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Artù n°58 - Settembre - Ottobre 2013
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Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati
Famiglia Iaccarino: a Sant’Agata sui Due Golfi vincono stile e passione Sommelier tristellati all’anteprima di Coevo 2011, il gioiello dei Cecchi Gewürztraminer: la Cantina Tramin fra degustazioni e grandi chef Chef e patron: Arrigoni, Bertolini, Corelli, Cornaro, Genovese, Tinari Provenza, Hostellerie de l’Abbaye: il lato rural-chic di Alain Ducasse
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EDITORIALE n°58
Il sistema che verrà
Ve lo ricordate l’understatement? Una dozzina di anni fa sembrava essere il nuovo valore che avrebbe dominato nella società (e nell’economia) del futuro. Secondo sociologi, ricercatori, uomini di marketing ecc., la necessità di un "ritorno alla semplicità" era auspicabile: e la cosa riguardava la vita di tutti i giorni, il cosiddetto lifestyle, l’alimentazione, le abitudini, il modo di relazionarsi con gli altri. "Rilassatevi!" sembrava essere il motto a cui uniformarsi, dopo tanti anni di yuppismo dilagante e di ansie di protagonismo francamente iperboliche. Erano i tempi degli agriturismi, del rural chic, della fuga dalle città inquinate, della bella trattoria fuoriporta: un tempo in cui il benessere acquisito generava sicurezze e, con le sicurezze, il desiderio di trovare tutte le strade possibili per
stare meglio. Anche nella ristorazione questa parola d’ordine si diffuse a macchia d’olio: e via con l’esaltazione della cucina povera, dei piatti semplici, degli ingredienti genuini, delle sane tradizioni del passato. Era una tendenza abbastanza generalizzata, direi di massa: molti pensavano al benessere in chiave zen, altri con l’illusione (oggi possiamo definirla così) di raggiungere equilibri interiori e serenità psicofisica. Come sembrano lontani quei tempi… . Oggi il benessere, più che un obiettivo, sembra essere una branca del business (spa, massaggi, palestre ecc.) e, più che nutrirsi di sane passeggiate nei boschi, rimanda ad esperienze economicamente impegnative, destinate alla clientela internazionale più che alla gente comune, agli italiani in difficoltà economica. Già, con la grande crisi
gli italiani hanno ulteriormente ridimensionato abitudini, stili di vita, acquisti e, soprattutto, motivazioni. Un peccato, imputabile certamente a fattori recessivi ma anche a incompetenza e corruzione di gran parte della politica, concentrata sui propri affari e non certo sulla crescita del paese. D’altronde, per l’industria dell’ospitalità è sempre più arduo fare profitti con la clientela italiana: le grandi opportunità arrivano da fuori e, viene da dire, per fortuna! La crescita dell’export (di vini e food di qualità) è ormai da anni un dato acquisito. E la tendenza non riguarda solo la fascia alta delle produzioni, ma l’intero comparto del food e del beverage. Tra i nostri confini, è sempre più frequente sentire, dopo questi mesi di vera manna per albergatori e ristoratori
di qualità (ubicati nei bacini "giusti", logicamente), frasi del tipo: "Meno male che ci sono gli stranieri, che fanno girare il lavoro. Se fosse per i nostri connazionali, potremmo chiudere!". Frasi amare, certamente, che fanno riflettere sulla "condizione degli italiani", ma che paradossalmente possono contribuire a migliorare la "situazione italiana". E che ci fanno anche capire quanto sia ormai fondamentale lavorare in modo globale, uscendo una volta per tutte dai limiti oggettivi che ancora contraddistinguono la nostra offerta di ospitalità, troppo spesso banale e approssimativa, priva della cultura necessaria ad affrontare una domanda sempre più esigente. Oggi (noi per la verità lo diciamo da molto tempo) non possiamo più permetterci un approccio scontato ai problemi. Dobbiamo mirare l’offerta, sapendo distinguere fra le esigenze di un cliente francese e di uno russo, di un americano o di un arabo, riuscendo ad offrire servizi differenziati ed eccellenti, competitivi e strutturati. Certo, l’impresa è complicatissima e non potranno farcela tutti: ma da questa nuova centralità del mondo, conseguente a una indubbia uscita di scena della clientela media italiana, nasce anche una considerazione positiva. Chi ha le carte in regola e lavora sulla qualità (in qualunque tipologia di offerta si trovi ad operare) ce la potrà fare. Ai livelli più alti - dove già la professionalità è un valore - forse sarà più semplice. Ma "il sistema che verrà" deve coinvolgere tutti, nessuno escluso. Se questo avverrà, nel mondo che cambia troveremo il nostro dignitosissimo spazio. Ce lo meritiamo, nonostante tutto. Alberto P. Schieppati Artù n°58
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In copertina: un piatto magistrale di Ernesto Iaccarino, i Paccheri di Gragnano cacio pepe e scorfano di roccia. La cucina del Don Alfonso 1890 si conferma un grande esempio di originalità creativa e sapiente utilizzo di straordinarie materie prime. (la fotografia è di Ennio Calice).
Info people L’ospitalità di RHEX sempre più international di Elisa Facchetti La Puglia del vino. Qualità al top Marchesi, Zoppas e Frescobaldi. E 130 nuovi cuochi ad Alma Info brand Cesari, Cafaggio, Tolaini. Welsh Lamb, Pommery... Friulano&friends 2013. Vinca il migliore! di Giovanna Moldenhauer Focus wine Indovina cosa bevo a cena di Stefania Zolotti Coevo 2011, anteprima d’eccezione di Giulia Dirindelli Protagonisti wine Gewürztraminer, passione di vino di Giovanna Moldenhauer Henri Bourgeois e Clos Henri: due realtà, una famiglia di Giovanna Moldenhauer Protagonisti food La cucina mirabile di Ernesto Iaccarino di Alberto P. Schieppati Enrico Bartolini, autentico e complesso di Anna Pesenti Pierangelo Cornaro, la passione è il suo mestiere di Anna Pesenti Famiglia Tinari, concretezza italiana di Alberto Lupetti Hostellerie de l’Abbaye, la Provenza di Ducasse di Gualtiero Spotti Format food Igles Corelli, Atman guarda avanti di Luisa Contri A Roma c’è un Pagliaccio che cambia ogni giorno di Luisa Contri Osteria della Brughiera, certezze e sapienza di Gualtiero Spotti Equipment Nasce Theresia, per un caffè perfetto di Luisa Contri Toollio, l’universatile alleato in cucina di Elisa Facchetti Dal mondo Småland, Svezia: il lusso della semplicità di Gualtiero Spotti Libri Street food all’italiana e dolci senza glutine di Elisa Facchetti Secondo Artù Price for value tra Garda, Tirolo, Bellagio e Milano
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L’ospitalità di RHEX sempre più international in ogni dettaglio il comparto di riferimento. Seafood & Processing MSE, l’unica fiera italiana incentrata sul prodotto ittico, Selezione Birra &Beverage, Food&Frigus con il ritorno del settore del freddo e del prodotto surgelato, Specialità Regionali vino & olio extra vergine di oliva, Contract&Design, Cooking&MiseEnPlace, Hotellerie&Wellness, Tecnologie & Servizi, sono questi i grandi "valori" di RHEX, a cui faranno da corollario numerose iniziative. "Crediamo che sia la strada giusta - afferma Patrizia Cecchi -. Le otto anime che caratterizzeranno la manifestazione si compenetreranno vicendevolmente e spazieranno dal mondo della ristorazione a quello dell’ospitalità, passando per le ultime tendenze del design e del contract, unendo in un solo contesto non solo prodotti, ma anche iniziative culturali, show cooking, concorsi, mostre, degustazioni, dibattiti, convegni, tavole rotonde, incontri business internazionali.
ufficio marketing estero. Un servizio molto apprezzato dagli espositori che intendono approcciare i mercati europei ed extra europei senza ulteriori costi aggiuntivi". Grande l'attenzione rivolta ai buyer esteri con l'obiettivo di dare continuità alle attività svolte nella scorsa edizione e aumentarne il numero: "Uk, Germania, Austria e Svizzera, Francia (Parigi e Costa Azzurra), Turchia; Russia (San Pietroburgo e Mosca), Ucraina (Kiev), Polonia, Rep. Ceca, area Balcanica; Nord Africa: Marocco, Tunisia, Egitto, Algeria USA ed Estremo Oriente. Questi sono i paesi dove è in atto la selezione dei buyer e un'azione di promozione di RHEX". Ma quali sono i cardini su cui si fonda questo progetto? "Il progetto volto all'internazionalizzazione del business delle aziende e quindi della manifestazione si fonda su tre principi - ci spiega Patrizia Cecchi -: incoming dei buyer; outgoing , ovvero una serie di workshop B2B che
Altro valore aggiunto di RHEX - prosegue il Direttore Business Unit di Rimini Fiera - è rappresentato dall'interazione proattiva tra domanda e offerta e dalla presentazione di nuovi format e modelli di business innovativi per il comparto del fuori casa. Inoltre, anche nell’edizione 2014, le aziende potranno incontrare i buyer esteri sui propri stand espositivi secondo un’agenda concordata prima dell’inizio della fiera con il supporto del nostro
si svolgeranno nel corso dell'anno in quattro Paesi target che hanno un forte interesse per i prodotti made in Italy e dedicati alle aziende espositrici di RHEX; export management, piattaforma consulenziale permanente di servizi di internazionalizzazione". E con questi importanti progetti le previsioni per la nuova edizione di RHEX non possono che essere incoragginati: "L’obiettivo - conclude Patrizia Cecchi - è quello di replicare il successo dell’edizione 2013, che ha registrato oltre 53.000 visitatori professionali, 7.000 business meeting con buyer provenienti da tutto il mondo, 357 giornalisti accreditati, grandi nomi dell'hotellerie internazionale e della cucina stellata e venire ancor più incontro alle esigenze del mercato con la nuova calendarizzazione fissata a inizio febbraio 2014".
di Elisa Facchetti
info RHEX Dove Quando Info
Rimini Fiera dal 2 al 5 febbraio 2014 www.rhex.it
A quasi un anno di distanza Artù torna a parlare di RHEX, il salone dedicato al mondo dell'horeca, per svelare con Patriza Cecchi, Direttore Business Unit di Rimini Fiera, le novità dell'edizione 2014 e fare un bilancio sul mondo dell'ospitalità. Se la scorsa edizione era tutta da scoprire, quest'anno RHEX promette scintille. L'appuntamento internazionale con il mondo del "fuori casa" punta i riflettori sui buyers stranieri, attratti dalla qualità del made in Italy e dall'eco della prima edizione. L'edizione 2014, dal 2 al 5 febbraio, vuole conferire maggior risalto alla formula vincente adottata nella prima edizione: saranno otto le tematiche che caratterizzeranno la mostra, al fine di valorizzare
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La Puglia del vino Qualità al top Fra le aziende presentate ad un ristretto panel di giornalisti specializzati, spicca la Tenuta Fujanera (www.fujanera.it), ubicata nella campagna foggiana: notevole il Bellalma, una straordinaria falanghina in purezza, prodotto in poco più di quindicimila bottiglie. La leggera aromaticità, insieme alla salinità e alla freschezza, fanno di questo vino un prodotto di alta versatilità, perfetto nella ristorazione d’autore (notevole l’abbinamento con il pesce crudo, ma anche con formaggi stagioUna recente degustazione di etichette nati ed erborinati). Fujanera “è il pugliesi, organizzata magistralmente, sogno di una vita”: una antica masseria ha consentito di “scoprire” nuove re- in cui la proprietà ha impiantato prima altà vinicole, connotate dall’imperativo il Nero di Troia (di cui abbiamo testato della qualità. La Puglia è una regione un ottimo vino “in divenire”, l’Angelo particolarmente interessante per l’eno- Ribelle, imbottigliato da solo un meappassionato, ma anche per il gour- se!), poi Falanghina e Negroamaro, met, in virtù di una offerta di vini e con risultati sorprendenti. Un’altra cucina decisamente superiori rispetto azienda che vanta una produzione viad altri bacini territoriali, oltre che nicola di eccellenza è Casaltrinità in costante e progressivo migliora- (www.casaltrinità.it), una realtà imprenmento qualitativo: non a caso, i vini ditoriale di prim’ordine situata a Trinidegustati (tutti Puglia Igt o Doc) tapoli (Fg). Notevole si è rivelata la desono proprio la conferma di questa gustazione di Coppamalva 2009, un grande rosso (70% Nero di Troia, 30% tensione verso l’eccellenza. Cabernet Franc). Prodotto in 20mila bottiglie, di spiccato equilibrio, risulta perfetto nel rapporto fra acidità e tannicità, e si abbina magistralmente alla cucina del territorio, ma anche a selvaggina e grandi piatti a base di carne rossa. L’azienda ha proposto in degustazione anche il Padre, un Nero di Troia in purezza, connotato da ottima struttura e rotondità, sicuramente agevolata dall’affinamento in barrique di rovere francese. Prodotto in 4.000 bottiglie, di colore rosso rubino con riflessi violacei, è dedicato al presidente dell’azienda. Un’altra azienda, stavolta di Massafra (Ta), ha presentato i propri vini di alto livello qualitativo: Amastuola (www.amastuola.it) è una realtà familiare di impronta innovativa, ispirata totalmente alla cultura biologica. Un gruppo di sei persone, mosse dall’obiettivo di produrre qualità, ha saputo creare il “più grande vigneto biologico d’Italia” (e terzo in Europa): siamo a Massafra, in provincia di Taranto, dove negli oltre 100 ettari di famiglia si pro-
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ducono grandi vini come il Bianco Salento 2012 (75% Malvasia, 25% Fiano Minutolo) e il Primitivo (100% in purezza). Vino semplice, pulito e fresco il primo, più strutturato e ricco il secondo, dal retrogusto morbido e con fantastici sentori di spezie, cioccolato, caffè tostato e frutti di bosco maturi: due etichette destinate a stupire e a conquistare il consenso degli intenditori. Anche Centovignali (www.centovignali.it) è una realtà incredibilmente tesa alla qualità: il marchio è collegato all’Azienda agricola F.lli Rossi, di Sammichele di Bari, zona fortemente vocata alla produzione del Primitivo, che qui si esprime nei suoi massimi vertici: nel 2004 l’azienda, guidata con dedizione e passione dall’architetto Vito Rossi, decide di puntare sulle potenzialità del territorio, valorizzando i vitigni autoctoni pugliesi, espressione della tipicità del territorio d’origine. L’obiettivo si direbbe raggiunto, vista la gradevolezza dell’Albiore 2012 (90% Fiano Minutolo), un Puglia Igt che fa solo acciaio e che colpisce per la sua pienezza di profumi floreali, con note fruttate esotiche e una spiccata carica aromatica, tipica del suo terroir. L’altro vino degustato, l’Indellicato 2009, è un Gioia del Colle doc Primitivo al 100%, un grande rosso (che pure
non fa legno) che racconta tutto il calore della sua terra d’origine. La degustazione di grandi (e spesso inediti) vini pugliesi ha poi visto protagonista la Tenuta Macchiarola (www.macchiarola.it), “il Salento che non ti aspetti”, come recita il lay out della comunicazione stampa dell’azienda di Lizzano (Ta). Il Don Franco 2011 ha rivelato fin dall’olfatto un forte legame con il territorio, in grado di esprimere tipicità e grande pulizia: Negroamaro in purezza, prodotto in circa 5.000 bottiglie, è un vino “di costiera”, espressione speculare di un terroir straordinario. L’altro vino proposto, che in etichetta riporta la simpatica definizione Unodinoi, Primitivo di Manduria, mette in evidenza la naturale eleganza, la bevibilità e la gradevolezza del vitigno, senza però rinunciare a note di prugna fresche e di spezie. Due rossi che sono stati una rielezione, un’altra scoperta di questa Puglia vinicola, varia e differenziata, fatta da imprenditori appassionati e coraggiosi, che non si fermano davanti a nulla e che sostengono con grande amore le potenzialità espressive di territori anche molto diversi fra loro.
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Marchesi, Zoppas e Frescobaldi. E 130 nuovi cuochi ad Alma Alma, diplomati i nuovi Cuochi Sono 130 i neo cuochi professionisti della Cucina Italiana diplomati nell’ambito della XVIII e XIX edizione del Corso Superiore di Cucina Italiana indetto da Alma, il più autorevole centro di formazione della Cucina Italiana a livello internazionale sotto la guida del Rettore Gualtiero Marchesi. Enzo Malanca, presidente di Alma, ha voluto sottolineare l’ottimo risultato conseguito ricordando che “dal 2004 su 1052 iscritti si sono diplomati 838 cuochi professionisti”. Questo per confermare ancora una
volta la validità dei corsi organizzati da Alma, al fine di “formare professionisti che siano ambasciatori della cultura agroalimentare italiana nel mondo, un settore in cui l’Italia è maestra e che va difeso partendo innanzitutto dalla base, la formazione”. ll presidente ha inoltre annunciato l’avvio di una importante partnership tra la scuola di Colorno e Obiettivo Lavoro, agenzia di collocamento specializzata nell’ambito Hotellerie e grandi catene alberghiere: gli studenti potranno usufruire gratuitamente dei servizi di consulenza offerti da Obiettivo Lavoro, oltre al portale Alma link, già istituito internamente per facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Tra i 68 studenti della XVIII edizione del Corso che hanno conseguito il
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diploma di Cuoco Professionista di Cucina Italiana, una menzione particolare meritano Cecilia Castellani e Andrea Carena, che con il punteggio di 93/100 e 91/100 si sono rivelati i migliori allievi. La XIX edizione si è conclusa con la proclamazione di altri 62 cuochi professionisti: qui si sono distinti Francesco Sangalli, miglior allievo con il punteggio di 90/100 e Doriana De Rosa con la miglior tesi “Scoperte. Dal Friuli al Veneto”. Francesco Sangalli, ventitreenne di Brescia, ha svolto lo stage al Ristorante Torre del Saracino di Vico Equense (Na) dallo chef Gennaro Esposito.
A Tavola sulla Spiaggia Cruciani Award, quello dei famosi braccialetti in macramè; il premio Pakerson, brand delle scarpe di lusso su misura; una scultura in marmo del maestro greco John Bizas; week-end culturali negli alberghi della catena UNA Hotels; gli
argenti di Cassetti, il premio Locman, vini pregiati in magnum, sono soltanto alcuni dei premi della XXI edizione di A tavola sulla spiaggia a Forte dei Marmi. Come da tradizione, in abbinamento ai 12 piatti in rassegna, altrettanti vini che hanno raccontato il loro terroir. Dai Colli Orientali del Friuli Eugenio Collavini, dal Trentino lo spumante Ferrari, dal Veneto Aneri, Bellussi e Zenato, dalla Toscana Cecchi, Podernovo e Castello di Vicarello, dall’Umbria Arnaldo Caprai, dalla Sicilia Feudi del Pisciotto e champagne Basetta. In giuria Beppe Bigazzi, ristoratori stellati e produttori di vino. Da New York Sirio Maccioni e Cesare Casella. Dall’Italia Davide Oldani, Aimo e Nadia e gli “stellati Michelin” della costa Andrea Mattei, Lorenzo Viani, Romano Franceschini e Luca Landi a cui si sono affiancati Sergio Dondoli “Gelato World Champion” e Massimo Torrengo nominato “Chef d’Autore”. Per la prima volta in giuria anche Renato Pozzetto che ha aperto un ristorante a Laveno, la Locanda Montecristo e Gino Paoli che ha presentato il proprio olio extravergine d’oliva prodotto nel suo podere di Campiglia Marittima.
Nuovo presidente Frescobaldi Sarà Lamberto Frescobaldi a coordinare da ora in poi la nota e storica azienda vitivinicola toscana, confermando la grande tradizione che da sempre distingue Marchesi de’ Frescobaldi. Lamberto, parte della trentesima generazione della famiglia,
Lamberto Frescobaldi classe 1963, è da sempre appassionato di agricoltura, una passione che lo conduce a conseguire nel 1987 la specializzazione in viticultura alla Davis University in California, una delle migliori al mondo in campo enologico. La sua vocazione vitivinicola e agricola gli ha permesso di gestire l'azienda familiare nel pieno rispetto delle tradizioni e delle realtà territoriali e produttive delle diverse tenute di proprietà, con occhio sempre rivolto al progresso e all'innovazione, fino all'elezione di presidente. Queste le sue parole: “Ringrazio chi ha creato e sviluppato in tutti questi anni l’azienda: mio padre Vittorio, che per oltre 50 anni con la sua imprenditorialità mi ha insegnato l’amore per la terra ed il rispetto per il lavoro, un pensiero particolare ai miei zii Ferdinando e Leonardo che hanno contribuito in modo determinante al successo della Marchesi de’ Frescobaldi con il loro impegno. Vorrei sottolineare che la mia nomina a presidente costituisce un passaggio generazionale condotto nel segno della continuità, ma con una attenzione particolare ai cambiamenti in un mondo in continua evoluzione. Il mio impegno primario sarà quello di rendere l’azienda sempre più dinamica, competitiva nell’eccellenza e con una sempre maggiore armonizzazione e motivazione di tutte le componenti aziendali.”
