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Artù n°57 - Luglio - Agosto 2013

Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

Alta Maremma, a Bolgheri la Tenuta Argentiera dei fratelli Fratini Konik’s Tail e Vermouth Mancino: nuovi brand per Gaja Distribuzione Usa, Avery Island: andiamo alla scoperta del successo di Tabasco Pietro Biscaldi propone sul mercato la Samuel Adams Boston Lager Chef: Gerli, Ricchebuono, D’Amato, Ramsvik, Svensson, Alvarado

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EDITORIALE n°57

La PASSIONE non basta In questo mondo che è cambiato, è sempre più difficile ritrovare la bussola. Mi spiego meglio. Dichiarazioni d’intenti del tipo “la professionalità paga sempre” o “entusiasmo e passione sono indispensabili al successo”, seppur veritiere, suonano come un esercizio verbale noioso e ripetitivo, figlio di un atteggiamento vagamente deterministico. Come se bastasse l’impegno personale a garantire la riuscita di un’attività. Pura ingenuità. Per non dire fatalismo. Per chi lavora nel settore del cosiddetto horeca, è ormai assodato che è necessario inventarsi un nuovo modo di lavorare (e non è del tutto chiaro quale) e che i criteri tradizionali sono ormai superati o, meglio, inadeguati alla portata del cambiamento in atto. Lungi da me ritenere che ogni cambiamento sia necessariamente una evoluzione che comporta innovazione: negli ultimi cinque anni abbiamo assistito ad una crisi progressiva, contrassegnata da una continua altalena fra sviluppo e regresso, ma siamo sempre lì: cosa è meglio e cosa è peggio? Chi può dirlo? Trent’anni fa, all’esordio delle discoteche, chi avrebbe mai detto che i teenager italiani sarebbero usciti di casa oltre mezzanotte e rientrati a casa l’indomani mattina, stravolgendo “regole” di comportamento consolidate da decenni? E chi avrebbe mai pensato che, all’uscita dal ristorante, agguerrite pattuglie di polizia avrebbero misurato il tasso alcolometrico di presunti bevitori un po’ allegri? Ancora, l’avreste mai detto che la gran parte delle aziende vinicole italiane avrebbe dovuto cantare quotidianamente un peana in onore dei mercati internazionali, senza i quali il loro business oggi sarebbe piccola cosa?

Eppure l’Italia non è sparita, milioni di persone ogni giorno escono di casa, lavorano, viaggiano, consumano, si alimentano, mangiano e bevono, svolgono attività sociale, si collegano a facebook, twittano e fanno molte altre cose, utili od inutili. Ma spendono meno, molto meno, ogni anno sempre meno. E il commercio si inceppa, molte attività si ritrovano ad essere senza una funzione precisa, tanti imprenditori – che in molti casi non hanno saputo o potuto adeguarsi al famigerato cambiamento, che spesso assomiglia a una specie di condanna – si sono ritrovati completamente a terra. Ora, sulle nostre pagine, continuiamo a raccontare “esempi di successo”, a descrivere storie vincenti, vite di professionisti coraggiosi che hanno messo al primo posto il raggiungimento dei propri obiettivi. Ma il fatto che alcuni ce la possano fare, in virtù di tenacia, mezzi e capacità individuali, non cambia i termini della questione. Il mercato interno soffre di un male profondo,

che è la diretta conseguenza della mancanza di regole chiare da parte di governi che non hanno mai governato, salvo scoprire improvvisamente il concetto di persecuzione fiscale, che contribuisce a mettere ulteriormente in ginocchio migliaia di attività. È stata molto abile, la politica, nel salvaguardare se stessa, i propri privilegi, il potere – sia in periferia che al centro dell’impero –, esercitando una vera e propria dittatura sociale. Di fronte alla quale non vi è stata adeguata reazione da parte della società che, anzi, in molti casi ha cercato in tutti i modi di corteggiare la casta e di rispettarla, per trarne benefici, per trovare una risposta ai propri problemi economici, per essere tutelata dal potere. “Meglio averli amici che nemici” è il motto italiota, un po’ ipocrita, un po’ furbetto, ma fortemente radicato nel dna collettivo. Il risultato è devastante. Una classe politica che avrebbe dovuto essere completamente ridimensionata si è ritrovata ad esercitare

un potere illimitato, che ancora oggi (con la scusa della necessità di fare cassa) ha portato, in vari modi, l’imposizione fiscale al 60%. Una vergogna, soprattutto in un contesto in cui poco o nulla funziona. Ma, va detto pure questo, anche la classe imprenditoriale non ha svolto un ruolo all’altezza della situazione: a parte le poche individualità che hanno fatto scuola (e portato la nostra migliore immagine nel mondo), troppa miopia culturale ha caratterizzato la scena. Concentrati sul proprio “particulare”, gli imprenditori hanno abdicato dalla logica di sistema, necessaria per l’affermazione di un modello forte e competitivo, e hanno privilegiato (in certi casi, necessariamente) strategie autoreferenziali e non sistemiche. I motivi vanno cercati nella storia sociale e culturale del nostro paese, in cui gli steccati hanno sempre prevalso sul concetto di collaborazione fra le parti. La politica, soprattutto negli ultimi vent’anni ha fatto il resto, radendo al suolo il paese. Ora, per uscire dallo stallo e ripartire, abbiamo bisogno di idee nuove, di un tavolo permanente di confronto sui grandi temi del consumo, del gusto, della qualità. In poche parole, dobbiamo essere capaci di creare un grande progetto che veda accomunate aziende produttrici e distributrici da un lato, ristoratori e operatori professionali dall’altro. L’obiettivo è di restituire credibilità al sistema dell’offerta, creando un polo forte e statutario, in grado di competere con le sfide che il mondo, senza alcun ritegno, ci pone ogni giorno. Alberto P. Schieppati Artù n°57

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In copertina: le scenografiche barrique nelle quali affina il Bolgheri Superiore 2006 di Tenuta Argentiera, sulla costa dell’Alta Maremma, a Donoratico. Il sole e il microclima della zona di produzione danno vita a vini di straordinario carattere, tutti a denominazione doc Bolgheri (la foto è di Massimo Listri).

Info people Bollicine a Marostica. Non solo Chardonnay di Denise Battistin Osteria Il Borro: toscani con stile di Elisa Facchetti Made in Italy. Il pensiero dell’ICE di Paolo Lombardi Gli chef si danno da fare. Aperture e cambiamenti Info brand Agnello, pasta, formaggi. Nuovi spazi sui mercati Zacapa premia gli chef al “50 Best Restaurant” di Elisa Facchetti Cocktail letterario: Luxardo e il Sangue Morlacco di Elisa Facchetti The Show of Taste by Distilleria Bocchino di Giovanna Moldenhauer Arcucci Trade, dalla parte della cucina di Elisa Facchetti Ciù Ciù produttori in Offida di Giovanna Moldenhauer Focus spirits Vodka e Vermouth, garantisce Gaja di Alberto P. Schieppati Focus food Tabasco Pepper Sauce. La decisa certezza del gusto di Alberto P. Schieppati Oslo gourmet: giovani chef crescono di Gualtiero Spotti Al Vescovado di Noli l’ospite è sacro di Gualtiero Spotti Protagonisti wine Argentiera, storia di vino e di passioni di Alberto P. Schieppati Protagonisti beverage Biscaldi, l’innovazione come mission di Alberto P. Schieppati Protagonisti food Al terremoto si risponde così di Luisa Contri Format food Enrico Gerli: la stella di Vigevano di Luisa Contri Tendenze Sale slot, futuro in gioco Locali Alla locanda di Mr. Brown di Elisa Facchetti Equipment Forme uniche per vini unici di Stefano Bonini Dal mondo Acqua Tempo Pazienza. E nasce un grande whisky di Fiorenza Auriemma Libri Progetti sul vino e spesa consapevole di Elisa Facchetti Secondo Artù Milano e Lombardia, tradizionali o innovativi

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Bollicine a Marostica. Non solo Chardonnay di Denise Battistin Non solo di Chardonnay è lo spumante. Ma anche di Erbaluce di Caluso dal Piemonte, di Vernaccia di Serrapetrona dalle Marche o di Bombino Bianco dalla Puglia e di Nerello Mascalese dalla Sicilia. Questi alcuni degli uvaggi per i quali è stata praticata la spumantizzazione riservando gradite sorprese e assoluti consensi. Le bollicine sono state protagoniste della manifestazione organizzata dalla locale delegazione Ais rappresentata da Roberta Moresco a Mason Vicentino, nei pressi di Marostica, dove più di cento etichette delle zone spumantistiche più celebri, come Franciacorta, Trentino, Oltrepò Pavese, Conegliano e Valdobbiadene, hanno offerto dei prodotti di grande freschezza e di elevata struttura, interpretati sia attraverso il metodo classico, sia lo charmat. Il monastero quattrocentesco, sede dell’evento, è stato teatro di un flusso costante di visitatori e appassionati (se ne contano un migliaio) che hanno affollato anche le sale di degustazione guidate dal sommelier Roberto Gardini, nelle quali gli assaggi e i confronti hanno fatto emergere realtà enologiche lontane dai soliti clichè. È l’esempio del siciliano Nerello Mascalese Extra Brut Murgo, 48 mesi sui lieviti e una pulizia d’abboccato che lo fa paragonare ad uno Chardonnay francese, sfidando il Cataratto, uvaggio isolano antagonista. Da Foggia, un vino il cui uvaggio, il Bombino Bianco, lascia i luoghi di larga diffusione del Centro Sud d’Italia e il nome di Trebbiano, per

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diventare Brut Riserva Nobile d’Araprì, 36 mesi sui lieviti che porta con sé profumi e aromi di Puglia, del suo mare e delle sue pinete con un aroma secco ma pieno che sorprende. Altra scoperta isolana è stato il Marzani Brut Metodo Classico di Simaxis (Or) dove il Nuragus e la Vernaccia si sono uniti per dare vita ad vino molto particolare e fuori dagli schemi, per certi versi controcorrente: 80-90 mesi sui lieviti e un sentore di morbidezza danno al vino una connotazione volutamente ossidata, con lievi picchi di acidità e un sapore meno fresco, ma più sapido. “L’interesse verso le bollicine – dichiara Roberta Moresco – non può essere liquidato come una moda passeggera. Ci sono le grandi tradizioni spumantistiche con punte di eccellenza assoluta, ma anche piccole produzioni di vitigni autoctoni che meritano di essere scoperte.” Tra le bollicine esposte, non potevano mancare accanto ai locali Vespaiolo, Durello e Recioto di Gambellara, i campioni d’Oltralpe, con alcune etichette di Champagne francesi e Cava spagnoli. La giornata si è chiusa con le premiazioni e con il ricordo di Nicola Broccardo, sommelier della delegazione prematuramente scomparso. Il pubblico, chiamato ad esprimersi, ha decretato il Lessini Durello Metodo Classico dell'Az. Sandro De Bruno la bottiglia meglio vestita della manifestazione. Riconoscimenti sono andati anche a Erica Sottoriva, Miglior Sommelier Professionista del Veneto per il 2013, a Roberto Gardini, ormai presenza fissa e sempre apprezzata della manifestazione, e a Luciano Righi, presidente della Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina.



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Osteria Il Borro: toscani con stile di Elisa Facchetti Da poco tempo il borgo medievale Il Borro ospita tra le sue antiche mura l'Osteria del Borro, splendido luogo di accoglienza dove il buon cibo toscano viene esaltato dalle sapienti mani dell'excutive chef Andrea Campani. Lo splendido borgo de Il Borro, a San Giustino Valdarno, a pochi chilometri da Arezzo, ha già regalato ai lettori di Artù un piccolo assaggio (N.54, pag. 8) della splendida location di proprietà della famiglia Ferragamo. Ed è in questo angolo di Toscana, rispettoso delle tradzioni più autentiche ma con quell'atmosfera di raffinata e sobria eleganza, che nasce l'Osteria de Il Borro. Tornata a nuovo splendore grazie all'impegno e al restauro dei nuovi proprietari, Il Borro rivive di antico fascino medievale, così come l'Osteria, recentemente ristrutturata su progetto dello Studio 63: un concept che rivendica la ricerca di materiali naturali, con arredi in legno di castagno, colori neutri e caldi ispirati alla pittura medievole, con alcuni dettagli ricchi di fascino e di storia. E la cucina non smentisce lo stesso stile di eleganza e di adesione alle tradizioni toscane. A dirigere la cucina l'executive chef Andrea

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Campani, capace di proporre, con il suo staff, una cucina toscana evoluta, radicata nella genuinità dei prodotti tipici del territorio con un pizzico di estro nella praparazione e presentazione dei piatti. La classica e nota battuta di chianina viene qui proposta con verdure croccanti, cialde al papavero, capperi fritti e vino rosso; il maialino croccante è abbinato, come nella tradizione medievale, a una purea di mele, finocchi saltati al timo con una salsa al vin santo; un esempio di proposta per il primo è un tortello ripieno di cinghiale su crema di lenticchie al rosmarino e polenta fritta; per dessert deliziosa è la crema fredda di caffè, spuma di mascarpone e crumble alle nocciole. Niente di ricercato o inventato, ma solo vera Toscana, servita in un piatto che innalza gli ingredienti prelibati di questa terra a un piatto più pulito, dai sapori più definiti e raffinati, senza perdere mai di vista la vera tradizione toscana. I prezzi? Rispecchiano a pieno la genuinità toscana. Per gli antipasti non si spendono più di 12 euro, così come per i primi. Per i secondi le cifre salgono, ma se si parla di chianina il prezzo è assolutamente più che onesto. Non mancano i menu degustazione: 45 euro per il menu Osteria del Borro, 38 euro per il menu Antica Toscana.



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Made in Italy Il pensiero dell’ICE di Paolo Lombardi Pubblichiamo di seguito l'intervista del nostro collaboratore Paolo Lombardi a Riccardo Monti e Roberto Luongo, rispettivamente presidente e direttore generale di ICE, l'Istituto Commercio con l'Estero. Paolo Lombardi: Su quali strumenti e su quali risorse economiche l’Istituto può in concreto basare la propria azione, subito e nel medio periodo? Roberto Luongo: Parliamo di una cifra che si aggira intorno a circa 50 milioni di euro nel 2013 per attività promozionali e di circa 73 milioni per copertura dei costi di funzionamento della struttura. A questi dovrebbero aggiungersi 50 milioni in 3 anni per la realizzazione del Piano Export Sud. Nel medio periodo contiamo in un sistematico incremento delle risorse disponibili per programmi promozionali (la media 2008-10 era di 80 milioni di euro compreso il contributo privato a carico delle imprese, nel 2010 era pari a 122 milioni di euro). Paolo Lombardi: Quali sono gli obiettivi di crescita per l’export di beni di consumo fissati a tre anni? Riccardo Monti: Per i beni di consumo, in particolare per il settore moda e per il settore agro-alimentare, il nostro

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Piano Export ipotizza un tasso annuo di crescita composto (CAGR) che si aggira mediamente intorno al 9% per i prossimi tre anni. Paolo Lombardi: In dettaglio su quali aree e paesi conviene investire prioritariamente per facilitare la diffusione dei beni di consumo italiani? Roberto Luongo: Stiamo attentamente monitorando lo sviluppo della domanda interna in molti paesi emergenti in cui una quota sempre più ampia di consumatori sta superando livelli di soglia dei redditi pro-capite che possano assicurare l'assorbimento e quindi la penetrazione dei nostri prodotti che si collocano su segmenti ad elevato valore aggiunto. Ad esempio, stiamo osservando con grande attenzione il previsto mutamento del modello di sviluppo della Cina che sta passando da una crescita export-led basata sugli investimenti ad un modello sempre più orientato sulla crescita della domanda interna e sul miglioramento del livello di benessere della popolazione. In generale nei paesi Bric e nelle altre economie emergenti, il miglioramento del reddito, l'allargamento della borghesia urbana e la nascita di un vero e proprio ceto medio sono fattori che possono nel breve-medio periodo accelerare la penetrazione dei beni italiani.



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Gli chef si danno da fare Aperture e cambiamenti Il ristorante di Baldassarre all’Hotel Imperiale di Taormina

Fabio Baldassarre Il 18 maggio ha aperto sulla splendida Roof Terrace dell’Hotel Imperiale di Taormina il ristorante OpsoN, dello chef Fabio Baldassarre, una stella Michelin al ristorante Unico di Milano. Il nome del ristorante, OpsoN, che in greco antico significa “cibo”, vuole sottolineare le radici territoriali che la cucina di Fabio Baldassarre propone all’Hotel Imperiale di Taormina. Sulla Roof Terrace dell’Hotel Imperiale, da cui si gode di un panorama ineguagliabile sulla baia di Taormina, ogni sera, a partire dalle ore 19, viene servito un ricco aperitivo: appuntamento cult per gli ospiti che, fra gli ultimi raggi del sole al tramonto sul mare, possono scegliere cocktail o champagne accompagnati da sfiziosi stuzzichini studiati dallo chef. La cena a lume di candela propone suggestioni altrettanto uniche, offerte da una cucina che rispecchia il rigoroso percorso professionale di Fabio Baldassarre fatto di esperienze vissute con profonda attenzione. “Curiosità e desiderio di scoperta si affiancano al valore dei ricordi, privilegiando i grandi sapori della tradizione - ha dichiarato Fabio Baldassarre - mercato e stagioni suggeriscono piatti mai banali, dove i caratteri delle materie prime vengono esaltati per offrire persistenti emozioni, assecondando una creatività che interpreta le usanze del passato”. “Avere l’op-

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portunità di ospitare un artista della gastronomia come Fabio Baldassarre è per l’Hotel Imperiale motivo di grande soddisfazione e allo stesso tempo un impegno verso la qualità più alta che il nostro albergo si propone di offrire alla clientela - ha dichiarato Giacomo Battafarano, Direttore Generale dell’Hotel Imperiale - Taormina è un luogo 'unico', sin dai tempi degli antichi Greci che vi costruirono il Teatro che Goethe definì il più bello al mondo, e adesso siamo orgogliosi di poterlo arricchire con un altro ‘unico’: il ristorante firmato da Fabio Baldassarre”. Con le sue 63 camere, di cui 14 suites dotate di eleganti arredi e delle più moderne tecnologie e comfort, l’Hotel Imperiale Taormina è ideale per trascorrere momenti di rigenerante relax e delizia dei sensi, grazie anche alla SPA di 260 mq ed al raffinato gusto del nuovo ristorante OpsoN, a cura dello chef stellato Fabio Baldassarre. Situato nel centro storico di Taormina, l’Hotel Imperiale offre ai propri ospiti un panorama mozzafiato, con il Teatro Greco in primo piano e il mare, da Capo S. Alessio alla baia di Naxos, a colorare lo sfondo. www.imperialetaormina.com C.Z.

labora anche con Gennaro Esposito, un’esperienza fondamentale per la sua formazione. “Considero Gennaro ‘mentore e amico’ - afferma Luigi lavorando al suo fianco ho imparato a dare un senso al mio lavoro e ad arricchirlo sempre più. Il bagaglio delle esperienze non può mai essere considerato pieno”. “La mia cucina nasce dal territorio - ci racconta Luigi - da cui non si può assolutamente prescindere. Le mie parole d’ordine sono tradizione e innovazione. Da noi i piatti della tradizione non nascono seguendo le ricette dei libri di cucina, ma sono l’esito delle indicazioni che ho raccolto ‘sul campo’ andando a mangiare nelle vecchie trattorie e parlando con le anziane massaie. Non ci sono contaminazioni”-. Al Ristorante Monzù si mangia la vera parmigiana di melanzane, non trasformata in tortino o soufflé, o il babà della nonna, fatto a mano con una cura quasi maniacale per l’impasto e la lievitazione, servito con crema Chantilly e fragoline di bosco. Ma Luigi Lionetti non si ferma qui: cerca anche nuove soluzioni mixando sapientemente ingredienti e sapori. Ecco allora i suoi piatti signature come il favoloso

ragù di polpo che condisce i mezzi paccheri; la pasta mista - 14 tipi scelti uno per uno - con astice blu, patate e provola affumicata dei Monti Lattari; il tortino di alici con melanzane, formaggio e lamelle di tartufo estivo o ancora il dentice con panure verde con le erbe tipiche di Capri. I prodotti sono quelli del territorio, coltivati quasi esclusivamente sull’isola e nell’area campana: pesce fresco, mozzarella, caciotta, melanzane e altri ortaggi, erbe aromatiche. Posizionato a picco sul mare di fronte ai Faraglioni, visibili da quasi tutte le sue camere e ad appena dieci minuti a piedi dalla famosa Piazzetta, il Punta Tragara offre un’assoluta privacy in un’atmosfera sofisticata. Con le sue 44 stanze, è un resort 5 stelle lusso, membro di Small Luxury Hotels of the World, ricco di storia che si respira in tutti i suoi ambienti, nei quali la presenza di reperti archeologici, di arazzi e mobili antichi si integra perfettamente allo stile contemporaneo. A disposizione degli ospiti la spa UNICA, un’oasi di benessere per la remise en forme. www.hoteltragara.com www.ristorantemonzu.it C.Z.

