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www.artumagazine.it Artù n°59 - Novembre - Dicembre 2013

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Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati

Valtellina, la nuova cantina di Mamete Prevostini: CasaClima nasce fra i vigneti Novità nella Milano della ristorazione: il Michelangelo di Linate e il Daniel a Brera Gerardo Cesari: i suoi grandi vini, Amarone in testa, conquistano i mercati mondiali Chef: Marco Sacco, Davide Botta, Donato Episcopo, Christian e Manuel Costardi Emirates, la compagnia aerea da 15 miliardi di fatturato lancia il suo menù gourmet

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EDITORIALE n°59

Guide, Milano in ombra

Tre stelle a Niko Romito. Lo si sentiva nell’aria. Bene, se le merita tutte, è bravo, capace e serio. Per quello che ancora può rappresentare la Michelin nel panorama italiano e internazionale delle guide gastronomiche (è pur sempre la migliore e la più accreditata), le “tre stelle” fanno la grande differenza con il resto delle cucine testate e valutate. È un valore che, una volta ottenuto, “si porta con sé per sempre”, come ha detto Renata Santin (patronne, con Ezio, della mitica Antica Osteria del Ponte, a Cassinetta di Lugagnano), anche quando un giorno le si dovesse perdere. Fra l’altro, il celebre locale si propone proprio in questi giorni con un nuovo chef , il trentanovenne Silvio Salmoiraghi, dopo una parentesi con

un altro grande cuoco, Fabio Barbaglini, che ha poi fatto altre scelte. E, anche se la citazione su Michelin 2014 ovviamente ancora non c’è, fa comunque pensare che, alla voce “Cassinetta di Lugagnano”, nella guida si venga rimandati alla voce “Abbiategrasso”, dove peraltro è segnalato un solo ristorante. Una ingenuità? Un errore di “stumpa”? O forse, si è pensato di tenere buona la citazione di Cassinetta per averla già pronta nella prossima edizione? Lo speriamo. D’altronde, ci siamo abituati a svarioni di diverso genere, soprattutto su altre guide: uno per tutti, il ristorante Alice di Milano, indicato e valutato dalla Guida dell’Espresso 2014, come già funzionante nella nuova sede di Eataly (v.

“abbattuti”- ad ogni angolo di strada, si ingollano focaccine “tipo Recco” sui marciapiedi della città (a chi non è mai capitato?), aprono locali non meglio definiti o definibili in cui si servono aperitivi rinforzati letteralmente devastanti… Tutto vero. Ma è altrettanto vero che, in questo mondo che cambia velocemente, ogni formula merita attenzione e, se possibile, rispetto. Perché allora la guida rossa ignora Milano o, meglio, la mette in standby? Troppa confusione, troppo lifestyle, troppi locali per “vedere e farsi vedere”, potrebbe essere la silente e prevedibile risposta degli ispettori Michelin. Eppure, nell’ultimo anno hanno aperto realtà interessanti e prestigiose, spesso con ubicazioni strepitose e modaiole, guidate da cuochi di valore ed esperienza. Forse per Michelin non sono abbastanza connotate da professionalità, qualità degli ingredienti, ricerca, stile? Fatte le debite eccezioni (peraltro confermate da stelle e forchette), la ristorazione milanese secondo Michelin sembra non emergere per qualità di materie prime e genialità esecutiva. in proposito le osservazioni di Valerio Condivisibile solo in parte, secondo Visintin sul blog del Corriere della noi, la esclusione di Milano (o meglio, Sera). Ma non vogliamo infierire ulte- l’assenza di segnalazione di novità siriormente, perché, in fondo, chi fa gnificative): un laboratorio di idee ( e sbaglia. E il rischio di errore non deve di investimenti importanti!) meriterebbe oscurare la positività del lavoro di pro- forse un approccio meno distratto. fessionisti. Lo dico senza ironia. Così Difficile poi non comprendere il fatto come, tutto sommato, si può capire che, in numero significativo, cresca la il fatto che la nuova Michelin abbia schiera di quanti, dimenticati, ignorati, quasi completamente ignorato Milano, esclusi, facciano a meno delle guide, una città in grande fermento, nella ritenute (spesso erroneamente, talvolta quale di cose ne succedono non a ragione) espressione di verifiche dipoche. Ma forse quanto accade in stratte o benevolenti (ma non è certo città non merita l’interesse di una il caso di Michelin) o di colpevoli guida che, per quanto riguarda Milano, omissioni, dettate – credo – da mancanza di capillarità delle “ispezioni”. è piuttosto statica e ripetitiva. È vero, nella metropoli lombarda apre Il dibattito, come si dice, è aperto. una “hamburgeria” al minuto, si mangia Alberto P. Schieppati carne (e pesce crudo) - non sempre Artù n°59

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SOMMARIO n°59 Pag. 04 Pag. 06 Pag. 08 Pag. 14 Pag. 20 Pag. 22

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In copertina: La nuova cantina di Mamete Prevostini, certificata Casaclima. La struttura creata dal produttore vinicolo e presidente del Consorzio di tutela dei vini valtellinesi, nasce proprio a ridosso dei vigneti del Sassella. In copertina, una immagine eloquente dei terrazzamenti di Castel Grumello, espressione della migliore produzione vitivinicola del territorio.

Info people Sette chef USA. Cena per Alma di Fiorenza Auriemma Doppiozero, re della tavola Chef alla ribalta: stelle, libri, premi, testimonianze Info brand Ca’del Bosco, Baileys, Krug. San Leonardo e Pommery Canevel completa la linea dei cru di Luisa Contri Villa Sparkling Menu abbinamento perfetto di Elisa Facchetti Focus wine Gerardo Cesari, passione e territorio di Giovanna Moldenhauer Cavit, la viticoltura di precisione di Elisa Facchetti Focus food E Michelangelo decolla a Linate di Fiorenza Auriemma Summertrade, un caso di successo di Stefano Bonini Protagonisti wine Mamete Prevostini. La nuova cantina è Casaclima di Elio Ghisalberti I fratelli Polegato. La modernità di Astoria di Alberto P. Schieppati Protagonisti food Una strada nuova per Daniel Canzian di Fiorenza Auriemma Costardi Bros. Non solo riso di Alessandra Piubello Roma, San Teodoro e l’encomio dei NAS di Alberto Lupetti L’Artigliere di Botta si sposta verso est di Gualtiero Spotti Donato Episcopo, rivelazione di Follina di Alberto P. Schieppati Format food Il progetto creativo di Marco Sacco di Luisa Contri Corporesano L’importanza dei benefici degli antiossidanti di Corporesano Magazine Accueil Sicilia del gusto, Villa Athena di Gualtiero Spotti Equipment Con Weber-Stephen cucina da outdoor di Elisa Facchetti Dal mondo Emirates, attenti al gourmet! di Luisa Contri Libri Il “viaggio in incognito” di Valerio Visintin di Elisa Facchetti

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Sette chef USA Cena per Alma

di Fiorenza Auriemma Erano tutti visibilmente emozionati i sette giovani chef statunitensi che il 30 settembre hanno preparato una cena per una cinquantina di invitati ai tavoli del ristorante dell’Alma di Colorno. Atterrati in Italia il 23 settembre per una full immersion gastronomica nelle aule e nelle cucine dell’Alma, gli chef hanno avuto anche modo di conoscere alcuni tra i produttori più interessanti del panorama agroalimentare, e non solo, dell’Italia: dall’Osteria La Francescana accolti da Massimo Bottura agli Uffizi di Firenze, dal Cenacolo leonardesco a Milano a Piazza del Campo a Siena. L’idea di offrire un intenso soggiorno di due settimane a questi giovani talenti (tra i quali, due donne) è nata grazie all’Anno della cultura italiana negli Usa, viaggio cultural-gastronomico negli Stati Uniti che ha avuto come promotori e protagonisti Sanpellegrino, Frescobaldi, Masi, Donnafugata, Berlucchi, Alma. I quali, insieme allo chef Massimo Bottura, hanno organizzato tra l’altro tre cene Made in Italy a New York, Washington e Los Angeles. “Il progetto di andare negli Usa a parlare d’Italia, della sua cultura

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e cucina, è nato davanti a un piatto di pasta”, racconta Clément Vachon, direttore comunicazione presso Sanpellegrino. E durante la trasferta, è venuta l’idea di dar vita a Come to Italy with us, ovvero scegliere sette giovani provenienti da diversi angoli degli Stati Uniti per portarli qui, a vedere da vicino che cos’è l’Italia, la sua gastronomia, ma anche le sue bellezze e risorse. Il passo successivo in Italia - è stato realizzare appunto la cena firmata dagli chef d’oltre oceano. I quali la mattina del 30 settembre si sono svegliati presto per andare al mercato a prendere i prodotti di stagione, per poi passare le successive ore in cucina. Dove, con la supervisione di uno chef docente di Alma, ognuno ha realizzato un piatto, tra cui fiori di zucca in pastella, mousse di melanzane con uovo alla coque, mezzi rigatoni al sugo di pomodoro fresco, crema di zucca con amaretti e aceto balsamico, gelatina di mosto con panna cotta e meringhe. Il tutto, piatti e chef, apprezzato dai commensali e coronato da un caldo applauso finale per l’intera squadra Usa.

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Doppiozero, re della tavola

Si deve alla ottima capacità organizzativa di Annarita Colombo, dirigente della BCC, la riuscita del convegno “Doppiozero”, svoltosi ad Alzate Brianza (Co) lo scorso 12 ottobre. Moderato dal direttore di Artù, l’incontro ha fatto il punto, con testimonianze dirette, sullo stato dell’arte delle farine, in Brianza, ma anche in Lombardia e nel resto d’Italia. È stato Giovanni Pontiggia, presidente della Banca di Credito Cooperativo Alta Brianza - che ha festeggiato in questa occasione il proprio sessantesimo anniversario dalla fondazione - ad aprire le danze con un intervento decisamente appassionato, sottolineando la necessità che l’agricoltura torni ad essere il motore di sviluppo del nostro Paese, in cui la voglia di fare impresa è sempre alta, nonostante la crisi abbia decisamente rallentato lo spirito imprenditoriale: "In questo senso - ha sottolineato Giovanni Pontiggia - la BCC è a disposizione di quanti abbiano progetti e strategie innovativi". La relazione di Alessandro Castelli, ad di Molini Lario Spa, pur confermando il momento di difficoltà dei mercati, ha descritto a sua volta i piani di sviluppo aziendale, fortemente orientati alla crescita qualitativa e alla individuazione di nuovi sbocchi di mercato (in particolare nei segmenti pizzeria, pasticceria, ristorazione tipica e tradizionale): suggestiva la descrizione dettagliata dell’evoluzione

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della Molini Lario e dei processi produttivi, molto accurati e oggetto di un costante controllo qualitativo. Notevole anche l’intervento di Michele Moralli, panettiere a Dongo e docente presso il Centro Formazione Professionale di Como: in un intervento succoso e di spessore ha sottolineato il valore nutrizionale che i vari tipi di farina apportano al prodotto finito, descrivendo come viene utilizzata la farina in panificazione e consentendo poi, attraverso una degustazione mirata, di gustare prodotti tipici di particolare interesse gastronomico. Ma è stato l’intervento di Emilio Magni, scrittore e descrittore di storia locale, a portare alla memoria, non senza un pizzico di nostalgia, i valori umani delle tradizioni popolari, oggi “purtroppo scomparse, seppure in via di rinascita e riscossa, dati i tempi di riflessione che ci vengono imposti dalla crisi economica”. Magni, autore di numerose pubblicazioni sul passato storico della cultura rurale, è anche un grande esperto di “format” di ristorazione legati al territorio ed alle tradizioni: un suo articolo, recentemente pubblicato su Artù, ha proposto una interessante carrellata sull’offerta delle trattorie storiche della Brianza comasca, creando un dibattito sull’argomento e sottolineando la necessità, per la ristorazio-

ne, di ritornare a una dimensione più umana ed a materie prime, come il pane per esempio, di indubbio valore nutritivo ed edonistico. Tra gli interventi istituzionali, ricordiamo quello di Fortunato Trezzi, presidente Coldiretti Como e Lecco, che ha sottolineato l’importanza di sapersi posizionare sui mercati in virtù dei nostri valori più autentici, e di Antonio Ciappesoli, presidente degli allevatori di Como e Lecco, che ha ricordato l’impegno e la fatica che la propria categoria mette nel mantenere vive tradizioni secolari, oggi minacciate da globalizzazione, liberalizzazioni eccessive e speculazioni di sorta. Al termine della giornata, si è svolta la premiazione del Concorso zootecnico, in cui sono state gratificate aziende locali (tra cui la famiglia Tacchini di Canzo, macellai e macellatori di qualità) in virtù della propria professionalità nel settore dell’agricoltura.



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Chef alla ribalta: stelle, libri, premi, testimonianze Seconda stella per Enrico Bartolini

Enrico Bartolini Palazzo Giureconsulti, in piazza Mercanti 2, a Milano, ha ospitato lo scorso 5 novembre l'edizione 2014 della prestigiosa Guida Michelin che assegna le ambite stelle agli chef di tutto il mondo. Tra i numerosi riconoscimenti Artù vuole segnalare, con grande entusiasmo e stima, la seconda stella Michelin assegnata a Enrico Bartolini, chef del Devero Ristorante di Cavenago Brianza, a cui ha recentemente dedicato un servizio sul numero 58 a pag. 42. Presente a Milano Micheal Ellis, responsabile di tutte le edizioni del mondo dell’iconica guida. Enrico Bartolini dal 2010 gestisce il prestigioso Devero Ristorante e Dodici 24 Quick Restaurant all’interno del Devero Hotel di Cavenago. È inoltre socio Jeunes Restaurateurs D’Europe, Soste e Rotary Club ed è consulente creativo dell’Osteria Perillà a Rocca D’Orcia (Si).

romanzi raccontano il cibo e chef stellati che lo esaltano nelle loro ricette e spesso in libri di successo. Come Pasta Damare, il nuovo libro di ricette promosso dal pastificio De Cecco e realizzato dalla casa editrice Agra per celebrare l'amore della pasta con l'alta cucina italiana, o meglio, in questo caso, con i "frutti" del mare: pesce, molluschi e crostacei. Così, dopo "Pasta" e "Pasta d’Autore", gli altri due libri all'attivo di De Cecco, è stato presentato nella cornice dell'evento "Food&Book" Pasta Damare. Se la prima parte è dedicata, per opera di Daniele Tirelli, docente presso l’Università IULM di Milano, alla storia dei piatti a base di pasta e pesce, tocca poi a Nicola Sorrentino, dietologo e docente, "snocciolarne" l’aspetto nutrizionale. Arriva poi il "piatto forte", a cura del giornalista enogastronomico Luigi Cremona che racconta di 16 chef nazionali e del loro rapporto con la pasta, il tutto "condito" - è il caso di dirlo - da splendide immagini a firma del fotografo Janez Puksic e di altrettante meravigliose ricette. E sono stati tre dei grandi chef che hanno collaborato alla presentazione del libro a firmare i piatti in degustazione realizzati per l'evento: Chicco Cerea ha preparato i paccheri De Cecco al pomodoro; Pino Cuttaia gli spaghetti De Cecco alla bottarga e ricci di mare e Nino Di Costanzo l'insalatina di pasta De Cecco, composta da galletti, lumache, pipe

rigate e gnocchi, ai gamberi e ovuli. De Cecco promuove così ancora volta l'alta cucina italiana con la preziosa collaborazione dei più noti chef italiani: Antonella Ricci e Vinod Sookar, Cristiano Andreini, Fabio Baldassarre, Heinz Beck, Antonino Cannavacciuolo, Chicco e Bobo Cerea, Pino Cuttaia, Nino Di Costanzo, Gennaro Esposito, Giancarlo Perbellini, Gioacchino Pontrelli, Claudio Sadler, Salvatore Tassa, Paolo Teverini, Gaetano Trovato e Mauro Uliassi. Fra i presenti che hanno contribuito alla realizzazione del libro anche lo chef Paolo Teverini, Giovanni Trovato, fratello dello chef Gaetano, Chiara Viani, figlia di Lorenzo Viani e Paola Perbellini, moglie di Giancarlo. Nella foto i tre chef Nino Di Costanzo, Pino Cuttaia e Chicco Cerea.

Vittoria italiana al Chocolate Masters È l'italiano Davide Comaschi a conquistare il titolo di World Chocolate

Pasta Damare Dall’8 al 10 novembre a Montecatini Terme, in Toscana, si è tenuto il festival "Food&Book, la cultura del cibo, il cibo nella cultura". Protagonisti dell'evento noti scrittori che nei loro

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Nino Di Costanzo, Pino Cuttaia e Chicco Cerea

Masters 2013, la competizione internazionale nata nel 2005 che ogni due anni riunsce a Parigi i migliori artisti del cioccolato a livello internazionale per realizzare le loro creazioni davanti a una giuria di esperti. Con Davide Comaschi è la prima volta che l’Italia conquista il gradino più alto del podio, ed è con CAST Alimenti che il vincitore festeggia l'ambito titolo, la prestigiosa scuola di cucina per la tredicesima volta sede dell'allenamento di un titolo mondiale: "Le competizioni di pasticceria, a livello nazionale ed internazionale, sono esperienze uniche" dice Davide Comaschi, della Pastic-

ceria Martesana di Milano, che affermandosi con il titolo di campione italiano di cioccolateria al Sigep di Rimini lo scorso gennaio, si è candidato a rappresentare l’Italia al World Chocolate Masters. "Partecipare a una competizione di questo genere vuol dire mettersi in gioco. È un modo per farsi conoscere e per confrontarsi con altri professionisti. Ma non solo. Da Parigi, e da tutti i mesi di preparazione in CAST Alimenti, torno a casa con un bagaglio importante da mettere a frutto in pasticceria: quello che si impara per vincere torna utile anche nel lavoro di tutti i giorni". Tema della competi-



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Davide Comaschi zione 2013 l’architettura del gusto: le eleganti sculture di cioccolato, le praline, i dessert al piatto e le torte di Davide Comaschi hanno così convinto la selezionata giuria internazionale, eleggendolo tra numerosi sfidanti provenienti da ben 19 nazioni.

paté di tartufo bianco, miele al tartufo bianco, peschiole al tartufo, fichi e miele al tartufo.

Caffè: è Valentin Hofer il primo sommelier italiano

Apre Tartufotto a Milano Via Cusani 8: indirizzo da non perdere per chi del tartufo non può farne a meno. Ha aperto a Milano Tartufotto, un nuovo concept della ristorazione meneghina - il locale è stato concepito dall'architetto toscano Luca Pieracci - che nasce dall’idea di otto amici e soci e dall’esperienza di Savini Tartufi, che dal 1920 celebra attraverso i suoi prodotti l’eccellenza del tartufo. Il menu porta la firma di Simone Rugiati ed è un percorso gastronomico alla scoperta del tartufo, gustato sia fresco, sia lavorato, fino ai prodotti confezionati e freschi in vendita, una vera eccellenza delle terre toscane per chi desidera un aperitivo raffinato, un pranzo diverso o una serata alla scoperta del tartufo e dei suoi abbinamenti attraverso il precorso gastronomico della degustazione. Ma non solo: qui tutto parla toscano, dai vini ai salumi fino ai formaggi. E per portare un pizzico di Toscana anche a Natale, Tartufotto propone "La Degustazione", grazie all'esperienza di Savini Tartufi:

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prio dalla sua determinazione che nasce il Centro di Formazione sul Caffè autorizzato SCAE a Fiè allo Sciliar, nel quale si possono frequentare corsi di Latte Art, Barista e degustazione, e si può imparare molto riguardo la storia delle piante, la raccolta e le tipologie di preparazione: nella sua torrefazione, Valentin Hofer utilizza solo i migliori chicchi di caffè provenienti da piantagioni biologiche ed equosolidali. Unica figura nel suo genere, Valentin Hofer si è aggiudicato così il titolo di primo sommelier italiano del caffè. Info www.alpedisiusi.info

Bonsai, il vigneto di Francesco Illy

Valentin Hofer Dalla sua torrefazione "Caroma" a Fiè allo Sciliar, tra le Dolomiti, Valentin Hofer ha creato una vera e propria scienza che studia ad hoc le dinamiche dell’aromatica bevanda: nel retro del suo negozio si occupa di tostare con cura e dedizione chicchi di altissima qualità, di accompagnare i suoi ospiti verso un'esperienza insolita lasciandoli inebriare dagli aromi che sprigionano le varie miscele. Quella di Valentin Hofer è più che un'arte, è una passione, una missione tutta volta a diffondere la cultura del caffè, dai procedimenti di tostatura fino a risalire alle origini delle piante. Il suo intenso lavoro gli ha permesso di entrare a far parte della SCAE (Speciality Coffee Association of Europe), la cui appartenenza si basa sull'obbligo di uno standard qualitativo elevato e si impegna costantemente per migliorarlo. Ed è pro-

Storica la famiglia triestina Illy, nome da sempre associato al caffè di qualità. Ma non è di caffè che vogliamo parlare, bensì di vino e per la precisione di Rosso di Montalcino Doc, quel Rosso che nasce a Podere Le Ripi, di cui Francesco Illy, uno dei quattro fratelli della dinastia del caffè, è vignaiolo e presidente. Qui le vigne sono in conversione biologica e biodinamica dal 2010, non si utilizzano sostanze chimiche e il rispetto del territorio e l’applicazione di un metodo di coltivazione non interventista sono i capisaldi dell’azienda. Grande la rivelazione del sogno di Francesco Illy, divenuto realtà con Bonsai, il vigneto con la più alta densità al mondo: 62.500 piante per ettaro, 25.300 piante per acro per il Rosso di Montalcino Doc che nasce a Podere Le Ripi, secondo l'idea che un vigneto a

maggiore densità d‘impianto genera vini migliori. In un quadrato di quattro metri per quattro le viti sono state piantate a una distanza di soli 40 cm l’una dall’altra e anche in questo vigneto, come in tutti i terreni vitati del Podere Le Ripi, le viti crescono naturalmente, senza l’impiego di fertilizzanti. E nel 2007 arriva la prima vendemmia: il Bonsai è un vino con un bouquet complesso, che colpisce per la molteplicità di aromi, al punto tale che ha permesso a Francesco Illy, con il suo Podere Le Ripi e i suoi vini naturali, di essere inserito nella guida di Luciano Ferraro e Luca Gardini “Vignaioli e Vini d’Italia”, un viaggio attraverso 200 produttori d’eccellenza italiana, grandi e piccoli artigiani uniti dalla passione per la terra.