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Il nuovo stabilimento
Il Maestro Marchesi festeggia in Brianza Festeggiati i prime tre anni di vita del ristorante Antico Borgo della Madonnina, ad Annone Brianza (in provincia di Lecco). Special Guest, Gualtiero Marchesi, che di anni ne ha invece ottantatre (e non li dimostra affatto, vista anche la nuova avventura di Agrate Conturbia, v. news sul sito www.artumagazine.it) e ha ovviamente richiamato l’attenzione dei tanti presenti, invitati alla cena dalla Federazione Cuochi, guidata da Cesare Chessorti e Sergio Mauri. La cena di quattro portate è stata realizzata da Giovanni ed Alessandro Mooney, i geniali fratelli chef de L’Ulmet di Milano, in collaborazione con la brigata dell’Antico Borgo. Il ristorante brianzolo, diretto con grande professionalità da Aldo Colombo, è la seconda creatura di Ambrogio Gilardoni, il patron di un altro locale di successo, la Madonnina di Barni. Fra i presenti, molti imprenditori della zona e – anfitrione d’eccezione – Enrico Mooney, lo storico patron de L’Ulmet nonché padre della coppia di giovani cuochi.
Ambrogio Gilardoni e Gualtiero Marchesi
Nuovo stabilimento Acqua San Benedetto Enrico Zoppas, presidente di Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. e il presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo, hanno di recente
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Enrico Zoppas siglato l’accordo per la realizzazione del nuovo impianto di imbottigliamento di Viggianello dell’acqua minerale della sorgente Mercure, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino. L’apertura del cantiere, prevista ad ottobre 2013 e start up produttivo a settembre 2014, prevede un investimento inziale di oltre 12 milioni di euro, finanziati dalla Regione Basilicata. Il piano industriale, presentato dalla Viggianello Fonti del Pollino, società controllata al 100% dal Gruppo San Benedetto, prima azienda a capitale interamente italiano di tutto il mercato del beverage analcolico, vedrà la realizzazione di un impianto che occuperà una superficie di 32 mila metri di cui 5.519 metri quadrati di superficie coperta, 1.660 metri quadrati destinati alla produzione, 1.000 metri quadrati al deposito di materie prime. La capacità produttiva a regime sarà di 150 milioni di bottiglie l’anno, nei formati da mezzo litro, 1 litro, 1,5 litri e 2 litri e nella fase iniziale saranno impiegate 15 unità lavorative, un numero di addetti destinato a crescere per l’aumento nel corso degli anni delle linee di imbottigliamento. Con lo stabilimento di Viggianello, il Gruppo San Benedetto rafforzerà la propria presenza nel Sud Italia, al fine di valorizzare le realtà delle reti di acque locali di alta qualità fortemente radicate nel territorio nazionale.
Non di solo Pane Arte a Milano È questo il nome dell'importante progetto pluriennale e multidisciplinare che rientra a pieno titolo tra gli argomenti proposti da Expo 2015,
patrocinato, tra gli altri, dalla Provincia di Milano e dall'Unione Panificatori Lombardia. Forse sarebbe più corretto non ridurre l'iniziativa a un semplice progetto, ma parlare di una grande forma di arte capace di coinvolgere diversi settori, in coerenza con il tema di Expo 2015 "Nutrire il pianeta, energia per la vita". A dirigere i lavori, tra i numerosi operatori e promotori dell'iniziativa, Susanna Vallebona, fondatrice di SBLU_spazioalbello, associazione culturale senza fini di lucro, che si propone di promuovere la creatività in tutti i suoi aspetti. Proprio da lei è partita, già nel 2010, la proposta di "Non di solo pane", al fine di divulgare una riflessione artistica sul pane e sull'alimentazione, tale da coinvolgere diversi significati. Il tema sarà infatti esplorato in cinque ambiti differenti: pane come alimento primario per il corpo; pane come simbolo di trasformazione della materia, come riflessione sullo sfruttamento delle risorse naturali, come indagine sul consumismo e sulla distribuzione della ricchezza nel mondo, come ricerca di nutrimento spirituale, morale ed etico. L’invito è quello di partecipare al progetto creando un’opera dedicata ad hoc e già 150 artisti tra pittori, scultori, musicisti, fotografi, designer, poeti e tante altre figure
"artistiche", hanno aderito all'inziativa. Non solo artisti professionisti: Non di solo pane ha voluto coinvolgere anche i giovani studenti delle Accademie di Belle Arti di Bologna e delle Scuole Superiori, ISIA Monza. Sono inoltre chiamati a partecipare anche i designer professionisti appartenenti a ADI Lombardia (Associazione per il Disegno Industriale Lombardia) e AIAP (Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva) che hanno concesso il loro patrocinio all’iniziativa. Il progetto si concretizzerà attraverso una serie di eventi che si sviluppano tra il 2013 e il 2015 e che vedono Milano, e non solo, luogo di mostre, performance, concerti, incontri e conferenze. Primo appuntamento il 22 ottobre allo Spazio Orso 16 con la prima mostra “Aria, acqua, terra e fuoco: alchimia del pane”. Il secondo appuntamento 2013, fissato per fine novembre, prevede una nuova mostra allo Spazio Oberdan della Provincia di Milano, che racconta il "ciclo di vita" del pane e due eventi collaterali, uno legato alla cinematografia con un film di Beppe Arena e l'altro alla musica con una performance al pianoforte del del Maestro Christopher Pisk. Anche Artù, in qualità di media partner, sostiene il progetto di Non di solo pane.
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Cesari, Cafaggio, Tolaini. Welsh Lamb, Pommery... Agnello gallese, scelta di qualità
La qualità dell'agnello gallese convince sempre sempre più e a distanza di dieci anni dall'introduzione in Italia ha raggiunto livelli di gradimento inaspettati: nei primi mesi di quest’anno le esportazioni hanno di fatto registrato un incremento pari a +29% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il giusto rapporto qualità/prezzo rappresenta poi sicuramente un’altra caratteristica per cui l’agnello gallese viene scelto sempre più dal consumatore italiano. “È sempre importante per prodotti di standard elevato come il nostro - ha commentato Jeff Martin, responsabile HCC Meat Promotion Wales in Italia - essere presenti a manifestazioni ad ampio respiro come Tuttofood, che possano garantire un’audience di livello per poter diffondere al grande pubblico di consumatori la distinzione tra ‘mediocrità’ e ‘qualità’. Anche in periodi non facili come quello che stiamo vivendo, è fondamentale spiegare al consumatore che un’alimentazione sana e corretta, a prezzi competitivi, può apportare solo vantaggi, nel breve e nel lungo termine. Mai sacrificare la qualità ed il gusto
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per un lieve risparmio”. Conclude Jeff Martin: “Anche la distribuzione italiana è consapevole del valore aggiunto che rappresenta il marchio di indicazione geografica protetta e il fatto di poter identificare il Welsh Lamb IGP sui punti vendita sta rappresentando per noi un fattore di grande importanza”. L'HCC, l'ente responsabile per lo sviluppo, la promozione e la distribuzione delle carni del Galles, ha anche il compito di collaborare con le aziende agricole per migliorare la qualità degli allevamenti e quindi della carne. Tra gli allevatori una nota di merito spetta a Daphne Tilley, signora gallese che produce carne ovina richiesta dai più rinomati chef di Londra. Daphne invita gli chef a visitare di persona le sue fattorie affinché possano testare direttamente la qualità della produzione e rendersi conto dell’entusiasmo con cui la famiglia Tilley svolge da anni questo lavoro.
Pommery al Perini Navi Cup 2013 Anche quest'anno gli Champagne Pommery hanno accompagnato il prestigioso evento Perini Navi Cup, la regata sui velieri più attesa dagli amanti del mare che quest'anno è stata allietata dalla spledida cornice della Costa Smeralda. E dalle bollicine Pommery, dal welcome cocktail allo yacht club Costa Smeralda, al vhernier after race cocktail party fino alla cena di gala. Per l'evento sono infatti state stappate
oltre 1000 bottiglie delle preziose cuvée della Masion - Pommery Noir, Blanc de Noirs, Silver Apanage e Cuvée Louise - e tutte le imbarcazioni omaggiate ogni giorno della regata con una Magnum Pommery Noir personalizzata con il nome della nave. Così come gli ospiti vip dell'evento, coccolati dalla Gold POP Pommery, i mini champagne dall'elegante packaging dorato. Tre bottiglie formato Mathusalem della preziosa Cuvée Louise, il brand più prestigioso della Maison, sono state consegnate ai primi tre classificati della competizione da Mimma Posca, AD di Vranken-Pommery Italia: "Ormai la Perini Cup è diventata un appuntamento consolidato e uno degli eventi imperdibili per Vranken-Pommery: le affinità elettive si uniscono al target degli high-ends appassionati delle migliori esperienze".
Villa Cafaggio: trionfo del Chianti Classico Villa Cafaggio si conferma ancora una volta tra le migliori aziende interpreti del panorama dei vini italiani. Un successo accreditato anche dagli eccezionali risultati ottenuti durante la degustazione che poco tempo fa è stata svolta dall'autorevole rivista americana Wine Enthusiast, che ha completato una degustazione tra le più importanti etichette del Chianti Classico. Ed è in questa occasione che Villa Cafaggio, azienda di Panzano in Chianti, ha raccolto punteggi superiori ai 90 punti, che contraddistinguono l'alta soglia di qualità del prodotto: al Chianti Classico Riserva 2009 sono
stati assegnati 94 punti, mentre per il Chianti Classico 2010 il punteggio è stato di 92 punti; di rilievo anche i 91 punti raggiunti dal Chianti Classico Basilica Cafaggio 2010. Risultati commentati con soddisfazione dai vertici dell’azienda toscana, sottolineati con grande entusiasmo anche da Fracesco Ganz – Presidente di Ethica Wines Inc. responsabile della commercializzazione dei prodotti del Gruppo LaVis nel Nord America – che ha confermato ancora una volta il valore di Villa Cafaggio, brand già molto conosciuto soprattutto negli USA.
Gerardo Cesari celebra l’amore Da ottobre 2013 il Club di Giulietta, nato per rendere omaggio alla struggente vicenda tra i due innamorati più famosi al mondo, Romeo e Giulietta, e raccogliere il patrimonio di parole e di storie d’amore che da sempre ispirano poeti e letterati di
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Hotel, edizione 2012 ogni tempo, avrà il sostegno della cantina Gerardo Cesari di Cavaion Veronese. L’idea di premiare il più bel libro d’amore ha dato vita nel 1996 al Premio letterario internazionale "Scrivere per Amore", un concorso unico nel suo genere, organizzato appunto dal Club di Giulietta, che da ottobre 2013 vedrà la collaborazione della cantina Gerardo Cesari, un connubio che non si limiterà solamente al Premio Letterario internazionale ma che proseguirà con tante interessanti iniziative, promuovendo la cultura veronese e i territori che la cantina di Cavaion Veronese esalta attraverso la propria produzione vinicola. Tra le novità la newsletter Cesari curata in parte dal Club di Giulietta e la pagina facebook Cesari sempre pronta a ospitare in bacheca le più belle frasi d'amore legate al vino che gli enonauti potranno inviare via mail all'indirizzo amordivino@cesariverona.it. Le frasi postate potranno essere votate direttamente dalla pagina con un "mi piace". Infine, la Cantina Cesari di Cavaion Veronese si trasformerà in un vero e proprio "ufficio postale di Giulietta": chi visiterà la Cantina potrà infatti usufruire di una speciale cassetta per spedire i propri pensieri d'amore indirizzati a Giulietta. Le lettere raccolte saranno consegnate al Club di Giulietta che giudicherà le migliori e meritevoli per partecipare al Premio “Cara Giulietta” dedicato alle missive d'amore, che si svolgerà a febbraio 2014.
Hotel 2013: ospitalità e ristorazione Programma ricco di iniziative quello previsto per la 37° edizione di Hotel 2013, la Fiera internazionale dedicata al settore hotellerie e ristorazione in programma a Bolzano dal 21 al 24 ottobre. Sei aree tematiche - cucina e tavola, interni e decorazioni, costruire e rinnovare, wellness, management e comunicazione, gastronomia - saranno il fulcro della manifestazione, che vedrà approfondimenti, convegni, workshop, mostre e giornate a tema, tra
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cui l'incontro dedicato alle nuove oppurtunità di marketing offerte dal web 2.0 al settore dell'ospitalità. Da segnalare anche il convegno sulla gastronomia dell'unione Albergatori e Pubblici Esercenti e il convegno dedicato al green con "ClimaHotel: stato attuale e prospettive del turismo sostenibile". Interessanti anche gli eventi collaterali: Autochtona, Tasting Lagrein e Vinea Tirolensis dedicata alle etichette dei vignaioli indipendenti altoatesini. Hotel 2013 è organizzato da Fiera Bolzano con il patrocinio di Federalberghi e la collaborazione dell'unione Albergatori e Pubblici Esercenti dell'Alto Adige. Info www.hotel.fierabolzano.it
Rocca delle Macìe promotore di arte&vino L’arte, il vino e il turismo intesi come comunicatori del territorio sono gli elementi che hanno dato vita al convegno "Silenziosi Racconti", organizzato e promosso dall’azienda vitivinicola Rocca delle Macìe di Castellina in Chianti. Il dibattito, animato da Daria Filardo, storica dell’arte, art curator e docente a Firenze, Daniele Cernilli, una delle maggiori personalità italiane del mondo del vino, Donatella Cinelli Colombini fondatrice del Movimento del turismo del vino, ideatrice di Cantine Aperte e produttrice, insieme ad altri esponenti del mondo del vino, con la moderazione del giornalista radiofonico Massimo Cerofolini, ha coinvolto anche i giovani artisti selezionati per la terza edizione del Premio di Pittura Zingarelli-Rocca delle Macìe che si terrà nel 2014 presso la sede della Famiglia Zingarelli. A loro è stato fatto conoscere il Chianti Classico, affinché lo potessero, con i loro "silenziosi racconti", fissare nelle opere e consegnarlo al futuro.
Lainox, collaborazioni strategiche Lainox, azienda trevigiana specializzata nella progettazione e realizzazione di attrezzature per la ristorazione professionale, in particolare forni misti, rinforza il suo team di ricerca e sviluppo avviando la collaborazione con lo chef Michele Cocchi (nella foto), che dopo aver lavorato per molti anni in hotel e ristoranti in Italia e all’estero, ha iniziato la sua nuova avventura nel settore del banquetting aprendo una propria ditta. Ha inoltre lavorato con prestigiose ditte del settore in qualità di consulente. Ora, Michele, metterà a disposizione di Lainox la sua esperienza e competenza per lo sviluppo di prodotti sempre più innovativi; inoltre lavorerà a fianco del team marketing per le presentazioni dirette dei prodotti. Questa collaborazione segna una svolta importante per Lainox: da semplice azienda manifatturiera, ad "Application Company", avviando collaborazioni in tutto il mondo con numerosi chef e pasticceri.
Da Tolaini il Sangiovese in purezza La Riserva Tolaini 2010, in uscita sul mercato a ottobre, si presenta subito molto elegante: frutta rossa matura, erbe e spezie si fondono nel bicchiere accompagnate da note minerali e sapide e dalle dolci spezie
dell’affinamento. È un vino molto piacevole, con tannini maturi e setosi. “Oggi, alla sua terza annata, questo rosso si mostra nella sua … pura razza Berardenga”, precisa Diego Bonato, AD di Tolaini, facendo riferimento alla micro zona di Castelnuovo Berardenga, di grande vocazione del Chianti Classico: è infatti da un singolo appezzamento di 2.5 ettari (sull’etichetta si legge Vigneto n.7) che proviene il Sangiovese che ha conquistato il team tecnico dell’azienda e del famoso enologo francese Michel Rolland (dal 2002 consulente di Pierluigi Tolaini), convincendoli a creare nel 2008 questa Riserva che racchiude tutto lo spirito della Toscana. “Alcune piogge di fine estate” spiega Diego Bonato “ci hanno costretto ad una ferrea selezione che però, a discapito della quantità (l’azienda ha prodotto solo 180.000 bottiglie invece delle 220.000 attese), ha dato origine ad un vino di bella struttura”. Tolaini ha deciso di tenerlo in bottiglia per un anno e mezzo prima di immetterlo nel mercato, proprio per dare la possibilità a tutte le sue componenti di legarsi ed amalgamarsi al meglio (imbottigliato ad Aprile 2012). Nelle migliori enoteche a 24.00 euro.
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Friulano&friends 2013 Vinca il migliore!
di Giovanna Moldenhauer L’Ersa, agenzia regionale per lo sviluppo rurale, con la collaborazione della delegazione regionale dell’Associazione Italiana Sommelier e del Consorzio delle Doc del Friuli Venezia Giulia, ha dato vita alla terza edizione di Friulano&Friends 2013 per proclamare il migliore Friulano, Pinot Bianco e Sauvignon. I lavori che hanno portato all’individuazione dei migliori vini della selezione sono stati effettuati, secondo il regolamento, con degustazioni condotte alla cieca da una commissione di esperti composta da giornalisti italiani e stranieri, rappresentanti di Ais, Assoenologi, Onav, con la straordinaria partecipazione di Luca Martini, miglior Sommelier del
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mondo 2013 della Worldwide Sommelier Association. L’iter che ha visto la partecipazione di 134 aziende, si è poi concluso a San Daniele del Friuli, durante la cerimonia inaugurale di “Aria di Festa”, tradizionale manifestazione dedicata al prosciutto, con la proclamazione per ogni categoria del miglior vino prodotto e imbottigliato nella regione. Le etichette vincitrici Friulano Doc Collio 2012 di Francesco Vosca, Pinot bianco Doc Collio 2012 di Franco Toros, Sauvignon Ronco delle Mele Doc Collio 2012 di Venica&Venica, racchiudono tutte le qualità dei grandi bianchi della regione. Ai tre viticoltori sono state consegnate in premio, da Luisa Ranieri madrina di Aria di Festa, delle opere realizzate dagli artisti della Scuola mosaicisti del Friuli nelle quali, grazie al creativo utilizzo di smalti veneziani, legno di vite e materiali naturali, sono stati catturati i colori e la luce dell’uva delle tipologie protagoniste. Quest’anno la scelta di inserire il Pinot bianco tra i vitigni della selezione ha una sua valenza ben precisa poiché la varietà trova nel Friuli Venezia Giulia un terroir particolarmente vocato che permette di produrre un vino elegante, ricco di aromi delicati e complessi. Friulano&friends, costruito attorno a momenti di collaborazione e di condivisione, rappresenta la soddisfazione di svelare eccellenze, la dimostrazione di quanta passione, impegno, professionalità, conoscenza i viticoltori del Friuli Venezia Giulia mettono nelle loro produzioni.