Un giovane caprese alla guida del ristorante Monzù A guidare il team di cucina dell’Hotel Punta Tragara, il gioiello caprese unico nel suo genere, a picco sul mare proprio di fronte ai Faraglioni è Luigi Lionetti. Classe 1984, caprese “doc”, Luigi viene “folgorato” dalla passione per la gastronomia a 15 anni; frequenta così l’istituto alberghiero e subito dopo il diploma inizia la sua esperienza direttamente sul campo lavorando nel Ristorante Paolino a Capri e all’Hotel La Perla a Corvara. Nel 2008 arriva all’Hotel Punta Tragara, dove a soli 23 anni diventa sous-chef per passare ora ad Executive. In tutti questi anni col-

Luigi Lionetti


Burckhard Bacher a Hong Kong Lo chef stellato Burckhard Bacher, del ristorante Keine Flamme di Vipiteno Sterzino (Bz), una stella Michelin, presenta la sua cucina all'Hotel Mandarin Oriental di Hong Kong. Un'occasione importante per far consocere al mondo, e soprattutto in Oriente, la grande cucina sudtirolese di alta e raffinata creatività. L'evento si inserisce in un progetto di più ampio respiro, che vede il prestigioso Hotel Mandarin Oriental di Hong Kong protagonista nell'ospitare per il suo cinquantesino anniversario i più celebri chef stellati al mondo. Dal 3 al 9 giugno è stato ospite Burckhard Bacher al Café Causette, ristorante del lussuoso hotel, con la grande sfida di conqui-

Burckhard Bacher stare e far apprezzare la cucina sudtirolese intepretata in modo raffinato e mai banale.

Salvatore Laudano, il nuovo chef di Borgo San Felice Salvatore Rosario Laudano, napoletano, è stato nominato Head Chef del “Poggio Rosso”, il ristorante di Borgo San Felice, il prestigioso Relais & Chateaux di Castelnuovo

Salvatore Laudano Berardenga (Si). Trasferitosi a Roma nel 2003 al lussuoso Hotel Eden, dove rimane per cinque anni sotto la guida dello chef stellato Adriano Cavagnini, forgiando la sua esperienza e affinando le sue capacità, Salvatore Laudano continua la sua crescita professionale in Australia, dove si guadagna il “Golden Plate Award”, e poi nel Regno Unito dove diviene Sous Chef del Four Seasons Hotel di Londra lavorando con Davide di Giovanni, considerato uno dei migliori giovani chef in Inghilterra. Nel 2013, Borgo San Felice lo sceglie per affiancarlo al pluristellato chef Francesco Bracali che da due anni firma la cucina del Poggio Rosso. “È una grandissima soddisfazione essere stato scelto da Borgo San Felice, un albergo famoso per la qualità che riesce a offrire ai propri ospiti, per regalare emozioni in un grande ristorante come il Poggio Rosso - ha dichiarato Salvatore Laudano - inoltre, è davvero un onore poter lavorare a fianco di uno chef del calibro di Francesco Bracali, che considero un vero maestro”. “Per noi Salvatore rappresenta la necessaria garanzia di qualità e di continuità della linea scelta da Francesco Bracali - ha sottolineato Achille di Carlo, Direttore Generale di Borgo san Felice - un albergo come Borgo San Felice vuole poter offrire sempre ai suoi ospiti una qualità raffinata e fortemente legata al territorio. Con una squadra formata da Francesco e Salvatore possiamo adesso essere certi del raggiungimento di questo obiettivo”. Borgo San Felice, di proprietà del Gruppo Allianz, è un antico borgo di origine medievale completamente rinnovato e ristrutturato per offrire

il massimo comfort e una ricercata eleganza in ogni dettaglio, pur mantenendo una forte impronta rurale che vuole essere coerente con l’autenticità del territorio. Situato sulle colline del Chianti Classico senese, circondato da 140 ettari di vigneti di proprietà, Borgo San Felice accoglie gli ospiti nelle 17 Suites e 29 Camere, distribuite nei palazzi dello storico villaggio. C.Z.

La tradizione in un piatto Giuseppe Di Iorio, Chef Executive del ristorante Aroma, ha scelto la panzanella, piatto tipico della tradizione romana, come ingrediente principale per il suo piatto signature. La nuova portata del ristorante di Palazzo Manfredi, hotel 5 stelle lusso con vista sul Colosseo, innalza la tradizione con un tocco di creatività proponendo un piatto "verace", ma con garbo: la panzanella diventa "Cappellotti di panzanella e baccalà alla romana su coulis di pachino confit e basilico". Pane, pomodoro, olio d’oliva e basilico si trasformano in un ripieno per i cappellotti di pasta fresca, accompagnati dal baccalà, altro ingrediente molto utilizzato nella cucina romana. Il ristorante di Giuseppe Di Iorio è stato insignito

del “5 Stars Diamond Award” - da The American Academy of Hospitality Sciences – l’ambito riconoscimento che premia l’eccellenza nel mondo dell’hôtellerie e della ristorazione.

Nicola Laera nuovo chef di Biohotel e Stube Hermitage Una grande esperienza accanto a uno tra gli chef più quotati del momento: questo, tra tutti, l’aspetto che più ha influenzato la Famiglia Maffei nella scelta di Nicola Laera come nuovo executive chef del Biohotel Hermitage e del ristorante stellato Stube Hermitage di Madonna di Campiglio (Tn). Altoatesino, con un entusiasmo trascinante e una creatività che si ritrova nei suoi piatti, Nicola Laera, pur giovanissimo, vanta una carriera lunga ben sei anni come Sous chef di Norbert Niederkhofler, dopo una serie di esperienze tutte italiane e tutte in alta quota, nella sua terra d’origine, l’Alto Adige. E proprio dalla sua terra natale il giovane chef ama ricavare i prodotti freschi e gli ingredienti di stagione che entrano nelle sue ricette. Proprio dal suo maestro, Laera ha ereditato la passione per gli ingredienti del territorio, minuziosamente selezionati in prima persona, alla ricerca di quei dettagli che rendono unico il piatto. Appassionato della materia prima,

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ByS, teatro di idee

Nicola Laera la sua cucina è un’incessante sperimentazione di nuovi abbinamenti e accostamenti culinari. Il risultato è una gastronomia dal sapore schietto e deciso, che sa continuamente stupire il palato. Una cucina che parla del territorio, senza per questo rimanere imprigionata nella retorica della tradizione. La cucina del nuovo chef Nicola Laera si può degustare sia nel ristorante dell’hotel, sia nella stellata Stube Hermitage, naturalmente in piatti e creazioni differenti. Fortemente voluta dal capo famiglia Giacomino Maffei, appassionato del buon mangiare, la Stube Hermitage rispecchia lo stile e l’estrema cura del dettaglio, affidata al buon gusto della moglie Edda. Non è un caso che sia proprio la famiglia Maffei a seguire personalmente tutti i dettagli, per soddisfare al meglio ogni desiderio dei suoi ospiti. Ricavata da una stube originale dei primi anni del ’900, la Stube Hermitage offre un ambiente caldo e accogliente, raffinato e allo stesso tempo autentico. Non da meno il ristorante dell’hotel. Sempre aperto, sia a pranzo che a cena, con una proposta “chilometro zero”, un percorso che potremmo definire scandito dalle stagioni, dal sole che puntuale illumina la sala attraverso le ampie vetrate sulle montagne, panorama che dà l’idea di essere sospesi tra la terra e il cielo. Con questa scelta il Biohotel Hermitage continua a raccontare una storia vera, di sapori, di familiarità, di bellezza paesaggistica unica e di prodotti locali di pregio. C.Z.

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Nuovo l'indirizzo milanese che vede come protagonisti due giovani chef, allievi di Gualtiero Marchesi, che hanno saputo dare una nuova forma alla ristorazione, un progetto nato dal desiderio di creare uno shop dinamico e innovativo dedicato al food, ma anche alla creatività, a partire dalla manualità di giovani talenti . Si chiama ByS il locale in via Alberico Albricci, dove è possibile già alla prime ore del mattino godere di un'ottima pasticceria artigianale dolce e salata sempre fresca. A pranzo, gradevole la proposta del BysStrot per un lunch veloce: salumi piacentini, una vasta gamma di formaggi oppure piatti all'isegna della semplicità accompagnati da pane di patate e focacce appena sfornati, oltre a sandwich, hamburger d’autore e i piatti del giorno realizzati con prodotti stagionali. Cucina gustosa, ma leggera, con primi piatti realizzati sempre con pasta fresca. Atmosfera raffinata ed elegante per la sera, con un menu decisamente di alta qualità, e con il consiglio di due sommelier. Il lato originale del ByS è senza dubbio la fusione tra arte e cucina, tra spettacolo e cibo: gli spettacoli e le performance si svolgono dall’aperitivo al dopo cena, ma più spesso diventano parte integrante della cena,

motivo per cui si organizzano anche feste private, feste aziendali e cerimonie. A fianco del ristorante la ByS boutique vende abiti, accessori, opere, oggetti di design unici, e divertenti idee regalo realizzate dai giovani creativi di Milano e non solo. www.bysmilano.com

Dan Aykroyd presenta in Italia Crystal Head Vodka Una Vodka nata da un'ispirazione. È questa Crystal Head Vodka, ideata dal famoso ed eclettico attore Dan Aykroyd, interprete di film come “The Blues Brothers”, “Una poltrona per due” e “Ghostbusters”. Ora Crystal Head Vodka è arrivata anche in Italia presentata dallo stesso Dan Aykroyd a Ghemme (No) e Milano il 20 maggio e a Roma il 21 maggio. Originale, Crystal Head Vodka è infatti contenuta in una bottiglia a forma di teschio, ispirata all'antica leggenda dei tredici crani di quarzo dispersi per il pianeta, pronti ad offrire la conoscenza assoluta a chi riesca a riunirli. Dalla leggenda alla realtà: Crystal Head Vodka, prodotta con pura acqua di ghiacciaio canadese, purificata attraverso cristalli di quarzo chiamati Diamanti di Herkimer e distillata quattro volte, è una delle più esclusive vodka sul mercato, da oggi disponibile anche

nel nostro paese grazie all'accordo con la Distilleria Francoli di Ghemme, importatore ufficiale per l'Italia. C.Z.

Flaminio piccolo formato Tre diverse selezioni di olio Flaminio, l’extravergine DOP Umbria, in un piccolo formato da 250 ml: questa l’ultima novità dell’azienda di Trevi Il Frantoio, che in questo modo intende proporre sul mercato un originale e gustoso cadeau per gli amici ma anche, e soprattutto, un supporto utile ai ristoratori che intendano semplificare l’offerta utilizzando un formato inedito e più maneggevole da parte del cliente. I tre olii disponibili nel nuovo formato sono il Dop Umbria, il Flaminio Fruttato e il Flaminio Delicato: un tris che ben rappresenta i livelli qualitativi raggiunti dalla produzione del Frantoio. C.Z.

Therasia Resort, Eolie da gustare

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Unico albergo 5 stelle sull'Isola di Vulcano, Therasia Resort stupisce soprattutto per la sua proposta culinaria. Dirige i due ristoranti L'Arcipelago e Il Cappero lo chef campano Crescenzo Scotti, cultore dei sapori del mare accostati alle prelibatezze della terra, materie prime di altissima qualità. Come il tonno chiamato “Si, mi piace il tonno Vulcano”, fiore all'occhiello del produttore Maurizio Vulcano (un cognome che è una vera e propria coincidenza!) premiato


Crescenzo Scotti

anche dal Gambero Rosso. La varietà Alalunga e Tonno Rosso, scelti da Crescenzo Scotti, sono pescati nel mare delle Eolie con la tecnica del “conzo”; la lavorazione è eseguita esclusivamente su prodotto fresco e dalla separazione dei tagli si ricavano il tarantello, la ventresca e i filetti che vengono cotti e asciugati in ambiente sterile. Poi viene confezionato in barattoli di vetro, in cui gli unici ingredienti sono tonno, olio extravergine d’oliva e sale marino. Tra gli altri ingredienti "veraci" utilizzati dallo chef segnaliamo gli

Therasia Resort Il Cappero ortaggi della piana di Catania, i formaggi siracusani, le carni del Nebrodi e il cioccolato di Modica. E ancora i pistacchi di Bronte e la ricotta di pecora DOP. Tutti prodotti che esaltano lo stile dei due ristoranti: Al ristorante L'Arcipelago, elegante e raffinato, la proposta punta su un percorso enogastronomico fatto di colori, profumi e sapori della migliore cucina siciliana interpretata in modo leggero ed innovativo, utilizzando i migliori oli extra-vergine, il pesce o la carne con pochi grassi e tanta verdura. Le cotture sono molto rapide

e il tutto è accompagnato da un’accurata selezione di vini siciliani e nazionali presenti all’interno della cantina. Nel ristorante gourmet Il Cappero lo chef Crescenzo Scotti si esprime al meglio, unendo tradizione e creatività, terra e mare, dolce e salato. Il risultato è una cucina articolata, ma immediata, capace di combinare molto bene i sapori di Sicilia sotto una nuova luce. Direttamente sul mare, Il Cappero è aperto solo quando le condizioni climatiche lo permettono (da giugno a settembre).


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Agnello, pasta, formaggi Nuovi spazi sui mercati Canuti, riparte la tradizione italiana

La storica azienda riminese di pasta fresca surgelata Canuti Tradizione Italiana, torna sul mercato italiano più in forma che mai. Dopo l'acquisizione da parte di un nuovo proprietario padovano - si tratta di Marcello Toffano, la cui famiglia ha alle spalle molti anni di esperienza nel settore agroalimentare - l'azienda ha trovato il giusto sprint per proporre sul mercato nuovi importanti prodotti: “Le Riscoperte” è una linea di pasta surgelata preparata secondo gli antichi usi della tradizione italiana: macinatura a pietra della farina, trafilatura al bronzo e le uova da allevamento a terra. La nuovissima linea “le A Mano” rappresenta invece una risposta alla ricerca degli chef di avere un prodotto il più vicino possi-

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bile a quello lavorato direttamente in cucina, dove viene risaltata l'artigianalità della lavorazione. Così commenta Gilberto Giovannini, direttore vendite Italia di Canuti Tradizione Italiana, entusiasta del successo ottenuto già alla manifestazione TuttoFood: "Siamo contenti di offrire ai nostri clienti i nuovi interessanti prodotti che abbiamo presentato per Tuttofood, e di confermare importanti investimenti per il futuro, che riguarderanno anche l’ampliamento tecnologico delle linee produttive". La recente acquisizione ha infatti rappresentato un grande successo per l'azienda riminese, accolta con queste parole da Denis Cecchetti insieme al direttore vendite Italia Gilberto Giovannini e al direttore produzione Matteo Baldacci, cooptati nel nuovo CDA: "Si tratta di un passo in avanti importante per l’azienda, che premia l’impegno di tutti, per primi i nostri dipendenti. La nuova proprietà, infatti, implementerà il piano di rilancio di Canuti Tradizione Italiana fin qui avviato sia in Italia che all’estero, mantenendo saldamente nel nostro territorio la grande tradizione pastaia".

Il Welsh Lamb Igp trionfa a Tuttofood La qualità dell'agnello gallese convince sempre sempre più e a distanza di dieci anni dall'introduzione in Italia

ha raggiunto livelli di gradimento inaspettati: nei primi mesi di quest’anno le esportazioni hanno da fatto registrato un incremento pari a +29% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. E con la partecipazione a Tuttofood (dal 19 al 22 maggio) il famoso "Welsh Lamb" ha avuto un ruolo importante per illustrare ancora una volta il rigido disciplinare rispettato affinchè le carni ovine gallesi si possano fregiare della qualità gallese Igp. Nell'ambito della manifestazione il pubblico italiano ha avuto anche modo di confrontarsi con gli esperti del settore provenienti da oltremanica per scoprire tutte le qualità organolettiche di questa carne e i suoi principi nutrizionali, nonchè le numerose modalità di preparazione e cottura: arrosto, in umido, stufato, cotto in forno o in tegame. Il giusto rapporto qualità/prezzo rappresenta poi sicuramente un’altra caratteristica per cui l’agnello gallese viene scelto sempre più dal consumatore italiano. “È sempre importante per prodotti di standard elevato come il nostro - ha commentato Jeff Martin, responsabile HCC Meat Promotion Wales in Italia - essere presenti a manifestazioni ad ampio respiro come Tuttofood, che possano garantire un’audience di livello per poter diffondere al grande pubblico di consumatori la distinzione tra ‘mediocrità’ e ‘qualità’. Anche in periodi non facili come quello che stiamo vivendo, è fondamentale spiegare al consumatore che un’alimentazione sana e corretta, a prezzi competitivi, può apportare solo vantaggi, nel breve e nel lungo termine. Mai sacrificare la qualità ed il gusto per un lieve risparmio”. Conclude Jeff Martin: “Anche la distribuzione italiana è consapevole

del valore aggiunto che rappresenta il marchio di indicazione geografica protetta e il fatto di poter identificare il Welsh Lamb IGP sui punti vendita sta rappresentando per noi un fattore di grande importanza”. L'HCC, l'ente responsabile per lo sviluppo, la promozione e la distribuzione delle carni del Galles, ha anche il compito di collaborare con le aziende agricole per migliorare la qualità degli allevamenti e quindi della carne. Tra gli allevatori una nota di merito spetta a Daphne Tilley, signora gallese che produce carne ovina richiesta dai più rinomati chef di Londra. Daphne invita gli chef a visitare di persona le sue fattorie affinché possano testare direttamente la qualità della produzione e rendersi conto dell’entusiasmo con cui la famiglia Tilley svolge da anni questo lavoro.

Norda e Verallia: “Espressioni d’acqua” Norda, azienda di acqua minerale, e Verallia Italia, produttore di riferimento nel packaging in vetro per uso alimentare, confermano il sodalizio con una nuova campagna stampa in co-marketing. Con “Espressioni d’acqua” le due realtà italiane vogliono comunicare al retail, alla ristorazione e al consumatore finale il comune impegno in termini di innovazione e sostenibilità ambientale,


ponendo l'accento sulla scelta fatta da Norda di affidarsi al vetro, materiale naturale, sicuro, igienico, sostenibile perché riutilizzabile e riciclabile all’infinito, grazie ovviamente al supporto del proprio partner Verallia. Pianificata da giugno a dicembre 2013 su quotidiani e testate, la campagna stampa “Espressioni d’acqua” ribadisce la stretta collaborazione tra le due aziende iniziata nel 2005, anno in cui Norda e Verallia, in collaborazione con lo IED (Istituto Europeo di Design) di Milano, avevano realizzato un Master in Packaging Design con l’obiettivo di sviluppare le potenzialità del vetro in termini di affidabilità, stile ed eleganza. Da questa esperienza è scaturito il lancio sul mercato di “Elegance 75”, la bottiglia da ristorazione ribattezzata anche “Tinna”, dal nome della designer islandese che l'aveva ideata. A cui, nel corso degli anni, è seguita la creazione di una ricca gamma di bottiglie in vetro a rendere dedicate al settore Ho.re.Ca., canale nel quale il Gruppo Norda/Gaudianello è attualmente la seconda realtà di riferimento in Italia.

Inalpi: ricette stellate I prodotti Inalpi rappresentano un ottimo strumento per la preparazione di molto ricette, grazie alla grande qualità che li contraddistingue, tanto da essere richiesti anche nelle cucine stellate. Gli chef del ristorante stellato Antica Corona Reale di Cervere (Cn) hanno infatti utilizzato le Fettine, il Burro Fior di Panna, i Formaggini, il Grattugiato fresco e la Caciotta Kremina Inalpi per preparare alcune ricette gourmet, ma di semplice realizzazione. La proposta

del primo prevede i cappelletti di Caciotta Kremina e Grattugiato Fresco Inalpi su crema di zucca; protagonista del secondo la frittata ai profumi dell’orto e Fettine Inalpi; come dessert la classica Cheesecake ai Formaggini Inalpi.

Arriva Hercules Moneta, marchio Alluflon, lancia sul mercato la nuova linea Hercules. Padella, casseruola, bistecchiera, lasagnera, e tegame sono gli strumenti realizzati con il geniale rivestimento antiaderente Artech®Stone, ideato da Moneta e ideale per cucinare con pochi grassi, per scottare i cibi e per le cotture veloci. La textura granitica, un triplo strato rinforzato con particelle minerali, rivela già la resistenza di questi alleati in cucina, una longevità superiore assicurata dalla presenza dell'eco-dispositivo di risparmio energetico Energy-Saver® che indica il raggiungimento della temperatura e avverte quando abbasare la fiamma, all'insegna del risparmio energetico e per combattere gli sprechi di gas in cucina. L'anima, in allumino ad alto spessore, si abbina al rivestimento esterno siliconico satinato effetto pietra. I manici sono in bakelite con inserti in acciaio dotati di dispositivo Energy-Saver®. Resistenza, ma anche risparmio energetico. Hercules si inserisce infatti nelle linee


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Helix

Surgital

direttrici di Alluflon, azienda marchigiana che da anni investe su prodotti e tecnologie per sviluppare un regime produttivo ecocompatibile.