Fattoria Dianella e Tartufile 2013 È andata in scena l'8 novembre la tradizionale asta di tartufo bianco Tartufile 2013, evento giunto alla quarta edizione e ospitato per il secondo anno nella splendida location di Fattoria Dianella. L'incontro rappresenta anche l’Anteprima Ufficiale della Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco di San Miniato, con l'asta di lotti di tartufo bianco sanminiatese e con la degustazione, a fine "lavori", di un piatto ideato e preparato da Fulvio Pierangelini, Supervisore Creativo dell’Hotel Savoy di Firenze, e da assaggi di prodotti locali selezionati da Gilberto Rossi di Pepenero. La kermesse è stata in realtà una serata di beneficenza fortemente voluta da Donatella Bartolozzi, Presidente di FILE (Federazione



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Kurhaus Cademario Hotel

italiana di leniterapia), e Veronica Passerin d’Entréves, proprietaria di Fattoria Dianella, che condividono la filosofia di dare spazio nelle loro attività ad opere di sostegno a persone in difficili condizioni di salute. "Tartufile è ormai un appuntamento fisso nel panorama della nostra attività - afferma Veronica Passerin d’Entréves -, ed è uno di quelli che ci regala maggiori soddisfazioni perché riusciamo a coinvolgere tanti amici che condividono con noi l’attenzione e il desiderio di operare nei confronti di chi è meno fortunato; amici che si sono appassionati e attendono con ansia questo appuntamento arrivando talvolta a sollecitarcelo (...)". Grazie alla generosità degli ospiti sono stati raccolti quest'anno circa 35 mila euro, superando così la quota della terza edizione di 20,00 euro.

senta di fatto oggi un brand di altissima reputazione e riconoscibilità. Da qui la necessità di organizzare un incontro con alcune delle personalità più autorevoli non solo nel settore enoviticolo, ma anche in quello della sociologia, dell’economia, della comunicazione, per affrontare il tema dell’identità del vino. Sempre più, infatti, i mercati richiedono prodotti ad alta riconoscibilità e non sempre le denominazioni di origine sono in grado da sole, oggi, di esaltare le peculiarità produttive e di un territorio. Bertani, in oltre un secolo di attività, pur nell’innovazione, ha sempre cercato di non tradire mai la propria identità aziendale e territoriale, la propria etica produttiva, l’agire con trasparenza. Questi i principi su cui si è basata la tavola rotonda, un primo incontro per fare il punto sul valore identitario del settore vitivinicolo, riflettendo in modo trasversale, grazie ai preziosi contributi degli interlocutori, sul significato economico, comunicativo, sociologico.

Il Manuale dello chef

Essere Bertani, l’identità nel settore vitivinicolo Si è svolta presso la storica sede di Bertani, a Grezzana (Vr), l'importante tavola rotonda voluta proprio dall'azienda vinicola Cav. G. B. Bertani, oggi appartenente al Gruppo Angelini, un momento per riflettere sull'evoluzione produttiva, in particolare, della Valpolicella, accreditandosi come osservatorio permanente del settore vitivinicolo e aprendo un nuovo capitolo in termini di ricerca ed analisi. Argomento principe della tavola rotonda aperta dall’AD del gruppo, Emilio Pedron, è stato il tema dell'identità nel settore vitivinicolo, vera chiave di lettura per essere competitivi sul mercato attuale. Bertani, da sempre ancorata alla propria filosofia di produzione e al forte legame con il territorio di produzione, rappre-

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colto la stampa italiana e internazionale in visita agli ambienti della struttura, dalla hall con le ampie vetrate alle 82 camere e Suites, dai ristoranti al bar alla zona benessere, al giardino mediterraneo che circonda l’albergo. La Spa ha una superficie di 2.200 mq divisa tra interno ed esterno, con una grande piscina riscaldata. Il gusto, proposto secondo un concetto gastronomico ben definito, ha una grande attenzione alle allergie e intolleranze alimentari. I prodotti regionali, l’esaltazione degli aromi autentici, l’attenzione nella preparazione sono al centro dell’offerta culinaria del ristorante La Cucina. Nel ristorante panoramico La Terrazza viene invece preferito un approccio alla nutrizione sana, leggera, ma anche e soprattutto gustosa. Sempre nell’assoluto rispetto dei prodotti e della qualità. L’ambientazione unita alla qualità dei servizi fanno del Kurhaus Cademario Hotel & Spa una destinazione privilegiata dedicata al benessere.

Emilio Pedron

Kurhaus Cademario benessere per tradizione Inaugurato nel 1914, dopo quasi 100 anni di storia e di successi, ha riaperto ad Aprile 2013 totalmente ristrutturato il Kurhaus Cademario Hotel & Spa, 4 stelle superior pronto per accogliere i propri clienti in una location d’eccezione durante qualsiasi periodo dell’anno. La vista panoramica mozzafiato sul Lago di Lugano ha ac-

Negli ultimi 15 anni, di libri di successo - testimonianza cartacea della sua carriera di chef – Claudio Sadler ne ha firmati molti, e tutti editi da Giunti. Oggi, sempre con il medesimo editore, Sadler ha pensato fosse arrivato il momento di realizzare un "Manuale dello chef", ovvero un volume diverso dai precedenti perché ha come mission l’insegnamento e la formazione per amatori della cucina così come per professionisti del settore. “È stata una gestazione molto lunga, appunto perché ‘Manuale dello chef’ non è il solito libro di ricette”, sottolinea Sadler raccontando la genesi del libro. “Il mio obiettivo era spiegare al lettore come padroneggiare le tecniche di cucina, quali sono le fonti di calore più indicate, gli attrezzi necessari e come usarli, oltre a come scegliere, preparare e cucinare il cibo. In altre parole, con questo manuale vorrei contribuire alla diffusione delle tecniche di cucina, partendo dalle basi e senza usare un

linguaggio esclusivamente per professionisti”. Così, è nato un libro che insegna le tecniche e i trucchi, soprattutto però attraverso fatti concreti e non solo teoria, sequenze fotografiche e filmati online. Si tratta di un libro molto complesso perché contiene un percorso di formazione che passa attraverso il lavoro sul campo. Altrettanto complesso è riassumere in poche righe l’essenza del volume, che ha tutte le carte in regola per rappresentare un punto di riferimento per i prossimi anni, anche per chi opera nel settore. Immaginate di passare qualche settimana in cucina

lo Chef Mario Cucci e Claudio Sadler al fianco di Sadler, guarndandolo tagliare patate, affettare cipolle, sfilettare pesci, arrotolare arrosti ecc. Seguendolo anche al mercato quando acquista le materie prime, e in enoteca per scegliere i vini da abbinare ai vari piatti. Per poi tornare a casa con molte conoscenze tecniche e pratiche, insieme a una sessantina di ricette "stellate" da realizzare ai fornelli domestici. Ecco, tutto questo è "Manuale dello chef": dettagliatamente illustrato grazie alle foto di Francesca Brambilla e Serena Serrani, è in vendita a 19,90 euro. F. A.



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Ca’del Bosco, Baileys, Krug San Leonardo e Pommery Rastal premia il miglior Sommelier Fisar 2013

numerosi premi, è stato consegnato il Trofeo Rastal, un prestigioso calice formato XXL in vetro cristallino. Nella foto: Paolo Fulgosi di Rastal consegna il Trofeo Rastal a Francesco Villa.

Alois Lageder, eccellenza altoatesina nelle guide

Protagonista nel design del vetro, Rastal offre sul mercato un prodotto di alto livello qualitativo per materiali impiegati, raffinatezza ed esclusività delle forme. I calici, per esempio, sono studiati ad hoc e permettono di dare ad ogni bicchiere un valore aggiunto rispondendo alle tendenze del design italiano, così come tutta la gamma di bicchieri e tumbler che rispondono invece alle esigenze dei produttori di birra, vino e liquori, distillati e soft drink, che richiedono strumenti adeguati per la degustazione dei propri prodotti. Motivo per cui Rastal è dal 2009 partner tecnico ufficiale Fisar, Federazione Italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori, per la cui Associazione ha anche realizzato il calice ufficiale. Una partnership, questa, che ha segnato la nascita del Trofeo Rastal, consegnato ogni anno in occasione del concorso per proclamare il migliore Sommelier Fisar dell’anno, evento organizzato durante il Congresso Nazionale di Fisar. Quest'anno il Trofeo Rastal è stato assegnato al ventinovenne Francesco Villa della delegazione di Siena Valdelsa, eletto miglior Sommelier Fisar 2013 nella spledida cornice dell'Hotel Melià di Roma, trionfando sugli altri due finalisti, Lara Pradal, della delegazione di Treviso, e Giovanni Raimondi, di quella di Livorno. Al vincitore, oltre a

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Anche quest’anno la Tenuta Alois Lageder, simbolo di qualità nell’attività vitivinicola biologico-dinamica ispirata a un approccio sostenibile, ha ricevuto importanti riconoscimenti dalle guide eno-gastronomiche nazionali. In prmis la guida Falstaff Weinguide Österreich / Südtirol 2013 attribuisce ancora una volta alla tenuta altoatesina valori di eccellenza evidenziando il 2010 Löwengang Chardonnay e il 2009 Lindenburg Lagrein nelle rispettive categorie “I migliori vini bianchi” e “I migliori vini rossi” dell’Alto Adige. Il 2010 Löwengang Chardonnay, con il 2010 Cor Römigberg Cabernet Sauvignon e il 2010 Krafuss Pinot Noir, è citato tra le “Super Tre Stelle” della Guida Oro I Vini di Veronelli 2014, riconoscimento, questo, conferito esclusivamente ai vini che, già ai vertici nelle precedenti edizioni della Guida, per l’annata in degustazione hanno ottenuto un punteggio pari o superiore a 93 centesimi. Il 2010 Löwengang Char-

donnay compare anche nella Guida Slow Wine 2014 per i valori produttivi da sempre adottati dall'azienda, in virtù anche del buon criterio con cui viene gestito il rapporto qualità/prezzo: "Questa menzione ha per noi un doppio valore - dichiara Alois Lageder -. Essa rende omaggio non solo a un vino simbolo della nostra Tenuta e della nostra produzione, ma anche alla cura e alla dedizione che costantemente mettiamo nel nostro lavoro". Infine, massimo riconoscimento per il 2010 Cor Römigberg Cabernet Sauvignon anche da Bibenda/Ais 2014 che assegna all’etichetta i suoi ambiti Cinque Grappoli, il punteggio dell’eccellenza.

Baileys, il nuovo gusto del cioccolato Per gli amanti dell'inimitabile crema al whisky Baileys e del cioccolato nasce Baileys Chocolat Luxe, incontro perfetto tra l'alta qualità del cioccolato belga e la celebre crema al whisky irlandese. Ben tre anni sono trascorsi dalle prime sperimentazioni mirate a ottenere il giusto equilibrio tra cioccolato fuso, whisky irlandese e crema di latte, e dopo numerosi tentativi Anthony Wilson, Liquid Developer presso Diageo nonchè figlio di uno dei creatori dell’originale Baileys Original Irish Cream, ha trovato la ricetta finale: "L’idea dietro allo sviluppo di Baileys Chocolat

Luxe era quella di creare un liquido fruibile anche a temperatura ambiente che coniugasse la nota alcolica di Baileys con quella del cioccolato fuso; un distillato che riproducesse l’esperienza multisensoriale di quando si mangia del cioccolato (...). Dopo anni di esperimenti è il più piccolo cambiamento che può generare una rivoluzione: abbassando il contenuto alcolico dell’1.3% infatti, ho scoperto che il gusto del whisky persisteva nel tempo piuttosto che venire coperto da quello dolce e tostato del cioccolato (...)". Baileys Chocolat Luxe è distribuito da Diageo, l’azienda leader mondiale del mercato bevande alcoliche.

Náttúra, per una sana colazione Per la prima colazione o per una pausa gustosa Náttúra ha pensato a chi ama i dolci, ma anche i cibi genuini. Nascono così i croissant biologici di Kamut® e farro, ingredienti principali in numerose novità Náttúra, marchio distribuito da Eurofood. Nella variante lisci o con marmellata di albicocca, i Croissant Biologici di Kamut®



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sono prodotti da forno, a lievitazione naturale, con lievito madre di Kamut®, senza grassi aggiunti e, grazie alla farina di Kamut®, mantengono leggerezza e digeribilità.

Vinum, in una colorata confezione: un regalo ideale per wine lover e non solo. Storica linea firmata dall’azienda austriaca, protagonista da 250 anni del settore del vetro e del cristallo, Vinum rappresenta il primo grande

Trussardi e Ca’ Del Bosco, prestigioso incontro Nuova e prestigiosa la collaborazione nata tra il Gruppo Trussardi e Ca’ Del Bosco, marchio icona della Franciacorta. Ne nasce la Cuvèe Prestige Trussardi, un Franciacorta prodotto da Ca’ Del Bosco e affinata secondo lo stile Trussardi, una bottiglia caratterizzata da un dégorgement in assenza di ossigeno e da un affinamento medio di 30 mesi. La selezione speciale di Cuvée Prestige Trussardi, con la sua particolare maturazione e liqueur d'expédition, si declina con grande disinvoltura sia al momento dell’aperitivo, sia in abbinamento ai grandi piatti. Dal mese di novembre è disponibile presso gli spazi Trussardi in Piazza della Scala 5 a Milano: al Ristorante Trussardi Alla Scala, al Café Trussardi e alla nuova nata Café Trussardi Lounge.

successo di Georg Riedel, ideatore nel 1986 di questa serie innovativa e quindi ancora attuale: si tratta di calici che presentano una struttura subordinata non solo alla tipologia di vino, ma anche alle specifiche varietà d’uva. Per Natale la celebre cristalleria propone dunque quattro confezioni Happy Holiday, dedicate alle festività. Ciascuna contiene due calici della linea: il set rosso per il calice Pinot Noir (Burgundy Red), viola per il Cabernet Sauvignon / Merlot (Bordeaux), verde per il calice Zinfandel/Riesling Grand Cru e, infine, giallo per lo Champagne Glass. Vinum è realizzata in cristallo al piombo, soffiato a macchina nello stabilimento di Baviera, in Germania.

Tenuta San Leonardo, edizioni limitate

Happy Holiday! Arriva il Natale firmato Riedel Calici colorati sotto l’albero di Natale. Riedel propone per le feste la serie

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25 anni di vendemmie. Questo il prestigioso traguardo raggiunto da Tenuta San Leonardo che con l'annata 2007 corona i festeggiamenti dei suoi vini dallo stile trentino. Così i Marchesi Guerrieri Gonzaga celebrano l'evento realizzando due edizioni: una magnum autografata dal produttore in soli 1982 esemplari - anno di nascita del San Leonardo ad opera del Marchese Carlo - e una mini verticale di San Leonardo

in formato 0.375 l. in 1500 esemplari. "L’edizione speciale ‘San Leonardo 25 vendemmie’ - spiega il produttore - è un omaggio che abbiamo voluto fare a questa etichetta, alla sua storia e soprattutto a tutti quelli che lo hanno amato in questi anni". Si tratta di un unicum da collezione curato nei minimi dettagli: etichetta dorata, esemplari numerati, certificato di proprietà firmato dal Marchese Carlo Guerrieri Gonzaga, il tutto in un raffinato cofanetto di rovere anch’esso numerato. A questa tiratura celebrativa, Tenuta San Leonardo ha affiancato un’edizione nuova, ovvero la mini verticale: "Le considerazioni che ci hanno portato a creare questo cofanetto sono state diverse: da un lato il desiderio di fare qualcosa di divertente e originale, dall’altro pensiamo che la qualità non debba per forza corrispondere alla quantità e quindi volevamo che fosse possibile, anche in due, stappando una bottiglia da 0.375 l., approfondire e capire l’evoluzione del nostro San Leonardo ad un costo accessibile. Un piccolo contributo alla cultura del vino…".

40° anniversario per Cesarini Sforza Spumanti Cesarini Sforza Spumanti compie quest'anno 40 anni e per festeggiare l'evento è stato organizzato da Giorgia Brugnara, storica enologa della maison, e dal direttore generale Luciano Rappo, una serie di incontri con giornalisti e operatori del settore per tutto il mese di novembre. In degustazione le annate storiche della linea Tridentum (declinazione millesimato fino al 2004): 1986, 1991, 1997, 2004, 2008. Ad ospitare i vari momenti di incontro alcuni ristoratori definiti "ambasciatori" di Cesarini Sforza. Il Road Show, su invito, ha toccato, in diverse date, Milano al Bottiglieria Bulloni, Verona da Il Calmiere, Roma al Ristorante REC 23, Noventa di Piave da Vino &Vino e Trento al Bar Oriola: momenti di incontro, questi, non solo del berebene - così definiti dall'Ing. Marco Zanoni, amministratore del Gruppo La-Vis di cui Cesarini Sforza fa

parte -, ma soprattutto incontri dove è possibile conoscere a fondo gli spumanti e apprezzarli in abbinamenti studiati e pensati per l'occasione. Da ricordare, inoltre, la nuova distribuzione delle produzioni di Cesarini Sforza Spumanti S.p.A. sul mercato nazionale, curata ora direttamente da Ethica S.p.A., Società commerciale del Gruppo La-Vis, controllante di Cesarini Sforza Spumanti S.p.A. Nella foto Luciano Rappo, direttore generale Cesarini Sforza Spumanti.

Norda con Slow Food alla Biennale del Gusto L'evento ha rafforzato ancora di più il rapporto collaborativo fra Norda già protagonista nel sostegno del progetto dell’Alleanza fra i cuochi e i Presìdi Slow Food - e la più importante organizzazione mondiale di cultura gastronomica, "La biennale del gusto", in cui è stata presentata anche la guida Slow Wine 2014. L'acqua Norda è stata offerta ai numerosi ospiti in-



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tervenuti alla presentazione della guida, un momento importante e prestigiosa vetrina per le più qualificate produzioni enogastronomiche e non solo. Slow Food ha anche allestito una fornitissima enoteca con tutte le etichette premiate dalla guida. In abbinamento ai vini si sono svolte degustazioni di prodotti di alta qualità tipici veneti e anche presso l’enoteca è stata servita esclusivamente acqua Norda, una presenza per ribadire la condivisione con Slow Food della filosofia del "buono, pulito e giusto" e per sottolineare il ruolo di Norda ai vertici del settore acque minerali nel canale ho.re.ca., realtà tutta italiana con una vasta gamma di etichette.

Vranken Pommery festeggia Le Soste di Ulisse

terpretate da talentuosi chef italiani. Il tutto allietato dallo champagne Diamant Brut di Vranken-Pommery Monopole, rappresentata in Italia da Steinbruck con Roberto Beneventano, patron, fondatore e promotore di vini e champagne. Ed è lo champagne Diamant Brut, accompagnato dal suo decanter che ricorda le sfaccettature di un diamante, a essere stato protagonista dell'evento: incontro tra il Pinot Nero e Chardonnay, si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi ambrati, caratterizzato da una effervescenza fiorita e un perlage copioso, fine e leggero. Al naso è intenso, fresco e complesso con profumi vegetali e profumi di bosco, champagne ideale per l’aperitivo, ma durante il pasto si accompagna armoniosamente con i ragù di carne.

Krug en Voyage by Moynat

Vranken-Pommery Monopole e Steinbruck Italia, distributore esclusivo di champagne per il mercato italiano, celebrano con le bollicine di Diamant Brut i dieci anni de Le Soste di Ulisse, l’associazione che raggruppa il meglio della ristorazione e del settore alberghiero siciliano: sono stati oltre cinquanta le strutture e dodici cantine che hanno festeggiato il 10 e l'11 novembre, presso il prestigioso San Domenico Palace di Taormina, il decimo anniversario dell'associazione, attraverso un percorso di degustazioni in-

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Raffinato e prezioso è il progetto che ha unito due icone dello stile e dell'eleganza riconusciute in tutto il mondo per la qualità e la storia che ne hanno fatto simboli del lusso. Stiamo parlando della collaborazione nata tra la Maison Krug, produttrice di champagne, e la Maison Moynat che realizza bagagli e accessori da viaggio di altissima qualità. Tutto ha inizio con Oliver Krug, amministratore di sesta generazione della Maison Krug, e con i suoi viaggi in tutto il mondo per far conoscere i noti champagne. Fino al viaggio che lo ha portato in contatto con Ramesh Nair, principale designer di Moynat, simbolo di bagagli e accessori da viaggio di lusso: scatta l'amore per lo champagne Krug e la condivisione della passione per i viaggi. Nasce Krug en Voyage by Moynat. Ramesh Nair immagina l’accessorio ideale per portare Krug sempre in viaggio e l'immagine si concretizza nel Bauletto per Krug Magnum ispirato all’originale taccuino del fondatore della Maison, Joseph Krug. Ma non solo. Ramesh ha disegnato un altro bauletto, una custudia snella, leggera ed ergonomica, realizzata in finissima pelle,

neare le stupende spiagge caraibiche dell’isola della Martinica. I Rhum agricoli Trois Rivières sono distribuiti in esclusiva per l’Italia dalla Fratelli Rinaldi Importatori.

come fosse un vestito tailor made cucito sulla bottiglia: "Come designer, dopo essermi innamorato del sapore di Krug Grande Cuvée, non ho potuto evitare di farmi catturare totalmente dalla forma della bottiglia" ha dichiarato Ramesh Nair. Krug en Voyage by Moynat è disponibile in 25 esemplari numerati nel mondo, di cui due pezzi dedicati al mercato italiano.

