€ 5,00
60
In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Artù n°60 - Gennaio - Febbraio 2014
www.artumagazine.it
Gusto ⦁ Tendenze ⦁ Mercati
Grandi chef in Europa: il fenomeno di Anversa e il Festival di Vila Joya Alto Adige: le vendemmie tardive di Terminum, gioiello di Cantina Tramin Milano: Baglioni, Château Monfort, Turbigo. E la riscossa della Cassinetta Niko Romito, passione ed amore per la professione finalmente premiati Dal Degan, Rottigni, Offidani, Salmoiraghi, Viglietti: storie di chef di successo
Gennaio Febbraio 2014
60
EDITORIALE n°60
Ripartire dall’Italia
Da molti anni si leggono sulla stampa internazionale considerazioni, anche acute, sui limiti della nostra percezione oggettiva da parte del mondo. In tanti, noi compresi, scriviamo incessantemente della necessitâ di fare sistema, ovvero di saper proporre in modo statutario e strutturato le nostre migliori caratteristiche (produttive, culturali, storiche, imprenditoriali) ma, soprattutto, di comunicare in modo adeguato a livello internazionale le nostre "eccellenze". Già, ma quali sono in definitiva le nostre eccellenze? La nostra cucina? La nostra ospitalità? I nostri vini? Ov-
viamente sì. Ma la retorica non serve più, l'autocelebrazione non può essere uno strumento di comunicazione vincente, soprattutto quando sono inconcludenza, individualismo, approssimazione, mancanza di spirito di squadra a fare notizia: non basta essere il paese del cibo buono e dei vini di qualità, oltretutto venduti ad un prezzo mediamente più basso che nel resto d'Europa (nonostante le scemenze televisive che, durante le feste natalizie, hanno descritto libagioni da 3.500 euro a bottiglia, come se fossero la regola: il collegamento era da Cortina, dove il problema vero era che un black
ting, rischiamo di farci scappare anche i vantaggi derivanti dall'enorme interesse verso il Made in Italy che, ormai da anni, imperversa sulla scena internazionale. Basteranno le aperture di Eataly, in Italia e nel mondo, a convincere la clientela internazionale del valore delle nostre produzioni? Ce lo auguriamo, anche se preferiremmo che la cultura della valorizzazione diventasse finalmente un fatto culturale, sociale, e non solo un facile (o difficile) business. E qui si torna al punto di partenza: senza passione e senza impianto culturale che la sorregga, il rischio è quello di non farcela. La "casta", a sua volta, ce la mette tutta per impedire che si affermi un movimento di "intrapresa" e, anziché favorire il volano, massacra le migliori intenzioni, con l'unico scopo di fare cassa e sopravvivere a se stessa. Leggendo uno degli ultimi interventi sul web di Angelo Gaja, abbiamo avuto conferma di come la Spagna (paese indicato dai nostri media come sull'orlo di un collasso, come se noi invece godessimo di sana e robusta costituzione!), si stia muovendo molto bene, dentro e fuori dei propri confini. "La Spagna è da anni all'avanguardia out micidiale aveva lasciato al buio e in Europa nei progetti di sostenibilità al freddo, come dei veri poveracci, i ambientale, sociale, economica, scrive frequentatori della località più à la Gaja. I vini godono di elevata visibilità page delle nostre Alpi). Insomma dob- internazionale, essendo esportati ovunbiamo imparare a fare sistema (e ri- que". Possiamo quindi prefigurare che dalli!) e imparare a vendere la nostra "persino" la Spagna sia nostra conqualità, ad ogni livello, smettendola di corrente sui mercati mondiali? Certo raccontare storie e imparando a de- che sì. A maggior ragione la nostra scrivere in dettaglio i nostri veri valori, sofferenza generale va analizzata con strumenti adeguati per arrivare a un che non sono davvero pochi. La nostra unicità, per esempio, può vero, effettivo rilancio della nostra imdiventare uno straordinario strumento magine, senza la quale faremo una di comunicazione (e di vendita): eppure fatica improba, con prospettive sempre ancora sembriamo non comprendere più improbabili. fino in fondo quali siano le carte da Alberto P. Schieppati giocare. Da sempre digiuni di markeArtù n°60
1
SOMMARIO n°60 Pag. 04 Pag. 06 Pag. 08 Pag. 12 Pag. 14 Pag. 18 Pag. 22 Pag. 26
Pag. 30 Pag. 34
Pag. 40 Pag. 46 Pag. 50 Pag. 52
40
Pag. 56 Pag. 62
Pag. 64
Pag. 66
Pag. 70 Pag. 78
Pag. 84
Pag. 86
52
In copertina: l’estroso chef del Radis Noir di Anversa, nel Belgio settentrionale. In segno di rispetto per le materie prime, ha ribattezzato il suo ristorante con il nome di Ingredients: la sua linea di cucina è innovativa e, grazie a una splendida cucina a vista, riesce a coinvolgere la clientela. Il servizio è a pag. 70.
Info people Il Maiale in Tavola, festa di gusto e cultura di G. Mo. Gusto in Scena, la cucina del “senza” di Elisa Facchetti Riparte Sapori Ticino, ristorazione in movimento Info brand Vinitaly, sempre più b2b di Elisa Facchetti Bollicine e abbinamenti, il vino non sta a guardare Focus wine Di Gavi in Gavi. Quando l’uva è Cortese di Giovanna Moldenhauer Carniato Europe, educare al vino di Luisa Contri Le vendemmie tardive di Gewürztraminer di Giovanna Moldenhauer Focus food Alla riscoperta dell’agnello gallese di Alberto P. Schieppati Quando il maiale si mette in mostra di Stefania Zolotti Protagonisti food Niko Romito, serio e coraggioso di Luisa Contri Château Monfort, un fatto di stile di Alberto P. Schieppati Turbigo a Milano, l’altro Naviglio gourmet di Fiorenza Auriemma La rivoluzione di Gianolli, Silvio alla Cassinetta di Alberto P. Schieppati Dal Degan, la sua è cucina materica di Luisa Contri Chantecler, pensieri gourmet di Theo Smith Corporesano Arriva l’invasione degli Ultra-Cibi di Corporesano Magazine Accueil Al Caffè Baglioni del Carlton Senato di Alberto P. Schieppati Dal mondo Chef Renaissance, il caso di Anversa di Gualtiero Spotti Festival Vila Joya, unico e irripetibile di Gualtiero Spotti Libri Cannavacciuolo e Barbieri, l’importanza della salute di Elisa Facchetti Secondo Alberto Memorabile Bianca e un Palma da scoprire di Alberto P. Schieppati Artù n°60
62
3
i
info people
Il Maiale in Tavola festa di gusto e cultura della tavola tra culatello, spalla cotta, salami, cotechini, ma anche prodotti tipi dalla Sardegna, dalla Calabria e dalla Puglia, vini della zona e torte care a Giuseppe Verdi. La manifestazione che ha celebrato la chiusura del bicentenario verdiano, ha rappresentato un mondo che si perde nel tempo e nelle nebbie tipiche della bassa parmense. È quello della tradizione norcina che, nonostante i cambiamenti climatici, l’urbanizzazione, l’abbandono delle campagne, continua a esistere grazie uomini straordinari che ne hanno fatto la storia. Fra i produttori Rino Parenti alleva maiali a Zibello dal 1977 e ha lottato per fare del Culatello un’eccellenza DOP. Si occupa della selezione delle cosce e segue tutta la catena produttiva. “Da ottobre a febbraio - racconta Rino - lavoriamo ogni anno duemila cosce pregiate di maiali provenienti dall’Emilia e, in alcuni casi, dalla Lombardia. Seguendo il ritmo della natura la carne conserva in quel periodo tutte le qualità”. Da tempo il nipote, Michael, di 17 anni lavora con lui per carpirne i segreti ed è pronto a raccoglierne il testimone. Tra i salumi in esposizione nelle vie del centro di Busseto c’era lo strolghino, l’unico saBusseto ha accolto trionfalmente Il lame, prodotto con i ritagli del culatello Maiale in Tavola, la fiera agroalimen- che si può gustare anche morbido, già tare organizzata dal Circolo Culturale dopo quindici giorni. Il suo nome deriva Alberto Pasini con il patrocinio del dal dialetto strolgare/preveder e allude Comune e la collaborazione della al fatto che, se al primo assaggio risulterà buono, buono sarà il culatello prodotto Va Pensiero Viaggi. dalla stessa coscia del suino. Era presente Gli eventi alla fine dei mesi di ottobre e agli eventi la Spalla Cotta di San Secondo, di novembre sono stati dedicati al re tanto cara a Giuseppe Verdi, che la spediva agli amici con le istruzioni per la cottura. Il contorno perfetto? Le patate per esaltarne la fragranza. Partecipavano anche la Spalla di Palasone di Sissa, stagionata e consumata cruda, il Cappello del Prete, specialità natalizia, e la Mariola, un cotechino di carni più magre e sceltissime. Preparato specialmente per la manifestazione del 26 e 27 ottobre c’era il Tastüs megacotechino a grana grossa preparato con guancialini, musetti e lingua salmistrata secondo un’antica ricetta che si usava preparare nelle case tra Parma e Piacenza. Durante la seconda edizione, tenutasi dal 30 novembre al 1 dicembre, è stato servito invece il Mon-
4
Artù n°60
signore mega cotechino da un quintale. “L’intento - spiega Afro Gotti, Presidente del Circolo Pasini -, è quello di tramandare alle prossime generazioni che ci succederanno le usanze, i costumi e soprattutto i valori, l’identità che sono stati espressi da chi ci ha preceduto. Ci sentiamo un pò come degli 'operatori culturali' di un territorio che ritrova la tradizione, la propria identità smarrita nell’epoca di internet”. In Piazza IV Novembre per tutti i visitatori le cucine hanno proposto il menù “dalla testa alla coda” con: Antipasto di salumi misti - Tagliatelle con ragù di strolghino di culatello - Piedino, mariola, costine arrosto - Sacrao, cotechino con verze - Dolce. In abbinamento è stato proposto il vino Gutturnio Doc frizzante 2012 delle Cantine Casabella di Castell’Arquato con una speciale etichetta dedicata all’evento. La Torronata, dolce della prima edizione, è stata preparata nello speciale formato di quindici metri con la tipica frolla di Busseto ripiena di mandorle, cedri canditi e cioccolato, che Verdi conobbe a Milano e volle far preparare dalla sua cuoca a Sant’Agata, Ermelinda Berni. Nel secondo
evento è stata sostituita dalla Spongata di Busseto la cui ricetta, citata in documenti del 1454 a Mantova e del 1619 a Parma, è rimasta tale sino ai nostri giorni. Preparata con pasta frolla è ripiena di frutta secca, cedro, miele, marmellata, spezie, poco vermouth. Per gli amanti dell’arte tutta la zona nel raggio di poche decine di chilometri propone itinerari culturali di grande interesse: dalla Collegiata di S. Bartolomeo al Palazzo del Monte di Pietà o la mostra antologica permanente dedicata a Guareschi a Busseto, ma anche il Museo di Storia Naturale fondato da J.B. Fourcault a Parma, i percorsi verdiani, e ancora rocche e castelli e il tratto parmense della via Francigena. La pagina Facebook https://www.facebook.com/pages/Il-Maiale-in-tavola/539542022783550 propone ricette, foto e curiosità legate alla fiera e alla storia, mentre per informazioni: Va Pensiero Viaggi – tel.0524.92272 3668754841. G.Mo.
Artù n°60
5
i
info people
Gusto in Scena, la cucina del “senza”
di Elisa Facchetti
Sotto: zuppa inglese con glutine, lattosio e zucchero free di Portinari.
Tra le tante iniziative enogastronomiche il mese di marzo regala ormai da diversi anni un appuntamento imperdibile, capace di unire alta cucina, sapori, ma anche salute e benessere. Gusto in Scena torna più "salutista" che mai, importante evento vincente ideato da Marcello Corinini che continua a stupire per la sua rivoluzione della buona tavola. Il piacere della tavola è qui unito anche al piacere di trovarsi in una location incantevole, scelta da sempre quale simbolo di eleganza e stile unico, bellezza senza tempo di elevata caratura. Stiamo parlando della città di Venezia, in particolare della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, pittoresco fondale che accoglierà,
6
Artù n°60
per la gioia dei visitatori, Gusto in Scena, giunta alla sua sesta edizione. L'appuntamento, dal 16 al 18 marzo, propone come di consueto ai professionisti del settore e appassionati gourmet una variazione sul tema "Cucinare con...cucinare senza...", leit motiv ideato da Marcello Coronini, creatore di Gusto in Scena, che ha saputo coinvolgere chef di fama internazionale a ideare ricette, attraverso la creatività, senza utilizzare un ingrediente di cui generalmente si abusa in cucina, come i grassi - tema del 2011 -, il sale tema del 2012, anno in cui l'iniziativa ha ottenuto il patrocinio del Ministero della Salute - e lo zucchero - tema del 2013 -. A pensarci tutti ingredienti di cui si potrebbe, se non farne a meno, almeno ridurne il consumo. Detto fatto! Nel 2014 alcuni importanti nomi della ristorazione di alto livello e grandi pasticceri saranno
chiamati a salire sul palco del congresso per dare vita a una nuova grande cucina, la cucina del senza, attraverso studi di piatti “senza… grassi o senza… sale o di dessert senza… zucchero”. Per una cucina più salutista, ma senza rinunciare al sapore e a piatti gourmet. La rivoluzione di Coronini vuole di fatto ridefinire il concetto di buona tavola e di alta cucina, unendo i piaceri della tavola a quelli della salute: l'evento lancia infatti l’idea di una cucina preventiva, la cucina del senza. Ed è lo stesso Coronini a svelare in anteprima alcuni segreti per dare vita
a dessert di alto livello, senza il minimo contenuto di zucchero: Aurora Mazzucchelli, chef del Ristorante Marconi di Sasso Marconi (Bo), suggerisce di usare il miele di mille fiori, trito di dattero negli impasti, oppure il succo d’agave utile anche ad aggiungere dolcezza alle confetture. Nicola Portinari, del Ristorante La Peca di Lonigo (Vi), due stelle Michelin, propone di sostituire lo zucchero con olio di cocco e sciroppo di riso. Paolo Teverini, del Ristorante "Paolo Teverini" di Bagno di Romagna - Appennino Tosco Romagnolo (Fc), utilizza ananas essiccato e frullato oppure la stevia. Fruttosio e miele, ma anche banana per Gaetano Trovato, del ristorante Arnolfo di Colle di Val d’Elsa (Si). Nella lista degli ingredienti possibili per dire "stop" allo zucchero ci sono anche il miele d’arancio e il maltitolo. "Gusto in Scena si propone di dare vita a una cucina preventiva, la cucina del senza, dove non si toglie sapore, anzi si esalta. Una cucina attenta al gusto ma soprattutto alla salute", spiega Coronini. Qualunque ingrediente si voglia utilizzare il messaggio di Marcello Coronini è chiaro: si possono trovare alternative naturali che rendono altrettanto gustosi i diversi piatti e permettono di eliminare, o almeno di limitare, il consumo di zucchero aggiunto, così come dei grassi e del sale. La sesta edizione, che vanta il patrocinio di Expo Milano 2015, Comunità Europea, Enit, Città di Venezia, riproporrà la formula del tre
eventi in uno: il congresso di alta cucina, Sopra: plumcake all'olio d'oliva Chef in Concerto, che nelle precedenti di Massari. edizioni ha visto come protagonisti grandi pasticceri quali Gino Fabbri, Ernst Knam, Iginio Massari e cuochi come Andrea Aprea, Fabio Baldassarre, Gian Nicola Colucci con lo chef indiano Santosh Jori, Riccardo De Prà, Herbert Hintner, Mara Martin, Aurora Mazzucchelli, Luca Marchini, Giancarlo Morelli, Gian Paolo Raschi, Nicola Portinari, Maurizio Serva, Paolo Teverini, Gaetano Trovato e Ilario Vinciguerra; I Magnifici Vini, banco d'assaggio con cantine italiane e internazionali; Seduzioni di Gola, rassegna di sfizi gastronomici. Ma l’appuntamento offre anche molto altro: con Gusto in Scena torna il Fuori di Gusto, speciale “fuori salone” che dal 15 al 18 marzo coinvolgerà ristoranti, bacari, le tradizionali osterie veneziane e alcuni grandi alberghi. Da non perdere!
Artù n°60
7
i
info people
Riparte Sapori Ticino Ristorazione in movimento Welsh Lamb Igp performance convincente Il Welsh Lamb Igp è stato protagonista di due incontri-degustazione organizzati da HCC, l’ente responsabile per lo sviluppo, la promozione e la distribuzione delle carni del Galles, insieme ad Amadori, azienda tra le più importanti e conosciute nel settore agroalimentare italiano. A coordinare i due momenti - a Roma, al Country Relais I Due Laghi, e a Cesenatico al Ristorante Antico Casale - è stato Luigi Taglienti, Executive Chef de Il Ristorante Trussardi Alla Scala, scelto dalla società gallese come interprete per
gallese e le peculiarità del prodotto ha spiegato Jeff Martin, responsabile dell’Ente promotore HCC in Italia -. Nonostante possa essere considerato un mercato di nicchia e, ingiustamente, in calo, quello ovino è invece un comparto dalle grande potenzialità. Questo è ancora più vero se la carne di agnello viene presentata agli operatori del settore in maniera corretta e professionale come uno chef del calibro di Luigi Taglienti è in grado di fare. Quello della destagionalizzazione e dell’utilizzo pressoché costante della carne di agnello, alimento di grande pregio e dalle qualità nutritive preziose, possono essere variabili im-
Jeff Martin anche Giampiero Carozza, Direttore Divisione Acquisti Amadori, che ha così commentato: "Amadori produce e commerMamai cializza solo prodotti di alta qualità. Grazie all'ampia rete distributiva, e grazie ad una formazione seria e costante della forza vendita, Amadori è un partner ideale anche per la distribuzione in Italia di carni rosse di alta qualità, scegliendole nei migliori luoghi del mondo in cui vengono prodotte, tra cui, ovviamente, il Galles. Vista la competenza e l’esperienza acquisita negli anni, Amadori è in grado di descrivere ed argomentare i plus di questi prodotti in maniera approfondita ai clienti".
Mamai, la stella di Alice
esaltare la qualità della carne ovina Igp. A presiedere gli eventi la forza vendita e i direttori marketing di Amadori, tra showcooking e dimostrazioni nella lavorazione della carne, nonchè la preparazione di tre piatti studiati ad hoc per esaltare la delicatezza e il sapore della carne d'agnello: Luigi Taglienti ha realizzato così il kebab all’italiana (con la coscia d’agnello), la lasagnetta di pasta fresca, crema di carciofi liguri e ragù bianco di coscia d’agnello, la costoletta di agnello arrosto, bietola e cipolla al frutto della passione e l’arrostino di spalla di agnello in doppia cottura, fagioli bianchi all’uccelletto. "Eventi come questi sono fondamentali per spiegare l’utilizzo della carne ovina
8
Artù n°60
portanti affinché aumentino le vendite. Inoltre, come abbiamo già rimarcato, quando si può avere il sostegno di uno chef valido ed entusiasta come Luigi Taglienti tutto assume ancora più valore”. A supportare la tesi di Mamai
Nuova l'insegna in via Adige 9, a Milano, che rivela nel nome di origine gaelica, Mamai, il significato di "madre". Dietro a tutto ci sono Viviana Varese e Sandra Ciciriello, le proprietarie di Alice, che hanno accompagnato i nuovi interpreti di Mamai, Stefano Sardella, come direttore, e Davide Viviani, lo chef. Aperto da qualche mese, sotto l'insegna del sole - logo identificativo di Mamai il locale strizza l'occhio al ristorante Alice e alla cucina di Viviana, anche se nei piatti vive tutta la creatività di Davide a sfondo mediterraneo: pesce, ma anche carne, con legumi, verdura
e frutta sempre all’insegna delle proposte di stagione e delle materie prime che offre il mercato, frequentato quotidianamente. Qualche esempio? Tortelli con ripieno dolce di amaretti e zucca, superspaghettino Mojito, con brodo di menta, gamberi e gelatina di rum, polipo e patate (polpo abbrustolito con purè di patata americana, gel di arancio e polvere di patate), la Pluma di maiale iberico con insalata belga e salsa di cachi; i risotti seguono l'imprimatur di Viviana, senza soffritto, e la pasta viene portata a cottura in padella. Si chiude con i dessert, come la rivisitazione del tiramisù, scomposto, o il tortino morbido al cioccolato con spuma di cioccolata calda e granita di pompelmo, preceduti da un divertente “stendino” al quale vengono appesi, come panni ad asciugare, pezzi di frutta essiccata. A pranzo si può optare per un business lunch semplificato, la sera si può scegliere tra la carta e i menu degustazione (Acqua, Terra e dello Chef). Ottime le materie prime reperite con grande attenzione: dal mercato ittico all'ortofrutticolo, dal pane di Longoni alla carne della Macelleria Cazzamali o il fois gras di Selecta, vino da Scarpiti ed Enoteca Malfasi, olio umbro e siciliano. I prezzi? In media 15 euro a pranzo, 50 a cena.
Crema & Cioccolato oltre 400 opportunità lavorative Il marchio di gelaterie in franchising Crema & Cioccolato prospetta per il 2014 oltre 400 nuove opportunità lavorative in tutta Italia. E i conti sono presto fatti visto il grande successo ottentuo in pochi anni dalla
Lorenzo Mazzilli Bmv, l'azienda friulana titolare del marchio, che nel solo 2013, grazie all'idea del franchising low cost, ha raggiunto la quota di 190 nuove affiliazioni per un totale di oltre 300 punti vendita in tutto il paese con un volume d’affari che ha raggiunto i 25 milioni di euro e una crescita del
500% in soli due anni. E per il 2014 l'obiettivo è di inaugurare 200 nuove gelaterie, per oltre 400 nuove opportunità lavorative. Con poco meno di 20 mila euro è possibile intraprendere una attività lavorativa di sicuro successo, grazie alla formula che prevede la gestione di ogni pratica ad opera della società, senza richiedere all’affiliato né royalties, né percentuali sugli incassi. "Ci siamo ispirati alle aziende produttrici di caffè che forniscono ai bar le macchine in comodato d’uso gratuito, a patto che ci si serva da quella marca - spiega Lorenzo Mazzilli, direttore operativo della catena friulana -. Allo stesso modo noi procuriamo ai titolari delle gelaterie arredi e attrezzature e loro, in cambio, utilizzano il nostro gelato in esclusiva. In questo
modo si abbattono notevolmente i costi: basti pensare che per aprire una gelateria, di norma, occorre un investimento iniziale tra i 90 e i 100 mila euro. Noi, invece, sosteniamo la spesa più grossa, investiamo nei nostri affiliati, acquistando direttamente tutti gli arredi e le attrezzature girandogliele in comodato d’uso gratuito, senza imporre royalty o percentuali sull’incasso.” Per informazioni più dettagliate su come aprire una gelateria con Crema & Cioccolato è possibile contattare gli uffici della BMV s.r.l. al numero 0431 92 453, oppure visitare il sito www.cremaecioccolato.org.