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Indovina
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di Stefania Zolotti Nel nostro dizionario, la parola abbinamento è intesa come l’accostamento tra due elementi simili o complementari: è esattamente ciò che succede al ristorante, quando si inizia a scegliere un vino nell’istante esatto in cui il cameriere ci chiede cosa vorremmo accompagnare con il piatto appena ordinato. È la situazione classica, la prassi diventata regola: prima si sceglie il cibo e poi, semmai, si pensa al bere. È forse possibile immaginare un percorso al contrario, partendo dalla scelta del vino? Lo abbiamo fatto da tre prospettive diverse e complementari, chiedendolo a uno chef, un’azienda vinicola e un centro di analisi sensoriale. Filippo La Mantia è un siciliano, prima ancora che uno chef. Una vita di cambiamenti e di scelte che alla fine sono confluite in cucina, ad altissimi livelli. Chi, come lui, è abituato a ragionare controcorrente può provare a spiegare cosa ispira uno chef ai fornelli se la richiesta è di abbinamento a un vino. Prima ancora che sulla tecnica in cucina, è infatti sul pensiero che va posto l’accento per capire il suo approccio. “Cosa penso quando elaboro il menu di un ristorante? Ammetto che la mia attenzione cade esclusivamente sui piatti
e non sui vini che si potrebbero abbinare. Il percorso formativo e professionale di uno chef passa inevitabilmente anche attraverso la conoscenza dei vitigni e dei profili organolettici ma per un progetto come un menu non posso dare la priorità al bere o farmi in qualche modo condizionare, a meno che non si tratti di un evento specifico, su espressa richiesta di un produttore. ll cibo ha una complessità talmente elevata da mettere necessariamente in subordine il vino. Entrambi fanno parte dello stesso percorso perché entrambi vanno a finire nel palato dei nostri clienti e quindi è necessario che tutti e due soddisfino proprio quel palato. Tra l’altro le percezioni sensoriali di un cliente sono talmente soggettive che mai oserei decidere io i vini da poter abbinare con i miei piatti. È il cibo, quindi, non il vino, il mio punto di partenza. Ragiono sempre a stagionalità locale, non vivo mai l’obbligo della carta (se mi mancano gli ingredienti freschi, vorrà dire che preparerò altro pur di garantire alta qualità al piatto) e non forzo Madre Natura per nessuna ragione. Credo che il grande compito di chi cucina sia dare vita a un ingrediente, attribuirgli un carattere. Per la mia esperienza non esistono cibi che non si possano abbinare ai vini, anche se alcuni elementi sono già di per sé contenitori incredibili di profumi e aromi: è quello che cerco di far capire attraverso gli agrumi che fanno da base Artù n°58
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alla mia cucina”. Filippo La Mantia ama le bollicine e i vini biodinamici, sostiene con generoso entusiasmo il pregio di molti piccoli produttori dell’Italia del vino, promuove i nomi sconosciuti di etichette che arrivano dalla Sicilia ma soprattutto denuncia i ricarichi eccessivi di molti ristoranti sui prezzi delle bottiglie come una vera mancanza di rispetto nei confronti delle aziende e dei loro territori. www.filippolamantia.com Ruffino sa di Toscana, anche se la proprietà è confluita da alcuni anni all’estero (Constellation, dal 2006). Nella geografia dei brand italiani ceduti in mano straniera, è un esempio felice che testimonia scambio di professionalità e rispetto per la cultura del prodotto. Proprio perché forte di una conoscenza decennale all’estero tra Inghilterra e Stati Uniti, Sandro Sartor – AD di Ruffino – descrive la strategia di produzione di un’azienda che pensa a target specifici e ad abbinamenti culinari (senza risparmiare riflessioni sagaci su aperitivi e carte dei vini). Se lo chef parte dal cibo, l’azienda non può che partire dalle uve e il posizionamento di una bottiglia si misura anche in funzione di accostamenti culinari strategici. È accaduto a luglio, nella tenuta di Ruffino a Poggio Casciano dove il noto pizzaiolo campano Giovanni Santarpia (trasferitosi anni fa nel Chianti a gestire il suo Ristorante Palazzo Pretorio, a San Donato in Poggio) ha saputo dimostrare il legame vincente tra vini e prodotti del territorio (su tutti, la pizza col lampredotto). Questo legame indissolubile tra cibo e vino è un rito irrinunciabile per gli italiani a tavola, dove la cultura delle preparazioni gastronomiche si trascina dietro tutto il resto. Tanto per citare il trend americano, invece, un’indagine di Wine Opinions – l’agenzia USA specializzata in ricerche di mercato nel settore enologico – conferma che circa il 60% dei consumatori abituali segue la regola del “wine without food”, ad ogni ora del giorno e senza riti gastronomici. Bella sfida per l’Italia. “Per Ruffino - spiega Sandro Sartor - abbiamo seguito proprio questo approccio inaugurando la linea Momenti (Rosatello Prima Cuvee e Vermentino), pensata per l’aperitivo e
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quindi per un cibo eterogeneo che non sia particolarmente speziato o invadente. Troppo spesso se ne dimentica la funzione dissetante: in teoria un calice dovrebbe accompagnare l’intero aperitivo per evitare al cliente di ordinare ancora una o due volte, incidendo poi sul conto, ma questo non accade quasi mai. Abbiamo voluto invertire una tendenza andando incontro alle esigenze del cliente e facendogli scoprire il reale valore di un vino e le potenzialità di freschezza e di abbinamento che può racchiudere. Ma se volessimo provare davvero a rendere protagonista il vino, dovremmo invertire la routine portando al cliente la sola carta dei vini o magari prima quella per poi suggerire un piatto da affiancare. Se non invertiamo l’ordine non ce la faremo mai. Stiamo ipotizzando un passaggio a dir poco culturale, ma come produttore mi sento di dire che ne varrebbe la pena. Il vino non è parte di corredo ma parte integrante del pasto, addirittura centrale in alcune circostanze. Pensiamo ai turisti che vengono in Italia e che magari non conoscono i piatti classici del territorio ma sanno chiedere perfettamente un calice di Chianti in Toscana o un Barolo nelle Langhe. È il marketing di un territorio a portarli fin qua e un vino indimenticabile è ciò che si aspettano di trovare: un’esperienza da vivere, non solo un bicchiere. Il cibo non può che seguire quella strada già tracciata”. www.ruffino.com Centro Italiano di Analisi Sensoriale Lucia Bailetti, ingegnere alimentare e direttore del CIAS, coordina i servizi di questa realtà specializzata in analisi sensoriale e studio dei consumi, soprattutto alimentari: una società cui si rivolgono brand di fama nazionale ed internazionale per mappare con questa prospettiva scientifica i punti di forza o di debolezza dei propri prodotti e posizionarli sul mercato in funzione strategica. Come incidono, allora, i profili sensoriali del cibo e del vino in un percorso di abbinamento? “La parola chiave - dichiara Lucia Bailetti - è l’olfatto, perché solo attraverso percezione e conoscenza dei profili aromatici dei vini e dei cibi è possibile accostarli
creando un’armonia. Ritengo del tutto irrilevante che si parta dal piatto o dal calice per arrivare all’equilibrio finale: cibo e vino hanno una ricchezza paritaria sul piano dei profumi, forse è soltanto una questione di cultura, intesa come conoscenza dei profili sensoriali, che però quasi ovunque risulta carente. Magari sono proprio gli chef i primi ad agire inconsciamente con questo criterio infallibile ma per loro soltanto empirico. L’ipotesi di stimolare un abbinamento che prenda le mosse dal vino potrebbe rivelare aspetti nuovi per il mercato, ma richiederebbe senz’altro l’introduzione di un diverso approccio da parte dei consumatori che immagino difficile, per non dire impossibile, a livello di ristorazione. Il discorso si farebbe più semplice per enoteche e locali specializzati che il cliente sceglie con una indubbia predilizione per l’aspetto enologico prima ancora che gastronomico. I nostri sensi, se stimolati con curiosità, possono riservarci potenzialità finora sconosciute: la vera piacevolezza deriva da quell’armonizza-
zione dei profumi che permette di potenziare l’effetto finale in bocca. È utile sottolineare quanto e come i profumi indirizzino le nostre scelte e questo vale a prescindere dalla prospettiva di partenza. È solo con l’olfazione, sia essa diretta o per via retronasale, che stimoliamo emozioni, gusti e inevitabilmente acquisti”. www.analisisensoriale.it I dati contenuti nell’ultima indagine Eurisko sulle carte dei vini ritraggono un Paese sempre più consapevole delle proprie scelte (il 58% decide per gusto personale piuttosto che su suggerimento del sommelier) con un deciso miglioramento delle proprie conoscenze al Centro-Sud e una più affermata autonomia nelle regioni Nord-occidentali. Per un’Italia che nel 2013 si conferma al secondo posto nel mondo per export, tenendo il fiato sul collo dei francesi, varrebbe la pena investire sempre più su una cultura interna del vino che appassioni i consumatori e tuteli un patrimonio. Lasciando intatta, neanche a dirlo, la regola del de gustibus.
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Coevo 2011 Anteprima d’eccezione
di Giulia Dirindelli Coevo nasce nel 2006 e rappresenta la sintesi di un percorso molto profondo e importante nella storia di Cecchi. Andrea e Cesare, quarta generazione alla guida dell’azienda, hanno fortemente sentito e desiderato questo vino per dare un segnale di svolta alla propria storia enologica. Coevo è memoria della tradizione, testimonianza di due importanti territori, riferimento per il presente ma soprattutto per il futuro. La filosofia con cui nasce Coevo è semplice e chiara: il massimo della qualità per ogni annata partendo dal concetto
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di contemporaneità. Cesare e Andrea volevano infatti essere "coevi" nell’esprimere la qualità organolettica, il gusto moderno, la cultura, elementi dinamici che si evolvono, e grazie all’uomo variano nel tempo. Per questo motivo l’uvaggio di Coevo varia a seconda della vendemmia mantenendo sempre l’elemento base che lega la famiglia Cecchi al proprio territorio, il Sangiovese. Questo Igt di Toscana unisce in sé il Sangiovese e il Cabernet Sauvignon, coltivati nel Chianti Classico, e il Merlot e il Petit Verdot, coltivati in Maremma nelle rispettive aziende della famiglia. I vini derivati dalle diverse uve subiscono una maturazione di un anno in legni diversi: barrique, con una buona per-
centuale di legni nuovi e tonneau da 500 litri in gran parte di secondo passaggio, dedicati soprattutto al Sangiovese. Dopo questo periodo le varietà vengono assemblate e lasciate riposare per sei mesi. Il risultato è un rosso dotato di grande carattere. Sin dai suoi esordi Coevo ha incantato sia la critica che i consumatori di tutto il mondo, ed è proprio per questo rosso che Andrea e Cesare, lo scorso luglio, hanno ideato una degustazione molto particolare, studiata e creata per un “parterre de roi”. L’occasione è stata la presentazione in anteprima della quarta annata di questo grande vino ed i protagonisti sono stati i sei sommelier di sei ristoranti italiani premiati con le tre stelle della guida Michelin guidati dall'enologa Miria Bracali, dai fratelli Cecchi e da Daniele Cernilli, esperto critico enologico. Dopo una visita ai vigneti e alle cantine, hanno degustato le quattro annate di Coevo prodotte fino ad oggi (2006– 2007–2009-2010) e dopo sono stati messi alla prova con un simpatico gioco: creare Coevo 2011, che uscirà a ottobre 2014. I sei "stellati" erano: Mauro Mattei del Piazza Duomo di Alba (Cn); Hayashi Mototsugu di Dal Pescatore di Canneto sull'Oglio (Mn); Marco Reitano de La Pergola di Roma; Angelo Sabbadin de Le Calandre di Rubano, vicino Padova; Fabrizio Sartorato di Da Vittorio a Brusaporto, (Bg); Alessandro Tomberli dell'Enoteca Pinchiorri di Firenze. Muniti di cilindro e quattro mezze bordolesi contenenti i quattro vitigni di Coevo, i sommelier si sono messi al lavoro con entusiasmo e grandi aspettative. In brevissimo tempo hanno creato
ciascuno il proprio Coevo ideale che è stato presentato alla giuria composta da Miria Bracali, Andrea e Cesare Cecchi e Daniele Cernilli, i quali hanno individuato come migliore assemblaggio quello di Alessandro Tomberli de l’Enoteca Pinchiorri di Firenze (60% Sangiovese, 20% Cabernet Sauvignon, 7% Petit Verdot, 13% Merlot). La scelta del Sangiovese e del Cabernet Sauvignon da Castellina ha origine nella storia di Cecchi. Il Sangiovese perché la prima tenuta ad essere stata acquistata dalla famiglia è Villa Cerna nel cuore del Chianti Classico, zona vocata e felice per la produzione di questo vitigno che nell’annata 2010 ha beneficiato di una maturazione lenta, graduale e perfetta. Una primavera piovosa e fresca, seguita da un’estate calda ma intervallata da provvidenziali piogge, ha
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Qui sopra i sei “stellati” e una parte della giuria. A partire da sinistra: Fabrizio Sartorato, Andrea Cecchi, Alessandro Tomberli, Mauro Mattei, Angelo Sabbadin, Daniele Cernilli, Hayashi Motuzugu, Marco Reitano e Cesare Cecchi.
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permesso uno sviluppo ottimale dei grappoli e della frazione aromatica, mantenendo una grande freschezza che è la nota distintiva di questa annata. Il Cabernet Sauvignon invece è stata una scelta voluta dal padre di Cesare e Andrea, Luigi Cecchi, che alla fine degli anni ‘80 decise di trasformare un uliveto in un vigneto a Cabernet Sauvignon, perché l’esposizione di cui godeva era ottimale per questa varietà,
ottenendo così un vino con delle caratteristiche Chiantigiane molto spiccate. Nel 2010 questa varietà è stata raccolta intorno alle metà di ottobre, con tutte le qualità intrinseche dell’ottima annata. La scelta del Merlot e del Petit Verdot della Maremma è stata determinata dalla consapevolezza di due espressioni varietali eccellenti per questa zona di produzione. Il Petit Verdot nel 2010 è maturato tardi come da sue caratteristiche, mantenendo una buona acidità affiancata ad un tannino con una tessitura complessa. Il Merlot, in quanto varietà precoce, è stato il vitigno che in Maremma ha beneficiato maggiormente dell’andamento stagionale raramente fresco e piovoso, mantenendo una buona acidità ed un corretto sviluppo della parte aromatica. Coevo 2010, che è in commercio da questo ottobre, esprime tutta la mineralità e la potenza della Maremma unite all’eleganza e alla finezza del Chianti. Ha un color rubino con sfumature di melograno e lamponi, al naso è deciso con i suoi tocchi selvatici di alloro e note di radici di liquirizia, al palato la trama tannica strutturata e vivace richiama l’aromaticità di frutti rossi e china. Persistente e lungo in bocca, sprigiona sul finale morbidezza e setosità.
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Gew체rztraminer
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di Giovanna Moldenhauer Il vitigno aromatico, che rappresenta attualmente uno dei vini bianchi più apprezzati dell’Alto Adige, trae le sue origini dalla località di Tramin (Termeno in italiano) sulla "strada del vino". La cantina cooperativa omonima, affermata realtà vitivinicola, ne è senza dubbio un interprete eccellente, grazie all’impegno di un enologo di spiccata professionalità, Willi Stürz. Il 9° Simposio Internazionale del Gewürztraminer, tenutosi a Termeno come di consuetudine, ci ha dato l’oppor tu-
nità di incontrare l’enologo Willi Stürz e il direttore commerciale della Cantina di Tramin Wolfgang Klotz, di parlare con loro della varietà aromatica, dei cambiamenti climatici, degli incontri con i soci contadini per gestire al meglio la qualità delle uve da vinificare. La nostra conversazione si è svolta durante la visita all’avveniristica cantina, progettata da Werner Tscholl, dove si percepisce, anche nelle zone operative, una perfetta integrazione tra struttura precedente e nuova costruzione. “Non è stato facile, ci sono state molte discussioni” – commenta Stürz –. L’idea da cui ha preso vita il progetto è stata la morfologia della vite che ha ispirato la creazione di un involucro intorno all’edificio. Uno degli intenti che si è posto l’architetto altoatesino con la nuova struttu-
ra-scultura è stato di fare entrare il panorama e la luce dentro l’edificio”. Questa sensazione si percepisce in modo netto e tangibile soprattutto dalla sala degustazione, situata al primo piano, dove si può ammirare l’anfiteatro dei vigneti sulla "strada del vino". Tramin è una realtà che riassume in sè tutti i caratteri tipici della propria terra: l’incanto della natura, preservata con grande cura, la precisione produttiva per mantenere una qualità costante, la capacità di fare sistema e di lavorare insieme. La Cantina, seconda per importanza tra le realtà cooperative dell’Alto Adige, ha costruito, nel corso degli ultimi 15 anni, la propria immagine sull’obiettivo dell’eccellenza in particolare dei vini bianchi, sintesi d’eleganza e fragranze peculiari del territorio altoatesino. La varietà aromatica del Gewürztraminer riveste attualmente un indubbio ruolo da protagonista, rispetto alle altre qualità bianche e rosse utilizzate per la gamma dei vini, dato che rappresenta un quinto della produzione to-
tale della cantina con circa 53 ettari vitati contro i 40 della schiava. “Già da molti anni c’era una bella percentuale di Gewürztraminer – prosegue Stürz – nelle proprietà dei nostri soci, ma comunque senza dubbio più bassa di quella attuale”. Tramin ha nella sua gamma due vini che rispecchiano la vinificazione secca tradizionale della zona d’origine: la tipologia Classica Doc, ottenuta da due differenti microzone, e la pluripremiata selezione Nussbaumer proveniente da un maso dove il terreno di conformazione ghiaioso e argilloso, con uno strato calcareo, ha un sottosuolo porfidico. La particolare composizione del suolo, l’esposizione da Sud a SudEst, l’altezza dell’impianto, gli sbalzi termici tra notte e giorno, il vento quotidiano proveniente dal lago di Garda, sono tutti fattori che danno alla selezione profumi affascinanti ed equilibrio gustativo. “La nostra Cantina produce, anche, poche bottiglie di Terminum, una vendemmia tardiva, – commenta Wolfgang Klotz – che non rappresenta la produzione tipica del vitigno.
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Il Simposio del Gewürztraminer Il Simposio si è svolto nella cornice scenografica di Castel Rechtenthal, a Termeno, con diverse occasioni di confronto. Questa edizione, articolata in due giornate, prevedeva degustazioni libere dei vini prodotti in Alto Adige, seminari, approfondimenti tematici tra la produzione locale e quella internazionale di Alsazia, Germania, Austria, Stati Uniti, Cile e Sud Africa con occasioni di approfondimento originali come l’escursione guidata nei vigneti della cittadina e una cena “Walking Dinner, viaggio culinario attraverso Termeno” con quattro portate, abbinate ognuna a tre vini altoatesini ed esteri, servite in quattro ristoranti diversi del paese. I partecipanti al Simposio hanno particolarmente apprezzato, fra le diverse proposte del programma, il percorso nei vigneti di quattro aziende di Termeno. Nelle sale di Castel Rechtenthal si è svolta, tra le altre, una degustazione di tre millesimi di quattro produttori altoatesini, tra cui Tramin, che ha messo in luce lo sviluppo e il processo d’invecchiamento di un vino troppo spesso ritenuto da consumare in breve tempo, dopo la messa in commercio. La verticale ha mostrato che questi vini rivelano, in realtà, il loro vero potenziale dai 3-4 anni fino a un massimo di espressività dopo 7-8 anni. Le note aromatiche ampie di rosa, lychees e frutta tropicale che hanno reso noto il vitigno diventano, nelle annate più datate, meno preponderanti a favore di mineralità e freschezza. Franz Scarizuola, presidente dell’Associazione del Gewürztraminer, organizzatore del Simposio, ha espresso grande soddisfazione per il riscontro molto positivo presso gli operatori, la stampa, gli ospiti, i residenti. “Il nostro vino ha di nuovo ottenuto il palco giusto che gli spetta nel mondo dei vini altoatesini”.