Rhum agricolo Trois Rivières prezioso cadeau Il Rhum agricolo Trois Rivières lancia una nuova e raffinata confezione regalo: una bottiglia di Trois Rivières 5 anni e due bicchieri tumbler da degustazione, con il logo Trois Rivières. Gradito regalo, il Trois Rivières 5 anni è un Rhum agricolo della Martinica, invecchiato in legno di quercia e imbottigliato alla gradazione di 40% vol., con un colore giallo paglierino intenso e riflessi dorati. Al naso rivela un ampio bouquet di frutta fresca, tabacco biondo e pan di zenzero, gusto intenso, ricco e fresco. Rinnovate di recente le etichette dei Rhum Trois Rivières: un tocco di colore azzurro mare contraddistingue il nuovo packaging, a sottoli-

Cantina di Vicobarone, vendemmia 2013 Si è chiusa a metà ottobre la lunga vendemmia 2013 di Cantina di Vicobarone, una vendemmia che è stata caratterizzata da alcune peculiarità, in alcuni casi in controtendenza rispetto a quello che è accaduto in altre aree italiane. In primis non ci sono stati forti anticipi di maturazione; in secondo luogo, in questa annata sono tornati in evidenza i terreni ben esposti, dove la qualità dell’ambiente fa la differenza, soprattutto per le uve nere. La maturazione delle uve ha inoltre avuto andamenti diversi da zona a zona, anche nella stessa fascia altimetrica, comportando una raccolta mirata. Altra peculiarità le gradazioni zuccherine, e quindi quelle alcoliche, che sono risultate buone, ma senza le punte degli ultimi anni. Per contro, sono risultati elevati il tenore in acidità, con ph bassi e buone quantità di acido malico e tartarico. In linea con l'anno precdente, la raccolta è risultata tendenzialmente scarsa, a differenza di altre zona d'Italia dove si sono verificati corposi incrementi. Questo il commento dell'enologo della Cantina di Vicobarone Paolo Bernardi: "Nel complesso, possiamo dire di essere più contenti dei risultati conseguiti con le uve bianche (in particolare Malvasia di Candia Aromatica e Ortrugo) rispetto a quelle a grappolo nero (soprattutto Barbera e Croatina) (...). Ogni anno, com’è logico, è diverso dagli altri - ci ricorda Paolo Bernardi - (...). Le partite che abbiamo già svinato ci confermano questo trend tra alcool e acidità (...). Staremo a vedere come evolveranno nel futuro, tenendo conto che la parte preponderante verrà commercializzata giovane e solo una quota, quella di vini più strutturati, verrà destinata a più lunghe maturazioni e affinamenti".



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Canevel completa la linea dei cru in cantina, sono poi vinificate con la massima cura e rispetto delle temperature e senza il ricorso ai solfiti. "Il Valdobbiadene Vigneto MonteFalcone Docg", spiega Caramel, "ne avrà soltanto 4 mg/l. Ma si tratta di solfiti frutto della fermentazione naturale del vino, non aggiunti. Dopo una decina di prove in cantina siamo convinti che con le uve della vendemmia 2013 riusciremo a ottenere un vino di buona qualità, per il quale le certificazioni BioSuisse e FreeWine saranno dei plus, non il pretesto per giustificarne qualche difettuccio". La produziodi Luisa Contri ne di Valdobbiadene Sarà presentato ufficialmente al Vigneto MonteFalcone prossimo Vinitaly il Valdobbiadene Docg spumante brut Vigneto MonteFalcone Docg spuman- sarà di circa 5-6000 te brut della Canevel Spumanti di bottiglie, a cui si affiancheranno gli altri Santo Stefano di Valdobbiadene. due cru della Canevel Questo vino, il cui "vestito" è tuttora spumanti: il Valdobbiain fase di definizione, idealmente com- dene Vigneto S. Biagio pleta la collezione dei cru dell’azienda Docg rifermentato in creata da Mario Caramel e Roberto bottiglia (ovvero "ieri") De Lucchi (1 milione di bottiglie pro- e il Valdobbiadene Vidotte per un fatturato 2012 di 4,5 gneto del Faè Docg spumilioni di euro). Collezione attraverso mante extra dry (l’oggi). la quale la cantina propone al pubblico degli intenditori la sua rielaborazione del modo di bere il vino "ieri, oggi e domani". Di questa collezione il nuovo Valdobbiadene Vigneto MonteFalcone Docg rappresenta il domani. Si tratta infatti di uno spumante brut che raccoglie una sfida più che mai attuale: quella della massima naturalità. Le uve glera impiegate sono frutto del recupero e della moltiplicazione di vecchie viti del vigneto Montefalcone, di proprietà della Canevel Spumanti, di circa 1 ha di dimensioni. Sono coltivate secondo i dettami dell’agricoltura biologica e il vigneto, sito sulla sommità di una montagnola, è circondato da un bosco, isolamento grazie al quale è stato possibile certificarlo BioSuisse. Le uve, raccolte a mano in cassette, così da farle arrivare integre

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Villa Sparkling Menu abbinamento perfetto

In alto a destra: Alberto P. Schieppati e Luigi Cremona in giuria. In basso: Roberta Bianchi Pizziol con Enrico Bartolini.

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cena dell’edizione 2013: Patata soffice uovo e uova & Villa Franciacorta Emozione Brut millesimato 2008 di Enrico Bartolini (Devero Ristorante, Cavenago Brianza-MB); Ravioloni di tinca ripiena con burro di malga e formaggella di Tremosine & Villa Franciacorta Emozione Brut millesimato 2008 di Ennio Zanoletti (Hostaria Uva Rara, Monticelli BrusatiBS); Spaghetti cacio e pepe con croccante di guanciale & Villa Franciacorta Rosè Brut millesimato 2009 di Enrico Braghese (Ristorante Vineria Zi’ Rico, Palestrina-ROMA); Maratha Macchli: Rana pescatrice in salsa di spezie tostate, tipiche del Maharashtra & Villa Franciacorta Rosé Brut Millesimato 2009 di Gagan Nirh (Ristorante& Lounge Tabla, Montagnola-Lugano, Svizzera); Cestino di pasta fillo, salsa di fragole e mousse d’amarena & Villa Franciadi Elisa Facchetti corta Rosè demisec di Teresa BuonLa "Patata soffice uovo e uova" di giorno (Osteria Già Sotto L’Arco CaroviEnrico Bartolini (Devero Ristorante), gno-BR). Vince il Premio Sparkling in abbinamento a Villa Franciacorta Menu 2013 Enrico Bartolini del RistoEmozione Brut Millesimato 2009, rante Devero di Cavenago con il piatto vince la decima edizione del concorso Patata soffice uovo e uova & Villa FranVilla Sparkling Menu 2013, l'evento ciacorta Emozione Brut millesimato che premia i Millesimati Villa Fran- 2008, vero capolavoro di creatività, ciacorta e la creatività in cucina. equilibrio e originalità. La premiazione di Enrico Bartolini, e del suo staff, è Il Premio Sparkling Menu nasce con stata anticipata da una menzione parl’obiettivo di promuovere la cultura del ticolare assegnata agli Spaghetti cacio Franciacorta a tutto pasto. Il tema del e pepe con croccante di guanciale proconcorso è, infatti, la ricerca di abbina- posti dal ristorante romano Vineria Zi’ menti tali da valorizzare il Franciacorta Rico di Palestrina che si sono dimostrati come bollicina non relegata al semplice un perfetto abbinamento con Villa Franconsumo da aperitivo, ma come abbinamento a tutto pasto. Con la preziosa collaborazione di noti ristoratori e importanti locali, la filosofia dello Sparkling Menu è stata via via sempre più apprezzata, tanto da rendere il concorso un imperdibile appuntamento: con la X edizione, al termine delle diverse tappe, una giuria composta da oltre settanta giornalisti, sommelier e opinion leader, ha selezionato i cinque chef finalisti e il rispettivo piatto “Sparkling”. La finalissima si è tenuta il 29 settembre nel borgo Villa e questi i piatti e gli abbinamenti che hanno ricevuto il maggior numero di consensi da parte dei giudici e che hanno composto il menu della

ciacorta Rosè Brut millesimato 2009. Villa Franciacorta ha inoltre festeggiato il decimo anniversario dello Sparkling Menu con un libro dedicato all'evento: "Villa Sparkling Menu 2002-2013. Una Storia di gusto, gioia ed emozioni". Attraverso le ricette descritte nel volume è possibile comprendere come la maison franciacortina abbia saputo negli anni dimostrare che i Millesimati Villa non solo sono ideali per accompagnare un tutto pasto, ma sono anche in grado di abbinarsi perfettamente ai complessi piatti dell’alta cucina. Nel volume la prefazione è stata affidata ad Alberto P. Schieppati (professionista di lungo corso del giornalismo enogastronomico e attuale direttore di Artù) e Luigi Cremona (curatore dal 2006 della Guida ai Vini Buoni d’Italia e pluripremiato giornalista enogastronomico). Entrambi hanno presieduto le importanti giurie chiamate di volta in volta a valutare gli Sparkling Menu delle varie tappe gastronomiche.



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Gerardo Cesari passione e territorio

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di Giovanna Moldenhauer L’azienda vitivinicola conosciuta nel mondo per il suo Amarone, che ha recentemente ottenuto un grande riconoscimento a Mundus Vini, in Germania, ha aperto le sue porte ad Artù per raccontare in dettaglio la sua filosofia, le sue strategie, i progetti per affrontare i mercati in evoluzione. La cantina Cesari, importante realtà vitivinicola, produce ogni anno 1.600.000 bottiglie suddivise tra linee "selezione" e "classica", di cui la consistente percentuale dell'80% è esportata ogni anno in più di 44 paesi. La presenza dell’azienda sui mercati esteri, fra le prime in Valpolicella, ha avuto inizio negli anni Settanta, grazie all’intuito imprenditoriale e alla passione di Franco Cesari che volle arrivare nei cinque continenti fermamente convinto che il suo Amarone potesse competere con i migliori vini rossi italiani e internazionali. I prodotti del marchio iniziarono così una storia di successo nel mondo che continua tuttora, con una forte presenza soprattutto negli Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Svizzera e Austria. In Italia Cesari ha scelto di posizionarsi soprattutto nelle enoteche, nei ristoranti delle grandi città e delle località turistiche. La cantina fondata nel 1936 da Gerardo Cesari è da diversi decenni una SpA dove il figlio Franco è in quota paritaria con Annibale Materossi e Rinaldo Corvi. Con il passare degli anni le nuove generazioni sono entrate in azienda collaborando alla crescita del marchio sia dal punto di vista del prodotto che dell’identità territoriale, senza perdere di vista la sostenibilità, la qualità garantita da quattro certificazioni dei processi di produzione. Ed è stato proprio Franco Cesari, nostra guida d’eccezione, che ha risposto alle nostre domande portandoci, all’inizio dell’autunno, a una visita approfondita di questa realtà. “Oltre a essere il presidente, quindi il responsabile - sostiene all’inizio del nostro incontro - mi rapporto con l’agronomo e i conferitori, interagisco, con l’apporto di mio figlio, con gli enologi, sovrintendo tutti i passaggi in

cantina. A conferma di questo, ancora adesso, non si fa un vino senza un mio assaggio! Siamo una società per azioni con una produzione da grandi numeri, ma preferiamo portarla avanti con una conduzione familiare come è consuetudine nella Valpolicella. La nostra strategia è quella di fare il meglio che possiamo nel rispetto delle tradizioni e, al tempo stesso, di stare molto attenti a quello che succede di nuovo”. Franco, perfetto padrone di casa, al nostro arrivo a Cavaion Veronese, ci ha guidato alla visita della cantina sotterranea, delle diverse sale di affinamento dove si trovano i tonneaux da 30 e 100 ettolitri di rovere di Slavonia e le barrique nuove a bassissima tostatura. In seguito siamo passati in un’altra parte della struttura in cui i vini riposano, a seconda della diversa tipologia del prodotto, almeno sei mesi dopo l’imbottigliamento prima della messa in commercio. La scelta dei tre soci che gestiscono 19 ettari di proprietà e 90 in affitto, è quella di reinvestire ogni anno quasi tutti i profitti dell’azienda, tenendo per loro dividendi piuttosto bassi. In quest’ottica hanno scelto e acquistato nel 2007 un terreno a Fumane, uno dei comuni storici della Valpolicella Classica. “È lì dove vogliamo in futuro - racconta Franco - fare costruire una nuova cantina che raggruppi in un’unica struttura cantina e fruttai. Il progetto, impegnativo a livello economico, Artù n°59

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Cesari – commenta la nostra guida -. Alcuni tra quelli esteri sono gli stessi di 38 anni fa quando ci fu l’esordio sul mercato statunitense!”. In seguito, per permetterci di apprezzare meglio la qualità dei loro vini, Franco ci ha condotto alla cantina di appassimento a San Floriano per la visita ai fruttai. Il paesaggio che scorreva davanti a nostri occhi durante il percorso era un susseguirsi di dolci colline, vigneti impiantati per lo più con la tipica pergoletta veroattende tempi migliori per la sua realiz- nese. I migliori impianti Cesari, destinati zazione”. Durante la nostra permanenza alla produzione dei vini tipici della zona, in azienda, sfogliando la brochure che si trovano soprattutto nei comuni storici illustra i vini Cesari, notiamo che la Fumane, Sant’Ambrogio, Negrar e San gamma Valpolicella è composta da tre Pietro in Cariano nella zona di Corrubbio Amaroni Doc, due cru tra cui il Bosan e di Negarine, da cui provengono le uve uno classico, due ripassi Doc, un Recioto del cru Bosan. “Considerati i cambiamenti Docg, un Igt da sole uve corvina con climatici che si stanno verificando negli breve appassimento dopo la vendemmia, ultimi tempi - prosegue il produttore duun Valpolicella classico Doc. “I nostri rante il trasferimento fra le due cantine Amaroni hanno una clientela italiana - abbiamo adottato nei nostri vigneti in ed estera affezionata allo stile produttivo Valpolicella (dove è consentito dal disciplinare, ndr) un sistema d’irrigazione a goccia a cui, per il nostro modo di vedere le cose, un tempo eravamo contrari. Ci siamo poi resi conto nel 2011 e 2012 che erano fondamentali! In azienda eravamo convinti che non piovesse più, che le temperature normali dell’estate fossero di 36°C. L’aria calda non si raffrescava nemmeno di sera”. Normalmente durante l’invaiatura nei vigneti di proprietà e di quelli in affitto, viene praticata la sfogliatura per consentire al sole di fare maturare perfettamente i grappoli. Nelle annate più calde l’agronomo lascia molte più foglie per proteggere le uve. “Negli ultimi due anni abbiamo scelto di fare a luglio - riprende Franco - indipendente dall’andamento stagionale, il diradamento dei grappoli negli impianti per mantenere il nostro standard qualitativo”. Da Cesar la vendemmia 2013 è iniziata il 25 di settembre, circa venti giorni dopo gli anni precedenti, visto l’anormalità dell’andamento meteorologico dell’annata. “Nel 2012 era possibile vendemmiare - sostiene poi - si può dire a “occhi chiusi” perché le uve erano sane, quest’anno invece abbiamo dovuto fare una selezione, passare più volte tra i filari, raccogliendo

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circa il 5% in meno del totale. Secondo il nostro modo di vedere preferiamo comunque produrre meno ma avere sempre un’assoluta qualità! I grappoli durante la raccolta manuale vengono adagiati senza sovrapporli in cassette basse che contengono al massimo sei chilogrammi d’uva”. Al nostro arrivo nell’edificio di San Floriano abbiamo trovato diverse file di cassette impilate con spazi tra di loro per permettere una migliore areazione e il passaggio per il controllo durante la permanenza delle uve nel fruttaio che dura dai quattro ai cinque mesi. Un impianto sofisticato permette di mantenere il controllo del livello di umidità, di ventilazione dei locali per garantire uno stato sanitario perfetto dei grappoli di corvina e rondinella durante l’appassimento che deve essere il più lungo, il più lento possibile per mantenere intatta l’integrità del frutto. Rientrati a Cavaion Veronese, Franco ha predisposto per noi una degustazione di due etichette della gamma produttiva. Il primo vino che abbiamo assaggiato è stato il cru Lugana Cento Filari 2012 ottenuto da vigneti di Turbiana con un 5% di Chardonnay, situati nella zona tipica tra Pozzolengo e Peschiera a sud del Lago di Garda. Il naso intenso, floreale, fruttato era seguito al palato da una buona freschezza, accenni di sapidità e retrogusto persistente. Il vino successivo è stato l’Amarone Bosan

2005 al suo debutto sul mercato. I profumi complessi di frutta rossa e nera si stemperavano con le spezie, il cioccolato. In bocca era di corpo, morbido, con tannini smussati, elegante, giovanissimo. La sua degustazione è stata comunque estremamente piacevole, quasi emozionale. Un grande vino che ha da poco conquistato nel mese di ottobre in Germania, a Mundus Vini, il titolo prestigioso di miglior Amarone del 2013. Il premio assegnato riconosce la qualità del lavoro che la Gerardo Cesari porta avanti da molti anni nella produzione enologica della Valpolicella. Chiediamo a Franco, prima di salutarci, cosa rappresenta per lui e per l’azienda l’Amarone Bosan, punta di diamante della loro produzione. “È il nostro bimbo, è parte della vita della nostra azienda! - risponde -. Ho scelto personalmente i nomi di tutti i nostri vini perché sono convinto che ognuno debba averne uno. Gli ordini che arrivano in azienda mi danno ragione perché richiedono il Bosan, semplicemente. È la nostra perla, il nostro gioiello e siamo felicissimi perché diventerà, con l’annata 2008, solamente riserva”. Ripartiamo dall’azienda, certi che il tempo passato con il suo presidente sia stato un momento speciale. Produttore appassionato di vini della Valpolicella, persona di grande cultura, competenza, è un vero brand ambassador.

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Cavit, la viticoltura di precisione vini trentini, ma soprattutto per il rispetto dell’ambiente e del territorio. Con il nuovo importante progetto P.I.C.A. Cavit si pone in un'ottica di sostenibilità totale, grazie all'utilizzo di una ricerca enologica d'avanguardia a servizio del viticoltore.

di Elisa Facchetti L’impegno di Cavit è sempre più tangibile, non solo per la qualità dei prodotti offerti e per la diffusione della cultura e della tradizione dei

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Come sfruttare al meglio le risorse del territorio per produrre, senza inutili sperchi di energia, un ottimo vino? Cavit ha la risposta. L'azienda trentina ha eleborato nel 2011 un progetto di ampio respiro capace di gestire in modo integrato e completo l'intero processo produttivo, grazie all'introduzione di P.I.C.A., la prima Piattaforma Integrata Cartografica Agriviticola che permette di connettere tra loro diversi strumenti software al fine di analizzare minuziosamente tutte le caratteristiche del territorio che la stessa cantina rappresenta: 4500 soci proprietari di ben 5400 ettari di vigneto. Grazie al contributo dell’Istituto San Michele all’Adige e di MPA Solutions, spin off della Fondazione Bruno Kessler di Trento, è stato possibile coniugare in un'ottica di sostenibilità - punto chiave del progetto P.I.C.A. - il complesso vi-


te-terreno-clima e la gestione del trinomio ambiente-paesaggio-territorio. Il processo funziona come un’enorme banca dati di interesse agrario capace di sovrapporre i dati raccolti di ogni terreno e di ogni vitigno - quali morfologia del terreno, tipologia di vitigno, dotazione idrica del suolo ecc... - appartenente alle 11 cantine socie di Cavit. E tutto questo in tempo reale, giorno per giorno e ora per ora. Ogni viticoltore potrà conoscere, una volta che il sistema avrà assorbito tutti i dati climatici e pedologici per una determinata zona, quali sono i vitigni più adatti, o in fase di coltivazione garantire un razionale e controllato utilizzo della risorsa idrica. Ma gli interventi mirati di P.I.C.A. arrivano anche in cantina. Gli enologi, i direttori di cantina, gli agronomi, i tecnici e i singoli viticoltori, potranno formulare ipotesi sull'evoluzione dei parametri qualitativi delle uve e ottimizzare di conseguenza i trattamenti nonché il periodo di vendemmia. Il progetto, fortemente voluto da Cavit, non rappresenta un semplice "data base" o una miscellanea di numeri e cartografie, ma è una strumento validissimo,

utile per creare casistiche ed elaborare modelli previsionali tali da poter essere utilizzati per individuare le condizioni ambientali più indicate per ottenere uve in grado di trasferire nel vino il carattere di ogni singolo territorio, nota peculiare dell'intera produzione Cavit. Viticoltura di precisione, miglioramento qualitativo dei diversi vini, risparmio energetico e sostenibilità sono i valori aggiunti che il progetto P.I.C.A. è in grado di apportare, uno strumento di lavoro che può rivalorizzare anche il ruolo del viticoltore. I benefici del progetto saranno tangibili tra qualche anno, così come afferma Andrea Faustini, enologo Cavit, il quale ci spiega le potenzialità del progetto nelle aree dove è stata già applicata la tecnica della viticoltura di precisone: "In questa prima fase di realizzazione stiamo ancora lavorando molto sui dati rilevati per determinare il tipo di risposta vegetativa dei vitigni più rappresentativi del Trentino, coltivati in diverse zone e a diverse altitudini (185 vigneti pilota individuati a diverse altitudini nelle 5 zone viticole della provincia di Trento). Per quanto riguarda il calcolo del fabbisogno idrico delle

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viti, invece, dall’anno scorso abbiamo avviato una collaborazione con cinque consorzi irrigui in tre aree del territorio, predisponendo modelli di irrigazione che saremo in grado di migliorare nel giro di qualche anno, quando avremo a disposizione un maggior numero di situazioni da poter monitorare". Per i prossimi due anni Cavit sarà coinvolta in un impegnativo lavoro di analisi per realizzare un Atlante cartografico meteo-climatico e un software di consultazione delle informazioni suolo-irrigazione-vitigno, dati che rappresentano la più importante fonte da cui attingere per lo sviluppo delle potenzialità del progetto P.I.C.A.

