazione al momento del dinner: un rito elegante e moderno, senza preamboli né formalismi, con un servizio

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ai tavoli easy e non impiallacciato. Insomma, un locale che sta trovando la giusta strada per il successo e che si rivela fin dall’arrivo dei “frittini” iniziali un luogo di singolari esperienze gustative. Non è peccato (questo il nome del locale, mutuato da una celebre canzone di Peppino Di Capri) è nel cuore di Brera, in via dell’Orso al 4, una zona di Milano che si è ormai connotata come la più contemporanea, date le frequentazioni internazionali e la costante presenza di quella che un tempo avremmo definito senza timori la “Milano bene”. Una visita al ristorante di Fabiana mette immediatamente in contatto con la cucina più spontanea e naturale del mondo, la napoletana appunto, qui proposta all’insegna di una veridicità impressionante per gusti, sapori,

esecuzione e materie prime: una apoteosi del gusto, a cominciare dai succitati frittini, deliziosi, ricchi, leggeri grazie a materie prime di qualità e olio di frittura sempre rinnovato. I “croccanti” sono un po’ il biglietto da visita del locale: arancini, mozzarelline in carrozza, paste cresciute, fiorilli, montanare apriranno il palato ad esperienze più impegnative, in cui il pesce la fa da padrone. Nel menu (che si presenta come un fascicolo formato tabloid che ha la velleità di informare sui “contenuti” dell’offerta) troviamo piatti di impegno e di ingegno, egregiamente realizzati dal giovane chef ischitano che guida la brigata Emanuele Riccio: spaghetti alla Nerano, maccheroncello allo scarpariello, bucatino all’ischitana, paccheri pecorino e cozze, spaghetti con pomodorini pachino mantecati. Piatti di deliziosa impronta napoletana, memorabili per qualità delle materie prime e coerenza scenografica: il piatto del quale ci siamo innamorati perdutamente, però, sono gli scialatielli “Non è peccato”, pasta fresca con i frutti del mare, abbondantemente presenti nel pentolino di rame con il quale il cameriere si presenta al tavolo, conditi con fragrante e profumato extra vergine di oliva: una proposta di rara e sostanziosa eleganza, che esprime freschezza e mediterraneità. Tutta la linea di cucina del ristorante, del resto, è connotata da proposte della tradizione napoletana

● Non è peccato

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(“senza la pizza, che abbiamo volutamente escluso dal menu”, dice Fabiana Piantieri, quasi a sottolineare che qui non sono ammesse mescolanze culinarie, pur nell’estremo rispetto della pizza, che è comunque un simbolo internazionale della nostra grande semplicità culinaria) e ischitana. Fra i secondi di pesce, segnaliamo gli scampi gratinati, il carpaccio, i gamberoni al vino mentre fra le carni va ricordato il coniglio all’ischitana (solo su prenotazione per 4 persone) o il polletto alla fumarola, che si ispira a quel piatto isolano, simbolo di Ischia, un tempo cotto nella sabbia senza l’apporto di fuoco diretto. Da provare anche gli “sfizi” e i cosiddetti “piccoli peccati”: fra i primi, eccellente la parmigiana di melanzane o zucchine, le polpettine con i peperoni, la pizza alla scarola (unica deroga all’esclusione di pizze tradizionali dal menu). Fra i secondi, visto che qui peccare è d’obbligo, suggeriamo le verdure alla

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scapece e le melanzane al funghetto. I dolci sono espressione di un grande lavoro della cucina, concentrata sulle materie prime in chiave di assoluto rispetto per la tradizione: pastiera napoletana, caprese ai limoni di Sorrento, caprese al cioccolato ma anche graffette napoletane e crostate con marmellate organiche di rara squisitezza. Il capitolo vini vede la presenza in pole position di vini ischitani, ma data anche l’importanza del locale, la selezione è vastissima e tocca tutte le etichette-icona della produzione nazionale, con un accento evidente sulle nostre flagship, conosciute a livello internazionale. I prezzi? Assolutamente proporzionati all’esperienza che, considerata anche l’abbondanza delle porzioni, consente ai clienti di scegliere un paio di piatti restando ampiamente sotto la soglia dei 40 euro a testa, per due ore di godimento allo stato puro. A pranzo, business lunch a 22 euro, per chi ha fretta, ma anche fame. www.trattorianonepeccato.it



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Olio Ronci, passione di famiglia di Elisa Facchetti Nel cuore delle colline umbre un paesaggio mozzafiato fa da cornice a una piccola realtà a conduzione familiare, portabandiera di un prodotto dell'eccellenza umbra: l'olio extra vergine d'oliva Ronci. Qui, la preziosa tradizione unita alle moderne tecniche di lavorazione e coltivazione, nel pieno rispetto dell'ecosistema, regalano un prodotto di altissima qualità. L'azienda Agraria e Frantoio Ronci si trova a Bevagna, a 350 m di altitudine, in una zona naturalmente vocata per la coltivazione degli ulivi, ben 4500 quelli dell'azienda, nati in un terreno calcareo, molto roccioso e povero di humus. La famiglia Ronci, da generazioni dedita all'agricoltura, produce olio extra vergine d'oliva dal 1978, una pasione che si afferma grazie alla tenacia di Marcello Ronci che decide di impiantare nuovi uliveti e realizzare un frantoio moderno. La moglie Annarita e le figlie Simona, laureata in agraria, e Roberta, hanno poi seguito Marcello nella sua passione per l'olio extra vergine d'oliva, prodotto secondo i dettami dell'agricoltura biologica, adottando tecniche e modalità d'intervento a salvaguardia dell'ambiente e degli uliveti, al fine di produrre un olio qualita-

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tivamente superiore: "Produrre olio extra vergine di oliva di alta qualità e in modo naturale è intrinseco nel nostro DNA spiega Roberta Ronci - infatti la nostra è un'antica famiglia di agricoltori che vive in questa terra e lavora tra gli ulivi da generazioni ed è parte integrante di questo straordinario territorio. Accudiamo le piante con l’arte, la passione, l’amore, la pazienza e la virtù che i nostri predecessori ci hanno trasmesso, migliorandone la qualità, osservando ed inseguendo sempre tecniche più evolute". Tutte le operazioni sono di fatto seguite in prima persona dalla famiglia Ronci, a partire dalla concimazione del campo fino alla raccolta, che avviene tra fine ottobre e i primi 15 giorni di novembre, in modo da raccogliere le olive al giusto grado di maturazione. La raccolta, detta brucatura,


svolta interamente a mano, è seguita dall'immediata lavorazione nel frantoio a freddo: entro otto ore dalla raccolta viene eseguita la molinatura delle olive. Ma procediamo con ordine. Con la frangitura, preceduta da defogliazione e lavaggio delle olive, si ottiene la prima estrazione: durante questa fase si creano delle emulsioni tra acqua contenuta nelle olive (50%) e l'olio. A rompere questa emulsione interviene la gramolatura, o gramulazione: questa è la fase più importante per determinare la qualità dell'olio, ci spiega Marcello, in cui l'abilità del "frantoiano" concorre a stabilire i giusti tempi di espozione della pasta d'olio con l'ossigeno - l'eccessivo contatto porta alla formazione di sostanze responsabili della degradazione dell'olio , del controllo della temperature - la gramolatura si svolge "a freddo", cioè tra i 24 e 27° C - e controlla la durata della lavorazione che non deve superare i 3040 minuti. Estrazione e separazione finale concludono le fasi di lavorazione. A questo punto l'olio ottenuto risulta leggermente torbido e opaco. Il periodo di stoccaggio, in serbatoi di acciaio inox, consentono all'olio di decantare in modo naturale, lasciando cioè sedimentare sul fondo le mucillagini della buccia e le particelle di acqua in sospensione. La raccolta a mano, la molinatura entro otto ore dalla raccolta e le tecniche di spremitura a freddo, con grande attenzione in ogni fase dell'estrazione dell'olio, rappresentano una filosofia di produzione che, ovviamente, incide sul prezzo finale, ma come ci spiega Roberta Ronci "i clienti, soprattutto chi è abituato a consumare un prodotto commerciale, una

volta provato il nostro olio difficilmente tornano su un prodotto di qualità inferiore". Produrre ripsettando ambiente, territorio e Cultivar è a tutto vantaggio dell'azienda perchè evita lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e migliora la qualità di vita dell'ecosistema. Inoltre l'azienda dispone di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica e una caldaia a biomassa che brucia il nocciolino di sansa (prodotto direttamente in azienda) e produce acqua calda per il riscaldamento e acqua calda sanitaria. Dalle Cultivar selezionate Frantoio, Moraiolo e Leccino nascono quattro selezioni con caratteristiche diverse fra loro, ma con un denominatore comune: la qualità e la matrice "umbra". Classico Biologico, monovarietale Frantoio e Moraiolo sono le etichette dell'azienda, a cui una menzione speciale spetta all'etichetta Biologico "Mandarino": esaltazione della tipicità umbra, risulta morbido ed elegante, capace di esprimere la sua grande struttura con una lunghissima persistenza aromatica. La pasta è finissima e il gusto compatto dà sostegno all'equilibrio amaropiccante; il finale mostra freschezza e ottima persistenza. Il profumo? Fragrante con note fruttate evidenti e note verdi ben espresse. "Ogni varietà si caratterizza con una propria identità della pianta e del frutto - spiega Marcello Ronci - ed è possibile estrarne il vero carattere solo attraverso una grande maestria nei metodi di coltivazione, lavorazione e conservazione". La maggior parte della produzione dell'olio Ronci viene venduta al consumatore finale, con acquisti diretti l'azienda ospita una sala degustazione per assaggi e acquisti - o attraverso spedizioni con prenotazioni online. Il prodotto è diffuso anche in Europa e Asia grazie ad alcuni importatori. E non mancano i riconoscimenti ottenuti dall'azienda Ronci, di cui ne citiamo solo alcuni: Oli d'Italia 2012 - I migliori extravergine di Gambero Rosso; riconoscimento Miglior Packaging Biolevo 2011; riconoscimento di Alta Qualità - Concorso Biol 2011; Tre Foglie Valutazione dell'eccellenza della guida Oli d'Italia 2011: Etichetta il Biologico; Oli d'Italia 2011 - I migliori extravergine 2011 di Gambero Rosso... . Artù n°56

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Lorenzo Cogo La (eco)sostenibile leggerezza 34