S. Pellegrino Sapori Ticino pronti al via! Casa dolce casa... . Dopo i successi delle scorse edizioni S.Pellegrino Sapori Ticino torna in Svizzera. L'ottavo appuntamento, che vedrà protagonisti i titani dell'enogastronomia ticinese e il mondo dell'hospitality svizzera, andrà in scena dal 6 aprile all'11 maggio: otto sono gli Chef di altrettanti hotel 5 stelle lusso del brand Swiss Deluxe Hotels, presenti come "super" ospiti per le ormai celebri cene a quattro mani con i principali esponenti ticinesi dell’alta cucina. 10 stelle Michelin e
S. Pellegrino Sapori Ticino, la manifestazione che ancora una volta vuole esprimere il desiderio di raccontare il meglio l'enogastronomia di qualità con la migliore tradizione alberghiera elvetica.
Costretti a imparare dagli svizzeri? 241 punti GaultMillau, questi i numeri sull'asse cartesiano che identificano i protagonisti dell'attesa edizione di S.Pellegrino Sapori Ticino: Pierre Crepaud del LeCrans, Roland Schmid del Grand Hotel Quellenhof & Spa Suites, Andrea Migliaccio del Mont Cervin Palace, Heiko Nieder del The Dolder Grand, Sandeep Bhagwat del Mandarin Oriental, Edgard Bovier del Lausanne Palace & Spa, Gregor Zimmermann, chef del Bellevue Palace e Laurent Eperon del Baur au Lac. Ai fornelli si alterneranno gli chef di altrettanti rinomati hotel ticinesi: René Nagy (Ristorante La Perla di Lugano), Andrea Bertarini (Conca Bella di Vacallo), Othmar Schlegel (Castello del Sole di Ascona), Salvatore Frequente (Eden Roc di Ascona), Frank Oerthle (Ristorante Galleria Artè al Lago di Lugano), Alessandro Fumagalli (Grand Hotel Eden di Lugano), Antonio Fallini (Villa Orselina di Orselina), Egidio Iadonisi (Swiss Diamond Hotel di Vico Morcote), Dario Ranza (Villa Principe Leopoldo di Lugano), Domenico Ruberto (Hotel Splendid Royal di Lugano). Altri eventi faranno, come di consueto, cornice a
Bisogna venire a Ginevra per vedere la gente bere una bottiglia di vino rosso a pranzo (in due)? Bisogna arrivare fin qui per vedere i ciclisti fermi al semaforo aspettando diligentemente che esca il verde? Bisogna arrivare fin qui per vedere la gente sorridere, conversare, salutarsi per le strade e nei locali? Ebbene sì. Per chi arriva da una delle città oggi socialmente più sofferenti d'Europa, Milano (checché ne dicano i tanti sostenitori ipocriti o gli ingenui senza esperienze di vita metropoliana internazionale), una volta arrivati a Ginevra - città svizzera in cui soffia aria francese - per il Symposium d'Automne dell'Academie du vin, l'impressione è, ogni volta, di paciosa serenità, di tensione positiva, di rispetto delle regole, di gente che ha ancora voglia di progettare e pensare al domani, forte di una solidità evidente e palpabile. Ovviamente i problemi ci sono anche qui e Rue de Berne è un piccolo bordello a cielo aperto, con prostitute diurne in bella mostra, alla ricerca di clienti. Ma si tratta di un fenomeno limitato, nulla rispetto al generale degrado italico... Inevitabile pensare allo stato di prostrazione generale, che sta vedendo dissolversi anche quella nostra caratteristica straordinaria, il sapersi arrangiare anche nelle situazioni più complesse e intricate. La brillantezza italiana, che tutto il mondo ci invidiava, è andata a farsi benedire, in nome di una mediocrità diffusa, combinata ad un timore ad esprimere il proprio pensiero, nella consapevolezza che farlo o non serva a nulla o possa suscitare ritorsioni pericolose: ci domina ormai una sorta di regime, apparentemente senza manganelli, ma responsabile di un clima Artù n°60
9
i
info people
Marca Village insopportabile e liberticida, figlio del dominio della politica corrotta su tutto il resto. Così, mentre guardo la tranqullilità che regna sovrana nell'unica sala dell''ENTRECÔTE COURONNÈE, un onesto locale da trenta coperti in cui pranzano senza stress manager, impiegati ed operai, accomunati dall'entusiamo per la cucina pulita e gustosa del giovane chef ginevrino, penso all'ipocrisia diffusa che domina la scena italiana, fatta di compromessi e sottomissioni al potere, occulte ed evidenti, penso alla costante e crescente ansia degli italiani, soffocati da un nuovo strapotere fiscale che, con la scusa onorevole (a parole) di combattere l'evasione, ha messo in ginocchio milioni di persone, condannate a finanziare con i loro risparmi (e i conseguenti indebitamenti) una casta egoista e scadente, oltre che dannatamente attaccata al proprio potere, siano sindaci di piccoli paesi che ministri della terza Repubblica... Eppure, nonostante quanto sopra, Sisifo continua a sperare, a credere che il genio italico, all'improvviso, si riprenda e ribalti questa situazione stagnante..... SISIFO
Marca Village: l’accoglienza che non ti aspetti Nell’ambito di Agri & Tour, la Camera di Commercio di Macerata e la Comunità Montana di San Severino Marche, col supporto tecnico di L.A.C.A.M., hanno presentato un innovativo progetto: la creazione di un villaggio rurale diffuso nell’entroterra del maceratese, coniugando natura, enogastronomia e arte. Nasce così nel 2012 Marca Village, un nuovo modo di intendere l’accoglienza nel cuore delle Marche, un progetto condiviso e voluto da 18 operatori turistici pronti a collaborare tra
10
loro al fine di garantire al viaggiatore un’offerta tale da poter vivere appieno il territorio dell’entroterra maceratese. Non un semplice soggiorno, ma un'esperienza a 360° tra natura, prodotti tipici, eventi, artigianato di qualità e tradizioni. Non definitelo villaggio turistico, qui non esistono percorsi obbligati o restrizioni di orari, qui esiste solo la volontà degli operatori, grazie a una serie di incontri che hanno visto la partecipazione delle principali realtà del tessuto socio-economico del territorio, di offrire ai propri ospiti non un comune soggiorno, ma una vera esperienza totale. Per info www.marcavillage.it
Chiusa la 7°edizione di VisiTuscia La cena di gala presso il Castello Odescalchi di Lubriano ha sancito il successo della 7° edizione di VisiTuscia, la Borsa del Turismo della Provincia di Viterbo che fin dalla sua nascita ha posto una particolare attenzione alle trasformazioni del mercato e alle esigenze della piccola e media impresa turistica locale. “La mission di VisiTuscia - ha dichiarato Vincenzo Peparello, esperto di marketing e ideatore della manifestazione -, non è tanto quello di far incontrare due operatori, quello della domanda e quello dell’offerta, ma due partner commerciali. Se il 50% dei buyer intervenuti nel tempo a questo evento, ha poi messo in programmazione il nostro territorio, significa che la formula che noi adottiamo non solo è quella giusta, ma è anche vincente . La presenza, del resto, al workshop di molti repeaters, non può che significare che qui si possono concludere affari e consolidare quelli già conclusi nelle precedenti edizioni
della manifestazione". La Tuscia, al confine con l’Umbria e la Toscana, è senza dubbio una zona dotata di un importante patrimonio artistico-culturale, capace di accogliere ogni forma di turismo e fare concorrenza ad ogni altra realtà territoriale nazionale. La prossima edizione, infatti, spiega Vincenzo Peparello, abbraccerà anche la zona dell'Italia Centrale coincidente con l'area abitata dagli antichi Etruschi.
Il San Valentino all’Hassler firmato Francesco Apreda In occasione della festa degli innamorati, Francesco Apreda, chef del ristorante Imàgo dell’hotel Hassler di Roma, ha ideato un menu d’eccezione ispirato alle sue città del cuore, ovvero ai luoghi che nel corso della sua carriera lo hanno sedotto e a cui ha dedicata ognuna delle portate di questo straordinario percorso gastronomico. Il menu di San Valentino, intitolato "Sapori di viaggio", che sarà proposto tra le suggestive atmosfere del ristorante Imàgo dell’Hassler, vuole essere un’esplorazione gourmet e un augurio dello chef Apreda a tutti gli innamorati affinché, degustando i suoi piatti, vengano coinvolti dalla stessa passione che lo ha animato nella creazione di ognuna delle sue delicatezze. Per ogni "tappa" del menu, lo chef ha identificato un "sapore" più rappresentativo della città a cui è dedicato e ha per ciascuno creato un blend di spezie che lo rappresenta ideando un gioco di contrasti che sapranno incantare gli ospiti coinvolgendoli in un gioco di seduzione e suggestione. Londra, la capitale dove Apreda ha imparato a dare struttura alla passione, lavorando presso cucine del calibro di Le Gavroche Restaurant, L’Ibla e The Green Olive, sarà la tappa di partenza dell’itinerario gourmet con il piatto: Foie gras e Scones, Blend Sweet Rain con
tè e frutta. Tokyo, la città che ospitato per tre anni lo chef ai fornelli del ristorante Cicerone dell’Imperial Hotel, dove ha imparato il rispetto per gli ingredienti e per le diverse tecniche di preparazione e di cottura, sarà rappresentata dal Polpo e Alghe, Blend Uma-Mia con zenzero, wasabi e alghe. Il gusto di Mumbai, che ha acceso in lui la passione per l’India e le sue spezie e dove lo chef riveste il ruolo di consulente presso due prestigiosi ristoranti italiani, sarà racchiuso nelle Penne all’arrabbiata, Blend Spicy Bomba-y- con peperoncino. Il risotto al cacio, Blend Pepi e Sesami con sei tipi di pepi e sei di sesami, contraddistinguerà Roma, la sua terra d’adozione che ha saputo forgiarlo e donargli infinite opportunità. Il baccalà Evo, Blend Sabbia Salata - con capperi, olive, pomodori secchi - sarà il piatto rappresentativo di Napoli, terra natale dello chef, dai sapori forti e decisi, che ha saputo dare struttura al suo carattere e imprimere la sua solarità. Il viaggio gastronomico si concluderà con un piatto dedicato a New York, città d’origine della moglie Marilena, e, in omaggio alla sua amata, Francesco Apreda servirà la Pink Cheese Cake, Blend Big Apple Sour, con frutti di bosco e macis. Inoltre l’Hassler sarà la meta ideale per una fuga d’amore invitando gli ospiti a soggiornare in hotel per poter vivere, tra ambienti raffinati e di un’eleganza senza tempo, l’atmosfera incantata della città Eterna. 165€ a persona, bevande escluse. www.hotelhasslerroma.com C.Z.
Artù n°60
Francesco Apreda
info brand
VINITALY sempre più b2b di Elisa Facchetti La 48° edizione di Vinitaly torna dal 6 al 9 aprile a Veronafiere con numerose novità. In primis le iniziative dedicate all'incontro tra domanda e offerta, servizi all'avanguardia e grande attenzione alle reali dinamiche di mercato. Numerose le novità concretizzate alla nuova edizione di Vinitaly (www.vinitaly.com), punto d'incontro per tutti gli operatori del settore, e non solo, capace di attirare ogni anno visitatori provenienti da ben 110 Paesi. L'edizione 2014 vede la nascita del nuovo salone specializzato Vinitalybio, dedicato ai vini biologici certificati, realizzato con la collaborazione di FederBio con l'obiettivo di rispondere alle richieste di una nicchia di mercato che si sta sviluppando in particolare nei Paesi del Nord Europa, Amercia del Nord ed Estremo Oriente. Da qui il passo è stato breve per specializzare ulteriormente l'offerta di Vivit, vetrina esclusiva dei vini artigianali. Sempre con l'obiettivo di potenziare gli scambi commerciali e dare maggiore visibilità agli espositori, Veronafiere ha adottato un nuovo layout del quartiere fieristico, grazie ad ampliamenti e ristrutturazioni, una politica, questa, che ben si sposa
12
Artù n°60
con la riorganizzazione degli espositori esteri, riuniti nel nuovo padiglione Vininternational. L'area prevede anche degustazioni e spazi di incontro per affari. All'International Buyers' Lounge, nella Galleria Castelvecchio tra i padiglioni 2 e 3, troveranno collocazione i consorzi di tutela e le singole aziende espositrici, nonchè i buyer esteri. Attesa, come ogni anno, il salone Sol&Agrifood, la rassegna internazionale dell'agroalimentare di qualità (www.solagrifood .com) ed Enolitech, il Salone Internazionale delle Tecniche per la Viticoltura e delle Tecnologie Olivicole ed Olearie (www.enolitech.com). Con Vinitaly cresce sempre più la specializzazione e l'offerta mirata, puntando i riflettori su temi ben precisi, scelta ampiamente motivata da Gianni Bruno, Brand manager Vinitaly: "Per la 48° edizione di Vinitaly sono stati pensati diversi aggiornamenti, ma le principali novità sono Vinitalybio e Vininternational, a cui si aggiungono le iniziative della nuova area International Buyers' Lounge, dedicata agli incontri b2b. Vinitalybio è il salone dei vini biologici certificati, organizzato in collaborazione con Federbio. Collocato nel padiglione 11 ospiterà una settantina di espositori, tra cui anche aziende estere. Diverse le iniziative previste, dagli incontri business all'enoteca, che offrirà in de-
gustazione le proposte biologiche delle cantine partecipanti a Vinitalybio ma anche di quelle presenti negli altri padiglioni di Vinitaly. Vininternational, allestito nel nuovo padiglione 'I', è il frutto della riorganizzazione del layout fieristico voluto da Veronafiere, che ha portato alla rinumerazione di alcuni padiglioni (dall'8 al 12) e ha dato la possibilità di rendere organica la presenza degli espositori esteri all'interno di uno spazio dedicato. Inoltre, con la realizzazione di Vininternational, cresce la visibilità delle aziende estere. I francesi saranno presenti in buon numero, ma è prevista la partecipazione anche di produttori dell'emisfero Sud". L'export, senza dubbio, rappresenta oggi per molte aziende vinicole italiane una fetta importante per il proprio business. Ma qual è la reale tendenza tra i produttori partecipanti a Vinitaly e quale ruolo gioca in tal senso il mercato del bio? "I numeri parlano chiaro - afferma Gianni Bruno -. L'export cresce e questo denota un grande impegno da parte delle cantine italiane di orientamento verso i mercati internazionali. Il sentimento è quindi positivo, ma è difficile fare previsioni in termini percentuali. Certo i competitor non mancano, ma ritengo sia da valutare positivamente l'aumento in valore realizzato nell'ultimo anno a fronte di una riduzione delle quantità esportate, in un contesto produttivo nazionale che non vede più pericolose eccedenze. Perseguendo questa strada l'appeal per il vino italiano può solo crescere, trainato anche dall'agroalimentare: un binomio unico al mondo che Vinitaly valorizza grazie alla concomitanza di Sol&Agrifood. In questo contesto, la produzione biologica rappresenta una nicchia, che però acquisisce sempre maggiori consensi, specie sui mercati del nord Europa e del nord America, ma anche in alcuni Paesi dell'Estremo Oriente". Troppo presto per fare bilanci sulle presenze per l'edizione 2014 di Vinitaly, anche se i numeri promettono bene, così come conferma Gianni Bruno, Brand manager Vinitaly: "Le richieste
di partecipazione a Vinitaly superano anche quest'anno le aree disponibili. Nel 2013 gli espositori sono stati 4.100, i visitatori 148.000 dei quali 53.000 da 110 Paesi; 2.700 i giornalisti accreditati. Il settore, a livello internazionale, è molto attivo, la nostra azione in termini di informazione all'estero e di incoming mirato ad operatori specializzati è stata ulteriormente potenziata. Inoltre, lo svolgimento in contemporanea di Sol&Agrifood ed Enolitech crea un'offerta completa del wine&food italiano che aumenta l'interesse dall'estero. Per questo puntiamo a riconfermare i buoni risultati degli ultimi anni". Tornano il Concorso Enologico Internazionale e il Concorso Internazionale Packaging, nonchè importanti novità per il concorso internazionale Sol d'Oro. E per supportare al meglio le nuove inziative proposte, da quest'anno il catalogo online di Vinitaly diventa interattivo e disponibile anche per smartphone e Iphone. Artù n°60
13
info brand
Bollicine e abbinamenti Il vino non sta a guardare Da Borgo dei Posseri il Sauvignon Furiel
Ala, in provincia di Trento, ha regalato ai due giovani amici Maria Marangoni e Martin Mainenti un grande piccolo sogno da realizzare: la rinascita di Borgo dei Posseri, azienda agricola rivoluzionata dai due pionieri valorizzando al massimo le caratteristiche agronomiche delle coltivazione montana, nel pieno rispetto del terriotori e quindi delle viti coltivate. Da qui la nascita di una produzione vinicola che ben è intepretata dal fiore all'occhiello di Borgo dei Posseri: il Furiel, Sauvignon Bianco, di colore paglierino e dal profumo intenso e persistente con note di fiore di sambuco, ottimo come aperitivo, grazie alla sua sapidità e freschezza, declinato anche con piatti freschi e acidi, senza dimenticare l'abbinamento con il pesce, anche se è ben consigliato con formaggi di capra. A fine settembre avviene la vendemmia, a mano, e la vinificazione procede per diraspatura e soffice pigiatura, a cui segue la fermentazione del mosto in bianco a temperatura controllata. La maturazione avviene in botti di acciaio per sette mesi per finire l’affinamento in bottiglia. Borgo dei Posseri produce anche Gewürztraminer Arliz, Müller Thurgau Quaron, Pinot Nero Paradis e un Merlot Rocol, nonchè uno spumante Brut, metodo classico Tananai.
14
Artù n°60
Tenuta Sant'Anna: nel cuore del vitigno Nel cuore della Doc Lison Pramaggiore, a Loncon di Annone Veneto, Tenuta Sant'Anna si distingue come una delle realtà vitivinicole italiane più importanti per la capacità di valorizzare le caratteristiche di ogni uva, per l'utilizzo di tecnologie avanzate, per l'attenzione alle competenze enologiche, nonchè per la peculiare attenzione alle bottiglie utilizzate per l'imbottigliamento. Parte del gruppo Le Tenute di Genagricola, holding agroalimentare del Gruppo Assicurazioni Generali nato con lo scopo di ottimizzare il servizio al cliente e adottare una gestione manageriale delle singole realtà produttive, Tenuta Sant'Anna rivela un valore aggiunto che le consente di definire e controllare l'intera filiera produttiva grazie a personale dipendente alla singola società altamente qualificato, una garanzia di genuinità non trascurabile. I terreni argillosi e impermeabili, tipici di questa zona, creano il carattere dei vini di Tenuta Sant'Anna, valorizzando nel calice morbidezza e intensità. Della linea I Goccia fanno parte il Pinot Grigio "Goccia" Venezia Doc e il Sauvignon Lison pramaggiore Doc. Il primo, grande classico del panomaroma vinicolo italiano tipico del Nord Est, presenta un colore paglierino di media intensità con profumi intensi di fiori d'acacia e frutta esotica. La totale assenza di sentori tannici rende questo vino sempre molto piacevole, ideale come aperitivo da abbinare anche a preparazioni a base di pesce,
salumi e formaggi freschi o giovani. Il Sauvignon, invece, non effettua l'innovativa vinificazione a "Goccia" come il Pinot Grigio: il vitigno aromatico pretende una breve interazione tra le bucce e i mosti in modo che gli aromi presenti nelle bucce si trasferiscano al mosto e poi al vino. Colore giallo pagliarino, al naso sprigiona profumi intensi che richiamano l'ortica, il peperone fresco, il sambuco. Anche in questo caso si rivela ottimo come aperitivo, ideale con formaggi, salumi o piatti di pesce di carattere. Della linea I Poderi il Cabernet Sauvignon P22 Venezia Doc: vitigno originario del bordolese che genera vini morbidi, di buona struttura e di grande eleganza. La particolare tecnica di vinificazione utilizzata per produrre il P22, lo rende particolarmente intenso e corposo: la vinificazione differita consente un’ottima estrazione del colore, che è vivo e intenso, con riflessi violacei che si mantengono nel tempo. Al naso sprigiona sentori netti di piccoli frutti rossi, frutta matura e marasca. Da abbinare ai salumi tipici veneti, a primi piatti ricchi di sapore e secondi a base di carne, declinabile con disinvoltura a una grande varietà di piatti.
spumanti, è una cantina del Piemonte a conquistare l'ambito riconoscimento, sfatando il mito di una terra vocata esclusivamente ai grandi rossi. A fregiarsi del titolo è stato infatti un vino innovativo, l’unico Alta Langa a residuo zero, extrabrut, Enrico Serafino Alta Langa DOC Zero 2007, un metodo classico pensato già dieci anni fa con l’obiettivo di introdurre il concetto di bollicine a tutto pasto. L'azienda, parte di Campari Wines, la società che all’interno del Gruppo Campari identifica il Polo Vini, è stata premiata per l'importante lavoro di squadra svolto durante tutta la filiera produttiva, a partire dagli enologi Lorenzo Barbero e Paolo Giacosa e dall’agronomo Giovanni Malerba. Enrico Serafino Alta Langa DOC Zero 2007, infatti, è il frutto della selezione delle uve più vocate a dare origine a vini di ottima struttura e acidità, adatti all’affinamento prolungato sui lieviti. Ottenuto da uve Pinot Nero (85%) e Chardonnay (15%), Enrico Serafino Alta Langa DOC Zero 2007 è un “dosaggio zero”, ovvero privo di liqueur d’expedition, in quanto, al termine della fermentazione in bottiglia secondo il metodo tradizionale, il dosage è stato effettuato
Enrico Serafino a tutto pasto È la cantina piemontese Enrico Serafino che quest'anno si aggiudica il Premio Speciale “Bollicine dell'anno” 2014 Gambero Rosso. Per la prima volta, dopo tanti successi tra Lombardia e Trentino Alto Adige, e dopo più di 2000 degustazioni di
Andrea Montorfano
info brand
Mimma Posca (AD Vranken-Pommery Italia), Annie Feolde (chef executive dell'Enoteca Pinchiorri) ed Elisabeth Dibiasi (Relais & Chateaux) solo mediante aggiunta del vino originale. Con oltre 60 mesi di affinamento sui lieviti, rappresenta la massima espressione di Cantina Maestra, la linea di Enrico Serafino che raggruppa i vini e gli spumanti metodo classico di alta gamma. Colore giallo paglierino brillante, perlage fine e persistente. Al naso esprime complesse ed eleganti note di fiori di tiglio, miele, frutta bianca matura, che sfumano in sentori di lievito e crosta di pane. Le note di fiori, frutta e lievito si susseguono fra loro, il finale è lungo e minerale. Nella foto anche Andrea Montorfano, Managing Director Wines del Gruppo Campari.