Cavit, consorzio di cooperative, riunisce ben 11 cantine e più di 4500 viticoltori, rappresentando il 60% dell'intera produzione trentina. Tra le linee più importanti si ricordano: Altemasi Si tratta di prodotti realizzati secondo il Metodo Classico con la prestigiosa denominazione Trento Doc: Altemasi Riserva Graal, Altemasi Brut Millesimato, Altemasi Brut, Altemasi Rosé e, recentemente, Altemasi Pas Dosé. I Masi Trentini È la linea di produzione di altissima qualità, frutto di un’elaborata ricerca volta all’individuazione di ecosistemi particolarmente favorevoli e tecniche di vinificazione molto attente. Fanno parte di questa linea: il Maso Toresella Chardonnay affinato in barrique, il Maso Toresella Cuvée, ottenuto da una selezione particolare di varietà a frutto bianco, il Teroldego Rotaliano Doc Maso Cervara, che ha ricevuto anche l’importante riconoscimento dei "tre bicchieri" del Gambero Rosso, il Marzemino del Maso Romani e il Pinot Nero dei Masi Trentini. Bottega Vinai È la linea che raccoglie un vasto assortimento di vini rossi, bianchi e rosati, riservata alla ristorazione e alle enoteche. Sono prodotti esclusivi e prestigiosi tutti Doc: Pinot Grigio, Müller Thurgau, Chardonnay, Nosiola, Sauvignon Blanc, Gewürztraminer, Schiava Gentile, Cabernet Sauvignon, Pinot Nero, Marzemino, Teroldego Rotaliano, Lagrein Dunkel e Merlot.

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E Michelangelo decolla a Linate

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di Fiorenza Auriemma L’approssimarsi del 2015 si sta già facendo notare parecchio, a Milano. In questi mesi, infatti, nel capoluogo lombardo si pensa, si progetta, si costruisce, si inaugura... . In particolare, nuovi hotel e ristoranti realizzati con un occhio di riguardo alle esigenze e alle opportunità che faranno da contorno all’Expo 2015. Tra questi progetti diventati realtà, rientra il Ristorante Michelangelo. La sua è una posizione a dir poco strategica: affacciato sulle piste dell’Aeroporto di Milano Linate, è pensato sia per chi parte e arriva, sia per chi desidera uscire dai confini più stretti della città per pranzare e/o cenare in un luogo elegante, luminoso e – appunto – con una vista privilegiata sul via vai degli aerei. Inutile negarlo: mangiare guar-

dando gli aerei decollare, atterrare e percorrere le piste è il sogno di molti bambini, e probabilmente anche di altrettanti adulti. Oltre a questa insolita scenografia, il Michelangelo offre un ambiente rilassante, lontano dalla confusione di luci e di voci che spesso caratterizzano le aerostazioni: alcune pareti sono state pensate per ospitare collezioni e mostre di quadri che cambieranno periodicamente dando così un aspetto sempre nuovo al locale; una grande vetrata permette di osservare il lavoro di chi è ai fornelli, e sembra anch’essa un grande quadro vivente grazie alla cornice cha la circonda; i tavoli – tutti diversi – sono ben distanziati l’uno dall’altro, particolare che appunto facilita il relax e la possibilità di godersi una pausa rigenerante all’insegna del gusto, in tutte le sue accezioni. In altre parole, avete presente l'atmosfera pesante, rumorosa e spesso

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stancante di molti locali che corredano aeroporti e/o stazioni? Al Michelangelo è esattamente l'opposto. A tutto ciò si aggiunge la carta vincente, ovvero la cucina. Sulla quale sovraintende come Chef Executive Michelangelo Citino che, prima di prestare il suo nome e la sua opera a MyChef Emotion (divisione del gruppo MyChef, guidato egregiamente da Sergio Castelli, per curare le attività di ristorazione di eccellenza e in luoghi di prestigio), ha lavorato tra l’altro nei ristoranti di grandi hotel tra cui il Principe di Savoia e il Park Hyatt di Milano. Oltre ad avere nel curriculum una collaborazione all’estero al seguito di Alain Ducasse e, a Milano, l’importante esperienza del ristorante della Triennale. Per questo locale/biglietto da visita dell’Italia, Citino ha scelto una cucina improntata sui piatti della tradizione arricchiti dal suo tocco personale, affidandone poi l’esecuzione al giovanissimo - 28 anni -, ma già ben rodato, chef Andrea Iudica. Ovviamente, il Michelangelo - che si trova sopra l'area partenze ed è raggiungibile sia via scala sia via ascensore - è stato pensato in primo luogo per i viaggiatori: quelli che arrivano in aeroporto con largo anticipo rispetto al decollo, oppure si trovano a dover far fronte a un ritardo del proprio volo, o ancora semplicemente vogliano partire con lo stomaco piacevolmente accudito. Ecco così che, per coloro che hanno poco tempo ma non vogliono accontentarsi di un panino, un toast o un trancio di pizza, la carta del Michelangelo

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pomodoro con burrata e origano, lo gnocco croccante con ragù bianco, funghi e anice stellato, il riso mantecato allo zafferano, midollo e vino rosso; tra i secondi (dai 15 ai 28 euro), il salmerino in saor, la costoletta milanese con pomodoro tigres e scalogno crudo, il tomino arrosto con terrina di verdure e yogurt salato alla paprika dolce. Il tutto accompagnato dai vini, spumanti e champagne: per l’occasione, la maison Vranken Pommery ha creato una vetrina perfetta per il ristorante e i suoi ospiti. Nella cantina, rigorosamente a vista, fanno bella mostra di sè grandi bottiglie di champagne.

prevede il "Piatto unico della settimana", servito in meno di dieci minuti e al prezzo di 16 euro; chi ama la carne, al costo di 20 euro può invece ordinare "Il nostro hamburger", ovvero 180 gr di manzo più uovo, speck, pomodoro e insalata, il tutto servito con misticanza; chi invece ha un’ora di tempo può pranzare con il "Menu del giorno", ovvero tre piatti proposti da Andrea Iudica, al costo di 26 euro. La sera (ma anche a pranzo, se non si ha fretta) la carta prevede tre menu degustazione rispettivamente a 39, 45, e 59 euro. Oppure, la scelta tra diversi piatti che cambiano in base alla stagione. Tra gli antipasti (prezzo dai 10 ai 18 euro) citiamo l'uovo croccante cotto a bassa temperatura con asparagi bianchi, uova di trota e rafano, il crudo e crudo, ovvero prosciutto crudo accompagnato da verdure anch’esse crude, il gambero rosso marinato, panna acida, olio al finocchietto e granita al mojito. Tra i primi (dai 9 ai 18 euro), la fregola al Artù n°59

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Summertrade un caso di successo 36

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Gli organizzatori chiedevano un’offerta integrata con alloggio, ristorazione, Nel 1979, a Rimini, un gruppo di diret- trasporti e animazione, e Rimini era tori d’albergo, barmen, chef di cucina l’unica città italiana che poteva gae maître d’hotel giovani, ma già con rantire tutto questo … a prezzi accesesperienza internazionale, intuì le po- sibili. Serviva però un servizio di ristotenzialità di un settore in fase embrio- razione per grandi numeri (la Fiera di nale: il banqueting congressuale, ovvero Rimini poteva contenere fino a 30.000 la ristorazione di prestigio per grandi persone) che fosse gestito con pronumeri. Rimini in quegli anni cercava fessionalità e competenza nell’assoluto di “destagionalizzare” e il quartiere rispetto delle norme igieniche, allora fieristico si stava affermando come meno rigorose di oggi. Così nove prostruttura polivalente in grado di ospitare fessionisti del settore, amici anche grandi eventi, cene di gala, meeting e nella vita privata, fondarono Uniservices celebrazioni di vario tipo. & Marketing, una cooperativa capace di Stefano Bonini

di fornire un servizio che nei primi anni ’80 esisteva solo nelle grandi capitali congressuali italiane. In pochi anni Uniservices & Marketing diventò un riferimento nel settore della banchettistica, grazie ai servizi forniti ad aziende che curavano le vendite “porta a porta” (oggi si chiamerebbero multilevel) come Linea Natura e IMCO, che organizzavano grandi meeting da 7-8.000 persone. In quegli anni a Rimini arrivarono i grandi eventi celebrativi delle reti di distribuzione carburanti come ELF, i mega convegni di partito e delle industrie farmaceutiche, Artù n°59

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degli ordini professionali e delle organizzazioni sindacali. Proprio a seguito di un incredibile, per allora, gala dinner da 10.000 invitati, la IMCO chiamò l’U&M a Roma per gestire la convention nazionale presso l’Hotel Ergife. Un successo che favorì la chiamata da parte di Bibi Ballandi, noto impresario musicale che, cavalcando il boom dell’entertainment riminese, voleva rilanciare i mitici anni ‘60 nel celeberrimo Bandiera Gialla. Era il 1983 e l’Uniservices si trovò a gestire tutto il servizio food & beverage all’interno di un locale che in pochi mesi diventò il “paradiso musicale” più popolare d’Italia con serate da 8-9 mila persone. A quel punto la formula cooperativa cominciò a stare stretta ai nove soci, che “svoltarono” dando vita a Summertrade: si strutturarono ulteriormente e si espansero, con l’ingresso nella società della Camst di Bologna (la maggior azienda a capitale italiano nella ristorazione). Oggi, a più di trent’anni di distanza, dei nove soci “fondatori” solo tre fanno ancora parte di Summertrade: Gino Angelini, chef patron di alcuni ristoranti di Los Angeles, già famoso in tutta Europa,

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Aureliano Bonini (fondatore di Trademark Italia, prima società di consulenza turistica in Italia) e Francesco Tosi (gestore di diversi ristoranti di successo). Una lezione importante ed inedita è quella che i soci di Summertrade hanno trasmesso con la loro esperienza: “Per essere degli ottimi caterer – affermano Angelini, Bonini e Tosi – bisogna essere strutturati, avere personale professionale, disporre di magazzini, di cucine mobili, di equipaggiamenti, avere organizzazione amministrativa e commerciale; per essere aziende di banqueting sono invece creatività, fantasia e flessibilità a fare la differenza”. In poche parole il catering si può delegare; il banqueting invece prevede sfumature e imprevisti che richiedono il diretto controllo della proprietà. Quando un’azienda si struttura come ha fatto Summertrade l’affidabilità dei servizi è un obiettivo primario. Affidabilità e professionalità, che uniti al quel particolare savoir fare romagnolo hanno reso l’azienda leader a livello nazionale nel settore catering & banqueting, tanto che nel 2001, con l’apertura della nuova Fiera di Rimini,


Summertrade viene “scalata” dall’Ente Fiera riminese, che acquisisce il 53% delle quote (Camst rimane capital partner) e le affida la gestione esclusiva dei vari punti di ristoro (otto bar, tre self service e due ristoranti) interni ai padiglioni fieristici. Il consolidamento è definitivo: oggi Summertrade, dopo oltre 30 anni di attività e milioni di pasti serviti, è tra le realtà italiane leader del settore. Con un fatturato annuale che si aggira sui nove milioni euro e una forza lavoro di 160 persone (tra amministrativi, operativi di sala e di cucina), Summertrade spende ogni anno oltre due mln di euro in merci di prima qualità, prodotti selezionati e controllati, preferibilmente di aziende del territorio riminese, per garantire ai proprio clienti eccellenza e freschezza. Dai piatti tipici romagnoli ai menu etnici, dagli apertivi informali e get togheter con finger food, ostriche, caviale e champagne alle cene di gala per migliaia di invitati fino alle cene private in casa. Oggi Summertrade annovera tra i suoi clienti alcuni tra i più importanti brand internazionali: Audi, BMW, Coca Cola, Mediolanum, IBM, Maserati,

Nestlè, Mediaset, Poltrona Frau, RAI, RAS Assicurazioni, TIM, Volkswagen e Whirlpool. “Abbiamo sempre lavorato per garantire la reputazione dei nostri partners, l’eccellenza del servizio e la qualità della proposta gastronomica – continuano i tre soci fondatori –. Riteniamo di essere tra i più aggiornati in fatto di materie prime, cotture, servizio e sanitizzazione. I nostri collaboratori sono con noi da molti anni e lavorano con il solo obiettivo di anticipare e soddisfare ogni richiesta dei nostri clienti”. Summertrade non nasconde l’orgoglio di essere una moderna ambasciatrice della Romagna. La cucina, che conta una brigata stabile di 15 persone, è affidata all’executive chef Cristian Pratelli, talentuoso cuoco cresciuto alla scuola di Gino Angelini che, pur impegnato nei suoi celebri locali di Los Angeles, non fa mancare consigli, suggerimenti e supervisioni. Tra le attività di Summertrade c’è anche la ristorazione commerciale con il marchio Cafè Buffet: infatti sono nati, tra Cesena e Rimini, tre locali pensati, concepiti e dedicati alla ristorazione veloce e all’asporto, in particolare, per la pausa pranzo. Artù n°59

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Mamete Prevostini La nuova cantina è Casaclima

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di Elio Ghisalberti La nuova cantina di Mamete Prevostini È vero, San Mamete esiste ed era anche il Patrono di Mese, il paese della Val Chiavenna che ha dato i natali al protagonista di questa storia. Tuttavia non si può negare che sia un nome curioso, unico, originale, e che incute anche un certo timore reverenziale. Un nome d’altri tempi che invece sta sulle spalle del personaggio che più d’ogni altro ha saputo interpretare in maniera moderna il mestiere di vignaiolo in un territorio così difficile e per molti versi legato alla tradizione come la Valtellina. L’ultima impresa di Mamete Prevostini, al secondo mandato anche come presidente del locale Consorzio di Tutela Vini, è culminata pochi giorni fa con l’inaugurazione ufficiale della nuova cantina costruita a Postalesio, non molto distante dalle vigne del Sassella, la prima sottodenominazione a Docg del Valtellina Superiore che si incrocia risalendo la valle. Mamete “l’eretico”, unico produttore di Valtellina con cantina in Valchiavenna, corona così la sua maturità produttiva proprio nella diciottesima vendemmia vissuta da protagonista. Le prime bottiglie che portano la sua firma risalgono infatti al 1995, e tutto si svolgeva in quel di

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Prevostini al Kronenhof È noto che la sosta gastronomica in quel di St. Moritz e dintorni è piuttosto rischiosa per il portafoglio. Non mancano le eccezioni a questa regola e per provare una buona esperienza gastronomica in un locale di grande fascino con prezzi abbordabili, l’insegna che ci sentiamo di consigliare è quella della Kronehofstubli dell’omonimo albergo 5 stelle di Pontresina, il più antico (le fondamenta risalgono al 1848) della località posta dinnanzi alla Val Roseg ed al suo imponente ghiacciaio. Recentemente la nuova proprietà, dopo averlo ristrutturato completamente ed aver allestito una SPA da sogno (aperta anche agli esterni), ha ripristinato l’antica cantina della famiglia Gredig che aprì l’albergo grazie ai proventi dell’attività di importazione del vino di Valtellina nei Grignoni. Per rilanciare il vino Strata, nome ripreso dalle pietre miliari che segnalano il percorso attraverso il Bernina, il Grand Hotel Kronenhof si è affidato proprio a Mamete Prevostini, il più moderno interprete della vitivinicoltura valtellinese. Ottimi vini, i rossi in particolare, con lo Sforzato in naturale evidenza che si accompagna mirabilmente ai piatti di carne che dominano la scena nella lunga stagione invernale

(l’anatra al torchio è un must da grand gourmet). Da pochi giorni allo chef Bernd Schutzlehofler, origini austriache e scuola internazionale, cui va ascritto il merito di avere conquistato la stella Michelin, è subentrato Fabrizio Piantanida, italiano della Val Vigezzo, trentotto anni, diplomato presso l’Istituto alberghiero di Domodossola. Con importanti esperienze nell’ambito dell’hôtellerie di lusso europea, Fabrizio Piantanida sovrintenderà le proposte di alta cucina di tutte le sedute gastronomiche del Kronenhof, dal Grand Restaurant ospitato nella magnifica e storica sala affrescata, a Le Pavillon, espressamente dedicato agli ospiti della SPA, al Rondelle riservato

Mese, nella cantina del Crotasc, il crotto di famiglia che la nonna Maria con grande spirito di intraprendenza aveva aperto alla ristorazione già nel 1928 (l’insegna è ancora adesso, sempre gestita dai Prevostini, una delle più affidabili della valle). In realtà il giovane Mamete, cresciuto alla scuola del nonno e poi del padre, aveva iniziato a sperimentare la produzione di un suo vino già qualche anno prima, alla fine degli anni Novanta. Solo supportato dal padre, aveva trovato lo spazio dove piazzare le prime trequattro barriques. Ecco la prima e più grande eresia, quella che lo avrebbe accompagnato negli anni a venire: non s’era mai vista in Valtellina una cantina senza enormi contenitori in legno dove far maturare a lungo quel vino che per sua natura abbisognava di lunghissimo affinamento per donarsi al piacere della beva. Comunque la si pensi, e quale sia il grado personale di apprezzamento di uno stile rispetto ad un altro, la storia ha poi dimostrato che si possono ottenere eccellenti risultati anche applicando dalla vigna alla cantina procedure e tec-

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invece ai piccoli ospiti, per finire naturalmente con il Kronenstübli. Un ritorno al massimo livello di chef-executive il suo, dacché per diversi anni aveva calcato da aiuto le medesime cucine, dividendosi tra il Kronenhof ed il Kulm, l’altro prestigioso hotel di St. Moritz che fa capo alla medesima proprietà. Le solide basi classiche, indispensabili quando si lavora con la clientela internazionale, sono implementate dal tocco mediterraneo per una cucina che d’ora in poi avrà tratti più italiani, senza eccessi di elaborazione e rispettosa dei

niche diverse da quelle dettate dalla tradizione. In tutti questi anni i Valtellina di Mamete Prevostini botti di grandi dimensioni non ne hanno mai viste, solo barriques, con un uso che è andato equilibrandosi con il passare degli anni, man mano che la batteria si è fatta più consistente e variegata nei passaggi fino a raggiungere la dotazione standard attuale di 800 barriques da nuove fino al 5°6° passaggio (Mamete destina il 3°, che ritiene l’ottimale, ai vini dei cru della Sassella, Sommarovina e San Lorenzo). Così le macerazioni, un tempo lunghissime, si sono accorciate ad un settimana, massimo una decina di giorni, con svinatura che deve essere immediata – e perciò durante le fasi di vinificazione si fanno i turni in cantina anche di notte – per cogliere l’equilibrio estrattivo delle sostanze polifenoliche, passaggio importantissimo per ottenere vini che acquisiscano spontaneamente piacevolezza ed al tempo stesso sappiano esprimere tutto il loro potenziale di affinamento. Dunque, chi si porta dietro una storia così, per certi versi rivoluzionaria e che

gusti primari delle materie prime. Mano salda sulle paste fresche, farcite o condite, i risotti, persino sulle zuppe di pesce, che andranno ad accompagnare piatti come il minestrone di codino di bue con ragout e midollo di vitello grigliato, l’agnello cotto nel fieno con rollata di semolino, porro stufato e soufflè bicolore, mousse al cioccolato all’olio extravergine di oliva e variazione di frutti di bosco. Cucina di gran classe – così come il servizio – in antica stube con legni originali. Tutte le info su www.kronenhof.com

si sintetizza nel motto “non si può pensare di cambiare le cose se si fa come si è sempre fatto”, non poteva accontentarsi di realizzare una cantina convenzionale, infiocchettandola con elementi che non fossero funzionali agli obiettivi che si prefigge, quello di pensare e produrre il vino applicando i concetti della qualità globale. Dopo aver scelto il sito ideale per giacitura ed esposizione, i lavori si sono protratti per tre anni seguendo il rigido protocollo che ha portato alla certificazione di CasaClima Wine, primo esempio nel suo genere in Lombardia. Tremila metri quadri coperti suddivisi su tre piani, ciascuno progettato per una specifica funzione al fine di movimentare il meno possibile, ed in maniera naturale, per caduta, sia i mosti che i vini. “La nostra filosofia è molto semplice – ha affermato Mamete Prevostini all’inaugurazione che ha richiamato nella sua nuova cantina una moltitudine di amici – trasferire la naturalità del processo di maturazione dell’uva che avviene sui nostri terrazzamenti anche nelle pratiche enologiche. Rispetto dell’ambiente Artù n°59