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di Stefania Zolotti La memoria è forse uno degli ingredienti irrinunciabili di Lorenzo Cogo, patron del ristorante El Coq a Marano Vicentino. Parlare con lui serve a capire che avere molti ricordi e sentirli motore della propria vita non è questione di età. Lui di anni ne conta 27 appena, figlio di due generazioni di chef, con un filo già lungo di tecniche e di esperienze che lo legano dal passato al futuro della sua identità in cucina. In mezzo c’è una attitudine tutta sua nel voler lasciare un’impronta onesta della Terra in ciò che esce coi suoi piatti. Forse andrebbe pensata proprio così la ristorazione sostenibile moderna, superando quel concetto ormai abusato e limitante del ricorrere agli avanzi o del ridurre gli sprechi. Oggi l’ambiente chiede molto di più. “Evitare gli sprechi in cucina appartiene da sempre al lavoro di uno chef. Ma ora più che mai, cucinare con uno spirito sostenibile vuol dire usare la propria conoscenza di tecniche diversificate per sfruttare le materie prime ed evitare il più possibile gli scarti. Questo concetto, applicato ad esempio alle verdure, si traduce col fatto che una volta usate le cime intere per il piatto, centrifugo poi i gambi e dopo aver disidratato la fibra

ne ottengo la base per creare un sale aromatizzato. Uso la tecnica non per stupire ma per sfruttare al massimo le materie prime”. A livello globale, raccogliendo i dati di quanto effettivamente si finisce per classificare come “spreco alimentare”, è troppo semplice puntare il dito solo sull’ultimo anello della catena, anche se è pur sempre il consumatore il principale responsabile. Neppure la ristorazione, però, si risparmia nel buttare – hotellerie compresa – aggiudicandosi un 15% della torta degli sprechi a causa di eccedenza nelle porzioni servite o nelle quantità preparate. Innovativo e vincente il progetto Culinary Misfits (www.culinarymisfits.de) che parte da Berlino e disegna una rete di catering creativo le cui materie prime derivano per la quasi totalità proprio dagli scarti della ristorazione, oltre che dei supermercati. Gli ingredienti sono per lo più frutta e ortaggi che le cucine eliminano perché non ritenute di buon livel-

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dotti locali ha un senso se sono funzionali alla cucina, certo non va fatto solo per principio”. Gli ingredienti che arrivano a El Coq possono aver fatto molta strada, infatti. C’è tanta Italia, da nord a sud, ma anche tanto Giappone e molta Spagna. E quando inizialmente qualcuno obiettò che Cogo usasse troppe materie prime lontane, la sua risposta è stata dimostrare la coerenza delle scelte attraverso una grande professionalità. Il valore dei suoi piatti è oggi il risultato di un equilibrio pensato e voluto e i clienti lo sanno. La critica applaude. Una guida (Identità Golose) lo premia come “Sorpresa dell’anno 2012”. Cogo ha avuto il merito e la fortuna di lavorare in giro per il mondo già giovanissimo, in quella fase della vita in cui tutto va fermato e preso e in cui la mente ha ancora tanto spazio per stoccare esperienze che prima o poi nella vita serviranno. Vicenza, Milano, Melbourne, Sidney, poi Giappone, Paesi Baschi, Danimarca e infine di nuovo a casa, dove nasce il suo ristorante. È lì dentro che mescola il mondo nel piatto e le lingue del mondo: El Coq è quasi un esperanto che fonde il gallo francese (coq) con l’aggettivo vicentino (el); ma al tempo stesso risuona anche il suo cognome reso sghembo dal dialetto in quell’espressione affettuosa con cui la gente del posto chiamava il padre. In ogni caso è uomo-terra-animale la triade dominante del suo voler essere chef oggi, in un tempo che assiste alla mutazione inevitabile dell’alta cucina. Meno sfarzo, più senso. Cogo rivendica così la lo estetico: gli chef di Culinary Misfits Natura dentro il suo locale. Lui la chiama enfatizzano così proprio l’aspetto esteriore “cucina istintiva”, che è un po’ ragionare dei prodotti, inventando forme e realiz- per sottrazione e prevenire le gabbie di zazioni insolite. Nulla da rimproverare a categoria. “Nasce con questo aggettivo Lorenzo Cogo che con grande convinzione proprio per non voler essere classificata dice la sua sulla filosofia del kilometro dentro chissà quale schema imposto zero, troppo spesso presa a parametro da qualcuno, volevo che emergesse la di una ristorazione sostenibile. “Con me mia personalità. È stato un modo per riqueste mode non funzionano perché io vendicare la mia libertà di espressione non ci credo, sono un fattore di business in cucina. Io faccio ciò che mi sento, rie basta. Se posso aiutare a far crescere spettando sempre il mio lavoro: può il mio territorio lo faccio volentieri ma però capitare che magari un piatto disoltanto se le persone, i prodotti e la penda dal mio stato d’animo prima anmentalità corrispondono davvero alle cora che da una ricetta. Bisognerebbe mie necessità. Da chef, attingere ai pro- non spiegare mai nulla in maniera troppo

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rigida o decisa e questo vale a maggior ragione per questa fase della mia vita professionale: sto attraversando infatti un momento di crescita non soltanto mio, ma di tutta la brigata. Non ho voluto paletti semplicemente perché volevo sperimentare, anche con loro”. Libertà sì, ce ne vuole e come. Ma uno chef deve anche saper mettere un punto ogni tanto e aspettare di vedere che succede, saper attendere dai clienti. Cogo c’è riuscito con l’Acquario, lo snack famoso a forma di vasetto Ikea che ha riempito coi suoi ricordi grandi che sono anche grandi ricordi. Acquario traduce perfettamente la poetica di Cogo in cucina: pur non essendo il barattolo di vetro uno strumento nuovo per gli chef, qui si mette in gioco quella trasparenza che in lui diventa pulizia delle idee e cifra stilistica d’insieme. Una granita di dashi, le cozze dell’Adriatico, l’asparago di mare e il fumo di

legno di faggio che per legare il tutto si lascia percepire quasi solido. Ma la sua vena green è anche nella sobrietà del menu, mai eccessivo, in ogni senso. È lo sviluppo di tutta la sua scelta in cucina: il contenuto va protetto. “Per il 90% delle mie materie prime uso la brace perché porta con sé una complessità di gusti e di sapori superiore a qualsiasi altra tecnica di cottura”. Apre e chiude gli sportelli di quel forno a legna con la stessa leggerezza con cui i bambini giocano nei cassetti dei ricordi e con la stessa sicurezza con cui gli adulti sanno ciò che cercano. Tutto, o quasi, passa alla brace nella cucina di Lorenzo Cogo, lui che è capace di stemperare con semplicità quegli umori accesi dei Paesi Baschi in cui ha fatto sua la tecnica del fuoco. Qui anche l’insalata passa in forno per un giorno intero e si croccantizza per il palato, mentre il riso si affumica con tralci di

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● Marano Vicentino

vite prima di passare in cottura con zucca e porto. E poi piatti nati dall’estro e dall’estero: lo Shabu shabu di Waggy e tartufo, la Rugiada che riempie naso e bocca con l’autunno, l’Omaggio alla Barbabietola. Sedersi ai tavoli di El Coq offre un doppio binario di scelta: il menu Grezzo Originario, classico, dove sono i prodotti a parlare di sé (carni, formaggi, uova, pesce) oppure l’Io Culinario, geniale nella concezione, dove con un meritato atto di fede ci si affida al suo istinto in più portate. Tutta la brigata di El Coq ha la matrice di freschezza che lui cerca. È di 25 anni l’età media dei collaboratori: giovani che traghettano grossi stimoli e tanto senso del sacrificio. “Io posso dire di essere nato in cucina, da quando avevo 14 anni. È per questo che ho avuto l’esigenza fin da subito di sentire attorno a me l’energia di un gruppo giovane. E i clienti lo sentono, lo vedono nel piatto e soprattutto tornano. Teoricamente non dovrebbe esser facile creare uno spirito di squadra quando si è sempre fuori come me, ma tra di noi ci siamo riusciti. Forse perché ho sempre voluto renderli

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autonomi. Io non posso che trasmettere loro il mio pensiero di approccio alla cucina in modo che possano riprodurlo. C’è sempre un grande coinvolgimento e un intenso scambio di opinioni. Ciò che conta è che ognuno usi la propria testa. I miei piatti portano la mia forma e personalità, oltre che ovviamente il mio palato, ma col passare del tempo mi sono accorto che la loro mentalità si accorda perfettamente agli stimoli”. Nell’ultima edizione della Guida ai Green Jobs compare anche l’Eco-Chef, descritto nelle sue attitudini e professionalità. Alla voce “mercato del lavoro”, proprio alla fine, gli autori chiosano: “L’Ecochef, tra pochi anni, sarà l’unico chef possibile”. Lui è sulla strada maestra per arrivare ad esserlo. Lorenzo Cogo, con la sua storia, insegna ai giovani della ristorazione che per accreditarsi seriamente non servono solo tecnica e fornelli ma anche chilometri e valigie. Nell’alta cucina, in ogni angolo del mondo, c’è davvero un gran bisogno di chef che diventino sempre meno ego(centrici) e sempre più eco(sostenibili). www.elcoq.com



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Sapori Ticino Realtà Europea

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di Theo Smith Ne ha fatta di strada S. Pellegrino Sapori Ticino (www.sanpellegrinosaporiticino.ch), la grande manifestazione gastronomica che è ormai giunta alla settima edizione. Grazie all’impegno e alla lungimiranza di Dany Stauffacher, deus ex machina dell’evento, Sapori Ticino ha realizzato quest’anno una partnership di eccezione con Berlino, portando nella Svizzera italiana sette grandi chef che operano in prestigiose strutture di ristorazione, ospitati da altrettanti superchef ticinesi. Ed è stato un successo senza precedenti. Nove serate, fra aprile e maggio, hanno movimentato la scena ticinese, trasformando la ristorazione del cantone italiano della Confederazione elvetica in palestra di alta cucina. I protagonisti sono stati loro, i nove chef operanti in Ticino, veri e propri celebrity chef assurti a fama di livello europeo, che hanno a loro volta ospitato sette chef operanti a Berlino, creando un momento di scambio culturale e gastronomico decisamente memorabile. Ancora una volta la volontà, l’impegno e, diciamolo, la genialità di Dany Stauffacher (insieme all’efficienza del suo staff di collaboratori) hanno dimostrato che aprirsi all’Europa è la mossa vincente per ogni manifestazione che voglia essere up to date. Delle nove serate, la prima (il 7 aprile, al Kurhaus Cademario, curata da Franco Passoni) e l’ultima (il 12 maggio, al Grand Hotel Eden di Lugano, curata da Alessandro Fumagalli) hanno suggellato il sodalizio degli executive chef ticinesi che fanno ormai parte del “gruppo dirigente” dell’evento. I loro nomi: Ivo Adam, del Seven di Ascona, che ha ospitato Michael Kempf, del Facil restaurant del Mandala Hotel di Berlino, Dario Ranza, del Villa Principe Leopoldo, a Lugano, che ha ospitato Christian Lohse, del Fischers Fritz del berlinese Regent Hotel, Marco Ghioldi, dello Splendide Royal di Lugano, che ha ricevuto Hendrick Otto, chef al Lorenz Adlon Esszimer, del Kempinski di Berlino, Egidio Iadonisi, del Swiss Diamond Hotel, a

In apertura, filetto di vitello, asparagi, pompelmo, spugnola e salsa Tandoori. Qui a lato, da sinistra, lo chef tedesco Philipp Jay Meisel, il ticinese Dany Stauffacher organizzatore dell’evento e lo chef italiano di Villa Orselina Antonio Fallini. Artù n°56