Con Surgital il gusto raddoppia Le Divine Creazioni Surgital ampliano la propria offerta annoverando due new entry. La prima novità, la n° 27 della gamma, vuole rendere omaggio a un ripieno classico della tradizione della pasta ripiena: stiamo parlando dei panciotti con punte di asparagi e mascarpone, con ben il 40% di asparagi verdi nel ripieno. Degli asparagi vengono utilizzate solo le punte, appena brasate e tagliate grossolanamente, in modo da rimanere croccanti e non perdere il colore verde brillante, a cui viene aggiunto il mascarpone. I raviolotti al baccalà, rappresentano la 28° entrata nella grande famiglie Divine Creazioni. Il baccalà utilizzato per il ripieno proviene dai mari del nord Europa e rappresenta il 69% del ripieno. I filetti di baccalà, da non confondersi con lo stoccafisso, vengono brasati nel latte e mantecati con il fondo di cottura e la farina di polenta bianca, più rara e preziosa di quella gialla.

Cerase: dalla Campania il vino per l’estate Il vino per eccellenza delle tavole estive? Senza dubbio il rosato Terre Cerase di Villa Matilde, prodotto nella tenuta

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beneventana Rocca dei Leoni, nel cuore del Sannio Beneventano, per la prima volta nel 1990, a cui sono seguiti sempre più consensi e apprezzamenti sul mercato, tanto da aggiudicarsi la Medaglia d’Argento per la categoria rosati all’ultima edizione del Concorso enologico di Vitignoitalia. Da uve Aglianico 100%, il rosato Terre Cerase affina in acciaio, presenta un colore carico e trasparente al tempo stesso; al gusto è morbido e pieno ed è ideale come aperitivo, in accompagnamento a fritture, preparazioni di pesce e carni bianche, ma non disdegna l’abbinamento con i piatti della tradizione campana come il coniglio all’ischitana o la mozzarella di bufala campana e la pizza napoletana. Vino leggero, ma di carattere, ottimo anche nel rapporto qualità prezzo (non supera i 10 euro), Terre Cerase nasce da uve autoctone che acquistano profumi intensi grazie ai terreni vulcanici ricchi di fosforo e potassio.

Con Helix il tappo in sughero si svita! Rivoluzione nel mondo del vino, anzi nel mondo dei tappi! Si chiama Helix la novità nata dalla partnershio di due leader internazionali nel packaging del vino, Amorim e O-I, che hanno lanciato sul mercato un tappo in sughero svitabile, senza l'utilizzo di ca-

vatappi. Helix, presentato in occasione del recente appuntamento francese di Vinexpo, a Bordeaux, vuole rispondere al consumo di vino in quei mercati emergenti dove è meno radicata la tradizione enologica e l’uso del cavatappi. "Il futuro dell’innovazione risiede nella collaborazione – ha dichiarato Erik Bouts, Presidente europeo di O-I –. Helix è l’esempio concreto di ciò che si può ottenere a vantaggio del consumatore e del settore vinicolo quando due aziende leader mondiali del packaging di vetro e sughero decidono di collaborare". A cui si aggiungono le parole di Carlos Santos, a.d. Amorim Cork Italia: "Amorim è in prima linea nella ricerca a servizio del consumatore e nell’ideazione di nuovi prodotti per assecondare nuovi mercati. Dopo l’intenso lavoro sviluppato nell’ambito della lotta al TCA che ha aperto la strada alla creazione di una vera e propria cultura di prodotto, oggi abbiamo trovato una nuova soluzione in grado di rispondere alle diverse esigenze dei mercati emergenti che richiedono più comfort e praticità nell’approccio con il vino". Con Helix nasce un nuovo modo di bere vino, una soluzione pratica, ma al tempo stesso elegante ed efficace nel mantenere inalterate tutte le proprietà organolettiche del vino stesso. Il sistema Helix può infatti essere facilmente adottato dalle aziende vinicole con aggiustamenti minimi sulle linee di imbottigliamento esistenti. Per ulteriori informazioni su Helix www.helixconcept.com.

Cantina Ponte e Teatro Fenice: sodalizio vincente Nel cortile del Palazzo Ducale di Venezia sono andate in scena le rappresentazioni estive dell’Otello, l'opera verdiana che ha aperto la stagione teatrale della Fenice lo scorso novembre e che l’ha chiusa ora, sempre sotto la regia del prestigioso teatro, in un’altra tra le più suggestive cornici veneziane all’aperto. Durante le tre serate, il 9, il 14 e il 17 luglio, il pub-

blico ha avuto la possibilità di degustare nell’intervallo un calice di Prosecco Millesimato Doc Extra Dry La Fenice di Cantina Ponte, etichetta eletta come simbolo della cultura veneziana e italiana. Il tutto all'insegna del progetto di collaborazione di Cantina Ponte e Teatro La Fenice iniziato nel 2011, con la creazione della gamma di vini dedicata al Teatro, composta da Prosecco Millesimato Doc, Rosè Extra Dry Spumante, Pinot Grigio Doc e dall’ultimo nato, Rosso, presentato proprio in occasione della Prima della Stagione e dell’Otello nel novembre 2012. Una sinergia, quella tra Cantina Ponte e il Teatro La Fenice, che riflette il forte impegno nel rappresentare il meglio della italianità sul palcoscenico, nella cultura, e nel bere bene. Cantina Ponte, fondata nel 1948 con sede a Ponte di Piave in provincia di Treviso, è infatti oggi una della realtà più dinamiche e importanti del Veneto. Rappresenta 1.200 soci, possiede 2.000 ettari di vigneto e produce circa 12 milioni di bottiglie, di cui 5.600 di Prosecco Doc, distribuite in Italia e in numerosi paesi esteri. Peculiarità dell'azienda? L'elevato standard qualitativo certificato e testimoniato dai numerosi riconoscimenti ricevuti.



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Zacapa premia gli chef al “50 Best Restaurant”

di Elisa Facchetti Zacapa, uno dei più apprezzati rum al mondo, ha consegnato a Londra il Sustainable Restaurant Award alla cerimonia dei 50 Best ristoranti al mondo, testimone di una filosofia produttiva da sempre impegnata al benessere delle popolazioni locali. Si è aggiudicato il premio, simbolo di responsabilità ambientale e sociale, il ristorante Narisawa di Tokyo. Zacapa è sinonimo del miglior rum ultra-premium, impegnato fin dal 1976, anno di nascita dell'azienda produttrice e del marchio, nell'attuazione di programmi a supporto delle comunità in cui opera, permettendo alle donne di El Progresso e Jocotán di ampliare le proprie competenze grazie ai fondi stanziati per fornire prestiti di microfinanza, impieghi e accesso alle borse di studio e altre opportunità edu-

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cative. Una filosofia di produzione, quella di Zacapa, che lo ha reso protagonista alla cerimonia dei 50 Best ristoranti al mondo, svolta a Londra presso lo storico Guildhall, dove Zacapa ha consegnato il Sustainable Restaurant Award, il premio creato per dare un riconoscimento al ristorante che rientra tra i 50 migliori al mondo e che dimostra il punteggio più alto in termini di responsabilità ambientale e sociale. Si è aggiudicato il titolo il ristorante Narisawa di Tokyo, in Giappone, nominato anche miglior ristorante in Asia e famoso per la sua interpretazione della cucina giapponese basata sui fondamentali francesi. "Sostenere il Sustainable Restaurant Award al 50 Best è una scelta naturale per noi", ha dichiarato Matteo Fantacchiotti, Commercial Director, Global Reserve. "I migliori ristoranti di tutto il mondo fanno in modo di fornire fantastiche esperienze di marca ai nostri consumatori e la sostenibilità è un valore importante della filosofia di Zacapa. Perciò noi siamo entusiasti di contribuire a dare un riconoscimento al ristorante più sostenibile del mondo e agli sforzi fatti". Gli ospiti, presenti alla cerimonia di premiazione, hanno potuto gustare un cocktail a base di Zacapa creato appositamente per l'evento, lo Zacapa Port Crumble ideato dal Brand Ambassador inglese Dan Colomba e dal vincitore del titolo Diageo Reserve World Class Bartender of the Year 2010, Erik Lorincz -, una variazione del classico Old Fashioned con aggiunta di cioccolato. Dal carattere intenso e profondo Zacapa è considerato uno dei più preziosi rum ultrapremium al mondo, per una serie di caratteristiche che lo rendono ineguagliabile, prima fra tutte l’ingrediente principale, ovvero il succo concentrato della canna da zucchero (e non la melassa), chiamato "miel virgen", che gli conferisce eccezionale rotondità e morbidezza. La gamma Zacapa si compone di quattro varianti: Zacapa 15, Zacapa 23, Zacapa 23 Etiqueta Negra e Zacapa XO, definito il "cognac dei rum", ed è distribuito da Diageo.



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Cocktail letterario: Luxardo e il Sangue Morlacco

di Elisa Facchetti Luxardo celebra il 150° anniversario della nascita di Gabriele D'annunzio, dedicando al poeta una competizione che ha visto come protagonista il "Sangue Morlacco", il celebre liquore reso famoso dal sommo "vate" in occasione dell'impresa di Fiume. Dopo il Maraschino, il Sangue Morlacco è la seconda specialità della storica azienda Luxardo, un liquore di marasche, uno cherry brandy che venne ribattezzato con il nome di "Sangue Morlacco" dal poeta Gabriele D'Annunzio nel 1919, in occasione dell'impresa di Fiume, a causa del suo colore rosso cupo ("Morlacco" deriva dal nome di un'orgogliosa popolazione dell'entroterra dalmata). Il sapore corposo e l'aroma inconfondibile lo rendono particolarmente adatto all'abbinamento con il cioccolato, ottimo per correggere i sapori alla vaniglia, per aromatizzare la zuppa inglese e per inzuppare i savoiardi delle torte charlottes. E per celebrare il 150° anniversario della nascita del "vate", Luxardo ha promosso un cocktail competion dedicato proprio al Sangue Morlacco, nello spledido Auditorio nel Vittoriale, a Gardone Riviera (Bs). Oltre 200 le ricette pervenute al concorso "Sangue Morlacco - Cocktail Letterario", tutte animate dall'inconfondibile liquore. 35 i pretendenti che si sono sfidati a colpi di cocktail: Baccino Annalisa, Boccaletti Maria Sole, Brocaletti Emanuele,

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Buggetto Ermanno Billy, Calì Enzo, Caputo Vito, Carpentieri Angelo, Cavalieri Sergio, Cerrone George Robert, Cione Francesco, Cristofoli Douglas, Dagradi Daniele, Della Croce Antonio, Deiara Irene, Evangelista Silvano, Faben Paola, Florio Gennaro, Gallo Roberto, Grande Stefano, Maffeis Giovanni, Mannella Massimo, Mannis Francesca, Merigo Mattia, Molteni Ernesto, Perissinotto Edy, Pigatto Aldo, Polidori Sara, Pompilii Marco, Rancati Paolo, Strazzabosco Daniele, Suman Mauro, Tana Vincenzo, Tassinari Alessandro, Tonsi Fausto, Vino Gianluca. Dopo una sofferta decisione la giuria ha decretato i tre vincitori. Con "Nettare per le muse" si è aggiudicata il primo posto - trofeo e viaggio a Vienna - Francesca Mannis, bartender del Sunrise Cocktail bar di Falerna Marina di Catanzaro. Il suo cocktail? 1,5 cl Sangue Morlacco, 1,5 cl Prime Uve Oro, 1 cl Amaretto di Saschira Luxardo, 1 cl Prime arance, 2 cl Cioccolato Amedei. Secondo posto per Mauro Suman, della Distilleria Music Drink Food di Cavarzere, in provincia di Venezia. Il suo "Tramonto del Natale a Fiume" era così composto: 20 ml Sangue Morlacco, 30 ml Beefeater Gin, 15 ml Cinico Abot Ten, 20 ml Spremuta di lime e limone, 35 ml Fever Tree Ginger. Terzo classificato il cocktail "Fanatismo Futurista" di Gianluca Vino, bertender del Salotto 42 a Roma: 20 ml Sangue Morlacco, 40 ml Cognac infuso vaniglia, 20 ml Pompelmo fresco, 1 drop Fever Tree Lemon Bitter, Aria di Marasche.



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The Show of Taste by Distilleria Bocchino Grappa Moscato e Chardonnay di Distilleria Bocchino o dalla Grappa Barolo Cask Finish di Cantina Privata (classificata seconda all’Ultimate Spirits Challenge 2013), hanno accompagnato una preparazione di ostrica, cetriolo, lime e rafano. A seguire, un Bloody Mary Millesimato, arricchito dalle note della Grappa Cuvée di Barriques Millesimata 2009 di Distilleria Bocchino o della Grappa 1985 Cask Finish di Cantina Privata, è stato proposto con una caprese dolce e salata, picco culinario di Andrea Aprea. Questo abbinamento, in particolare, è risultato straordinariamente armonico. Il pranzo è proseguito con uno Champagne Cocktail, rivisitato grazie alla premiata Riserva Carlo Bocchino (vincitrice del Chairman’s Trophy 2013), contrappunto ideale per il delicato risotto agli scampi con rosmarino e capperi. Dulcis in fundo l’originale di Giovanna Moldenhauer The Italian Cosmo, nato dalla combinaIl ristorante stellato Vun di Milano, zione dello speciale Profumo Park Hyatt presso il Park Hyatt Hotel, ha e della Grappa di Moscato Cask Finish fatto da palcoscenico per The Sauternes di Cantina Privata, in perfetta Show of Taste by Bocchino. Le sintonia con la torta alla vaniglia, creazioni della storica azienda prugne e grappa di Moscato realizzata piemontese sono diventate ele- appositamente dallo chef per l’evento. mento essenziale di cocktail ori- Le creazioni Bocchino, in queste originali ginali, studiati per accompagnare combinazioni, hanno accompagnato le portate di un pranzo da veri con equilibrio, senza sovrastarne il gourmet e dimostrare così come gusto, le diverse preparazioni. I prodotti i distillati siano una risorsa della distilleria di Canelli sono distribuiti da gustare, in modo respon- da Pellegrini S.p.A.. sabile, anche durante un pranzo o una cena in compagnia. Il menu, a cura dello chef stellato Andrea Aprea, ha unito tradizione e innovazione. Gli originali drink, creazioni inedite pensate ad hoc, sono frutto del lavoro creativo di Valentina Benedetti, sommelier, di Andrea Rella, barman e responsabile del bar, e di Nicola Ultimo, restaurant manager. Dapprima è stato proposto un Carlo’s Iced Tea, le cui note rinfrescanti, valorizzate dalla

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Arcucci Trade, dalla parte della cucina di Elisa Facchetti Da oltre 30 anni Arcucci Trade distribuisce in Italia i marchi più prestigiosi dedicati ai settori dell'home&living e dell'hotellerie professionale. Nata nel 1981, l'azienda è gestita con grande attenzione da Giuseppe Arcucci e dai figli Cristiano e Simona Arcucci, testimoni di una importante realtà italiana capace di cogliere le esigenze sempre più diversificate del mercato odierno e i gusti dei consumatori. Sono più di 10 i prestigiosi marchi distribuiti da Arcucci Trade, azienda con sede a Borgo a Buggiano, in provincia di Pistoia, nota in Italia come tra i più importanti distributori in grado di gestire una logistica modernamente organizzata, garantendo ad oltre 1000 clienti e 18 agenti un servizio e un'assistenza puntuale e precisa. L'offerta si divide tra il settore home&living, ovvero il segmento che mira al raggio domestico con una distribuzione al dettaglio, e dell'hotellerie professionale, raggiungendo ottimi risultati

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nel canale della ristorazione, grazie a rivenditori specializzati su tutto il territorio italiano. Tra i più richiesti i marchi Tramontina, De Buyer e Revol, di cui gli ultimi due vantano una tradizione quasi bicentenaria alle spalle, in grado di proporre strumenti di elevate caratura professionale. De Buyer, azienda storica del 1830, produce la maggior parte degli articoli ancora in Francia, utensili dedicati alla cucina di cui i cavalli di battaglia sono la mandolina, le padelle in ferro e in rame, l'imbuto dosatore. Revol, di proprietà della stessa famiglia dal 1789, propone porcellane e servizi dedicati alla colazione e buffet, oltre alle cocottine molto richieste dai ristoranti perchè estremamente gradevoli per il servizio. Cristiano Arcucci ci spiega in dettaglio l'analisi di mercato di tale settore: "Negli utlimi anni la ristorazione ha subìto l'influenza della Cina, soprattutto in Italia, dove una vera e propria culutra della mise en place non è così accentuata come in Francia. Inoltre, negli ultimi anni, a causa della crisi del dettaglio nel settore di articoli da regalo e casa-

linghi, si è verificata un'esplosione di distributori alberghieri, un fenomeno che ha compromesso tale mercato: un'offerta così massificata ha comportato una guerra di prezzi e una rincorsa verso il basso". Tuttavia Arcucci Trade riveste un ruolo fondamentale nel settore horeca, grazie alla distribuzione di marchi di alta qualità e all'efficiente organizzazione: le catene di hotel Hilton, Sheraton e Atha scelgono da sempre i marchi De Buyer e Revol, oltre a uno svariato numero di ristoranti stellati. Ma quali sono i prodotti più richiesti? "La scelta dei prodotti in porcellana a marchio Revol - ci spiega Cristiano Arcucci, - è sempre soggettiva in base al gusto dello chef e alla portata che si vuole realizzare. In questo momento la moda è orientata alla finta ardesia nera. Revol propone con grande successo la linea Basalt, una porcellana non smaltata che a differenza dell'ardesia naturale non si sbecca, non si riga e non assorbe. Per De Buyer i prodotti richiesti maggiormente sono i classici must: pentolame in rame, in ferro e le mandoline".



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Ciù Ciù produttori in Offida di Giovanna Moldenhauer La presentazione alla critica e al giornalismo enogastronomico dei vini Ciù Ciù, azienda vitivinicola biologica marchigiana, ha conseguito grande successo presso il ristorante di Carlo Cracco, a pochi passi dal Duomo di Milano. Per l’occasione, lo chef ha abbinato a ogni vino diversi finger food, dall’antipasto al dolce, con accostamenti originali e talvolta inconsueti. Da parte dei partecipanti all’evento è stato unanime il consenso all’assaggio dei bianchi Merlettaie Offida Pecorino DOCG ed Evoè Passerina Marche IGP, ottenuti con i vitigni autoctoni delle Marche Passerina e Pecorino, degli spumanti Merlettaie Brut e Alta Marea prodotti con le stesse uve, dei rossi Oppidum Marche IGT Rosso, Esperanto Offida Rosso e Gotico rosso piceno superiore DOC. L’azienda, situata al centro dell’area di produzione del Rosso Piceno Superiore, si estende su oltre 130 ettari di vigneto tra i comuni di Acquaviva Picena e Offida. Fondata nel 1970 dai coniugi Natalino e Anna Bartolomei, la proprietà è oggi gestita dai figli Massimiliano e Walter con tutta la passione e il bagaglio di saggezza avuti dal padre. I loro vini sono espressione autentica di un prodotto di qualità, intesa come espressione autentica del territorio di origine e di un ecosistema viticolo naturale dovuto a un microclima ed a suoli unici e insostituibili. Ciù Ciù, pur rimanendo una realtà strettamente familiare, collabora con un gruppo tecnico che da anni ha l’obiettivo di ripristinare l’eredità vitivinicola ed enologica dei vini delle Marche. I sistemi di coltivazione dei vigneti a basso impatto ambientale e le tecniche di vinificazione scrupolose, con le migliori attrezzature, hanno portato la cantina a essere conosciuta sul mercato nazionale e internazionale. L’evento ha permesso anche di presentare la nuova veste grafica delle etichette che vogliono rappresentare lo stretto legame con la tradizione e le radici unitamente alla certificazione biologica.