Il vino è ottenuto da una vigna situata in una conca poco ventilata, situazione che permette così l’evoluzione, durante l’autunno, della muffa nobile. I grappoli che sono lasciati essiccare direttamente sulle viti, vengono poi raccolti solo a dicembre”. L’Alto Adige, territorio ideale per la viticoltura, comprende sette aree diverse tra loro per microclimi, terreni, altitudini, orientamenti degli appezzamenti. Tra queste la Bassa Atesina, dove si trova Termeno, trae benefici influssi da un clima mediterraneo temperato, con notevoli sbalzi termici fra il giorno e la notte dati dalla prossimità della Catena della Mendola del Monte Roen. Le alte temperature che hanno contraddistinto molte estati, a partire del 2003, hanno spinto i produttori e le cantine sociali a compiere degli interventi specifici in vigna, delle modifiche d’impianto soprattutto per alcuni vitigni. “L’andamento climatico verificatosi negli ultimi anni – precisa Klotz – ci ha fatto capire che dobbiamo adattarci a temperature più alte. Sono del parere che riusciamo a gestire i cambiamenti ab-
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bastanza bene anche in considerazione delle altitudini, da 250 a 850 metri, dove sono situati gli impianti. La nostra cantina ha anche optato per gli spostamenti di alcuni vigneti più in alto, soprattutto di pinot nero, maggiormente sensibile, tenendo in debita considerazione le microzone e il terreno”. La varietà Gewürztraminer, invece, ha reagito molto bene alle alte temperature del giorno perché gli acini ben esposti al sole hanno più carica aromatica. Al tempo stesso l’escursione termica tra il giorno e la notte, data dalla posizione dei vigneti in collina, porta a un rinfrescamento che salva le note tipiche del vitigno. I soci contadini della Cantina, durante il lavoro in vigna, praticano un’attenta sfogliatura perché il sole sempre più aggressivo tende a scaldare eccessivamente le uve. “Questa tecnica manuale – evidenzia Klotz – permette di lasciare l’ombra sufficiente per garantire ai grappoli la giusta ombreggiatura, la ventilazione ottimale, garantendone così la qualità”. Tramin ha iniziato solo negli anni novanta la tendenza, che perdura ancora oggi, di impiantare in ogni singolo appezzamento il vitigno solo dove il risultato è giusto per la tipologia di terreno e l’altezza. “Sin dagli anni novanta, per i viticoltori, non è stato facile accettare di dovere ascoltare la loro cooperativa su quale varietà d’uva inserire nel proprio vigneto – sostiene Stürz –. Oggi giorno è diventato assolutamente naturale condividere le scelte di questo tipo. D’altronde era l’unica possibilità per fare in modo che la nostra realtà crescesse nel tempo. È diventato così anche per tutta la gestione della viticoltura che è programmata dalla cantina. Questo regolamento molto rigido comporta, fra i risultati, un pagamento in base alla classificazione della qualità dei grappoli che sono portati in cantina durante la vendemmia. Frequentemente le valutazioni dell’uva a Tramin sono fra le più alte d’Italia, dato che raggiungono i livelli di un Barolo, per fare un esempio”. La ricerca meticolosa della qualità spinge l’enologo a essere molto presente presso ogni socio durante tutte le fasi vegetative e produttive, per
i controlli diretti e per le tutte le informazioni necessarie. “Così – riprende Stürz – abbiamo un’operatività molto rapida sia per reagire ai problemi, sia per scegliere il giorno più adatto per la vendemmia. La nostra cooperativa ha scelto recentemente di gestire in modo più professionale la viticoltura avvalendosi della consulenza esterna di un agronomo”. In quest’ottica la Cantina organizza, nella propria sede, 7-8 incontri ogni anno con i soci, che si aggiungono a
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quelli in vigna. “I nostri conferitori – afferma poi Stürz – sono divisi in gruppi tra quelli biologici, quelli delle selezioni, ai quali si è aggiunto un gruppo che ha scelto di utilizzare il particolare metodo di potatura Simonit&Sirch”. Il metodo, messo a punto da due specialisti friulani, preserva la salute della vite, allungandone il ciclo vitale e la produttività. È costituito da procedimenti modulari, che, se applicati con continuità negli anni, asseconda un accrescimento controllato delle singole piante. “L’agronomo che collabora con noi è un esperto di trattamenti in vigna – conclude Stürz – poiché ha lavorato 40 anni per l’Istituto sperimentale di Laimburg. Conosce quindi molto bene pregi, vantaggi e difetti di tutti i prodotti di sintesi, del rame e dello zolfo utilizzati dai nostri soci biologici. Di conseguenza è lui che effettua le scelte dei prodotti più adeguati per tutti i trattamenti nei vigneti, la tempistica di applicazione, con l’intenzione acclarata di essere a minor impatto ambientale possibile”. La nostra conversazione con l’enologo e il direttore commerciale, piacevolmente inframmezzata dalla degustazione di alcune etichette, ha confermato la strategia vincente della ricerca dell’eccellenza grazie al lavoro appassionato dagli uomini che guidano la cantina. Il pinot grigio Unterebner 2011, minerale e grasso, è stato contrapposto ai profumi del Gewürztraminer classico 2012, alle sinfonie olfattive della selezione Nussbaumer 2011: tutti e tre i calici erano di un’indiscussa eleganza, profondità e fascino.
protagonisti
Cantina Tramin e i grandi chef Le note gustative di questo vino valorizzano le creazioni di alcuni tra i più grandi chef internazionali, in un crescendo di sentori olfattivi e sensazioni saporifere. Come confermano alcuni protagonisti dall’Italia a New York, la selezione Nussbaumer di Cantina Tramin riesce a creare un'emozione ancora più intensa con sofisticati piatti creativi, un’esperienza gustativa dalla piacevole, complessa, amplificata e convincente armonia. Tre diversi ristoranti in Danimarca, Germania, entrambi Relais & Chäteaux, e uno a Princeton negli Stati Uniti, hanno studiato inedite ricette con le uova, le carni di vitello e maiale, i funghi. La qualità, spesso stellata dei menu, non ammette compromessi ed esige un abbinamento perfetto, in grado non solo di accompagnare ma anche di esaltare le caratteristiche di questi piatti e rimandando lo stesso tenore di sensazioni uniche. Le note aromatiche del Gewürztraminer hanno entusiasmato gli chef facendo nascere, dalla loro creatività, piatti originali in una fantastica rincorsa di sapori. Due prestigiosi ristoranti stellati d’Italia e uno di New York hanno aperto le loro cucine e rivelato i segreti delle ricette in cui si crea un perfetto abbinamento tra gli aromi del vino Gewürztraminer e i loro piatti. Questo vino gioca un ruolo di primo piano nel supportare e amplificare gli aromi del piatto: ne è convinto Norbert Niederkofler, responsabile di aver creato nello splendido Relais & Châteaux Rosa Alpina di San Cassiano una delle più leggendarie cucine stellate delle Dolomiti. "In realtà non abbiamo avuto bisogno di riflettere a lungo – dice Niederkofler –. Per quanto ci riguarda la combinazione più brillante di Gewürztraminer Nussbaumer è con una variazione su fegato di pollame e d'anatra. Il vino, per la moderata acidità, l’aromaticità e la mineralità ben strutturata è semplicemente imbattibile”. L’entusiasmo è confermato anche da Massimiliano Alajmo, tre stelle per il Ristorante Le Calandre vicino a Padova, un altro fiore all’occhiello dell’avanguardia culinaria italiana. “È molto raro imbattersi in un vino con tale personalità – rivela Alajmo –. Il Gewürztraminer Nussbaumer è un vero e proprio caleidoscopio di profumi: note di rosa, mango, lychees, miele e arancia”. Lo chef ha deciso di abbinare un risotto allo zafferano con un tocco di liquirizia, una combinazione che con le sue parole, “ci avvia ai fuochi d'artificio culinari!”. È una combinazione perfetta anche per Masaharu Morimoto, creatore del ristorante omonimo a New York. “Il Gewürztraminer si sposa alla perfezione con la cucina asiatica, al punto che sembra progettato avendo una specifica gamma di sapori in mente – rivela entusiasta – con i piatti asiatici. Il vino dovrebbe offrire un aspetto floreale pur non essendo troppo bruscamente guidato da acidità. Il Nussbaumer Gewürztraminer è semplicemente l'ideale in questo senso. Il piatto che abbiamo creato è un Sashimi Tramin con una speciale gamma di frutti di mare che incorpora sapori che più acutamente completano quelle del vino”. Questo percorso rivela anche come nei migliori ristoranti, grazie al fondamentale dialogo tra lo chef e il responsabile di cantina, Nussbaumer sia una delle etichette che genera maggiori soddisfazioni e risolve gli abbinamenti più complessi.
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Henri Bourgeois e Clos Henri due realtà,
sul lato sinistro del fiume) e Pouilly Fumé (sul lato destro del fiume). I terreni Nella suggestiva cornice di una cascina degli impianti che si trovano soprattutto della fine dell’800 a Cavenago d’Adda, sulle colline nei pressi della cittadina di dove ha sede il ristorante l’Arsenale, Chavignol sono, per l’80%, di terre si è svolto un interessante approfondi- bianche composte in percentuali miste mento dedicato alle due aziende vitivi- di argilla e calcio che influiscono su un nicole d’Oltralpe, le cui etichette sono rallentamento di maturazione delle uve distribuite in Italia da Pellegrini. e portano, di conseguenza, a una vendemmia posticipata. Il restante 20% è La famiglia Bourgeois coltiva, da dieci di due diverse tipologie: una buona generazioni, vigneti a Chavignol, nella re- parte, situata in riva alla Loira, contiene gione di Sancerre, sulle rive del fiume silicio che accumula il calore durante il Loira. Tuttavia è stato solo nel 1950 che giorno e accelera di conseguenza la maHenry, nonno dell’attuale generazione e turazione dei grappoli, altri sono di fondatore del Domaine, ne ha iniziato la “marne kimmeridgiennes” (amalgama storia acquistando i primi 2 ettari. La di fossili e argilla) che donano ai vini proprietà è cresciuta nel corso degli anni una grande personalità e longevità. La sino a raggiungere, ad oggi, 72 ettari grande qualità delle etichette di Henri complessivi suddivisi in 120 parcelle Bourgeois è ottenuta con un’attenta senella denominazione Sancerre (situata lezione parcellare in vigna, con l’uso di Giovanna Moldenhauer
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una famiglia
della gravità per tutte le fasi della vinificazione (dato che la cantina è stata costruita su quattro livelli riducendo così l’uso di pompe), con un’attenzione maniacale alla perfetta maturazione sui lieviti (sur lies) sino alla messa in bottiglia. La produzione è costituita soprattutto da vini nella denominazione Sancerre, con due etichette di Pouilly Fumé e con la presenza, in gamma, di alcuni vini Sancerre rouge da uve Pinot nero. L’approfondimento ha rappresentato l’opportunità di conoscere l’azienda e di degustare alcuni vini tra cui l’emozionante Le Md de Bourgeois del 2010. Ottenuto da vigne dai 35 ai 45 anni su terreni di marne kimmeridgiennes, con fermentazione e affinamento in acciaio, è un vino fine, con un bouquet minerale, fruttato con note esotiche, un’ottima concentrazione ed equilibrio all’assaggio. All’inizio degli anni ‘90 la famiglia Bourgeois, decisa ad allagare i suoi orizzonti, dopo numerose ricerche ha individuato in Nuova Zelanda a Marlborough, nel nord-est dell'isola a sud, 98 ettari perfetti per i vitigni prediletti Sauvignon blanc e Pinot nero. Dopo avere acquistato la proprietà nel 2000, i vini Clos Henri sono
stati commercializzati a partire dalla vendemmia 2003. I cloni provenienti da Sancerre sono stati impiantati, come da tradizione francese, con un’elevata densità per ettaro abbinata a rese basse su terreni che erano destinati in precedenza a pascoli di pecore e quindi estranei all’uso di pesticidi e diserbanti. La composizione dei suoli pietrosi detti “Greywacke”, di quelli argillosi “Broadbridge” presenti in diverse percentuali negli im-
pianti, a seconda della posizione del vigneto in vallate o colline, donano diversi profumi e complessità ai vini. La gamma produttiva è composta da tre diverse espressioni di Sauvignon blanc e altrettante di Pinot nero. Fra le etichette proposte all’Arsenale, il Bel Echo by Clos Henri Sauvignon blanc del 2011 aveva un naso sensuale, vivace, fresco di agrumi, ananas, albicocca e fiori bianchi. Al palato era fresco, minerale, intenso, armonico con una grande piacevolezza gustativa. Entrambi i marchi sono distribuiti da Pellegrini S.p.A..
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La cucina mirabile di
Ernesto Iaccarino
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di Alberto P. Schieppati La storia della famiglia Iaccarino è una storia di passione, coraggio, generosità. E quindi di successo. Un gioco di squadra perfetto e naturale, senza forzature, dominato dal solo pensiero di fare bene e far stare bene. Alfonso, Livia, Ernesto, Mario, un quartetto irripetibile, per stile e risultati riconosciuti a livello internazionale. Il ristorante Don Alfonso 1890, a Sant’Agata sui due Golfi (tra Sorrento e Postano), è un luogo di eccellenza culinaria, creato e consolidato dalla impronta straordinaria di Alfonso e da una tensione continua verso ciò che è buono, bello e salutare. L’azienda agricola di Punta Campanella, Le Peracciole, di fronte all’isola di Capri, seguita assiduamente da Alfonso e Livia, fornisce la freschezza e i sapori di materie prime straordinarie (pomodori, olio di oliva, melanzane, limoni e molto altro) che compongono il mosaico di un’offerta irripetibile, guidata dalla geniale regia di Ernesto e resa ancor più fascinosa dall’ospitalità superlativa del Relais. A Sant’Agata ci si arriva innanzitutto per loro, richiamati dall’opportunità - unica di godere di un’esperienza inedita, impossibile da replicare altrove. I motivi sono tanti e cercherò di elencarli senza
eccedere in parzialità. Innanzitutto il luogo, la sua bellezza: da questa lingua di terra assolata, la Penisola sorrentina, si gode una vista mozzafiato sul golfo di Napoli e sul golfo di Salerno, come dire: un occhio al Vesuvio e uno alla Costiera amalfitana, autentica visione binoculare. Poi ci si viene per l’atmosfera che si respira in queste strade, curvose e talvolta tortuose, ma capaci di ispirare serenità e distacco, così lontane dallo stereotipo mediatico che vede in Napoli e nella sua area un esclusivo luogo di negatività. A Sant’Agata è esattamente il contrario: strade pulite, gente cordiale e tranquilla e, proprio nel centro del paese, una villa, un piccolo relais con ristorante, giardino, patio e piscina (e scuola di cucina) immerso nella vita quotidiana di Sant’Agata ma felicemente isolato da tutto il resto, “dentro le cose” (come avrebbe forse detto Eugenio Montale) ma in un mondo a parte, ovattato, raffinato, attento, dominato dal rispetto per l’ospite e per la sua felicità. Qui, al Don Alfonso, è tutto governato dalla forza della natura, dai suoi colori, dai profumi dei fiori e delle materie prime, dalla musicalità della parlata locale, dall’attivismo composto dello staff, dallo stupore della clientela turistica internazionale, rappresentata dalla sua parte più “alta”, per cultura, benessere, ansia di conoscenza. Qui, dicevo, ci si viene per loro: Livia, Alfonso, Mario, Ernesto. La Artù n°58
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Qui sotto: baci di pasta di calamari ripieni con il pescato del giorno su leggero pesto al basilico.
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famiglia Iaccarino, di cui Alfonso è il deus ex machina a pieno titolo, la memoria storica e il presente progettuale. L’impronta del tempo e la cura per i dettagli. Il coraggio di non allinearsi e la saggezza di stare al passo con i tempi che cambiano. Da sempre alieno da ogni forma di protagonismo, Alfonso è un fuoriclasse che ha dedicato tutta la sua vita all’affermazione della qualità, intesa nel senso della ricerca continua e totale del meglio, senza compromessi e senza diplomazie del pensiero o della parola. In un volume che consiglio a tutti, La cucina del cuore (uscito due anni fa per Mondadori), Alfonso racconta nei minimi dettagli la storia della sua vita, dell’amore per questa missione esistenziale fatta di scelte coraggiose, evoluzioni, cambiamenti, amore. Una storia che è anche la storia della sua cucina, una cucina che si basa essenzialmente su tre grandi linee-guida: mediterraneità, qualità delle materie prime, modernità. “Cerchiamo di preservare il più possibile i sapori delle materie prime e di cucinarle in giornata. Questo non vale solo per il pescato, che i miei amici pescatori mi forniscono a seconda del tempo, della stagione, delle uscite in mare. Ma anche per la verdura e la frutta. Quindi i soggiorni prolungati e
insistiti in frigoriferi, freezer, surgelatori sono i primi nemici della nostra cucina”, dice Alfonso. Elogio della freschezza, quindi. Freschezza resa possibile dall’intensa attività dell’azienda agricola di famiglia, seguita personalmente da Alfonso e Livia, a Punta Campanella, a un quarto d’ora di strada dal Don Alfonso: un luogo magico e vitale di profumi e colori, dove si concentrano massicce dosi di energia e passione, metodo e costanza, indispensabili alle coltivazioni de Le Peracciole. “Di solito, dato che l’azienda agricola è un gigantesco orto a nostra disposizione - racconta Alfonso -, la mattina colgo gli ortaggi maturi che penso di usare in serata, o che servono per sperimentare un nuovo piatto: pomodori tondi e dolci, insalatine di campo, un po’ di broccoli e di rape rosse per accompagnare una carne, una manciata di capperi per accompagnare una triglia al vapore. E poi l’origano, il basilico, i limoni che serviranno per le limonate da offrire agli ospiti come rimedio contro la calura estiva e soprattutto a Livia, che ne è golosa e in una sola estate ne beve l’equivalente di quasi mezza limonaia!”. Già, Livia: la sua è una figura di spicco, fondamentale nell’offerta del Don Alfonso. Instancabile, lucidamente attenta ad ogni particolare,
dolce e determinata al tempo stesso: a lei si deve la raffinatezza del luogo, lo stile, l’impronta personale degli interni, l’estetica che permea delicatamente tutta la struttura, dalla sala del ristorante, al giardino fiorito, alla piscina, al patio, alle camere e alle suite del Relais. E se a Livia si deve tutto questo, al figlio Mario, quarantadue anni, va riconosciuta la preparazione del grande direttore d’orchestra: serio e professionale, in grado di coordinare una squadra affiatata di professionisti, capaci di entrare in sintonia, ognuno con i propri ruoli, con le esigenze del cliente e “forti” di lavorare per una famiglia straordinaria, attenta all’aspetto umano sopra ogni altra cosa. La grande cucina di Alfonso, oggi sempre più impegnato a portare nel mondo lo “stile Iaccarino” (le esperienze di Macao, in Cina, al Mamounia di Marrakech e all’Hotel Melià di Roma sono tutte significative in tal senso, nonché molto coinvolgenti), ha visto nel figlio Er-
nesto, quarantatre anni, un interprete geniale e rigoroso di una grande cucina di tradizione e di ingredienti naturali. In un momento in cui molti chef stellati cercano nuove strade per fidelizzare la clientela (spesso inventandosi proposte di cucina “semplificata”, modello bistrò o trattoria), Ernesto rimane fedele all’impostazione di famiglia, che parte necessariamente dalla qualità assoluta delle materie prime e che non predilige ”ridimensionamenti” che rischierebbero di stravolgere l’origine dei piatti, nonché i sapori delle materie prime. “Da parte nostra - ci ha detto Ernesto - abbiamo semmai deciso di accelerare sulla prima linea, senza inventarci in alcun modo linee di cucina subalterne o pseudoinnovative. Certo, la modernità è il nostro vero obiettivo, purché sia aderente alle smisurate possibilità offerte dal nostro territorio e venga proposta con intelligenza e senza inutili e pericolose forzature”. L’equilibrio dialettico di Ernesto è notevole: nessuna estremizzazione, nessuna velleità modaiola nelle sue parole, solo una armonica ed essenziale aderenza alla realtà, intesa nel suo equilibrato divenire. “Credo ad una cucina moderna e fortemente identitaria, che sia capace di evolvere ogni giorno e che, fatto non trascurabile, possa contare su uno chef e una brigata che stiano in cucina ogni giorno, anche per sedici ore se necessario!” E ancora: “Qui a Sant’Agata non dobbiamo mai dimenticarci dove siamo: il territorio per la mia cucina conta tantissimo… e nel nostro caso, sotto questo aspetto, possiamo dirci forArtù n°58
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tunati. L’intelligenza sta proprio nel capire dove sei, utilizzando le materie prime migliori, sforzandosi di raggiungere una sintesi che sappia esprimere il meglio, senza esagerazioni né invasività (ahimé presenti in tanta cucina, ndr) che si rivelerebbero solo un iperbole”. Così Ernesto, forte di una brigata di una ventina di persone (tra cui gli chef di spicco per impegno e professionalità: Nicola Pignatelli, Christian De Nadai, Tommasio Foglia) guida il Don Alfonso proponendo piatti di tradizione e riedizioni di piatti storici, ma anche piatti completamente nuovi, come “la reinterpretazione dell’uovo in tegamino con burrata e tartufo nero”: una prelibatezza che rimanda ai profumi dell’infanzia, di quando Ernesto vedeva papà portare dal Piemonte il tartufo bianco che, “proposto con l’uovo, è uno dei grandi piatti della memoria”. Piatti, quelli di Ernesto, che sanno raggiungere il centro delle emozioni, sapori rotondi che si esprimono compiutamente nella propria essenza, come i paccheri di Gragnano, cacio, pepe e scorfano di roccia, (il piatto a cui Artù dedica la copertina di questo numero), il Vesuvio di rigatoni, o gli straordinari cappelli di pasta farciti di maiale
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nero casertano alle spezie d’Oriente e fonduta di parmigiano. Primi di struttura e sostanza, ma anche raffinati e delicati, oltre che belli nelle loro presentazioni. Altri primi dalla carta: i nudi di ricotta in ristretto di cappone di mare con infusione di verbena odorosa, bucce di limone ed ortiche, i baci di pasta di calamari ripieni con il pescato del giorno su leggero pesto al basilico, il risotto ai sentori di cedro, ricci di mare, scampi, uova di salmone ed alghe marine. Un elenco che non può rendere appieno i sapori, il gusto e la consistenza di questi piatti… Dal menu ricorderò solo alcuni piatti di Ernesto, memorabili per armonia, compostezza, perfezione gustativa: i calamaretti e gamberetti con alghe e ortaggi estivi in leggera frittura e maionese di barbabietole, una ricetta storica, l’agnello Laticauda con battuto di erbe fresche del Mediterraneo, una proposta del 2013, il tonno, granella di pistacchi, intingolo di soia piccante con salsa di peperoncini verdi, un altro piatto di quest’anno, la rollatina di rombo, pane aromatizzato alle erbe, mozzarella, aglio ed emulsione di scalogni, del 2012. Sui dessert ci sarebbe da scrivere un altro pezzo….mi limiterò a ricordare il millefoglie di melanzana al cioccolato bianco e fondente, una ricetta di Alfonso Iaccarino, capace di esprimere con pienezza sapori e accostamenti. Dentro a questa scuola di vita che è il Don Alfonso, dove anche ogni minima esperienza è una soddisfazione, lo stile di famiglia è comunicato con notevole empatia dal gruppo dei collaboratori, tra cui spiccano Maurizio Cerio, l’ottimo sommelier che consiglia ai clienti etichette spesso inedite, lontane dai “vini fotocopia” che riempiono tante carte di ristoranti gourmet, Paolo Gargiulo, il direttore di sala che, con l’occhio attento, è sempre pronto a risolvere professionalmente ogni soluzione, Fortunato Maresca, impeccabile nell’accogliere gli ospiti del Relais. E tutto il gruppo dei giovani camerieri di sala, orgogliosi e responsabili, fortemente legati al Don Alfonso 1890: un luogo di valori solidi, che hanno lo stile come denominatore comune e l’imprenditorialità come strumento necessario all’affermazione di questa grande cucina del cuore.