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e sostenibilità non a parola ma in tutti gli accorgimenti tecnologici atti ad ottenere l’obiettivo finale che è l’integrità dei vini”. La produzione Essendo figlio (e nipote) di ristoratori della Valchiavenna, Mamete Prevostini ha respirato l’aria del mondo del vino sin da piccolo. Il Crotasc, insegna che negli anni si è evoluta e raffinata diventando uno dei ristoranti migliori di tutta la Valtellina, è stata la sua prima scuola. La seconda, quando già aveva deciso che la ristorazione non faceva per lui, è stata quella di enologia a Conegliano. La terza, dopo il diploma, i tre anni trascorsi a fare esperienza alla Nino Negri di Chiuro. Una laurea sul campo messa a frutto nella sua nuova cantina dove vengono vinificate le uve raccolte nel cuore enologico della Valtellina, prevalentemente nella zona della Sassella. Mamete Prevostini ha messo insieme negli anni circa sette ettari e mezzo di vigneto di proprietà; le altre uve, altri quindici ettari all’incirca (per un totale di uve pressate che si aggira sui 1800 quintali l’anno) provengono da piccoli viticoltori che vengono seguiti e consigliati sulle pratiche viticole. Complessivamente la cantina produce circa 150mila bottiglie per vendemmia, suddivise nelle varie tipologie di Valtellina a Doc e Valtellina Superiore a Docg. Su tutti eccelle lo

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Sforzato Albareda ma il vino simbolo dell’azienda può essere considerato il Valtellina Superiore Docg Corte di Cama, prodotto per la prima volta nel ’90. Meno potente e maestoso rispetto allo Sforzato Albareda, ma molto gradevole, armonico ed equilibrato. Nasce da una tecnica che Mamete Prevostini ha sposato fin dall’inizio della sua attività di vinificazione: quella del rigoverno o ripasso, resa possibile anche per il gran quantitativo di nebbiolo che la cantina è in grado di stoccare per l’appassimento tra i 700 e gli 800 quintali - in locali idonei e funzionali. Una parte delle uve vengono lasciate in appassimento per circa due mesi prima di essere pigiate. Il mosto ottenuto viene aggiunto al vino già fatto subito dopo la vendemmia, così da ottenere quel “rinforzo” che lo caratterizza. Seguono una quindicina di mesi di affinamento in barriques ed un anno in bottiglia. Non da meno i due cru del Sassella che meritano la Riserva, il Sommarovina ed il San Lorenzo che affinano in barriques per un anno e più, e poi raggiungono un invidiabile equilibrio dopo un ulteriore anno di sosta in bottiglia prima della commercializzazione. Una doverosa citazione lo merita lo straordinario vigneto di traminer aromatico e riesling di Palazzo Vertemate a Piuro sulla strada per l’Engadina. Un clos, lo chiamerebbero i francesi, da cui nasce un eccellente bianco dolce passito.


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I fratelli Polegato La modernità di

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di Alberto P. Schieppati Una bella azienda vinicola, nata nel 1987, che ha sempre saputo adeguarsi ai tempi con un proprio stile ben caratterizzato e, soprattutto, con la capacità di guardare alla tradizione e all’innovazione con la stessa consapevolezza e dignità. Il merito di questo successo imprenditoriale è dei fratelli Paolo e Giorgio Polegato, che rappresentano, insieme alla sorella Antonella, la giovane generazione di una storica famiglia di viticoltori trevigiani, da sempre orientata alla qualità. Il marchio Astoria è ben conosciuto presso l’universo degli enoappassionati: i successi ottenuti negli anni dall’azienda di Refrontolo, nel cuore della zona Docg Conegliano-Valdobbiadene, sono una vera e propria costante, che viaggia parallelamente all’evoluzione della vitivinicoltura di qualità nel nostro Paese. I prodotti Astoria sono oggi presenti nella ristorazione più qualificata ed esclusiva, che ha ben compreso la necessità di abbinare i concetti di “tradizione/tipicità/territorio” a quelli di “modernità/stile/tendenza”, in ossequio ai Artù n°59

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nuovi comportamenti di consumo della clientela. Cosa significa concretamente questa intuizione? Innanzitutto rivela la strategia imprenditoriale di un’azienda la cui filosofia vede convivere due grandi correnti di pensiero, che a loro volta rivelano approcci al mercato assolutamente complementari, accomunati dal denominatore della qualità e dell’immagine: scelte lungimiranti e attente ai mercati, oltre che necessarie, aggiungiamo noi, ad affrontare una realtà in costante evoluzione e cambiamento. Da una parte, infatti, Astoria lega il suo nome a un grande Prosecco, il vino che ha saputo sviluppare un percorso di eccellenza, nel pieno rispetto della tradizione enologica veneta e in linea con il dna di famiglia: la linea classica, insomma, fatta di grandi Millesimati, di vini doc e docg, con i relativi successi e riconoscimenti nelle più importanti realtà internazionali. La linea di sparkling della famiglia Polegato annovera oggi etichette prestigiose, fra cui primeggiano il Millesimato, il Prosecco Docg, che ha creato un vero e proprio stile di consumo in Italia e nel mondo, e il Casa Vittorino, dedicato al padre, fondatore dell’azienda: un vino che rappresenta un vertice qualitativo, che colpisce per l’alta immagine estetica, con un packaging che esalta il contenuto grazie a trasparenze e formato della bottiglia. Ovviamente, Astoria ha in “menù” molte altre referenze, dedicate soprattutto alla

ristorazione di qualità, che esprimono, con le linee Classici, Terroir e Barrique, altrettanto interesse verso il mondo degli enoappasionati e dei gourmet che cercano abbinamenti cibo-vino in piena regola. È in questa linea che rientra una etichetta di grande calibro, il Croder, un Colli di Conegliano Rosso Docg, uvaggio di Cabernet Sauvignon e Franc, Merlot, Marzemino, Incrocio Manzoni. Croder fa 15 mesi di barrique e 12 di affinamento in bottiglia: un vino di struttura, potente ed equilibrato, che si avvale della collaborazione del wine maker Donato Lanati. Fra i “classici”, citiamo anche altre etichette, fortemente orientate verso la migliore ristorazione, come Caranto (Pinot Noir in purezza), Il Puro (Merlot in purezza), Icona ( Cabernet Sauvignon in purezza), a cui si affiancano il bianco Mina (Chardonnay, Incrocio Manzoni, Sauvignon, solo acciaio e niente legno) e Clamore, un “Rosso Nudo” nato, come i vini precedenti, dal connubio fra l’esperienza dell’enologo Lanati e la volontà dei Polegato di creare prodotti "fuori dal coro” ed espressione di territorio. In porfolio, Astoria schiera anche vini da meditazione, come il Fervo, un Refrontolo Passito, da uve Marzemino surmature, e distillati dal pack prezioso (come le grappe di Crevada e di Croder). Accanto a queste etichette, Giorgio e Paolo Polegato, rispettivamente presidente e amministratore delegato, affiancano altri prodotti ancora più tradizionali, come i Carafa (con una effe sola, a ricordo della parlata locale), due frizzanti (proposti uno con spago e l’altro con gabbietta): un esempio eloquente di Prosecco doc, che rimandano a stili di consumo consolidati e ben presenti nella memoria collettiva della Marca Trevigiana. I “Classici”, come si diceva poc’anzi, rappresentano la storia ed il presente Artù n°59

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di Astoria, ben radicato nelle strategie imprenditoriali di famiglia, una sorta di “zoccolo duro” che sottolinea il legame con il territorio e la ristorazione. Ma, dall’altra parte, Giorgio e Paolo Polegato hanno creato prodotti fortemente innovativi, “concepiti sulla base di una scelta strategica precisa, destinata a tutelare il consumatore finale, offrendogli sicurezza e nuove opportunità socializzanti” sottolinea Giorgio Polegato, direttore generale di Astoria. Il riferimento è alla linea 9.5, una vera e propria rivoluzione nel mondo degli sparkling: 9.5 è il numero che esprime la gradazione alcolica di questo prodotto altamente innovativo, destinato a un consumo brioso, moderno e fuori dagli schemi. “Per dirla tutta, la linea 9.5 rappresenta la filosofia dell’incontro fra la natura e la tecnica enologica, il gusto e la leggerezza, il piacere e la sobrietà, con un’attenzione particolare alla moderazione

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nel bere”, spiega Giorgio Polegato. Il 9.5 Cold Wine (che va degustato molto freddo, a non più di 3 gradi) è disponibile nelle versioni Brut, Red, Pink e, novità sorprendente, Zerotondo, ovvero alcohol free, l’unico Organic Sparkling Grape Juice, come viene definito nella comunicazione Astoria, completamente senza alcol. Prodotti di estrema gradevolezza, con un packaging di alto impatto, destinati a un consumo informale ma di qualità, che hanno saputo conquistarsi una importante presenza nei locali di tendenza, diventando il simbolo di un consumo intelligente e alternativo. La bassa gradazione è, da tempo, una necessità sempre più sentita fra i consumatori, per svariati motivi, a cominciare dalla spinosa questione del tasso alcolico alla guida, con le conseguenze che ben conosciamo. E da Astoria è arrivata questa risposta a un’esigenza sempre più diffusa nella società con-



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temporanea: la sfida culturale è stata capita e raccolta, al punto che 9.5 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento del Wine Innovation Award 2011, oltre alla medaglia d’argento al Florida International Wine Challenge e ad altri importanti premi, in Italia (medaglia d’oro al Concorso Enologico Internazionale di Verona) e nel mondo. D’altra parte, i fratelli Polegato ci hanno abituato a non stupirci della loro forte impronta di innovazione e di stravolgimento totale degli schemi. Basti pensare alla linea Lounge, che si è confermata negli anni come il vero riferimento di una clientela giovane e moderna, alla ricerca di prodotti armonici, equilibrati e socializzanti: Lounge come “spazio di meditazione e ritrovo”, in cui il protagonista è questo sparkling, nelle versioni sweet, rosé, cuvée e con la “speciale edition” Fashion Victim, divenuta estremamente popolare anche grazie alle “girls” che ne hanno fatto da testimonial in Italia e nel mondo. In questa volontà di essere sempre più

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up to date, si inquadra l’Astoria Lounge Wine Store, uno spazio che vuole essere il biglietto da visita di Astoria Vini. Situato sulla strada provinciale Conegliano-Pieve di Soligo, in località Crevada, il locale spicca per le proprie linee estetiche unconventional: qui dominano vetro e acciaio, l’arredamento è minimal, il design è ricercato, in linea con lo stile fashion dell’azienda: insomma, un vero e proprio show room con spazio degustazione e tante, tante bottiglie esposte sui tavoli di vetro. Uno spazio per eventi memorabili: mostre, degustazioni, serate a tema, incontri culturali, reading di poesia, spettacoli ma anche un’area di conoscenza e approfondimento della realtà Astoria. Dallo Store si accede poi all’annessa nuova cantina, il centro di raccolta e vinificazione delle migliori uve selezionate, da cui originano i vini che, come abbiamo già visto, hanno fatto la storia e l’immagine di Astoria: il Prosecco Millesimato Docg, il Casa Vittorino, i Colli di Conegliano Docg e il Marzemino Passito di Refrontolo, sempre Docg. A pochi chilometri di distanza è visitabile la Tenuta Val de Brun, a Refrontolo, sede principale dell’Azienda agricola, dalla cui posizione si gode una splendida vista sui vigneti di proprietà e sul verde panorama collinare delle Prealpi venete.


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Una strada nuova per

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di Fiorenza Auriemma Si chiama semplicemente Daniel, ed è il nuovo locale aperto poche settimane fa a Milano dallo chef Daniel Canzian. Trentatre anni, Canzian può vantare una importante e formativa collaborazione settennale con Gualtiero Marchesi. Il Maestro Marchesi, cinque anni fa, lo aveva chiamato a dirigere le cucine del suo Il Marchesino, in Piazza della Scala a Milano, oltre a svolgere il compito di Executive chef del Gruppo Gualtiero Marchesi. "Ho imparato molto dal Maestro. Ma ora sento il bisogno di nuovi stimoli". Canzian spiega così la sua scelta di aprire Daniel: la risposta al bisogno di camminare da solo, mettersi alla prova, guardare oltre l'orizzonte conosciuto. Luminosa, ampia e "storica", la location prescelta – una ex fabbrica tessile in fondo a via San Marco, all’angolo con Castelfidardo, divenuta famosa negli anni 70 come sede del controverso circolo culturale Macondo di Mauro Rostagno -, ambizioso e innovativo il concept. Canzian infatti ha scelto di affiancare alla classica cucina con forni, fornelli e attrezzature tecnologiche, una seconda area a vista. Posizionata proprio all’ingresso del locale, questa isola gastronomica è in effetti la prima cosa che si nota. Anche perché è animata da cuochi (come Canzian ama definire se stesso e i suoi colleghi) che si muovono danzando

In apertura, minestrone alla milanese con verdure, pasta integrale, crostini di pane serviti a secco e bagnati direttamente nel piatto con brodo vegetale e acqua di pomodoro. Qui a lato, uno scorcio della cucina a vista. Artù n°59

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Qui sopra: panna cotta con crema di melagrana e sorbetto al dragoncello.

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attorno a un grande bancone cromato sul quale i piatti provenienti dalla cucina vengono ultimati prima di essere serviti in tavola da altri quattro cuochi, anch’essi con giacca impeccabile, grembiule candido e classica toque. È questo il secondo particolare che - oltre a caratterizzare il locale - attira subito l’attenzione e suscita curiosità. Il motivo dell’insolita scelta di affidare la gestione della sala a chef invece che camerieri? “È un modo per creare un serio e professionale collegamento tra materie prime e fruitori”, spiega lo chef. Vale a dire, avere in sala professionisti in grado di spiegare i piatti ed esaudire le curiosità dei commensali più pignoli e curiosi. Aggiungiamo ora qualche altro dettaglio sull’ambiente: sobrio ed elegante, il locale si sviluppa in lunghezza, rischiarato da numerose finestre che danno su un verde tratto di via San Marco e sullo storico Ponte delle Gabelle. All'insegna dei colori grigio, giallo e blu - scelti da Canzian perché tanto amati da Giò Ponti - oltre ai classici tavoli ne ospita uno lungo e stretto: è quello "dello chef", pensato per chi va di fretta e/o è solo. Sistemato proprio di fronte alla zona a vista della cucina, chi siede qui viene servito con ciò che i cuochi stanno spadellando al momento. Quindi, a questo tavolo non si ordina né si consulta la carta: semplicemente, ci si affida alla "casa". Attestato di fiducia ampiamente ricompensato da ciò che arriva nei piatti. Infatti, Canzian non delude: la sua è una

cucina che punta a togliere piuttosto che aggiungere, sottraendo cioè ai piatti tutto ciò che appesantisce e confonde invece che esaltare l’elemento e l’ingrediente principale. Le ricette privilegiate da Canzian vogliono rendere spazio e onore alla tradizione italiana grazie anche al tocco personale dello chef. Per il suo esordio proprio nella Milano che questo giovane cuoco veneto ha oramai eletto a propria dimora, ecco ad esempio la capasanta arrostita in versione autunnale con crema di ricotta di bufala e porcini; l’omaggio - espressamente dichiarato in carta - al Maestro Marchesi, ovvero il minestrone alla milanese con verdure, pasta integrale, crostini di pane serviti a secco e bagnati direttamente nel piatto con brodo vegetale e acqua di pomodoro; il tenerissimo petto d’anatra agli agrumi accompagnato da verze arrostite; il meneghino ossobuco di vitello in gremolata con risotto allo zafferano; la stuzzicante anguilla al forno con porri, susine e salsa di vino rosso; e per finire il delizioso dessert con panna cotta, crema di melagrana e sorbetto al dragoncello. A "tutta Italia" anche la carta dei vini, dove compaiono solo etichette nazionali (tranne un’eccezione francese). E con il "diritto di tappo", ovvero di portarsi da casa la propria bottiglia, a sottolineare il concetto di convivialità e piacere della buona tavola "su misura". Mentre il menu della sera è appunto alla carta, scandito e servito in modo classico (compresa le tovaglie di lino, e


con prezzi che per i menu degustazione vanno da 70 a 80 euro), il pranzo da Daniel vuole essere invece all'insegna della "sana velocità". È presentato perciò su tovagliette all'americana e composto principalmente da piatti unici che variano ogni giorno, in base a ciò che offre il generoso e ricco mercato milanese. Città che Canzian non smette di lodare: "Ritengo che in Italia Milano sia una delle città più vive e generose per chi vuole lavorare. Sinceramente, dopo cinque

anni che ci vivo devo ammettere di essermi innamorato" dice Canzian, con un delizioso accento veneto, a ulteriore sostegno delle ragioni di un coraggiosa scelta come la sua, ovvero aprire in una zona in profonda evoluzione e cambiamento del capoluogo lombardo, e soprattutto in un momento storico non certo facile. Concludendo con un’ulteriore e personalissima motivazione: “E poi, ho aperto Daniel perché io alle favole ancora ci credo”.

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Costardi Bros.

Non solo riso 58

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di Alessandra Piubello Vercelli e il riso. Secolare legame storico, culturale, sociale. "Terre d’acqua" in un mosaico a specchi. Le "grange" di origini cistercensi, con l’imponente abbazia di Santa Maria di Lucedio del XII secolo: qui i monaci probabilmente furono i primi nel Bel Paese a far nascere il riso nelle terre da loro bonificate. Le iniziali testimonianze italiane documentate di coltivazioni da usarsi come piatto base per l’alimentazione (nel Medioevo era considerato esclusivamente medicamento o ingrediente per i dolci) risalgono al 1472, con storia proprio a Vercelli. In questa città piemontese, "le spighe di riso si esibiscono come i fiori a Sanremo", i campi recano la memoria dei segni di milioni e milioni di donne, le famose mondine. Nel Vercellese furono girati due indiscutibili capisaldi del cinema italiano "Riso amaro" (1949) di De Sanctis e "La Risaia" (1956) di Matarazzo, testimonianze di un’epoca. Nel 2013, a distanza di "qualche anno", il cinema torna ad essere un fil rouge per il riso. Per la prima volta nella storia del Festival di Cannes, una brigata totalmente italiana viene scelta per cucinare alle cene di gala. E chi sono i protagonisti? I fratelli Costardi, Christian e Manuel (quest’ultimo il lato dolce della coppia) del Ristorante da Cinzia di Vercelli, altrimenti noti come i Costardi Bros. Un menu interamente ispirato al film Palma d’oro nel '57, (poi insignito anche dell’Oscar) "Il mondo del silenzio", l’impressivo documentario diretto da Cousteau e Malle. "Mi è piaciuto - racconta Christian - narrare il silenzio con il cibo, è stata un’esperienza coinvolgente. Penso che i piatti siano silenzio, poi parla il gusto". Nell’unico tavolo "registicamente" predisposto dell’accogliente locale, si possono assaggiare le ricette da Palma d’oro,

cinque proposte di icastica identità, silenziosi contrappunti per rappresentare i temi filmici fondanti. Vulcanico, determinato, visionario, Christian vive il riso come cultura. La scelta di questo alimento come star del suo percorso gastronomico lo riporta, per certi versi, al movimento futurista. Nella letteratura risicola spicca un Marinetti che, con il suo Manifesto della cucina futurista, valorizza in toto questo nutrimento. Una scelta che ha anche un valore estetico e simbolizza tutto ciò che si oppone al pianto e alla malinconia. In questo, la predilezione futurista si congiunge alla lunga tradizione terapeutico-culinaria che lo considera cibo benefico sia per il piacere, sia per la salute. Visione che sottende tutta l’opera di Costardi, pronto ad entrare nell’ideologia gastronomica con le sue creazioni conge-

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gnate su questa pianta ancestrale. Origine e tradizione. Ma anche il guizzo eclettico artistico: amante dell’arte, durante un’esposizione in città di Andy Warhol, riceve un’illuminazione (galeotto fu Noto). La lattina Campbell, simbolo della pop art warholiana, diventa il contenitore icona del suo risotto al pomodoro. Proprio il piatto apparentemente più banale e semplice, quello che in realtà racchiude l’essenzialità del gusto: una sfida che Christian vince. Pochi ingredienti, vitali ed evocativi, memori di quell’infanzia di rossi chicchi, troppo spesso bistrattati. In primis il riso: Carnaroli ovviamente, "ma con la gemma", spiega Christian, "che significa minor lavorazione. Da luglio 2012 usiamo il riso a firma nostra, che segue un progetto da noi ela-

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borato (pur facendoci affiancare sempre dall’azienda specializzata Gli Aironi). Una via di mezzo fra l’integrale e il normale, per mantenere meglio la fragranza. Il riso è un alimento vivo, ogni lotto è diverso dall’altro e va controllato scrupolosamente a monte. Operiamo una scelta della lavorazione estremamente naturale, la pilatura è artigianale a pietra. Il nostro riso, meno sbiancato, ha più personalità e carattere. Il Carnaroli esprime l’eccellenza del nostro territorio, è il riso che ha la resa migliore perché possiede un bilanciamento di amidi che consente di mantenerlo al dente, è dotato di un range di cottura molto lungo ed è capace di sviluppare una golosa cremosità. La croccantezza nel riso è fondamentale, va masticato per goderne appieno. Proseguendo con gli elementi basici della ricetta, al nostro riso viene aggiunto il sugo dei pomodori pugliesi dell’azienda Paglione, cotto lentamente senza soffritto. Gli aromi sono aggiunti dopo, a crudo, per mantenere intatto il sapore del pomodoro maturo. Servire il risultato in lattina ci ha consentito alcuni indiscutibili vantaggi: una temperatura costante, l’esaltazione dei profumi a causa della forma stretta e alta dell’innovativo recipiente e, non ultima, l’interazione con lo street food. Credo che l’alta ristorazione si debba relazionare con il cibo di strada, conservando uno sguardo al passato proiettato però al futuro". Nella moderna cucina rifatta completamente nel 2004, da quando Christian è ritornato in famiglia dopo le esperienze formative a Baja Sardinia Club Hotel e al Westin Europa Regina di Venezia (con la responsabilità del ristorante La Cuisina a soli 21 anni), sono stati predisposti otto fuochi per la cottura dei risotti, con due persone dedicate: un’organizzazione perfetta che consente di poterci finalmente divertire scegliendo fra ben venticinque allettanti varianti, senza la castrante regola del "minimo per due". Christian e Manuel sanno però andare ben oltre l’indiscusso piatto forte, proponendo un viaggio culinario di maestrìa tecnica e creativa, impattante emozionalmente. Finalmente a Vercelli una tavola di caratura, e non solo nazionale. Un film gastronomico che vale la pena di assaporare.