Vranken-Pommery tra arte e gusto Vranken-Pommery festeggia i 60 anni di Relais & Châteaux Italia partecipando, in qualità di main partner, al Gourmet Festival. L'evento, inaugurato il 16 gennaio, proporrà per tutto il 2014 i menu dei più importanti interpreti della gastronomia internazionale in 25 dimore italiane, ben 32 gli appuntamenti: ognuna di queste cene vedrà in coppia Chef e Grand Chef che prepareranno originali piatti accompagnati, ovviamente, dalla più raffinata gamma degli Champagne Pommery. Così Mimma Posca, AD Vranken-Pommery Italia,
16
Artù n°60
commenta i motivi che legano la Maison alle migliori tavole del mondo: "La ricerca delle raffinatezze ed il gusto dell’eccellenza sono valori che rendono comune l’intento di trasformare un’esperienza gastronomica in una esperienza sensoriale". Gourmet Festival è anche l'occasione per ribadire la partnership decennale di Pommery con Relais & Châteaux, testimonial d’eccellenza nel network dell’ hotellerie di lusso e dei grandi ristoranti attraverso la degustazione dei suoi Champagne. Fino a giugno 2014, inoltre, al Domaine Pommery di Reims, la nuova esposizione di arte contemporanea ospitata nelle caves di Pommery a 30 metri sotto terra, sarà possibile accedere alla mostra "Une Odyssée: 30 ans de Frac Champagne-Ardenne", evento nato dalla volontà di Vranken-Pommery per celebrare il 30 ° anniversario del Frac Champagne-Ardenne, progetto che rientra nella "Experience Pommery", l’annuale appuntamento dedicato all’arte contemporanea ospitato nelle scenografiche cantine del Domaine a Reims, in Francia. La mostra, curata da Florence Derieux, direttore del Frac Champagne-Ardenne dal 2008, presenta ben 30 opere. Per l’occasione verrà presentato, per la prima volta, il grande modello che riproduce il paesaggio dei vigneti della regione dello Champagne dell’artista Chris Burden.
Gewürztraminer Tramin abbinamenti stellati Non c'è da stupirsi se alcuni dei più importanti chef stellati hanno scelto il Gewürztraminer di Cantina Tramin per realizzare alcune delle loro ricette più sensazionali, per altro scaricabili sal sito di Cantina Tramin. Le note aromatiche del Gewürztraminer, in particolare del Nussbaumer, hanno Le Calandre
entusiasmato la creatività degli chef, dal "Sushi Tramin" al risotto allo zafferano e liquirizia, alle variazioni di fegato: gli aromi caratteristici di questo vino prendono vita in una grande varietà di comRosa Alpina binazioni, sia che si tratti di accompagnare la cucina mediterranea, i piatti asiatici, americani o scandinavi. Sono infatti una decina i ristoranti, alcuni stellati, che hanno rivelato i segreti delle ricette in cui si crea un perfetto equilibrio tra gli aromi del vino Gewürztraminer e i loro piatti. A partire dal Relais & Châteaux Rosa Alpina di San Cassiano e dello chef che ne ha creato una delle più importanti cucine stellate delle Dolomiti, Norbert Niederkofler: " in realtà non abbiamo avuto bisogno di riflettere a lungo: per quanto ci riguarda, la combinazione più brillante di Gewürztraminer Nussbaumer è con una variazione
su fegato di pollame e d'anatra. Semplicemente imbattibile per la moderata acidità, l’aromaticità e la mineralità ben strutturata". Entusiasmo confermato anche da Massimiliano Alajmo, tre stelle per il Ristorante Le Calandre vicino Padova, che rivela la grande personalità di questo vino, vero e proprio caleidoscopio di profumi. da abbinare a un risotto allo zafferano con un tocco di liquirizia. Lo chef Yashimi Hidaka, che nel suo ristorante Acqua Pazza a Tokyo fonde i princìpi della cucina italiana con i migliori ingredienti giapponesi, afferma: "il Gewürztraminer Nussbaumer offre un magnifico accompagnamento con i crostacei, che richiedono un vino di struttura e corpo. I suoi aromi di lychee, arancio e chiodi di garofano bilanciano perfettamente quelli che salgono dal piatto". Combinazione perfetta anche per Masaharu Mori-
moto, creatore del ristorante omonimo a New York: "Il Gewürztraminer si sposa a perfezione con la cucina asiatica, al punto che sembra progettato avendo una specifica gamma di sapori in mente. Con i piatti asiatici, il vino dovrebbe offrire un aspetto floreale, pur non essendo troppo bruscamente guidato da acidità. Il Nussbaumer Gewürztraminer è semplicemente l'ideale in questo senso. Abbiamo creato un Sashimi Tramin, con una speciale gamma di frutti di mare, che incorpora sapori che più acutamente completano quelle del vino".
focus
Di Gavi in Gavi Quando l’uva è Cortese
18
Artù n°60
di Giovanna Moldenhauer Il territorio di Gavi, avamposto dell’antica repubblica genovese sino dal 1814, si trova in provincia d’Alessandria a sud est del Piemonte. Qui, la vocazione vitivinicola della zona, fa capo a una varietà simbolo: il Gavi. L’occasione per scoprire, conoscere il vino da uve Cortese è stata quella di un percorso che ha portato a un incontro con alcuni produttori, all’assaggio di millesimi con diverse tipologie di vinificazione, alla visita del territorio. Il viaggio ha permesso di approfondire la storia del vitigno, la conoscenza della denominazione, la sua crescita qualitativa e produttiva. Ma andiamo con ordine. La vocazione vitivinicola della zona, della sua varietà simbolo il Gavi ha riscontri in un documento del 972, lettere del 1659, 1688, 1799, che attestano la presenza di vigneti nel territorio; tuttavia è stato solo nell’800 che l’aristocrazia ligure lo elesse come vino di corte per il perfetto abbinamento con la propria tradizione gastronomica costituita soprattutto da pesce e verdure. Le nobili famiglie genovesi, proprietarie di tenute di campagna sul territorio mantenute anche dopo il dominio da parte del Re di Sardegna Vittorio Emanuele I, lo preferirono ad altri vini piemontesi rossi e ne diffusero la coltivazione. In quegli anni si realizzarono, in-
fatti, grandi impianti in diverse proprietà terriere, di cui Demaria e Leardi ne scrissero in un trattato nel 1870, definendo il vitigno in oggetto particolarmente adatto alla spumantizzazione, tanto da varcare i confini nazionali raggiungendo il successo nei mercati di Germania, Svizzera, Sud America creando, in questo modo, le basi del successo attuale dell’export. Il bianco Gavi o Cortese di Gavi, come recita il disciplinare, Doc dal 1974, ha ottenuto il riconoscimento della Docg nel 1998, modificata per le tipologie riserva fermo e riserva spumante metodo classico nel 2010. Allo scopo di valorizzare la denominazione è stato fondato nel corso del 1993 il Consorzio di Tutela che annovera al momento 190 produttori. I disciplinari della Doc e della Docg hanno portato le aziende ad avere rese più basse, all’utilizzo di tecniche a basso impatto ambientale, all’esaltazione delle qualità, dell’unicità del vitigno. Si può senza dubbio affermare che il vino del territorio, bianco tra i più rappresentativi del Piemonte, può essere comparato al Barolo per superficie vitata, numero di comuni di produzione, finezza ed eleganza. La denominazione è stata la prima in Italia ad avere effettuato nel 2002 la revisione dell’albo dei vigneti, in seguito alla quale è stato possibile certificare che nelle vigne della zona sono coltivate solo viti di Cortese da cui produrre Gavi in purezza. Il territorio collinare, con altopiani di terre rosse alternate alle arenarie e alle marne argillose, gode di un vento di matrice marina, data la vicinanza con la costa ligure, che influenza il microclima donando al Gavi il tipico sentore di mandorla che negli anni, nei vini più evoluti, lascia spazio a toni minerali di grande fascino. Le altitudini dei vigneti, tra i 150 e i 450 m s.l.m., determinano una sensibile escursione termica tra il giorno e la notte che favorisce i profumi eleganti di frutta e fiori. Nel 1996 è stato istituito il progetto tecnico di selezione clonale del vitigno partendo dal territorio per avvalorarne il patrimonio autoctono. Dopo avere individuato i vini più inteArtù n°60
19
focus
arrivare nel 2013 a quasi 1.500 con una crescita molto veloce, di circa il 30% in più. È bene ricordare che dal 2003 al 2006 c’è stata una tendenza, da parte dei consumatori, di maggiore preferenza per i vini rossi piemontesi. La versatilità della varietà, le sue diverse possibilità di vinificazione, espressione, il non essere soggetto alle mode, l’abbinabilità a diverse preparazioni gastronomiche, ha permesso ai produttori di superare il momento particolarmente difficile senza eccessivi problemi. I mercati esteri, che per le aziende vitivinicole del Gavi coprono attualmente ressanti con una serie d’indagini tecni- il 75% della produzione, sono rappreche, il Consorzio, in collaborazione con sentati da Inghilterra, Germania, Svizl’Università di Torino, ne ha focalizzato zera, Malta, Stati Uniti, Giappone, per i vigneti d’origine: la ricerca ha portato citare i più significativi. In Italia la tia determinare i cloni con l’utilizzo, da pologia del vino è conosciuta sopratuna decina d’anni, della nuova selezione tutto nelle sue annate più recenti. negli impianti recenti. È stata anche Il nostro percorso si è concluso con fatta la scelta di cloni che non fossero la visita al borgo di Gavi, in festa per troppo produttivi, che avessero un grap- i vent’anni del Consorzio, dove nelle polo non eccessivamente grande, quindi corti degli antichi palazzi, aperti per poco sensibile ai marciumi, con ottime l’occasione, erano presenti i produttori caratteristiche qualitative. Lo sviluppo del Consorzio. In abbinamento a questi dell’area vitata della denominazione è vini numerose prelibatezze gastronostato rilevante, dato che gli ettari vitati miche degli undici comuni della denoa Cortese erano 100 nel 1974, circa minazione. 900/1000 alla fine degli anni ’90, per Il nostro viaggio lungo le strade del territorio ci ha fatto vedere bellissimi scorci di paesaggi file di ordinati vigneti che modellano i profili delle colline, boschi e prati che fanno da contorno a borghi, ville antiche testimonianze del passato ricco di storia del territorio. Ci ha dato altresì l’opportunità di conoscere e apprezzare il vino Gavi o Cortese di Gavi, grande bianco piemontese nelle sue espressioni più immediate e in quelle evolute. Le degustazioni La visita ad alcune cantine è iniziata dalla frazione Rovereto, cuore della zona storica del Gavi, dove si trova l’azienda Fontanassa, fondata nel 1988 sulla tradizione e il rispetto della natura. Dai terreni argillosi con pietre e sabbie ferrose sono ottenuti tre diversi tipi di Cortese che abbiamo assaggiato: Cà Adua 2012 Gavi classico, Fontanassa 2012 selezione, entrambi vinificati e affinati in ac-
20
Artù n°60
ciaio. L’espressione più longeva è stata rappresentata dal Vigna du Citù 2008 che affina in carati di legno. L’età dei vigneti, che varia dai 10 anni del Cà Adua ai 18 del Vigna du Citù, conferisce ai vini complessità, eleganza nei profumi, equilibrio e armonia nella beva. In abbinamento è stata servita la tipica focaccia gaviese stirata, oliata e salata, testimonianza dello stretto legame nel passato con la repubblica genovese. Il nostro percorso è proseguito con la visita, a breve distanza, di La Giustiniana di proprietà della famiglia Lombardini. La Tenuta, composta da una villa storica
al tempo stesso, perfetto con ostriche, caviale, oltre che con preparazioni a base di pesce. Abbiamo assaggiato le due versioni 2012 preferendo il Lugarara per la piacevolezza olfattiva, la complessità, la beva fresca e fruttata. In seguito abbiamo visitato Broglia Tenuta La Meirana (di proprietà del Presidente del Consorzio), azienda di importanti dimensioni con 63
neoclassica circondata da un parco e da 40 ettari di vigneti, ha una cantina con tecnologia d’avanguardia e un’altra, seicentesca restaurata di recente, dove avviene la fermentazione e la conservazione dello spumante metodo classico, le micro vinificazioni sperimentali, gli affinamenti dei vini che richiedono l'impiego di piccole botti in legno di rovere, di tini in legno di rovere da 20 ettolitri. La presenza nei vigneti di marne con forti presenze di sabbie sciolte in un caso, di terre con ghiaie fluviali e argille ferretizzate nell’altro, dà origine a due cru, espressioni differenti del vitigno cortese. Il Lugarara è un Gavi particolarmente secco, acidulo con retrogusto mandorlato, adatto non solo agli abbinamenti con pesci, crostacei, ma anche con antipasti, fritti e funghi. Il Montessora è un vino ricchissimo di profumi e sfumature, morbido e secco
ettari vitati a Cortese su terreni calcarei - marnosi e argillo - marnosi. I diversi stili di vinificazione, curati dall’enologo Donato Lanati, prevedono un metodo classico e un metodo Martinotti da uve Cortese, quattro etichette di Gavi in versione ferma. Le più note sono La Meirana, fresco, fruttato, floreale, con una bella mineralità e sapidità nel suo millesimo 2012 e il cru Bruno Broglia ottenuto da vigneti degli anni ‘53, ‘55. La resa bassissima, dai 30 ai 40 quintali per ettaro, la vinificazione in acciaio, la permanenza per un anno sulle fecce chiare, consente di ottenere un vino ricco di struttura, d’acidità, di grande longevità, delizioso al naso, convincente e persistente nella degustazione. L’assaggio delle annate 2012 e 2007 ha messo in risalto il grande potenziale d’invecchiamento di questo vino. Artù n°60
21
focus
Carniato Europe Educare al VINO Modena, magari tradizionale, o con del parmigiano-reggiano, invece che con le classiche salse a base di uova o di panna, parte del merito Carniato Europe lo rivendica a sé. Attiva sul mercato dagli anni Cinquanta, questa società specializzata nella distribuzione di prodotti tipici italiani nel canale horeca, dal 1987 - anno in cui è stata rilevata dal Gruppo Italiano Vini (65% delle quote), insieme a Gruppo Italiano Salumi (20%) e a Cantine Riunite & Civ e Cevico (col 7,5% ciascuna) - ha attuato una strategia incentrata ancor più decisamente sull’educazione alla qualità degli operatori del mondo horeca in territorio francese e sulla valorizzazione delle specialità tipiche nostrane attraverso una coerente politica di pricing. Ha inoltre puntato sull’efficienza logistica che la porta oggi a evadere gli ordini in 24 ore in tutto il paese nel 95% dei casi. Una strategia vincente, che ha consentito a Carniato Europe di svilupparsi, anche per linee esterne (ha acquisito concorrenti come di Luisa Contri Molinari, Zinelli e Poletti a Parigi, Turcovich Le strategie della grande società di in Alsazia, piccole reti a Bordeaux e Mardistribuzione (al 65% di proprietà siglia e Vinitalia, il distributore francese del Gruppo Italiano Vini) passano at- dei vini Bolla), arrivando a superare i traverso un sistema educativo che 60 milioni di euro di fatturato nel 2013, punta innanzitutto sulla professionalità avvalendosi di 15 mila mq di magazzini degli operatori. Grazie all’efficienza (tre in Francia: a Bonneuil s/Marne e a logistica, Carniato rappresenta dunque Rungis, nell’area di Parigi, e a Mulhouse un ulteriore tassello della diffusione in Alsazia, e due in Italia: i centri di del Made in Italy in Francia e in raccolta delle merci di Milano e AnzolaBo), dando lavoro a 170 dipendenti, tutto il continente. dei quali 45 agenti di vendita, e potendo Se pizzerie e ristoranti italiani a Parigi e contare su 8 mila clienti (per l’80% pizin tutta la Francia (ma anche bistrot e ri- zerie, per il 15% di ristoranti e per il 5% storanti francesi) oggi utilizzano materie negozi di specialità alimentari). Clienti prime autenticamente italiane di qualità verso i quali nel 2013 Carniato Europe media, medio-alta e alta, non ingredienti ha effettuato 85 mila consegne di vini Italian sounding… Se ora è l’alta ristora- (4,8 milioni le bottiglie vendute, che zione francese a copiare quella italiana hanno contribuito per il 32% alla forma(e non viceversa) proponendo sempre zione del fatturato aziendale), di formaggi più spesso piatti dal sapore pulito, rifiniti (mille tonnellate, fra cui spiccano 5 con un filo d’olio evo di qualità o con mila forme di parmigiano-reggiano, per qualche goccia d’aceto balsamico di il 16% del giro d’affari), di prosciutti e
22
Artù n°60
salumi (altre mille tonnellate, di cui un terzo di prosciutti di Parma, per il 13% del fatturato), di pasta fresca (750 tonnellate prodotte con materie prime italiane nel pastificio annesso al magazzino di Bonneuil s/Marne, per il 7% del giro d’affari) e di specialità alimentari, di gastronomia e d’accessori per la tavola (per il restante 32% del fatturato). Un’accelerazione al trend di crescita di Carniato Europe, che non s’è arrestato negli ultimi 5 anni nonostante la crisi, la sta dando il cash & carry dell’azienda all’interno dei mercati generali di Rungis, che a luglio scorso si è trasferito in locali più grandi: ora si sviluppa su 1.600 mq (erano 500 mq in precedenza). La location di Rungis costituisce d’altronde una vetrina invidiabile, non soltanto perché sono ben 22 mila l’anno i clienti abituali che li frequentano e 8,5 i miliardi di euro fatturati annualmente dai 1.200 operatori all’ingrosso che vi espongono le loro merci. Ma anche perché il trasferimento del cash & carry Carniato Europe nel nuovo padiglione F5C, lungo la rue de la Gastronomie (l’ex rue de Normandie) consentirà al negozio di beneficiare del maggior traffico che verrà generato dalla nuova Città della gastronomia, il progetto, promosso dal ministero dell’Agricol-
Artù n°60
23
focus
tura francese, inteso a trasformare in un’occasione di crescita dell’economia locale il riconoscimento della gastronomia francese come patrimonio mondiale dell’umanità da parte dell’Unesco. La Città della gastronomia, la cui inaugurazione è prevista nel 2019, sorgerà proprio in prossimità di rue de la Gastronomie, su un’area i 7,5 ettari, al di fuori del perimetro dei mercati di Rungis, che di ettari ne occupa ben 234. "I maggiori spazi del nuovo cash & carry - spiega ad Artù Bruno Colucci, consigliere con delega agli acquisti, al marketing e alla logistica di Carniato Europe -, ci hanno permesso sia d’ampliare di 300 referenze l’assortimento, che oggi si compone di 2.500 articoli, sia di migliorarne la presentazione. E la risposta della clientela è stata immediata, tanto che nei primi 4 mesi dall’ampliamento le vendite viaggiavano già sul +15%. Contiamo quindi di chiudere il 2014 con un fatturato di 8 milioni di euro, partendo da meno di 6 milioni nel 2012. Il nostro punto di forza è indubbiamente l’esperienza maturata in tutti questi anni, che ci ha consentito di confezionare un’offerta composta da prodotti tutti altamente vendibili e di cui la clientela può saggiare la qualità nell’area degustazione allestita all’ingresso del cash, che manteniamo
24
Artù n°60
aggiornata aggiungendo via via specialità che il mercato è pronto a recepire. La burrata, per esempio, una new entry che ha avuto un successo straordinario nel 2013, totalizzando 200 tonnellate di vendite, o la pasta di Gragnano, che innalza ulteriormente il livello qualitativo della pasta di semola che proponiamoa ai ristoranti parigini". Con grande savoir faire, d’altronde, il personale del negozio si dedica ad assistere i clienti che vi fanno la spesa, accompagnandoli in un percorso che, per gradi, li porterà ad acquistare prodotti italiani di qualità sempre maggiore: dall’entry level rappresentato per esempio da un aceto balsamico che noi italiani consideriamo mass market, a uno di Modena Igp, a quello di Modena tradizionale Dop.
focus
Le vendemmie tardive di
Gew체rztraminer 26
Art첫 n째60
cima Roen
●
Sella
●
Termeno
●
di Giovanna Moldenhauer Alla fine del mese di novembre abbiamo visitato, in compagnia dell’enologo di cantina Tramin, Willi Stürz, due vigneti collinari di Gewürztraminer dove le uve erano ancora in pianta. Il paesaggio che ci circondava aveva una sinfonia di colori, nelle sfumature del ruggine, dati dall’autunno inoltrato. Le etichette Terminum e Roen della cantina Tramin sono ottenute grazie a particolari condizioni di microclima e tecniche di viticoltura.