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Enrico Bartolini Autentico e complesso
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di Anna Pesenti
essere in grado di variare: è forse proprio questo il segreto della creatività, saper Il giovane chef del Devero, a Cavenago innovare con armonia ed equilibrio”. Brianza, ha orientato la sua cucina Per la quarta volta in Oriente nella zona verso una estrema caratterizzazione tra Hong Kong e Shangai, per la terza dei piatti. “L’obiettivo è fare la diffe- volta a Pechino, lo chef Bartolini porta renza, con attenzione alle materie con umiltà e passione la cucina italiana prime e con un grande impegno crea- nel mondo: “L’oriente mi piace, ma a tivo”, dice lo chef, stellato Michelin piccole dosi. Non ci vivrei perché difficile, seppur giovanissimo, già ricco di mente mi ambiento in luoghi dal clima esperienze significative. umido e con molta confusione. In fondo sono un po’ bucolico dentro, mi piacciono L’eccellenza creativa non è legata all’età: i luoghi verdi e miti come la Provenza o lo dimostra lo chef stellato Enrico Bartolini la Toscana, dove possiedo una piccola che ad appena 34 anni vanta un curri- azienda agricola in Val d’Orcia”. Come culum davvero invidiabile. Amante delle un perfetto accordatore di toni sempre culture orientali, che lo hanno aiutato nuovi e intriganti, Enrico Bartolini, che ad avere una visione molto più completa conduce il ristorante all’interno dell’Hotel dell’argomento gastronomia, lo chef pistoiese si accosta con entusiasmo a tutte le esperienze che lo possano arricchire, consentendogli di confrontare linee di cucina inedite e sapori nuovi (come accaduto nella recente esperienza avuta in un reality show televisivo a Pechino). Nel caso specifico non c’è stata la necessità ossessiva di essere attori per recitare un copione che non è autentico. In questa occasione Enrico ha deliziato i palati di una giuria-gourmet con un caciucco di polipi con ravioli all’olio, gamberi con spuma di patate, curry e zabaglione salato e con un maiale al forno con la pelle croccante. Come nel jazz, per Bartolini in cucina si deve essere pronti a tutto: “Qualcuno lancia il do e l’altro parte in fa e si deve Artù n°58
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Devero a Cavenago Brianza (MB), nota tutto e lo descrive con una dovizia sapienziale e al contempo realistica, tanto che chi lo ascolta sente di apprendere dalle sue parole segreti antichi. Per Bartolini quello del cuoco è essenzialmente un mestiere, e i mestieri si imparano “in bottega” e poi si studiano e si coltivano: “Non c’è più nulla di segreto perché oggi le tecniche si possono studiare, imparare ed approfondire. È comunque innegabile che per esprimere nei piatti estro ed originalità, con una buona cura per l'estetica e rispettando profondamente i sapori ed il gusto, bisogna possedere una sensibilità particolare”. Reduce da esperienze a livello europeo, che lo hanno portato a soggiornare per anni a Londra e a Parigi, ma anche presso stellati italiani (tre anni trascorsi alle Calandre con gli Alajmo sono certamente una bella scuola), Enrico è convinto che in cucina occorre prima conoscere la teoria e poi saperla mettere in pratica attraverso la manualità: “Bisogna conoscere con la testa e poi realizzare con le mani, passando attraverso il cuore”. Un concetto molto forte, che contraddi-
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stingue lo stellato Bartolini, è che in cucina non ci debba essere nulla di complicato o troppo concettuale, “perché le cose che non si capiscono sono decisamente meno buone”; inoltre mangiare e frequentare un ristorante significa soprattutto sentirsi a proprio agio. Comunque la semplicità di cui parla il giovane chef non sta nelle cotture, ma nel risultato, a cui concorre la necessaria organizzazione della preparazione: il successo di un piatto, insomma, sta nella capacità di scegliere le materie prime e di saperle “confezionare” nel piatto in modo semplice ed efficace, raggiungendo l’obbiettivo finale: il godimento del commensale. Il piatto, in buona sostanza, deve essere facile da mangiare. “Ciò non presuppone che se si crea un piatto di tante consistenze e di tanti sapori, debba per forza essere un cattivo piatto”. L’esempio concreto Enrico lo fa descrivendo i passaggi che portano alla creazione del risotto dedicato a Gualtiero Marchesi, che nella consistenza visibile non ha niente degli ingredienti tradizionali, ma nel sapore è innegabilmente un piatto memorabile. Si tratta di una sorta di biscotto fatto nell’albume che viene montato e poi arrotolato in un biscotto friabile allo zafferano - che si attacca alla superficie tingendolo di giallo - e che, ancora morbido, si fa asciugare in forno. Una volta asciugato, si aggiunge una crema di riso, burro e parmigiano e una foglia d’oro. A prima vista, ci si può domandare come sia stato concepito oppure si pensa che sia un piatto semplice, ma è sicuro che appena lo si mette in bocca, il biscotto svanisce e rimane il gusto deciso del risotto. È un piatto molto complesso, da pensare e da fare, ma, ovviamente, risulta facilissimo da mangiare. “Sono arrivato a crearlo per il desiderio di riproporre quel sapore, semplice e diretto, in modo originale e caratterizzato, anche per consentire di dire 'vado a trovare Bartolini'. Se facessi bene l’ossobuco (che peraltro è in carta, ndr) sarei semplicemente uno dei tanti, quindi devo assolutamente dare una cucina con una marcia in più”, afferma Enrico con una fermezza
che farebbe invidia ad un grande condottiero di altri tempi. Per venire incontro a tutte le esigenze della clientela, sia economiche che di gusto, Enrico Bartolini propone due tipologie di offerta, con cucine sempre legate alla stagionalità: il ristorante principale, dove si possono degustare i piatti gourmet, e il Quick Restaurant, in cui 24 ore su 24 è possibile, per i clienti del Devero e non solo, poter gustare degli interessanti piatti sempre preparati al momento e senza eccedere nei costi. Tra gli antipasti il tonno rosso crudo con guacamole o una selezione particolare di salumi artigianali; tra i primi piatti il risotto agli asparagi verdi e la zuppa di fave e pecorino, tra i secondi dal tradizionale ossobuco con risotto allo zafferano a piatti di pesce come i calamari alla piastra con verdure alla griglia e il salmone Osekey al vapore servito con maionese al dragoncello. Tra i menu del Dodici 24 Quick Restaurant, quello denominato Quick, che comprende antipasto, primo, dessert, un bicchiere di vino, acqua e
caffè, proposto a 30 euro, quello Chic, che al posto del primo presenta un secondo piatto, a 38 euro, e quello dei bambini a 15 euro, caratterizzato da pasta al pomodoro e cotoletta alla milanese e patate fritte. Il menu gourmet, invece, è diviso in piatti dall’Acqua, a base di pesce e piatti dalla Terra, a base di carne e verdure. Tra le entrate dall’Acqua gli scampi impanati serviti con piccola tartare acidula, tra quelle dalla Terra il manzo piemontese al coltello servito crudo, lamelle di foie gras al torcione ed erbe aromatiche. Tra i primi piatti l’eccellente e coloratissimo risotto alle rape rosse e salsa gorgonzola. Tra i secondi, che Bartolini chiama "piatti principali", la zuppa d’astice blu e il pollo arrosto con salsa allo yuzu ed erbe di campo. Anche nei dessert tradizione e idee innovative si intrecciano, come nella neonata torta di cioccolato e mou con gelato allo zenzero e sentori di arancia. I piatti sono accompagnati da eccellenti etichette soprattutto italiane, ma senza disdegnare quelle della vicina Francia.
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Pierangelo Cornaro La passione è il suo mestiere
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di Anna Pesenti La valorizzazione della grande cucina italiana, pur nel rispetto delle sue tradizioni regionali: questo il must di Pierangelo Cornaro, chef patron del Ristorante Taverna Colleoni Dell’Angelo, nella splendida Piazza Vecchia di Bergamo alta. In stile classico ed elegante, ubicato in uno storico palazzo del secolo XI, ristrutturato dal Bramante nel 1477 e frequentato dalla migliore clientela bergamasca e non solo, la Taverna Colleoni Dell’Angelo è il luogo ideale per degustare le eccellenti creazioni dello chef Cornaro in una delle tre raffinate sale dalle maestose volte, nella principale delle quali si può ammirare l’affresco del secolo XV detto dei Tosio Martinengo. Figlio d’arte, cresciuto nell’ambiente della ristorazione, Pierangelo Cornaro è stato a suo tempo definito dal giornalista Vincenzo Buonassisi il Nureyev della cucina, per la leggiadria con cui volteggia tra padelle e fornelli con grande classe, professionalità e creatività, senza perdere mai un colpo. La sua facilità di inventare nuovi piatti, che stupiscono i palati dei clienti più raffinati, gli è valsa la possibilità di vincere numerosi premi di prestigio e gare culinarie televisive, come quella che negli anni ’70 lo consacrò primo chef nella trasmissione Domenica In
condotta da Pippo Baudo. La sella di vitello con i gamberi di fiume, ideata proprio per l’occasione, gli permise di trionfare non solo nella trasmissione di Rai 1, ma anche di farsi apprezzare, durante il suo soggiorno in Germania, dal Cancelliere tedesco e dai suoi tremila invitati alla Kanzler Sommerfest a Bonn - Bad Godesberg, ricevimento al quale parteciparono i più importanti diplomatici presenti nella Germania Federale. Importantissima la sua partecipazione nel 1980, come primo ed
Qui sopra: Pierangelo Cornaro con il figlio Nevio. Nella pagina accanto: Piazza Vecchia di Bergamo alta con il ristorante Taverna Colleoni dell’Angelo e i fagottini al granchio con calamaretti pennini e salsa al Franciacorta.
Taverna Colleoni dell’Angelo
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unico italiano, al più importante concorso gastronomico di quel tempo, La jeune Gastronomie, che si teneva a New York, sotto il patrocinio del Food & Wine Institute of America e al quale partecipavano grandi chef provenienti da moltissimi paesi del mondo. Pierangelo vinse riportando in auge il valore della cucina italiana. Non si può non restare incantati di fronte ai suoi piatti, perché se è vero che una creazione culinaria la si gusta già con gli occhi, questo vale in modo assoluto per le portate che Pierangelo
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Cornaro presenta ai suoi ospiti. Esperto a tutto tondo di ogni tipo di ingrediente, da quelli a soggetto pesce fino alle carni e ai formidabili dessert, un suo piatto promette al palato di intraprendere un viaggio inimitabile ed irripetibile, un’esperienza memorabile, piatti accoppiati a calici di vino che spaziano da rossi di classe a bianchi di grande caratterizzazione, con etichette di provenienza nazionale ed internazionale. I piatti dello chef patron della Taverna Colleoni Dell’Angelo continuano a lasciare il segno nei palati di clienti
ormai tradizionalmente affiliati al locale, ma anche degli innumerevoli turisti che, in ogni stagione, affollano la storica Piazza Vecchia, proprio di fronte alla Basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto l’illustre bergamasco compositore di melodrammi Gaetano Donizetti. Da provare il tonno panato al sesamo e papavero: un richiamo a un mondo lontano e sensuale, senza tradire il legame con il mare e la terra. Anche la Sacher mignon con salsa ai cachi e lampone investe la tradizionale torta austriaca di uno sprazzo elegante e particolare di italianità, che la rende innovativa, ma senza snaturare la sostanzialità della sua origine. Per Pierangelo Cornaro il buon gusto è fondamentale nella preparazione di un piatto e deve
andare di pari passo con la creatività: se si vuole essere dei veri geni della cucina occorre curare la parte estetica delle portate senza modificare il gusto dei cibi. Coerentemente con le sue idee, Pierangelo, coadiuvato dal figlio Nevio che si occupa degli ospiti in sala e dalla moglie Ivana che ne cura sapientemente il raffinato allestimento, presenta delle innovazioni che partono dai grandi piatti della tradizione. Ecco, quindi, che la guancia di vitellino viene stufata a fuoco lento con polvere di cacao, i Casoncelli, pasta ripiena tipica della tradizione bergamasca, vengono proposti con mandorle e scaglie di parmigiano o si trasformano in succulenti fagottini al granchio con calamaretti pennini. Un trionfo di qualità ed estetica
culinaria è sicuramente il cappon magro di crostacei nobili e verdure con salsa al pesto, così bello che dispiace quasi mangiarlo perché non se ne vorrebbe disfare l’architettura perfetta. Pierangelo Cornaro ha pensato proprio a ogni tipologia di clienti. Per i vegetariani il ristorante ha elaborato un Menu Gourmand proponendo una base di parmigiana di melanzane, paccheri di Gragnano con pomodoro, basilico e mozzarella di bufala e una tempura leggera di verdure, la cui fattura è di una leggerezza impalpabile e facilmente digeribile, perché anche il fritto può essere approcciabile in modo salutare: ciò che conta è come viene realizzato. Per quanto riguarda l’accoglienza, la squisitezza di tutta la famiglia Cornaro e dei camerieri fa la differenza: una presenza discreta, ma attenta ad ogni esigenza che non tralascia particolari di sorta, come il raffinato sgabellino ricoperto di stoffa preziosa che viene posto immediatamente accanto alle signore per riporre le loro borse. Creatività condita di buongusto e raffinatezza, da gustare al ristorante bergamasco Taverna Colleoni Dell’Angelo dello chef patron Pierangelo Cornaro, una sintesi di professionalità, entusiasmo e passione.
Qui sopra: tonno panato al sesamo e papavero. Nella pagina accanto: sacher mignon con salsa ai cachi e lampone e il cappon magro di crostacei nobili e verdure con salsa al pesto.
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Famiglia
Tinari
Concretezza italiana
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di Alberto Lupetti Gusto, ospitalità, simpatia. Queste tre parole sintetizzano al meglio Villa Maiella, una delle più interessanti realtà della ristorazione italiana, soprattutto per quanti prediligono concretezza nel piatto e auspicano la tradizione territoriale. Non ci credete? Beh, potete sempre farle una visita oppure… continuare a leggere! Potrà anche essere un mio limite, lo ammetto, ma adoro le cucine concrete e tradizionali, ben più di quelle eccessivamente ricercate e rivisitate. Questione di gusti. Così confesso da subito che il racconto di questo ristorante vedrà a volte cedere il mio spirito critico a una certa predilezione personale, ma spero che me lo perdonerete. D’altronde, quando ho incontrato per la prima volta la famiglia Tinari e assaggiato i loro piatti, goduto della loro ospitalità, è scoccata subito la scintilla. Però non è stata una fugace infatuazione, no, bensì un apprezzamento,
quasi un’ammirazione cresciuti man mano e che ancora non hanno smesso di farlo. Anzi, nel corso dell’ultima visita, Peppino mi ha fatto assaggiare una nuova creazione, “La melanzana, parmigiana e abruzzese”. L’idea gli è venuta mentre era a Tenerife: voleva dare un tocco abruzzese a un grande classico come la parmigiana di melanzane, facendola somigliare esteticamente alle “Pallotte cacio e ove”. Rientrato, ne ha parlato con la moglie Angela che, man mano ha sviluppato il piatto attraverso un’elaborazione particolare a partire dalla melanzana in polpetta. Ora il piatto è entrato stabilmente nel menu e, nella sua apparente semplicità, è gustosissimo, racchiudendo una ricerca finalizzata a una vera e propria esplosione di sapori. Bravi. Ma dicevo del mio amore per Villa Maiella… Beh, fortunatamente mi sono accorto di non essere il solo: a Villa Maiella tutti tornano con piacere per l’accoglienza calorosa, l’ambiente informale, la cucina appagante ed è lo stesso Peppino a confermarlo: “La mia più
Nella pagina accanto: la famiglia Tinari, da destra Peppino, la moglie Angela e i figli Arcangelo e Pascal. Qui sotto: la nuova creazione di Peppino e Angela “La melanzana, parmigiana e abruzzese”.
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grande soddisfazione è data da quei tanti clienti che tornano e ritornano, anche dopo più di 10 anni”. A ogni modo, non è stato solo il pubblico, ma anche la critica più accreditata a riconoscere la bontà di questo ristorante, come dimostra da anni la stella Michelin di cui è insignito.
nella quale gli operai e i contadini di Guardiagrele andavano per un bicchiere di vino e un piatto di salumi o una birra e un panino. Da qui al piatto di pasta a pranzo il passo è breve, così come le richieste di diversi paesani di cucinare la sera qualcosa di più consistente, sempre tradizionalmente abruzzese. In questo contesto, Peppino inizia a dare una Dall’osteria al grande ristorante mano già dall’età di dieci anni, finché Villa Maiella è la creazione di Peppino e un giorno qualcuno chiede alla signora sua moglie Angela sull’onda della più Ginetta di cucinare una teglia di cannelgrande passione. Ecco, del termine pas- loni, piatto, però, non tradizionale del sione spesso si abusa, ma non è il caso luogo. È necessario, dunque, trovare la dei due: basta parlarci, osservare i loro ricetta e la cosa si ripete anche con altri sorrisi, gustare i loro piatti per capirlo. piatti finché il giovane Peppino, che nel Una passione che non è mai venuta frattempo si è fatto adolescente, ha meno durante un percorso lungo che af- un’idea: anziché chiedere ad altri le fonda le proprie radici nella più pura tra- ricette che non conoscono, perché non dizione abruzzese. Tutto ha inizio come andare a impararle a scuola? Così freosteria gestita dalla mamma di Peppino quenta l’Istituto Alberghiero e al termine,
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dopo le prime esperienze, ecco la grande occasione: a Venezia da Cipriani, dove Peppino non solo impara le grandi ricette, ma anche le migliori tecniche di cucina e l’organizzazione di sala. Un’esperienza fondamentale che fa sì che, al ritorno a Guardiagrele, decida di acquistare una cucina professionale e convince la madre e la moglie Angela, anche lei cuoca appassionata, a trasformare l’osteria in trattoria, o meglio, in piccolo ristorante da una decina di tavoli. Ma l’esperienza accumulata a Venezia, unita all’innata bravura nello scegliere le migliori materie prime e cucinarle, trasforma ben presto questa piccola realtà in una meta da gourmet, soprattutto perché porta alla riscoperta dei sapori autentici. In proposito, Peppino confessa: “Mi fa sempre un enorme piacere vedere gli ospiti riscoprire l’autenticità dei sapori, oramai persa, soprattutto con i giovani, che assaggiano pietanze che non conoscono affatto”.