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Vodka e Vermouth Garantisce Gaja di Alberto P. Schieppati La società di distribuzione che fa capo al più celebre dei vitivinicoltori italiani, propone al mercato due nuovi brand, destinati a sicuro successo nell’offerta horeca di fascia elevata. Dietro ai prodotti ci sono impegno, tenacia ed entusiasmo di due imprenditori appassionati e coraggiosi, supportati da una profonda conoscenza del settore. Due prodotti, nuovissimi per il mercato italiano, sono stati presentati alla stampa lo scorso mese di maggio. L’incontro, svoltosi a Milano da Bulgari, è stato voluto da Angelo Gaja (facevano gli onori di casa le figliole del celebre produttore di Barbaresco, Rossana e Gaia, direttamente impegnate nella conduzione dell’azienda di famiglia) per svelare le due ultimissime

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new entry che si aggiungono alle prestigiose etichette distribuite dalla società piemontese. Si tratta di una vodka polacca, la Konik’s Tail, e di un Vermouth artigianale, prodotto da Giancarlo Mancino, un grande personaggio del mondo del beverage le cui intuizioni geniali hanno fatto scuola nel mondo. Due prodotti forse un po’ atipici rispetto ai brand presenti nella gamma di Gaja Distribuzione, ma fortemente caratterizzati e assolutamente originali, quantomeno in un panorama che certamente negli ultimi tempi non esprime grandi novità. Ma andiamo con ordine. Konik’s Tail è una vodka artigianale superpremium, fedele alla sua origine polacca. Il suo creatore è Pleurat Shabani che, dopo avere a lungo viaggiato per il mondo, si trasferisce a Londra dove, grazie alla sua notevole esperienza e capacità, diventa un apprezzato degustatore


nonché “spirit consultant”. Nel 2010 corona il suo sogno: produrre vodka. Il nome Konik’s Tail prende spunto da una particolare razza equina (Konik), originaria delle foreste situate fra Polonia e Bielorussia: secondo le tradizioni locali, riuscire a catturare lo sguardo di questo cavallo è di buon auspicio per il raccolto e la produzione della vodka stessa. Sulla pregiata etichetta sono rappresentati tre cavalli di razza Konik, dove ciascuno simboleggia i tre cereali utili per la distillazione: farro, segale e grano. Il segreto di Konik’s Tail, come ci dice Pleurat Shabani, sta proprio nella qualità dei cereali, che esprimono aromi specifici: complessità, freschezza ed eleganza, ricchezza ed intensità aromatica, morbidezza e fragranza. Konik’s Tail è una vodka decisamente ricercata, adatta ad un consumo di puristi raffinati, che cercano nel prodotto gusti dall’intensità inconfondibile. Al ristorante del milanese Bulgari, la vodka di Gaja (come ingredienti di un ottimo Martini Dry) è stata abbinata ad un buon risotto ai gamberi, fiori eduli e cedro. Il Mancino Vermouth è l’altra perla dell’evento: proposto nelle tre versioni “secco”, “bianco ambrato” e “rosso amaranto”, il prodotto è soprattutto un sofisticato elisir, complesso ed equilibrato, che colpisce per l’intensità aromatica ed erbacea del suo profumo. La formula di questi vermouth risale a molto lontano, ma è stata ripresa e resa attuale grazie all’intuizione di Mancino, barman di esperienza internazionale (per la cronaca, Giancarlo Mancino è originario di Pignola, un piccolo centro della Lucania, da cui si è mosso alla conquista del mondo), che ne ha colto le potenzialità ottimali per un drink di qualità, dalle note calde e balsamiche seppur fresche e dissetanti. Le erbe utilizzate vengono selezionate con maniacali-

tà attenta e certosina e la loro presenza nel prodotto finale è sviluppata attraverso una partnership con una importante realtà piemontese del beverage alcolico. Il “secco” è un vermouth di eccellente qualità e raffinate caratteristiche organolettiche, realizzato attraverso la fortificazione di un Trebbiano di Romagna e l’infusione di 19 erbe aromatiche: i profumi sono intensi e “mediterranei”, come sottolinea con enfasi Giancarlo Mancino (che “nasce” come barman di fama internazionale, salvo poi riscoprirsi imprenditore del settore), connotati da delicati aromi di citronella, rosa canina, noce moscata, con un finale decisamente agrumato. Il “bianco ambrato”, 16 gradi contro i 18 del secco, vede l’infusione di ben 37 erbe aromatiche: lievemente amaro, denota aromi di rosa alpina, camomilla, sambuco, genziana, menta e ginger, ma anche di liquirizia e chinino. Infine, il “rosso amaranto” (quello dei tre che mi è piaciuto di più), rivela grande corpo e struttura: ne accompagnano la degustazione sentori inaspettati di rabarbaro, vaniglia, legno tostato, scorza di arance, per arrivare ad un finale dolce amaro. È perfetto, come ci dice Rossana Gaja, nel bere miscelato: la brigata di cucina, per farcelo apprezzare appieno, lo ha voluto abbinare (sotto forma di Vintage Neuroni), a un eccellente crudo di capesante con crema del “suo” corallo e zenzero, carpaccio di limone di Sorrento. Accostamento inedito e sorprendente, che ci fa rivalutare l’idea dell’abbinamento cibo-bere miscelato. Non ce ne vogliano i sommelier più ortodossi. Artù n°57

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focus

Tabasco

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Pepper Sauce La decisa certezza del gusto

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estremamente armonico e gradevole. Tabasco, che è market leader nel proprio segmento, produce oltre 150 milioni di bottiglie, distribuite in 160 Paesi. In Italia le versioni più diffuse sono la Red Pepper Sauce, più pungente, e la Green Pepper Sauce, più morbida. Un successo mondiale, reso possibile da uno staff di professionisti competenti ed appassionati. Grande Edmund McIlhenny! Si deve a questo banchiere-gourmet, innamorato della buona cucina e del gusto deciso, la nascita di un prodotto unico e caratterizzato come TABASCO®, la salsa che ha reso la Louisiana e la sua cucina cajun famose in tutto il mondo e universalmente mitizzate dalle gourmanderie internazionali. Ma dobbiamo tornare indietro di quasi un secolo e mezzo, esattamente al 1868, per capire fino in fondo la "taste revolution" messa in atto dalla famiglia McIlhenny, attraverso tutte le sue generazioni fino alla attuale, rappresentata dal presidente di Alberto P. Schieppati e ceo di TABASCO®, Tony Simmons. OvLa mitica salsa al peperoncino, pro- vero, dobbiamo andare lontano nel tempo dotta in Louisiana da un secolo e quando, a metà dell’Ottocento, Edmund, mezzo, rappresenta l’ingrediente ideale di robusta stirpe scozzese-irlandese inper valorizzare le cucine internazionali, sediata in Louisiana da generazioni, cooffrendo quel “tocco in più” che spes- nobbe e sposò Mary Eliza Avery, proprieso fa la differenza. La piccantezza taria con la sua famiglia di un’isola della Red Pepper Sauce può contare magica, a duecentoventi chilometri da su ingredienti di prima qualità, come New Orleans e affacciata sul golfo del il Capsicum Frutescens, il peperoncino Messico, sulle anse acquatiche e rigogliose coltivato a Avery Island, in grado di di questo tratto di South Coast. Grazie esprimere un equilibrio gustativo al connubio con Mary (e con lo splendore

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di Avery Island, un’oasi naturale immersa nel verde), Edmund colse le potenzialità di quel territorio e impiantò una piccola coltivazione di peperoncini della variante Capsicum Frutescens, rossi come il fuoco. Le piantine arrivavano dal vicino Messico, ma dimostrarono di ambientarsi benissimo al clima e alla vegetazione dell’isola, al punto da resistere nel tempo ad ogni tipo di sollecitazioni (basti pensare che questa qualità di peperoncino sopravvisse

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anche alle guerre e alle conseguenti devastazioni). L’amore di Edmund McIlhenny, appassionato gourmet, per il gusto ed i sapori lo convinse a continuare su quella strada e, dopo varie sperimentazioni, lo spinse a trasformare una semplice passione in vero e proprio business imprenditoriale. La lavorazione naturale di TABASCO® è la stessa da quasi centocinquant’anni e viene effettuata con lo stesso amore e cura di sempre: chi come l’autore di questo articolo - ha avuto la fortuna di vedere da vicino questa realtà non può che confermare una filosofia aziendale basata su entusiasmo, passione, continuità. Gli standard produttivi, ovviamente aggiornati sotto l’aspetto delle procedure, sono sempre gli stessi, come le materie prime utilizzate per la realizzazione della salsa che raggiunge oltre 160 mercati nel mondo. Per realizzare il prodotto, TABASCO® si avvale delle caratteristiche del sale locale per ottenere uno standard qualitativo costante nel tempo. Estratto dalle saline naturali presenti ad Avery Island, il sale rappresenta - insieme all’aceto distillato di vino bianco - uno dei tre ingredienti fondamentali per la realizzazione della mitica salsa. Dopo che il peperoncino della varietà sopra citata, coltivato nell’isola, viene meticolosamente raccolto, è successivamente mescolato con il sale fino a formare una poltiglia (mash), che è poi collocata in botti di rovere e lasciata fermentare, per un periodo che puo’ arrivare fino a tre anni. Non c’è fretta, e i tempi lunghi sono necessari alla naturale evoluzione del prodotto, secondo ritmi "slow" che fanno parte della filosofia imprenditoriale della famiglia McIlhenny. Durante questa fase, il mix ottenuto viene monitorato e controllato per verifi-


carne aroma e consistenza e solo dopo accuratissimi check viene ritenuto idoneo per la realizzazione del prodotto finale. A questo punto all’impasto, chiamato mash, raggiunta la fermentazione ottimale, viene aggiunto l’aceto di vino e ci si avvia verso la fase finale: quattro settimane di riposo, nelle quali è delicatamente rimestato con sottili assicelle di legno. Dopodiché, eliminata ogni eventuale impurità, il prodotto è pronto per l’imbottigliamento e la commercializzazione. Per comprendere appieno la magia che sta dietro alla produzione di questa salsa che ormai appartiene alla cultura gastronomica mondiale, una sorta di "patrimonio dell’umanità" nel panorama gustativo internazionale, bisogna avere la fortuna - grazie anche a Tess Robinson, la professionista inglese della comunicazione che ha curato nei dettagli il viaggio in Louisiana - di stare qualche giorno a Avery Island, misurando l’isola palmo a palmo per scoprirne angoli spettacolari (come il Birds’ Village, la grande piazza

naturale abitata da migliaia di aironi) e per cogliere lo spirito di chi lavora nelle piantagioni e nello stabilimento di produzione. Una grande famiglia, quella del Tabasco people, dominata dal desiderio di raggiungere livelli qualitativi di eccellenza e di consegnare al mercato una salsa realmente differente da ogni prodotto similare. "Nel segmento delle salse piccanti al peperoncino, TABASCO® continua a crescere, anche sui mercati internazionali", dice Tony Simmons con soddisfazione, ribadendo la leadership del prodotto. "I motivi sono essenzialmente legati alla qualità della salsa, realizzata esclusivamente con pepper della tipologia Capsicum Frutescens, a differenza di altri prodotti presenti sul mercato, il cui gusto è dato da altri tipi di peperoncino, che esprimono una piccantezza esagerata, direi "incendiary". Steve Romero, direttore generale di TABASCO®, ha guidato la delegazione internazionale di giornalisti e food writer all’interno del magico mondo del brand, trasmettendo con grande comArtù n°57

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commercializzata negli States - dice Romero -. Quando tutte le linee di produzione sono attive, si arrivano a produrre oltre 450.000 bottiglie al giorno!". La tipologia "storica" e più diffusa è la Tabasco Red Pepper Sauce, perfetta per esaltare minestre, primi piatti, pollo, carni bianche ma anche pizza e le preparazioni semplici che vengono rese in questo modo più gustose. La Green Pepper Sauce, introdotta nel 1996, prodotta utilizzando peperoncini verdi jalapeno ha un gusto più morbido, perfetta per insalate e piatti leggeri, mentre la Habanero Pepper Sauce, particolarmente piccante (la "hottest" della gamma) è preferita dagli amanti della carne grigliata e alla brace. Leggermente affumicato, invece, petenza e passione i valori e la storia il gusto della Chipotle Pepper Sauce, della marca, ma anche spiegando con- ideale per chi ama le carni (o il pesce) cretamente i diversi utilizzi della Tabasco marinate e la usa come condimento Pepper Sauce: grazie a un tour gastrono- principale per le pietanze. mico che ha toccato le migliori location Secondo la scala di Scoville (il complesso di Lafayette e New Orleans, ci si è potuti criterio messo a punto da Wilbur Scoville rendere conto del valore di un marchio per misurare la piccantezza del peperondal carisma senza uguali, destinato a cino, in una scala che va da zero fino ad penetrare - secondo gli obiettivi del oltre 300.000 unità, che possono peraltro gruppo - i mercati europei in modo ancora aumentare raggiungendo i valori sempre più incisivo. "Oggi sono oltre della capsaicina, il composto chimico, 150 milioni le bottiglie di TABASCO® recettore della piccantezza, che arriva vendute ogni anno, ed oltre la metà è fino a 16.000.000!!), Tabasco Red

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Pepper Sauce (l’originale) ha un rating estremamente equilibrato, dovuto alla qualità organolettica della tipologia utilizzata, il Capsicum Frutescens Pepper (circa 50.000 punti Scoville), che si contraddistingue per un grado di piccantezza percepito dai consumatori come "armonico e non esageratamente aggressivo, pur nell’incisività del gusto". Diverso discorso per la varietà Habanero, che secondo Scoville arriva fino a 250.000 unità, rendendo l’esperienza gustativa decisamente più "estrema", anche se il massimo della piccantezza è molto più elevato. L’indicazione all’utilizzo di TABASCO® nella cucina contemporanea è estremamente vasta e variegata: secondo molti chef della scuola creativa statunitense, sostenitori di una cucina che esalti il gusto delle materie prime, due gocce di Red Pepper Sauce conferiscono alle portate un tocco in più, rendendo ogni piatto più connotato e dolcemente speziato. Nelle cucine di impronta etnica, poi, l’aggiunta di questa salsa "riscalda" gli aromi primari di base e li esalta decisamente, mentre per le carni alla brace o grigliate si rende necessario (eccezionale le varianti Chipotle o Habanero) per valorizzare il gusto stesso della carne, meglio se frollata per il giusto tempo prima di venire cucinata e servita. Tra le altre indicazioni di servizio, i guru di Avery Island (che sperimentano quotidianamente tutte le possibilità di abbinamento della salsa) ricordano che l’aggiunta di alcune gocce di Tabasco sulle uova, al tegame, sode o soltanto bollite, rende più esaltante il consumo di un ali-

mento povero e semplice, così come suggeriscono l’aggiunta di Green Pepper Sauce a insalate e piatti freddi, ma anche a specialità popolari come la pizza, diventata ormai un’icona internazionale, o "fish & chips". A livelli culinari più ricercati, Tabasco è ottimale nella cucina mediterranea per primi piatti di pasta - fresca o di grano duro -, verdure, risotti e minestre nei quali l’eventuale presenza del pomodoro viene a sua volta valorizzata dall’aggiunta della rossa salsa piccante. Chiaramente, usata come salsa abbinata ai formaggi stagionati od erborinati, può trovare altre eccellenti collocazioni. Ma, come si suol dire, si tratta di un prodotto di estrema versatilità, adatto ad essere impiegato per rafforzare o caratterizzare piatti di qualità, ai quali l’aggiunta di TABASCO® può offrire quella marcia in più e trasformare un piatto "normalmente buono", in un piatto "memorabile". TABASCO® è distribuito sul mercato italiano da Eurofood (www.eurofood.it), la società distributrice di specialità alimentari di tutto il mondo. Artù n°57

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Oslo gourmet giovani chef crescono

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I nomi più noti a livello internazioTra le capitali del Nord Europa quella nale, tra i cuochi che di questi tempi lancia i segnali norvegesi, erano gastronomici più interessanti sembra sino a poco tempo proprio Oslo. E se vogliamo questa fa Eyvind Hellstrøm è anche la città che, rispetto alle e Bent Stiansen, rigià celebrate Stoccolma e Copenha- spettivamente al Bagagen, sembrava rimasta un passo in- telle e allo Staatholderdietro nella corsa alla rappresenta- garden, in città. Il primo ha poi lasciato da pochi mesi il zione della nuova cucina nordica. passo al danese Allan Poulsen, già a Henne Kirkeby Kro e al Nimb Louise, e ora approdato al Bagatelle, mentre Stiansen è sempre sulla breccia, dai tempi della sua affermazione al Bocuse d’Or (e si torna indietro di parecchi anni). Il punto di rottura è avvenuto qualche stagione fa con il ristorante Maaemo di Esben Holmoe-Bang, ormai bistellato Michelin riconosciuto capofila di una nuova generazione di cuochi intraprendenti e cresciuti in qualche modo alla scuola del Noma, ma in queste settimane il fenomeno si sta allargando. Andiamo per ordine. Il cuoco che da un anno a questa parte si è fatto notare è il ventinovenne Even Ramsvik, al ristorante Ylajali. Look da uomo delle foreste (un po’ sulla scia di Magnus Nillson di Faviken), idee chiare e mentalità aperta nel rappresentare una cucina moderna e a tutto campo dove si parla senza esitazioni di fermentazione, di affumicature, di prodotti caramellati, di freschezze nordiche sotto forma di emulsioni (di latte ad esempio). Con un di Gualtiero Spotti

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rialzato esterno che si vede uscendo nel piccolo giardino. Insieme a Ylajali il ristorante più “in” del momento (inaugurato la prima settimana di giugno) è il Fauna. Le menti dietro i fornelli sono due giovani di cui sentiremo sempre più parlare. Si tratta di Bjørn Svensson, svedese dalle chiare origini asiatiche, passato già da Bagatelle e poi da Oscarsgate, a Oslo, e da Jo Bøe Klakegg, norvegese per lungo tempo alla corte di Redzepi al Noma. Una coppia affiatata che è già sulla bocca di tutti in città, per alcuni piatti dal taglio estetico e dagli incroci al palato decisamente spiazzanti e originali. Come nel caso delle prugne approccio molto easy ma una tecnica sopraffina, appresa tra gli altri da Regis Marcon, nel 2006, eppure mantenendo sempre un piede deciso nella storia locale, nelle saghe del Nord, se è vero che il nome Ylajali (rimasto da un preesistente ristorante) è preso a prestito da una novella norvegese. E non a caso il menu arriva al tavolo sotto forma di libro, con tanto di prologo ed epilogo, anche perché qui non esiste una carta. Da Ylajali si passa sapendo che esiste un solo menu di venti portate. Poi l’essenzialità e il design delle due salette completano il quadro. Ci si diverte al tavolo con le ostriche grigliate nella loro conchiglia, con l’haddock affumicato, con la pelle di pollo che incontra il granchio reale, per poi passare a piatti più complessi come le verdure di stagione accompagnate da nocciole e caviale locale, le Saint Jacques inseguite dal rafano, o il Rombo cotto al forno nella cenere (il forno si trova in un piccolo giardino esterno), con cavolfiore e aglio selvatico. Ambiente elegante, quasi aristocratico, ma una cucina spigliata, che forse paga dazio nei confronti dei trend più attuali, ma sa vivere di una sua concretezza e della bravura di uno staff preparato che opera dietro le quinte. A proposito, alcune delle erbe che finiscono nel piatto arrivano dal piano superiore, visto che Even si diverte nel coltivarle su un piano

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con nocciole e kefir, o della tartare di bue con orzo. Più vicini a una cucina meno intellettuale sono invece i due cuochi dell’Onda Bar e Grill, una curiosa struttura quasi spaziale che si trova nel vivace quartiere portuale di Aker Brygge. Il giovane norvegese Kristoffer Tjøstheim impegnato al grill con le buone e succulenti carni e il pesce in menu e l’italo-venezuelano Leonardo Alvarado a fare i salti mortali dietro le quinte per confezionare piatti più gourmet di quanto la clientela di turisti e di cittadini sia abituata a chiedere. L’Onda si segnala soprattutto per i grandi plateau di pesce, per il piacevole taglio un po’ mediterraneo di certe preparazioni, per le sue fresche

insalate di avocado e mango, per le porzioni generose di astice e granchio e per la selezione di ostriche Fine de Clair e Gillardeau. Non troppo distante in linea d’aria, sempre ad Aker Brygge, vale la pena spendere un pranzo lunga l’affollata banchina e seduti al The Edge, il ristorante di Ertan Bülow Jantzen, cuoco e proprietario. Il nome è nato un po’ per la passione musicale nei confronti degli U2 e un po’ perché il locale si trova su un angolo della via, ma la vera curiosità qui è l’eccellente selezione di carne Limousin, visto che il cuoco è importatore diretto dalla Francia e, da qualche tempo, ha perfino la sua mandria per-

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sonale in una fattoria nel cuore della Norvegia. Filetto, entrecôte e controfiletto sono i pezzi forte di un menu costruito sull’esaltazione dei sapori, anche quando si sceglie una tartare di salmone o i gamberoni grigliati, questi ultimi opportunamente conditi con una salsa chili. Onda e The Edge sono una buona alternativa al nuovo fine dining che si sta facendo strada a Oslo, e permettono di vivere appieno la movida norvegese, a due passi dal Museo Fearnley, la cui struttura è stata progettata dall’architetto italiano Renzo Piano. www.ylajali.no www.restaurantfauna.no www.onda.no www.theedgerestaurant.no