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Roma, San Teodoro e l’encomio dei NAS

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di Alberto Lupetti Freschezza, leggerezza, digeribilità e… gusto! Ecco, in estrema sintesi, la Trattoria St. Teodoro, uno degli ultimi baluardi della cucina romana nella quale concretezza, interpretazione ed eccellenza sembrano aver trovato il punto di perfetto equilibrio. Dicono che la zona di San Teodoro sia una delle più belle della Capitale, incastonata nel cuore pulsante della Roma antica, tra il Campidoglio, il Palatino e i Fori. Ed è proprio qui che da vent’anni la Trattoria St. Teodoro propone una cucina veramente di eccellenza. Ciò nonostante, non si parla molto di questo ristorante, sia per via di una clientela che preferisce la tranquillità, ovvero la riser-

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vatezza, sia per via del suo deus ex machina, Giorgio Cialone, veramente poco incline alle luci della ribalta. Però, è una di quelle mete gastronomiche che vale il viaggio perché, bellezza del luogo a parte, si mangia in maniera veramente squisita. Provare per credere. Un vero e proprio credo Giorgio ha una filosofia che può sembrare tutta sua, ma a pensarci bene ci si rende conto che dovrebbe essere proprio così un ristorante degno di questo nome. Innanzitutto non ama i crudi di pesce, oggi tanto in voga, perché è assolutamente convinto che la cucina sia manipolazione. E calca la mano quando fa notare che prosciutto e mozzarella siano roba da bottega di alimentari e non certo da ristorante. Già, perché per Giorgio questa parola significa soprattutto cucinare, ma anche accoglienza e saper gestire le materie prime. Ecco, quest’ultimo aspetto è trattato in maniera quasi maniacale: massima qualità, tipicità e corretta conservazione. A proposito di questo punto, dopo una recente ispezione da parte dei NAS, il St. Teodoro ha ricevuto dai militari una lettera di elogio per la conservazione di tutti gli ingredienti e la loro perfetta tracciabilità. Oggi la critica, anche la più accreditata, si limita ad analizzare

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il piatto senza preoccuparsi di cosa accade dietro le quinte: beh, a invertire la tendenza chissà quanti ristoranti osannati cadrebbero miseramente… Discorso analogo per la territorialità, che per Giorgio non significa semplicemente inseguire lo slogan del “Km 0”, bensì avere la migliore materia prima e averla fresca. E fa l’esempio della carne danese, chiedendosi perché debba essere proposta e osannata vista la qualità delle carni nazionali. Un esempio pratico, però, credo aiuti a capire meglio quanto detto finora: la proposta “gnocchi con telline, cannolicchi e asparagi di mare”. Questo piatto era nato con le sole telline e, nonostante gli gnocchi fossero cotti nell’acqua di queste, Giorgio voleva esprimere ancor più evidentemente l’autentico sapore del mare nel piatto. È così iniziato uno sviluppo che ha portato a quel capolavoro di gusto che è oggi, prima con l’aggiunta dei cannolicchi e poi con gli asparagi di mare (al termine di numerose prove con diversi ortaggi), che danno l’equilibrio perfetto ed evitano che il gusto possa rimanere “corto”. Ovviamente, il piatto deve essere presente per un certo tempo nel menu, ma questo andrebbe contro la scarsa reperibilità dei cannolicchi del Tirreno laziale (“piccoli, teneri, profumati, si sciolgono in bocca, altro che quelli olandesi d’allevamento!”), allora ecco le tecniche di conservazione. Quando ne trova di eccellenti, Giorgio acquista questi cannolicchi in blocco, quindi li lascia spurgare, li fa aprire a caldo, li sfiletta uno a uno e poi li porziona sottovuoto conservandoli a -2 °C: il piatto avrà sempre lo stesso sapore durante tutto l’arco della permanenza in menu. Perché “lo standard qualitativo del piatto si deve ripetere di giorno in giorno”. Anche questo aspetto sembra scontato, eppure quante volte abbiamo mangiato un piatto squisito che, riordinato anche a breve distanza di tempo, non ci ha più dato le stesse emozioni? Giorgio lamenta una certa ignoranza nella conservazione, quando sottolinea che è anche una questione di salute. E si sorprende di come molti pretendano di mandare avanti un ristorante con soli due frigoriferi o, peggio, lavare i piatti


nella stessa cucina: “è una questione di etica”. Il pesce azzurro, per fare un altro esempio, è sempre abbattuto ma, quando necessario, non è semplicemente scongelato, bensì riportato gradatamente a temperatura: una finezza che permette di conservare le caratteristiche del prodotto. Quindi, materie prime locali e di stagione accuratamente selezionate e poi conservate, in questo modo “l’eccellenza del piatto vien fuori quasi da sola perché la manipolazione ci deve essere, ma deve essere minima”, il che significa anche la giusta temperatura di cottura, perché, altrimenti, “si distrugge tutto”. Ma la corretta cottura di un ingrediente presuppone la perfetta conoscenza di questo e non semplicemente il seguire certe regole non scritte. Appropriati temperatura e tempistiche “non snervano le fibre del prodotto, anzi ne esaltano i sapori e lo rendono anche più digeribile. Il futuro della cucina ritengo sia proprio nella cottura”.

clamorosa quando si scopre che è autodidatta! I suoi piatti sono “consistenze, colori, presentazione” ma poi, molto onestamente, confessa di non impiegare mai più di tre elementi in un unico piatto perché “è un mio limite, non sono mica Vissani! Per accostare numerosi ingredienti servono altissime capacità…”. Tra l’altro, Giorgio pensa, sviluppa e mette definitivamente a punto tutti i piatti del menu, ma poi non è lui a cucinare perché preferisce stare in sala. In cucina ci sono dei giovani che replicano perfettamente quanto da lui creato. Anche in questo caso non è facile, ma al St. Teodoro sembra funzionare benissimo. Il grande Corrado Tenace oggi è conosciuto come il “re delle ostriche”, ma è stato (ed è ancora, per la verità…) anche un valente chef: ebbene, quando ha visto già la sola pasticceria mignon che al St. Teodoro accompagna il caffè, ha fatto i complimenti a Giorgio per la fattura, facendo notare che se anche questa è replicata a un tale livello, allora il ristorante è veraEsperienze di gusto mente messo a punto alla perfezione. Parlando con Giorgio scopri un perso- Ma cosa offre il St. Teodoro? Una cucina naggio appassionato, ma soprattutto do- legata alla tradizione romana, con alla tato di una competenza, una padronanza base una rivisitazione intelligente che delle tecniche di cucina incredibili, oltre alla fine rende il piatto non solo godibile, a una rara sensibilità nell’accostamento ma anche nutriente. Si può partire con dei sapori e la cosa diventa addirittura la panzanella con astice, piatto teoricaArtù n°59

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non far diventare la carne stoppacciosa, sia per conservare il sapore del mare. Così ha messo a punto questa cottura: dopo essere stata appena scottata, la ricciola è messa in una pentola, sospesa sopra un mix di erbe i cui fumi (che non arrivano a temperature elevate, deleterie per il pesce: finezza) la cuociono insaporendola. È un piatto da standing ovation. La tradizione romana è invece espressa con un superbo baccalà (l’ormai rara varietà Gadus Morhua, che Giorgio acquista direttamente in Finlandia), proposto sia su vellutata di pomodorini e crema di patate, sia in tempura, e con lo squisito agnello disossato al forno, mente banale ma in realtà gustosissimo: stupefacente per cottura e sapore. Ma il pane senza sale raffermo è rinvigorito Giorgio ha appena finito di mettere a con acqua di pomodoro (“è questa ad punto un altro piatto che richiama la traavere il sapore”) e condito con sedano dizione, quella della porchetta segnatae cipollina bianca, quindi guarnito con il mente, con il maialino porchettato nella corallo dell’astice, precedentemente sua cotenna croccante, autentica goduria lavato, pulito, passato e cotto con estrema in quanto dimostra ancora una volta la attenzione. Simbolo della tradizione ro- perfetta manipolazione della materia primana è anche la vignarola, qui proposta ma finalizzata a eleganza e succulenza. in tre cotture: squisita, anche per chi Ottime anche le proposte dei dessert, non ama le verdure. A seguire, oltre ai cui può seguire un eccellente caffè selesuddetti gnocchi, si può passare agli zionato e tostato in proprio. Il pane è spaghettini alle alici sotto sale, mollica l’unica cosa acquistata, ma da un nome di pane e ricotta stagionata, oppure alla di garanzia come Roscioli. Un altro plus lasagnetta al basilico con code di scampi è la carta delle acque, mentre quella e pecorino di Fossa ai fiori di zucca, o ai del vino è in fase di riorganizzazione per tagliolini neri con seppioline, pomodoretti fare ampio spazio alle bollicine; non alla brace e taccole, ma non mancano i mancano, comunque, intelligenti proposte classici della cucina romana come la al bicchiere che toccano perfino rossi di amatriciana o la cacio e pepe, a mio pregio con Barolo e Brunello di Montalavviso la migliore di Roma, con pasta al- cino. Conto sugli 80 euro, neanche tanto l’uovo (23 rossi per Kg di farina) fatta in se si considerano da un lato la qualità casa e rigorosamente senza l’impiego dei piatti del St. Teodoro e dall’altro il d’olio. È gustosa ma anche elegante, costo medio di una cena appena passama chi la ama “decisa” come il sottoscritto bile nella Capitale, ma non mancano può farlo presente al momento dell’ordine ben sei proposte di menu degustazione e verrà ampiamente soddisfatto… Da con quattro portate, ciascuno a 65 euro. provare pure gli spaghettini con vongole Ecco, si dice che a Roma, salvo cinque e bottarga, senz’aglio (chi non lo ama è o sei nomi, si mangi mediamente madunque avvisato) e cotti nell’acqua dei luccio, vista anche la forte impostazione molluschi. Tra i secondi si può spaziare al turismo di massa (poi non si capisce ancora tra mare e terra, ma trovo assolu- perché si debbano far mangiare male i tamente incredibile la ricciola cotta al turisti, ma questa è un’altra storia…), filo di fumo di salvia e timo, accompagnata ebbene il St. Teodoro fa parte autorevolda un’insalatina di finocchi, capperi e mente di questa ristretta cerchia e vale bucce d’arancia. Giorgio sa bene che assolutamente la visita. Con la magia per un pesce come la ricciola il perfetto del posto quale ciliegina sulla torta. punto di cottura è fondamentale, sia per www.st-teodoro.it

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L’Artigliere di Botta si sposta verso est 68

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di Gualtiero Spotti Dopo anni in Franciacorta e a Brescia, Davide Botta, chef di ingegno e sapienza, apre a Isola della Scala, nella campagna veronese, dove un imprenditore lungimirante lo ha voluto come executive di un luogo fascinoso, di sicuro gradimento presso l’universo dei gourmet. Il nome è sempre quello dell’Artigliere, che accompagna Davide Botta ormai da diversi anni. Prima, e per molte stagioni, nella splendida cascina a Gussago, non troppo lontano da Brescia e vicino alle colline della Franciacorta. Poi, per cinque anni e fino alla scorsa stagione, nella grande struttura multifunzione di Brescia, al cosiddetto “Santellone”, in un ambiente carico di storia (tra resti romani e in una antica abbazia), con una gestione più vicina alle esigenze di una clientela diversificata tra eventi, catering, fine dining e molto altro. Fino a lasciare la Lombardia, spostandosi sempre più a est: l’ultima avventura del cuoco lo vede infatti alle prese con un nuovo ristorante aperto nel mese di marzo a circa venti chilometri da Verona, nelle campagne di Isola della Scala. Qui si è trasferito con armi, bagagli e pentole, convinto dall’industriale Dal Colle, il quale, dopo aver ristrutturato un vecchio molino con tanto di ruota funzionante, ha pensato bene di trasformarlo

in una accogliente sala per fini gourmet, aggiungendo cinque camere Bed & Breakfast per coloro che volessero prolungare la sosta e magari non incorrere nei rischi dell’alcool test. Poi è riuscito a convincere il cuoco, che considerava in qualche modo esaurita la sua esperienza bresciana. L’ambiente del nuovo Artigliere è elegante e accogliente, da riseria sofisticata (non dimentichiamoci che siamo in una delle aree italiane più vocate alla produzione di riso), con accorgimenti estetici da ristorante moderno: dai giochi di trasparenza che permettono di vedere gli ingranaggi del molino (chiedete pure di fare una visita alla cantina e scoprirete l’antica struttura della vecchia riseria),

In alto, i cappellacci ripieni di ricotta e qui a lato il pacchero ripieno di brandade di stoccafisso, pomodorini e capperi. Artù n°59

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alla cucina a vista sull’esterno, ma solo verso la campagna, non verso la sala. Lo stile piuttosto classico e consolidato di Davide Botta qui, viene da dire, incontra la materia prima locale, ma non si modifica in maniera determinante. Non a caso il menu riporta diligentemente una serie di piatti, con tanto di anno di realizzazione, che dicono del percorso effettuato e di come molti di essi siano per il cuoco dell’Artigliere ormai dei classici moderni, dei veri e propri “signature dish” da portarsi appresso di ristorante in ristorante. Ricordando sempre, tra le altre cose, la sua passione per il foie gras, che ricorre puntualmente in ogni menu. Come nel caso del risotto con la zucca, foie gras e caramello di aceto balsamico targato 2009 e presente in carta proprio in questi giorni. Ma poi In alto a destra: timballo di riso allo zafferano con scaloppa di foie gras e tartufo nero.

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ci sono anche il maialino da latte, cotto a bassa temperatura, con scalogno allo zafferano (2010), le aole fritte con salsa di cipolle di Tropea in carpione (1999) o l’insalata di mare tiepida con patate schiacciate (1989), cui si aggiungono nuove preparazioni dall’anno in corso, tra cui spiccano una delicata ombrina arrosto con zucchine al basilico, i ricchi tortelli di farro ripieni di rana pescatrice con sugo ristretto di crostacei (serviti con ravioli di zafferano ripieni di calamaro crudo) o la gustosa millefoglie di manzo con finferli e salsa alla senape. Prima del pasto, e del dessert, nell’attesa, non manca una serie di stuzzichini sfiziosi, tra spritz reinventati guardando alla sferificazione, chips di patata americana (con maionese al lampone) e curiosità da farsi raccontare con attenzione. Il


menu lascia aperto il campo a diverse possibilità e alle esigenze del cliente, con piatti che spaziano dalla carne (Davide Botta si rifornisce da un macellaio di fiducia nel vicino paese di Buttapietra), al pesce, e con qualche “crudo” tra Fassona piemontese o gamberi, preparati con l’intenzione di lasciare nella mente e nel palato dell’ospite la netta sensazione di leggerezza. Estremamente interessante è poi la proposta della colazione di lavoro servita da lunedì a venerdì a pranzo. Con una spesa di 15 euro si possono scegliere un paio di piatti da una menu con una decina di riferimenti, cui aggiungere acqua e caffè: una iniziativa che sin dall’apertura dell’Artigliere ha riscosso notevole successo. Il cuoco di origini bresciane, che con tutta probabilità ha nel suo Dna l’affinità con la

vita di campagna, dai ritmi decisamente diversi e lontana anni luce da quella frenetica dei centri urbani, qui a Isola della Scala riesce a rappresentare meglio i prodotti della terra, a entrare in sintonia con la genuinità e le sensazioni bucoliche della vita agreste. Non è un caso che, scambiando quattro chiacchiere con Davide, si parli spesso dei prodotti stagionali dell’area. Dalla zucca agli asparagi e alle molte verdure, non a caso ampiamente rappresentate. Anche perché basta fare due passi fuori dal ristorante, dove tra l’altro si può consumare il pasto durante la bella stagione, per riconciliarsi con la natura, respirando a pieni polmoni o annusando gli odori della campagna e dei campi circostanti. Il ristorante è chiuso il martedì sera e mercoledì. www.artigliere.net

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Donato Episcopo Rivelazione di Follina di Alberto P. Schieppati Dopo vari movimenti, alla Corte del Relais Abbazia si è finalmente insediata una brigata giovane, connotata da passione e conoscenza, capace di consegnare alla sala piatti di grande caratterizzazione e armonia. La famiglia Zanon chiude così il cerchio dell’offerta, affiancando a un’ospitalità superlativa una cucina dotata di uno stile inimitabile. Avendone seguito gli ultimi vent’anni di storia, conosco bene l’impegno messo dalla Famiglia Zanon nel concepire, posizionare e rendere sempre più

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prestigioso il proprio Relais Villa Abbazia, a Follina. Negli anni splendidi del turismo d’elite e nei tempi, meno brillanti, di questa Italia in difficoltà. La loro strada è sempre stata lineare, decisa, senza sbavature né accondiscendenze verso cambiamenti che ne avrebbero compromesso il fascino e l’unicità. Ad ogni costo, rischiando di perdere il treno così diffuso dell’adeguamento verso il basso, ma certi di conservare e sviluppare concretamente uno stile realmente superlativo. Quante volte, parlando con Ivana Zanon, patron del Relais & Chateau, ho colto questa tensione estetica verso il bello, reso possibile (oltre che dalle caratteristiche della struttura trevigiana), da una sensibilità intellettuale ed emotiva verso le esigenze dell’ospite, di un “certo” ospite. Follina, peraltro, è un luogo magico, per posizione territoriale, arte, storia: con la fortuna di avere, sul proprio territorio, questa struttura dal fascino inimitabile ed esclusivo. “L’esclusività - dice Giovanni Zanon, fratello di Ivana, grande esperto di vini e di ristorazione -, sembra essere un valore in via di estinzione: in un momento difficile dell’economia italiana, dove il minimalismo impera ed alligna, noi abbiamo il coraggio, la volontà e la passione necessaria per offrire all’ospite qualcosa di completamente diverso e caratterizzato, in grado di attrarre e colpire per la qualità dei servizi e la cura dell’accueil”. Parole sante, avvalorate dal successo che Villa Abbazia continua ad avere, quasi fosse un magnete capace di attirare la migliore clientela internazionale (ma anche italiana), in cerca di pace, atmosfera, unicità, servizi di livello. La clientela del lusso, direbbe qualcuno; del lusso “compatibile”, aggiungiamo noi… Perché all’Abbazia non è lo sfarzo a dominare la scena, ma l’attenzione discreta e semplice verso l’ospite di qualità, alla ricerca di esperienze memorabili, che facciano la differenza, da riportare a casa, da ricordare con emozione, da raccontare negli ambienti giusti. La lunga introduzione era necessaria per capire meglio, oltre agli standard elevati dell’ospitalità


alberghiera dell’Abbazia, l’approccio culturale alla ristorazione da parte di una famiglia (oltre a Ivana e Giovanni anche Maria Giovanna e Rosy, perfette nella loro eleganza, sono impegnate nella conduzione) letteralmente votata alla causa dell’hotellerie personalizzata. Sto parlando qui de La Corte, il ristorante gourmet del Relais, la cui cucina è oggi guidata da un giovane professionista che opera all’insegna della meticolosità combinata a dosi di genialità e, perché no, di grande umiltà. Senza strafare, ma con le idee chiare e una perfetta conoscenza delle materie prime (e della fatica che costa il selezionarle), di territorio e non solo. “Lui” è Donato Episcopo, classe 1973, originario di Cursi (in provincia di Lecce): può permettersi di vantare sei anni di esperienza col tristellato Heinz Beck, ma anche il lancio di una struttura, pure stellata,

in Campania, il mitico Marennà dei Feudi di San Gregorio. Ma, aldilà dei curricula, ci pare che Donato abbia trovato proprio qui, nella Marca Trevigiana, nel cuore della terra del Prosecco (siamo tra Conegliano e Valdobbiadene), la sua vera vena creativa. La bellezza delle sale della Corte potrebbe aggiungere all’esperienza gastronomica qualcosa di più di una semplice degustazione di piatti, ma è proprio su questi che ci siamo voluti concentrare: e qui le sorprese sono state davvero molte. A cominciare dal “cubo di maiali e sedano”, proposto con scarola saltata all’aglio sfumato e crema di fagioli bianchi, per arrivare ai “calamaretti spillo saltati alla plancia, con insalata di porcini del Cadore e misticanza, spuma di pane e pinoli, tartufo nero di Norcia: piatti di struttura, ma anche di armonia, perfetti nella riconoscibilità