Le due vigne sono situate entrambe a Sella, località situata sopra l’abitato di Termeno, a un’altitudine compresa fra i 400 e i 500 metri s.l.m. ai piedi della catena montuosa che circonda la cima Roen. Il terreno del Terminum è di conformazione ghiaiosa e argillosa con uno strato calcareo da 20 a 100 cm ed un sottosuolo porfirico. La vigna pur essendo in collina, non gode del vento del Lago di Garda, perché situata in una piccola conca, ma trae beneficio dalla corrente che scende dalla vicina montagna che crea ventilazione verso il basso senza ristagnare. Questi fattori sono determinanti perché aiutano l’evoluzione della muffa nobile, la botrytis cinerea, che in annate eccezionali come il 1998 avvolge completamente le uve. L’impianto composto da due appezzamenti con una superficie totale di un ettaro e venti è solitamente vendemmiato tra la fine del mese di novembre e l’inizio di dicembre quando c’è la giusta concentrazione zuccherina da un’equipe molto competente che seleziona solo gli acini botritizzati, non troppo secchi, i grappoli interi ritenuti idonei. Qualche volta si sviluppano sulle uve delle muffe diverse che determinano la scelta di non raccoglierle. La resa è bassa con una media di 19 ettolitri per ettaro. Il nostro percorso ha previsto prima la visita all’impianto del Terminum dove i grappoli avevano assunto, con il passare dei mesi, una tonalità Artù n°60
27
focus
centemente un vigneto di Petit Manseng. Stiamo valutando se usarlo in piccole quantità per l’uvaggio del Roen, in sostituzione del Riesling, per le sue caratteristiche di alta acidità e molti zuccheri. Le prove di vinificazione con il nuovo abbinamento sono state soddisfacenti”. I grappoli che si presentavano alla nostra vista di una tonalità solo leggermente più scura del consueto, sono lasciati in vigna dove è praticato, a metà ottobre, il più scura, violacea e dove la muffa taglio del tralcio durante la potatura lanobile li aveva solo in parte coperti. Le sciando solo sulla pianta il capo a frutto foglie erano quasi tutte sul suolo. Stürz per la prossima annata. Le uve utilizzate dopo avere constatato lo stato delle uve per la vendemmia tardiva sono lasciate e staccato alcuni acini ha affermato: in vigna fino al termine di novembre, “Se facessimo adesso una pressatura inizio dicembre, quando hanno raggiunto sono convinto che avremmo oltre 35 un buon appassimento e sono poco atgrammi/litro di zuccheri. Secondo me i taccate dalla muffa nobile. In questo vivalori di concentrazione che superano i gneto il passaggio dell’Ora, il vento pro32, 33 grammi sono ottimi”. veniente da sud, favorisce la disidrataLa nostra visita è proseguita al vigneto zione. “Questa tipologia di appassimento del Roen situato a breve distanza nello – sottolinea Stürz – non so fino a che stesso comune. Su un terreno ghiaioso, punto si possa definire naturale o artificiale calcareo e argilloso sono impiantate so- dato che viene fatta nella natura”. La prattutto viti di Gewürztraminer (utilizzato vendemmia, anche per questo impianto, in genere tra il 90 e 100%) con un è eseguita da persone esperte che selepiccola percentuale di Riesling. L’enologo zionano con grande attenzione i grappoli ha poi affermato “Abbiamo piantato re- appassiti togliendo le parti da non usare. Per questo vino, la resa della raccolta 2011, superiore a quella del Terminum, è stata di 25 ettolitri per ettaro. Tramin, realtà cooperativa, paga ai conferitori di questi due vigneti un prezzo fisso per le uve considerati i fattori decisamente variabili costituiti dalle annate, dalla bassa resa e dalla prolungata permanenza in vigna. L’uva del Terminum, quando arriva in cantina dopo dodici ore di macerazione, viene pressata delicatamente a 1,8 bar. La fermentazione e la maturazione avvengono solo in barrique di rovere francese per circa 12 mesi. Per il Roen, invece, viene effettuata una macerazione con le bucce e i raspi per poco più di una notte. La pressatura è sequenziale, con pochissima pressione a temperatura bassissima. L’elevazione e la maturazione del vino avvengono in piccole barrique di legno francese. Ritornati in cantina abbiamo degustato il Roen 2011 e quattro annate del Terminum. Il Roen 2011 con un residuo zuccherino di 185 grammi/litro, aveva nel
28
Artù n°60
calice un colore giallo dorato carico. Il naso proponeva frutta esotica, secca, scorze di agrumi canditi, rose appassite, zenzero e vaniglia. In bocca era vellutato, dolce, con un lungo ritorno di spezie. La prima annata degustata del Terminum è stata quella del 2011. La muffa nobile aveva ricoperto circa per il 70% i grappoli, rendendo necessario durante la vinificazione l’uso di una percentuale di solforosa leggermente superiore alla media. Il vino con un residuo zuccherino di 240 grammi/litro aveva un colore giallo dorato intenso, profumi affascinanti di miele, cannella, frutta secca, agrumi canditi, lievi note floreali. Al palato era dolce, morbido ma non stucchevole, con una lieve nota minerale, lungo con un finale emozionante. Il millesimo successivo nel calice è stato il 2009. La botrite, superiore a quella del 2011 ha portato a un residuo di 210 grammi/litro. I profumi, diversi dal precedente, viravano su note minerali, agrumi canditi, zenzero, rose secche. La beva era dolce, fresca, elegante, con un finale estremamente persistente. Un vino indimenticabile. Il 2007, frutto di un’annata abbastanza calda, ha portato una percentuale di muffa nobile del 90% e un residuo zuccherino a 247 grammi/litro. Lo spettro dei profumi era più evoluto, deciso di frutta sciroppata, candita, zafferano, cannella. In bocca era dolce, sapido, con una buona acidità, denso, con una persistenza lunghissima. Il nostro percorso degustativo si è chiuso con il 2003. L’annata ricordata per le sue forte escursioni termiche ha comportato pochissima muffa nobile e un residuo zuccherino inferiore, rispetto ad altri millesimi, di 185 grammi/litro. Il colore nel calice sfumava nelle tonalità di un giallo oro meno brillante. I profumi erano quelli più tipici del Gewürztraminer, di rose secche. Di minor concentrazione, era comunque dolce, morbido, con un finale lungo e piacevole. La visita ai vigneti è stata estremamente interessante e insolita con la nostra guida d’eccezione. La successiva verticale ha permesso di approfondire la conoscenza in particolare del Terminum che ogni anno ottiene alti punteggi e riconoscimenti per la sua indubbia eccellenza. Artù n°60
29
focus
Alla riscoperta
dell’agnello
gallese 30
Artù n°60
Una scorribanda senza tregua: una quarantotto ore no-stop nelle campagne Un press tour, alla fine dello scorso del Galles, fra gli orizzonti verdissimi di anno, ha consentito a un gruppo di una terra unica e la calda (nonostante giornalisti internazionali di compren- il clima) accoglienza di un popolo stradere i veri motivi che rendono il ordinario per stile, compostezza, ospitalità. Welsh Lamb un prodotto davvero Potremmo sintetizzare in queste poche speciale. Visite ai migliori allevamenti parole l’esperienza vissuta da un gruppo e degustazioni in paludati ristoranti, di giornalisti e opinion leader invitati gestiti da chef di fama internazionale, dal Meat Promotion Wales (HCC in galinsieme ad una esperienza memora- lese, ovvero Hybu Cig Cymru) a conoscere bile nella scuola di cucina di Angela quel territorio, ma soprattutto, ad apGray, hanno confermato il valore prezzare la qualità delle carni di agnello gustativo e organolettico di un agnel- allevate magistralmente su quei tappeti erbosi. Accompagnati da “guide” d’eclo senza uguali. cezione (dirigenti e pr dell’HCC – Golley Slater, Katie Brandon, Caitlin Allen, Laura Dodds, Deanna Leven, Pip Gill, solo per citare alcuni nomi, dedicati in toto ai giornalisti), si è così potuti entrare nel vivo dell’argomento Welsh Lamb. Già Jeff Martin, il guru di British Meat (gallese di nascita e ormai milanese di adozione), aveva speso molto tempo per diffondere e valorizzare le qualità dell’agnello gallese, “educando” la stampa alimentare e gastronomica ad apprezzarne le qualità. E l’obiettivo di Jeff, in un certo senso, era stato già raggiunto ampiamente… . Il press tour è stato dunque una riconferma di quanto già a suo tempo metabolizzato, questa volta avvalorato anche da esperienze sul campo: allevamenti condotti da generazioni di agricoltori, ristoranti prestigiosi, scuole di cucina di alto profilo, che hanno rafforzato nei giornalisti la percezione positiva di queste carni succulente e versatili nel loro utilizzo. La “base” del gruppo, fissata di Alberto P. Schieppati
Artù n°60
31
focus
presso il Llantsantffraed Court Hotel, un fascinoso piccolo relais nella campagna del Monmoutshire (con una strepitosa offerta di ristorazione realmente a km zero) ha consentito di muoversi attraverso strade di campagna che hanno strategicamente condotto ai punti clou del nostro itinerario gallese. Innanzitutto, la visita alla fattoria Gelli Ben Uchel di Hirwaun, dove abbiamo incontrato l’allevatore Alun Davies e la sua fa-
32
Artù n°60
miglia, con cui è nato un dialogo incalzante su allevamenti, agricoltura e alimentazione dell’agnello gallese IGP (la qualifica, che ne garantisce la tracciabilità, è stata ottenuta nel 2013). Una sorta di conferenza stampa, in cui si è messo un accento particolare sulla particolare tipologia dell’ambiente naturale, che contribuisce - grazie al clima umido e temperato della regione - a rendere uniche le caratteristiche qualitative dei pascoli. La visita si è poi sviluppata a stretto contatto con gli agnelli (oltre 750), immersi in un panorama mozzafiato. Successivamente, lasciata la calda accoglienza della famiglia Davies la serata si è trasformata in un’esperienza gourmet presso The Walnut Tree, un famoso ristorante di Abergavenny, il cui chef stellato Staun Hill ha predisposto una cena tradizionale gallese di straor-
dinario impatto gustativo, con il Welsh Lamb protagonista assoluto. L’indomani, l’educational ha raggiunto una meta di rilievo, tanto fascinosa quanto insolita: il vigneto Llanerch Vineyard, nelle campagne di South Gamorgan: qui opera una scuola di cucina molto seria, condotta da Angela Gray, un personaggio mediatico e un volto televisivo molto noto in UK, che ha coinvolto i giornalisti mettendoli alla prova come chef-esecutori di piatti a base di agnello (e non solo). I risultati sono stati sorprendenti, grazie soprattutto alla professionalità di Angela e del suo staff, alla qualità delle carni e - last but not least - alla creatività degli chef-cronisti (meglio di quanto pensassi!). Dopo una simpatica quanto istruttiva esperienza di “foraggiamento” nei boschi e nelle alture di Nantyderry, condotta da un personaggio di grande prepara-
zione in materia di erbe e botanica, l’indomani ha visto all’opera lo chef Matt Tebbutt, chef patron del ristorante Foxhunter, altra meta gourmet assolutamente non trascurabile per bellezza del luogo e autenticità dell’offerta di ristorazione. Matt ha rilevato il locale nel 2001 e vi ha trasfuso tutta la sua esperienza dopo anni di esperienza presso chef del calibro di Marco Pierre White e Sally Clarke. Matt crea i suoi piatti utilizzando ingredienti locali freschissimi e stagionali, offrendo un’esperienza gastronomica di altissimo livello. Nel caso nostro, i piatti con l’agnello come ingrediente principale, hanno dimostrato una volta di più come l’agnello gallese sia una materia prima di deciso appeal nella ristorazione d’autore.
Artù n°60
33
focus
Quando il
maiale si mette in mostra 34
Art첫 n째60
di Stefania Zolotti Spesso capita che le riprese di un backstage appassionino tanto quanto il film stesso, a volte anche di più. L'importante è non guardarle mai prima, per evitare che svanisca la sorpresa. È esattamente quello che succede al MUSA, il Museo della Salumeria italiana voluto e progettato dall'azienda Villani accanto alla sua sede di Castelnuovo Rangone, inevitabilmente nel modenese, arteria centrale di una cultura produttiva antichissima. Pensiamo per qualche secondo a un maiale: immediatamente il nostro cervello avrà visualizzato l'immagine dell'animale e dopo pochi secondi qualche suo derivato, magari già sul piatto. Da capo a piedi dell'Italia forse non esiste un ristorante che non offra in carta un “antipasto italiano”, certamente declinato nelle sue diverse espressioni geografiche. Una cosa però è certa: prosciutto crudo, salame e coppa coprono un buon 50% degli immancabili che vengono serviti in quell'antipasto, creando il ponte indiscusso tra mondo della salumeria e mondo della ristorazione. È il credo di Giuseppe Villani, convinto che il prosciutto crudo stagionato rappresenti l'emblema di un intero Paese. Ma la vera rivelazione degli ultimi anni è stata la mortadella, dopo che i maiali sono stati sottoposti ad una vincente remise en forme suggerita dai settori ricerca e sviluppo delle aziende salumiere di livello per essere oggi più competitivi a tavola e togliere un po' di polvere dall'immaginario del pasto grasso per eccellenza. Sia chiaro: non stiamo parlando di un prodotto magro, ma questo non vuol dire che non sia un prodotto sano. Il MUSA aiuta anche in questo, non c’è dubbio: a illustrare l’evoluzione di un alimento che nasce povero e fortunatamente tale rimane, nella sua accezione migliore di genuinità come dimostrano le produzioni di alta gamma. Il maiale è molto più controllato, questo è il fatto. Ma soprattutto il maiale è dima-
grito (i grassi si sono ridotti del 3-4%), è meno salato (il calo è pari all'11% e la mortadella ne contiene oggi meno del 2%) e ha perfezionato la masticabilità (lo sviluppo di una diversa tenerezza risponde a consumatori trasversali affinché anche anziani e bambini non si sentano esclusi). Tutti i meno che si sommano in questo profilo moderno dei salumi diventano inevitabilmente un plus. Le aspettative del MUSA sono alte, fosse solo perché hanno tra le mani un protagonista che non si è mai indebolito nei secoli e che sta dimostrando anche all'alta risto-
Artù n°60
35
focus
razione quanto sia versatile nelle sue molteplici identità. La maestria di uno chef si incontra su due possibili strade: utilizzando i salumi nella loro integrità, senza violarne la forma e rispettandone le attitudini oppure lavorandoli come farebbe un artista, trasformarli in altro, fonderne la grassezza con risultati leggeri. Dentro il MUSA c'è tutta la voglia di restituire al maiale una sua memoria archeologica, a cominciare da quelle famiglie di salumi che sono illustrate e spiegate all'ingresso: la sensazione che arriva è quella di essere invitati a cena a casa di un nuovo amico e ritrovarsi la famiglia pronta per presentarsi, con discrezione e voglia di raccontarsi. Il progetto alla base dell'itinerario espositivo poggia su una onestà di fondo perché il committente si è posizionato alla fine del percorso, nell'ultima delle dieci sale complessive: è del tutto legittimo che ci sia la sua storia perché ha investito in prima persona per un intero territorio che conta decine e decine di produttori e perché restituisce all'industria della salumeria italiana e alla gente di quella terra un luogo di conoscenza e anche di riconoscibilità.
36
Artù n°60
Prima del "brand azienda" arrivano infatti le informazioni sull'arte del taglio (l'incisione è tutto e varia a seconda del salume), i video racconti degli addetti alla lavorazione (che danno voce a un mestiere che resiste), il valore del caldo e del freddo a seconda delle fasi di lavorazione e dei prodotti (rispettivamente cottura a vapore, in griglia o a stufa in aria calda oppure momento della macinatura e sa-
lagione che necessitano invece di basse temperature), la sala del tempo dove i prosciutti crudi sono appesi e il tempo sembra immobile perché la lentezza è tutto, riflessa tra specchi e orologi (il profumo nell'aria merita il viaggio). E la differenza tra spezie e aromi? Il MUSA la mostra proprio all'inizio, ancor prima di addentrarsi nel viaggio, dove ha ricreato una parete che somiglia ad una moderna erboristeria. Contenitori che sembrano solo contenitori ma che in realtà racchiudono gli ingredienti vincenti, quelli di casa Villani coi suoi segreti dosaggi. Il fresco di aglio, rosmarino, salvia, alloro, timo, finocchio e maggiorana. L'essiccazione di cannella, ginepro, noce moscata, macis, peperoncino, pepe bianco e nero. Gli attuali 200 metri quadri di esposizione nascono come idea già negli anni '80, nella mente di Villani, quando non c'era alcun progetto, ma solo un desiderio. Poi i tanti investimenti realizzati sull'azienda e sulla produttività hanno certamente distratto le intenzioni e assorbito le energie
in attesa che il tempo facesse il suo corso. Il merito è stato quello di non fermarsi sulla sola storia familiare che, per quanto datata e frutto di cinque generazioni, non avrebbe catalizzato la stessa attenzione di un MUSA così realizzato. È l'omaggio a un distretto produttivo di oltre 50 aziende e 1.200 addetti, oltre che alle famiglie che lo hanno sostenuto negli anni, nonostante la scarsa marginalità dei guadagni. Ma sia chiaro: non è un museo noioso, non ci sono attrezzi antichi, ma giusto qualche coltello per sottolineare come il ferro non vada d'accordo coi salumi e l'acciaio sì, mancano inutili cimeli fuori contesto. Il biglietto è simbolico e le visite si prenotano tramite il Comune locale unendo le forze economiche del privato e la istituzionalità del distretto. Ogni museo custodisce un piccolo o grande capolavoro che muove gli appassionati e stimola i curiosi. Anche il MUSA ha la sua opera d'arte ed è la sala dedicata alle legature a mano che si applicano per i salumi più pregiati: Artù n°60
37
focus
teche verticali al cui interno se ne stanno appesi calchi in plexiglas che con la loro trasparenza descrivono il diverso percorso che lo spago fa sui differenti budelli. Ogni salume ha un suo giro di corda ed è proprio quel giro di corda a dargli identità: vengono in mente certi corsetti del settecento che servivano a dare struttura stringendo le carni. La multimedialità di supporto al MUSA permette di seguire passo passo la legatura di ognuno di loro e quelle mani specializzate parlano come fossero sottotitolate, i salumi girano e rigirano intorno allo spago a ritmo sostenuto, rituale ma mai uguale, veloce come quando uno skipper fa il nodo a memoria e quel movimento diventa perfetto. Per Giuseppe Villani la passione chiusa in una corda che lega una mortadella grossa è puro sentimento: è davvero difficile dargli torto. Sarà per questo che, dopo aver sognato per anni come poter realizzare questo sogno, oggi dice “Sono in pace con me stesso”. Nel
38
Artù n°60
settore dell'alta salumeria l’uomo esiste ancora e ne è protagonista, si è specializzato senza rinnegare estro e manualità. Dentro i salumi c'è l'ingegneria agroalimentare, la tecnica nella lavorazione, la ricerca nello sviluppo del prodotto, la cura di una sensorialità contemporanea. I Maestri salumai si passano il mestiere di generazione in generazione e sono mestieri dai nomi inusuali. Quanti disossatori conosciamo oggi o insaccatori o stagionatori o salatori? Pochi, troppo pochi. Che l’attenzione verso l’acquisto di salumi di qualità sia molto alta lo dicono le analisi di consumo (dati Ismea sul consumo di carne suina in Italia nel primo semestre 2013 parlano di un discreto aumento di salumi ma a denominazione di origine). Che negli ultimi anni il turismo regionale abbia attinto all’enogastronomia per ricordi di viaggio e souvenir, con un aumento del 43%, lo dice l’APT Servizi Emilia Romagna. Che il maiale resti un signore è una assoluta certezza e fortunatamente Giuseppe Villani lo sa. Dire maiale è un orgoglio di comunità, dire suino sembra quasi vezzeggiarlo. Scommetto che il maiale vuole esser chiamato per nome perché non si vergogna della sua impagabile modestia, né gli servono guanti bianchi per mostrarsi in pubblico. Così come non gli servono chef stellati per gridare al miracolo di una rinascita. Il maiale è forte di suo, soprattutto ora che si è messo a dieta e pure in mostra. www.museodellasalumeria.it
protagonisti
Niko Romito
Serio e coraggioso
40
Art첫 n째60
Una vita fatta di scelte professionali coraggiose, che qualcuno potrebbe anche considerare azzardate, quella del 38enne di Luisa Contri Romito. La prima scelta cambia il corso Salvo errori e omissioni, il suo risto- della sua vita: nel 2000 decide infatti rante, il Reale di Castel di Sangro, in di proseguire l’attività di ristorazione a provincia dell’Aquila, è il tre stelle Rivisondoli, lasciatagli in eredità dal Michelin più economico al mondo. padre, abbandonando gli studi univerUna scelta di leggerezza in linea coi sitari d’economia e commercio. Nel tempi, quella dello chef patron Niko giro di poco avvia un percorso di rinnoRomito, senz’altro coerente con la vamento del locale che lo porterà a sua filosofia di cucina, caratterizzata cambiarne completamente l’impostadalla ricerca di come togliere tutto zione e a trasformarlo da trattoria staquello che è sovrastruttura nei piatti gionale con un’offerta di piatti della cue di ridurre, quando non addirittura cina tradizionale abruzzese, in cui il eliminare, i grassi, per esaltare il suo ruolo è quello di responsabile di gusto di materie prime accuratamente sala, in ristorante con una proposta selezionate. Ma che svela anche tratti d’impostazione via via più personale, della filosofia di vita e del modo di composta da piatti ideati e cucinati concepire la professione di questo da lui. Nel frattempo la conduzione del locale ha fatto nascere in lui la giovane chef aquilano.