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Al Vescovado di Noli l’ospite è sacro 42

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di Gualtiero Spotti Il Vescovado è uno dei ristoranti più sorprendenti della Liguria. Di quelli che non ti aspetti in una regione dove certamente spiccano le tante proposte turistiche da spiaggia e ombrellone e dove non sempre la ristorazione di alto livello ha saputo farsi valere con continuità. Ma per Il Vescovado il discorso è diverso. Sono davvero tante le ragioni che possono spingere a conoscere meglio questo ristorante. La prima è la location assolutamente memorabile, visto che si trova all’interno del Palazzo Vescovile di Noli, residenza d’epoca un tempo dimora dei Vescovi di Noli (dal 1239 al 1820) ed ora, dopo un lungo restauro con la conservazione delle molte testimonianze architettoniche e storiche accumulate nel corso dei secoli, esclusivo hotel di charme quattro stelle con vista sul golfo e in una posizione decisamente appartata rispetto al centro del borgo marinaro. Un altro buon motivo è che l’hotel e il ristorante si trovano proprio al di sopra della galleria che, come ben sanno i frequentatori della costiera ligure, si incontra dopo Spotorno e subito prima di entrare in Noli. Così, una volta arrivati a destinazione, si lascia la macchina nel parcheggio poco fuori dalla galleria e qui, a pochi metri, si prende un ascensore che, superando in altezza la galleria stessa, porta a una passerella, in fondo alla quale appare una breve funicolare. Ed è quella che permette di raggiungere un invidiabile balcone sull’intera baia e l’ingresso al Palazzo Vescovile. Qui si viene accolti dal garbo e dalla cortesia di altri tempi del padrone di casa Matteo Artù n°57

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Ravera, il quale saprà raccontare in ogni minimo particolare la storia della residenza, ma allo stesso tempo anche consigliare sulle pietanze da scegliere a tavola o sul vino da abbinare. Un vero factotum che si prenderà cura degli ospiti e saprà soddisfare ogni minima richiesta con grande scrupolo. Poi, va detto che la bella sala d’ingresso e il bar luminoso che accolgono l’ospite sono solo l’anticamera a stanze e ambienti che raccontano di un gusto aristocratico d’altri tempi, senza fine, dove la discrezione è ancora oggi un valore irrinunciabile e dove si respira l’aria liturgica dei secoli trascorsi sotto l’ala protettrice della Curia, che ancora oggi è proprietaria dell’immobile. Se una sosta nelle stanze vale da sola il viaggio, figuriamoci poi quando si decide di provare la cucina stellata di Giuseppe Ricchebuono, chef di lungo corso che, già visto all’opera al ristorante Fornace di Barbablù di Sant’Ermete (dove è rimasto dal 1992 fino al 2011) e ora con un piede durante l’estate nelle cucine della trattoria Il Sugarello dei bagni Copacabana, a Spotorno, si diverte a rendere più frizzante e creativa la cucina del ristorante Vescovado. Il quale vive di una duplice anima, quella seriosa e formale delle sale interne al Palazzo, utilizzate perlopiù nelle stagioni più fredde, e quella più solare ed estiva della magnifica terrazza con pergola davanti al golfo di Noli. In entrambi i casi lo stile è elegante e con-

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temporaneo, che è poi quello della cucina di Ricchebuono, abile nel dimostrare la sua forza soprattutto quando si incrociano i piatti classici della tradizione ligure, un po’ alleggeriti e rivisitati. Ricchebuono ama la cucina raffinata e moderna e non a caso si è circondato da giovani cucinieri come Luis German Genovese e Pablo Fermoselle dai trascorsi internazionali (sono passati dal Dom di Atala e da Martin Berasategui in Spagna, giusto per citarne un paio), con una predilezione per l’immediatezza nel piatto, per le cotture veloci, magari con un gusto un po’ minimale nella presenta-


zione, ma certamente di grande effetto. Poi vale la pena scegliere il buon pesce locale, dalle triglie di scoglio con fave, pane e salame al sugarello con asparagi selvatici, fino al nasello con panissa e zucchette trombetta. Oppure lanciarsi nelle divagazioni mediterranee che dicono di ottimi Spaghetti di Gragnano “Afeltra” con totanetti, agrumi e bottarga, o dei calamari in pasta con il loro brodo. Anche la carne riserva interessanti scelte, con l’agnello Sambucano arrosto o il più classico coniglio alla ligure. La passione del cuoco si trasforma nel piatto in pura delicatezza e l’angolo di pace e tranquillità della terrazza esterna fanno il resto. Interessante perfino la scelta di soddisfare l’appetito dei più piccoli con un piccolo menu di tre piatti giocati

sulla semplicità e sull’immediatezza dei sapori (gnocchi con pomodori, filetto di pescato a vapore con purea di patate, gelato) e la valorizzazione dei prodotti locali stagionali in un menu ligure che attinge tra gli ortaggi di Albenga, tra il pescato del giorno, le erbe aromatiche e i sapori dell’entroterra. Anche quando, tra i dolci, compaiono preparazioni borderline che abbracciano diverse culture, come il Babà con maraschino e Chinotto del Vescovado, o i Baci di Noli con mele e nocciole di Cortemilia il risultato è perfetto ed è un ulteriore segno della volontà di rendere più creativo e vivace un menu che non parla solo di Liguria. La pasta e il pane sono realizzati quotidianamente nelle cucine del ristorante. www.hotelvescovado.it

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ARGENTIERA, storia di vino e di passioni di Alberto P. Schieppati Sulla fascinosa costa dell’Alta Maremma, a meno di 100 chilometri a sud di Firenze, nella piccola e prestigiosa Doc Bolgheri, sorge la Tenuta Argentiera, dove è stato recentemente presentato un volume dedicato all’azienda vinicola ed agli imprenditori toscani che la guidano, i fratelli Corrado e Marcello Fratini. È stato il Four Seasons di Firenze (regno dello chef Vito Mollica e del general manager Patrizio Cipollini) la base ideale e concreta per questa memorabile scoperta maremmana: la Tenuta Argentiera dei fratelli Fratini, seconda generazione di una dinastia di imprenditori toscani. La Tenuta si trova sulla costa tirrenica dell’Alta Maremma, nel comprensorio della Doc di Bolgheri. In epoca etrusca, all’interno dell’immenso altopiano su cui sorge la tenuta, si trovavano sorgenti naturali e miniere d’argento (da cui il nome dell’azienda), che resero la zona un importante bacino economico. Oggi la Tenuta Argentiera è di proprietà dei fratelli Corrado e Marcello Fratini, che hanno saputo valorizzare appieno queste terre ad altissima vocazione produttiva per grandi rossi di struttura e pregio. I vigneti si trovano su un vasto altopiano, ad una altitudine media di 180 metri sul livello del mare e sono completamente circondati da una verdeggiante macchia mediterranea. I terreni, di differente composizione, sono vitati a cabernet sauvignon, merlot, cabernet franc e syrah, vitigni internazionali che hanno trovato nell’area di Bolgheri la loro migliore espressione produttiva, raggiungendo livelli elevatissimi di qualità ed eccellenza. La Tenuta Argentiera è un luogo di indiscusso fascino, reso ancora più appealing dalla particolare attenzione che la proprietà ha dedicato a questa terra straordinariamente vocata alla produzione di grandi rossi. Degli 80 ettari complessivi, 60 sono oggi piantati a vigneto specializzato, tutti con la denominazione Doc Bolgheri: è d’obbligo sottolineare che l’Argentiera è la tenuta più vicina al mare di tutta la Doc

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Bolgheri e quella che raggiunge la massima altitudine, sviluppandosi dalla pianura alle colline: i suoi vigneti sono completamente circondati da una verdeggiante macchia mediterranea e la campagna su cui sorge la tenuta è delimitata da suggestivi viali di pini marittimi secolari e da oliveti che caratterizzano un paesaggio altamente suggestivo. La cantina dell’Argentiera si ispira agli stili architettonici innovativi, tipici della costa tirrenica fra Livorno e Grosseto: mura spesse e a spiovente che garantiscono una naturale regolazione termica degli ambienti. Le uve, “precedentemente selezionate a mano e diraspate nei locali dedicati alla raccolta - come sottolinea Federico Zileri, direttore della Tenuta Argentiera - cadono per gravità nella cantina di vinificazione situata nel sottosuolo”. Un efficiente sistema computerizzato garantisce una costante temperatura attraverso flussi di acqua calda e fredda. Nelle cantine di affinamento, inoltre, sono ospitate le barrique di rovere francese, mantenute a temperature costante (16 gradi) per ottimizzare ed ultimare il processo di vinificazione. Ed è proprio qui, al fresco della cantina, che è stato presentato il volume fotografico Tenuta Argentiera: un libro di pregio, ricco di immagini superlative, che racconta un’avventura straordinaria, una scommessa da vincere, “un atto d’amore per una terra unica, sospesa tra cielo e mare”, come si legge nella nota per la stampa consegnata per l’occasione. Il volume si snoda in una conversazione dei due fratelli Fratini con il giornalista Cesare Cunaccia, ma sono le immagini la vera forza del racconto: una raccolta di centocinquanta immagini, realizzate nell’arco di un anno attraverso il succedersi delle stagioni per illustrare e catturare l’essenza più profonda della Tenuta Argentiera. Il reportage è stato realizzato dal fotografo Costantino Ruspoli, bravissimo nell’arte dell’immortalare paesaggi splendidi (certamente aiutato dalla perfezione naturale dei luoghi e dalla emozionante autenticità dei volti) e il volume è infatti tutto un susseguirsi di


Giorgio Bartholomaeus, un merlot in purezza di straordinaria eleganza, adatto per abbinamenti con ingredienti importanti, a cominciare dalle grandi carni di Toscana. Il Villa Donoratico Rosso (gli stessi vitigni dell’Argentiera, con una punta di petit verdot) e il Poggio ai Ginepri, ben radicato nella ristorazione di qualità, hanno contribuito a rafforzare la nostra idea di Tenuta Argentiera: un luogo di grande passione enologica, in grado di rappresentare al meglio un territorio dalle incredibili potenzialità, sostenuto dal coraggio e dalla volontà di una grande dinastia di imprenditori. immagini di altissimo impatto: i vigneti con i filari assolutamente simmetrici, le viti e l’uva, le cantine, ma anche i boschi circostanti ricchi di fauna. Sfogliandolo si comprende molto bene la passione che anima i protagonisti dell’Argentiera, a partire dai fratelli Fratini e dalle loro splendide famiglie i cui componenti, non a caso, danno il nome agli ultimi vini espressi dalla tenuta: Giorgio Bartholomaeus, Opheliah Maria, Lavinia Maria, Massimo Flavio, a sottolineare il legane di appartenenza della famiglia con questo territorio. La degustazione che è seguita alla presentazione del volume, abbinata a un eccellente lunch curato da Vito Mollica e dalla brigata di cucina del Four Seasons, ha confermato una volta di più la particolarità dei vini della tenuta: dall’Argentiera, un Bolgheri superiore Doc (cabernet sauvignon, merlot e cabernet franc), dal gusto ricco e dall’impronta setosa, fino all’Igt Toscana

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Biscaldi, l’innovazione come mission Genialità, intuizione, fiuto, profonda conoscenza dei prodotti e delle preferenze La rivoluzione nel beverage italiano, dei consumatori. È in questo mix di valori alcolico e non alcolico, continua. No- che possiamo riconoscere la grandezza nostante la crisi che attanaglia i mer- di un imprenditore “senza confini”. Un cati, le intuizioni geniali di Biscaldi talent scout integrale, verrebbe da definire non subiscono battute d’arresto. E il Pietro Biscaldi, un imprenditore di razza successo, anche in tempi difficili, è che ha scovato in ogni angolo del mondo una costante: nei primi sei mesi del i prodotti giusti da “consegnare” al 2013, i risultati del Gruppo hanno mercato italiano per caratterizzarlo, qualivisto un incremento del 10% sull’anno ficarlo, farlo crescere, attivando processi precedente. A conferma del fatto che di identificazione con brand internazionali, i brand innovativi, dalle birre agli spu- culturalmente tesi a deprovincializzare e manti alle acque minerali, vengono “sdoganare” i nostri consumi interni di recepiti ed apprezzati dai professional beverage. Lo abbiamo già scritto un paio di anni fa, e oggi non possiamo che sote, soprattutto, dai loro clienti. toscriverlo nuovamente: nel mondo del beverage, alcolico e non, il gruppo Biscaldi è oggi indiscutibilmente un riferimento, una vera e propria istituzione. Sotto la guida di Pietro Biscaldi, che ne è amministratore delegato dal 1989, quest’azienda genovese d’import-export è conosciuta sui nostri mercati per esercitare un ruolo pionieristico indiscusso. La mission di Pietro è sostanzialmente quella di selezionare quanto di più originale, nuovo, raffinato, suggestivo e qualitativamente valido esce dagli stabilimenti di grandi e piccoli produttori esteri di bevande alcoliche. Prodotti che abbiano i requisiti per diventare delle "dive", come sono chiamate in casa Biscaldi le marche internazionali che si fanno osservare e desiderare per immagine, qualità ed appeal e che sono al centro dell’attenzione in decine di eventi, sportivi, culturali e di entertainment. Gli ingredienti fondamentali, necessari per un business serio e credibile, si chiamano: passione, pazienza, impegno, creatività ed esperienza, più dosi massicce di know how in grado di trasformare prodotti sconosciuti al vasto pubblico in bevande di tendenza, capaci di andare oltre il consumo di nicchia. In un periodo di Alberto P. Schieppati

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in cui la crisi non accenna a rallentare la propria morsa, in cui tutto sembra sempre più difficile, Pietro Biscaldi ha registrato una crescita del 10% dei propri brand principali, a conferma delle strategie vincenti messe in atto grazie a prodotti di sicura presa sul mercato. La più recente acquisizione di Pietro Biscaldi si chiama Samuel Adams, la “birra artigianale N.1 degli Stati Uniti”. Per chi, come me, l’ha abbinata ad un piatto di eccellenti paccheri di Gragnano con dadolata di spada, melanzane e pomodorini del piennolo (gustati presso il Futura, il ristorante gestito dal Gruppo Biscaldi in pieno centro a Genova, vedi Artù n. 56), verrebbe da dire: abbinamento perfetto con piatti della tradizione mediterranea. In effetti, Samuel Adams Boston Lager è un prodotto dalla straordinaria versatilità, capace di far rivivere la passione per le birre dal corpo robusto e ricche di carattere. Una birra perfettamente equilibrata, complessa e caratterizzata: l’uso esclusivo di orzo distico le conferisce un corpo pieno e morbido ed un ampio spettro di sapori che spaziano dal caramello al tostato. Con una gradazione di 4,9 gradi ed un colore ambrato tendente al dorato, Samuel Adams è piacevolmente luppolata con un aroma floreale che conferisce al prodotto un gusto leggermente dolce con un finale decisamente secco. Samuel Adams si è rivelata in breve tempo un successo, legato alla percezione di gradevolezza estrema che la connota, insieme alle opportunità di consumo nei locali a tema, nonché in abbinamento ai piatti della ristorazione d’autore. Un altro asso nella manica di Biscaldi è rappresentato da un brand ormai storico, la birra Asahi, “la giapponese cha fa tendenza”. Leader da anni nel canale della ristorazione orientale, in particolare sushi

e nippo, ma non solo, Asahi è il prodotto preferito da chi ama la ricercatezza e l’eccellenza. Con una gradazione di 5 gradi, Asahi Super Dry viene prodotta con il sistema del filtraggio a freddo ed è caratterizzata da un gusto ricco e piacevolmente pieno. Disponibile in un’ampia gamma di formati per rispondere alle esigenze dei consumatori, Asahi viene riconosciuta per il packaging originale della bottiglia ”Steiny”, ricoperta da una pellicola argentata e con apertura twist-off. Da quest’anno Asahi è nuovamente disponibile in fusti, per soddisfare le richieste dei consumatori, sempre più diversificate. Nelle birre di nicchia Biscaldi è decisamente leader, grazie a marchi del calibro di Bellerose (Francia), Belzebuth (Belgio), Budvar (Rep. Ceca), Celt (Galles), Cobra (India), Cubanero (Cuba), Islena (Spagna), Omer (Belgio), Triple (Belgio), Viru (Estonia), Vivat (Belgio). Una constatazione ovvia: ognuno dei brand sopracitati, veri e propri cavalli di razza, meriterebbe approfondita

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ed esaustiva citazione, visto che si tratta di prodotti dalla unicità proverbiale, che gli appassionati in materia ben conoscono. Ritorneremo su questi brand e ne descriveremo approfonditamente le qualità, sottolineandone unicità, caratteristiche ed occasioni di consumo. D’altronde la galassia Biscaldi è vastissima e merita ulteriore approccio giornalistico mirato e brandizzato, tali e tante sono le differenze dei prodotti distribuiti. Ci piace sottolineare qui anche il ruolo di Pietro Biscaldi in veste di cultore/scopritore delle acque minerali più esclusive del pianeta, delle quali lo stesso Biscaldi si è fatto, in tempi non sospetti, audace e coraggioso sostenitore. Alludiamo innanzitutto a Ty Nant, l’acqua minerale gallese riconoscibile alla vista dalla iconica bottiglia in vetro blu cobalto: sin dal 1984, quando venne presentata per la prima volta al Savoy di Londra, Ty Nant ha inanellato una incredibile serie di successi, aggiudicandosi importanti riconoscimenti in ambito internazionale. “Un’acqua che ha saputo anticipare i tempi, utilizzando per la prima volta nel mondo del beverage la bottiglia in vetro blu, simbolo di grande ricercatezza”, ci dice con orgoglio Pietro Biscaldi. Ty Nant nasce da una fonte di acqua purissima e perfettamente bilanciata, nella natura incontaminata del Galles e detiene una delle più belle gamme di acqua in bottiglia: oltre alla blu, in gamma c’è l’originale bottiglia in vetro rosso, la curvilinea bottiglia in pet e le più moderne e lineari bottiglie di Tau. Quest’ultina è un’acqua moderna e

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sofisticata, diventata negli anni un vero e proprio accessorio di stile, richiesto per gli shooting di testate giornalistiche di moda e lifestyle, oltre che partner ideale di eventi esclusivi e di alta immagine. Tau comunica stile ed essenzialità, in linea con i comportamenti di consumo più contemporanei, connotati da eleganza e raffinata sobrietà. Ma anche con il marchio Voss, un’acqua purissima, povera di sodio e a basso contenuto di sali minerali, Biscaldi ha riscosso un successo incredibile, posizionandola nel segmento più alto e ricercato della ristorazione contemporanea. Voss nasce in Norvegia, in ambienti incontaminati, ed evoca caratteristiche di purezza, integrità e salubrità: grazie alla bottiglia-icona (anche in questo caso l’amore per l’estetica ha avuto il sopravvento) questa purissima acqua artesiana ha raggiunto importanti successi in tutto il mondo fra i consumatori e i gourmet più esigenti. Il comune denominatore dei brand di Biscaldi è l’origine, che deve essere sempre suggestiva, deve trasmettere sensazioni e valori capaci di realizzare un legame con il consumatore: un consumatore totalmente deprovincializzato, globale, curioso di conoscere e apprezzare anche quanto accade al di fuori dei propri confini, avendo la grande opportunità di approfondire anche fra i propri confini le qualità di prodotti un tempo introvabili. Un altro marchio, questa volta di vino, che ha letteralmente conquistato i consumatori italiano è Freixenet, bollicine spagnole, espressione di un cava (in Italia lo chiamavamo Metodo Classico) di grande personalità, uno spumante da sbicchierare nei wine bar di livello. Magari accompagnato da appetizer o stuzzichini come le patatine tagliate e cotte a mano, Real Crisp, gustose e fragranti, importate dallo stesso Biscaldi. La gamma Freixenet è caratterizzata da prodotti di grande qualità, per molto tempo a torto snobbati da tanti guru nostrani del vino. L’utilizzo di uve da vitigni autoctoni ha permesso a questi cava di acquisire precise caratteristiche organolettiche, che hanno consentito di ritagliarsi sui mercati uno spazio completamente autonomo. Nella gamma spicca Cordon Negro, uno sparkling di


grande personalità, ottenuto con uve parellada e macabro, vitigni che conferiscono aromi intensi e fruttati. Di colore giallo brillante, con bollicine fini e persistenti, si presenta al palato fresco e leggero, con un eccellente equilibrio fra acidità e dolcezza, con sentori delicati di lieviti e una lunga persistenza. Carta Nevada, a sua volta, pur nel rispetto delle linee guida enologiche di casa Freixenet, risulta ancor più strutturato, con sentori leggermente agrumati e una buona struttura complessiva, derivante dall’utilizzo di Xarel-lo, un vitigno che, affiancato a macabro e parellada, regala una nota di vivacità e freschezza, lasciando sul finire piacevoli note naturalmente aromatiche. Sempre nella gamma Freixenet, Biscaldi propone anche Elyssia, uno dei migliori cava presenti sul mercato. Posizionamento alto, di grande raffinatezza, è stato pluripremiato nelle più importanti competizioni internazionali: i vitigni, Pinot noir e Trepat, sono i protagonisti del successo di Elyssia, caratterizzato da un brillante color lampone e da un perlage vivace e persistente. La gamma Freixenet, insieme al vino sudafricano Versus, conferma l’attenzione di Biscaldi verso le esigenze della ristorazione moderna, spesso bisognosa di diversificare in chiave qualitativa le proprie proposte vinicole. E, non pago della sua ricerca di nuovi brand in campo vinicolo, Biscaldi propone anche in questo settore soluzioni di consumo altamente innovative: si chiama Voga l’ultima idea nata nella mente “futurista” di Pietro. Voga è un vino divertente e non convenzionale, nemico della “liturgia” del vino e amico di un consumo informale e non problematico, conviviale e non “da esperti”. Voga Italia ha creato nel mondo del vino una totale rivisitazione in chiave moderna e contemporanea delle bottiglie più tradizionali. I vini Voga spiccano per l’eleganza delle bottiglie cilindriche, chiuse da eleganti tappi richiudibili, a dimostrazione di una raffinata combinazione tra forma e funzionalità. Nella gamma, Voga Sparkling spicca per la totale pulizia e trasparenza del vetro e per le armoniose curve della bottiglia, chiusa da un tappo a fungo. E il contenuto? Aromi di fiori bianchi e frutta, è morbido in bocca, con sentori di frutta fresca e

agrumi; Voga Pinot grigio ha un gusto pieno, con freschi sapori fruttati (mela e pera); Quattro, invece, è un intrigante blend di quattro varietà che gli conferisce un sapore pieno e persistente. Alla gamma Voga si è recentemente affiancato un Prosecco, anche nella comoda confezione mini da 20 cl. Una conferma in più, se ce ne fosse bisogno, della lungimiranza di Pietro Biscaldi e della sua volontà di contribuire, in ogni modo, alla crescita del consumatore, anche in termini di cultura di prodotto, anticipando le tendenze e selezionando marchi destinati, in un certo senso, a rivoluzionare il mondo dei consumi. Una sfida continua che dimostra come sia sempre più necessario guardare avanti, oltre le difficoltà economiche, oltre la crisi, per essere pronti ad affrontare i mercati di domani.