“fattoria”, le uova, le carni di agnello e di maiale, le verdure e gli ortaggi. A proposito di suino, i Tinari hanno recuperato l’antica razza di Nero Abruzzese allevandola allo stato brado, da cui propongono il gustosissimo “Maialino Nero della nostra fattoria laccato al miele ed erbe aromatiche” e i salumi, che sfoderano un sapore talmente genuino che per i più giovani rappresentano una scoperta, mentre per i più attempati un ritorno Qualità e abilità Dunque, la cucina di Villa Maiella poggia alla gioventù. Da sole, comunque, le le sue fondamenta sulle materie prime. grandi materie prime non bastano: ecco Si parla tanto dell’eccellenza e della dunque il rispetto delle cotture, altro loro stagionalità, ma con Peppino e punto fermo della cucina dei Tinari, conAngela questo concetto si estremizza vinti che si debbano adottare diverse addirittura, tale da essere un punto metodologie in tal senso (dalla brace fermo della loro cucina. Ad esempio, fino, all’estremo opposto, le basse temfunghi e tartufi sono selezionati da due perature) per raggiungere l’optimum a piccoli raccoglitori locali di fiducia, le seconda del piatto. Il tutto in un contesto patate vengono solo da Fossa nell’aqui- che rispetta la tradizione ma sa anche lano, l’aglio è quello rosso di Sulmona, innovarla con intelligenza. Ed evolverla. le cipolle dorate di Fontecchio e solo Ecco un esempio lampante. Fino a poco femmine (ebbene sì, le cipolle hanno il tempo fa, un piatto sintetizzava questa genere...) e così via. Però, i cardini di filosofia, il “Quadro”: tradizione (agnello), Villa Maiella sono rigorosamente prodotti qualità (piccolo allevamento), interprein proprio, quindi la pasta e, dalla propria tazione e tecnica di cucina (cotture dif-
Guardiagrele
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Nella pagina accanto: Tartare di vitello bianco all’erba limoncina, su un’emulsione di capperi e cetriolini. Qui sopra: il maialino nero della nostra fattoria laccato al miele ed erbe aromatiche. Artù n°58
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Qui accanto: un grande classico della cucina di Villa Maiella sono i ravioli di burrata, abbinati secondo stagione al tartufo estivo o al classicissimo zafferano. Sotto: un piatto semplicemente irresistibile che fonde insieme la tradizione abruzzese, l’eccellenza delle materie prime, l'abilità dei Tinari: battuto croccante di agnello su fonduta di pecorino.
ferenti). Ebbene, quest’unico piatto ne ha dato origine a quattro diversi - stinco di agnello allo zafferano, costatine di agnello alla brace, spalla di agnello al ginepro e battuto croccante di agnello su fonduta di pecorino - che estremizzano il desiderio di voler dare ancora maggiore risalto alle diverse sfaccettature della tradizione abruzzese. Tradizione che per Peppino e Angela non significa rimanere ottusamente legati a uno schema, bensì saperla reinterpretare con intelligenza: “Siamo aperti agli influssi esterni, che siano viaggi o esperienze di altri chef, ma poi ricalibrati alla nostra cucina”. Un concetto lodevole che traspare osservando il menu, che varia a seconda della stagione, o meglio, della stagionalità degli ingredienti e per questo i piatti possono cambiare anche rapidamente. Ad esempio, i ravioli di burrata sono abbinati al tartufo estivo o allo zafferano a seconda del periodo, mentre in autunno, al fianco degli imprescindibili capisaldi della cucina di Villa Maiella, le proposte si legano ai funghi porcini.
patata farcita con crema d’aglio di Suloma, va provata assolutamente!) lasciano presagire un talento unico. Da due anni, però, il giovane è ad affinarsi alla corte del tristellato Michel Bras e dovrebbe rientrare entro fine anno, se non andrà qualche altro mese in Giappone ad affinare le tecniche orientali. Vedremo. È invece rientrato in pianta stabile il figlio minore, Pascal, anch’egli reduce da un “tirocinio” biennale in Alsazia, sempre presso un tristellato. Ma se Arcangelo è indirizzato alla cucina, la specializzazione di Pascal è la sala, in un connubio ideale con il fratello. La sua accoglienza, il suo essere discreto ma premuroso già è stato apprezzato dagli ospiti di Villa Maiella, anche se ora Pascal si sta dedicando alla cantina. Desidera riorganizzare la carta dei vini, ma vuole farlo piano piano, con cognizione di causa, selezionando solo vini che ha assaggiato, o meglio, quelli dei quali ha visitato la cantina. Tra l’altro, già ora la carta dei vini vanta splendide etichette e, soprattutto, ricarichi che è riduttivo definire onesti. Provare per Futuro radioso credere. Ma non basta, perché se la Questa Villa Maiella oggi, ma il domani “fattoria” è cresciuta lo si deve proprio si prospetta addirittura migliore. Arcan- all’energia profusa dai due fratelli, che gelo e Pascal, infatti, i due figli di l’hanno fortemente sviluppata sopratPeppino e Angela, sono pronti a dedicarsi tutto sul versante dell’allevamento. Incon tutte le loro energie e tutta la loro somma, Peppino e Angela, ma anche passione all’azienda di famiglia. Mentre tutti gli appassionati di Villa Maiella, studiava, Arcangelo già si approcciava possono stare tranquilli, il futuro è in alla cucina e i primi piatti che portano ottime mani! la sua firma (veramente geniale la www.villamaiella.it
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Hostellerie de l’Abbaye La Provenza di Ducasse
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di Gualtiero Spotti Instancabile Ducasse. Tutto ciò che tocca diventa sotto le sue mani prezioso e inimitabile. È un vero e proprio manager dell’alta ristorazione, e pur non essendo materialmente presente nei suoi innumerevoli ristoranti in giro per il mondo riesce sempre a dare all’ospite la percezione, e la certezza, di una perfezione e di un gusto davvero unici. Siamo sicuri che sarà così anche per il nuovo ristorante dell’Hotel Meurice di Parigi, dove il grande cuoco sostituisce proprio in queste settimane la cucina tristellata di Yannick Alleno, ormai lanciato verso altri progetti più personali. Nella sala con vista su Rue de Rivoli, in attesa delle decisioni della Michelin per le stelle da conferire al nuovo ristorante, arriva così Alain Ducasse e, vista la massiccia presenza parigina di locali a sua firma, siamo sicuri sarà l’ennesimo successo. Intanto vale sempre la pena andare alla scoperta del lato più campagnolo e rustico di Ducasse, magari facendo tappa tra le colline della Provenza meno conosciuta, lontana dalle spiagge e delle frenesie della riviera, ma sicuramente più autentica e rilassante di quella che siamo abituati a osservare tra le pagine delle riviste patinate o nelle pieghe dei magazine dedicati al turismo d’elite. L’autostrada che collega l’Italia e la Costa Azzurra a Aix-en-Provence transita a pochi metri di distanza da Brignoles e dal minuscolo villaggio de La Celle, ma la grande comodità qui è proprio quella di trovarsi in un luogo facilmente accessibile e al tempo stesso poco frequentato dalle orde di turisti che cercano il glamour vacanziero. Forse non è un caso che proprio a pochi chilometri da Brignoles la coppia formata da Brad Pitt e Angelina Jolie, attenta nel preservare la propria privacy tra le mura domestiche, abbia scelto di stabilire il proprio buen retiro d’oltralpe, tra le vigne della Coteaux Varois e lontano dagli sguardi indiscreti. Prima di loro però, ci aveva già pensato il gene-
rale Charles de Gaulle, che verso la metà degli anni Cinquanta aveva eletto il borgo di La Celle a meta prediletta, per ritemprarsi dalle fatiche della politica. L’attenzione del generale era caduta, in particolare, sull’imponente edificio dell’antica Abbazia del paese. E fu così che nel 1960, invece di soggiornare come voleva la tradizione a Fort Bregançon, De Gaulle decise di occupare una suite dell’Hostellerie che si trovava a fianco dell’Abbazia. La sosta, prolungatasi da parte del generale per un decennio, caratterizzò la vita del piccolo paese e contribuì alla sua notorietà. In seguito, dopo la scomparsa nel 1971 della proprietaria dell’Hostellerie, Sylvia Fournier, che aveva riportato la magione allo splendore originario, quello di una grande residenza provenzale, l’Hostellerie rischiò di vivere un triste declino, ma in soccorso, con l’inizio del nuovo secolo, arrivò Alain Ducasse che, affascinato dal luogo, dalla storia, dal magnifico giardino e dal paese, decise di ricavarne una delle sue celebri maison provenzali. E trasformò la residenza in un piccolo e delizioso albergo di charme. Un luogo rinnovato dove adesso si possono gustare le specialità provenzali firmate dal celebre cuoco e dove si può vivere l’ospitalità in un sito elegante e raffinato che è un vero e proprio monumento storico. Le stanze sono solo dieci, divise tra quattro camere e sei suite dalle notevoli dimensioni. In pratica dei veri e propri appartamenti dove manca solo la cucina. Una di queste, ed è la più famosa, è la suite dove ha soggiornato Charles De Gaulle e presenta al centro un king size bed identico a quello utilizzato dal generale negli anni della sua permanenza. Tra le mura dell’Hostellerie, e non solo, ogni dettaglio contribuisce a rendere il luogo a dir poco magico. Dai mobili d’epoca sparsi un po’ ovunque ai tre ettari di giardino dove spicca maestosa una pianta di cachi, dalla lineare e pratica piscina esterna allo straordinario bar arredato con grande gusto e in uno stile eterogeneo che mescola modernariato e antiquariato. L’aria d’antan Artù n°58
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che si respira avvolge l’ospite e lo accompagna, in qualche modo, anche nell’esperienza gastronomica. All’Hostellerie il padrone di casa in cucina è il simpatico e brillante cuoco Benoît Witz, braccio destro di Ducasse prima al Louis XV di Monaco, poi alla Bastide di Moustiers e da diverse stagioni di casa a La Celle. Con una meritata stella Michelin che lo accompagna da tempo. Il tratto distintivo della proposta gastronomica è chiaramente la forte impronta dei piatti data dall’orto e dalle verdure, come vuole la tradizione ducassiana presente nel sud-est francese e sempre ben rappresentata dalle celebri cookpot in menu. I piatti sono stagionali e mettono in fila delizie bourgeois da grande tavola di campagna, con i carciofi (artichauts) violetti provenzali in una torta tiepida, accompagnati da un’insalata autunnale; la spalla d’agnello (epaule d’agneau) cotta a lungo e in seguito glassata con il suo succo, il rognone di vitello (rognon de veau) servito intero con champignon di bosco, o il foie gras d’anatra. A fine pasto è difficile resistere alla tentazione di gustare un superbo soufflé al Grand Marnier in versione mignon. Tutti piatti realizzati con gusto e puntiglio, anche perché da tempo Benoît Witz è il braccio operativo che prepara materialmente le delizie da fotografare per i molti libri pubblicati da Ducasse. La mise en place rural-chic in un ambiente vagamente medievale racconta lo stile e la semplicità elegante che è anche il marchio di fabbrica riconosciuto delle Maison Ducasse. Infine, un consiglio per gli acquisti: a fianco dell’Hostellerie si trova la maison che riunisce in un unico punto vendita i produttori di vino di Coteaux Varois. Non è tra le appellation più conosciute di Francia, ma raggruppa qualche nome emergente meritevole di attenzione, magari spulciando tra i domaine che lavorano nel biologico. www.abbaye-celle.com
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Igles Corelli Atman guarda avanti 60
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di Luisa Contri Essere un passo avanti rispetto ai colleghi. È ciò cui ambisce Igles Corelli, lo chef stellato dell’Atman di Pescia (Pt), con la sua cucina “garibaldina d’avanguardia”. Una cucina frutto di un’instancabile e certosina ricerca sia delle materie prime migliori, sia di tecniche di cottura sempre nuove, in grado di far risaltare la loro bontà. Una cucina, insomma, nella quale la creatività non è fine a se stessa. Conversando con Corelli si percepisce chiaramente che dopo più di 30 anni passati dietro ai fornelli non ha ancora perso la voglia e il piacere di sperimentare, di innovare, di stupire. La passione per la ricerca del 57enne chef ferrarese è però temperata da una massiccia dose di concretezza. Corelli definisce d’avanguardia la cucina che fa all’Atman, il ristorante aperto in società con Paolo Rossi, poco più di tre anni fa, dopo essere stato per 14 anni chef del Trigabolo d’Argenta (Fe) e per altrettanti chef patron della Locanda della Tamerice a Ostellato (Mn). "Non chiamiamola cucina molecolare - raccomanda - altrimenti la gente si spaventa". Di tecnologia, in effetti, ce n’è tanta
dietro ai piatti dell’Atman. Ma l’impiego delle attrezzature nella cucina di Corelli ha sempre un suo perché. Non è inteso a impressionare con effetti speciali, bensì a consentire di lavorare al meglio materie prime selezionatissime. "Continuo a ricercare nuove prelibatezze - assicura Corelli -. Ma per tanti prodotti ritengo di essere già arrivato a individuare i migliori in assoluto o per le preparazioni che faccio. Penso al pesce di Porto Santo Spirito, alla carne di fassona della Granda o di mora romagnola, all’aglio di Nubia, al pomodoro del piennolo, alla cipolla di Giarratana, al parmigiano-reggiano 36 mesi e al burro vacche rosse, all’enkir, la farina di triticum monococcum del Mulino Marino che utilizzo per preparare i tortellini, alle uova di Parisi, alla mortadella Pasquini & Brusiani, ai polli della Valdarno, ideali per gli intingoli o a quelli di razza orpington ideali per il barbeque. Il supporto tecnologico è quindi quel qualcosa in più che mi consente di esaltare ulteriormente le qualità di materie prime di prim’ordine. Il calamaro di Porto Santo Spirito, per esempio, è chiaramente il migliore. Cotto sottovuoto a una temperatura controllata di 65°C, non a 66°C per evitare che le albumine coagulino, rimane tenerissimo. La tecnologia, insomma, mi serve per creare la cottura ideale Artù n°58
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per un pesce stratosferico". Lo stesso discorso vale per l’impiego degli ultrasuoni, del rotaval o dell’azoto. Scaldare il brodo nel sinicatore, che emette ultrasuoni, fa sì che le molecole che lo compongono si spacchino in otto, si emulsionino meglio e sprigionino tutto il sapore del brodo. Frullare le foglie nuove di piante di limone, coltivate secondo il metodo biologico, insieme a una minima quantità d’acqua e d’alcol e sottoporre il tutto a estrazione sottovuoto a 35°C permette di ottenere oli essenziali che non hanno il minimo sentore di bruciato. Raffreddare con l’azoto il fumo di faggio che Corelli mette sotto la campana con cui porta in tavola il germano del parco del delta del Po, rende spettacolare la presentazione del piatto. Il fumo raffreddato, infatti, anche dopo che viene alzata la campana, continua ad avvolgere il germano come in una nebbia per circa un minuto, sprigionando anche tutti i suoi profumi. La creatività e la ricerca portata avanti da Corelli, come accennato, è comunque sempre finalizzata alla soddisfazione del cliente. Non è mai un salto nel vuoto. "Se fosse per me - racconta Corelli - abolirei il classico modo di presentare i piatti nella carta, suddivisi in
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antipasti, primi, secondi e dessert. Preferirei elencarli tutti di seguito, senza distinzioni. In ristoranti come l’Atman, d’altronde, tutte le proposte sono piatti gourmet. Mi rendo conto, però, che la clientela non è ancora pronta per una cosa di questo genere, quindi continuo a presentare il mio menu in modo tradizionale". Anche gli abbinamenti cibo-birra, secondo Corelli, meriterebbero di essere valorizzati di più. "Il discorso birra l’avevo già affrontato nel mio precedente locale - racconta lo chef -. Non mi sono limitato a individuare ottimali abbinamenti fra i diversi tipi di birra e i cibi. Ho anche fatto ricerche sul suo uso in cottura. In quella delle carni in particolare, sia di pollo che di maiale". Corelli ha per esempio introdotto la birra nella cottura al barbecue del pollo orpington. Sistemato sopra una sorta di lattina di birra aperta così che questa evapori, la carne di pollo resta morbidissima all’interno e assume un gradevole sentore di luppolo, mentre esternamente diventa croccante. Anche le guance di mora romagnola, cotte su pietra ollare a 120°C insieme a sedano, carota, cipolla e birra, risultano squisite. "In un ristorante come l’Atman, aperto
soltanto la sera, salvo il sabato e la domenica - evidenzia Corelli - spingere percorsi d’abbinamento cibo-birra risulta però difficile perché la clientela, a cena, predilige accompagnare il pasto col vino. Non per niente il rapporto è di dieci bottiglie di vino vendute contro una di birra. Per spingere la birra nel modo giusto avremmo bisogno di avere in sala il produttore che certamente saprebbe raccontare il prodotto con la stessa passione che io metto nel presentare i cibi". Tornando all’Atman, Corelli non si sbilancia sulle novità in preparazione per l’autunno. "Sono in partenza per il Brasile - si limita a dire lo chef - dove oggi va per la maggiore la cucina fusion e dove incontrerò importanti colleghi. Sicuramente porterò a casa delle belle idee". Proprio la cucina fusion, secondo Corelli, tornerà alla ribalta anche in Italia. "Sia chiaro - puntualizza lo chef - io sono e resto fautore della cucina garibaldina, quella che utilizza i migliori prodotti italiani, indipendentemente dal fatto che provengano dal Nord o dal Sud del paese, che non è schiava del territorio ove opera il ristorante e che non disprezza neppure l’impiego delle buone materie prime che vengono dall’estero.
Già da qualche anno la ristorazione è tutta concentrata sul territorio, sui prodotti tipici, locali e a km zero. E la gente incomincia a stancarsi. Per questo penso che fra breve anche da noi si affermerà una cucina fusion, frutto della contaminazione fra quella italiana e quella etnica, che soddisferà la voglia
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Qui sora: baccalà con purè di fagioli di Lucca, erbe di campo e cialda croccante di mais ottofile della Garfagnana.
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di nuovo. Questo non significa il tramonto definitivo della nostra cucina tradizionale. Fra quattro o cinque anni, quando le nuove generazioni di chef non sapranno cucinare all’italiana, sono sicuro che proprio i piatti della nostra tradizione saranno oggetto di una riscoperta e torneranno ad andare per la maggiore nei ristoranti che fanno tendenza". Un’anticipazione comunque Corelli ce la concede. Dopo tre anni dedicati totalmente al lancio dell’Atman, che dal 520° posto è arrivato a scalare la classifica fino all’84°, ci svela che tornerà in tv. "Ho ripreso a collaborare con il Gambero Rosso - racconta lo
chef - l’emittente con cui ho lavorato in esclusiva dai primi anni Novanta fino al 2004-2005. Ancora una volta mi atterrò alla mia regola di andare in tv, non per pavoneggiarmi e per far vedere quanto sono bravo, bensì per presentare al pubblico ricette che siano fattibili a casa. Se all’Atman faccio una cucina d’avanguardia, in tv il discorso deve essere necessariamente diverso. Deve puntare sul prodotto". E chi meglio di lui può farlo. Corelli è d’altronde l’unico eco-chef premiato da Carlin Petrini per il suo utilizzo di ingredienti biologici e biodinamici che rispettano l’ambiente.
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A Roma c’è un
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nell’accostare gli ingredienti e da raffinatezza della presentazione che fanno trasparire la ricchezza di esperienze acquisite nelle migliori cucine di Europa e Asia da questo chef 45enne d’origini calabresi, ma nato in Francia. L’ambientazione del ristorante di via dei Banchi Vecchi è oggi più intima, elegante e discreta. Potremmo definirla minimalista, ma all’italiana, perché i colori sono vivi, caldi. Il rosso, il prugna, il lilla fanno le veci delle tonalità neutre del minimal chic nord europeo. Il risultato è un atmosfera che incontra il gusto sia di una clientela giovane che di quella più attempata. Una maggiore essenzialità caratterizza anche la nuova proposta gastronomica. "In carta - evidenzia Genovese - ci sono ora meno piatti: sei antipasti, cinque primi, sette secondi, sei dolci, per poter dare più attenzione a ognuno di loro, per essere più precisi nella loro preparazione, per rispecchiare pienamente la mia filosofia di cucina". Genovese ha anche eliminato un menu degustazione. Ora ne propone soltanto due: "Il pagliaccio", percorso in otto portate a 130 euro a persona, bevande escluse, e "Un circo di sapori", da dieci portate a 150 euro. "In questo modo - prosegue Genovese - siamo venuti incontro all’esigenza della clientela di una maggiore chiarezza e leggibilità della proposta. E allo stesso tempo siamo riusciti a ottimizzare la gestione e a non aumentare i prezzi, che anzi in alcuni casi abbiamo abdi Luisa Contri Qui sopra lo staff de Il Pagliaccio. Da sinistra: Matteo Zappile che gestisce la cantina, lo chef Anthony Genovese, il responsabile di sala Gennaro Buono e lo chef Francesco Di Lorenzo.