Artù n°60
41
protagonisti
talento ai fornelli e ai bei modi della sorella Cristiana in sala, Romito intercetta le attenzioni (sotto forma di articoli) dei critici gastronomici, è premiato dalle guide che contano e dalla clientela da queste richiamata. Un’altra decisione impegnativa in tutti i sensi è quella che Romito prende nel 2009, ovvero di ristrutturare Casadonna, un convento del ’500 in rovina, appena fuori dell’abitato di Castel di Sangro, che ha comprato per realizzarvi una scuola per giovani chef, la Niko Romito Formazione, oltre che per trasferirvi il Reale, che raddoppia gli spazi ma non i coperti (sempre 30 per otto tavoli), e per adibire parte della struttura ad albergo (sei stanze supercurate). Tutte scelte coronate dal successo. E che successo! In otto anni Romito da ignoto ristoratore di una località sciistica minore, si è trasformato in un protagonista dell’alta ristorazione internazionale. Ha dato la scalata al podio della Guide passione per la cucina. L’ha spinto a Michelin: alla prima stella, nel 2007, leggere moltissimo, a frequentare diversi è seguita la seconda nel 2009 e nel corsi veloci (da 2-3 giorni ciascuno). 2013 ha conquistato la terza. Ha inoltre "L’esperienza formativa più importante ottenuto i riconoscimenti di Miglior gioper me - racconta Romito -, è stata vane chef 2006 dell’Espresso, 3 foruno stage di un mese nelle cucine del chette 2008 del Gambero Rosso, ristorante Caino di Montemerano, sotto Pranzo dell’anno 2011 dell’Espresso la supervisione della grand chef Relais e Miglior chef dell’anno 2012 d’Identità & Chateaux Valeria Piccini, che ho Golose, solo per citare i principali. fatto nel 2003 e ripetuto l’anno dopo". Riconoscimenti di cui Romito è giustaIl cambiamento d’offerta del Reale gli mente orgoglioso. "Aver preso le tre fa perdere il grosso della clientela ori- stelle Michelin - spiega lo chef -, mi fa ginaria, ma per fortuna, e grazie al suo un immenso piacere. Non mi fa però
42
Artù n°60
sentire arrivato. Non ho intenzione di imitare tanti chef francesi che hanno raggiunto questo traguardo a 60-70 anni e che per i successivi 10 anni hanno proposto sempre lo stesso menu. Mi sento talmente giovane, ho così tanta voglia di fare e ricevo così tanti stimoli sia dalla mia squadra che ha un’età media di 23 anni, sia dagli alunni della scuola, che continuerò a ideare piatti nuovi e a fare ricerca". Una voglia che, ai tavoli del Reale, si concretizzerà in questo 2014 in più piatti di mare (già nel 2013 hanno debuttato in carta i calamaretti fritti con emulsione all’aceto, lo spaghetto con estratto di seppia, seppia e mare e i ravioli di baccalà, con salsa di baccalà). "Lavorare su pesci di pezzature grandi, come una spigola pescata, o anche su specie classiche come un’orata o una seppia, ma con la nostra visione - sottolinea Romito -, sarà divertente. Ma sarà anche una sfida, considerato che siamo in una località di montagna e che abbiamo lavorato quasi sempre con materie prime di terra. Rappresenterà un modo per chiudere il cerchio". Che siano stati ideati in un giorno, com’è il caso dei ravioli con ricotta di bufala, distillato di bufala, pepe e capperi - anno 2013 - e dopo quattro cinque mesi di lavoro il gel di vitello, porcini secchi, mandorle e tartufo nero - anno 2011 -, che siano piatti icona del Reale (l’Assoluto di cipolle, parmigiano e zafferano tostato - anno 2011), la Croccante espressione della lingua anno 2008 - e il dessert Essenza, o delle new entry, come il carciofo o l’agnello, aglio e pompelmo rosa, nessuna delle proposte di Romito è comunque esente nel tempo da piccole modifiche migliorative, frutto dell’esperienza che cresce col passare del tempo. "Ciononostante - specifica lo chef -, ritengo utile indicare l’anno d’ideazione del piatto, come prima di me ha iniziato a fare Moreno Cedroni, perché aiuta il cliente a comprendere l’evoluzione nel tempo della mia cucina e gli fa capire che dietro ogni piatto c’è del lavoro, dello studio". Come lui stesso sottolinea, la sua cucina è cambiata negli anni.
"Oggi - afferma Romito -, non si può più dire che la mia è una cucina che rivisita i piatti del territorio. Lo si poteva forse affermare cinque anni fa, ma oggi la mia cucina è la mia cucina, ha una forte identità. I piatti che propongo sono concepiti dalla mia testa e da quella dei miei ragazzi: l’Assoluto di ci-
Artù n°60
43
protagonisti
polle, la Croccante espressione della lingua, l’Essenza, sono tutti piatti che nascono completamente da zero, non sono una mia interpretazione di ricette del passato. Sicuramente c’è in loro l’influenza di questi anni di lavoro. Ho poi in carta anche piatti che raccontano l’Abruzzo in chiave moderna...". Ciò che maggiormente caratterizza la filosofia di cucina di Romito in questo momento è, comunque, il suo mettere in primo piano una grande materia prima e una grande leggerezza. "Il burro, la panna, il latte - evidenzia lo chef -, abbassano la percezione degli ingredienti, rendono il gusto più rotondo, ma meno deciso. Non dico che non vadano usati in assoluto, ma che è importante che siano impiegati nella giusta misura e solo quando contribuiscono a migliorare il piatto. La bontà di un ristorante, d’altronde, si giudica il giorno dopo esserci stati, in base a come ci si sente fisicamente. Se ci metto 24 ore per digerire un piatto che mi era sembrato buonissimo, vuol dire che non lo era poi così tanto. O che lo era solo dal punto di vista dell’analisi sensoriale. Non va trascurato il fatto che il cliente che mangia fuori casa, oggi, fa molta attenzione a mangiare bene, senza appesantirsi". Star dietro i fornelli, comunque, a Romito non basta. "Proprio dalla mia esperienza - spiega -, e dalle tante richieste di giovani di fare degli stage da me, è scaturita l’idea di creare uno spazio di formazione per un numero ristretto di
44
Artù n°60
alunni, molto specializzata e con un’offerta didattica importante. La mia vuole essere una scuola dove si insegna a cucinare e a dominare le tecniche, ma soprattutto che fa capire che oggi la differenza tra uno chef e un altro sta nella sua cultura, nella sua capacità di capire determinati meccanismi. Nel nostro programma ci sono lezioni di chimica, di fisica, di botanica, di cucina italiana, di diritto alimentare perché oggi il cuoco oltre a saper cucinare, deve avere altre competenze. La figura del cuoco è cambiata tantissimo negli ultimi 10 anni". Una scuola la Niko Romito Formazione che seppure giovanissima già dispone d’un trampolino di lancio nel mercato per i suoi giovani alunni. Da agosto scorso lo chef abruzzese ha infatti riaperto l’ex sede del Reale, a Rivisondoli, allestendo il ristorante Spazio, locale che vedrà dietro ai fornelli e in sala i migliori alunni a confrontarsi col pubblico. Spazio sarà anche un ristorante itinerante. Ha già fatto tappa a Roma, dove i giovani chef hanno dimostrato le loro capacità per 20 giorni in un temporary, e nei prossimi giorni sbarcherà a Milano. L’altro grande progetto che sta impegnando Romito è Unforketable, frutto di una joint-venture paritetica con il produttore di pasta Garofalo. "È un progetto cinematografico di cucina italiana, rinnovata secondo la mia visione, ma agevolmente realizzabile a casa, unico nel suo genere", sottolinea lo chef. "Siamo subito partiti con la doppia versione, in italiano e in inglese, perché puntiamo a un pubblico internazionale". Due le particolarità di quest’enciclopedia video del gusto. Non mette in risalto il cuoco, ma fa vedere soltanto le mani dello chef, i prodotti e come vanno lavorati. Ed è in parte a pagamento. Solo le basi (impasti base, basi di frutta, basi creme e basi salse) sono accessibili a tutti. Le video-ricette (erano 52 a fine novembre scorso in occasione del lancio, ma se ne aggiungeranno altre dieci al mese) sono invece acquistabili al prezzo di 3 euro l’una o a pacchetti da 4, 10, 25, 50 ricette a prezzi leggeri, come nello stile di Romito.
protagonisti
Ch창teau Monfort Un fatto di stile 46
Art첫 n째60
di Alberto P. Schieppati La struttura milanese spicca per esclusività e qualità dell’offerta alberghiera, destinata alla fascia alta del mercato della clientela turistica internazionale, ma anche al segmento gourmet di impronta europea. La professionalità di Michele Garbuio, già miglior sommelier d’Italia, e di Marco Offidani, executive chef, sono i principali ingredienti del successo di questo Relais, diretto da Licinio Garavaglia e aderente al gruppo Planetaria Hotels, presieduto da Damiano De Crescenzo.
Gli appartamenti, concepiti in tempi non sospetti, esaltano gli spazi e l’ampia scalinata aggiunge eleganza e raffinatezza alla struttura, assicurando una godibilità totale, in linea con un concetto di luxury classico e fuori dagli schemi, lontano da inutili modernismi, ma molto vicino alle esigenze e ai desideri della clientela contemporaLe luci calde del palazzo riscaldano nea. È proprio in questa logica che va questo angolo di Milano, a ridosso letta la strategia di Château Monfort del centro storico, tra Corso Monforte che punta chiaramente su non pochi e l’inizio della zona Vittoria. A poche elementi: suggestione del luogo, atdecine di metri dall’ingresso di Château mosfera di caratterizzante unicità, quaMonfort, gioiello dei Relais&Châteaux, lità complessiva dell’accueil, ospitalità l’Opera francescana svolge la sua fun- personalizzata, spa di tutto riguardo, zione preziosa di solidarietà, erogando ristorazione classica e d’autore, deguogni giorno centinaia di pasti caldi ai stazioni intelligenti per enoappassionati. bisognosi, categoria in crescita dram- Diretta mirabilmente da Licinio Garamaticamente esponenziale. Impossibile vaglia, la struttura si avvale del contrinon notare la coesistenza di realtà tal- buto di un grande professionista della mente dissimili. Ma se qualcuno come già accaduto - volesse ad ogni costo sottolineare evidenti differenze, emblematiche della nostra contemporaneità, commetterebbe un errore o, meglio, sarebbe vittima di una forzatura emotiva. Comprensibile, ma forse ipocritamente miope, seppur mossa da nobili principi. Aperto nel gennaio 2012, Château Monfort si muove sulla propria linea, che è innanzitutto quella di far stare bene la propria clientela, puntando a un’ospitalità sobria e discreta, seppur di altissimo livello, ma aliena da ogni esibizionismo e da inutili forzature. Perdipiù, ogni forzatura sarebbe fuori luogo in una città come Milano, da sempre abituata all’efficienza e alla concretezza più che alla sfarzosità esibita, nonostante recenti aperture sembrino andare nella direzione opposta. D’altronde, qui le cose parlano da sé: il palazzo d’epoca è dei primi del Novecento, l’architetto fu Paolo Mezzanotte, solo per fare un nome. Artù n°60
47
protagonisti
sala (e in generale del rapporto con il cliente), Michele Garbuio. Trentasei anni, miglior sommelier d’Italia nel 2006, un’esperienza a 360 gradi, che lo ha visto in passato protagonista in strutture prestigiose, una per tutte il Principe di Savoia. Garbuio ha messo le proprie conoscenze al servizio di Château Monfort, contribuendo a farlo divenire una location di straordinario interesse anche per la clientela degli enoappassionati. Ogni giorno della settimana, su prenotazione, è possibile
48
Artù n°60
prendere parte a degustazioni a tema, con protagoniste le migliori produzioni vinicole italiane e internazionali: a condurre le danze, ovviamente, è Michele, il quale conduce gli amanti del vino dentro a un percorso degustativo all’interno di un elegante “infernotto”, chiamato Cella di Bacco. Spetta a Michele Garbuio il presidio della ristorazione, dove il Rubacuori propone la ottima cucina di Marco Offidani, milanesissimo chef (nonostante il cognome di origine marchigiana). Superata la Sala del dolce risveglio, dove teiere e tazze trasformate in lampade dominano la scena, la scelta del cliente può cadere su tre opzioni: la Sala della caccia, l’Alcova del Rubacuori e, raccolta e intima, la Sala del Rubacuori, connotata dai tavoli rotondi specchiati. In qualunque delle sale vi troviate, Michele Garbuio vi suggerirà un percorso enogastronomico di raro interesse, a cominciare dalla tartare di ricciola, guazzetto di fagioli con l’occhio, crema al limone, o dal carciofo alla carbonara, lingua di gatto di pecorino, orto botanico violetto, verdure e aria di alloro, per arrivare ad alcuni primi piatti memorabili, come: il risotto cacio e pepe, pera e foie gras, o lo spaghetto astice e ‘nduja calabra, o gli gnocchi di peperoni, Castelmagno e prugne. Quella di Offidani, che coordina una brigata di sei persone, è una cucina di morigerata creatività, impostata sul rispetto degli ingredienti e su una proposta che sappia reinterpretare la classicità. Tra i se-
Planetaria Oltre gli standard Una chiacchierata con Damiano De Crescenzo, general manager dell’Enterprise Hotel di Milano e presidente del gruppo Planetaria, consente di comprendere meglio l’evoluzione e gli sviluppi futuri della piccola catena. De Crescenzo, classe 1964, esperienze direzionali al Radisson e al Marriott, ha le idee molto chiare in fatto di ospitalità: “Planetaria è un piccolo gruppo alberghiero che, in quanto tale, ci permette di prendere decisioni in breve tempo, creando un rapporto diretto fra i vertici delle nostre strutture e gli staff operativi, semplificando al massimo le problematiche gestionali e le linee strategiche”. Eppure, o forse proprio per questo, il livello dell’offerta delle singole strutture è qualitativamente molto elevato: il caso di Château Monfort è eloquente, così come l’offerta dello stesso Enterprise, connotata da un altissimo livello di
condi, spiccano: millefoglie di capesante, cavolo nero e pomodoro all’olio, lingua reale, cotechino e pancetta, cappon non magro di carne (un “bollito misto” rivisitato con garbo), il Club sandwich di filetto di manzo con mozzarella di bufala, il branzino con pappa al pomodoro e coulis di sedano rapa. Notevole la consistenza di due menù degustazione, il Biancaneve e “..Ripercorrendo la tradizione”: nel primo, da cui si può anche scegliere alla carta, spiccano per originalità e gusto la zuppa bianca di mozzarella, frisella e basilico (consente di gustare con leggerezza materie prime di naturalità indiscussa) e i tagliolini ai piselli dell’ottavo nano: eucaliptolo. Nel secondo, trovano spazio la fiorentina alla piastra, aglio cotto nel latte e patate al forno e il trancio di storione, capperi e limone, tagliolino al burro. I divertissement linguistici usati da Offidani (due
professionalità e attenzione alle esigenze del cliente, perlopiù business ma anche turista internazionale. “Non abbiamo mai puntato agli eccessi - continua De Crescenzo -. La nostra forza è non essere mai diventati schiavi delle procedure: spontaneità e propositività, insieme a caratura professionale di livello, sono gli elementi fondamentali delle nostre sfide quotidiane. Si tratta di valori di forte motivazione per il personale, che rappresentano un vantaggio reale per il cliente, che in questo modo viene meglio monitorato, seguito e assecondato nei propri desideri… . Oggi una buona metà dei clienti ci chiede qualcosa che non è codificato né ingessato da procedure troppo rigide, e noi dobbiamo sempre essere in grado di dare risposte concrete a questo tipo di clientela! Direi che ciò che accomuna le nostre strutture è in-
tangibile, ogni realtà è completamente autonoma: sì, perché noi siamo decisamente oltre gli standard di catena”, ribadisce orgoglioso il direttore dell’Enterprise. E, in effetti, la ristorazione dell’hotel, guidata dallo chef Otello Moser, executive del Sophia’s Restaurant, conferma questa predisposizione alla flessibilità: la cucina propone grandi piatti classici della tradizione lombarda, ma anche suggestioni più mediterranee, come i totanetti scorfano e bottarga ed altri piatti di inventiva. Fra le altre strutture del gruppo Planetaria, ricordiamo il Grand Hotel Savoia e il Continental a Genova, il Pulitzer a Roma, Villa Appiani a Trezzo sull’Adda, i milanesi Suite Hotel e la Residenza della Città. Ormai prossima l’apertura, a marzo, delle Ville sull’Arno, a Firenze: location di grande appetibilità e di sicuro successo.
esempi eloquenti: i tagliolini alla Norma senza norme, o il branzino della Strega Cattiva: sullo specchio di verdure delle sue brame) nella definizione dei piatti in menù sono in linea con i temi a cui si ispira la proposta complessiva di Château Monfort, ovvero la favola e l’opera lirica che sono i leit motiv della struttura. La “copertura” enologica più adatta all’esperienza gourmet è garantita dalla presenza in sala di Michele Garbuio: grande selezionatore di etichette, vi saprà proporre il vino pià adatto alla situazione, oltre tutto con ricarichi corretti. Anche per i dessert (da provare il croccante al cioccolato, ricotta e mango al rosmarino, ma anche la zuppa di pere e vaniglia, crumble allo zafferano, arancia fresca), lasciatevi guidare da Michele, che predisporrà per voi una indimenticabile proposta di vini al calice, moscato d’Asti e passiti di Pantelleria in testa. Artù n°60
49
protagonisti
Turbigo a Milano L’altro Naviglio GOURMET di Fiorenza Auriemma Nella quantità iperbolica di nuove aperture nel capoluogo lombardo, spicca quella di Turbigo, la cui insegna rimanda alla località nei presi del Ticino, da cui prende vita il corso del Naviglio grande. Ad aprire questo locale che già fa tendenza, i soci di Pisacco, il locale di via Solferino che si è rivelato un caso di successo. A Milano, i Navigli o li ami o li odi. Alla prima categoria appartiene chi ha un debole per folla, confusione, infilate di locali, ore piccole... . Alla seconda, chi al contrario vuol stare alla larga da tutto ciò, almeno nella sua forma più esasperata. Esiste però anche un'altra faccia dei Navigli che ha come modello l'atmosfera milanese semplice, familiare e rilassata che fino qualche decennio fa caratterizzava questa tipica zona meneghina. E il cui obiettivo è anche far tornare sui Navigli chi da tempo preferisce non frequentarli più. A questo nuovo filone appartiene Turbigo, locale che ha aperto qualche mese fa ai
50
Artù n°60
primi numeri dell'Alzaia Naviglio Grande, a fianco dell'hotel Maison Borella. Posizione non casuale, visto che Turbigo è il ristorante per i clienti della Maison, i quali possono sedersi nel locale per colazione, pranzo, e cena. Così come può del resto fare chiunque lo desideri, dal martedì alla domenica, e con la stessa tipologia di offerta: a colazione (anche con piatti salati), a pranzo (anche con panini e insalate) e a cena. Ma anche durante tutto il giorno per un caffè, un tè, un drink. Sfruttando, nelle giornate di sole, i pochi ma comodi e tranquilli tavolini esterni che affacciano sul naviglio. Niente è causale in Turbigo. A partire dal nome, scelto perché è lo stesso di una località che si trova quasi alla sorgente del Naviglio Grande, e quindi come omaggio all'acqua che da secoli entra ed esce da Milano. O dal team che "firma" il locale, ovvero Giovanni Fiorin, Diego Rigatti e Tiziano Vudafieri, gli stessi che sempre a Milano hanno dato vita alle insegne Pisacco e Dry Cocktails & Pizza, entrambi in via Solferino. Proseguendo poi con i dettagli e il sapore d’altri
tempi che contraddistinguono gli interni del locale (da scoprire di persona, aguzzando vista, ricordi e sensibilità). Per finire - last but not least - con il menu, studiato su misura per un locale "all day long". I piatti proposti e la scelta di offrirli in versione "modulare" sono infatti l'asso nella manica di Turbigo. Nel primo caso, il "grazie" va a Raffaele Lenzi, chef campano trentenne che ha imparato le basi del mestiere all'Alberghiero di Napoli per poi consolidarle e ampliarle sul campo a Londra, New York, a Villa Feltrinelli, così come al fianco di Elio Sironi e Bruno Barbieri, fino a lavorare come sous-chef all'Hotel Armani di Milano prima di approdare sui Navigli. Proprio per dare più spazio alla sua creatività campana, e dopo un primo periodo di rodaggio del locale, la cucina di Turbigo è state ampliata. Per cui, approfittando del cambio del testimone dell’anno, il locale si è preso una lunga pausa per riaprire a fine gennaio 2014 con una proposta partenopea che affiancherà quella che è, e continuerà a essere, il punto di forza di Turbigo: una carta con accento "milanese" che però lascia spazio alle emozioni gastronomiche internazionali. Oltre a prevedere - come anticipato qualche riga sopra - una particolare formula modulare. Infatti, la classica suddivisione tra antipasti, primi e secondi, a Turbigo lascia il posto a una lista di piatti senza la abituale gerarchia: pasta, riso, carne e pesce, infatti, sono pari grado in carta, e cambiano prezzo e dimensioni in base alla volontà di chi li ordina. All'aumentare delle portate, in pratica, diminuiscono sia la porzione, sia il costo. Ad esempio, chi sceglie di ordinare un solo piatto riceverà una porzione abbondante, mentre per due piatti, quello ordinato come secondo sarà di dimensioni ridotte rispetto al
primo. Lo stesso, in sequenza, vale per le tre portate. I prezzi: al momento della stesura di questo articolo, 14 euro per un piatto, 25 euro per due piatti, 38 euro per tre piatti. Fermo restando che si può appunto decidere di ordinare le Linguine con olio di vongole, peperone arrostito e pane al nero come primo, secondo o terzo piatto del proprio menu personale, avendo di conseguenza porzioni di dimensioni differenti. Oppure scegliere di aprire con un generoso piatto di gambero, crema di zucca, puntarelle e melograno per poi proseguire con una porzione ridotta di risotto allo zafferano, genovese napoletane e funghi. Insomma, Turbigo è l'occasione per provare un menu "fai da te", da strutturare in base all'appetito, alla disponibilità di tempo personale e del momento. In alternativa a questo incastro personalizzato dei piatti, in carta ci sono anche panini, proposte vegetariane e minestre.