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di Luisa Contri Fatti non parole. Dimostrare le proprie capacità facendo le cose, rimboccandosi le maniche. È così che Gianni D’Amato, bistellato chef patron de Il Rigoletto di Reggiolo (Reggio Emilia), sua moglie Fulvia Salvarani e il loro figlio, lo chef Federico D’Amato, hanno reagito al terremoto che ha colpito l’Emilia il 20 e ancora il 29 giugno 2012. Sisma che ha reso inagibile la settecentesca Villa Manfredini, sede de Il Rigoletto, e che li ha costretti a tener chiuso per cinque mesi anche l’adiacente ristorante Il Rigolettino. Ma il terremoto non l’ha avuta vinta su questa famiglia che l’ospitalità ce l’ha nel sangue. Fra mille difficoltà e senza un soldo di finanziamento o di risarcimento per il fermo attività dallo stato italiano, i D’Amato, a dicembre scorso, hanno riaperto Il Rigolettino. A febbraio di quest’anno hanno preso in gestione il Caffè Arti e Mestieri in centro a Reggio Emilia e per maggio 2014 – incrociando le dita perché non ci siano intoppi – dovrebbero riaprire anche Il Rigoletto. Ristorante stellato quest’ultimo che, in attesa di riaprire i battenti in forma più che mai smagliante (la ristrutturazione eliminerà tutti i difetti che la villa poteva avere, assicura Fulvia Salvarani) non è propriamente inattivo. Al momento infatti vive su una nuvola. E come una nuvola appare in cielo sopra una qualche località, per poi disgregarsi e riformarsi altrove. "Prima, col Rigoletto" racconta Fulvia Salvarani, "non avevamo girato molto. Eravamo anzi stati abbastanza fermi a Reggiolo. Ma dopo il terremoto muoverci è diventata una necessità, anche perché, in ogni caso, non potevamo permetterci di smettere di lavorare. Sono stati i colleghi, a partire da quelli del circuito Relais & Chateaux, a darci una grossa mano, spronando Gianni ad andare a cucinare da loro. È così che è nato il primo Rigoletto in tour, che ha toccato una decina di tappe: Firenze, Cogne, Ladispoli, Bologna, Reggio Emilia, Hong Kong, il lago Maggiore, le colline

piacentine, la Liguria, il Trentino e ancora la Toscana. Nelle scorse settimane Gianni ha partecipato a una manifestazione gastronomica in Libano, dove ha presentato un suo piatto. E a fine maggio abbiamo partecipato alla manifestazione InformaRe promossa dalla provincia di Reggio Emilia. Uno dei momenti clou di quest’iniziativa è stato Chef all’Opera, un cooking show al teatro Valli, cui oltre a Gianni hanno partecipato gli chef Mario Uliassi, Bruno Barbieri e Gennaro Esposito. Ora, per una settimana, Gianni è a Singapore al Fullerton Hotel. E se non ci saranno problemi di sicurezza andrà anche in Turchia. Nel frattempo abbiamo ricevuto nuovi inviti da colleghi siciliani, toscani e liguri perché Gianni vada a cucinare da loro. E hanno chiamato anche alcuni clienti per informarsi su dove andrà a cucinare così da far coincidere qualche sua uscita con i loro programmi di viaggio. Sicuramente a settembre partirà un secondo Rigoletto in tour". Per gustare la cucina del Rigoletto, al momento, non c’è altro modo se non seguire D’Amato nelle sue peregrinazioni. Sia al Rigolettino che al Caffè Arti e Mestieri, seppure la mano dello chef stellato sia sempre percepibile, si fa infatti una cucina diversa.

Nella pagina accanto: Gianni D’Amato con la moglie Fulvia e il figlio Federico nel giardino interno del Caffè Arti e Mestieri di Reggio Emilia. Qui sopra: tagliatelle al ragù di tre carni del Rigolettino.

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"Proprio perché fin da subito ci siamo ripromessi di riaprire Il Rigoletto" spiega Fulvia, "Gianni ha deciso che i tre ristoranti avrebbero fatto una proposta gastronomica distintiva. Una scelta, ce ne rendiamo conto, che delude le aspettative dei clienti che sperano di poter gustare i piatti del Rigoletto negli altri due locali, ma della quale rimaniamo convinti e che renderemo ancora più percepibile, accentuando ulteriormente le differenze fra le proposte dei tre ristoranti. Diversamente cosa dovremmo fare una volta riaperto il Rigoletto, chiudere il Rigolettino? Che senso avrebbe proporre gli stessi piatti a due prezzi differenti? Anche l’ambientazione contribuisce a caratterizzare un piatto. E al Caffè Arti e Mestieri c’è un’atmosfera completamente diversa da quella del Rigoletto. Non puoi fare un piatto personalissimo e presentarlo in un ambiente che non c’entra nulla. La cucina del Rigolettino dunque sarà sempre più improntata al territorio e alla semplicità. Sarà il regno dell’erbazzone, dei tortelli di zucca, dei

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cappelletti, dello gnocco fritto coi salumi. E quella del Caffè Arti e Mestieri punterà su piatti tradizionali, realizzati in modo non banale. Ne sono un esempio il carpaccio di polpettone, pomodorini, insalatina e limone o la panzanella diversa con verdure croccanti o ancora il tramezzone con prosciutto cotto, tonno, pomodoro, uovo, maionese, insalatina e spinacino. E sui piatti di pesce, dato che Gianni è sempre stato conosciuto per il suo modo particolare di lavorare i prodotti ittici". Il Caffè Arti e Mestieri è d’altronde un locale dall’ambientazione elegante-accogliente, con un bel giardino sfruttato d’estate per pranzi e cene all’aperto e dove si fanno grandi numeri: può raggiungere i 100 coperti a servizio e ha una frequentazione media che va dalle 40-60 persone a mezzogiorno alle 30-40 la sera. Rispetto al Rigoletto, applica una linea prezzi accessibile. La spesa media, vini esclusi, si aggira sui 40-50 euro mangiando alla carta e sui 38 o 49 euro ordinando uno dei due menu (di territorio o di pesce) da tre portate più il dessert. Prezzi in grado di attrarre una clientela variegata: clienti di passaggio, spesso d’origine straniera, in città per turismo, per affari o per partecipare a eventi e corsi organizzati dalla fondazione Reggio Children (Reggio Emilia è nota nel mondo per il suo particolare approccio all’educazione dei bambini), e reggiani che, soprattutto a mezzogiorno, sono in buona parte impiegati degli uffici del centro. Di qui la necessità di integrare piatti della tradizione, che possono risultare particolarmente interessanti per il cliente occasionale, soprattutto straniero, con proposte più moderne e originali, anche di pesce, che cambiano sovente. La mano di D’Amato in cucina, come accennato, è assicurata, anche in sua assenza, da Sauro Antonioli, chef che aveva lavorato con lui nei primi tre anni di apertura del Rigoletto. E la carta risulta ricca. Prevede sette antipasti, sei primi, altrettanti secondi più un’immancabile (per Reggio Emilia) selezione di parmigiano-reggiano e due menu degustazione. Alla sera la proposta del locale si arricchisce ulteriormente con dei piatti "fuori


menu". Quasi sempre si tratta di piatti a base di pesce, che consentono di approfittare delle materie prime più a buon mercato del momento, ma talvolta vi figurano anche piatti di nuova concezione in fase di test. A mezzogiorno, invece, sono presentati altri due menu pensati per gli impiegati in pausa pranzo: quello del giorno da un piatto più acqua minerale e caffè a 10 euro, e il via Emilia (in riferimento alla strada in cui sorge il locale, Via Emilia San Pietro) da due portate più acqua e caffè a 18 euro. "Il cancello del Caffè Arti e Mestieri non è mai chiuso" conclude Fulviai, "e capita che persone di passaggio scambino il

nostro giardino per un giardino pubblico e si siedano su una delle panchine a leggere o a riposare. Noi le lasciamo godersi la loro pausa. Ci guardiamo bene dal mandarle via. Anche il nome del locale tende a trarre in inganno la clientela di passaggio. Nonostante ci chiamiamo Caffè, oggi, per com’è disposto il locale, non c’è uno spazio per fare il servizio bar. Volendo potremmo trasformare il piano terreno in sala da te e concentrare il ristorante al primo piano. Ma non si può far tutto. Per quest’estate, però, in un angolo del giardino allestiremo un chiosco in metallo presso il quale servire l’aperitivo". Artù n°57

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Enrico Gerli La stella di Vigevano

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di Luisa Contri

impegnativo. Avevo seguito i corsi da sommelier, mi dilettavo a cucinare per Dare viene prima di avere per Enrico gli amici e sapevo di poter contare sulGerli, chef patron del ristorante stel- l’aiuto di mia moglie Luisa, ai tempi lato (dal 1998) I Castagni di Vigevano mia fidanzata, e dei miei genitori, che (Pv). E non si può certo dire che già negli anni Sessanta avevano gestito Gerli non stia dando tutto se stesso, una trattoria". Ancora una volta le cirnon stia facendo di tutto per soddi- costanze della vita – l’incontro con un sfare la clientela e poter così portare avanti le sue due passioni: nell’ordine quella per i buoni vini, francesi in primis, e quella per la cucina regionale italiana, vista dalla prospettiva sia di chi i piatti li prepara, sia di chi li gusta.

Nella pagina accanto: risotto con coscia d’oca e carni.

Passioni private che si sono trasformate in professione grazie alle "circostanze della vita": un ripensamento sul suo futuro, quando circa 25 anni fa era prossimo a laurearsi in Scienze dell’alimentazione; la disponibilità di una cascina appena fuori Vigevano, che si prestava a essere trasformata in ristorante; e a una buona dose di "incoscienza". "Quando scelsi di diventare ristoratore" ricorda Gerli, "non avevo idea di quanto questo mestiere fosse

● I Castagni

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giornalista del Gambero Rosso– hanno stimolato Gerli a fare il salto di qualità e a trasformare un ristorante a conduzione familiare, con una cucina buona, ma semplice, casalinga, "senza tante elucibrazioni mentali" (ipse dixit), in un locale dall’ambientazione ricercata, con arredi in stile lombardo rusticoelegante e quadri d’autore vigevanesi, dal servizio curato e dalla cucina raffinata e complessa, che è arrivata a meritarsi la stella Michelin. "Un riconoscimento quello della guida rossa" sottolinea Gerli, "che considero un grande traguardo. Per uno come me, partito senza ambizioni giudaiole e che non ha alle spalle il percorso di studi tipico dei grandi chef e non ha seguito la scuola alberghiera con stage nelle migliori cucine internazionali, arrivare a ottenere questo riconoscimento è stata la realizzazione di un sogno". Non che Gerli non abbia studiato e

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non dedichi ore e ore alla messa a punto dei suoi piatti - ha infatti seguito diversi stage presso ristoranti famosi (fra gli altri L’Antica Osteria del Ponte di Ezio Santin, a Cassinetta di Lugagnano, e Il Sole di Ranco, sul lago Maggiore) -, ma l’essere arrivato a dominare le tecniche dell’alta cucina in età adulta, l’aver raggiunto la notorietà più tardi rispetto a tanti altri chef, ci dà l’impressione spieghi, almeno in parte, il perché Gerli privilegi i piatti compositi, con tanti ingredienti, che possono piacere come non piacere. "Quando si arriva a certi livelli" sostiene Gerli, "non ci si può limitare a presentare dei piatti semplici, per quanto perfettamente eseguiti e realizzati con materie prime eccelse. Occorre far percepire al cliente che dietro quel piatto c’è molto studio, creatività e tecnica. Per questo amo rielaborare antiche ricette del mio territorio, oppure creare


piatti che mescolano regionalità diverse, o ancora creare contrasti di temperature e di strutture, a partire dalla medesima materia prima lavorata in modi diversi e con ingredienti diversi". È così che nelle mani di Gerli il verzin o il baccalà, due piatti sapidi, sostanziosi e ricchi di burro e grassi animali che faceva sua nonna, si trasformano in ricette raffinate, leggere, adatte alla clientela d’oggi. Il verzin di Gerli è infatti un tortino di verza, fatto con le sole parti nobili saltate in olio evo, farcito con un misto d’arrosto di carne sgrassata di maiale e salsiccia cotta in padella e sgrassata, accompagnato con una salsa di parmigiano. Mentre il baccalà l’ha trasformato in un margottino di patate, farcito con un cuore di baccalà cotto alla certosina senza grassi e poi passato in forno. Lo serve accompagnato da assaggi di carpaccio di baccalà crudo, di baccalà mantecato e

da una polpetta di baccalà e cipolla brasata. L’attenzione di Gerli per soddisfare i clienti traspare dall’impostazione del servizio de I Castagni. Innanzitutto dall’ampiezza del menu: nella carta figurano sette antipasti, cinque primi, otto secondi e altrettanti dolci e tre menu: degustazione, tutto (a base pesce) e territorio. E dalle porzioni non minimal. Per un primo piatto Gerli prevede 80 grammi di pasta di semola, per un secondo un taglio di carne cruda da 140 grammi o di pesce da 130 grammi. "Mantenere un menu articolato e con un numero elevato d’ingredienti" evidenzia Gerli, "è molto impegnativo da un punto di vista sia organizzativo che economico. A maggior ragione da 30 mesi a questa parte, da quando cioè per effetto della crisi economica registriamo una forte erraticità delle presenze. Che abbia prenotazioni o meno, ho sempre a disposizione le materie prime fresche per dieci porzioni di ogni piatto in carta". Gerli accenna alla tentazione di snellire la carta, ogni volta che prepara il nuovo menu della stagione: "Ma ogni volta ci rinuncio" dice. "Un po’ perché equivarrebbe a tarparmi le ali da solo. Un po’ perché ritengo che un ristorante stellato debba garantire una certa varietà. E un po’ perché I Castagni è un ristorante con una nutrita clientela abituale, cui non posso non offrire un minimo di scelta". Per contenere i costi Gerli investe in tecnologie che gli consentono di gestire al meglio le materie prime (dall’abbattitore di temperatura al forno per la cottura a bassa temperatura) e ha intensificato il lavoro di scounting di materie prime. Cerca, in altre parole, di selezionare ingredienti di qualità, ma covenienti. "In campo it-

Qui sopra: coscia d'oca ripiena di mortadella, arrostita a lungo nel suo grasso con polenta integrale morbida e sugo d’arrosto. Sotto: risotto di Carnaroli con verdure sottoterra punteggiato di rapa rossa e mantecato con gorgonzola di Abbiategrasso.

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tico" spiega Gerli, "mi sono per esempio orientato su specie meno conosciute, ma altrettanto valide come il tonno alletterato, un tonnetto di taglia più piccola ma con carni scure e saporite, simili a quelle del tonno rosso. O il sugarello, che se lavorato con i sacri crismi dà ottimi risultati. Parlando di carne, invece, è da tempo che utilizzo i tagli del quarto anteriore di fassona piemontese. Oggi mi servo da due macellai, uno dell’albese e l’altro dell’alessandrino, che la sanno trattare, che fanno le frollature giuste. E in questo modo posso evitare di utilizzare il più costoso filetto. Il bello della mia professione, quando si ha la passione, sta anche nel potersi misurare con materie prime diverse e trovare spunti per introdurre ricette nuove". Sempre per venire incontro alla clientela, in questi tempi di scarsa liquidità e per incentivare le presenze, Gerli ha adottato soluzioni premiali non scontate. "Nell’attuale congiuntura economica" osserva Gerli, "avere una stella Michelin o la menzione d’una guida è un’arma a doppio taglio. Chi non ti conosce teme di venire a spendere cifre elevate. Lo deduco anche dal fatto che, con maggior frequenza, alcuni clienti sanno già quali piatti e quale vino ordineranno e difficilmente si lasciano convincere

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nella scelta di altri piatti. Per incentivare un’esperienza più completa della mia cucina, ho dunque deciso di proporre i miei menu a prezzi particolarmente convenienti: 55 euro per quattro o cinque portate più il dolce, che diventano 70-75 con il vino, contro una media di 50 euro per due piatti più vino. Di recente ho anche aderito all’iniziativa del gruppo d’acquisto on line LetsBonus, mettendo a disposizione cene per due persone a prezzi scontati del 50%. Nell’arco di un anno ha portato nel mio locale quasi mille persone. Clientela che ho trattato esattamente come tratto chi viene a mangiare a prezzo pieno e che spero possa tornare da noi, magari per festeggiare una ricorrenza particolare. Ho anche proposto a prezzi scontati alcuni grandi vini. In questo modo ho smaltito il fardello di alcune bottiglie totem, di quelle che non riesci mai a vendere perché costano troppo. E ho così liberato capitali per comprare vini dall’ottimo rapporto qualità/prezzo di piccole cantine". Un’ultima annotazione per chi avesse letto con rammarico delle intenzioni di Gerli di tornare alle origini, a una cucina più semplice. Ci vorranno ancora diversi anni, forse una decina, prima che dall’intenzione Gerli passi ai fatti. www.ristoranteicastagni.com



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Sale slot Futuro in gioco

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Le popolazioni locali, in città e in provincia, non vogliono che il gioco d’azzardo si svolga “sotto casa”. Ma, nonostante le indignate proteste, le “macchinette” si insediano ovunque, nei bar, nelle aree di servizio, nei centri commerciali. Fra la reazione generale della gente e un giro d’affari portentoso, che ne fa la terza industria nazionale per entrate, il futuro si presenta molto movimentato. Una nazione di santi, poeti, navigatori e giocatori. Ormai in Italia in ogni comune ci s’imbatte in un bar attrezzato con le slot machine o addirittura con una sala interna attrezzata e il “Bel Paese” si scopre primo in Europa per il fatturato del gioco d'azzardo legalizzato. Una o più macchinette dai colori sgargianti, pronte a portare l’avventore nel mondo della dea bendata e regalare qualche soldo ad uno stato in sofferenza, sono presenti in gran parte dei locali pubblici. Spesso il gioco però diventa malattia e in alcuni casi tragedia, con persone e famiglie ridotte sul lastrico e i fatti di cronaca si succedono a ritmo imbarazzante. Ogni italiano, in media, spende in un anno oltre duemila euro per tentare la fortuna. E il Gratta e Vinci, nonostante i divieti, viene acquistato da un numero sempre maggiore di adolescenti, molti giovani dai 15 ai 17 anni spendono infatti dai 20 ai 60 euro mensili. Quella del gioco d'azzardo legalizzato è la terza industria in Italia dopo Eni e Fiat: i dati della Banca d'Italia fotografano una continua crescita del settore, con il logico problema sociale derivante. Dal 2003 al 2010 la raccolta complessiva legata al gioco è aumentata da 15 miliardi di euro a più di 60 e la crescita è proseguita seguendo un trend che ha portato il comparto nei primi tre mesi dell'anno scorso a versare nelle casse dello stato circa 2,2 miliardi di euro. Circa 900 milioni arrivano dalle nuove slot e 220 milioni dalle videolottery; i giochi più tradizionali, come il Lotto, portano circa 400 milioni, le lotterie e i Gratta e Vinci 330 milioni, i giochi numerici SuperEnalotto e WinForLife 240 milioni.