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Vico Morcote, che ha ospitato Matthias Diether, del First Floor dell’Hotel Palace, Andrea Bertarini, del Conca Bella di Vacallo, che ha ospitato Sonja Frueshammer, chef nel suo ristorante di Berlino, Renè Nagy, del ristorante la Perla, a Lugano, che ha ospitato Marco Mueller, chef del Rutz di Berlino, Antonio Fallini, del ristorante dell’hotel Villa Orselina di Locarno, che ha ospitato Philipp Jay Meisel, del Quadriga, il ristorante del Brandenburger Hof. Proprio quest’ultima cena ha visto la presenza della nostra testata, invitata a testimoniare l’eccellenza delle proposte realizzate da Meisel a Villa Orselina, splendida struttura di ospitalità affacciata sul lago Maggiore: un hotel a cinque stelle con vista mozzafiato sul Verbano, una struttura elegante e raffinata i cui 25 appartamenti sono arredati con charme e of-

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frono un’atmosfera molto confortevole. L’hotel di Locarno si è ormai confermato come una location di prestigio, magistralmente diretta da Christophe Schlosser, la cui Spa è una delle meglio organizzate del Canton Ticino. La ristorazione del Villa Orselina è guidata da uno chef di notevole esperienza, Antonio Fallini (coadiuvato da Pietro Cucco). Nato a Samolaco (So), con esperienze a Londra e negli Usa, Fallini è arteficie di una cucina italiana classica e di tradizione, fortemente connotata da attenzione e cura verso le materie prime e l’utilizzo degli ingredienti, al punto di avere fatto del Villa Orselina un riferimento della ristorazione ticinese di fascia alta. Chi meglio di Fallini poteva ospitare uno chef del calibro di Philipp Jay Meisel? Trentaduenne, è appena ritornato a Berlino, per dirigere la brigata di cucina del Quadriga, dopo esperienze significative nel mondo: Le Gavroche a Londra con Michel Roux jr, il Novus a Singapore, il Tantris di Monaco, e poi da Thomas Keller alla French Laundry, in California. Durante la serata a Villa Orselina, lo chef tedesco ha dato ottima

prova delle sue doti professionali, creando un menù molto interessante fin dal primo appetizer, uno stufato di coda di vitello con tartufo, spinaci e giallo d’uovo, abbinato a un Franciacorta Bellavista Cuvée Brut. La cena si è aperta con astice, avocado, aglio nero e verbena, seguito da capesante con piselli freschi, carote, cavolo rapa, cavolfiore (un piatto magistrale, di grande equilibrio e freschezza). La pancetta di maiale con aglio orsino, mela, rafano ha ulteriormente appagato gli ospiti della serata, preparando il palato al “piatto forte” della cena: filetto di vitello, asparagi, pompelmo, spugnole e salsa Tandoori, un ottimo secondo che ha confermato la grande abilità culinaria di Philipp. Una grande cucina la sua, di notevole equilibrio e armonie gustative, che ha potuto contare sull’organizzazione del Villa Orselina e della perfetta sequenza del servizio messo in atto dallo staff di sala. Oltre alle magnum di Bellavista, gli abbinamenti hanno visto protagonisti il Biancospino 2011 di Gialdi, il Gemma dell’Est Ticino Doc Merlot 2011 della Tenuta agricola Luigina (un vertice della viticoltura ticinese, una chicca prodotta in sole 4.000 bottiglie!), il Merlot 2011 di Gialli, il Chateau Suduiraut, un Sauternes del 1999 accostato a cioccolato, frutto della passione, lamponi, il dolce di Philipp che ha concluso la serata. Le acque presenti in tavola erano San Pellegrino e Panna, che da sei edizioni sono sponsor ufficiali di Sapori Ticino. Artù n°56

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Luca Landi Lunasia vale il viaggio 44

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di Gianni Mercatali Lo chef di Tirrenia, a capo della brigata del ristorante di Salvatore Madonna, diversifica con intelligenza la linea di cucina del ristorante e propone al Green Park Hotel menu di grande freschezza e moderinità che rivelano passione, cultura ed esperienza. Una stella Michelin, ampiamente meritata. Una straordinaria oasi di serenità e benessere immersa in cinque ettari di pineta e macchia mediterranea sul lungomare di Tirrenia. È il Green Park Resort, il "gioiello" pisano del Gruppo Soft Living Places della famiglia Madonna. Tra i fiori all'occhiello di questo luogo ameno il ristorante Lunasia, che vanta una bellissima sala dalle grandi vetrate semicircolari con vista sul parco, ma anche sulla cucina. Alla guida della brigata il giovane chef Luca Landi. Under 40, ha iniziato il suo percorso professionale con il grande Angelo Paracucchi alla Locanda dell'Angelo, uno degli chef che hanno rappresentato al meglio la rivoluzione della grande cucina italiana nel mondo, per passare alla Closerie des Lilas a Parigi con Joel Robuchon, poi ancora con Paracucchi e in seguito all'Hotel de Paris di Montecarlo e al Cellar de Can Roca di Girona in Catalogna. La sua idea di cucina privilegia la ricerca di ingredienti a "chilometro zero", in linea con una esigenza di autenticità e rispetto dei territori. La

sua proposta prevede tre menu, offerti a tutti i commensali del tavolo: Paesaggi, Simone e Claudio (gli aiuti di Luca) in fantasia, Primavera di Toscana, quest'ultimo raccontato anche in tre sole portate a un prezzo speciale. Poi c'è la carta, con le sue Cartoline di Sapore. Tanto mare, dai crostacei ai molluschi fino al pescato più fresco, ma anche piatti di terra, in omaggio ai luoghi natali e alle tradizioni antiche della cucina delle nonne, sempre presente nella mente di Luca. Si inizia con l'Aperitivo del marinaio, declinato in quattro "pagine" ciascuna dedicata a una delle antiche Repubbliche Marinare: "lo scoglio" per Pisa, che prevede un cono di gelato di cozze e datteri della Tunisia; "la scatola" per Genova, una speciale "conchiglia" con un sablé salato di olive taggiasche con gelato all'acciuga e crudité di verdure; "il sale" per Amalfi, una "mattonella" per offrire una crocchetta di pesce azzurro con spuma di burrata; per Venezia, una scenografica "rete di coralli" con crostacei e moleche, quando queste sono disponibili; infine "il mangia & bevi" che comprende un pacchero al nero di seppia e gelato di scampo insaporito dal Cosmopolitan. Inizia qui un viaggio attraverso i sapori interpretati dallo chef. Tra gli antipasti, l'Arca di Noè, una "zuppa di mare come un panino" la definisce il menu. "È la mia idea – dice – di un cacciucco ‘fatto bene’. L'ho chiamata così perché dentro c'è tutto il mare, c'è la zuppa

Green Park Resort

A lato: lo chef Luca Landi con Salvatore Madonna. Qui sotto: il ristorante Lunasia visto dal giardino.

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Qui sotto: confetti di ricotta di pecora ripieni di polpo e tartufo. Accanto la manzetta in salsa oyster.

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passata e il pesce, e una sorta di pappa al pomodoro su una crema di fegato di pescatrice e il polpo sul vino rosso". L'alternativa è il "sorso di marinità", una composizione di mare interpretata da tre punti di vista: la bisque di crostacei, la crocchetta di seppie con le mandorle e la zuppetta di mare con alghe ed erbe aromatiche tra cui l'achillea, il finocchietto e le foglie di ostrica, tutto legato da un consommé alla polvere di basilico blu greco. Tra i primi possiamo provare Passione Mediterranea, mantecato di riso Carnaroli Acquerello alla crema di novellame e yogurt, con un gradevole caramello di olivello spinoso a testimoniare l'attenzione di Luca per l'infinita gamma di sapori che ci può regalare la natura della costa toscana e in particolare la macchia mediterranea. Proseguendo, si può ancora scegliere tra il mare e la terra. E da provare una "pancetta di tonno" scottata con crema di barbabietola, yogurt alla maggiorana e un gelato di tonno bianco bonito con schizzi di maionese di ricci. Oppure i "ricordi di Maremma", tre differenti lavorazioni di parti del piccione (coscia impanata, aletta

marinata e petto arrostito) con scagliette di pane, marmellata di arance e olive e salsa della carne stessa. "Non potrei pensare a un pasto ben cucinato, però, se non preparassi io stesso i pani da servire". Ecco un'altra sua caratteristica. L'amore per il pane proposto in tante varianti: dalla baguette di grano saraceno alla preparazione con il tipico "biroldo"


della Garfagnana, dalla rosetta "erbi e lardo" alla treccia fatta con uvetta, frutta secca e miele. E alla fine la difficile scelta tra le proposte per i dessert: ecco il "sorbetto alla pesca rosa" con la cremolata di mandorle, o lo scenografico e delizioso "globo" di zuppa inglese, biscotto sablé, crema inglese e gelatina di crème de cacao. "Un omaggio – spiega – agli insegnamenti di Angelo Paracucchi". A completare la proposta, una ricca lista dei vini, curata dallo stesso Luca Landi e dal direttore di sala Claudia Parigi. Un occhio di riguardo alle eccellenze toscane, poi le migliori etichette nazionali e internazionali. Tanta attenzione alle bollicine anche di grandissimo pregio dall'Italia e soprattutto dalla Francia. Bianchi e rossi capaci di accompagnare ed esaltare qualsiasi proposta gastronomica e di soddisfare anche i palati più esigenti. Tutto questo, per la gioia e la soddisfazione del giovane patron Salvatore Madonna, ha significato l'attribuzione della prima stella da parte della "mitica Rossa", riconoscimento poi confermato anche per l'edizione 2013. www.greenparkresort.com Artù n°56

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Enrico Crippa La modestia del genio

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di Gualtiero Spotti Lo chef brianzolo, che ha portato al successo il ristorante della famiglia Ceretto, è un raro esempio di passione ed equilibrio, valori fondamentali per il buon esito di un’attività di ristorazione. Le sue competenze, insieme alla sua cultura alimentare, garantiscono ai clienti di Piazza Duomo un’esperienza memorabile.

in cucina, determinando in prima persona uno stile senza guardarsi troppo intorno, ma seguendo la propria strada. Eppure con la lucidità di voler rappresentare sia visivamente che intellettualmente molte delle sensazioni raccolte nel corso degli anni in giro per diverse cucine; tutte sensazioni che sono frutto di un lungo percorso, ma

Marzo: festa del Blangè ad Alba, dalla famiglia Ceretto. La giornata offre diversi spunti, tra un Carlo Cracco ospite d’onore che impazza raccontando di scalogno e di Masterchef, la curiosità per la nuova bottiglia del bianco Arneis della casa (i più attenti hanno notato che anche l’etichetta presenta qualche variazione grafica rispetto al recente passato), l’imperdibile passeggiata all’interno dell’Acino alla Tenuta Monsordo Bernardina e una visita in vigna, giusto per ammirare da vicino la splendida cappella sulla collina di La Morra disegnata da Sol LeWitt. Eppure non si può lasciare il territorio langarolo senza passare da Enrico Crippa in Piazza Duomo. In un ristorante che, oltretutto, fa sempre parte della grande famiglia Ceretto. Così, accompagnati dalla deliziosa Roberta, una dei quattro figli tutti impegnati nell’azienda di famiglia, si entra in punta di piedi nella cucina/laboratorio di Enrico Crippa, l’ultimo tristellato del Made in Italy. Stiamo parlando, per intenderci, di un cuoco che nel corso della sua storia professionale ha sempre saputo dettare i suoi ritmi Artù n°56