Artù n°60
51
protagonisti
La rivoluzione di Gianolli
Silvio alla Cassinetta 52
Art첫 n째60
di Alberto P. Schieppati Grazie alle intuizioni di Massimo Gianolli, uomo di vino e finanza, riparte la mitica Osteria del Ponte. Dopo trenta e passa anni del grande Ezio Santin, il celebre locale affida la cucina a Silvio Salmoiraghi, giovane e geniale cuoco lombardo. Cassinetta di Lugagnano, dicembre 2013: quando riceve gli ospiti, tra le mura vissute dell'Antica Osteria del Ponte, Massimo Gianolli, imprenditore di successo nel campo della finanza nonché produttore vinicolo di fama, ha il piglio del grande patron, e in effetti lo è.. La sua coraggiosa (o ardita?) decisione di riaprire, con un investimento decisamente importante, un tempio della ristorazione italiana d’eccellenza, ha dato una scossa salutare allo scenario un po' sonnecchiante e ripetitivo dell'alta ristorazione italiana. Dopo la partenza dello scorso anno, quando la mitica Cassinetta di Lugagnano, condotta per oltre trent'anni dal Maestro Ezio Santin e dalla grande, affabile e pro-
fessionale moglie Renata, visse una breve esperienza con l'ottimo chef Fabio Barbaglini, Massimo Gianolli ha deciso per una svolta decisiva. La pagina è stata dunque voltata con rinnovato vigore e la "Cassinetta" si è data una nuova autorevole guida culinaria. La scelta di Massimo è caduta su un professionista di valore, Silvio Salmoiraghi: un giovane ma non giovanissimo chef con le idee chiare, sia in materia di gusto e ingredienti, sia in fatto di gestione e di food cost: un cuoco coi fiocchi, forte di un'esperienza di successo (tuttora attiva) al ristorante Acquerello di Fagnano Olona, vicino a Milano. La sua è una cucina complessa, espressa, tutta fatta al momento: "Non sopporto le lunghe cotture" dice Silvio, quarantenne docente di Alma, l'università della cucina di cui è rettore il maestro Marchesi. "Noi dobbiamo tornare a far masticare le persone, a distinguere le consistenze delle materie prime e le differenze fra le stesse; per questo motivo sono contro le basse temperature, non sopporto la chimica in cucina, adoro i sapori intrinseci dei singoli ingredienti e
Artù n°60
53
protagonisti
Cassinetta di Lugagnano
●
desidero che vengano compresi e accettati nelle loro caratteristiche originarie, senza artifici inutili o voli pindarici che portano lontano dal gusto". La rigorosa selezione delle materie prime, la cura per i dettagli, le cotture veloci e non invasive... . Fatto e mangiato, arrostito e a vapore!!! Questo sembra essere il leit motiv della linea di cucina di questo chef sicuro e volitivo, ma mai saccente o presuntuoso. Salmoiraghi è decisamente molto marchesiano nell'impostazione culturale e, in fondo, è proprio Gualtiero Marchesi il suo vero ispiratore! Non a caso, prima che Silvio si impegnasse nella nuova sfida professionale, Marchesi disse allo chef : "Stai attento perché stai per prendere in mano una grande casa!!" I piatti di Silvio ci sono sembrati all'altezza della sfida, coerenti con la storia formidabile del luogo e in linea con la carismatica, leggendaria
54
Artù n°60
conduzione di Santin. Da provare assolutamente, senza pentirsene: storione in bianco, ottima apertura, e poi: carpione di mare, aceto di succo di arancia, miele, calamaretti spillo fritti, ravioli radici carciofi olive amare, piccione alla milanese, impanato e cotto nel burro, solo petto, il filetto viene marinato con succo di limone, senape: un piatto realmente straordinario, deciso e armonico nella sua succulenta consistenza... . Pistacchio e origano, una sorta di predessert, che apre ad un memorabile croccante di limone. Ricca e diversificata la carta dei vini, che vede in posizione non invadente i vini veronesi della Collina dei ciliegi, fra cui svettano Amarone e Valpolicella, vini che si sono imposti a livello internazionale presso la critica più qualificata. E che dice Santin? Salmoiraghi pare abbia la sua totale benedizione!! Il che depone a favore dell'impegno di Salmoiraghi e fa da volano costruttivo alla sua passione. La Antica Osteria del Ponte, grazie ai progetti di Gianolli, sembra essere dunque destinata ad un futuro radioso, innovativo e solido. Il luogo è fascinoso e ricco di storia, oh se queste mura potessero parlare... . Una bella sfida cercare di tirare su il locale! Mattia Trentani e Luca Bertana presidiano la sala, mentre in cucina Salmoiraghi è supportato da un validissimo secondo, il coreano Cheolhyeok Choi, trent'anni di serietà totale, caratterizzata da una meticolosa attenzione ai dettagli. Bravo Gianolli, per avere intrapreso una strada certo difficile ma il cui risultato finale sarà di avere rivitalizzato un'icona di eccellenza, una sorta di patrimonio dell'umanità che va trasmesso alle giovani generazioni.
protagonisti
Dal Degan la sua è cucina materica 56
Artù n°60
di Luisa Contri Lo hanno paragonato a René Redzepi, chef del bistellato Noma di Copenhagen. Gli piace. E gli dà conferma, ammesso che ne avesse bisogno, del fatto che la strada intrapresa da due anni e mezzo a questa parte è quella giusta. In caso non lo aveste ancora capito, stiamo parlando di Alessandro Dal Degan. Fresco d’incoronazione a chef giovane dell’anno della Guida i Ristoranti d’Italia dell’Espresso 2014 e membro del club dei Jeunes Restaurateurs d’Europe dal 2012, Dal Degan neppure 33enne (li compirà il 24 aprile prossimo) da quasi quattro anni è chef executive del ristorante La Tana dello Sporting Residence Hotel di Asiago (Vi) e dal maggio 2013 è stato chiamato dalla famiglia Montresor a ricoprire il medesimo ruolo al ristorante Arquade di Villa del Quar a Pedemonte (Vr), nella Valpolicella. "Soltanto a partire dalla riapertura di Villa del Quar, a metà marzo prossimo, però - afferma Dal Degan - all’Arquade si potrà gustare la mia cucina o, meglio, quella della mia squadra. Quando i Montresor mi interpellarono a maggio dello scorso anno, la stagione estiva ad Asiago era alle porte ed ero molto impegnato. Per iniziare ho dunque inviato all’Arquade il mio secondo storico della Tana, Elia Casolaro. E io ho fatto la spola fra i due ristoranti, compatibilmente con gli impegni già assunti. Alla riapertura di primavera, però, l’Arquade proporrà un menu tutto nuovo, la cui impostazione volutamente rispecchierà quella della Tana. E sarà preparato da una brigata che avrò personalmente selezionato e formato". Dal Degan è certo che non avrà difficoltà a dar vita a una seconda squadra in grado di riprodurre la sua filosofia del cibo. Squadra che, considerati i 48-50 coperti in sala, si comporrà di tre persone in cucina e due in sala nella bassa stagione, per salire a cinque, sei persone sia in cucina che in sala nei periodi di picco. "Nei mesi invernali - racconta Dal Degan, - abbiamo formato due persone che manderemo a Pedemonte. Gli altri membri della quadra sa-
ranno scelti fra i nostri più validi collaboratori stagionali. E di aiutanti affezionati ne abbiamo, perché alla Tana lavoriamo sì, ma divertendoci da morire. E divertendo il cliente. Qualcuno si stupirà, ma qui ad Asiago i più vecchi siamo io e il mio socio Enrico Maglio, che ha un anno più di me. Dopo di noi il collaboratore più anziano ha 23 anni". Quello che dà più soddisfazione e allo stesso tempo diverte sia Dal Degan, sia la sua ancor più giovane brigata di cucina alla Tana, è l’attività di ricerca sulle materie prime del territorio d’Asiago. In primis le erbe spontanee, per le quali Dal Degan è stato accostato a Redzepi, ma anche le essenze dei boschi dell’altipiano, le resine, i licheni, la torba, le gemme, le radici, il fieno, che danno un tono nordico, solo apparentemente
Artù n°60
57
protagonisti
esotico, ai piatti di stampo prettamente mediterraneo di questo chef. Materie prime di cui s’è persa la conoscenza e l’utilizzo da parte dei ristoratori locali, ma che Dal Degan e la sua squadra hanno la voglia e la pazienza di reperire. "Per sua fortuna - racconta lo chef -, mio suocero sa distinguerle e sa dove e quando andarle a raccogliere. Anch’io collaboro quando ne ho il tempo. Di recente mi sono spinto fino ai 2400 metri d’altitudine per trovare il lichene islandico". L’utilizzo di erbe spontanee (ce ne sono ben 60), le essenze e altri prodotti selvatici di cui è ricchissimo il territorio d’Asiago, hanno una motivazione ben precisa nella cucina di questo chef che, nonostante sia cresciuto fra Torino e Firenze e abbia mosso i primi passi professionali in Toscana al ristorante I Macchiaioli di Sesto Fiorentino e al Gallopapa in Castellina in Chianti, è sempre rimasto legato all’altipiano di Asiago, da cui proveniva la sua famiglia. Sono d’altronde materie prime che storicamente
58
Artù n°60
hanno fatto parte dell’alimentazione degli abitanti di questa zona, seppure appartengano a una cultura nordica e non mediterranea. "I primi abitanti dell’altipiano d’Asiago - fa notare Dal Degan -, sono stati i cimbri, una popolazione originaria della Scandinavia che poco prima dell’anno Mille era scesa nella nostra penisola con l’obiettivo di attaccare Roma. La loro missione ebbe però scarsa fortuna. Risultarono sconfitti in una grande battaglia che si combatté ai confini fra Toscana ed Emilia e i pochi sopravvissuti imboccarono la via del ritorno. Arrivati sull’altipiano, però, decisero di fermarsi, avendo trovato una vegetazione e un clima del tutto simili a quelle del loro paese d’origine". E Dal Degan, le materie prime provenienti dai boschi, così come gli altri ingredienti che compongono i suoi piatti, vuole esaltarli attraverso uno studio approfondito, che coinvolge anche un laboratorio di analisi microbiologiche, così da poterli utilizzare al meglio, sia cotti con
tecniche tradizionali e moderne, sia a crudo. "Studiare le materie prime e impiegare tecniche di cottura diverse è per me importantissimo - sostiene Dal Degan -. Ma non perché voglio che il cliente percepisca il lavoro che c’è dietro una ricetta. Quello che mi interessa è piuttosto che i miei piatti suscitino nel cliente un godimento immediato, istintivo. Conoscere le caratteristiche chimiche e fisiche di un prodotto mi serve per esaltarne le caratteristiche. Della foglia di nocciolo, per esempio, so che dà il meglio di sé cruda, perché se la si scalda, pur non cambiando colore fino ai 60°C, vira di gusto da leggermente dolce ad amarognola. L’asparago di bosco, invece, finché è una piantina di 5-6 cm d’altezza è tenero, profumato, ha un gusto amarognolo ed è molto aromatico. Quando cresce oltre tale misura diventa legnoso e anche velenoso, perché le sue foglioline producono una sostanza simile al cianuro". Esaltare le materie prime, per Dal Degan, significa anche far sì che siano sempre ben distinguibili nel piatto e impiegarle con parsimonia, soltanto là dove ha un senso compiuto che trovino posto. Due esempi di come questo chef traduce in pratica il concetto dell'esaltazione delle materie prime sono i tortelli di polenta affumicati in brodo di abete, funghi, “stracciatella” d’uovo e zenzero e "un risotto ai margini del bosco". "L’idea dei tortelli in brodo d’abete - spiega Dal Degan -, l'ho avuto leggendo in un vecchio libro la storia di una famiglia povera dell’altipiano che non avendo più nulla da mettere in tavola preparò un brodo con della neve e delle cortecce d’albero. Mi è venuta la curiosità di scoprire che sapore potesse aver avuto quel brodo. Così, insieme alla mia brigata, abbiamo fatto prove di bollitura, decottura e infusione di 16 diverse essenze, con risultati pazzeschi. Alcune prove sono risultate immaginabili, altre incredibili. Dopo vari tentativi siamo arrivati al miglior mix, a un brodo fatto con l’abete rosso per l’80%, col ginepro selvatico per un altro 10% e con nocciolo e cirmolo per il 5% rimanente. L’abete gli dà l’impatto Artù n°60
59
protagonisti
gustativo principale, il ginepro il gusto pungente, il nocciolo profumo e una nota dolce e il cirmolo sentori di fungo e di sottobosco". "Un risotto ai margini del bosco" è, a sua volta, un piatto che rappresenta il modo di Dal Degan di vivere il bosco. Si tratta d’un riso mantecato con il formaggio di malga d’Asiago e aghi, gemme e resina di pino mugo. Sopra e sotto il riso, sul piatto, sono distribuiti irregolarmente funghi polverizzati, briciole di pane, carne affumicata di puledro, carbone e scaglie di formaggio stravecchio. "Quando serviamo il piatto - racconta Dal Degan -, consigliamo al cliente di non mescolare il risotto per far sì che ogni forchettata abbia un gusto diverso, dato dai vari componenti che vi si trovano. Un modo per riprodurre le diverse sensazioni olfattive che si provano facendo una passeggiata nel bosco. Le briciole di pane e le scaglie di formaggio stravecchio rappresentano il panino, il mangiare tipico di una colazione al sacco, mentre la carne affumicata e il carbone richiamano il profumo di carne alla brace che il vento può portare da una vicina malga dove stanno arrostendo la carne". I tanti ingredienti "insoliti" nella cucina di Dal Degan si sposano ovviamente con materie prime più "rassicuranti" sia di terra che di mare (raro il ricorso a pesci d’acqua dolce che incontrano meno il suo gusto
60
Artù n°60
personale) per dar vita al menu gourmet della Tana, proposto solo per cena e che si articola in tre percorsi differenti. Materie… è il sottomenu in cui Dal Degan e la sua squadra interpretano prodotti, sapori e suggestioni che trasmettono loro le materie prime locali di stretta stagionalità. Progetti… è invece composto dai piatti "di cui non possiamo più fare a meno", in altre parole dai classici del ristorante di Asiago. Territorio... è infine il sottomenu dall’impostazione più tradizionale, in cui Dal Degan propone le ricette tipiche dell’altipiano, senza grandi rielaborazioni, ma con le sue materie prime sceltissime e la sua tecnica. Come anticipato, anche all’Arquade il menu serale seguirà la scansione in Materie, Progetti e Territorio. "In quest’ultimo percorso, però - anticipa Dal Degan -, figureranno piatti differenti, perché ci atterremo alle tradizioni gastronomiche del luogo, utilizzando le materie prime scelte da noi e cucinandole a modo nostro. Gli altri due sottomenu, invece, tendereranno a essere pressoché identici, perché per realizzarli utilizzeremo sia le materie prime dell’altipiano, sia quelle della Valpolicella, ossia tutti i prodotti della campagna: rape, cavoli, biete, zucche, pomodori. E gli oli extravergini del lago di Garda, le olive, i funghi, frutti come mele, albicocche, fragole, piccoli frutti e, in autunno l’uva, i mosti, il legno della vite per affumicare e cuocere alla brace". A mezzogiorno all’Arquade, come già avviene alla Tana, la proposta gastronomica sarà più semplice, in stile bistrot, per assecondare le esigenze della clientela business, ma anche dei turisti. E se alla Tana sarà ancora proposto un menu di mezza pensione, servito in una saletta distinta da quella del ristorante e, a dire il vero, ormai richiesto quasi esclusivamente dai clienti dello Sporting Residence Hotel in settimana bianca, l’Arquade diventerà la location dove organizzare i grandi eventi: battesimi, matrimoni, convention aziendali. A Villa del Quar infatti, ci sono spazi sufficienti, sul medesimo piano, per mettere a tavola fino a 200 persone.
protagonisti
Chantecler Pensieri gourmet
Bacaro del Sambuco
La Bice
62
Artù n°60
ratterizzare i comportamenti anche in materia di scelte alimentari; chi non mangia bene, non sa apprezzare il gusto del bello, non si ama a sufficienza, in fondo si accontenta della mediocrità". Maria Elena Aprea, che abbiamo incontrato nella bottega Chantecler di via Santo Spirito, a Milano, lascia trasparire una attitudine straordinaria verso il buon gusto e la sobrietà seppue espresse con forza e decisione, che dimostra nei fatti come un modo di vivere artefatto impostato non abbia più senso, sia nella artigianalità delle produzioni di gioielleria come nelle scelte alimentari dei consumatori. Dunque, possiamo spezzare una lancia a favore della semplicità contro la ostentazione? "Basta urlare, basta esibire, basta mortificare l'arte": questo sembra essere il messaggio dell'erede di una grande generazioni di maestri gioiellieri, la cui fama è ormai di caratura internazionale. Nei suoi pensieri "gastrosofici", Maria Elena Aprea appare come una donna curiosa, con le idee comunque molto chiare, che non ama i piatti elaborati, creati per stupire o impressionare, ma che è alla costante ricerca di autenticità. "Preferisco la semplicità, i piatti che raggiungono il cuore con il loro stile, il loro gusto, i sapori autentici delle migliori materie prime. Potrà sembrare un pensiero banale, ma la cucina di un ristorante contemporaneo di qualità deve colpire innanzitutto per i sapori degli ingredienti e non per la iperbolica presentazione del piatto! Preferisco la freschezza, la stagionalità, la franchezza in un piatto! La sua importanza sta in queste cadi Theo Smith ratteristiche! Troppe elaborazioni mi Un incontro informale con Maria Elena mettono a disagio, pur ammettendo Aprea, la geniale patronne di Chante- che la ristorazione debba anche espricler, la griffe resa famosa dalle mitiche mere l'impronta personale di chi la "campanelle", rivela una visione molto esegue...". I suoi locali preferiti? "A personale della ristorazione italiana. Milano adoro La Bice, il Baretto del Artù ha registrato il suo pensiero e lo Baglioni, il Bacaro del Sambuco della famiglia Maccanti: una cucina di propone ai lettori. grande cuore, che non ti mette mai a L'esordio rivela da subito una grande disagio. Non ho mezze misure nella chiarezza di idee. "Lo stesso rigore vita: non mi piacciono le cose a metà, che usiamo nella creazione dei nostri adoro essere me stessa fino in fondo, gioielli, veri pezzi unici, dovrebbe ca- senza ipocrisie e inutili infingimenti.
Villa Cora In questo senso, mi sento di poter dire: evviva l'essenzialità anche in cucina!". Che tipo di ospitalità predilige? "Non mi dispiacciono gli hotel con una buona proposta di ristorazione: dopo anni in cui venivano ignorati, oggi il ristorante d'albergo si sta decisamente riscattando, al punto di essere diventato una sorta di tipologia di offerta forse anche troppo modaiola. Se devo scegliere dove soggiornare, al primo posto metterei luoghi come il Santa Rosa, il monastero più bello del mondo, sulla costiera fra Amalfi e Conca dei Marini". E su in fronte, diciamo, più accessibile? "Adoro l 'eleganza della semplicità, come a La Commedia della Pentola, a Lu Monferrato, in Piemonte. A Firenze mi piace scendere a Villa Cora: mi sentirei di consigliarlo a chiunque". E della ristorazione di oggi, cosa pensa Maria Elena? "La cucina dovrebbe rispecchiare il luogo in cui sei e in cui ti trovi: il territorio va rispettato e la clientela, soprattutto internazionale, pretende coerenza e rispetto della tipicità e delle tradizioni. E dove non è possibile rispettare le tradizioni locali, mi piacerebbe contare su proposte che rappresentano il meglio possibile, ovviamente di altre aree, purchè di produttori seri e appasionati". Un difetto che ha riscontrato in recenti esperienze? "Generalmente non posso esprimere pensieri negativi, anche se forse la ristorazione, non solo quella media ma spesso anche la alta, soffre di un male abbastanza diffuso, che consiste nella mancanza di attenzione per i dettagli. Ecco perché i comportamenti del personale sono fondamentali, a cominciare dai camerieri, che possono addirittura essere più importanti dello chef... . Infatti, la loro funzione è delicatissima: saper proporre, vendere, relazionarsi, creare l'atmosfera giusta e creare il feeling con il cliente è uno dei fondamentali di ogni attività. Andare
Monastero Santa Rosa
in un ristorante meraviglioso e imbattersi in un cameriere scortese o, forse peggio, affettato, non va bene. E poi ho anch'io le mie piccole 'manie'! Per esempio ai buffet non mangio mai perché è roba già fatta, pronta non sai da quanto tempo... . Nei luoghi delle proginj, adoro Punta Tragara a Capri, dove amo anche la cucina schietta della Taverna a'Mmmare, un luogo-rifugio per me e per mia famiglia... Non mi piacciono i business hotel. Voglio accoglienza personalizzata, intima familiare calda...". E il caffé? "Su questa materia sono particolarmente esigente, meglio il ristretto oppure, se è possibile, mi piacerebbe gustarlo fatto direttamente con la moka, secondo tradizione, come una volta, quando stile e buon gusto regnavano sovrani. E la semplicità dei comportamenti dominavano la scena e faceva la vera differenza.
La Commedia della Pentola
Punta Tragara
Artù n°60
63
Pagine a cura della redazione di
Arriva l’invasione degli Ultra-Cibi I semi, questi-sconosciuti Che cos’hanno in comune? Sono tutti particolarmente ricchi di vitamine, minerali e dall'alto potere antinfiammatorio e antiossidante, alleati indispensabili nella lotta al cancro e il tutto in una quantità di calorie relativamente bassa. Ma nella ricerca sui superfood ci sono anche alimenti poco conosciuti in Italia e che vale la pena Nel gourmet e tra i super-chef spopolano ormai gli UltraCibi: semi, alghe, bacche. Ingredienti “marziani”. Ma i cuochi dei grandi ristoranti li usano sempre di più. Sono una nuova moda che arriva direttamente dall’America. Dove gli Ultra-Cibi sono considerati miracolosi alimenti. Li chiamano “Superfood”. Nella top ten troviamo semi di tutti i tipi (lino, chia, maca), le sempre più onnipresenti bacche di Goji; anche un più banale yogurt ma solo quello greco, ricco di sostanze probiotiche, calcio e potassio. Gli altri yogurt, in America, sono solo una crema dolciastra priva di fermenti lattici; ma anche più banali le uova che se mangiate ogni mattina aiutano a introdurre meno calorie nel resto della giornata senza incidere sul livello del colesterolo come sostiene Elizabeth Ward, autrice di un libro dal titolo che la dice lunga, “Guida tascabile per idioti alla nuova piramide alimentare”; frutta secca, ricca di fibre, proteine e antiossidanti, di cui il vero americano salutista non può fare a meno, purché non si esageri nella quantità raccomandano i nutrizionisti; la quinoa, seme di origine andina ma utilizzato come cereale e sempre più diffuso anche in Italia; broccoli, una delle verdure più diffuse in Usa ricca di vitamina A, C e K; patate dolci americane, che qui sono arancioni e quindi ricche di vitamina A; e ancora kiwi, legumi, salmone. Infine tutta la famiglia delle bacche, come mirtilli, more e lamponi, eccezionali antiossidanti.
64
Artù n°60
Semi di Chia in cucina A colazione Aggiungere un paio di cucchiaini ai cereali; macinare i semi e aggiungerli nel latte caldo per un porridge. Pranzo o cena Aggiungerli crudi all’insalata o tostarli e utilizzare la granella per insaporire zuppe e minestre. Dessert Tenere in ammollo in un succo di frutta per quindici minuti: i semi svilupperanno un gel che addenserà la preparazione trasformandola quasi in budino. Bevanda antifame Lasciare in ammollo un cucchiaio di semi in 300 cc di acqua. Aggiungere del succo di lime o di limone. Il gel ottenuto rallenta la digestione e l’assorbimento dei carboidrati, rende sazi più a lungo e impedisce il cosiddetto “picco glicemico”.
libido, procura energia e resistenza e contribuisce a contenere i livelli di stress. Insomma, mai più senza. Grande successo anche per i Chia Seeds, i semi della pianta erbacea originaria di Guatemala e Messico nota anche come salvia hispanica. Sono un concentrato di fibre, potassio, calcio, ferro, fosforo e magnesio ma non mancano nemmeno vitamina C, omega 3 e 6, acidi grassi e antiossidanti. Messi a mollo, creano una gelatina che è un toccasana per chi ha l'intestino pigro.