La proposta dell'ex Governo Monti di un giro di vite sulle sale e le macchinette ha di fatto subìto un immediato brusco dietrofront perché per lo stato il gioco d’azzardo legalizzato è uno dei principali introiti e risulta difficilmente sostituibile. Non è solo la nostra nazione ad essere legata al gioco, i ricavi ottenuti dal comparto a livello mondiale hanno raggiunto i 500 miliardi di dollari annui nel 2012, stando ad una ricerca realizzata da NetBetCasino.it, portale leader nei giochi da casinò online, in collaborazione con LivePartners, società che promuove e gestisce a livello mondiale alcuni dei più grandi marchi nel settore dei giochi online. Il mercato è in crescita costante e si svilupperà ancora ulteriormente con la regolamentazione del gioco online negli Stati Uniti. Difficile insomma fermare la deriva che porta l'insediamento di una o più sale da gioco in molte città. In alcuni casi lo sforzo di molti nel non volere una sala per il gioco è stato vanificato dalla tutela che lo Stato regala a chi approccia questa attività. Può essere esemplificativo quanto accaduto ad Asso in Provincia di Como, la provincia che confina con il Canton Ticino, terra di casinò legali e ben diffusi sul territorio, ma dove le “slot da bar” sono bandite: l’amministrazione comunale, la maggioranza, la minoranza consiliare Artù n°57

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e i cittadini della località del Comasco, si sono mostrati contrari alla creazione di una sala giochi al piano terra di una palazzina residenziale a pochi metri da scuole, municipio, e persino da un centro per i problemi comportamentali dei ragazzi. Anche nel condominio dove doveva sorgere lo spazio, tutti si erano dimostrati contro la possibile entrata dell’attività commerciale, tranne l’affittuaria, come era logico attendersi. Contro la sala per il gioco d’azzardo legalizzato si è pensato di creare un comitato e dare avvio ad una raccolta firme, ma ogni iniziativa ha sbattuto contro il “muro di gomma” della questura che ha autorizzato la struttura, in quanto rispondente alle norme legislative in materia. "Noi andiamo avanti per la nostra strada, non vogliamo questa sala giochi al piano terra – spiegava Giovanni Cavaliere, residente della palazzina, al quotidiano “La Provincia di Como” che si è ampiamente

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occupato della vicenda -. In una riunione condominiale abbiamo preparato una delibera in cui venti condomini su ventuno hanno votato contro la sala giochi. Nonostante questa contrarietà i lavori vanno avanti comunque, c'era stata una prima apertura con la dichiarata volontà di non andare contro a tutto un condominio, ma alle parole non sono seguiti i fatti". Diversi i motivi di contrarietà delle popolazioni locali, che comprendono anche il disturbo ai residenti, il rischio di registrare episodi malavitosi, l’assenza di parcheggi, la vicinanza con diverse strutture che ospitano ragazzini. Da parte sua, sempre allo stesso giornale, Umberto Baldinucci della Star Group che ha allestito i locali ribatteva: "Non capiamo questa contrarietà senza prima vedere l'impatto che avrà la struttura sul paese e sul complesso che la ospita. Non ci sarà rumore, i vetri saranno oscurati, poi è logico che un'attività porta persone, ma il numero non credo sarà esorbitante. Si teme magari per i furti, ma il rischio è comune ad un supermercato o ad un benzinaio, con il clima di disperazione che c'è nel Paese, i luoghi in cui ci sono soldi possono ovviamente essere meta di furti ed effrazioni. Ma la cosa riguarda ogni attività commerciale. In ogni caso, il disturbo sarà limitato per i residenti e non ci sembra logica questa movimentazione. Mi pare ingiusto discriminare questa struttura quando il gioco è la terza industria italiana, per fatturato, e rappresenta un introito importantissimo per lo stato, sia con noi ma anche con Gratta e Vinci e lotterie varie. Noi siamo solo imprenditori, stiamo solo lavorando". Alla fine la sala giochi è sorta con buona pace dei cittadini. Ma le proteste continuano. (G.C.)



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Alla locanda di

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di Elisa Facchetti L'arte di mettersi in gioco, la passione per il mondo del vino e per la buona cucina, fatta con ingredienti di prima scelta, a partire dalla pizza. Chiamarla “locanda” è riduttivo, ma coglie appieno il valore intrinseco di questo luogo, nato per il gusto della convivialità e per confermare, ancora una volta, che la ristorazione italiana, con un pizzico di coraggio e di investimenti ragionati, può ancora dimostrare il valore autentico della sua imprenditorialità. Merita una sosta la Locanda di Mr. Brown. Ci troviamo a Seregno, in via Cadore 96, eppure si ha l'impressione di essere catapultati in un mondo magico, dentro una vera barrique. Si chiude una porta e ci si affaccia su una realtà inusuale per il panorama della ristorazione italiana. In un momento in cui è davvero difficile "fare business" in questo settore, il coraggio di investire sul proprio sogno premia chi con un pizzico di ingegno ha saputo concretizzare un locale d'eccellenza per offerta proposta, declinata su un nuovo piano di coordinate vin-

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centi. Titolare della "locanda" è Fabio Pettenuzzo, imprenditore di un'azienda di materiali idro-termo-sanitari, a cui ha saputo affiancare e coltivare la passione per il mondo del vino e della cultura gastronomica: diplomato AIS in qualità di Sommelier Internazionale, Fabio ha unito le competenze più commerciali alla sua cultura sul mondo del vino a servizio di alcuni locali che chiedevano una consulenza su menu e carta dei vini. Da li il passo è stato breve, come ci spiega Fabio: "Ho deciso che dovevo aprire il mio locale! Il mio sogno è sempre stato quello di entrare in una barrique e così ho pensato di aprirne uno con le caratteristiche che avevo sognato. L'ho chiamato Locanda di Mr. Brown perchè volevo sottolineare il valore della convivialità e volevo un nome facile da ricordare". Una passione che ha coinvolto altri sei soci - Mariangelo Fogliazza come direttore, Michele Vita agli acquisti, Veronica Frigerio in amministrazione, Sabrina Di Caprio in qualità di public relations e aiuto in cassa, Angelo Lamboglia ed Erminio Cattaneo in cassa - e che ha permesso di raggiungere grandi soddisfazioni in

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poco più di due anni. Il segreto del successo? Tanta passione e il coraggio di investire su prodotti di qualità, il tutto affiancato da formule studiate ad hoc per rendere il più fruibile possibile, e piacevole, l'offerta di Mr. Brown: "Propongo moltissime serate a tema ricercando prodotti di un certo livello. La formula vincente è senza dubbio l'aperitivo con degustazione, che permette ai clienti di degustare diversi prodotti senza la formalità di una cena". E grande attenzione viene riposta nella selezione del cibo, una ricerca importante e meticolosa che ha premiato lo sforzo di investire sulla qualità. È lo stesso titolare, Fabio Pettenuzzo, che coltiva questa passione e ricerca solo il meglio, testando poi con la sua brigata di cuochi i piatti da proporre a menu, un menu che varia interamente ogni tre mesi, dalla carne black angus 100% - da provare la Brontosauro Steak - al crudo all'italiana, sia di pesce che di carne. I piatti di Mr. Brown non son mai astruse combinazioni di sapori forzati, ma accostamenti a volte inediti che sorprendono per la qualità degli ingredienti scelti. Qualche esempio? Tartare di salmone bio con toast al burro al lime e capesante scottate al lardo celtico alle erbe con toast di burro e aneto; carpaccio di Black Angus affumicato marinato con birra rossa, pinoli tostati, capperi in fiore e chips di topinambur; spaghettoni freschi aglio olio e peperoncino con ricci di mare, cozze e bottarga di muggine; risotto al prosecco con scampi e fragole al sentore di barrique; ravioloni al Mojito con burro fuso al parmigiano e pesto leggero di menta e lime; spadellata di frutti di mare al profumo di Rhum Creole Clement all'arancia e cous cous, e tanti altri piatti. "L'offerta tra pranzo e cena è la stessa - ci spiega Fabio -, con la differenza del prezzo ovviamente. Alcuni piatti proposti alla sera sono ricchi di ingredienti, con alcuni prodotti, come la bottarga di muggine per esempio, che portano


il piatto a una fascia prezzo superiore. A pranzo abbiamo deciso di creare una nuova formula diminuendo la componentistica dei prodotti: stessa qualità, stessa quantità, ma con uno o due ingredienti in meno, quelli cioè che caratterizzano il piatto della sera". Per chi preferisce una buona pizza, qui può trovare la vera pizza napoletana: lievito madre, fior di latte, pomodori bolliti e passati due volte rendono la pizza di Mr. Brown un’esperienza da provare. Tanto da far raddoppiare i coperti durante il fine settimana. Nel menu, il consiglio di Fabio, è quello di abbinare alla pizza un'ottima bollicina: non un vezzo del titolare, ma una provata digeribilità e un sapore che saprà sorprendere! E anche in questo caso le pizze segnalate nella voce "speciali" cambiano ogni mese. Ma è il vino la vera passione di Fabio, tanto da richiedere per il suo locale una cantina refrigerate, tale da contenere ben 120 etichette, che periodicamente vengono rinnovate in base al gradimento dei clienti. Anche in questo caso il lavoro compiuto ha rivelato grande passione e tenacia, selezionando personalmente le etichette - alcune conosciute, altre meno note - frutto di anni di degusta-

zioni avvenute anche con l'AIS. Da segnalare l'ampio menu, in cui per ogni piatto viene consigliato un vino da abbinare, scelto dallo stesso Fabio dopo attente analisi degli ingredienti e delle etichette selezionate. Ricarico onesto, e se il vino è piaciuto ma la bottiglia non è stata consumata del tutto, è possibile ritirarla alla cassa. "Fin dal principio erano tre i punti fondamentali per la mia locanda: la cantina refrigerata, il sogno di ricreare il locale come l'interno di una barrique e la possibilità di dedicare uno spazio a una zona più conviviale per gli ospiti: da qui è nata l'idea di creare quattro banconi alti, dove fosse possibile fare un'aperitivo, cenare o pranzare. Questa formula si è dimostrata vincente, regala quell'atmosfera informale che piace molto ai clienti, tanto da richiedere la prenotazione!". Uno sala con tv consente inoltre di organizzare meeting aziendali, a cui seguono aperitivi, pranzi o cene anche all'esterno del locale, dove sono previsti una quarantina di coperti. Ma non solo: Fabio organizza anche corsi di degustazione di vino e presto partiranno, a grande richiesta, anche dei corsi cucina. Chapeau! www.locandamrbrown.it Artù n°57

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equipment

FORME uniche Per vini unici di Stefano Bonini La passione per l’architettura e il gusto per il design uniti al desiderio di progettare dei concetti e al legame viscerale (da buon veronese) con il buon vino e la gastronomia. Da questa esplosiva combinazione nasce il progetto Decanteriano di Carlo Benati, dinamico e curioso architetto che ha deciso di affiancare all’edilizia residenziale e industriale l’attività di progettista e “disegnatore di concetti”. Per 5 anni Carlo ha pensato a come poter celebrare certi momenti speciali legati al vino e alla sua degustazione. La visione e la sensibilità lo hanno portato a creare Decanteriano… la sua prima idea e la sua prima creatura. Nomen omen, dunque: Decanteriano è infatti un decanter, speciale ed unico, realizzato interamente da abilissimi artigiani italiani. Con la voglia di valorizzare ed esaltare il vino e i suoi riti, l’architetto

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Benati ha disegnato un oggetto fuori dal tempo, quel tempo odierno sempre più frenetico e schizzofrenico. Decanteriano è un ritorno al passato con una cifra stilistica moderna, è la riscoperta di gesti antichi, per certi versi desueti nella loro tempistica, resi attuali da un oggetto dal design innovativo e di grande manifattura. È l’esaltazione della lentezza, la trasformazione del piacere del vino e della tavola in un rito quasi alchemico: il tempo richiesto dal vino per respirare favorisce lo sprigionarsi di aromi e profumi ed eleva il decanter ad oggetto celebrativo! Il processo di decantazione prevede fasi diverse per l’ossigenazione del vino, che viene versato nell’ampolla centrale entrando così in contatto con centinaia di microsfere in vetro. Attraverso di esse il vino passa e viene filtrato fino a giungere nel suo percorso in una calla di raccolta centrale che, in un avanzare armonico e suggestivo, lo distribuisce attraverso le quattro uscite angolari fresate diret-

tamente nei bicchieri posti ai 4 angoli. Materiali, sezioni di passaggio, filtri ed inclinazioni sono funzionali ad ossigenare al meglio il vino che, in un costante e progressivo contatto con il vetro e l’ossigeno, compie un articolato percorso verso i bicchieri in maniera lenta, goccia a goccia … scandendo il ritmo del tempo. Un passaggio dalla bottiglia al bicchiere che viene dilatato e diventa a tutti gli effetti sensoriale, intriso di profumi, sapori e anche suoni, durante il quale il vino viene atteso, discusso e chiacchierato. Decanteriano viene realizzato completamente a mano, da sapienti e abili artigiani veneti che in stretta collaborazione con l’architetto Benati hanno selezionato e lavorato materiali di pregio alla continua ricerca di armonia tra le forme morbide e curve del vetro soffiato e quelle spigolose e decise dell’acciaio… con un unico


obiettivo: la corretta ossigenazione del vino e la sua esaltazione. Decanteriano è dunque un pezzo ogni volta unico, ma non è il solo. Carlo ha infatti realizzato anche Decanterino, una sorta di fratello minore, un decanter più agevole nella struttura ma sempre dal design accattivante e dalla manifattura rigorosamente artigianale. Sono le origini di Wine Design, una serie di accessori (una quindicina circa al momento visibili sul sito www.winedesign.it) legati al mondo del vino, ideati da Carlo sempre con la volontà di emozionare ed esaltare una circostanza, conviviale o meditativa, legata al vino stesso. Perché come diceva Oscar Wilde “nulla è più necessario del superfluo”.

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dal mondo

Acqua Tempo Pazienza

E nasce un grande

whisky

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di Fiorenza Auriemma In visita in Scozia, alla distilleria di Talisker, dove si produce un whisky di grande carattere, distribuito in Italia da Diageo: un single malt che ci ha stupito una volta di più per la sua purezza estrema, che si rivela appieno nelle versioni 10, 18 e 25 anni. Isola di Skye, Ebridi, ovvero nord ovest della Scozia. Un microcosmo dove regnano acqua dolce e salata, vento, rocce, terra, torba. Un luogo non certo facile da raggiungere – dall’aeroporto di Inverness, la strada che porta fino all’isola richiede alcune ore di guida paziente lungo le rive del celeberrimo Loch Ness – né particolarmente fortunato sotto il profilo climatico. Qui, infatti, il mare non fa rima con spiagge dove crogiolarsi al sole, bensì con paesaggi aspri ed estremi, antichi coni vulcanici e lande semidisabitate. Ideale per chi ama la vela, il golf, lo sci, le passeggiate controvento, quest’isola che si trova alla stessa latitudine dell’Alaska è però – e proprio anche grazie alle sue caratteristiche, al clima, all’acqua, all’isolamento – il luogo ideale per il whisky. Infatti, è in riva al mare, sul lato occidentale dell’isola e presso il villaggio di Carbost, che sorge l’unica distilleria dell’isola di Skye: Talisker, dove da oltre 175 anni viene prodotto un whisky single malt, pluripremiato, intenso e di grande carattere, oltre che profondamente torbato. Dove ora nasce e matura questo whisky c’era in origine una fattoria gestita dalla prima metà del Diciottesimo secolo da due fratelli, Hugh e Kenneth MacAskill. Furono loro ad avere l’idea di costruire qui un luogo per produrre un distillato, scatenando immediata-

Carbost

mente le proteste dell’ex ministro parrocchiale, il Reverendo Roderick Macleod. Il quale, oltretutto astemio, definì la neonata distilleria "una delle più grandi maledizioni che potessero accadere, qui o in qualsiasi altro posto". Il suo biasimo però era destinato a restare isolato. L’elisir dei MacAskill ricevette ben presto commenti positivi, compreso

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dal mondo

quello dello scrittore Robert Louis Stevenson, che lo menzionò in un poema intitolato The Scotsman's Return from Abroad pubblicato nel 1880. Le sue parole ovviamente contribuirono notevolmente a far conoscere questa distilleria e il suo distillato. Nel 1892 il mercante di alcolici Grigor Allan assunse il controllo della proprietà della distilleria, procedendo nei decenni seguenti a ingrandirla, compresa la costruzione di un molo per facilitare le consegne via mare, una linea tranviaria e anche nuove case per accogliere i dipendenti sempre più numerosi. In parte distrutta da un incendio nel 1960, la distilleria è stata ricostruita seguendo meticolosamente quello che era il progetto originale e ricreando scrupolosamente gli alambicchi com’erano in origine, ed ha ripreso a funzionare nel 1972. E oggi Talisker – che fa parte dei marchi internazionali distribuiti da Diageo continua a essere un polo di attrazione sia per chi si avventura fin qui sull’isola – la distilleria è visitabile ed è corredata con un moderno ed esaustivo Centro Visitatori – sia per chi acquista e

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degusta uno dei diversi whisky che nascono qui per poi raggiungere tutto il mondo. "Il mio compito è garantire che la qualità che indusse Robert Louis Stevenson a considerare il Talisker come ‘the king of drinks’ – il re delle bevande – sia e rimanga la medesima di allora, e sempre elevata", dice Mark Lockhhead, direttore della distilleria. "È una grande responsabilità assicurarsi che quanto lasciato a invecchiare sia perfetto, in modo che la produzione dei barili di 10, 18 o 25 anni raggiunga il consueto livello qualitativo". Se non è facile per il visitatore arrivare all'isola di Skye, non è nemmeno semplice viverci. Perché gli inverni sono lunghi – anche se non estremamente rigidi – e le estati brevi. E perché piove spesso. "Abbiamo bisogno di molta acqua per produrre whisky, e anche di molto tempo e pazienza", commenta Mark Lockhhead. “Nonché


di occhio e naso ben sviluppati per cogliere i dettagli”. La famiglia dei distillati Talisker include più di un’espressione che riflette invecchiamenti diversi: Talisker 10 years old, Talisker 18 years old, Talisker 25 years old, Talisker 57° North e le speciali Talisker Distillers Edition, affinate in botti di sherry e proposte in edizioni limitate. Cui da poco si sono aggiunti Talisker Storm e Talisker Port Ruighe. Il primo, Storm, è più intenso e affumicato, con note marine forti e vibranti, delicatamente bilanciato dalla calda dolcezza tipica di Talisker: "Questo whisky dal carattere spiccato è un autentico omaggio all’incredibile isola che gli ha dato i natali", sottolinea Mark Lochhead, "E noi qui siamo davvero entusiasti della sapiente arte con cui i nostri maestri del malto hanno realizzato questo brioso whisky”. Storm significa tempesta, ed è un nome più che adatto per questo prodotto che si accompagna molto bene al salmone selvatico, le cui note affumicate e salate creano il contrasto ideale con il suo carattere marino e salmastro, senza sopraffare il palato. Il secondo nuovo di casa,

Port Ruighe, deve il nome a quella che era un tempo la località portuale dell’isola di Skye, ed è una combinazione delle celebri note marine di Talisker con quelle di frutti rossi dovute all’invecchiamento in barili che hanno precedentemente contenuto Porto. Il

risultato è un single malt vigoroso e robusto: al naso, emergono chiare note di fumo, camino spento, che lasciano spazio a note di prugna matura; al palato, il pepe diventa rapidamente fumo cremoso, mescolato a spezie e frutti rossi, mentre il finale è dolce, con le note di fumo persistenti. Artù n°57

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libri

Progetti sul vino e spesa CONSAPEVOLE

Titolo: il Vino. Istruzioni per l'uso Autore: AA.VV. Progetto editoriale: Partesa Editore: Cinquesensi Anno: 2013 Pagine: 352 Prezzo: 29,00 €

Titolo: Locali Storici d'Italia Autore: Ass. Locali Storici d'Italia Editore: Ass. Locali Storici d'Italia Anno: 2013 Pagine: 280

Titolo: Benedetta patata. Storie, folclore, ricette Autore: Salvatore Marchese Editore: Orme Tarka - collana “cucine” diretta da Franco Muzzio Anno: 2013 Pagine: 320 Prezzo: 18,00 €

Titolo: Le bugie nel carrello. Le leggende e i trucchi del marketing sul cibo che compriamo Autore: Dario Bressanini Editore: Chiarelettere Anno: 2013 Pagine: 192 Prezzo: 12,60 €

Vino a 360 gradi Partesa torna a distanza di cinque anni con una pubblicazione dedicata al Progetto Vino, summa ragionata e innovativa dedicata alla scoperta del vino, dai suoi albori per passare ai vitigni, fino alle nuove tendenze di consumo. In mezzo, a rendere piacevole le note più tecniche ma fondamentali - a cui chiarisce ogni dubbio un glossario snello e pratico - 15 interviste a produttori e ristoratori, cinque approfondimenti su enologia, terroir, comunicazione, 32 cartine vinicole di Italia, Europa e del Mondo. E il prezioso contributo delle più importanti firme del panorama enogiornalistico italiano. Curatore: Roberto Racca. Il manuale vuole di fatto rivolgersi a un pubblico che sia il più vasto possibile, trattando le diverse informazioni su un nuovo piano di coordinate comprensibili anche ai non addetti ai lavori, permettendo una conoscenza basilare del mondo del vino, senza mai tradire gli aspetti più tecnici. Nel volume anche uno spazio dedicato alla birra.