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con sprazzi vivi e lucidi ancora oggi presenti, di chi non dimentica di essere stato, tra le altre cose, un allievo marchesiano, un appassionato frequentatore del mondo orientale, un amante della pasta e ora una specie di contadino zen, con molte preparazioni dedicate al mondo delle erbe nel menu. Non a caso potrebbe capitarvi di in-

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contrarlo nelle prime ore della mattina nel piccolo orto tra le vigne che si è costruito e dove cura gelosamente molte delle verdure che poi finiscono in tavola, quando non è impegnato a pedalare sulle rampe di accesso del Colle della Maddalena verso la Francia, visto che la sua altra grande passione (e della quale parla sempre molto volentieri) rimane il ciclismo. Piazza Duomo, il ristorante al primo piano che sovrasta La Piola, l’altro indirizzo del gusto dei Ceretto, è un piccolo mondo a parte, una sala elegante ed essenziale, con pochissimi coperti (nel prossimo futuro verrà allargata con un estensione in una saletta vicina che dovrebbe aumentarne la capienza) e uno stile decisamente sobrio e minimale in linea con i piatti di Crippa. Il percorso degustativo non può prescindere da quelli che sono alcuni classici moderni o i signature dish del momento, come l’Insalata 21, 31, 41, 51… vera summa concettuale della filosofia del cuoco. Al tavolo arriva un foglio di cartone ripiegato (di colore verde, ovviamente) che, aperto, svela il possibile contenuto del piatto. Possibile perché il numero delle erbe e delle verdure presenti varia di volta in volta secondo la disponibilità e, c’è da credere, l’estro del momento. Quindi


nepetella e calendula, levistico e indivia, oppure tarassaco, basilico, crescione, parella, pimpinella e via dicendo. Forse è impossibile mettere la parole fine a questo tipo di preparazione, visto che potrebbero essere ben più di cinquantuno le erbe e le verdure a cui Crippa si affida per la costruzione del piatto. Poi si passa piacevolmente attraverso il famoso cacio e pepe rivisto alla sua maniera, la carbonara di gamberi, la crema di patate con uovo di quaglia al Lapsang Souchong (un te molto aromatico), e una serie di secondi dagli abbinamenti contrastanti e inusuali: l’agnello con la camomilla, le animelle con i carciofi, il piccione con il cavolo nero, o il porco cinturello con radici e foglie. Tutti accostamenti disegnati con grande

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naturalezza e, verrebbe da dire, sincronia, nel senso che l’equilibrio del piatto e dei sapori rimane la chiave di lettura primaria per l’ospite a tavola e il momento essenziale, per non dire rivelatore, delle grandi capacità ai fornelli di Enrico Crippa. Il quale dimostra di avere una mano creativa e curiosa anche sui piatti per i quali la clientela piemontese potrebbe storcere un po’ il naso, come nel caso del curioso bonet di zucca. La migliore cucina italiana moderna passa sicuramente da queste parti, vive delle geniali intuizioni di un interprete riservato e fuori dai circuiti mediatici che contano, se vogliamo, ma che ha la forza delle idee e di una

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capacità di elaborazione non comune. Una visione a trecentosessanta gradi che gli permette di lavorare sull’estetica, sulle cotture, sui contrasti, nel campo della tradizione così come dell’innovazione, nell’orto dietro casa o vagando con la mente a chilometri di distanza, verso il Giappone. Un cuoco che non a caso è stato definito da più parti “zen”, per la sua discrezione, l’aspetto e il fisico quasi ascetico o la delicatezza del suo verbo in cucina, ma che dimostra ogni giorno di più di avere un fuoco dentro. Quello che gli permette di rendere unico ed estremamente personale ogni piatto. www.piazzaduomoalba.it



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L’attitudine creativa di Andrea Dolcimascolo Andrea Dolcimascolo è figlio d’arte, avendo imparato l’arte della cucina Dopo esperienze professionali molto dal padre Saverio, patron del 13 Giudiversificate, in Italia e all’estero, il gno, il ristorante di impronta siciliana ventottenne Andrea Dolcimascolo è nel cuore di Brera (affiancato daltornato “all’ovile”, nel senso che l’omonimo locale in via Goldoni). ora fa l’ executive chef nel locale di Anche Saverio, a suo modo, è figlio famiglia, il 13 Giugno di Milano, in d’arte, essendo partito ragazzino da zona Brera. I risultati sono sorpren- Mondello (Pa) alla ricerca di spazi in denti e la sua è vera cucina d’autore, cui esprimere la propria passione non scontata e lontana da ogni ov- totale per la cucina “buona e sana”. vietà: doti che hanno portato al suc- Andrea, in un certo senso, ha seguito l’impronta paterna al punto di affiancesso il locale milanese. carlo nella gestione del Ristorante 13 Giugno, in piazza Mirabello, a Milano, offrendo il proprio apporto creativo che, a detta della clientela gourmet che affolla ogni giorno il ristorante, è decisamente degno di nota, unico e inimitabile. Andrea Dolcimascolo, ventottenne, ha seguito un suo itinerario professionale, del tutto personale, senza farsi tentare da imitazioni o da “scuole” culinarie di varia impostazione. La sua impronta delicata si percepisce essenzialmente dal rispetto delle materie prime, capaci di trasferire il proprio gusto in modo netto, senza interferenze o forzature. L’esperienza gastronomica al 13 Giugno si apre con un delizioso (e sostanzioso) assaggio di “frittini”: panella arancino melanzana, buonissimi e sfiziosi. Ma è da assaggiare anche il flan di cardi con gamberi assortiti, delizioso. I primi piatti, dal canto loro, evidenziano l’equilibrio di Andrea, chef certo giovane, ma con le idee chiare e alla continua ricerca del meglio: i tagliolini freschi con tartare di tonno, lime e profumo leggero di aglio e zenzero sono un piatto magistrale, così come gli altri primi presenti in menu, sapidamente gustosi ma, al tempo stesso, armonici e coerenti alle aspettative di gusto. Perché l’importante, per Andrea, non è stupire il cliente, ma conquistarlo, sedurlo in un certo senso e, soprattutto, farlo ritornare. Sorretto da una brigata di cucina e da uno staff di sala molto professionali, Andrea Dolcimascolo vive in cucina o, meglio, spende tra forni, fuochi e celle gran parte della sua vita: una passione che richiede molto impegno (è lui stesso ad ammetterlo) di Theo Smith

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e un forte orientamento verso le esigenze della clientela moderna, a caccia di sapori ma anche di emozioni memorabili, da metabolizzare e ripetere in una successiva occasione. Questa è la cucina del 13 Giugno, una elegante e raffinata selezione di piatti di territorio, come la pasta con alici alla pantesca, o con finocchio e sarde, o il risotto Alce Nero al lime e timo con tartare di scampi, solo per citare alcuni dei primi presenti in carta. Un altro grande classico del locale, nato dalla vena creativa di Andrea, sono le linguine di farro con cipollotto, zatterino, basilico, eccellenti e non ridondanti, o le bavette con ricci di mare: fra i secondi, trionfa la succulenza, abbinata alla presentazione estetica, mai banale, sempre brillante ma non manieristica. Ottimo il baccalà su letto di cime di rapa, lime e pomodorini, espressione di semplicità di gusti e profumi. Straordinario l’involtino di pescatrice ripiena di gambero rosso. Il repertorio di sicilianità nel menu è evidente, ma Andrea privilegia le materie

prime in grado di regalare emozioni gustative pure, prima ancora che improntate ad un territorio; così, la ricciola al forno con zucchine capperi e patate colpisce per la propria semplicità e la pescatrice al cartoccio in carta fatta con pomodorini e zucchine è rincuorante,

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così come i gamberoni imperiali al mattone con erbe aromatiche e - da non perdere - il fritto misto di paranza, un classico che qui raggiunge livelli di esecuzione perfetti. Notevole il capitolo pasticceria, in cui Andrea e la sua brigata di cucina danno il meglio di sé: certamente ha pesato il periodo svolto dallo chef presso il Five Lake Resort, in Essex (Gran Bretagna) dove rivestiva il ruolo di chef patissier, con la supervisione del grande chef di pasticceria francese

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Arnaud Pisana. Da provare il Millefoglie di fragole, un dolce semplice ma non banale. Forte di tutte le sue esperienze professionali passate (un master ad Altopalato di Toni Sarcina, al Forte Village Resort in Sardegna, al San Clemente Palace a Venezia, al Principe di Savoia e al Four Seasons a Milano, solo per citare alcune delle “case” in cui ha lavorato) Andrea Dolcimascolo ha imparato la grande lezione del rispetto: delle materie prime, delle cotture, delle fritture leggere, del cliente insomma. Un rispetto che la clientela dimostra di riconoscere e apprezzare, visto che, alla faccia della crisi, la cucina di Andrea richiama clienti fedelissimi, affascinati dalla cucina del giovane cuoco, che scelgono il ristorante milanese di Piazza Mirabello per le proprie serate gourmet, ma anche per veloci pranzi di lavoro, “venduti” a prezzi di assoluta onestà, intorno ai venti euro nella pausa di mezzogiorno, cifra ovviamente destinata a salire per una cena a base di pesce, i cui piatti verranno abbinati ad una delle centinaia di etichette prestigiose presenti nella carta dei vini. www.ristorante13giugno.it



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Cena bistellata in cucina Il talento di Nino

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preso i segreti, in 20 anni di lavoro a fianco degli chef più famosi di tutto il mondo. Sempre con semplicità, Di Costanzo racconta così la sua storia di chef: “Ho iniziato questo lavoro”, dice, “a 11 anni, in una pizzeria dell’isola. E fin da subito mi sono reso conto che la mia sete, la mia voglia d’imparare, era insaziabile. Terminati gli studi (si è diplomato chef di cucina presso l’istituto alberghiero d’Ischia, ndr), già a 16 anni ho cominciato a lavorare d’estate sull’isola per guadagnare i soldi per mantenermi durante l’inverno, periodo che passavo alla corte dei grandi chef in giro per il mondo, lavorando tante ore al giorno e avendo così l’opportunità di fare stage gratuiti. Ho vissuto così dai 15 ai 35 anni». Nel 2006 il ritorno da profeta in patria a Ischia. Quell’anno i proprietari del Terme Manzi Hotel & Spa lo hanno chiamato per mettere a punto la proposta gastronomica di questa struttura ricettiva a 5 stelle, che ha aperto nel 2007. Una scelta azzeccata quella della proprietà dell’hotel & spa, considerato che dopo sei mesi di diredi Luisa Contri zione dello chef Di Costanzo, il ristorante Impara l’arte e… È quanto ha fatto Il Mosaico ha ricevuto la sua prima Nino Di Costanzo, chef bistellato del stella Michelin. L’anno dopo ha conquiristorante Il Mosaico del Terme Manzi stato la seconda stella. E a due anni Hotel & Spa di Casamicciola Terme, dall’apertura è entrato a far parte del circuito Relais & Chateaux. “Riconoscisull’isola di Ischia. menti importanti sono già arrivati”, dice Basta guardare le sue creazioni, ancor Di Costanzo, “ma io ne inseguo altri: a prima di assaggiarle. Sono delle vere e terza stella, la quarta… Voglio migliorare proprie opere d’arte realizzate su piatto sempre, perché fare qualcosa di bello invece che su tela. E non è tutto. Dopo per gli ospiti è quello che mi gratifica di aver stupito con l’armonia e l’allegria più”. Ma cosa significa per Di Costanzo dei colori e delle forme, con i profumi essere un bravo cuoco? “A mio avviso”, inebrianti e con i sapori deliziosi dei afferma, “il cuoco bravo non è quello suoi piatti, Di Costanzo conquista i che crea milioni di piatti, ma quello clienti con la sua estrema cortesia e che ne crea pochi e riesce a migliorarli con la semplicità e la modestia dei giorno dopo giorno, dando loro una suoi modi. Non c’è traccia di supponenza, continuità. Capita a tutti di tornare in altezzosità o snobismo in questo giovane un ristorante perché vi si era mangiato chef ischitano, tornato nella sua isola un piatto prelibato. E quando ritorna, nel 2006 per esercitare la professione quel piatto lo si vuol gustare ancora, cui s’era appassionato, in tenera età, ma mille volte più buono. Ecco, per A lato: spaghetti, aglio, olio, pepeapprendendo l’Abc della cucina dalla me la bravura del professionista non è roncino, vongole, melanzane su nonna e dalla mamma, e di cui ha ap- inventarsi cose dell’altro mondo, ma crema di astice. Artù n°56