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dei singoli gusti e non invasivi nella pretesa di affermazione (così presente nel lavoro di tanti chef, in cui l’esibizione di muscoli ha il sopravvento su quella armonia necessaria, così importante per un piatto). Fra i primi preparati da Donato Episcopo, che è affiancato dal secondo, Federico De Luca con il quale forma una piccola brigata ben determinata, segnalo i “ravioli di patate ripieni di fonduta di Montasio stravecchio”, proposti con guanciale di maialino croccante e zucca, gli “spaghettoni Verrigni con mandorle, cipollotto e colatura di alici di Cetara”, gli “gnocchetti di semola di grano duro”, mantecati ai gamberetti rosa di Sicilia, cannolicchi e zafferano in pistilli dell’Aquila. Una cucina che indulge solo parzialmente al territorio, ma che preferisce sottolineare i sapori delle materie prime nella loro complessità. E, sempre per non esagerare, il menù propone quattro secondi: il filetto di branzino d’amo del Tirreno, il piccione e foie gras alle nocciole, il lombo di agnello in crosta di capperi e olive taggiasche, la variazione di maialino. Quest’ultimo piatto, definito anche simpaticamente “Son cavoli del maialino” prevede la presenza di tre diversi tipi di carne di maiale, impiattati insieme ad altrettante tipologie di cavolo, abbinate alle carni: dunque, sfogliatella napoletana ripiena di stracotto di spalla di maialino carrè di maialino con purea di cavolfiore, carrè di maialino cotto sul fry top per due ore a bassa temperatura (“devi stargli appresso e non distrarti mai”, dice lo chef) con cavolo verza e purea di mele, cosciotto di prosciutto marinato a crudo 12 giorni con

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sale di Cervia, poi cotto a bassa temperatura per due ore (65 gradi in roner, il termostato professionale amato da tanti chef) con cavolo viola marinato alle arance di Sicilia con olio extravergine e composta di albicocca. Tre maialini, tre cavoli, una sola succulenza: un piatto da gustare, per le diverse consistenze e per i diversi sapori che riesce ad esprimere. Anche sui dessert c’è un bel lavoro di ricerca, che fa uscire dalla cucina savarin alle noci di raro equilibrio, una originale cartelletta “Petra 5” cotta al momento, un Tiramisù che potrebbe vincere il campionato mondiale (se qualcuno avesse voglia di organizzarlo), una creme brulé al profumo di vaniglia servita con gelato e granita di caffè. Un’esperienza completa, quella alla Corte di Follina, che forse non ti saresti mai aspettato, per vari motivi: sei lontano dai grandi centri, non ti trovi di fronte a uno chef famoso, è attivo da poco tempo nella struttura. Beh, possiamo dirlo? Forse sono proprio questi i motivi che regalano all’ospite quella freschezza e quella pulizia dei piatti (e dei sapori, e dei gusti) sempre più rara a trovarsi nell’Italia della ristorazione. Un’esperienza positiva anche sotto il profilo vinicolo: le oltre 700 etichette selezionate da Giovanni Zanon rappresentano il meglio di Italia e mondo, con una attenzione estrema verso le etichette meno conosciute, di produttori spesso molto giovani che privilegiano, in certi casi, colture biodinamiche. E con un occhio rivolto alle migliori produzioni del territorio trevigiano, dove il Prosecco di qualità la fa sempre da padrone.



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Il progetto creativo di

Marco Sacco

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di Luisa Contri Creatività italiana. Organizzazione francese. Sono i due pilastri su cui si fonda il successo del Piccolo Lago di Verbania, ristorante che lo chef patron Marco Sacco, insieme al fratello Carlo, ha portato alle due stelle Michelin, trasformando un rinomato ristorante a conduzione familiare, con annesso piccolo albergo, in un’impresa, con al centro un ristorante di caratura internazionale.

dalla carne di fassona alle nocciole, al riso carnaroli, al tartufo; e di terre più lontane, che non possono mancare in un ristorante bistellato. Fin qui nulla di nuovo, potreste pensare. Ma sbagliereste. Ciò che rende assolutamente originale Oggi il ristorante che si affaccia diretta- la cucina di Marco Sacco è il suo modo mente sulle acque del lago di Mergozzo di lavorare le materie prime. Talvolta apè soltanto uno, seppure il principale, plica tecniche di preparazione e cottura degli asset della Piccolo Lago Progetti prese in prestito da cucine di paesi (Plp), società costituita dai fratelli Sacco lontani ai prodotti della Val d’Ossola. per portare a termine incarichi di consu- Altre volte le tratta con un mix di metodi lenza e progettazione in ambito ristorativo di cottura tradizionali e moderni. Qualche e alberghiero in Italia e all’estero, come esempio? Il riso bianco, pepe nero, rail lancio del ristorante River Club a Pe- clette, cetriolini e cipolline. È un piatto chino, aperto nell’estate 2010 e presso nuovo, inserito quest’autunno nel menu il quale stanno tuttora lavorando due degustazione dedicato al bettelmatt. collaboratori del Piccolo Lago (uno in cucina e l’altro in sala) e la futura ristrutturazione di un castello di proprietà di un’imprenditore di Ivrea, che andrà a ospitare cinque diversi format di ristorazione. "Il lavoro per Plp - spiega lo chef Sacco -, mi assorbe nelle fasi iniziali d’impostazione dei singoli progetti. Una volta impostato il concept, però, comincio a delegare e, come in una piramide, il lavoro coinvolge un numero sempre più ampio di collaboratori che, in gran parte, si sono formati negli anni nel nostro ristorante. Io posso quindi tornare a occuparmi della mia passione: la cucina, e del Piccolo Lago, che resta sempre il mio primo lavoro". Una cucina, quella di Sacco, che vede come protagonisti i prodotti tipici della Val d’Ossola, sia quelli dell’ambiente lacustre, come lavarelli, agoni, anguille e ancora verdure, crescioni, tarassaco, borragine e altre erbe spontanee; sia quelli delle montagne che si affacciano sul lago: finferli e porcini, formaggi, bettelmatt in primis, capretto della Val Vigezzo, frutti di bosco. Ma anche le eccellenze piemontesi: Artù n°59

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"Abbina - spiega Sacco -, una preparazione tipica piemontese: quella del risotto, con una tradizionale delle vicine valli svizzere, la raclette. Sul risotto bianco al pepe nero, metto del bettelmatt bruciato al cannello. E abbino al piatto la cipollina e il cetriolo sottaceto, che non possono mai mancare nella raclette". Ma anche il cipollone cotto al sale, fonduta, patata alla Williamine: in questo caso si tratta di un classico della cucina piemontese che Sacco reinterpreta inserendo, come in una matriosca al centro della cipolla svuotata dell’insalatina, un’uovo barzotto e della fonduta di bettelmatt. "Nelle prime settimane precisa Sacco -, quando erano ancora disponibili funghi di piccole dimensioni, l’abbiamo servito insieme a un’insalata di funghi crudi. Da metà ottobre lo proponiamo invece con tartufo bianco d’Alba". Sorprendente è pure il nuovo dessert nocciole, cioccolato amaro, liquirizia, gelato al tartufo bianco. "Al gusto classico della torta alla nocciola - spiega Sacco -, ho abbinato in questo caso un gelato a base di latte al gusto di tartufo. È un po’ un controsenso perché, per sentirne i profumi, il tartufo va scaldato. In questo dessert, invece, il tartufo risulta una sorpresa. Non si percepisce con l’olfatto quando il piatto arriva in tavola, bensì

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soltanto col gusto, quando il gelato si scioglie in bocca". Un classico di Marco Sacco, può invece considerarsi un concentrato della sua filosofia di cucina: è Evoluzione della tecnica, ovvero anguilla dal fuoco al roner. "In questo piatto - evidenzia lo chef -, abbino a un metodo di cottura primordiale, come quello sulla brace di faggio, che sgrassa l’anguilla, a uno modernissimo: la cottura sottovuoto nel roner, che ne esalta il gusto". Un altro aspetto che distingue il Piccolo Lago da molti altri ristoranti stellati italiani è il metodo manageriale di interpretare la professione di chef e di ristoratore. In realtà Marco e Carlo Sacco non fanno altro che mettere in pratica, solo più in grande, gli insegnamenti di papà Gastone: "Ho fatto poca scuola - racconta Marco Sacco -, perché ho cominciato presto a dare una mano in cucina a mio padre. E a quei tempi (fine anni Settanta-anni Ottanta, ndr) si lavorava parecchio. Da mio padre, che è stato un grande cuoco, ho imparato la base della cucina italiana a tutti i livelli e la passione per andare oltre. Fin da giovanissimo, nei 3-4 mesi invernali di scarico di lavoro al Piccolo Lago, mio padre mi chiedeva in quale ristorante estero mi sarebbe piaciuto fare un’esperienza. E per estero allora s’in-

tendeva Francia. Io lo sceglievo e lui telefonava per verificare se erano disponibili a prendermi. È così che ho imparato come vanno impostate le brigate di cucina e il servizio, come acquistare e preparare le materie prime, l’importanza del rigore, della costanza, dell’impegno". Esattamente come faceva trent’anni fa suo padre, Sacco offre ai giovani più dotati che passano per la sua cucina e il suo ristorante la possibilità di crescere. Per agevolare i collaboratori che vengono da lontano, ha addirittura trasformato in foresteria l’ex albergo annesso al Piccolo Lago. Con gli anni ha creato così una "community" che man mano si è fatta più numerosa. "Uno dei gruppi di lavoro della Plp - racconta Sacco -, è per esempio coordinata da un mio giovane allievo con un talento fuori dal comune. Si chiama Paolo Griffa, ha 22 anni e ha frequentato l’istituto alberghiero Giolitti di Torino, di cui è stato uno dei migliori allievi di tutti i tempi. Già nel 2009 ha vinto il Norvegian Seafood Challenge ed è appena stato premiato miglior cuoco del Piemonte. Bene, Paolo lavora sei mesi qui al Piccolo Lago e sei mesi all’estero, in strutture con 2-3 stelle Michelin. E il suo compito è fare esperienza e ragguagliarci su quello che apprende, così da verificare se al Piccolo Artù n°59

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Qui a lato: riso al rosso di rapa, cozze al vapore e olio al peperoncino. Sotto: flan di bettelmatt, leggera mostarda di pere e salsa ai mirtilli di montagna speziati.

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Lago ci sono ulteriori margini di miglioramento. La stessa cosa ho fatto in passato con altri ragazzi come Cristian, che oggi lavora in California, Oscar, che sta partendo per l’Oriente, e Ruggero, che da 3-4 anni lavora come pasticcere a Mosca. I membri di questa community ogni anno tornano qui a fare un corso di due settimane, durante il quale vengono a contatto con l’evoluzione portata avanti nel frattempo dal Piccolo Lago e a loro volta lo arricchiscono con le loro ultime esperienze". Un "do ut des", insomma, che va a vantaggio di tutti. Sempre grazie al fatto di aver mutuato metodi organizzativi tipici dell’alta ristorazione francese, ma anche per la localizzazione del locale - che vive di flussi consistenti nell’alta stagione, da aprile a settembre, che si ridimensionano in autunno e inverno - e per la disponibilità di spazi all’aperto ampi e molto panoramici, perfetti per cerimonie private ed eventi aziendali, il Piccolo Lago va oltre il cliché del ristorante stellato italiano per pochi eletti. "Il ristorante bistellato - spiega Sacco -, occupa il primo piano della nostra struttura e dispone di una sua cucina e di tre sale.

Due, entrambe da 25-30 coperti, sono delimitate da grandi vetrate e affacciano direttamente sulle acque del lago. Le utilizziamo durante l’alta stagione. La terza sala, da 60 coperti, è più interna, è riscaldata anche dal fuoco del camino e la utilizziamo nei mesi più freddi, quando fa buio presto e non si potrebbe neppure apprezzare il panorama del lago. Completa il tutto il tavolo dello chef, apparecchiato di fronte alla cucina in un ambiente delimitato da vetrate". Al pian terreno, nella bella stagione, è operativa una seconda e più ampia cucina, riservata alla banchettistica. "Una banchettistica di qualità - assicura Sacco -, all’altezza delle 2 stelle Michelin del ristorante, perché utilizza le stesse materie prime e vede ai fornelli la medesima brigata, che si espande e si riduce a fisarmonica a seconda delle esigenze. Durante tutto l’anno è formata da otto persone, fra capi partita e secondi. Nella bella stagione raggiunge invece le 15-20 persone, con l’inserimento di commis apprendisti e stagisti". Proprio la banchettistica è oggetto di un progetto di riqualificazione degli spazi, che verrà ultimato per aprile prossimo: "Sostituiremo l’attuale tensostruttura - anticipa Sacco -, con una costruzione semifissa, elegante e di design, che ci consentirà di valorizzare e sfruttare meglio gli spazi a disposizione. Il ristorante 2 stelle è e rimane il nostro zoccolo duro, ma si gioverà del maggior movimento che la rivisitazione del banquetting genererà". Soltanto per un aspetto, ovvero la scansione della proposta gastronomica, il Piccolo Lago rispetta un’impostazione classica. Il menu à la carte è affiancato infatti da tre menu degustazione: Riprendere il passato (quattro piatti classici di Sacco), Modellarlo nel presente (sei portate realizzate con prodotti del territorio) e Proiettarlo nel futuro (nove piatti in cui le tecniche di cottura sono protagoniste) e da due menu speciali, In cucina con Marco, che prevede 23 assaggi, e quello che cambia ogni stagione. In queste settimane il menu è dedicato al bettelmatt, mentre in primavera-estate è un percorso che richiama le sensazioni di una passeggiata lungo le rive del lago.



Pagine a cura della redazione di

L’importanza dei benefici degli antiossidanti Chi l'ha detto che una mela al giorno toglie il medico di torno e che il vino fa male? Il segreto di un corpo giovane e in salute per tutta la vita è racchiuso negli anti-ossidanti: polifenoli, antocianine e acido quinico sono le sostanze che rallentano il processo di invecchiamento, sia quello esteriore che degli organi interni. Dove si trovano questi elementi? In frutta e verdura. E anche nei tannini del vino. Vino rosso, ovviamente. Ma in misura molto diversa gli uni dagli altri. I migliori antiossidanti sono presenti in tutti i frutti rossi e neri (la colorazione scura è data proprio dall'alta presenza di antocianine). E l’uva rientra in questa categoria. Ma anche alimenti insospettabili e considerati "poveri", come le patate. Tutto dipende da una strana parola chiamata Orac, l'unità di misura degli anti-ossidanti contenuti in un cibo.

numerosi processi metabolici una piccola quantità di ossigeno dà origine a molecole chimicamente molto reattive (a causa della presenza nell'orbitale più esterno di uno o più elettroni spaiati). Tali molecole sono i cosiddetti radicali liberi in grado di danneggiare le strutture cellulari come la membrana plasmatica e il dna. Accelerano cioè i processi di invecchiamento cellulare deprimendo il sistema immunitario e favorendo l'insorgenza di numerose malattie e forme tumorali. Il corpo umano è in grado di contrastare il normale "attacco" dei radicali liberi con alcune sostanze anti-ossidanti endogene (ossia auto-prodotte dallo stesso organismo). Ma oggi l'industria alimentare (dove prevalgono cibi processati, ad alto contenuto di zuccheri, conservanti, sostanze chimiche di sintesi) rende insufficiente la difesa naturale del corpo.

La frutta più ricca di antiossidanti frutta VIOLA frutta BLU frutta VERDE frutta ARANCIO frutta GIALLA frutta ROSSA

Perché si invecchia L'usura dei tessuti, il processo degenerativo delle cellule è alla base dell'invecchiamento ed è causata dai radicali liberi. Gli antiossidanti sono sostanze in grado di neutralizzare i radicali liberi e proteggere l'organismo dalla loro azione degenerativa. Le proprietà anti-cancerogene di molti alimenti sono legate proprio al loro contenuto di principi che rallentano l'ossidazione delle cellule. Nel corso di

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Mele e Vitamina C: tanti miti da sfatare Ma il rimedio c'è: mangiare più frutta e verdura. E bere un buon bicchiere di vino rosso ogni tanto. Ma non la frutta e verdura che la maggior parte della gente pensa. Perchè la classifica dei super-cibi anti-ossidanti riserva più di una sorpresa che spazza via tanti luoghi comuni. La scienza alimentare, e soprattutto le tabelle Orac, sfatano molti miti: per esempio che le verdure fanno bene solo crude e che cuocendole per-

Il “Signore dei Polifenoli” Il nome è complicatoi delfinidine. Sono anti-ossidanti prodotti dalla natura e negli ultimi anni assurti a nuovo mantra della scienza alimentare. Perché sono capaci di attivare le cellule dell'organismo in funzione anticancerogena, antiaterogena, antinfiammatoria, antivirale e antibatterica. Presenti un po' ovunque, dal thè alla buccia della mela, di polifenoli ne esistono 4mila tipi diversi. Ma il più potente è soltanto uno: la delphinium consolida (una pianta eurasiatica che dà fiori dalle caratteristiche tinte azzurroviolacee). La delfinidina è oggi l'antiossidante più forte al mondo. Giovanni Scapagnini, medico e neuroscienziato, esperto di meccanismi biologici legati all'invecchiamento (soprattutto cerebrale) spiega che le delfinidine vanno a incidere su "un fattore di trascrizione che si chiama Nrf2”. Quando questo fattore tracolla, come nel caso di molte patologie croniche dell'invecchiamento, si riducono le capacità adattive della cellula e, di conseguenza, si espone a una costante infiammazione cronica latente. Invece i polifenoli sono in grado di riaccendere il "motore" cellulare riattivando la loro capacità di adattamento. Così facendo la cellula vive più a lungo.

dono valore nutritivo. Per esempio, la mela ha pochissimo potere anti-ossidante (e quel poco lo contiene la buccia che si tende a non mangiare perché infestata di diserbanti e prodotti chimici anti-parassitari). E ancora: la Vitamina C non è poi così salutare come da sempre si sente dire. Le proprietà anti-ossidanti di una spremuta di arance sono molto più basse di quelle del succo di uva nera. Un arancio è sotto i 1000 Orac. Molto meglio il


pressionante di anti-ossidanti: 100 g toccano i 28mila Orac. Fra l'altro, rispetto a molti altri polifenoli, le delfinidine del maqui sono idrosolubili e, quindi, arrivano molto più facilmente degli altri polifenoli alle cellule dell'organismo. Queste molecole si dividono in diversi sottogruppi; ogni bacca non contiene un solo tipo di antocianine, ma diverse associate insieme. Tra i vari sottogruppi la delfinidina che, in base a ricerche preliminari, sembra possedere una potenza maggiore. E proprio il maqui tra tutte le bacche è quello più ricco in assoluto di delfinidina; negli estratti ottenuti Ma dal Cile arriva oggi il frutto più po- dalla bacca, arriva al 70 per cento tente al mondo: il maqui. Praticamente del totale degli antociani presenti. sconosiuto finora, si è scoperto che Un record assoluto, che non si trova Nero è bello Sul podio dei super-frutti salgono tutti questa bacca dall'aspetto poco ap- in nessun altro frutto di bosco. Quella i frutti di bosco. Uva nera e mirtilli pariscente, contiene una quantità im- degli antociani è una sottoclasse dei polifenoli, di cui fa parte proprio la delfinidina, che svolge un ruolo primario nella vita delle piante. Nei vegetali è responsabile della colorazione dei fiori e dei frutti e come filtro solare contro i raggi UV. Per via della Il romanzo Robinson Cru- serie di fiori bianchi che anche per i loro rimedi loro natura chimica di molecole molto soe è la storia di un eroi- spiccano nella verde fo- curativi tramite gli steli e reattive, gli antociani caratterizzano co sopravvissuto su resta subantartica. Le le foglie. Se ne accorsero le piante con colorazioni variabili dal un’isola deserta. Pochi bacche, succose e bril- per primi i "conquistarosso al blu. Anche il vino contiene sanno però che la vi- lanti di un colore blu in- dores" spagnoli e il naantociani, ma in modesta quantità. cenda è ispirata a un tenso e profondo, matu- vigatore italiano Antonio La concentrazione di antociani e delvero naufragio: quello del rano in estate e vengono Pigafetta che descrisse finidine nel maqui, per esempio, è marinaio Alexander Sel- raccolte a mano. Come come dei "giganti" gli incosì alta che se uno volesse averne kirk, abbandonato dalla Robinson Crusoe, anche digeni dell’isola. Erano la stessa quantità di polifenoli dosua ciurma per punizione il maqui arrivò per caso alti un metro e 80 centivrebbe bere 500 bicchieri di vino su un'isola deserta del su quest'isola dell'arci- metri, un'enormità per la rosso al giorno. Impossibile. Pacifico, 600 chilometri pelago Juan Fernandez, popolazione europea di al largo del Cile, dove importato probabilmente allora, che aveva una sopravvisse per quattro dai Mapuche, un popolo dieta povera di vitamine Seguiteci anche su anni da solo. Quell'isola indigeno discendente de- e proteine . Motivo della www.corporesanomgazine.it è chiamata oggi Isola gli Araucani e originario, superiorità fisica? Proprio Juan Fernandez. E lì oggi come la pianta stessa, il maqui: l'alimentazione cresce il super-frutto più della zona centrale del quotidiana a base del salutista al mondo. Il Cile. I Mapuche gia nel frutto magico rallentava maqui, una sorta di bac- lontano XVI secolo, epoca l'infiammazione cellulare ca simile al nostro mirtillo. della scoperta dell'isola e quelle malattie (coLa pianta dell’ "Aristotelia da parte degli europei, me il rachitismo) chilensis" è un arbusto ben conoscevano le pro- che allora, nelsempreverde molto ra- prietà officinali del maqui, l'epoca premificato ed esteso. Du- di cui facevano largo uso antibiotici, rante la primavera au- quotidianamente nella affliggevano strale fa sbocciare una loro alimentazione, ma l'umanità. pompelmo, il cui succo arriva a quasi 1300 unità di Orac. Ma comunque pompelmi e arance sono molto meno anti-ossidanti di cavoli di Bruxelles e cavoli verdi cotti. Questi ultimi sono tra le verdure più anti-ossidanti: arrivano oltre i 2000 Orac. Cibi a torto ritenuti poveri hanno insospettabili proprietà anti-ossidanti: chi avrebbe mai detto che un banale piatto di spinaci cotti è tre volte più potente di un'arancia? Ma anche la patata, per secoli cibo delle classi sociali più derelitte, oggi si scopre che è un potente anti-ossidante. La variante americana del tubero contiene un tutt'altro che disprezzabile ammontare di Orac (458 unità).

sono quelli con il più alto tasso di sostanze anti-ossidante. Un bicchiere di succo di uva nera arriva a fornire da solo più di 5mila Orac. Una tazza di mirtilli è attorno alle 3500 unità.