I locali che hanno fatto la storia La Guida 2013 annovera quest'anno i 240 più antichi e prestigiosi locali d'Italia che hanno contribuito, a loro modo, a fare la storia del "Bel Paese", disegnando un percorso tra gli oltre settanta locali storici testimoni dello stile Liberty. Sette le new entry e un omaggio al primo luogo all'aperto citato nella Guida: la piazzetta del borgo marinaro di Portofino, salotto di mondanità dall'inizio del novecento. Dedicata a chi ama il turismo culturale, la Guida propone, in italiano e inglese, un identikit storico, culturale e architettonico dei vari locali citati, accompagnati da aneddoti divertenti, curiosi, a volte al limite della leggenda, su diversi perosnaggi illustri della storia italiana. Il maneggevole volumetto è illustrato dal pittore Gianni Renna con piacevoli schizzi in verde, marchiando con la scritta "Liberty" i locali che appartengono al percorso. Diretta da Claudio Guagnini, la Guida viene distribuita gratuitamente dall'Associazione a chi ne fa richiesta, con il solo contributo delle spese di spedizione. Disponibile invece presso i locali associati.

Il tubero per eccellenza Degno di menzione, questo libro cela un grande lavoro di ricerca da parte dell'autore sulla nobilitazione della patata, da foraggio per le bestie a cibo per gli uomini. È il 1793 quando i parroci del dominio della Serenissima Repubblica di Genova ricevono un libello con istruzioni dettagliate sulla coltivazione della patata. A ruota, precise istruzioni agrarie, arrivano in molti comuni d'Italia, accompagnate da ricette a base di patata. Salvatore Marchese, recuperato un esemplare di tale libello, l'ha arricchito di curiosità, storie e oltre 250 ricette già presenti nell'edizione del 1999 - a cui si sono aggiunte una sessantina anche di grandi chef, da Bottura a Cracco, da Vissani a Perangelini. Le prime pagine sono dedicate letteralmente ai "pomi di terra", farcite di aneddoti storici e folcloristici. Nuovi anche alcuni capitoli introdotti nell'edizione 2013: la patata viola, il mondo occitano e valdese e riferimenti alla tradizione ebraica e italiana. Ampio spazio poi alle ricette, introdotte da un breve incipit sulle caratteristiche della tipologia di preparazione. Ogni ricetta è poi dettagliatamente spiegata.

I trucchi del mestiere Suggestioni, esoterismi, chimica, biodinamica, inganni, codici, dilemmi, cloni...non si tratta di uno dei romanzi di Dan Brown, ma semplicemente di cibo. Quello che compriamo tutti i giorni: pane, mozzarella, pomodori, farina, uova, latte. Dario Bressanini, ricercatore presso il dipartimento di Scienza e alta tecnologia dell'università dell'Insubria a Como, cerca di trovare un capo al famoso filo di Arianna, andando alla ricerca della retta via per aiutare il consumtore a orientarsi tra gli scaffali dei supermercati, a leggere le etichette e a sfatare quei miti che ci fanno credere di acquistare prodotti con poteri eccezionali. Diversi i temi trattati, con esempi concreti e pratici, divisi per capitoli in base al prodotto in esame: dal kamut alla patata, dalla mortadella alla mozzarella di bufala, dai pomodori pachino alle uova, dal tonno al latte. Il volume pullula di saggezza scientifica, ricerche sulla psicologia umana, sfruttata in questo caso a tutto vantaggio di trucchi di vendita che funzionano benissimo. La prima parte è dedicata a "Suggestioni e trucchi del marketing", la seconda "Per una spesa più consapevole".

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Milano e Lombardia Tradizionali o innovativi MACELLERIA TRADIZIONALE Viale Gorizia 1 20144 Milano 02 89402732

Così, dopo i vari Cecchini, Falorni, Villa, Fracassi, Cazzamali, Motta, Martini, macellai famosi, professionisti ineccepibili che hanno saputo offrire alla ristorazione contributi di qualità, anche Milano vede affacciarsi nuovi protagonisti dell’offerta carnivora, decisi ad andare controcorrente ed a privilegiare tagli, frollature e consistenze un tempo impensabili. Fra gli interpreti migliori di questa tendenza ormai inarrestabile, abbiamo scovato un maestro della macelleria, Antonello Mastrandrea, che ha fatto della propria bottega un punto di riferimento per gli amanti della carne di qualità. Con molti anni di esperienza alle spalle, il titolare dell’esercizio si rivolge alla propria clientela partendo da un presupposto ben definito e del tutto trasparente: offrire il meglio possibile delle carni (soprattutto rosse, manzo e agnello in primis), garantendone tracciabilità totale, contribuendo alla crescita della cultura della carne e, soprattutto, sfatando il mito della (presunta) freschezza legata alla giovane età dei capi, e trasmettendo invece l’importanza delle lunghe frollature, in grado di garantire tenerezza, sapore e gusto, oltre che di appagare la vista di chi cerca carni marezzate e marmorizzate. Ovviamente, la qualità delle carni – come ben ci ha insegnato Jeff Martin, il guru delle carni di Eblex - nasce innanzitutto da come il bestiame viene allevato e alimentato, oltre che da come viene poi macellato, trattato e conservato. Sotto questo aspetto, Antonello è una garanzia: sia che si tratti di scottona bavarese o di fassone piemontese o, quando è possibile, di chianina, la selezione passa attraverso la scelta dei migliori fornitori, quelli più preparati e seri. Costi quello che costi. L’importante, poi, è non spaventare il cliente con prezzi da capogiro, ma re-

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stando con i piedi per terra e allineandosi alle richieste del mercato. Tra i progetti di Mastrandrea, quello di allestire a breve un meat corner nel quale proporre piatti sfiziosi a base di carne dal gusto memorabiile: carne cruda tagliata al coltello, mondeghili tradizionali, polpettine di vitello, cotolette e costolette, hamburger (ma lui preferisce chiamarle “svizzere”), braciole alla siciliana, carpacci. Anche se la vera forza della Macelleria Tradizionale sta nelle costate di manzo e nelle fiorentine, il cui “dry aging” (la frollatura) può anche superare i 21 giorni canonici, che rappresentano la media dei tempi di frollatura messi in atto da ristoratori specializzati. Ma Antonello guarda lontano: il suo pensiero va a Gallagher’s o a Peter Luger, per non dire di Porcelli & Malone o Smith & Wollensky, i grandi ristoranti di carne newyorkesi che amano tempi di frollatura decisamente estremi: fino a sei settimane e oltre in cella, a temperatura controllata, prima di essere deliziosamente consumate da gourmet senza troppe remore.

Deve essere stata questa l’intuizione dei proprietari della Pescheria da Claudio, la più famosa di Milano, quando decisero di affiancare al negozio l’attività di ristorazione: una intuizione vincente, a giudicare dalla occupazione dei tavoli del ristorante, al piano superiore della pescheria dove si esercita la vendita al dettaglio. Lo chef Gabriele Badini è a capo della giovane brigata che prepara, in questo ambiente semplice ma raffinato, pranzi leggeri, aperitivi sfiziosi a base di crudo e, in serata, cene gourmet decisamente più impegnative. I piatti sono eseguiti correttamente e il risultato gustativo è sorprendente. Da assaggiare: la cappasanta dorata con lampone e ostrica leggermente affumicata, il gambero viola caldo e freddo con mango, balsamico e basilico, la selezione di crudi in degustazione. Fra i primi, ravioli di branzino con emulsione di scampi, crema di fava, bieta rossa. Ottimo anche il risotto in bianco e nero di seppia. Impareggiabile il fritto, scelto

anche dai giurati di Sparkling menu (l’evento voluto da Villa Franciacorta per esaltare l’abbinamento cibo-bollicine), così come il polpo arrosto, germogli misti e olio alla vaniglia. Proposte creative, quelle di Claudio, che sanno di poter contare su una grande materia prima, apprezzata dalla clientela, anche internazionale, che frequenta il ristorante. Il servizio, seppure efficiente, è ancora migliorabile. Prezzi elevati, come la qualità.

RIFUGIO MARTINA Alpe dei Picetti, Loc. San Primo 22030 Magreglio (Co) 032 964695 www.rifugiomartina.com

Ci si arriva solo a piedi, con una passeggiata di mezz’ora che porta a 1.300 metri di altitudine, in un’oasi di pace e serenità da cui si gode una

DA CLAUDIO Pescheria dei milanesi

LEGENDA

Via Cusani 1 20121 Milano 02 8056857 www.pescheriadaclaudio.it

Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta

Quando si ha a disposizione una materia prima ittica ottima e freschissima, è naturale pensare di offrirla alla clientela cucinandola con cura ed amore.

Due corone = Linea di cucina corretta

Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza

Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Molto ragionevole Un cervello = Ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole


splendida vista. Aperto solo da maggio a settembre (durante gli altri mesi nei fine settimana e su prenotazione), il locale è uno degli ultimi rifugi alpini in pietra a vista, ai piedi del Monte San Primo, proprio di fronte alla Punta di Balbianello, sul lago di Como. Il locale ha molti coperti ed è su più livelli, sfruttati grazie al fatto di trovarsi in una vera e propria borgata alpina, fatta di case di pietra, viottoli e terrazzamenti. Ma, nonostante le apparenze che farebbero pensare a un luogo di rusticità estrema, qui si fa vera ristorazione, intesa nel senso più alto del termine. La forza del Rifugio Martina sta essenzialmente nella semplicità delle proposte, tutte preparate con ingredienti di qualità secondo una linea collaudata in decenni di gestione da parte della stessa famiglia (i Ticozzi, di Lezzeno): “da quarant’anni abbiamo sempre gli stessi fornitori”, ci dice il signore alla cassa, “e li abbiamo costretti a seguirci nelle nostre esigenze di continuità qualitativa”. Il risultato è davvero sorprendente: ottimo il pane, eccellenti i salumi degli antipasti (provate la pancetta piacentina e la bresaola della Valtellina, di un piccolo produttore), ottime le salsicce. La polenta viene proposta nella versione “uncia”, come è tradizione su queste montagne: burro d’alpeggio, formaggella fresca di latteria e farina di grano saraceno: una triade di ingredienti che garantisce la soddisfazione ai tavoli. Se ordinate lo stinco di maiale, dimenticatevi i precotti di impronta nazional-popolare: qui lo stinco è davvero buono e preparato nelle cucine dalle abili mani delle cuoche. Scarsa la scelta dei vini, ma si può comprendere che quassù la carta dei vini non sia proprio la priorità. Ma uno sforzo in più non guastrebbe: può sempre capitare chi voglia andare oltre una semplice (seppur buona) Bonarda o un Sassella. Nei fine settimana d’estate, i coperti triplicano e spesso si fanno anche i doppi turni. Nulla di male, per carità: il personale di servizio non vi metterà fretta e accontenterà le vostre esigenze

con attenzione e professionalità. Ec- le ansie di quella parte di clientela che cerca il “nuovo” ad ogni costo. I cezionali i prezzi, onestissimi. Magenes, così, ci hanno provato e, accanto ai grandi classici della cucina ANTICA OSTERIA locale lombarda (che continuiamo a MAGENES prediligere) hanno introdotto piatti diVia Cavour 7 versi, come “l’uovo al cartoccio cotto 20083 Barate di Gaggiano (Mi) a bassa temperatura con asparagi 02 9085125 parmigiano e cedro”, o il “risotto al www.osteriamagenes.it barbecue, miele all’edera e marsala”, o il “secreto di maialino iberico e salvia”, o i “garganelli e caffè, scampi, Fino a qualche tempo fa avremmo lime e pesto di zucchine e menta”. O, potuto definire questa vecchia osteria ancora, il “piccione e il suo gelato di come il regno della tipicità lombarda fegatini con caffè cioccolato e mancorrettamente eseguita. In tempi di dorle”. Tutti piatti che derivano sicurahamburgherie e sushi restaurant do- mente da un impegno di ricerca da vunque, non ci sembra davvero poco. parte della chef e dei titolari (una faMa la tipicità dei Magenes sembra miglia dedita totalmente alla ristoraessersi recentemente evoluta e, pur zione), ma che depistano chi è alla riapprezzando la tradizione e le sue re- cerca di autenticità e tradizione. Ma, gole, tende ad offrire qualcosa di più, siccome tutte le strade (se di qualità) con sforzi creativi (recentemente in- sono lecite ed apprezzabili, ci riprotrodotti in carta) che vorrebbero essere mettiamo di ritornare presto dai Macoerenti con la proposta complessiva genes per degustare anche i piatti del locale. Intendiamoci, chi scrive nuovi. Carta dei vini superba, con il sceglie questa trattoria autentica, alla meglio di Lombardia. Prezzi corretti. periferia ovest di Milano, subito dopo Trezzano, proprio per le specialità re- LA MICA gionali e locali, che qui sono eseguite Corso Porta Ticinese 50 alla perfezione: grandi salumi di Lom- 20123 Milano bardia, testina di vitello, superbo www.michetteria.it risotto giallo alla milanese (ha persino vinto il primo premio, nel 2010, come miglior risotto della città), cotoletta di vitello con patate novelle, ma anche Elogio della michetta: il pane più ravioli di culatello (variante emiliana) tipico della tradizione meneghina semcon burro e salvia, “i” mondeghili bra avere trovato il proprio tempio, con maionese di piselli, brasato e ma anche la propria riscossa. Ha cassoeula quando è momento. Insom- aperto da poco questo localino milama, qui ci si viene per gustare la tra- nese, proprio di fronte a Guru, che indizione, che è sempre più difficile da tende valorizzare l’autentico panino trovare e apprezzare. Forse proprio milanese, proposto imbottito con: saper questo, qualche tempo fa, avevo lame di felino, pancetta, fiocco, coppa, messo in guardia contro le tentazioni mortadella, prosciutto cotto alle erbe, creative, che spesso rischiano di sna- prosciutto crudo di Parma. Idea semturare l’offerta e di compromettere il plicissima, per dare una risposta ai gradimento della clientela, magari un fanatici dello street food. È aperto po’ troppo supinamente abituata al dalle 11 alle 2.30 della notte, con “buono” che, senza il minimo dubbio, chiusura solo il lunedì. I prezzi? Buoni: sa di potere sempre trovare in questo i panini costano 4,50 ciascuno, unom luogo di raro fascino. Eppure, sembra per l’altro. Il De Luxe, con culatello e ormai obbligatorio misurarsi con sfide bibita compreso, è proposto a 7.50. nuove, cercando di soddisfare anche Curiosa la presenza in menu di un pa-

nino chiamato Speciale Enzo e dedicato a Enzo Jannacci: con mortadella e gorgonzola, a 5 euro. Il pane è buono, i salumi accettabili (provate la michetta con la porchetta di Ariccia, ottima): ma la forza del Mica sta nell’idea innovativa, seppure “antica” e semplice: cosa c’è di più normale di un buon sandwich, quello che i milanesi una volta chiamavano in dialetto sanguiss? Offrire street food a tutti, anche attraverso la consegna a domicilio (Mica Delivery, 331 8472552), una formula sempre più apprezzata dai milanesi.

TRATTORIA DA GIORDANO IL BOLOGNESE Corso Genova 3 20123 Milano 02 58100824 www.dagiordanoilbolognese.com

È subentrato nella gestione, da meno di un anno, il figlio del vecchio proprietario, purtroppo mancato improvvisamente. La conduzione del localino di Porta Genova non è sostanzialmente cambiata: al centro dell’unica sala un po’ vecchiotta (ma immutata nei decenni!), il buffet degli antipasti (fresco e rimpiazzato con rapidità) invoglia il goloso a rimpinzarsi, in attesa delle comande. Frittattine alle erbe, vitello tonnato, la vera mortadella di Bologna, salumi, polpettine e tante, tante verdure. Per i primi, lasciatevi consigliare dal giovane titolare (uno che sa il fatto suo) o dai solerti camerieri in divisa (un retaggio di classicità del servizio che fa sempre piacere riscontrare). Se ordinate gramigna fresca con salsiccia o tagliolini con ovoli freschi (ora che siamo in stagione) non ve ne pentirete. Ma anche le “strette” al sugo di fagianella non sono male, così come le tradizionali tagliatelle al ragù. Fra i secondi, accanto a piatti collaudati e senza tempo, troverete anche un’ottima punta di vitello al forno. Discreta carta dei vini, servizio efficiente e prezzi sotto i 35 euro per un tuffo nel passato, lontano dalle mode. Artù n°57

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Editore: Edifis S.p.A. Viale Coni Zugna, 71 - 20144 Milano tel 02 3451230, fax 023451231 info@edifis.it - www.edifis.it

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Artù n°57

NERINODIECI Via Nerino 10 20123 Milano 02 39831019 www.nerinodieci.it

Cucina a vista per questo locale in pieno centro, fra le colonne di San Lorenzo e Piazza del Duomo. Una gestione sveglia, verrebbe da dire, molto attenta alle esigenze di qualità (e di portafoglio) della clientela milanese: basti pensare che a pranzo c’è un menu del giorno a 12 euro che propone un antipasto, un secondo, acqua minerale o un calice di vino a scelta dalla carta, caffè. Ci vuole coraggio e, a prima vista, sembra che i due signori che conducono Nerinodieci ne abbiano da vendere! Dopo avere letto la recensione dell’amico Visintin sul Corriere, ho voluto provare i piatti segnalati: le mazzancolle in tempura con maionese di soia sono risultate ottime, così come la tartare di tonno. Notevoli anche le insalate (come da segnalazione di un amico americano che ne ha assaggiate di quattro tipi diversi) e i primi piatti: i bucatini cacio e pepe con guancialino fanno invidia a quelli di Fabioalvelavevodetto, al Testaccio (nel cuore di Roma). Ottimi anche gli gnocchi freschi con ricotta, pomodoro e basilico, il tonno fresco in crosta di pistacchi e, fra i dolci, la tarte tatin col gelato alla crema. Un ristorante “umano” da tenere ben pre-

sente, in cui si percepisce l’anima professionale della gestione. Prezzi superonesti e vini decenti.

JOIE DE VIVRE BISTROT Via Francesco Ferrucci 22 20145 Milano 02 3492730 www.joiedevivrebistrot.it

Non aspettatevi un bistrot, come vorrebbe l’insegna, ma un ristorante elegante su più livelli, con un’atmosfera vagamente british (come da esperienze internazionali del patron). Ambientazione dunque elegante per una cucina di impronta decisamente mediterranea, nel senso più autentico della parola. I piatti che escono dalla cucina, infatti, ricordano con i loro profumi e i loro colori le grandi cucine del sud: paccheri ai moscardini e cipolla fritta, linguine ai frutti di mare, tortelloni al nero di seppia. E poi un grande fritto misto di paranza, un filetto di tonno al sesamo che si farà ricordare (sembra essere il piatto-bandiera del locale), un buon baccalà su crema di basilico e olive. Il patron, gentile e professionale, suggerisce ai tavoli la linea del menu: ascoltatelo con fiducia, anche se vorreste ordinare dalla carta. In ogni caso non condizionerà le vostre decisioni (come spesso ancora accade in molti locali). Fra i secondi va assaggiata la “padellata limousine”: carpaccio di spigola e code di gamberi con insalate fresche, belga, radicchio, rucola, lattuga, songino e altre. Anche Joie de Vivre propone un lunch menu a 15 euro ma la sera prevedete per una cena normale una cifra di 40 euro senza vino. Ottima e ricca la carta dei vini, servizio ai tavoli buono ma ancora migliorabile, soprattutto se il ristorante è pieno.




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