Anthony Genovese, bistellato chef patron de Il Pagliaccio di Roma, non poteva non celebrare il decennale del suo ristorante se non rinnovando completamente menu, locale e sito internet. Il perché è presto detto: la sua personalità si esprime attraverso la creatività, l’ideazione di piatti sempre diversi, che concepisce per il mero piacere di far qualcosa di nuovo. Piatti moderni, connotati da originalità Artù n°58
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bassato, pur avendo migliorato la qualità delle materie prime e anche quella della carta dei vini. Una carta nella quale, alle bottiglie che non possono mancare, si affiancano molti ottimi vini di piccole cantine. Insomma, una carta che non può certo dirsi copiata dalle guide dei vini". La proposta menu è stata completamente rinnovata, una scelta coerente con la filosofia di cucina di Genovese che, diversamente da tanti altri colleghi, non è identificabile con piatti che nel tempo diventano i famosi "classici" di un ristorante. "Alcuni miei grandi colleghi - dice Genovese - cambiano la carta una o due volte l’anno. Modificano un paio di piatti. Li ammiro. Forse anch’io dovrei fare lo stesso. In me però prevale sempre la componente creativa. E finisco per cambiare il menu senza uno scopo preciso, per il semplice piacere di fare dei piatti nuovi. È così che da me un piatto rimane nel menu un anno, un anno e mezzo al massimo, per poi essere sostituito da altri". Se gli chiedete cosa gli piace di più, oggi Genovese risponde le animelle, il manzo crudo con i cannolicchi, i ravioli al burro, le alici col brodo di pelle di baccalà, il pescato del giorno sul suo fondo di cottura fatto con le verdure, l’agnello con l’acqua di prugne e lo yo-
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gurt di bufala. L’anno prossimo, quasi sicuramente, risponderà diversamente. Seppure Genovese ritenga di non aver ancora terminato il fine tuning del nuovo Pagliaccio, che al momento paragona a un cd nel quale uno o due pezzi non sono ancora proprio all’altezza degli altri, di una cosa è soddisfatto: del lavoro fatto sulle materie prime. "Siamo andati oltre quelli che sono i cataloghi dei foodbroker specializzati nella ristorazione - assicura Genovese -. Abbiamo ricercato in tutta Italia piccoli produttori, allevatori e contadini che ci potessero garantire il massimo della qualità. Siamo migliorati molto sul pesce, che ora ci portano da Anzio, Nettuno o Fiumicino. Per la carne ci riforniamo in Piemonte, per l’agnello in Toscana. Il maialino invece è spagnolo. Le spezie arrivano tutte dall’Estremo Oriente. Spesso me le regalano gli amici e i parenti di ritorno da viaggi in Asia. Quello sulle materie prime è stato ed è un lavoro impegnativo e lungo. È molto più facile alzare la cornetta e fare gli ordini. Ma è anche il lavoro che consente di differenziare la propria cucina da quella di un altro bravo chef". Creatività e distintività, Genovese ne è convinto, sono le qualità che gli hanno consentito di conquistare le due stelle Michelin. Stelle che sono per lui un ri-
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conoscimento ambito e gratificante, perché far parte di una cerchia ristretta di grandi chef non può che far piacere. Ma anche una responsabilità, un encomio che si ha sempre paura ti venga tolto. "Avere un ristorante due stelle chiosa Genovese - richiede passione, lavoro, sacrificio, condivisione. Ma ti tiene in continua tensione. Ti senti sempre in equilibrio su una fune. Quello dello chef è un lavoro bellissimo. Non è però per niente facile e va affrontato con umiltà, rispetto, senso del sacrificio e passione". Aspetti caratteriali che Genovese apprezza nei suoi collaboratori: nove persone in cucina più sei in sala. Fra queste il suo secondo in cucina Francesco Di Lorenzo, Gennaro Buono, il responsabile di sala, Matteo Zappile che gestisce la cantina, e la pasticcera alsaziana Marion Lichtle, al suo fianco dal 1994. E a maggior ragione fra gli stagisti, che non esita a scartare se percepisce in loro arroganza e presunzione. Una squadra nutrita quella de Il Pagliaccio, per garantire un servizio molto curato agli 11 tavoli (per una trentina di coperti) distribuiti fra la sala principale, il piccolo salottino privato che ospita il tavolo dello chef (anche se non si affaccia del tutto sulla cucina), e una seconda saletta dove sono esposti i distillati. Semplicità, umiltà e una punta di timidezza sono i tratti caratteriali che Genovese rivela nel relazionarsi con gli altri e che gli fanno preferire di rimanere il più possibile "davanti alla sua stufa". "Non sono un patito dello show business - rivela Genovese -. Trovo anzi stancante e inflazionata tutta questa cucina in tv. Soprattutto mi da fastidio vedere chef improvvisati che, in un paese come l’Italia dove si è sempre mangiato bene, dal piccolo schermo pretendono di insegnare come si fa la pasta al pomodoro e basilico. Certo, se mi invitano, ben venga. Ma mi piacerebbe che in tv si parlasse di cosa significa veramente avere un ristorante, che si raccontasse com’è la vita di uno chef, cosa vuol dire avere due stelle Michelin. Vorrei insomma un po’ più di sincerità e schiettezza".
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Osteria della Brughiera Certezze e sapienza Non è propriamente una novità, questa Osteria della Brughiera (che merita anche il riconoscimento della stella Michelin, visto che è dal 1991 che il patron Stefano Arrigoni si è insediato in questa elegante casa di campagna nel paese di Villa d’Almé, a pochi chilometri dal capoluogo verso le colline che accompagnano il viaggiatore all’imbocco della Valle Brembana). Certamente nei primi anni dalla nascita, il locale, d’impronta gastronomica un po’ orobica ma per buona parte toscana (della Lunigiana per l’esattezza, viste le origini di famiglia), aveva l’allure del logis alla francese, perfetto per una sosta fuori porta, con il piacevole e rustico gusto chic degli ambienti, il sapore contadino di papà Walter che, salumiere in origine, accoglieva i clienti in una cantina ricca di prodotti e di cose buone sfiziose (salumi e testaroli tra gli altri), il piacere di una mise en place da ristorante vero e la scoperta di una serie di piatti dalla qualità sopraffina. Ora, con il trascorrere degli anni, e dal nuovo Millennio, Stefano Arrigoni ha saputo dare un passo diverso sia alla cucina che al ristorante, con il progressivo abbellimento della struttura, la valorizzazione del giardino esterno e la cura per il dettaglio aiutata anche dalla passione del patron per l’arte, come si evince dalle belle opere esposte di volta in volta all’ingresso o nelle sale interne. E di Gualtiero Spotti chiaramente una cucina più in linea Il nome, Osteria della Brughiera, con le esigenze di una clientela che evoca la classica locanda sperduta si è raffinata sempre più e ha saputo nel verde o la buona tavola genuina cogliere le intuizioni gastronomiche che, di solito, è un po’ difficile da proposte di volta in volta da Paolo Beraggiungere ma merita sicuramente nigni, il talentuoso cuoco che ormai il viaggio. Come accade, a volte, da molti anni guida la brigata di per quei ristoranti da passaparola cucina. Al tavolo, e dietro le quinte, si tra amici e per quegli indirizzi che fa poca sperimentazione e l’indirizzo custodiamo gelosamente in attesa non è tra quelli che si segnala per di condividerli con il gourmet di tur- un’impronta di cucina d’avanguardia, no, sapendo di fare cosa più che sia ben chiaro, ma la soavità di alcune gradita. In realtà la “Brughiera” è lunghe cotture, il piacere di riscoprire piuttosto lontana dall’essere una qualche piatto un po’ inconsueto (si semplice trattoria, ed è uno invece mangia un grande Fritto all’Italiana) dei ristoranti più affascinanti e me- e l’attenzione scrupolosa nel ricercare ritevoli di attenzione della provincia materia prima di qualità, la dicono lunga sul livello raggiunto nel corso di Bergamo.
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degli anni. Qui si trovano sempre preparazioni equilibrate ed eseguite perfettamente, come raccontano i calamaretti ripieni di patate e prezzemolo, carciofi e scarola, l’avocado con mela verde, scampi crudi e totanini, il consommé con brodo di carne, radicchio trevigiano e altre verdure, il vitello con patate, carciofi e fagiolini, gli spaghetti al sugo di telline sgusciate o l’ostrica con gelatina di lemongras, barbabietola e senape. Una sapienza
interpretativa che lascia sempre ammaliati e che conduce l’ospite verso i dolci, in un crescendo di sensazioni da accompagnare rigorosamente con una delle buone bottiglie che arrivano da una cantina superfornita, dove spiccano ottime etichette anche dalla vicina Francia. Stefano Arrigoni accoglie i suoi ospiti con il consueto garbo e con lo stile da consumato bon vivant, ed è anche per questo che l’Osteria della Brughiera è diventata un risto-
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Qui sopra: carpaccio di gamberi rossi, mozzarella, pomodoro, pistacchi e lime.
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rante di alto livello, nel quale ci si sente coccolati e sempre a proprio agio, sia che si decida di vivere le sale interne o che ci si accomodi nel dehors estivo. In un ormai lungo periodo di incertezze e di dubbi amletici su come far ripartire il comparto della ristorazione per superare la crisi, la Brughiera rimane uno degli esempi virtuosi della provincia orobica, premiato dalla clientela e capace di dare segnali a chi vuole mantenere alta la qualità della proposta nel proprio ristorante senza lasciarsi andare a facili compromessi. I prezzi non sono più quelli da locanda di campagna e neanche quelli che si era soliti osservare nella carta solo tornando indietro di qualche stagione nel decennio pre-euro, ma vista la qualità raggiunta e l’esclusività dell’esperienza a tavola, una sosta vale decisamente il viaggio. Chi invece volesse togliersi lo sfizio di un aperitivo, magari gustando qualche stuzzichino, può indirizzarsi verso l’Arri’s Bar, l’indirizzo più easy di Stefano Arrigoni che si trova in centro a Bergamo, adatto a una clientela più giovane, con caffetteria e prelibatezze dolci in bella vista. www.osteriadellabrughiera.it
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Nasce THERESIA Per un caffè perfetto di Luisa Contri Quest’autunno bar, ristoranti e hotel con clientela super esigente e coffee lovers sono ad alto rischio… di soccombere al fascino di Theresia, macchina per caffè espresso a forma di diamante, ultima nata della collezione Victoria Arduino di casa Nuova Simonelli.
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Nuova Simonelli è l’azienda marchigiana che si rivolge alla fascia alta del mercato, con macchine per il caffè espresso curate nei minimi particolari, altamente performanti e tecnologicamente all’avanguardia a marchio Victoria Arduino e Nuova Simonelli, brand partner tecnologico del World barista championship (Wbc) dal 2009. A firmare Theresia, Nando Ottavi, presidente di Nuova Simonelli, ha chiamato una coppia d’archistar: Doriana e Massimiliano Fuksas hanno disegnato una macchina per caffè espresso preziosa in tutti i sensi. Lo è senza dubbio per il suo design accattivante e, al tempo stesso, semplice e funzionale. Compatta nei volumi e dalle forme geometriche, Theresia è realizzata completamente in acciaio inox. Supermirror specchiante per la carena lavorata a mano. Dopo il taglio dell’acciaio col laser, esperti artigiani effettuano manualmente le 110 differenti piegature della carena. In acciaio sono anche il telaio, le lance e le caldaie, coibentate termicamente. Questa macchina è però preziosa anche tecnologicamente. L’elegante "carrozzeria" di Theresia nasconde infatti un motore gestito da una centralina elettronica e con un sistema brevettato fra i più aggiornati, per un’estrazione eccellente del caffè: la tecnologia T3 è stata concepita da Nuova Simonelli grazie anche all’esperienza acquisita nell’ambito del Wbc, stabilendo nuovi standard di riferimento sull’accuratezza termica dell’acqua in erogazione. Accuratezza che rimane in un range di più o meno 0,3°C. Con questa tecnologia il virtuoso dell’estrazione del caffè può infatti impostare, con la massima flessibilità, la temperatura d’erogazione del gruppo attraverso tre diversi parametri: acqua, gruppo e vapore. E ottenere così il massimo dalla miscela che utilizza. Ma non è tutto. Theresia supporta un’elettronica che, grazie a sonde digitali di temperatura che inviano istantaneamente le informazioni alla centralina, gestisce attivamente ogni variabile. Il risultato è una precisione senza uguali, indipendentemente dal ritmo di lavoro
e dalle condizioni ambientali in cui opera la macchina. E dispone di una lancia vapore cool touch, per evitare fastidiose scottature e per una maggiore semplicità di pulizia; del sistema Sis, che garantisce un’infusione morbida, tale da realizzare estrazioni cremose e di qualità superiore; delle smart functions abilitate dal display digitale; e del portafiltro teflonato, che ne garantisce una maggiore pulizia, ed ergonomico. La costante innovazione – abbinata alla cura dell’estetica nella serie Victoria Arduino e alla funzionalità all’eleganza in stile moderno nella serie Nuova Simonelli – è insomma uno dei pilastri su cui si fonda il successo di quest’azienda marchigiana. Un’azienda che ha continuato
a crescere anche in questi anni di crisi. "Nel 2009 - spiega ad Artù Cosimo Libardo, direttore commerciale di Nuova Simonelli - anno di reset del mercato delle macchine per caffè, realizzavamo 17,6 milioni di euro. Nel 2012 abbiamo raggiunto quota 33 milioni e siamo proiettati a 36 milioni per fine 2013 o a 40 milioni se consideriamo anche la nostra filiale negli Usa". Un’innovazione portata avanti grazie a ingenti investimenti: ben il 12,2% dei ricavi aziendali e apprezzata in tutto il mondo: l’85% dei ricavi di Nuova Simonelli sono infatti realizzati grazie alla vendite in 117 paesi al mondo. "Oggi - prosegue Libardo - le macchine assorbono soltanto il 40% del nostro lavoro. Per avere successo, per mantenersi un passo avanti rispetto alla concorrenza, è indispensabile guardare al mercato nella sua interezza. Proporre macchine eccellenti per qualità, performance e affidabilità è frutto di un insieme d’attività, che si basano sulla ricerca e sviluppo nella progettazione. Ricerca che portiamo avanti avvalendoci anche della collaborazione di scienziati di diversi atenei, in primis quelli delle Marche. E che si estendono alla formazione di una squadra d’esperti nell’assistenza ai clienti che le utilizzano. Assistenza riguardo agli aspetti tecnici della macchina, ma anche rispetto alla tipologia di miscela impiegata, per far in modo che il risultato di quest’accoppiata sia sempre il migliore
possibile. All’acquisizione di una sempre più approfondita conoscenza del caffè. E alla divulgazione di queste conoscenze per far in modo d’essere seguiti e compresi, di parlare il medesimo linguaggio con tutti gli operatori lungo la filiera". Questo modo d’intendere il business di Nuova Simonelli ha fatto sì che l’azienda non soltanto lavorasse con l’obiettivo di diventare partner tecnologico del Wbc, collaborazione che l’ha messa in contatto con il gotha del mondo del caffè, ma diventasse un hub per la comunità del caffè. Presso la sua sede di Belforte del Chienti (Mc) l’azienda ha infatti allestito un High Level Educational Laboratory presso il quale si svolgono corsi internazionali di tasting, cupping e roasting, cui partecipano baristi, produttori, buyers e torrefattori di tutto il mondo, e anche corsi di formazione per i giurati del Wbc. E se le Aurelia saranno fino al prossimo anno le macchine per caffè espresso ufficiali del Wbc, Nuova Simonelli continua a lavorare per migliorarle. "Oltre che sulla silenziosità, sul confort e sul risparmio d’energia delle macchine per caffè espresso - anticipa Libardi stiamo lavorando su un nuovo modo d’erogazione del caffè". Artù n°58
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TOOLLIO, l’universatile alleato in cucina igiene al 100% perchè completamente smontabili e lavabili. Flavio Fascio PeTre Spade, marchio storico dell'azienda cetto, Sales & Marketing Director di Tre Facem, sul mercato dal 1894, sviluppa Spade, dichiara: "Toollio ottimizza il attrezzatura professionale dedicata lavoro quotidiano di chef e ristoratori e al comparto alimentare, rispondendo contribuisce a renderlo migliore e più da sempre alle esigenze di cuochi e sicuro. Abbiamo posto al centro delle chef che devono essere in grado di nostre ricerche il lavoro quotidiano dei gestire e organizzare al meglio le ma- professionisti dando vita a un prodotto terie prime da cucinare. che contribuisce realmente a migliorare le normali pratiche in cucina". E aggiunge: La costante ricerca ed evoluzione tec- "Toollio ha potuto contare anche sul nologica negli strumenti professionali supporto di una nutrita pattuglia di da cucina ha permesso a Tre Spade di chef italiani, ai quali abbiamo inviato il progettare e presentare al mercato professional il primo robot multifunzione. Si chiama Toollio ed è una vera innovazione nel campo della cucina professionale, pensato ad hoc per qualsiasi tipologia di cucina e per i banchi da lavoro di ristoranti, alberghi, agriturismi. Il proClasse 1979, Christian Milone ha getto del multifunzione Tre Spade, tutto svolto diversi stage al Piazza Duomo italiano, merita una riflessione: sviluppato di Alba di Enrico Crippa, per poi dal reparto R&D di Tre Spade e firmato gestire il locale di famiglia. Entrato a Adriano Design, che collabora con l'Azienfar parte dei Jeunes Restaurateurs da da cinque anni, è il risultato deld'Europe nel 2012, è stato premiato l'unione tra funzionalità, praticità ed eccome "Top Chef di domani 2013" cellenza industriale. Le due prese di dalla Guida Touring Club Italiano e moto affiancate e una struttura definita con il premio "Birra in cucina 2013" "a ponte" rendono Toollio un robot unidalla Guida ai Ristoranti d'autore di versale capace di riunire in un'unica Identità Golose. Neo-cappello 2013 macchina diverse funzioni: tritacarne, della guida ai Ristoranti d'Italia de tritapomodoro, insaccatrice, grattugia, l'Espresso ha, sempre nel 2013, coninteneritrice, tagliaverdure e tagliamozseguito le due forchette dalla Guida zarella, con un notevole risparmio di del Gambero Rosso. Nel novembre tempo, spazio ed energia. In dettaglio 2012 ha inoltre vinto il secondo Conla macchina è realizzata in un unico corso Nazionale Birra Moretti Grand blocco di alluminio e grazie alle due Cru aperto a chef e sous chef under prese di moto indipendenti con differenti 35. Così commenta la sua personale velocità, è possibile utilizzare singolaresperienza con Tre Spade e con mente le singole funzioni del robot. La Toollio: "Conosco l’azienda da oltre loro posizione affiancata riduce notevolmente gli spazi permettendo così di lavorare sia sul fronte, sia sul lato della macchina. Il riduttore, con ingranaggi in acciaio, è lubrificato a olio per assicurare un'alta affidabilità di utilizzo. Il corpo macchina, dal peso di 19 chili, si trasforma adattandosi a qualsiasi esigenza richiesta grazie agli accessori in dotazione, veri e propri utensili professionali che assicurano di Elisa Facchetti
prototipo di Toollio perché lo provassero e ci comunicassero opinioni e consigli. Siamo riusciti, così, a immettere sul mercato un robot multifunzione che coniuga in un unico corpo macchina più funzioni, apportando miglioramenti reali e tangibili. Risparmio di denaro, di tempo, resa perfetta e igiene impeccabile". Da qui la volontà dell'azienda di organizzare alcune inziative volte alla promozione di Toollio: una campagna stampa, un roadshow e una partnership con un professionista, Christian Milone, chef emergente entrato a far parte del-
Il parere dello chef: la parola a Christian Milone
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trent’anni, da quando ero piccino e i miei nonni adoperavano le insaccatrici e gli spremipomodoro Tre Spade: la mia passione per la cucina deriva dai miei avi. Nel 2006 ho preso in mano le redini del locale di famiglia e gli ho dato la mia impronta personale, ma Tre Spade non mi ha mai abbandonato. Toollio è versatile, performante, sicuro, salvaspazio e garantisce un’igiene impeccabile, mai vista prima. Lo uso quotidianamente per la preparazione degli ingredienti nella cucina del mio ristorante e lo consiglio a tutti i colleghi chef. Toollio è un valido alleato perché consente di tritare, affettare, sminuzzare, intenerire, spremere, insaccare e grattugiare in modo pratico, veloce ed efficiente e utilizzando una sola macchina! È come se Tre Spade avesse previsto le esigenze di noi chef: Toollio è la risposta, una macchina che racchiude in sé più utensili. In Toollio confluiscono la tradizione, l’efficienza e l’affidabilità garantite da un’azienda solida come Tre Spade, che opera sul mercato da oltre 100 anni, e una mente moderna e all’avanguardia, molto vicina al nuovo modo di fare cucina. Toollio ottimizza lo spazio di lavoro e il tempo impiegato, assicurando sempre e comunque una resa perfetta".
l'associazione Jeunes Restaurateurs d'Europe nel 2012, protagonista della campagna di lancio "Toollio, l'universatile". Il calendario Tre Spade è ricco di appuntamenti: il 16 settembre è partita la prima tappa del roadshow presso lo showroom di Casolaro Hotellerie di Nola (NA) e ne seguiranno altre nelle principali città italiane. Il Toollio Day è un momento di incontro e di presentazione in stile
smart educational, durante il quale gli chef e i professionisti del gusto possono assistere a tutte le fasi di lavorazione, smontaggio e pulizia e toccare con mano il prodotto. Sei le tappe per scoprire tutte le potenzialità di Toollio, illustrate dal giovane testimonial Christian Milone, impegnato inoltre per conto di Tre Spade in attività pubbliche, showcooking e fiere internazionali.