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proporre in tavola i gusti puliti e decisi di una volta, mantenendo una continuità, aspetto questo che è molto importante”. Che Di Costanzo non propenda per la creatività fine a se stessa è subito evidente. Nei suoi piatti intende piuttosto riprodurre e riproporre il gusto e i profumi più veraci delle ricette della tradizione ischitana e campana in una sua versione personalissima e coreografica. Prendiamo il caso della minestra maritata, un piatto tipico invernale, fatto con scarola, cicoria, verza e carni di maiale, pollo e coniglio. Ebbene Di Costanzo da minestra l’ha trasformata in un piatto di pasta fresca in cui le carni sono diventate il ripieno di ravioli di pasta fresca che cuoce in un brodo di pollo e condisce con una salsa fatta con le verdure della ricetta originaria. Un altro piatto povero che Di Costanzo ha nobilitato è la zuppa di pasta e patate. Tradizionalmente la si preparava utilizzando quei piccoli quantitativi di formati diversi di pasta che rimanevano nella dispensa, che venivano poi conditi con le patate

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e un po’ di parmigiano e di scamorza. Nella sua versione Di Costanzo utilizza una ventina di formati diversi di pasta di Gragnano, li cuoce al dente e li fa saltare in padella con grasso di maiale, olio extravergine d’oliva e basilico. Quindi le dispone a mosaico sui piatti insieme a differenti tipi di patate: viola, rossa, gialla e bianca che cuoce in modo diverso per dar loro tutte le possibili consistenze, da quella cremosa a quella soffice, a quella croccante. E completa il piatto con una salsina di provola, il fondo di cottura delle cotiche di maiale, un filo l’olio e del pepe affumicato. Per superare se stesso e far sempre meglio i piatti della sua terra, Di Costanzo non lesina energie e soprattutto tempo, fedele a un principio che il padre d’origini contadine faceva rispettare in famiglia: quello di portare in tavola soltanto prodotti freschi di giornata, infatti la spesa è sempre giornaliera. Prima tappa è quella a Procida, isola che raggiunge in traghetto di buon mattino per comprare il miglior pesce azzurro dai pescatori locali appena rientrati in porto. Come scegliere il prodotto migliore Di Costanzo l’ha imparato dalla madre, che viene da una famiglia di pescatori. “Ischia”, spiega Di Costanzo, “è un’isola dalle tradizioni contadine, più legata ai prodotti della terra che non al mare”. Ischitani sono dunque gli ortaggi che impiega in cucina e anche il coniglio, di una razza autoctona riscoperta da un bravo allevatore dell’isola, che li fa crescere allo stato semibrado. Ciò che Di Costanzo non riesce a reperire sull’isola, proviene in buona parte dalla Campania. Casertani sono, per esempio, gli agnelli di San Bucaro, che compra da Peppe Iaconelli, un casaro d’eccellenza di San Pietro. Infine la mozzarella di bufala campana dell’azienda La Fenice di Ferdinando Cozzolino. “Gli agnelli di Peppe”, precisa


Di Costanzo, “hanno carni tenerissime e dal gusto delicato perché li tratta come se fossero bambini. Li alleva al pascolo, ma senza farli sudare né camminare troppo, per evitare che le loro carni prendano odore di selvatico e che la loro muscolatura si sviluppi troppo, rendendo dura la carne. Un gusto impareggiabile, a mio giudizio, hanno anche le mozzarelle di bufala campana e la carne di bufalo di Ferdinando. È uno dei pochi imprenditori casertani che controlla tutta la filiera: dal foraggio alla carne alla produzione dei formaggi e che, grazie alla pulizia maniacale delle stalle e alla cura con cui alimenta e alleva le sue bestie, può permettersi d’impiegare il latte fresco crudo per far le sue mozzarelle, non quello pastorizzato, come pure sarebbe consentito dal disciplinare della Dop”. La stessa certosina cura Di Costanzo la dedica alla selezione delle migliori materie prime nazionali e internazionali, che completano la lista della sua spesa quotidiana. Di Costanzo ritiene d’altronde irrinunciabile proporre una cucina d’impronta ischitana e campana. “Non avreb-

be senso proporre una cucina che si può gustare ovunque nel mondo”, sottolinea lo chef, “perché la gente viene a Ischia per vacanza, per godere delle bellezze naturali, del clima e dei prodotti tipici della nostra isola”. Altrettanto irrinunciabile è per lui rispettare la stagionalità dei prodotti. Anche nella carta dei vini, a quelli importanti italiani e internazionali, Di Costanzo affianca un’ampia offerta d’etichette campane, selezionate per l’elevato rapporto qualità prezzo. La dedizione e la passione per la cucina di Di Costanzo è percepita e apprezzata dalla clientela che, anche in questi tempi di crisi, non rinuncia a orientarsi sui menu completi sia che ceni in cucina (dove sono allestiti tre tavoli per una decina di persone: uno da due, uno da tre-quattro e uno da sei), sia che ceni in terrazza o nella

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sala interna (altri 20 coperti). Italiani e stranieri che si accomodano ai tavoli del ristorante Il Mosaico, per una sera almeno, si dimenticano della dieta e eventuali problemi di linea. “Chi cena in cucina”, spiega Di Costanzo, “normalmente si fa guidare da me e sceglie più piatti. Anche in sala comunque il menu più venduto è quello più lungo, da sei portate. Molto richiesti sono anche quelli da tre-quattro portate”. Di menu Il Mosaico ne prevede ben cinque: il 2013, quello composto da sei portate più entratine e piccola pasticceria; il Quattro parole (quattro portate), che Di Costanzo definisce un viaggio a sorpresa, perché lo realizza esclusivamente con materie prime di strettissima stagione, il Territorio e il Tradizione (rispettivamente da tre e quattro portate). “Il quinto menu è pensato per essere accompagnato alle migliori bollicine”, racconta Di Costanzo, “e quest’anno, per la prima volta, ho deciso di sceglierle italiane. L’ho chiamato In viaggio con Ferrari e comprende un Gran Crù...do di pesci, crostacei e molluschi, il riso, scampi e coniglio al blu di bufala e capperi, il Fumarole e il Naul’…è, abbinati allo spumante Brut metodo classico Giulio Ferrari Riserva

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del Fondatore Millesimato 1993”. Sono dunque una minoranza i clienti che ordinano soltanto due piatti. Una minoranza però supercoccolata. Chi chiede solo due piatti si vede comunque portare l’entratina, composta da sette assaggini, il predessert e la piccola pasticceria. E in più un primo offerto dallo chef, se ha ordinato un antipasto e un secondo, oppure un secondo se ha ordinato un antipasto e un primo. Per fidelizzare la clientela durante la stagione, che va da aprile a ottobre, Di Costanzo e la sua brigata di 16 persone (fra personale di cucina e pasticceri), più due sommerlier, offrono inoltre un servizio ristorazione più informale a bordo piscina, a base di piatti semplici: insalate, sandwich, pesce crudo presso lo snack Bouganville (40 sedute), e uno di stampo più tradizionale, fatto di piatti del territorio: dai primi alla pizza, dal pesce alla carne alla brace presso il ristorante Gli Ulivi (50 coperti). E ancora fanno servizio catering sia sulle imbarcazioni che a domicilio e cooking class tutte le mattine. “Sembrerà strano che la gente in vacanza abbia voglia di cucinare”, dice Di Costanzo, “eppure tutti i giorni abbiamo richieste di lezioni di cucina. Dalle 9,00 di mattina fino a pranzo i clienti possono scegliere i piatti che vogliono imparare a fare. Può trattarsi di antipasti, primi, secondi, dessert, pane, pizze. Noi insegniamo a farli e poi, a pranzo, li mangiano insieme a noi in cucina”. E non c’è da meravigliarsi. Cucinare sotto la guida di Di Costanzo è una scoperta! www.termemanzihotel.com



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Costa

Navarino La Grecia senza crisi

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Costa Navarino

di Gualtiero Spotti Destinazione turistica d’eccellenza nel corso della stagione estiva, la Grecia offre tutto quello che la maggior parte dei vacanzieri vuole per trascorrere al meglio il proprio periodo di ferie, ovvero sole, mare, spiagge e relax. Così, nonostante la recessione, la nazione ellenica offre sempre grandi spunti per una vacanza indimenticabile. Se si esclude la capitale Atene e qualche isola un po’ troppo affollata, la nazione ellenica è perfetta proprio perché in ogni suo angolo presenta queste caratteristiche e di questi tempi propone anche, visto il perdurare della crisi, un’offerta competitiva a vari livelli, dai Bed&Breakfast alle case in affitto, fino agli hotel. Uno degli alberghi più ricercati, tra quelli nati negli ultimi anni, è certamente Costa Navarino, situato nell’angolo sud occidentale della Messinia, in una zona poco conosciuta ma affascinante del Peloponneso, vicino a Kalamata. La cittadina, universalmente conosciuta per la produzione di olio e di olive da esportazione, ospita un piccolo aeroporto che da un anno a questa parte ha visto incrementare il suo traffico aereo proprio per la presenza del resort. Dall’’Italia si può approfittare, ad esempio, di una nuova tratta gestita da Ryanair in partenza da Bergamo, che permette di raggiungere in macchina Costa Navarino nello spazio di un’ora una volta arrivati in Grecia. Nato come duplice hotel che riunisce un Westin Resort e l’esclusiva area Romanos (con ville e appartamenti ancor più eleganti), Costa Navarino è un miraggio nel deserto, una cittadella creata per soddisfare le esigenze di una clientela desiderosa di Artù n°56

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trascorrere le proprie vacanze in un luogo, che a dire il vero, ha poco da spartire con i classici villaggi turistici cui siamo abituati. L’ambiente internazionale, così come i servizi messi a disposizione, sono tutti di altissimo livello. A partire dal campo da golf a diciotto buche, il primo in Grecia, creato a pochi metri dal resort e disegnato dal famoso player Robert Trent Jones Jr., oppure i diversi sport acquatici, dallo scuba diving al kayaking, dal surf al windsurf, da praticare in una grande laguna dalle acque trasparenti, sempre che non ci si voglia semplicemente rilassare in spiaggia