Robinson Crusoe

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Sicilia del gusto,

Villa Athena

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di Gualtiero Spotti È davvero difficile immaginare uno scenario più suggestivo e un incrocio di sensazioni così potenti. Sono emozioni talmente forti al punto da riuscire ad accompagnare l’ospite indietro nel tempo ogni qual volta quest’ultimo sceglie di volgere lo sguardo alle bellezze architettoniche volute in questo angolo di Sicilia dagli antichi dominatori arrivati dalla Grecia. Villa Athena, il cui nome richiama inevitabilmente l’era delle dominazioni elleniche del lontano passato, sorge nel cuore della Valle dei Templi, ad Agrigento, a pochi metri dal Tempio della Concordia, ed è circondata da ulivi, mandorli e giardini rigogliosi, oltre che da resti archeologici parte, come del resto tutta l’area, del patrimonio Unesco ormai sin dal 1998. Il resort era, originariamente, una casa privata, almeno fino alla fine degli anni Sessanta, quando poi l’edificio è stata riconvertito con gusto in una dimora diventata nel tempo tra le destinazioni più esclusive di questo angolo di Sicilia: un cinque stelle per pochi eletti, verrebbe da dire, con una vista impareggiabile, la certezza di una accoglienza discreta e molti

comfort di assoluto livello. Uno Small Leading Hotel, tanto per restare nelle tipologie da catena alberghiera, con sole 27 stanze (in maggior parte si tratta di deluxe e suite), dove il relax e la quiete la fanno da padroni. Un luogo dove è facile lasciar correre i pensieri, dove abbandonare lo stress e ritemprarsi, magari approfittando di alcuni “must” che permettono di avvicinarsi al mondo della Trinacria più autentica, come nel caso della piacevole scoperta della cucina locale. Perché uno dei punti di forza di Villa Athena è sicuramente la rappresentazione a tavola della tradizione gastronomica locale, curata qui da Antonio Di Caro, cuoco cinquantenne, agrigentino di origine controllata, che è da diverso tempo

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uno dei migliori rappresentanti della cucina locale, pur avendo maturato anche qualche significativa esperienza all’estero, in Germania, e in alcuni ristoranti del Nord Italia. Ma il richiamo dell’isola e delle proprie origini era troppo forte (abita a poche centinaia di metri dall’albergo). Così, da un anno a questa parte, si è stabilito ai fornelli di Villa Athena, dove si occupa delle varie realtà di ristorazione del resort. Da quella più esclusiva, e decisamente imperdibile della Terrazza degli Dei,

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dove è permesso di cenare open air praticamente tutto l’anno (visto il clima favorevole) di fronte al Tempio della Concordia, con la splendida illuminazione notturna dell’area archeologica che durante le cene offre un colpo d’occhio unico, fino al Granaio di Ibla, in una sala accogliente dove spicca la presenza di un’antica cisterna greca, visibile attraverso la pavimentazione in vetro del ristorante. Cresciuto in una famiglia di ristoratori da generazioni, Antonio Di Caro, baffo malandrino e sguar-


do vispo, porta all’attenzione dell’ospite il vasto mondo della cucina locale, con i classici come la caponata di melanzana (qui in una versione con la presenza originale del cacao amaro), gli spaghetti con le sarde, il macco di fave o la cassata siciliana, cui poi aggiunge in carta una serie di preparazioni più creative come nel caso del cannolo croccante con burrata, gelatina di pomodoro ed emulsione d’acciuga, il sandwich di spatola e gambero rosso con crema di ceci e riduzione di Averna, i ravioli farciti con macco di fave, crema di bieta, salsa di ricotta salata e guarniti con gamberoni e triglia o l’aspic d’arancia al Grand Marnier con spuma alla sambuca. Piatti “di pancia”, come si suol dire, e a tutto gusto, con il mare e il pescato del giorno a farla da padrone, e solo qualche inserimento, misurato, di carni pregiate regionali, come l’agnello o il maialino nero dei Nebrodi. Sono sempre sapori decisi e perfetti da abbinare a una delle tante bottiglie siciliane presenti nella carta dei vini con etichette di fama, da Planeta a Duca di Salaparuta e Firriato. Ma Villa Athena ha diverse frecce al suo arco, non solo quella di una cucina estremamente godibile. Chi si ferma per qualche giorno ha a disposizione una piscina aperta con vista sulla Valle dei Templi, mentre per chi vuole conoscere meglio il territorio, il premuroso staff dell’albergo si preoccupa di suggerire (e di organizzare) una delle visite alle bellezze dell’area

circostante, dalle spiagge incantevoli di Scala dei Turchi alle cittadine di Sciacca ed Eraclea, anche se l’escursione classica è proprio quella a pochi metri, nella zona archeologica dei Templi. Gli irriducibili che, infine, non vogliono assolutamente “staccare la spina” nonostante la bellezza e la quiete del luogo, possono sempre contare su un iPad pronto per l’uso, a disposizione degli ospiti alla reception dell’hotel. Tutto questo in attesa delle novità previste nel prossimo futuro, visto che la proprietà di Villa Athena ha intenzione di realizzare un piccolo centro benessere su misura per la sua clientela più riservata, unitamente a una selezione di trattamenti e massaggi. www.hotelvillaathena.it

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Con Weber-Stephen cucina da outdoor Il barbecue è forse l'oggetto più amato dagli americani e, a seguire, da tutti Innovazione assoluta nel settore dei gli appassionati di cottura alla brace barbecue: il marchio americano We- e di giornate trascorse all'aria aperta. ber-Stephen assicura da sempre mas- Ma non sempre i risultati sono quelli sime prestazioni e ottimi standard sperati, a causa di un supporto poco sicuro e non idoneo alla alte temperaqualitativi, con un tocco di design. ture raggiunte dalla brace. Con i barbecue Weber-Stephen, uno dei principali produttori americani di barbecue a carbone, a gas ed elettrici, la sicurezza è garantita grazie all'esperienza decennale e ai materiali utilizzati, senza tralasciare l'aspetto estetico. Con headquarter nei pressi di Chicago, Weber-Stephen sviluppa nel proprio reparto Ricerca & Sviluppo attrezzature caratterizzate da alti standard qualitativi dimostrabili dai 25 anni di garanzia fornita sui modelli della gamma a gas: rigorose le procedure per il controllo qualità che assicurano robustezza e longevità dei barbecue. Nasce nel 1952 il di Elisa Facchetti

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primo barbecue con coperchio, invezione destinata a rivoluzionare per sempre i metodi di cottura alla brace in outdoor, ed è nel 1985 la realizzazione del primo barbecue Weber-Stephen a gas. Da qui il grande successo: ora il brand è distrbuito in tutta Europa attraverso una articolata rete di filiali, tra cui una filiale in Italia, in provincia di Vicenza, aperta nel 2008 e guidata da Alessandro Radin. La gamma dei barbecue Weber permettere di soddisfare qualsiasi esigenza e si completa con numerosi accessori fra cui i noti Weber Style e gli accessori multiuso. Come gli accessori della linea Gourmet System che includono una piastra, una griglia di rosolatura, un supporto per pollo, una pietra per pizza e una wok in ghisa. Ed è sulla wok che vogliamo puntare l'attenzione, uno strumento multiuso da utilizzare sul barbecue a carbone, per spaziare dai piatti asiatici a quelli più tipici, come dimostra lo chef Gianfranco Lo Cascio, chef di Weber e "re del barbecue", con la sua ricetta "spaghetti e cozze": "La Wok è lo strumento per eccellenza da utilizzare nella tecnica del 'salto'. Grazie alla sua forma caratteristica e alla potenza di calore che trattiene, genera reazioni di cauterizzazione estreme in tempi brevissimi. Questo si traduce, per esempio, in verdure perfettamente rosolate all’esterno ma ancora croccanti". La ricetta alternativa degli spaghetti e cozze è molto semplice: pasta, cozze, mezzo limone, foglie e gambi di prezzemolo. Quattro ingredienti e un dispositivo, la wok di Weber, che ha la grande capacità di accumulare calore e le note aromatiche del fumo sprigionato dal combustibile, legna o carbone. Una tecnica di cottura che permette di scoprire nuovi sapori, nuove consistenze, assolutamente inaspettate.



dal mondo

Emirates Attenti al gourmet!

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di Luisa Contri Parla sempre più italiano la proposta food & wine di Emirates, la compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti, pluripremiata con il Best Airlines Food per la qualità della sua proposta gastronomica dall’Oag, prestigioso istituto di intelligence di settore. Con l’apertura, il 1° ottobre scorso, della nuova tratta che giornalmente collega Milano Malpensa con New York, Emirates (15,5 miliardi di euro di fatturato per 34,9 milioni di passeggeri trasportati) ha messo a punto un’offerta gastronomica in cui piatti e vini italiani sono assoluti protagonisti. Ad accorgersene saranno soprattutto i clienti della prima classe e di business class, ai quali sarà proposto il ricco menu à la carte, servito sul tavolino apparecchiato con tovaglietta in lino, piatti di porcellana Royald Doulton e posate disegnate da Robert Welsh. Menu à la carte perché, per mettere il più possibile a loro agio i passeggeri,

Emirates dà loro la possibilità di ordinare una, alcune o anche tutte le portate del menu, nell’ordine e nei tempi che loro stessi decideranno, salvo nel caso di voli di breve durata, durante i quali il servizio deve rispettare tempistiche prestabilite. Sulla nuova tratta Milano-New York, per esempio, ad antipasti come caviale e mezze araba della tradizione

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dal mondo

locale, si affiancava un carpaccio di pesce spada con gamberi marinati e del vitello e tonno tonnato. I passeggeri potevano poi chiedere una zuppa di zucchine e parmigiano con crostini alle erbe o un consommé di pollo. E per proseguire un’insalata di stagione, un turnedos di manzo con burro alla senape ed erba cipollina, un petto di pollo con sedano rapa, dei ravioli al carciofo, un filetto di merluzzo e un soufflé con crema curd all’arancia dolce. E come dessert parfait-mousse al cioccolato, selezione di formaggi italiani e selezione di frutta fresca. Menu che poteva ovviamente essere abbinato a vini del Belpaese, sia rossi che bianchi, champagne, porto e ancora birre, una selezione di tè, caffè, cioccolata calda, otto distillati, quattro liquori e cioccolatini. "Si può dire", spiega ad Artù George Banks, catering manager concept development di Emirates "che su ognuna delle 134 tratte coperte, già offrivamo almeno un piatto italiano ai clienti di prima e di business class. Allo stesso modo i vini italiani sono sempre stati presenti a rotazione, tanto che nel 2012 Emirates ha servito oltre 12.000 bottiglie di vino

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italiano in prima classe e più di 75.000 in business. Sui voli della nuova tratta Milano-New York, ai piatti italiani abbiamo affidato il ruolo di veri e propri protagonisti. Avendo una clientela molto variegata quanto a provenienza e puntando ad accontentarla il più possibile, abbiamo sempre dedicato una grande attenzione ai menu proposti sia in volo che a terra, nelle nostre 29 lounge, e alle modalità di servizio. Nell’arco dell’anno prevediamo quattro cicli di menu stagionali, diversi ogni mese e facciamo in modo che il menu servito nelle lounge sia sfasato temporalmente rispetto a quello proposto in volo per evitare di offrire alla medesima clientela gli stessi piatti a terra e in quota. Prevediamo infine anche 18 menu speciali pensati per persone con esigenze alimentari particolari per motivi di salute o religiosi, ordinabli con 24 ore d’anticipo". A concepire appositamente per Emirates la proposta gastronomica è un team di chef professionisti, coordinato dai cinque regional catering managers, uno per l’Australia e il Far East, uno per l’Europa, uno per l’America del Nord, uno per l’America del Sud e l’ultimo per il Medio Oriente e l’India. L’acquisto delle materie prime e la preparazione dei piatti da servire in volo (quelli offerti nelle lounge sono realizzati da apposito personale di cucina) è affidato a centri cottura di società specializzate nel catering aeroportuale. "La selezione delle società di catering è molto attenta", racconta Banks, "e avviene tramite gare che tengono conto del livello di servizio offerto, della qualità, igiene e sicurezza alimentare garantiti scalo per scalo. I contratti di fornitura sono triennali, ma annualmente procediamo a verifiche per assicurare


il mantenimento della qualità di servizio concordata. Per fare un esempio, in questo momento il caterer utilizzato a Malpensa è la società austriaca Do&Co, la medesima che si occupa del catering del circuito della Formula Uno". Banks, che vanta 33 anni di esperienza a capo del servizio catering di British Airways e sette nella stessa posizione in Emirates, è l’uomo che ha l’ultima parola sui cibi serviti in volo, ma anche a terra, nelle lounge a disposizione dei passeggeri di prima classe, di business class e dei detentori della carta Skywards gold accompagnati ciascuno da un solo altro passeggero. Delle 29 lounge che Emirates ha realizzato in giro per il mondo, quella presso l’aeroporto di Malpensa si distingue perché è stata realizzata secondo il nuovo concept. Inaugurata a gennaio scorso, misura quasi 1.000 mq e, in un ambiente curato e illuminato da grandi finestre che danno sulle piste e sulle montagne che circondano lo scalo, mette a disposizione dei clienti Emirates un’ampia area relax con comode poltrone, riviste e tv al plasma, postazioni di lavoro con collegamento internet wifi a banda larga, bagni e docce, un’area preghiera, l’apprezzatissimo accesso diretto al punto d’imbarco e, ovviamente, un servizio ristorazione curatissimo. Il personale della lounge accoglie i passeggeri offrendo loro una coppa di champagne o della spremuta d’arancia o succo di mela, accompagnati da canape caldi e freddi. A disposizione degli ospiti c’è poi un buffet che prevede antipasti e piatti freddi, formaggi, frutta, dessert e cinque sei piatti caldi, che vengono cambiati ogni 20 minuti per far sì che siano sempre appetitosi. Artù n°59

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libri

Il “viaggio in incognito” di Valerio Visintin

Titolo: Osti sull’orlo di una crisi di nervi Macchine da caffè Autore: Valerio Massimo Visintin Editore: Terre di mezzo Anno: 2013 Pagine: 138 Prezzo: 10,00 €

Titolo: Ladri di cotolette. Storie d'amore, cinema e cucina Autori: Diego Abatantuono, Giorgio Terruzzi Editore: Mondadori Anno: 2013 Pagine: 144 Prezzo: 16,90 €

Titolo: Osterie d'Italia 2014. Sussidiario del mangiarbere all'italiana Curatori: Marco Bolasco, Eugenio Signoroni Editore: Slow Food Editore Anno: 2013 Pagine: 928 Prezzo: 22,00 €

Titolo: I menu di Misya. Le migliori ricette per tutte le occasioni Autore: Flavia Imperatore Editore: Mondadori Anno: 2013 Pagine: 168 Prezzo: 16,00 €

Strumento di riflessione Un volume scritto all’insegna della schiettezza e della sincerità. La migliore risposta alla congerie di pubblicazioni concepite all’insegna del volemose bene…Valerio Visintin, giornalista del Corriere della sera, ha dato alle stampe con Terre di Mezzo questo libro che si basa sulle proprie esperienze dirette nel mondo della ristorazione (soprattutto milanese). E all’insegna di una totale libertà di esprimere il proprio pensiero. Lo stile è infatti caratterizzato da una prosa diretta e mirata, rafforzata nella propria essenzialità formale e sostanziale dall’utilizzo del web (segnatamente, un blog: mangiare. milano.corriere.it), strumento che, per stessa ammissione di Visintin, “mi ha cambiato, mutando la mia fisionomia professionale”. Il libro è il racconto appassionato, talvolta indignato, delle esperienze dell’autore presso noti e meno noti ristoranti di Milano e Lombardia. Il quadro che ne esce è la fotografia di un mondo molto particolare, con molti vizi, parecchi difetti, ma anche capace di spiazzare il cliente (o il turista? o il critico?). Nel bene e nel male. Da leggere e da usare come strumento di riflessione.

Dietro le quinte Ciak si gira...Stop! Pausa! Inzia proprio qui il racconto di Diego Abantatuono, con la penna di Giorgio Terruzzi, nel preciso momento di una pausa, dietro le quinte di tempi lontani, ripercorrendo aneddoti, storie d'amore e di amicizia vissuti durante le riprese dei suoi film, dove il cibo diventa il leit motiv capace di legare tutti i ricordi: si racconta di una "mitica" cena organizzata da Ugo Tognazzi, di spuntini semplici ma squisiti consumati tra una pausa e l’altra sul set, di esperienze insolite in ristoranti esotici... . Si racconta il mondo di Diego Abantatuono e degli incontri con i grandi registi come Salvatores, Pupi Avati, Mazzacurati e Vanzina, di uomini che hanno condiviso con lui la stessa passione per il cinema e la convivialità. Diviso in 20 capitoli, ognuno dedicato a un film o a un attore, Ladri di Cotolette non solo narra di episodi e storie legati a quel vissuto dell'attore, sempre arricchiti dai sapori del cibo consumato, ma di alcuni piatti "memorabili" viene poi ricostruita e proposta la ricetta.

Paesi che giri, osteria che trovi... "Il mondo intorno a noi cambia, la ristorazione italiana si rinnova. Quello che è il nucleo centrale della nostra idea di tavola e l'oggetto da più di vent'anni del lavoro di questa guida - l'osteria - sta vivendo una stagione particolarmente importante (...)." Queste le prime righe dell'introduzione alla famosa Guida che ci accompagna regione per regione alla scoperta di locali promotori di piatti e materie prime di alto valore, dove i prezzi non superano mai 35 euro. 1709 le osterie citate - provate da più di 400 collaboratori in tutta Italia - e per ognuna una scheda-commento. Intramontabili i simboli che segnalano la peculiarità del locale, i "scelti per voi" e "oltre le osterie". Le "novità" rappresentano le segnalazioni ex novo. La Guida prevede inoltre un breve incipit per ogni regione, con tanto di cartina. E se dopo aver degustato non vedete l'ora di riproporre lo stesso piatto con gli stessi ingredienti, potete imbattervi nelle piccole annotazioni a piè pagina: qui sono segnalati i negozi, gli artigiani o le piccole aziende dove acquistare specialità gastronomiche locali e prodotti di qualità.

Provare per credere! "Ogni volta che scrivo una ricetta ho sempre in mente tre concetti fondamentali: deve essere facile, con ingredienti facilmente reperibili e il risultato finale deve essere garantito". "Ci piace!" verrebbe da dire utilizzando una forma forse più idonea al mondo "facebookiano". Flavia Imperatore, l'autrice del libro nonchè la stessa Misya, foodbloger che vanta più di due milioni di accessi - www.misya.info, blog classificatosi quarto nella categoria miglior sito food ai Macchianera Italian Award 2012, e food blog ufficiale di donnamoderna.com - ha creato il libro perfetto per chi ama cucinare senza "strafare", con ricette provate, fotografate passo a passo - il libro conta ben 520 immagini a colori - e con tanto di soddisfazione finale. 80 le ricette raccolte divise in menu, composti da cinque portate, dedicate a diverse occasioni (compleanni, Natale, Pasqua, festa della mamma, domenica, Carnevale, Halloween...). Come blog, anche il libro è facilmente fruibile, sintesi di un lavoro che Flavia Imperatore coltiva sapientamente da ben sei anni e che le è valso un grande successo.

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