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Småland, Svezia Il lusso della semplicità
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di Gualtiero Spotti
trenne Myllymäki ha inaugurato il suo nuovo ristorante da circa un anno e ha Al di fuori dei normali circuiti turistici, saputo unire gusti e tipicità della regione e quindi meno frequentata, la regione in una filosofia di cucina proiettata verso dello Småland, nel cuore della Svezia scelte di cottura e di preparazione più centro-meridionale, è un piccolo gio- moderne e intraprendenti. Qualche esemiello da scoprire, per vivere appieno pio? Il salmerino trattato come se fosse la cultura, la gastronomia, la natura un ceviche, il pesce in sashimi leggermente e la storia della nazione scandinava salato per evitare di abbinare la soia, e approfittando di un paesaggio verde una delle glorie locali, la salsiccia Istere rilassante, tra foreste e laghi. Con band, fermentata per un giorno prima di molte sorprese a dir poco inaspettate, affumicarla e servita con barbabietola e soprattutto se l’interesse si concentra aceto sotto forma di croquette. Al Sjön, sulle delizie del palato, visto che la ristorante con terrazza e stile informale, regione offre tradizione contadina, si possono intuire molte delle tendenze prodotti della terra e qualche indirizzo future della cucina scandinava, legata per chi ricerca la nuova cucina nordica alle produzioni locali, ma al tempo stesso al di fuori dei nomi più altisonanti aperta a brillanti contaminazioni internadella capitale Stoccolma. zionali. E se, seduti ai tavoli sfugge qualche ingrediente, chiedete pure deluUn buon punto di partenza per un tour cidazioni ai due aiuto cuochi, uno di sfizioso può essere il ristorante Sjön del origini pugliesi e l’altro italo-argentino, premiato cuoco Tommy Myllymäki, ma- che si muovono agilmente ai fornelli. Se gnificamente posizionato sulle rive del poi volete accaparrarvi un gustoso e lago Vättern a Jönköping. Già medaglia classico souvenir gastronomico della d’argento al Bocuse d’Or 2011 e miglior zona, puntate l’attenzione sugli invitanti cuoco di Svezia nel 2007, il trentaquat- e coloratissimi bastoncini di zucchero
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dal mondo
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Gränna
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Jönköping
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Braås
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Växjö
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Linneryd
Polkagris di Grenna. Il negozio principale per acquistarli è nella cittadina di Gränna, ma si possono facilmente trovare anche in giro per la regione in altri punti vendita: sono una delizia d’antan per bimbi e adulti, realizzati con zucchero, acqua, aceto e olio naturale di menta e riportano alla mente i classici candies anni Cinquanta. L’altra meta imperdibile nello Smäland per i veri gourmet rimane invece il ristorante Pm & Vänner a Växjö, dove si incrocia una cucina che offre molti spunti degni di rilievo. Innanzitutto l’originalità della coppia di proprietari, Per e Monica, che oltre a dare le proprie iniziali al ristorante, hanno realizzato un orto e una serra nel cuore della città, tra le case. Un angolo di verde dal quale ricavano la materia prima di stagione, oltre alle erbe che arricchiscono molte delle preparazioni in tavola. Il ristorante, poco distante, funge anche da cocktail bar e da centro di aggregazione giovanile serale, ma è la sala principale ad offrire le emozioni più forti. Anche qui l’impronta di cucina regionale non manca, però la volontà è sempre quella di mescolare le carte, di presentare un originale mix di nuovo e antico, di rappresentare il proprio territorio facendo continui esperimenti basandosi su tecniche d’avanguardia. I due cuochi Johannes Persson e Anders Lauring dimostrano tutto il loro valore e i vini (provenienti da una cantina eccezionale per varietà) sono scelti da un sommelier di caratura internazionale, Rubén Sanz Ramiro. Al tavolo è difficile resistere a piatti come la terrina di fegato di gallo con cioccolato e ciliegie, alle meatball con confit di agnello e finocchio o al curioso single cow milk cheese. Quest’ultimo è un formaggio realizzato appositamente
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per il ristorante e viene ricavato dal latte di una sola mucca, certificata e fotografata sul volantino che verrà consegnato al tavolo insieme al piatto. Chi invece cerca un contatto diretto con la natura o l’acquisto di prodotti, può sicuramente dirigersi verso due destinazioni. La prima è il villaggio di Korrö, a Linneryd. Un gioiello di architettura rurale nel bosco. Da qui partono una serie di sentieri e di percorsi per una full immersion nella natura. Il villaggio offre ristorante e ostello, ma ci sono anche un centro per appassionati della canoa e della pesca (siamo sulle rive di un fiume), un museo e alcuni negozi. Una delle esperienze più
divertenti offerte agli ospiti rimane il percorso Health & Gourmet, che dura qualche ora in compagnia di una guida vestita alla moda del 1800. Il tour prevede una gita a piedi nel bosco, tra punti di ristoro che permettono di scoprire e assaggiare i prodotti locali (formaggi, verdure, pesce, birra, pane) accompagnati dai racconti sulla vita rurale e contadina, oltre che sull’importanza di instaurare un rapporto più stretto con la natura. L’altra destinazione è invece la fattoria Stellas Ostkaka, a sei chilometri a nord di Braas. La deliziosa tenuta di campagna della famiglia Nilsson è diventata in breve tempo un punto di riferimento per chi ricerca la genuinità, il gusto delle cose semplici e il piacere dell’ospitalità di campagna. Tra le mura del piccolo punto vendita si nascondono delizie come il cheesecake, i budini, i biscotti e il pane fatto in casa, e i salumi (anche in questo caso l’Isterband la fa da padrone), che invece vengono confezionati nella cucina di casa. Un indirizzo che in qualche modo riassume lo spirito e le migliori tradizioni dello Smäland, una regione tutta da scoprire.
www.pmrestauranger.se www.sjon.se www.korro.se www.polkagris.com www.stellasostkaka.se
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libri
Street food all’italiana e dolci senza glutine
Titolo: Coffemekers. Macchine da caffè Autore: Enrico Maltoni e Mauro Carli Editore: Collezione Enrico Maltoni Anno: 2013 Pagine: 776 Prezzo: 100,00 €
Titolo: Cibo di strada. Il meglio dello street food in Italia Autori: Luca Iaccarino Editore: Mondadori Electa Anno: 2013 Pagine: 180 Prezzo: 14,90 €
Titolo: BirrItalia 2013/2014. Mercati, produttori, importatori, microbirrifici, fornitori, distributori Editore: Beverfood.com - Edizioni S.r.l. Anno: 2012 Pagine: 480 Prezzo: 100,00 €
Titolo: Dolci e pane senza glutine. Delizie dal forno per chi non tollera il glutine Autore: Hannah Miles Editore: Guido Tommasi Editore Anno: 2012 Pagine: 144 Prezzo: 25,00 €
La caffettiera fa scuola 2700 immagini, 60 disegni tecnici, 220 cartoline e locandine pubblicitarie di varie epoche. Questi sono solo alcuni dei numeri che fanno di questo volume una vera e propria enciclopedia dedicata al mondo delle caffettiere, scovate e fotografate in più di due anni di lavoro in giro per il mondo. Tra brevetti, manuali, schemi di funzionamento e quanto altro, vengono passati in rassegna 400 anni di storia, dalle origini della bevanda con annessi cerimoniali e semplici utensili per il consumo, fino alle macchine elettriche per l'espresso. Le migliaia di foto illustrano il percoroso davvero minuzioso svolto dai due autori, che hanno saputo rendere l'opera non solo una vetrina di utensili per "fare il caffè", ma anche un piacevole viaggio ricco di aneddoti e curiosità. Prefazione di Giuseppe Lavazza. Il volume, biligue italiano-inglese, può essere acquistato sul sito www.coffemakers.it o prenotato telefonicamente al numero 3474132673.
Lo street food “all'italiana” Ovvero il cibo da strada, così come lo definisce Luca Iaccarino nel suo utile volumetto. Dopo una breve presentazione, le istruzioni per l'uso: il libro è diviso per regioni, introdotte da una cartina geografica semplificata ma molto chiara. Dopo un appunto dell'autore si parte con la descrizione dei cibi da strada tipici di ogni regione, a cui seguono gli indirizzi di alcuni locali - con commento "verace" - e qualche nota sulle sagre, cooperative, associazioni o dettagli dedicati a particolari pietanze. Il volumetto, stampato su una carta che ricorda i famosi "cartocci" dei fritti, si conclude con l'indice dei locali divisi per regione e una sezione per gli "appunti" personali. Più che un libro sui cibi da strada è un invito a provare nuove esperienze, locali e cibi - rigorasamente da strada - che altro non sono che piatti della tradizione regionale. Nulla di nuovo dunque, se non quell'anglicismo che rende il cibo da strada la star del momento.
A tutta birra! L'annuario è una vera e proprio enciclopedia dedicata al mondo della birra: 26 tabelle sui mercati, 2000 marche segnalate, 320 schede di produttori di birra e di sidro, oltre 61 organizzazioni di import e distribuzione, 516 tra microbirrifici e brew pub con relative marche prodotte, 162 tra birroteche e beer shop, 750 fornitori specializzati, oltre 2000 grossisti distributori. In primo piano il profilo del mercato internazionale e italiano della birra, a cui segue un elenco alfabetico di tutti i marchi di birra commercializzati in Italia. Si passa poi ai produttori che operano sul mercato italiano divisi per paese di provenienza a cui segue l'elenco degli importatori e le organizzazioni che operano a livello nazionale. Interessante la sezione dedicata agli operatori artigianali: qui si possono scovare tutti i microbirrifici i brew pub e i beershops in Italia. Sono divisi per settori di competenza i fornitori specializzati, chiude l’annuario il corposo elenco delle aziende della distribuzione.
Celiaci con le mani in pasta Celiaci e non, è ora di impastare! E di stupire con dolci e dolcetti inospettabili, realizzati con farine senza glutine. Con i consigli e le ricette di Hannah Miles è possibile preparare manicaretti dal sicuro risultato, ottimi nel gusto e nella presentazione. I celiaci lo sanno bene, impastare farine senza glutine a volte è davvero un'impresa! Ma questo prezioso libello svela alcuni piccoli segreti per organizzare al meglio la preparazione di un dolce con farine "speciali", un prezioso aiuto per tutte quelle persone intolleranti al glutine, e una piacevole scoperta per chi, invece, vuole toccare con mano le sorprendenti ricette senza glutine. Ogni ricetta è introdotta da un brevissimo commento, a cui seguono l'elenco degli ingredienti e la spiegazione. Bellissime foto e sfondi color pastello rendono il volumetto ancora più piacevole alla consultazione.
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secondo Artù
Price for value tra Garda, Tirolo, Bellagio e Milano PATSCHEIDERHOF Loc. Signato 39100 Bolzano 0471 365267 www.patscheiderhof.com
Sarà la magica vista sulle colline vitate del St.Magdalener, il vino rosso coltivato a nord di Bolzano, sarà la simpatia della famiglia Rottensteiner, i patron del luogo, sarà l’ottimo rapporto fra prezzo e qualità… Fatto sta che in questo maso con terrazza, a quattro chilometri dal capoluogo altoatesino, l’esperienza vale davvero il viaggio. La cucina è semplice e assolutamente genuina, di repertorio perlopiù locale, perfettamente eseguita dal cuoco. Buoni i canederli, proposti in tre varianti: spinaci, rapa rossa, formaggi locali, ottime le costine di maiale (tra le migliori mai provate per succulenza, gusto e dimensioni), “speciale” il Bauerngrostl, il “piatto del contadino”, una specialità locale a base di carne di maiale e patate saltate come solo qui sanno saltare. Notevole la proposta di vini del territorio sudtirolese (siamo circondati da splendidi vigneti terrazzati) ma anche di altre regioni italiane. Consigliamo vivamente di venirci in estate, quando il clima consente di godere di grandi panorami di montagna dolomitica (il Rosengarten è proprio di fronte a voi). Oppure veniteci in autunno, per il Torggelen, ovvero per gustare crauti, salsiccia, vino rosso, castagne e vino novello appena vendemmiato. Il prezzo? Difficilmente supera i 20 euro, con grande gioia del gourmand.
RISTORANTE DELL’HOTEL VERONELLO Via Veronello 2 37011 Calmasino (Vr) 045 7235021 www.hotelveronello.it
della A22, l’autostrada del Brennero. Sede della società calcistica del Chievo, che fa qui a Calmasino (sede, peraltro, del Gruppo Italiano Vini) i suoi allenamenti, l’hotel Veronello non a caso “nasconde” due campi di calcio regolamentari, con un tappeto erboso da fare invidia a San Siro, due piscine, campi da calcetto e quant’altro può fare gola a sportivi di professione e appassionati di calcio. E, a proposito di gola, va assolutamente segnalata la cucina del ristorante, gestito (insieme a tutta la struttura) da Davide Bovo, un imprenditore-gourmet con le idee molto chiare e attentissimo a selezionare materie prime e fornitori di qualità: la cucina è diretta da uno chef d’eccezione, Andrea Galvan, trentenne con varie esperienze alle spalle (tra cui qualche anno al ristorante stellato dei fratelli Tamani, l’Ambasciata di Quistello). La bravura di Galvan esce allo scoperto con piatti di repertorio tradizionale, felicemente resi ancor più appetibili da estro e inventiva. Qualche esempio arriva da una recente esperienza, a base di proposte essenzialmente di pesce. Ecco i piatti degustati: la fregola sarda con scampi e gambero rosso, gli spaghetti Barilla “selezione chef” con vongole veraci e bottarga, “il” fritto superlativo con triglie di scoglio, la spigola al forno con olio extravergine del Garda veronese e, last but not least, la mitica “Giardiniera”, preparata con verdure freschissime e proposta agli ospiti anche come gradito amouse bouche insieme ad un salame prodotto grazie a suini provenienti da al-
levamenti selezionati. Ogni pasto si chiude con la degustazione di un distillato di timo selvatico che lascia una gradevole sensazione di fresco in bocca. Il patron Davide Bovo ci tiene a sottolineare che il ristorante dell’albergo è un vero e proprio “format” innovativo, in cui il cliente è il vero protagonista, al punto di venire coinvolto in prima persona nella composizione del menù, preferito. Insomma, la libertà di mangiare ciò che si desidera, eseguito ai massimi livelli, qui regna sovrana. Una raccomandazione: prenotare sempre e chiedere quali sono le proposte del giorno. Il menù del Veronello, esclusivamente stagionale, cambia in continuazione e vede il più possibile privilegiate materie prime del territorio, ovviamente non sempre disponibili ma reperibili a seconda di fattori climatici, logistici, distributici ecc.. Ovviamente, si fa qualche deroga al territorio per pesce di mare e carni: a questo proposito, segnaliamo che per il Thanksgiving Day, a novembre, Davide e Andrea propongono una cena statunitense, con il tacchino protagonista della scena. Esterofilia? Può darsi, ma la succulenza dei piatti, anche in questo caso, è garantita!
TERRAZZA BARCHETTA Salita Mella 22021 Bellagio (Co) 031 951389 www.ristorantebarchetta.com
Ma quanto si è risvegliata la Bellagio gastronomica negli ultimi tempi! Sulla scia dell’impronta di Ettore Bocchia, lo chef stellato del Grand Hotel Villa Serbelloni, che grazie alla sua genialità ha letteralmente rivoluzionato la percezione di staticità gastronomica del Lario, si sono poi consolidati e imposti altri giovani professionisti dell’offerta, come Luigi Gandola del Salice Blu (eclettico e versatile) e molti altri che, con diverse caratteristiche, cercano strade nuove per conquistare clientela. Ci sono poi le “conferme”: tra i “sempreverdi” di Bellagio, infatti, va segnalata la grande inventiva di Armando Valli, il vulcanico chef patron della Terrazza Barchetta: il cuoco bellagino è riuscito a creare un luogo di riferimento gastronomico per la clientela turistica internazionale (ma anche locale), alla ricerca di specialità di territorio ma anche della grande cucina italiana di tradizione. Sulla suggestiva terrazza del Barchetta, ubicato in uno dei viottoli più suggestivi della “perla del
LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Ragionevole
Una bella scoperta, questo Veronello gardesano, a una manciata di chilometri dall’uscita autostradale di Affi
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Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole
secondo Artù
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Artù n°58
Lario”, questo chef “di lungo corso” propone un repertorio di piatti “locali”, come il risotto al pesce persico (quando la pesca consente di averlo) o al lavarello, il classico risotto al salto (decisamente memorabile, croccante all’esterno e morbido all’interno), il risotto al Sassella con salsiccia, il coregone al pistacchio, il cocktail di pesce di lago marinato e altre proposte ispirate a materie prime autoctone. Ma al Barchetta ci si viene anche per gustare pesce di mare, sempre fresco e proposto alla griglia o alla mediterranea: ricciole, orate, griglia, rombo patate e capperi, spaghetti o risotto ai frutti di mare. Non mancano le carni, angus scozzese alla fiorentina, scaloppata davanti al cliente, nodino di vitello saltato in padella, costoletta alla milanese. Fra i dolci, segnaliamo paradell (la tipica frittella comasca, con uova e mele e lo zabaglione, a detta di molti commenti di clienti “il migliore mai mangiato”). L’ottimo servizio di sala è garantito da un professionista del servizio, Maurizio Salvaderi, con alle spalle molte esperienze, sempre attento nel consigliare al meglio gli ospiti ed a suggerire le migliori etichette da una carta dei vini e dei distillati davvero esemplare. Accanto alla Terrazza (ma al piano inferiore), Armando ha creato un format più semplice, dai prezzi molto ragionevoli, denominato Forma e Gusto, dove è possibile gustare piatti semplici e un’ottima pizza preparata dal figlio di Armando: qui l’ambiente e molto più informale e in linea con le aspettative di una clientela, soprattutto italiana e del luogo, meno propensa ad esperienze gastronomiche più impegnative.
TRATTORIA LA GERLA Via Francesco Ferrucci 16 20149 Milano 02 311304
Si definisce Trattoria Toscana, anche se il patron è sardo, così come le pareti del ristorante, tappezzate di immagini dell’isola. Chi vi accoglie è comunque un vero oste, gentile e di poche parole, ma molto bravo nel ricevervi e accompagnarvi al tavolo che preferite, oltre che nel consigliare i piatti del giorno, cucinati egregiamente dalla moglie e serviti in sala dal figlio, attento, veloce e professionale (e poliglotta, visto che parla bene le lingue). La cucina è decisamente “ruspante”, nel senso che diamo a questo termine: ovvero genuina, semplice, casalinga (come si diceva una volta). Una trattoria, questa, sopravvissuta alla cosiddetta evoluzione dell’offerta, che ha visto nascere centinaia di locali, spesso molto belli ma altrettanto pretenziosi e inferiori alle aspettative di quanti (e sono tanti) cercano posti “normali”. Di questi tempi non è certo poco: il successo di pubblico dimostra che la Gerla, a due passi dalla sede milanese della Rai e dal liceo Beccaria, dotato anche di un funzionale dehors coperto, sa accontentare le aspettative. Tra i piatti nel sintetico menù, risultano essere molto apprezzati gli spaghetti vongole e bottarga, così come i calamari alla griglia e le seppie in umido con piselli, che non deludono affatto. La tagliata di manzo, un piatto semplice ma non banale, colpisce per la qualità della carne. Il tiramisù è paradigmatico, basti pensare che ci sono clienti che vengono qui soprattutto per il dessert. Servizio efficiente, prezzi abbordabili. Peccato che la carta dei vini sia abbastanza limitata, ma in fondo il format “trattoria” non predilige le proposte iperboliche e si limita giustamente a poche voci.