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osservando un panorama da favola. Gli amanti degli sport terrestri hanno a disposizione un negozio attrezzato per inforcare biciclette e mountain bike ed esplorare le colline circostanti, oppure per raggiungere le varie aree archeologiche non distanti da Costa Navarino, come il famoso palazzo di Nestore, fulgido esempio della civiltà micenea risalente al XIII secolo prima di Cristo. Un’area del complesso turistico è interamente dedicata al mondo dei bambini, per un vero e proprio Recreation Park con giochi acquatici e numerose attività ricreative, anche per gli adulti, come il bowling, tennis


club, squash, basket e pallavolo. Un capitolo a parte, però, lo merita il mondo della ristorazione che mette in fila più di venti diverse soluzioni, per tutti i gusti. C’è il ristorante italiano Da Luigi che sforna pizze di qualità e non solo, l’Inbi per scoprire la cucina asiatica, il Nargile dove ci si tuffa

nelle delizie della cucina libanese e mediorientale, il Flame per un lunch informale alla clubhouse del campo da golf, il Kafenio&Deli per una sosta tipicamente ellenica (o semplicemente per un bicchiere di ouzo) e dove si possono anche acquistare gli ottimi prodotti a marchio Costa Navarino (olio, barrette di sesamo, dolci, marmellate). E l’Eleon, per gustare pesce fresco scelto direttamente al banco, e magari farselo grigliare al tavolo, visto che alcune aree sono attrezzate per uno show cooking per pochi intimi. Però sono certamente due i ristoranti più esclusivi di Costa Navarino: il primo è l’Omega, diretto da Doxis Bekris, costruito sulla filosofia alimentare degli Omega-3 e con un menu estremamente bilanciato e d’ispirazione naturale. Qui, nella sala interna del ristorante, vengono organizzate lezioni di cucina e si possono cucinare, e assaggiare, i prodotti organici della farm di proprietà di Costa Navarino. Verdure,

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erbe, frutta, uova del contadino, ma anche prodotti locali come i formaggi Feta e Sfela, per un’esperienza legata ai prodotti della terra che offre la Messinia. L’altro ristorante imperdibile è il Barbouni, con accesso diretto dalla spiaggia, immerso in un'ambientazione quasi caraibica, per un lunch di carne grigliata cui aggiungere un classico e popolare Peponi & Meloni, il fresco dessert di zuppa di melone con miele, un sorbetto di lemongrass e menta fresca. Anche gli amanti del benessere poi sanno come trascorrere il tempo, nella vastissima area (4500 metri quadrati) della Anazoe Spa tra piscine thalasso, saune, massaggi, docce emozionali e trattamenti ispirati al benessere nell’antica Grecia. E le stanze del resort? O meglio, le villette a due piani disseminate sull’intera area? Beh, sono moderne, funzionali e tutte, almeno quelle al piano terra, hanno una piscina privata nella quale rinfrescarsi a ogni ora del giorno, visto che il sole greco nei mesi estivi è decisamente caldo. A tutto il resto

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ci pensa uno staff premuroso che, anche quando sarete nel mondo dei sogni durante le ore notturne, sarà silenziosamente impegnato a rendere più accogliente l’area piscine, a livellare il verde pubblico con la scrupolosità di un giardiniere inglese. Infine, con un po’ di fortuna e frequentando i numerosi bar notturni che punteggiano l’intera area, potreste scorgere qualche Vip degno di attenzione. Lo scorso anno, al magnifico lounge bar dell’Inbi, sostava Ethan Hawke, ospite di Costa Navarino per un mese, durante le riprese di un film. www.costanavarino.com



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Il caffè? Una questione

di macchina

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di Stefano Bonini Enrico Maltoni, quarantaduenne di Forlimpopoli (Fc), ha dedicato gran parte della sua vita al profumato mondo del caffè. Oggi possiede la più grande collezione di macchina da caffè a livello mondiale, la più ampia raccolta di libri sul caffè d’Italia, di gadget e documenti legati all'universo del caffè unica al mondo. Tutto nacque nel lontano 1988. “Ero in visita al mercatino d’antiquariato di Arezzo – racconta Enrico – quando vidi per la prima volta una macchina per caffè espresso storica. Fu amore a prima vista!”. Quella macchina era una Faema, modello Marte a due gruppi. Fu l’inizio di un’avventura caratterizzata da una ricerca attentissima ed appassionata: “Ho cercato notizie e documenti sulle origini della macchina per caffè espresso made in Italy, inventata alla fine dell’Ottocento. Trovare i pezzi storici della collezione (Victoria Arduino, La Cimbali, Gaggia) – continua Enrico – è stata una caccia al tesoro che mi ha portato a visitare centinaia di mercatini d’antiquariato in Italia, in Europa e persino oltre Oceano”. Una ricerca meticolosa, durata ol-

tre vent’anni, e che ha portato oggi la Collezione Maltoni, nella sua interezza, a contare più di duecento pezzi. Per anni Enrico l’ha portata in giro per il mondo grazie ad una mostra itinerante realizzata con l’intento di diffondere la cultura del caffè espresso italiano. “Dal 2000 ad oggi – dice Enrico – sono stato in Thailandia, Grecia, Turchia, Venezuela, Israele, Russia, Inghilterra, Albania, Germania, Repubblica Ceca, Austria e Repubblica Popolare Cinese. In Italia ho realizzato una trentina di mostre ospitate da musei, grandi alberghi e fiere del settore enogastronomico”. Poi ecco il salto, dalle mostre temporanee ad una casa fissa, un Museo di grande prestigio come il Mumac (Museo delle Macchine da caffè), presso il Gruppo Cimbali di Binasco (Mi). In questo bellissimo luogo, voluto dal Gruppo Cimbali per celebrare i suoi 100 anni di attività, 1700 mq. sapientemente recuperati dal punto di vista del design e dell’architettura, è ospitata dallo scorso Artù n°56

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ottobre, in modo permanente, la Collezione Maltoni. Arricchita da altri pezzi storici di proprietà del gruppo Cimbali (produttore delle macchine da caffè Faema), l’esposizione racconta l’evoluzione, la diffusione della cultura e il design della macchina per caffè espresso attraverso la storia stessa del nostro Paese. Rappresenta e tutela il patrimonio italiano del settore negli ultimi cento anni, valorizzando la tecnica, la tecnologia e il design italiano con un percorso multimediale, ricco anche di stimoli audio-visivi, supportati da un compendio di documenti di

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grande rilievo storico. Centinaia di pezzi dei marchi più prestigiosi del made in Italy (fratelli Castiglioni, Sottsass, Giugiaro) offrono al visitatore la possibilità di rivivere la nascita e lo sviluppo di quel mondo “caffè espresso” (e cappuccino), che ci ha resi famosi nel mondo. A completare il Museo ci sono anche un archivio storico con oltre 15.000 documenti selezionati e catalogati, un’aula dedicata alla formazione, un laboratorio per i test sensoriali e diversi spazi organizzati per ospitare eventi e progetti speciali. Al Mumac è possibile ammirare autentici pezzi storici delle macchine per il caffè, marchi come La Pavoni, La Victoria Arduino, Bezzera, La San Marco, La Cimbali, Rancilio, La Marzocco, La Carimali, Gaggia, Faema, Nuova Simonelli, Elektra, La Spaziale,


Astoria, Vibiemme. Aggirandosi tra questi gioielli d’acciaio, circondati da manifesti pubblicitari, installazioni video e oggetti di design che fanno da cornice all’esposizione, si comprende quanta cultura, ingegno e maestria si nascondano dietro alla semplice richiesta di un caffè espresso ogni volta che ci affacciamo ad un banco da bar. Ma soprattutto quanto tempo è passato da quel lontano 1901, anno in cui l’ingegnere milanese Luigi Bezzera brevettò il sofisticato modello cilindrico detto “a colonna“ per preparare il primo espresso con acqua e vapore. Una bella testimonianza dell’Italian way of life!

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SAMBONET-PADERNO Leader in eleganza di Fiorenza Auriemma È un’articolata, lunga e intensa storia quella di Sambonet Paderno Industrie. E soprattutto con dati e risultati concreti: 80 milioni di fatturato nel 2011, 300 dipendenti e una sede innovativa a Orfengo – tra Novara e Vercelli – dove si producono articoli di design e di alta qualità per la tavola e la cucina, sia per il canale alberghiero, sia per la casa. Per scoprire gli inizi di questa esemplare realtà italiana - presente nella quotidianità di molti protagonisti della ristorazione del nostro Paese e non solo bisogna risalire alla fine del '700, quando a un nobiluomo di Vercelli, abile orafo e argentiere, fu affidato il restauro di preziosi oggetti sacri custoditi nel duomo di Vercelli. Quest’uomo si chiamava Giuseppe Sambonet. Nel 1856, il figlio Giuseppe ottiene il brevetto di Maestro Orefice e il 15 maggio fonda la ditta Giuseppe Sambonet, depositando presso la zecca di Torino il punzone con le iniziali "GS", marchio destinato a diventare simbolo della tavola di prestigio. Gli anni a venire portano riconoscimenti e nuove prospettive: nel 1900, il marchio Sambonet diventa fornitore ufficiale di molte famiglie nobili tra le quali la Duchessa di Genova e il Conte di Torino; nel 1932 viene creato il primo impianto su scala industriale in Italia, affiancando a una produzione di argenteria massiccia una seconda in argenteria galvanica; nel 1938 inizia - prima in Italia e in Europa - la produzione di posateria in acciaio inossidabile e la messa a punto della tecnica per l'argentatura dell'acciaio, diventando protagonista indiscusso della "tavola moderna"; nel 1947 parte poi la produzione di coltelli e lame in acciaio inox con tecnologia propria. Arriviamo così al 1956, quando Sambonet conquista il mercato internazionale, aggiudicandosi tra diversi concorrenti la commessa del primo albergo americano internazionale - l’Hilton Cairo - ed entrando con il marchio e i suoi prodotti nell’hotellerie internazio-

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nale. Gli anni ‘60 sono poi contrassegnati dalla presenza di designer come Roberto Sambonet, Giò Ponti e Rodolfo Dordoni, i quali creano modelli innovativi che rafforzano ulteriormente l'immagine del marchio sul mercato. Alcuni su tutti: la "Pesciera", la collezione "Center line" e i vassoi Elite della "Linea 50", che si sono conquistati un posto al Moma di New York. Un’ulteriore epocale svolta arriva nel 1997, quando Sambonet entra a far parte del gruppo Paderno, fondato nel 1925 e leader mondiale nella produzione di pentolame professionale e articoli da cucina per comunità. Agli inizi la società - denominata Alluminio Paderno - era specializzata nella produzione di pentolame in alluminio per la casa, per poi essere rilevata nel 1979 dai fratelli Pierluigi e Franco Coppo, attuali proprietari del Gruppo Sambonet Paderno Industrie. Sono proprio loro gli artefici della ristrutturazione e del rilancio della so-