Semi di Chia, la forza degli Aztechi sulle nostre tavole Si dice che i guerrieri aztechi traessero dai semi di Chia la forza per vincere le battaglie, o che li usassero come rimedio contro le infiammazioni e le infezioni. “Chia” in azteco significa proprio “forza”. Ma dove derivano tutte queste proprietà benefiche? Per cominiciare sono molto ricchi di vitamina A, B e C, inclusa la vitamina B6 e B12 che rendono questi semi interessanti a chi segue un’alimentazione vegana o vegetariana. Grazie a queste proprietà sostengono e rinforzano il sistema nervoso che sarà ben nutrito aumentando la capacità di concentrazione e diminuendo l’ansia. Contengono proteine, fibre e in minima parte carboidrati. I semini contengono inoltre un’importante quantità di acidi grassi essenziali come l’omega 3 e l’omega 6. Il contenuto di acidi grassi essenziali è superiore al 20% in peso e il contenuto di omega 3 è 8 volte superiore a quello del salmone. È davvero sorprendente: i semi di Chia analizzare meglio nel dettaglio. Pur es- da questo punto sendo naturali, si trovano solo i negozi di vista specializzati. Tra questi impera la Maca, polvere ottenuta da una radice peruviana che sembra avere un incredibile potere di riequilibrio ormonale, in presenza di sindrome premestruale o sintomi da menopausa, agisce positivamente sulla fertilità maschile, aumenta stamina e
possono essere considerati un sostituto del pesce. Contengono anche molti minerali. Una nota importante riguarda la biodisponibilità del calcio che è maggiore nei semi di Chia rispetto a quella del latte di mucca. Il ferro, inoltre, è tre volte superiore rispetto a quello contenuto negli spinaci mentre il magnesio è più di 10 volte superiore rispetto a quello contenuto nei broccoli, sempre a pari peso. Il contenuto di sali minerali nei semi di Chia, unito a quello di aminoacidi e di vitamine, contribuisce a fornire all’organismo un ottimo livello di energia. Dal lino alle alghe, ce n'è per tutti i gusti A seguire i semi di lino, che esistono da tempo anche in Italia, ma che raramente entrano nella dieta quotidiana. In America vengono consumati in insalate o con i
cereali al mattino oppure li si può trovare tostati da consumare come snack. Perfetti perché contengono l’esatta proporzione tra omega 3 e 6 di cui ha bisogno il corpo umano. La spirulina è un altro superfood dal nome esotico che sta riscuotendo sempre più successo. Si tratta di un’alga proveniente da laghi salati e da acque alcaline, contiene oltre il 65% di proteine, abbonda di ferro, antiossidanti, vitamina A, omega 3 e 6 e aiuta nel recupero di forza ed energie in quanto facilita l’assorbimento di nutrienti da parte del corpo. Ma oltre alla spirulina, consumata per lo più sotto forma di polvere, sempre più popolari sono anche le insalate di alghe, non più disponibili solo in ristoranti giapponesi o sushi bar, ma anche in supermercati e tavole calde. Ciò per le stesse ragioni che rendono preziosa la spirulina:
Bacche: elisir di lunga vita a colazione Bacche di Goji Ricche di flavonoidi e beta-carotenoidi, ma anche vitamine C e del gruppo B, aminoacidi, minerali tra cui il calcio, magnesio, selenio e rarissimo germanio. Bacche di Schisandra Contengono lignani che appartengono alla classe dei fitoestrogeni. Sono un potente tonico generale, diminuiscono la fatica, combattono lo stress, migliorano le prestazioni fisiche.
sono ricchi di antiossidanti e degli indispensabili omega 3 e 6. Ma servono davvero? Tuttavia, di recente, i più pratici britannici hanno messo in guardia contro le lusinghe del mercato americano. Il verdetto: non esistono superfood o alimenti dal potere miracoloso e anti-cancerogeno. Secondo il Centro britannico per la ricerca sul cancro, solo una dieta varia e bilanciata può davvero aiutare nella prevenzione del cancro smontando così chi si fa scorpacciate di
broccoli o spende una fortuna tra polveri di maca e spirulina. Di sicuro la varietà non guasta mai e se un cibo vi piace e pensate pure che vi faccia un gran bene, perché non abbandonarsi a un puro piacere gastronomico-salutista? E, se li trovate, avventuratevi come me tra i superfood più insoliti per testare quale sia la reazione del vostro corpo. Da sempre, il miglior test. Seguiteci anche su www.corporesanomgazine.it
Bacche di Acai Ricche di polifenoli (potenti antiossidanti), agiscono contro i radicali liberi, proteggono il cuore e sono disintossicanti.
Artù n°60
65
accueil
Al Caffè Baglioni del Carlton Senato
di fare mi ricorda quello di certi direttori di giornale del passato. InnaCondotto egregiamente dal General morati del loro lavoro, attenti ai minimi Manager Eugenio Rigo, direttore di dettagli della professione, capaci di lungo corso, il cinque stelle milanese motivare i collaboratori, in una parola: punta sempre più su clientela raffinata aziendalisti fino al midollo. Avevo già ed esigente e si attrezza per riceverla avuto modo di apprezzarne le doti al al meglio. Il Baretto, icona dell’offerta Metropole di Venezia, poi al Due Torri di ristorazione, e il Caffè, recente- di Verona, o in Franciacorta, quando mente ristilizzato, sono - insieme alla lo incontrai - prima all’Albereta poi al Relais di Cortefranca - e ne colsi l’anispa - i cardini della struttura. mo instancabilmente positivo. E ritroRitrovare Eugenio Rigo alla guida del varlo a Milano, appunto, è una garanzia. Carlton Hotel Baglioni è, come dire, Per il gruppo ma anche per la città, rassicurante. Rigo, oggi General Ma- che si appresta a sfide complesse e nager del cinque stelle milanese di impegnative. via Senato, dopo esperienze prestigiose Fiore all’occhiello del Gruppo Baglioni in altre strutture (una per tutte, il (www.baglionihotels.com), il Carlton Relais Santa Croce a Firenze, sempre Senato è molto apprezzato a Milano, Baglioni, v. Artù n.54). è un grande oltre che per l’eccellenza delle proprie professionista dell’offerta alberghiera, proposte, per l’accoglienza personauno di quei direttori che il mestiere lizzata all’ospite (garantita da un conce l’hanno nel sangue: il suo modo cierge molto bravo, Andrea Vendramel, di Alberto P. Schieppati
66
Artù n°60
e avvalorata da una Guest relations davvero professionale, Sara Massone) e per una spa con wellness di rara efficienza-eleganza, anche per la presenza del Baretto, il suggestivo locale-icona che è entrato nella storia della ristorazione milanese. Con ingresso da via Senato ma anche da via della Spiga, il ristorante è una vera e propria istituzione per la città: e non a caso, perché, varcando la soglia del Baretto, ci si sente avvolti nell’atmosfera di un club inglese dei primi del Novecento: un luogo superesclusivo, nel quale molti uomini d’affari (ma non solo) si incontrano per confrontarsi e discutere amabilmente dopo la frenesia di una giornata all’insegna di appuntamenti e riunioni di lavoro Il Baretto del Baglioni, ormai da tempo riferimento indiscusso per il cosiddetto jet-set (possiamo ancora chiamarlo così?) e non solo, propone una cucina classica, di impronta tradizionale, eseguita dallo chef Marco Castello, estremamente attenta alla qualità delle materie prime e particolarmente apprezzata per la corretta quantità presente nel piatto (e diciamolo, una buona volta!)
“Un’istituzione nell’istituzione”, sottolinea Eugenio Rigo, perfettamente consapevole del valore del connubio fra il ristorante e l’hotel. “Inoltre, il Baretto può contare anche sullo spazio attiguo, quello occupato dal Caffè Baglioni, divenuto a suo volta luogo di incontro privilegiato per una clientela particolarmente esigente. Non dimentichia-
moci che siamo nel quadrilatero della moda, fatto che richiama una tipologia di clientela estremamente attenta alla qualità delle proposte”. Eugenio Rigo è particolarmente orgoglioso del Caffè Baglioni: a disposizione degli ospiti c’è la grande professionalità di barman attenti e pronti a esaudire le richieste dei clienti: lo spazio è stato oggetto di un sapiente restyling, curato da un noto studio di architettura milanese, che ha dato vita ad un ambiente dall’anima Art Deco, rivisitato in chiave contemporanea. La ristrutturazione ha contribuito a fare del Caffè Baglioni un unicum dell’offerta milanese, tale da essere ormai meta di una clientela raffinata ed esigente, alla ricerca di un ambiente di forte caratterizzazione: “La clientela cerca esclusività, e noi dobbiamo essere sempre in grado di offrirgliela. Non soltanto con la qualità dei prodotti ofArtù n°60
67
accueil
ferti, ma anche con un ambiente ed un’atmosfera all’altezza delle aspettative. Lampadari artistici e specchi impreziosiscono la location, sottolinea il General Manager, insieme ad una particolarità inedita: filati in rame, realizzati per la prima volta al mondo (dall’azienda SoFarSoNear), rivestono le pareti, il cui tema decorativo è una partitura originale del pianista e compositore di musica classica e contemporanea Daniele Lombardi”. Una cornice di connotata originalità, che rafforza il valore dell’offerta complessiva del Carlton Baglioni e ne fa una meta in grado di competere al meglio con lo scenario dell’offerta cit-
68
Artù n°60
tadina, sempre più agguerrito e competitivo: la sfida dell’Expo 2015, ormai alle porte, mette il sistema alberghiero cittadino nella condizione di dover sopperire anche alle croniche mancanze del sistema metropolitano, trasformando ogni singolo hotel in una sorta di “magione dorata” che ponga al riparo dalle problematiche negative. La speranza è che gli organizzatori di Expo 2015 e gli amministratori cittadini sappiano cogliere le esigenze di modernità del movimento turistico internazionale e, senza demagogia né ipocrisie, sappiano collaborare al meglio con gli attori dell’offerta di ospitalità. Non c’è molto tempo da perdere…
dal mondo
Chef Renaissance il caso di
Anversa
70
Art첫 n째60
di Gualtiero Spotti Ne avevamo già parlato qualche tempo fa e anche un congresso importante come Identità Golose aveva puntato l’attenzione, nel corso della sua ultima edizione, sulla vivacità gastronomica in atto nella regione belga delle Fiandre. Ancor più che nella capitale Bruxelles, che conta su una serie di indirizzi a onor del vero piuttosto tradizionalisti, è la provincia a riservare le sorprese maggiormente interessanti e stimolanti per chi ricerca l’innovazione, per chi è curioso di scoprire un territorio nel quale si può andare oltre il cioccolato, le birre e le patate fritte.
per andare alla ricerca del recente rinascimento gastronomico belga è Anversa, una città dal centro storico importante e spettacolare e con attrazioni moderne dettate dell’architettura e dal mondo della cultura. Una meta da segnare con la matita rossa per tante ragioni, e tra queste figura la visita ad alcuni ristoranti di assoluto pregio, capaci di farsi notare negli ultimi tempi. Si può partire, ad esempio, con una visita al Döme del cuoco francese Julien Burlat, arrivato in città per amore e stabilitosi definitivamente nel 2002 con l’inaugurazione del suo ristorante ricavato in una singolare costruzione a cupola che, originariamente, era una stazione della polizia. Il Dôme - l’architettura della sala giustifica ampiamente il nome - è il classico ristorante elegante e romantico, con una cucina raffinata e di grande intensità interpretativa dove va in scena una grandeur francese mediata dall’utilizzo di ottimi prodotti internazionali e molto “fresco” locale. Da provare le cosce di rana con profumo di liquirizia e insalata di cecina, il baccalà con asparagi bianchi e crumble di bacon, e il granchio con finocchio, riduzione di pesce e rabarbaro.
Giusto per restare tra i luoghi comuni di chi mette piede nel territorio “piatto” cantato da uno dei più illustri rappresentanti della canzone belga, Jacques Brel. Un po’ Francia e un po’ Mitteleuropa, con influenze nordiche e un diffuso buon gusto per il cibo di qualità (le Fiandre sono con tutta probabilità l’area a maggior concentrazione di stellati Michelin in Europa), la regione nord del Belgio offre percorsi gourmet decisamente inaspettati. Anche solo visitando le città di provincia più importanti. Continua, e non potrebbe essere diversamente l’influenza della vicina Francia, ma si ricerca uno stile e un approccio alla cucina più personale. Uno degli esempi migliori Artù n°60
71
dal mondo
(in Olanda da Jonnie Boer, ma anche dai fratelli Roca e a El Bulli in Spagna), Dave De Belder ha aperto De Godevaart sei anni fa. All’inizio si è lasciato prendere la mano dall’emergente cucina molecolare, ma poi ha rivisto il suo stile scegliendo di muoversi su cotture molte corte, sviluppando più profumi e sapori, e lasciando perdere quella materia prima che deve sempre viaggiare troppo a lungo (per questo non usa il tonno, ad esempio). In sala, a servire in tavola piatti delicati ed esteticamente perfetti, si muovono algide ragazze la cui presenza è quasi impercettibile, ma la cui avvenenza va di pari passo con la delizia di piatti quali le sardine con avocado, asparagi, wasabi e arancio, le triglie con ostrica, salsa bernese e cetriolo, o il Oppure affidatevi semplicemente alle foie gras accostato all’ananas passato scelte del cuoco, che presenta una al bbq, con formaggio di capra e pepe “Carta Bianca” ricca di sorprese pescando talauma. Un tocco sorprendente, interanche nel menu di tutti i giorni. In nazionale e stilisticamente eterogeneo, cantina gli amanti del buon bere trove- forse completato negli ultimi anni dalranno una serie di vini biologici (per i l’accresciuta esperienza ai fornelli del quali, ormai, nel nord Europa c’è una suo ristorante Cara&Co in quel di Sydney, spiccata predilezione), con etichette in Australia, aperto in un grande centro scelte per il giusto incontro con i piatti. commerciale. De Godevaart è uno dei riSe poi volete una serata in un locale storanti emergenti da non perdere se si meno formale, dall’altra parte della strada si può entrare nel Dôme sur Mer, un bistrò moderno dove si mangia ottimo pesce in un ambiente più giovanile e frizzante. Entrambi i ristoranti, così come la vicina panetteria, sono sempre sotto l’ala protettrice di Julien Burlat. Più centrale, ma non meno elegante è il De Goodevart del tatuatissimo cuoco Dave De Belder. Appassionato di musica, come si evince dai quadri di jazzisti che riempiono il suo ristorante, curioso per natura e dai trascorsi lavorativi importanti
72
Artù n°60
passa da Anversa, in attesa che, nel giro di un paio di anni, si sposti di qualche metro, nella via perpendicolare, dove Dave De Belder vuole allestire una cucina più grande e aprire un piccolo albergo. Se poi la Francia rimane per voi a tavola un punto di riferimento essenziale, cui non potete fare a meno, diventa essenziale far tappa per un pasto da Marcel, un ristorante non troppo distante dal Mas, il museo d’arte moderna cittadino. L’ambiente è accogliente e da tipica brasserie parigina, con memorabilia Ricard un po’ ovunque, specchi retrò e clientela raffinata. La cucina proposta
da Dave De Croebele invece gioca su due livelli diversi, ma complementari. La consistenza e l’intensità dei sapori di piatti generosi, come nel caso dello sgombro con patate, fagioli, acciughe e uova, oppure del pollo “Label Rouge” con verdure di stagione, maionese, dragoncello e patate. E poi l’ispirazione e la creatività inaspettata con il raviolo aperto con guancia di vitello brasata, asparagi, chermoula, rucola, parmigiano e tartufo estivo, e gli esotismi dell’insalata con bacon, gamberetti Nobashi e un chutney di cipolla, zenzero e coriandolo. Non sono piatti per chi ha lo stomaco
Artù n°60
73
dal mondo
delicato, sia ben chiaro, ma denotano la grande passione del cuoco per l’incrocio dei sapori, uscendo dai cliché e, a volte con qualche azzardo di troppo. A rendere più leggera la sosta ci penserà il servizio ai tavoli, discreto e attento in ogni istante alle esigenze del cliente. Un cuoco in città che, per certi versi come il precedente, predilige la cucina di “resistenza”, è Seppe Nobels del Graanmarkt 13, situato nell’omonima piazza. Bisogna scendere di un livello, sotto terra, e si apre ai vostri occhi un ambiente da serata post teatro viennese, con illuminazione e stile Secessionista, camerieri in tenuta classica e la vivacità di un clientela a parte, capitata qui non per caso. La pausa pranzo è il momento più interessante per vivere l’esperienza di un pasto. Con piatti di verdure freschissime che si alternano a preparazioni
74
Artù n°60
di carne eccellenti e monoporzioni dedicate a singoli prodotti. Così si può scegliere di assaggiare il Jambon de Paris Mangalica o il formaggio Wollebool, le Ostriche del Mare del Nord o i carciofi. Sono piatti che vengono catalogati come apertivi, ma che hanno la consistenza e i contenuti del piatto di portata. Seppe Nobels, cui non manca una certa verve tra i fornelli, è una specie di fuoriserie in un ristorante dallo stile consolidato, che solo recentemente ha saputo virare verso scelte più moderne. Lo stesso cuoco ha introdotto novità come il simpatico orto pensile in una piccola terrazza esterna e un’arnia per raccogliere il miele da utilizzare poi in cucina. Decisamente più innovativa è invece la proposta di Jo Bussels, il cuoco del Radis Noir, che recentemente ha reinventato lo stile del suo ristorante prima ribattezzandolo Ingredients, giusto per sottolineare l’im-
portanza della materia prima utilizzata e la possibilità di acquistare i prodotti (anche italiani) nel piccolo negozio che introduce alla sala ristorante. E poi con una mano piuttosto volitiva in cucina si è messo a reinterpretare piatti classici in chiave più attuale. La tartare di vitello con arance e capperi, piuttosto del luccioperca con salicornia e limone o, ancora, la zuppa di Saint Jacques e speck sono interessanti variazioni capaci di far discutere e aprire un dibattito al tavolo. Anche nei confronti della clientela locale meno avvezza alle novità, che poi, se non se la sente di sperimentare nuovi sapori, può sempre scegliere gli asparagi alla flamande o la carne francese del piccione di Anjou e dell’Entrecôte Limousine. Bella la cucina aperta e a vista sulla sala, con i cuochi che sezionano tutto al momento, e l’unico limite di un ambiente a dir il vero un po’ Artù n°60
75
dal mondo
troppo piccolo, quasi da tasca portoghese. L’ultimo appuntamento, quello per i golosi, è nel parco botanico di Leopoldstraat, per un dolce da Het Gebaar e l’incontro con il cuoco mediatico Roger Van Damme. Il ristorante è in realtà una specie di deliziosa sala da te in una vecchia casa di stampo medievale, che al piano terra ospita i tavoli in due sale separate, mentre al primo piano la cucina e la pasticceria. Si perché in realtà, in questo locale con una stella Michelin un po’ atipico (è aperto dalle 11 della mattina fino alle 18 e non oltre) si viene soprattutto per le creazioni dolci, pur disponendo, Het Gebaar, di un menu che contempla anche altri piatti. Il background di Roger Van Damme però è legato alla panetteria e alla pasticceria e il luogo è tra i più frequentati dalle signore bene di Anversa, magari per uno spuntino pomeridiano o una semplice pausa caffè. Per pernottare con stile, in un ambiente da puro design c’è infine
76
Artù n°60
un indirizzo da segnare sul taccuino, quello dell’Hotel O, nel vivace quartiere Zuid. Si trova in una delle aree della movida serale, tra locali etnici che spaziano dall’asiatico all’arabo (falafel, hummus, kebab sono tra i piatti più gettonati), bar frequentati da artisti, discoteche e ristoranti per tutti i generi eper tutte le tasche. All’interno dell’Hotel ci sono stanze tematiche di diverse dimensioni e colori, spazi minimalisti e comfort da viaggiatore metropolitano moderno. Non c’è un ristorante, come spesso accade per i Design Hotel, ma la colazione è comunque prevista alla Brasserie Nero, ospitata al pianterreno. www.domeweb.be www.degodevaart.com www.restaurantmarcel.be www.graanmarkt13.be www.ingredients.be www.hetgebaar.be www.hotelhotelo.com
dal mondo
Festival
Vila Joya Unico e irripetibile
78
Art첫 n째60
di Gualtiero Spotti Il Festival gourmet di Vila Joya ha spiccato il volo ormai da qualche stagione e si presenta sul mercato internazionale, ormai fittissimo di eventi legati al mondo del food, come momento assolutamente esclusivo e imperdibile. Svariati i motivi del successo di questo evento, che esalta in modo concreto la figura dello chef, partendo da materie prime utilizzate e ingegno impiegato nelle esecuzioni. La ragione principale è sostanzialmente quella di aver raggiunto in breve tempo lo status del festival più ricco di cuochi stellati, tra i tanti organizzati in giro per l’Europa (e forse nel Mondo), con la formula easy della cena-evento, senza convegni, dibattiti e troppe chiacchiere intorno al cibo. Che non mancano, certo, ma rimangono circoscritte ai pochi invitati addetti ai lavori, i quali hanno il piacere di visitare le cucine prima, durante e dopo il servizio in sala, e di intrattenersi con gli chef per scambiare opinioni e curiosità. Nell’edizione 2013, spostatasi dal mese di gennaio a quello di novembre senza colpo ferire, visto che l’Algarve, la regione Artù n°60
79
dal mondo
in Portogallo dove si svolge il festival, vive il suo periodo di bassa stagione, ha offerto, come al solito, grandi motivi di interesse. Bastava scorrere la lista dei cuochi partecipanti, presenti a Vila Joya nei giorni dal 5 al 17 novembre per rendersene conto. Con, in più, va detto, qualche gustosa novità rispetto al già ricco evento targato 2012. Giunto alla sua settima edizione, il festival ha innanzitutto ampliato i suoi orizzonti costituendo una interessante joint venture programmatica con l’hotel Conrad a Quinta do Lago, a circa mezz’ora di macchina da Vila Joya. Qui si sono svolti alcuni degli eventi clou, a partire dai pranzi (non previsti nelle passate edizioni) che hanno coinvolto lo chef resident e molti ospiti. Heinz Beck, che qui ha aperto uno dei suoi ristoranti da esportazione (chiamandolo Gusto), ha così incrociato le padelle con alcuni dei migliori cuochi portoghesi (Vincent
80
Artù n°60
Farges, Ricardo Costa, Benoit Sinthon, Leonel Pereira), ma anche con Enrico Cerea giunto da Bergamo per portare il nome di Vittorio in Portogallo, e con Gaggan Anand, Khun Kla e Marco Westmaas, tre dei cuochi più celebrati per la cucina thai. L’impronta etnica e globale della manifestazione si è fatta vedere anche grazie alla presenza di cuochi di gran nome che non è così facile incontrare nel nostro continente. A Vila Joya, per le cene previste, sono transitati i brasiliani Rodrigo Oliveira del Mocotò, Tsuyoshi Murakami (un giapponese, certo, ma con il miglior ristorante asiatico del Sudamerica) e Jefferson Rueda del ristorante Attimo, cui si sono aggiunti dall’Estremo Oriente David Thompson dell’ultrapremiato Nahm, Ian Kittichai dell’Issaya e Hervé Frerard del Beaulieu di Bangkok. Solo questi bastavano a rendere l’evento grandioso, ma vale la pena ricordare che tra le cene di Vila Joya distribuite nei giorni del festival non sono mancati personaggi come Joan Roca (e El Celler de Can Roca è il miglior ristorante al mondo per la lista dei 50 Best), Pascal Barbot, Gert De Mangeleer, Bjorn Frantzen, Ron Blaauw, Jonnie Boer, Quique Dacosta e Klaus Erfort, solo per citare i più conosciuti. Difficile davvero chiedere di più. Lo staff del ristorante, poi, guidato impeccabilmente dalla coppia formata da Dieter Koschina e Matteo Ferrantino (titolari di due stelle Michelin a Vila Joya), ha sempre saputo imbastire serate deliziose e di gran classe. Tra i piatti che sono rimasti nella memoria vale la pena citare l’Avocado con polvere di pomodoro e olio d’oliva del belga Gert De Mangeleer, lo Scampo con cocco, lima de keffir e tè principe di Marco Westmaas e Khun Kla, il Palmito fermentato con caviale di trota di Jefferson Rueda e il Porco “braseado” con fave pernambucane e verdure di stagione del brasiliano Rodrigo Oliveira, ma la lista delle emozioni sarebbe ben più lunga. L’ultimo degli eventi, a conclusione della manifestazione, ha visto il ristorante di Vila Joya animarsi per una cena “in piedi”. Così, gli ospiti Artù n°60
81
dal mondo
hanno piacevolmente scorrazzato tra la sala e la cucina, dove erano state allestite tredici diverse postazioni. E in ognuna di queste un cuoco ospite della serata, denominata Koschina & Friends, ha preparato un suo piatto speciale. Anche in questo caso non sono mancate le sorprese, con i Paccheri alla Vittorio di Enrico Cerea, gli Agnolotti al tartufo di Alba di Mario Lohninger, il Paté d’oca con mais e formaggio di capra di Andreas Caminada, e l’omaggio porto-
82
Artù n°60
ghese del Baccala con salsa caldeirada di Matteo Ferrantino. Solo per citare alcuni dei piatti in stile finger food che hanno deliziato i presenti. Non c’è davvero da stupirsi che l’ospite in arrivo a Vila Joya sia accolto alla reception dall’ormai classica frase “Welcome to Paradise”. Il boutique hotel portoghese è ormai diventato una destinazione da fini gourmet, che si ritrovano per una dozzina di giorni a deliziare il palato e a crogiolarsi nel clima mite dell’Algarve, con vista sull’Oceano Atlantico e le spiagge a portata di mano.