Sambonet ●

Nel 2001, a coronamento del rilancio di Sambonet S.p.A., viene costruito un nuovo stabilimento a Orfengo (No) in cui si concentrano tutte le attività produttive di Sambonet S.p.A. e Paderno S.r.l. Infine, il 2009 coincide con l’acquisizione di Rosenthal AG, prestigiosa società tedesca del settore delle porcellane e complementi d’arredo di design per la tavola. Per Rosenthal hanno cietà, affiancando alla produzione di lavorato e lavorano designer di fama pentole in allumino quella in acciaio mondiale quali Jasper Morrison, Paul inox. Poco tempo dopo la gamma di Wunderlich e Patricia Urquiola, nonché articoli si differenzia in modo da sod- artisti come Salvador Dalì e Andy disfare le esigenze delle cucine private Warhol. L’unione di Sambonet e Roe le forniture alberghiere. È così che senthal ha consentito la nascita di l’ingresso nel Gruppo Paderno favorisce una realtà votata al design e all’innovazione, alla qualità del prodotto e alla cura del cliente con una forte personalità e un proprio patrimonio di notorietà e appeal sul consumatore. Ora il Gruppo è in grado di "apparecchiare" interamente l’unione sotto lo stesso tetto di due una tavola di prestigio: alla posateria marchi fortemente complementari sia e ai prodotti in acciaio di Sambonet si in termini di prodotti, sia di mercati sono affiancati porcellane e bicchieri serviti: l’unione di Sambonet e Paderno Rosenthal, per un’offerta completa a consente infatti di completare l’offerta 360°. Il Gruppo, nel settore hotellerie alla clientela, da un lato con i prodotti e professionale, può vantare tra i propri per la tavola firmati Sambonet, dall’altro clienti catene alberghiere di lusso tra con quelli per la cucina griffati Paderno cui Hilton, Crowne Plaza, Hyatt, Four che infatti distribuisce in tutti i settori Seasons, Fairmont, Mövenpick ecc... della ristorazione (ristoranti, fast-food, ed è a forte alberghi, comunità, ospedali, navi da crociera, enti militari ecc...), in oltre 120 paesi nel mondo, diventando anche all’estero punto di riferimento indispensabile per tutti i professionisti della ristorazione. Nell'aprile 2000 avviene l'acquisizione di Beard, azienda con sede a Montreux in Svizzera, con esperienza centenaria nella produzione di vasellame, posateria in acciaio inox, inox argentato e alpacca argentata, marchio di fama internazionale e soprattutto sinonimo di qualità riconosciuta negli alberghi e ristoranti più prestigiosi al mondo. Artù n°56

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vocazione internazionale: il 60% delle vendite avviene infatti fuori dal confine italiano. Più in particolare, ha saputo conquistare negli anni un posizionamento distintivo nel settore alberghiero e professionale in mercati quali USA, Germania, Russia, Hong Kong e Cina. “Il Gruppo ha un portafoglio che spazia dalle attrezzature per le cucine e pasticcerie professionali con Paderno, dalla posateria ai prodotti in acciaio inox, acciaio argentato e alpacca argentata con Sambonet, fino alle porcellane e ai bicchieri con Rosenthal”, sottolinea Barbara Cincotto, direttore vendite della divisione HoReCa del gruppo Sambonet Paderno Industrie. Aggiungendo che: “L’80% del fatturato del marchio Sambonet Paderno è destinato al settore professionale. Puntiamo sulla completezza dell’offerta: siamo produttori capaci di fornire in modo completo sia mise en place, sia arredamento per la sala e per la cucina. In altre parole, possiamo offrire ai clienti un pacchetto completo, e questo è uno dei nostri punti di forza. Insieme al servizio, infatti, siamo in grado sia attraverso i nostri grossisti, sia direttamente al cliente, di consegnare la merce richiesta nel giro di

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48 ore, perché abbiamo a stock oltre il 90% delle referenze”. In pratica significa che quando un albergatore o un ristoratore richiede la merce in due giorni la riceve (esigenze particolari o personalizzate a parte), e con costi di spedizione decisamente contenuti. “Puntiamo anche molto sul post vendita e sull’assistenza al cliente”, aggiunge Cincotto. Senza ovviamente trascurare l’innovazione: “Di recente, per quanto riguarda il comparto degli chafing dish, abbiamo presentato una serie di coperchi con ‘oblò’ in vetro borosilicato, finalizzati a offrire visibilità al cibo. I quali vanno così ad affiancare la vasta gamma in acciaio inox già esistente”. Per le mise en place più raffinate ed eleganti Rosenthal ha presentato invece Brillance, collezione da tavola completa in Bone China. Che, come il nome suggerisce, è caratterizzata da sottigliezza, da trasparenza e una calda lucentezza delle superfici.



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Bottega del Vino, Futura e la “bistecca personale” ANTICA BOTTEGA DEL VINO

semplicità, una linea di cucina di decisa impronta veronese e veneta in generale: Vicolo Scudo di Francia 3 da provare la pasta e fagioli, i bigoli con 37121 Verona il ragù d’anatra, il risotto (in carta 045 8004535 compare così, ma chiedetelo all’Amarone, www.bottegavini.it o come suggerisce Stefano). Fra i secondi: baccalà alla vicentina con polenta bramata, maialino da latte al forno con patate arrosto, guancia di manzo brasata all’Amarone con purea di patate, agnello “Non è possibile raccontare una Bottega della Lessinia arrosto. Fra i dolci: crema che puoi soltanto vivere”, si legge sulla di ricotta con mango e crumble, tarte home page del sito. Effettivamente è tatin (una delle migliori, al pari di quella vero, la bottega del Vino di Verona è uno della Fontanella, sul lago di Como), le di quei locali in cui si deve passare del torte al cioccolato…. Chiudete con il tempo, possibilmente non poco, seduti caffè di Gianni Frasi (la torrefazione Giaa uno dei vecchi autentici tavoli da maica è proprio qui, a Verona). La qualità osteria, in attesa che il tempo passi nel delle materie prime è ottima, perciò migliore dei modi. Circondati da grandi sono tre le corone di Re Artù assegnate vini alle pareti e inebriati dall’atmosfera alla Bottega, i prezzi sono sicuramente del locale, che vi farà ripiombare in un adeguati al fatto che ci troviamo in una mondo che resiste solo fra queste mura, città d’arte e che il valore dell’offerta è vi godrete una esperienza indimenticabile, di caratura superiore. Ma Stefano è che vale molto più di una normale pa- molto attento al mercato e la sua filosofia rentesi enogastrogourmet. In pieno centro (“il rispetto della clientela prima di tutto”) storico di Verona, presa d’assalto durante è applicata coerentemente. Vinitaly dagli enoappassionati di tutto il mondo, la Bottega abilmente guidata TRATTORIA 13 GOBBI da Stefano Ganzerle (uno dei più bravi Via del Porcellana 9r professionisti nello scenario della risto- 50123 Firenze razione veronese, ma non solo), è un 055 284015-213204 luogo magico, una location miracolosamente sopravvissuta alla generale omologazione della ristorazione verso modelli banalmente prevedibili. La strepitosa Carne, carne e ancora carne. Ma anche proposta dei vini (elencati a centinaia una linea di cucina di ortodosso rispetto nella grande lavagna dietro al banco), delle tradizioni fiorentine, “contaminate” etichette italiane e internazionali, celebri con discrezione da piatti più tendenti al ed emergenti, paludate e innovative creativo. Sarà quel che sarà, ma questa (ascoltate sempre i suggerimenti di Ste- inossidabile trattoria fiorentina, dietro fano: lui è un esperto vero), fa della Bot- Borgo Ognissanti (tra il Lungarno e la tega del vino (o meglio, Bottega Vini, come si chiama da sempre) la cantina ideale per chi è alla ricerca dell’ eccellenza enologica, targata Verona o resto del mondo fa poca differenza. Qui c’è il meglio e non si corrono rischi. Sono ancora vicini gli anni della conduzione di Severino Barzan, personaggio mitico che aprì persino a New York una “replica” della Bottega e che rappresenta la memoria storica del locale. Oggi l’osteria veronese continua sulla strada tradizionale, proponendo, in un menu di estrema

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stazione di Santa Maria Novella), non delude mai. Tutt’altro. A cominciare dalla simpatia (autentica, non impostata) del personale di servizio, fino alla qualità delle materie prime, fino (fatto non certo trascurabile) al prezzo, che difficilmente supera i 50 euro, vini “normali” compresi: più che accettabili, se pensiamo alla qualità dell’offerta e al fatto di trovarci nella città più turistica al mondo insieme a Venezia. Chi sceglie di aderire alla toscanità, può scegliere dal menu, dopo una apertura a base di salumi con crostini ai fegatelli e l’ottima finocchiona con soppressata casalinga: pasta e fagioli zolfini, la ribollita con fagioli e olio di fattoria, i “famosi” rigatoni alla zuppiera, le pennette alla chiantigiana. Tra i secondi, le salsicce di maiale con patate arrostite, la bistecchina di vitella con fagioli, ma anche due uova al tegamino perfettamente eseguite, memorabili nella loro semplicità. Ma il vero motivo per arrivare fin qui è dato dalla Bistecca alla fiorentina, proposta per due a 58 euro, comprensiva di contorni, del peso

di un chilo e trecento (un consiglio, suggerito dagli stessi titolari all’insegna della massima chiarezza: chiedere sempre il peso e, nel caso, fare i necessari calcoli). Chi vuole, ovviamente, se ne può pappare da solo quanta ne desidera, in barba al costume (molto milanesizzante), di ordinarne una per cinque (!). La carne è scottona, non chianina, ché la chianina vera è reperto introvabile (e spesso fraudolentemente spacciata per tale). Qui ai Tredici Gobbi la bistecca è proprio buona, grazie a frollatura, marezzatura, tenerezza delle carni: leggermente croccante all’esterno, morbidissima all’interno, con le parti grasse di succulenza maestosa: chi non volesse esagerare può ordinare una “Bistecca personale” da 500 grammi circa, che consentirà una soddisfacente esperienza gustativa: con 28 euro si toglierà lo sfizio e sarà pronto per affrontare il capitolo dolci con la necessaria sobrietà. A una cena siffatta, potrete abbinare i grandi Supertuscans, qui presenti in fitta e prevedibile schiera: ma non disdegnate un ottimo Poggio ai

LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Molto ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole


dei 13 Gobbi Ginepri dell’Argentiera (cabernet sauvignon, syrah, merlot) l’azienda vinicola della famiglia Fratini, ubicata in quel di Bolgheri, che è resa celebre nel mondo dalla eccellente produzione di vini griffati con la prestigiosa Doc Bolgheri.

le proposte di drink sono interessanti e “fuori dal coro”, a cominciare dalle acque minerali gallesi Ty Nant e Tau, fino all’eccellente birra americana (di Boston), Samuel Adams, leggera e ideale per gli abbinamenti con cucina di sapore. Ovviamente c’è anche una carta dei vini da far paura, con il meglio delle etiFUTURA chette italiane e internazionali. Da seFood Drinks and More Piazza Corvetto gnalare la presenza di un menu Light 16122 Genova (per chi non vuole eccedere) e un menu 010 5958496 per i bimbi, adatto alle famiglie. Dato il clima genovese, è consigliabile nella bella stagione pranzare fuori, nel bel dehors su Piazza Corvetto, in pieno centro. Un rapporto fra qualità e prezzo incredi- Un’esperienza memorabile, anche per il bilmente equilibrato, una proposta molto prezzo: per un menu completo (comprese vasta (e ricercata) di piatti sia tradizionali bevande e vini “normali”: il discorso liguri che di repertorio mediterraneo, un può cambiare con grandi annate di suambiente moderno e innovativo, che pervini, è ovvio), difficilmente supererete non indulge a sentimentalismi legati a i 30 euro (che a pranzo scendono fino finte atmosfere “retro”. L’esperienza di a 20 con il menu del giorno). Bravi. E, Artù al genovese Futura, l’avrete capito, soprattutto, in linea con i tempi difficili. è stata decisamente positiva. Sarete accolti da una delle migliori focacce al for- FATTO-BENE maggio di tutta la regione (da fare Atelier di Hamburger invidia a quella, mitica, della Manuelina Via Vincenzo Monti 56 di Recco), per passare poi a piatti più 20123 Milano impegnativi, frutto di attenta selezione 02 45471824 delle materie prime e a cotture delicate, www.facebook.com/FattoBeneBurger conseguenza diretta della professionalità dello chef. Qualche esempio, assaggiato personalmente: “la” farinata, il culatello con la burrata di Corato, i paccheri di Un’altra hamburgeria, l’ennesima, si preGragnano con dadolata di spada, me- senta sulla scena milanese, in ossequio lanzane, pomodori Pachino e ricotta sa- a quella che pare essere diventata una lata, la scottata di tonno pinna gialla vera e propria moda. In via Vincenzo con verdure croccanti. Ma in menu sono Monti, a Milano in zona Fiera, questo lotante le proposte intriganti e, alla vista, calino di una sola vetrina si presenta stimolanti: l’insalata tiepida di polpo, con qualche pretesa, dovuta forse al patate, olive taggiasche, prezzemolo, gli fatto di trovarsi in una zona della “Milano spaghetti in dodici versioni diverse, le ta- bene”. Nulla da eccepire: il luogo è elegliatelle fresche al pesto con baccalà e gante e vagamente country, con un vongole, le trofie della tradizione, il vitello tocco di american design alle pareti. La all’uccelletto con olive taggiasche e carne, dichiarata senza timor di smentita pinoli, hamburger di chianina (vera, da appartenente alla razza “Fassona pieallevamento fra i migliori), e pesce, tanto montese” è decisamente buona, sia pesce in diverse proposte (da provare il proposta nei piatti freddi che come inbaccalà accomodato). E, ancora, pizze grediente principale degli hamburger. fragranti, focacce, fornaribe, “camicie”. Questi ultimi sono presenti in 8 varianti: Il Futura di Genova è un locale moderno eccellente il Fatto-Bene Burger, composto e innovativo, caratterizzato da una atten- da 200 grammi di carne, formaggio zione mirata verso il cliente e le sue esi- Asiago dop, foie gras, germogli di soia, genze (di qualità, di tempo, di leggerezza); servito (come tutti gli hamburger) con

patate “fine de ratte” deliziose, proposte in versione chips e cotte al momento. Il Fatto-Bene costa 16 euro, non poco certamente, anche se le dimensioni sono king size (come tutti gli hamburger, i cui prezzi variano dai 12 ai 16 euro). Interessante anche, per i bimbi, il Golden Chicken Burger, a base di cotolettine impanate di pollo, pomodoro camone, lattuga trocadero, salsina bbq, e le solite, ottime, patatine. Salumi italiani di qualità, tartare di fassona, insalate sfiziose, dolci dignitosi completano l’offerta di FattoBene, che propone anche tre birre artiginali, tre vini bianchi e tre vini rossi, sia al calice che in bottiglia. Un pasto completo si aggira sui trenta euro. Per un’hamburgeria non è certo poco, ma l’esperienza è di quelle che vanno fatte.

CHIC & GO Take away e delivery Via Montenapoleone 25 20121 Milano 02 782648 www.chic-and-go.com

Un plauso a chi ha voluto reintrodurre a Milano, in versione raffinata, questa formula (già affacciatasi in modo simile qualche decennio fa, ma poi esauritasi forse perché troppo in anticipo sui tempi) del “panino d’eccellenza”. La proposta, che oggi torna ad essere innovativa, consiste nel proporre panini cosiddetti d’autore, ricercati sia nel gusto che nell’aspetto/presentazione. “Un panino Chic & Go trasforma una pausa qualsiasi, anche se breve, in un irrinunciabile momento di buon gusto”, recita il folderino presente sul bancone di questo minuscolo, esclusivo locale tra via Montenapoleone e via Bigli, nel quadrilatero della moda. Le materie prime sono “alte”: aragosta, polpa di granchio, Angus Beef, proposte come protagoniste - insieme a salumi e formaggi di qualità - di gustosi panini, proposti in versione mignon (sotto ai 5 euro) e regular (il prezzo varia dai 5 fino ai 14 euro per il sandwich più costoso) in abbinamento a bollicine fran-

cesi. Da provare: il panino Rosa, con salmone selvaggio marinato con germogli di soia in salsa agrodolce (3 euro il mignon e 8 il regular), il Club Chic (4 e 12), con tartare di Angus, briciole di tuorlo ed extravergine al pepe, il Tuscan (solo regular, 6,50 euro), con la “ricercata” mortadella di Prato in vellutata crema alla lattuga, il Nobile (solo regular, 7 euro), con carne salada trentina, germogli di misticanza, emulsione al lime e pepe rosa. Posti a sedere un po’ impiccati, ma il plus del locale è decisamente la chiccheria dei panini e la location modaiola. Per fare scena senza spendere cifre folli.

CIBUS 104 Via Ripamonti 104 20141 Milano 02 52209786

Un self service, ebbene sì, che ci ha stupito per la correttezza dell’offerta e la presenza di paste fresche e di (tante) verdure fra le materie prime proposte. Punto di riferimento per i tanti impiegati della zona (ricca di location illustri, del calibro di LVMH e Ferrarelle, ma povera di trattorie e ristoranti accessibili), Cibus 104 assolve perlopiù a una funzione di servizio, ma con un rapporto qualità-prezzo degno della citazione da parte di Artù. Con meno di 10 euro si può gustare un pasto completo, i cui piatti sono preparati da un vero cuoco e da una vera brigata di cucina, ovviamente senza velleità gourmettare, ma con un forte senso della realtà e delle necessità dei clienti di salvaguardare il portafoglio. Chi non ama fare coda con vassoio e tovaglietta si consoli pensando che, in autostrada (e persino in certi rifugi d’alta montagna), questo è ancora il rito più diffuso, senza che nessuno si scandalizzi. I posti a sedere esterni, in un grande cortile, consentono di mangiare all’aria aperta, immaginando di essere in campagna (si fa per dire). I titolari promettono che presto il locale aprirà anche per l’aperitivo e, la domenica, per il brunch. Artù n°56

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Editore: Edifis S.p.A. Viale Coni Zugna, 71 - 20144 Milano tel 02 3451230, fax 023451231 info@edifis.it - www.edifis.it

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Direttore editoriale: Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile: Andrea Aiello Redazione: Elisa Facchetti artu@edifis.it

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Collaboratori: Sara Alberti, Fiorenza Auriemma, Guido Bernardi, Davide Bernieri, Stefano Bonini, Luisa Contri, Davide Deponti, Beppe Francese, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Isa Grassano, Rocco Lettieri, Alberto Lupetti, Emilio Magni, Gianni Mercatali, Claudio Francesco Merlo, Giovanna Moldenhauer, Aldo Nenzi, Anna Pesenti, Fabiana Piantieri, Alessandra Piubello, Carlo Ravanello, Roger Sesto, Gualtiero Spotti, Theo Smith, Claudio Zeni, Stefania Zolotti _______________________________________________________________________________________________________

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GRILL DELL’HOTEL SPORT

DA MICHELE E MARISA

Via Magliaga 2 23030 S. Caterina Valfurva (So) 0342 925100

Via Vigevano 14 20144 Milano 02 58103130

È nel cuore di Santa Caterina Valfurva il Grill dell’Hotel Sport, il bel ristorante di Norberto Pedranzini, una delle colonne del turismo della stazione dell’Alta Valtellina. Qui si viene soprattutto per sciare ma, da qualche anno, sono in forte ascesa in estate il “mountain biking” e le passeggiate negli splendidi boschi. Il Grill dello Sport è un ristorante classico di terra elegante; propone una cucina valtellinese dai forti sapori, ma sulla carta si trovano alcuni piatti inattesi per leggerezza e fragranza. Accanto agli sciatt con cicorino, all’immancabile bresaola, ai pizzoccheri, ci sono anche i ravioli di grano saraceno al burro nocciola e la crema di pomodoro con crostone alla paprika. Fra i secondi insuperabile la Robespierre di manzo ai funghi, il filetto ai finferli, la tagliata di cervo alle erbe alpine. C’è da dire che qui i funghi sono eccellenti, per lo più trovati da Norberto nei boschi circostanti. Curato il servizio, con piatto di portata e l’ambiente: soffitto in legno, grande stufa a legna, alcuni pezzi antichi. Sottopiatti e argenteria della Broggi completano il tutto. Molto fornita la cantina con prevalenza di valtellinesi ma etichette di tutta Italia. Conto sui 40 €, vino compreso, davvero ben spesi. (Guido Bernardi)

In questo piccolo locale, lindo e luminoso, della zona milanese di Porta Genova, vi accoglie una simpatica coppia, lui di Canosa di Puglia, lei napoletana. Ai tavoli una ragazza sempre sorridente, a dispetto di Milano, vi porta una carta semplice, essenziale, in cui le proposte di pizza si alternano a piatti della tradizione mediterranea: penne con salsiccia e pecorino, paccheri alla sorrentina, spaghetti di Gragnano pomodoro e basilico, la vera insalata caprese. I secondi “deviano” più verso la cucina lombardointernazionale (sic!), ma sono tutti eseguiti con correttezza, dalla cotoletta alla milanese, ai calamari in umido con piselli, alla tagliata di manzo rucola e parmigiano (tanto amata dalle milanesi, al punto da farne un’icona sempreverde). Il servizio, un po’ lento, aiuta a rilassarsi nell’attesa, compensata dalla proposta di ottime pizze, preparate con farina di lievito madre (così come il pane, gradevolissimo, cotto nel forno a legna della pizza). Da provare la pizza con salsiccia e friarielli, che fa onore alla napoletanità di Patrizia: ricordatevi di chiederla senza pomodoro, perché è decisamente più buona! La carta dei vini presenta una pattuglia straordinaria di etichette irpine (Falanghina, Greco di Tufo ecc.) e ischitane (il Biancolella di Casa D’Ambra, per dirne una), a ricarichi onesti. Come onesto e ragionevole è il conto (mai oltre i 20 euro per un pasto completo e mai oltre i 10 per una buona pizza). Al punto che Artù assegna a Michele e Patrizia i tre cervelli, massima espressione della ragionevolezza!




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