libri
Cannavacciuolo e Barbieri L’importanza della salute
Titolo: In cucina comando io Autore: Antonio Cannavacciuolo Editore: Mondadori Anno: 2013 Pagine: 167 Prezzo: 16,90 €
Titolo: Nichel. L'intollerenza? La cuciniamo! Autori: Tiziana Colombo Editore: Silvana Editoriale Anno: 2013 Pagine: 287 Prezzo: 20,00 €
Titolo: Squisitamente senza glutine Curatori: Bruno Barbieri Editore: Bibliotheca Culinaria Anno: 2007 Pagine: 144 Prezzo: 38,00 €
Titolo: Esportare e vendere negli Stati Uniti. Come entrare con successo nel mercato più grande Autore: Lucio Miranda e Muriel Nussbaumer Editore: Hoepli Anno: 2013 Pagine: 184 Prezzo: 18,00 €
Cuochi si nasce, chef si diventa Ed è proprio il leit motiv seguito dal libro che porta la firma del famoso chef Antonio Cannavacciuolo. L’introduzione, di Gianluca Biscaldin, lascia spazio al grande genio, quel bambino goloso di ragù diventato un grande chef, nonchè patron di Villa Crespi. Nella sezione "Cuochi si nasce" si percorre un viaggio tra "La cucina di casa", "Le ricette del mare" e "I sapori della tradizione", con ricette, consigli e qualche informazione in più sulle materie prime e sui piatti più "veraci", piatti nati dalla ricerca "ossessiva" della bontà intrinseca del cibo, rassicurante incontro tra rigore nella scelta degli ingredienti, equilibrio nel gusto e pienezza del piatto. Inoltre, per noi motivo di soddisfazione, il direttore di Artù è citato nel volume come il vero “diffusore” del valore di Tonino, già una dozzina di anni fa. La sezione "Chef si diventa" si divide tra "Nuove prospettive" e "La ricerca di oggi", un bilancio sulle proprie esperienze di vita, un incontro con il Piemonte che regala a Cannavacciuolo la possibilità di attingere a piene mani nei prodotti straordinari di questa terra.
L’arte di unire la salute al gusto È questo l'obiettivo che si è posta l'autrice del libro, dopo aver scoperto l'intollerenza al nichel presente in alcuni cibi. Nel volumetto sono ben 111 le ricette, con consigli pratici e testati, che mettono d'accordo il gusto con la salute. Antipasti, primi, secondi, piatti unici e torte salate, contorni, frutta e dolci, impasti base, salse, sughi e condimenti, marmellate e confetture...insomma, un vademecum completo di ricette - in alcuni delle quali ci si imbatte nel post scriptum "non tutti sanno che..." - rigorasamente appetitose, ma prive di cibi che contengono nichel. Ampie infatti sono la prefazione e le informazioni - di assoluta necessità - sulle intolleranze e allergie al nichel. A cui segue un piccolo excursus sugli alimenti, con tanto di tassello a piè pagine a indicare se un alimento è "permesso" o "vietato". La nuova "Bibbia" per gli intolleranti al nichel esiste, un prezioso volume che può risolvere con ricette gustose un problema che colpisce sempre più persone.
Celiachia: ricette stellate La celiachia colpisce più di 50.000 persone in Italia. Un problema che diventa tale soprattutto quando il celiaco deve pranzare o cenare fuori casa. Molti locali si stanno attrezzando, ma non è ancora abbastanza. Tanto che il problema è stato "preso a cuore" dal pluristellato chef Bruno Barbieri, che al limite imposto dalle ricette per i celiaci, ha risposto con la creatività. Uno sfida che lo ho portato alla creazione di piatti non solo senza glutine, ma "squisitamente senza glutine". Il risultato? 50 ricette, con tanto di belle immagini, tutte da provare! Il volume è inoltre corredato da testi redatti dalla dott.ssa Lucia Raina che spiegano e illustrano l'intollerenza e l'allergia al glutine, con consigli utili per evitare contaminazioni, cibi proibiti o permessi, problemi legati alla patologia. Le ricette rappresentano una vera e propria occasione di arricchimento, anche per chi non presenta il "problema celiachia": dai classici antipasti e primi, dai secondi ai dessert, fino a quei piccoli stuzzuchini "fuoriorario", e naturalmente le ricette base.
L’export per uscire dalla crisi Otto casi reali di successo, consigli pratici su sdoganemanto, costi di logistica, documentazione, note sul sitema legale negli Stati Uniti e tanto, tanto altro. Con un capitolo tutto dedicato al settore alimentare, in particolare a quello del vino, per il quale l'Italia è già il primo paese esportatore. L'export, in poche parole, è rimasta la sola fonte di crescita per le imprese italiane, ma qui non si parla dell'export in generale, ma del mercato degli Stati Uniti dove, come spiegano gli autori del libro, esiste un sistema giuridico imparziale, poca burocrazia, regole di diritto certe, servizi sviluppati e una logistica impeccabile. In dettaglio il libro offre una panoramica degli elementi chiave e necessari da conoscere per impostare una strategia di ingresso negli USA, analizzando le "questioni pratiche" con sottile analisi del sistema americano. A chiudere il cerchio le interviste ad alcuni imprenditori italiani che negli "States" hanno creato il loro business con successo.
84
Artù n°60
secondo Alberto
Memorabile Bianca e un Palma da scoprire BIANCA VIA PANIZZA 10 20144 Milano 02 45409037 www.spaziobianca.it
Folgorati da una cucina lineare, pulita, di ben caratterizzato impianto gustativo. Potremmo definire con queste poche parole il risultato della recente esperienza da Bianca, visitato per la terza volta nell’arco degli ultimi tre anni. In effetti, ci siamo trovati davanti a una cucina coraggiosa e concreta, formidabile nel tocco creativo, moderna nella scelta delle materie, luminosa nella composizione dei piatti: Andrea Rottigni, l’executive chef, affiancato dal bravo e appassionato Federico Digiuni, è un giovane professionista che - a giudicare dai risultati - ha un futuro sicuro: intanto, ha un presente radioso che ha portato lui e i suoi piatti a meritare il massimo delle valutazioni di Artù: il cervello incoronato, un simbolo che ha finora trovato ben pochi riscontri sulle nostre pagine. Accolti nell’ampia sala (semplice, essenziale, vagamente postmoderna ma elegante e intima nella sua pulizia formale) da una giovane e gentile maitre, siamo stati abilmente portati dentro a un viaggio (ragionato) di sapori, colori e consistenze memorabili. Ma ecco le tappe di questa esperienza, in cui mi è stato attento compagno Aldo Nenzi, gourmet pretenzioso e estremamente critico: capesante scottate su crema di zucca all’arancia con guanciale croccante di Sauris, uova di salmone e patate viola, scaloppa di foie gras, mela e composta di cipolla caramellata (Angelo Paracucchi avrebbe approvato il piatto!), spaghettino alla chitarra fresco cacio e pepe con porri croccanti (memorabile), trancio di black cod arrosto su vellutata parmentier affumicata e cime di rapa. Un crescendo di piatti perfettamente eseguiti e, nonostante la discreta quantità degli ingredienti utilizzati, ben comprensibili nelle caratteristiche di ogni preparazione. Da provare in futuro: il risotto della tradizione allo zafferano con quaglia e vino rosso, il pacchero fresco in salsa di pomodoro
86
Artù n°60
San Marzano con stracciatella di Andria, la mitica parmigiana croccante di melanzane, la cotoletta alta di vitello alla milanese in crosta di pane panko con patate sautè, il galletto disossato alla diavola con crocchette di patate e porri. La maestria di Rottigni e del suo aiuto ha ancora più valore in quanto non indulge furbescamente alle mode culinarie imperanti, soprattutto in una città complessa come Milano. Ma punta decisa alla affermazione di sapori distinti e distinguibili: una cucina buona, appuntita, destinata a chi ama il gusto: ma anche delicata nel suo viaggio, un po' zen, quasi fosse una barca delle upanishad che naviga serena “dentro l’acqua”, senza l’ossessione del punto di partenza o di arrivo. Una cucina che esiste, eccome, e si sviluppa con armonia ed equilibrio. Bravi. Meritate che le guide, soprattutto una, si rendano conto che sulla piazza milanese non ci sono soltanto i “soliti noti”!
PALMA Via Cavour 5 17021 Alassio 0182 640314
Mica facile scrivere di Massimo Viglietti, il patron del Palma di Alassio. Non voglio spaventare chi legge, ma credo che la sua proposta di cucina, decisamente articolata per non dire complessa, sia qualcosa che va al di là della pura attività del cuoco, inteso nel senso tradizionale del termine: l’impegno professionale di Massimo è un valore che travalica il lavoro quotidiano dello chef, per arrivare a rappresentare un fatto culturale, di coinvolgimento intellettuale, di “percorso filosofico” personale, che va condiviso con rigore da parte del commensale. Piaccia o non piaccia, è così. Come se chi siede ai tavoli del Palma si dovesse porre nella condizione innanzitutto di conoscere, poi di imparare, di crescere: un arricchimento trasversale, non una semplice esperienza gastronomica. Una linea, quella di Massimo, che traccia un divario netto fra chi si accontenta e chi, invece, desidera impegnarsi, comprendere, finalmente godere
di una parentesi d’eccezione, che lascia il segno, sempre e comunque. Chi non è mai entrato al Palma, dovrebbe innanzitutto sapere che il locale, fondato nel 1922, è stato gestito fino a pochi anni fa dal grande Silvio, padre di Massimo, un personaggio di cui Alassio (ma l’Italia intera) deve vantarsi per mille motivi. Il “testimone”, raccolto da Massimo, ha sicuramente impresso una svolta al ristorante. Svolta apparentemente introspettiva, in realtà molto profonda. Il viaggio proposto da Massimo Viglietti si snoda dentro a sapori, gusti, storia, storie. Detto così, sembra che ci si trovi di fronte a una proposta evanescente, eterea, concettuale. In realtà, se leggiamo (e gustiamo) il menù denominato “Ciò che deve accadere, accada”, troviamo un susseguirsi di materie prime, ingredienti, preparazioni molto concrete, dai sapori chiari e definiti: la passata di zucchine trombette, seppie crude, pangrattato agli aromi, parmentier di patate viola è un piatto che non si dimentica, così come la ratatouille con coscette di quaglia impanate, magistrali. La cucina di Massimo si muove nel rispetto di stagionalità e andamento climatico, combinati ad una attenta valutazione quotidiana dell’offerta che genera piatti difficilmente replicabili.Vale a dire: se vi piacciono i piatti che avete scelto, dimenticateveli. Non li man-
gerete più: Massimo cambia (almeno) ogni mese i menù del Palma. Questo, che potrebbe essere un neo (spesso si torna in un locale proprio per gustare piatti già mangiati, o quantomeno i piattibandiera), è un segno tangibile della inquietudine di Massimo: sempre in cerca di prodotti nuovi, di materie prime inedite, di presentazioni studiate al millesimo. Godetevi, dunque, l’anatra confit e crema di funghi (ovviamente in stagione) o le pesche alla lavanda, tartare di gamberi, foie gras, riduzione di caramello. O la scorzonera in crema, mascarpone, cioccolato alla cannabis (sì, avete letto bene). E pensate che l’immenso repertorio di piatti concepiti e creati con fantastica creatività non si ferma qui. E vi riserverà altre sorprese. Menù degustazione a 50 e 80 euro. Cantina superfornita con 2.000 e passa etichette.
CONTROVENTO Via Fauché 8 02 33103186 20154 Milano www.ristorantecontrovento.it
Beppe Lamantea non molla mai. Famoso per avere portato al successo al-
LEGENDA Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e ragionevolezza dell’offerta Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza Due corone = Linea di cucina corretta Una corona = Cucina dignitosa e affidabile Corona nera = C’è ancora molto da fare Tre cervelli = Il massimo della ragionevolezza Due cervelli = Ragionevole Un cervello = Abbastanza ragionevole Cervello nero = Scarsamente ragionevole
secondo Alberto
Editore: Edifis S.p.A. Viale Coni Zugna, 71 - 20144 Milano tel 02 3451230, fax 023451231 info@edifis.it - www.edifis.it _______________________________________________________________________________________________________
co lo ph o Direttore editoriale: Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile: Andrea Aiello Redazione: Elisa Facchetti artu@edifis.it
_______________________________________________________________________________________________________
Collaboratori: Fiorenza Auriemma, Denise Battistin, Guido Bernardi, Stefano Bonini, Luisa Contri, Davide Deponti, Simone Filippetti, Beppe Francese, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Isa Grassano, Rocco Lettieri, Alberto Lupetti, Emilio Magni, Gianni Mercatali, Claudio Francesco Merlo, Giovanna Moldenhauer, Aldo Nenzi, Anna Pesenti, Alessandra Piubello, Roger Sesto, Gualtiero Spotti, Theo Smith, Claudio Zeni, Stefania Zolotti _______________________________________________________________________________________________________
Art director: Claudio Rossi Oldrati
_______________________________________________________________________________________________________
Foto: Florian Andergassen (Gewürztraminer), Francesca Brambilla (Niko Romito, food), Sabrina Budon (Carniato Europe), Ennevi Foto (Vinitaly), Francesco Fioramonti (Niko Romito), Filippo Pincolini (Turbigo), Milo Profi (Anversa), Maurizio Ravera (Gavi), Francesco Scipioni (Niko Romito, Casadonna), Serena Serrani (Niko Romito, food), Giulio Ziletti (Gusto in Scena) _______________________________________________________________________________________________________
Stampa: Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (MI)
_______________________________________________________________________________________________________
Progetti speciali: Emanuele Vescovo - emanuele.vescovo@edifis.it Mob. +39 348 7703264
_______________________________________________________________________________________________________
Direzione pubblicità: dircom@edifis.it
_______________________________________________________________________________________________________
Traffico pubblicitario: Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it
_______________________________________________________________________________________________________
Eventi e convegni: convegni@edifis.it
_______________________________________________________________________________________________________
Abbonamenti: abbonamenti@edifis.it
_______________________________________________________________________________________________________
Abbonamenti annuali Italia 30 Euro IVA inclusa - Europa 70 Euro - Resto del mondo 90 Euro
abbonati online con PayPal www.edifis.it conto corrente postale n. 36640209 intestato a: Edifis S.p.A. - Viale Coni Zugna, 71 - 20144 Milano
_______________________________________________________________________________________________________
Costo di una copia: € 5,00 Registrazione Tribunale Milano n.222 del 24/03/2000 Iscrizione Roc n. 6090 del 29/08/2001. Iscritta nel Registro Nazionale della Stampa con n. 5670 del 26/02/1997 _______________________________________________________________________________________________________
Testata associata
Registrazione del Tribunale di Milano n. 222 del 24/03/2000 Iscrizione Registro Operatori della Comunicazione n. 06090 Tutti i diritti di riproduzione degli articoli e/o foto sono riservati. Manoscritti, disegni, fotografie e supporti audio e video anche se non pubblicati non saranno restituiti. Ai sensi della legge 196/2003 l'Editore garantisce la massima riservatezza nell'utilizzo della propria banca dati con finalità redazionali e/o di invio del presente periodico. Ai sensi degli artt. 7 e 10 i destinatari hanno facoltà di esercitare il diritto di cancellazione o rettifica dei dati, mediante comunicazione scritta al responsabile del trattamento presso EDIFIS S.p.A. - Viale Coni Zugna 71 - 20144 Milano, luogo della custodia della banca dati medesima. Il responsabile del trattamento dei dati raccolti in banche dati ad uso redazionale è il direttore responsabile a cui, presso la sede della redazione, Viale Coni Zugna, 71 - Milano, ci si può rivolgere per i diritti previsti dal D.Lgs 196/3.
88
Artù n°60
l’inizio del 2000 la Taverna dei Golosi, regno del “mangiarbene” all’italiana, all’Arco della Pace, non si è mai seduto sugli allori. È sempre sul pezzo e, conclusa la recente esperienza al milanese Vento di via Washington, ha creato il suo - guarda caso - Controvento, ancora in zona Sempione. Un locale di estrema eleganza, dotato anche di una raffinata sala fumoir per gli amanti del sigaro, che punta su una clientela in cerca di esperienze consolidate, al riparo da voli pindarici, con i piedi per terra, ma su una “terra” che offra frutti di collaudata e sicura bontà. L’avrete capito, qui non si rischia l’avventura evanescente e non si esce (come qualcuno diceva una volta) con la fame. Cavallo di battaglia di Beppe è l’offerta tradizionale di piatti regionali, ingentiliti da un tocco di mano creativa, assicurata da uno chef giovane e motivato. Tra le proposte, spiccano tartare e costate di scottona, la inimitabile costoletta di vitello alla milanese, primi piatti di ricerca (molto buoni gli gnocchetti di spinaci con i totanetti) e risotti della tradizione, concepiti secondo stagionalità. Ma un altro vertice dell’offerta del Controvento sta nelle pizze: sottili, soffici, preparate anche con impasto di sfoglia e proposte in più versioni: da provare la fumé, con pancetta affumicata, provola, olio extravergine di oliva. Magistrale la carta dei vini, studiata con attenzione anche nei prezzi, ragionevoli e in linea con le attese della clientela. Notevole anche la proposta di birre “crude”, prodotte da microbirrerie ma anche da aziende capaci di diversificare con intelligenza la propria produzione.
CAMPERIO BASEMENT Via Giulini 6 ang Via Camperio 20121 Milano 02 30322850 basement@camperio.com
Ci voleva il “superbagnino” della Versilia, Roberto Santini (patron dei mitici Bagni Piero di Forte dei Marmi), per aprire a Milano uno spazio simile…. Grazie alla lungimiranza di Roberto e alla intraprendenza appassionata di Leslie Severgnini, oggi Camperio Basement è un luogo rilassante e raffinato, del tutto diverso dai tanti ristoranti che a Milano sembrano fare a gara per assomigliarsi, come gocce d’acqua. Innanzitutto la location: esclusiva e adiacente uno dei più bei giardini della Milano storica. Poi, l’offerta di ristorazione, che ad oggi copre essenzialmente due momenti, il pranzo e la prima colazione, con risultati più che egregi: il lunch, meta dei tanti businessmen presenti in zona, è di rara sobrietà e di intelligenti prezzi: grazie alla bravura dello chef Davide Cesati, consente di gustare piatti di valore, in linea con le migliori tradizioni culinarie milanesi. Il breakfast, inizialmente concepito per gli ospiti della attigua Camperio House, è poi diventato molto appetibile anche per la clientela esterna, che trova qui proposte ben caratterizzate. Ma l’offerta del Basement non si ferma qui: anche grazie alla direzione di Michele Carnevale, direttore di sala giovane ma di comprovata esperienza, lo spazio è diventato la scelta ideale per feste private, cene a tema, eventi e presentazioni: Particolare successo hanno, da qualche mese, gli “aperitivi del Basement”, che si sono rivelati momenti di aggregazione e socialità di tutto rispetto. E che hanno portato il Basement ad essere luogo deputato per degustare ottime preparazioni di sushi e sashimi o per lanciarsi a cuor leggero in assaggi “mirati” di specialità liguri o toscane, queste ultime in onore del patron dei Bagni Piero…