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Bar | Alberghi | Ristoranti
COVER STORY La Grande Dame 2008 Il carattere audace
CHEF Daniel Canzian, marchesiano visionario MIXOLOGY Roma e Milano Zuma, Diana’s e Dry GIAPPONE Makurazaki, Katsuobushi culture
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Editoriale
Food e cibo Chef e cuoco Dobbiamo ammettere, obtorto collo, che ci sono termini che in inglese suonano meglio. Piaccia o non piaccia. Pensiamo a “mixology”, che in italiano andrebbe tradotto “miscelazione”: una parola che, oltre alla creazione di cocktail, fa venire in mente altri significati, come miscela (termine squisitamente caffeicolo, che rimanda a sua volta al quesito: arabica o robusta?). Pensiamo ad altre parole straniere di utilizzo quotidiano, come “food” o “chef”. Food in italiano andrebbe tradotto “cibo”, un termine ormai desueto, che evoca più certe insegne degli anni Sessanta (ricordo la mitica vetrina del “Cibi Cotti”, a Milano, zona Ticinese, ripresa nel menù di Spontini: un esempio pionieristico di take away, altra espressione straniera) piuttosto che l’universo di prodotti, preparazioni, offerta di prodotti alimentari. Certamente, ci vorrebbe una discreta dose di coraggio per definire cibo il food, ma il rischio sarebbe di restare isolati e incompresi, audaci sostenitori di una supremazia linguistica difficilmente sostenibile. Chef, a sua volta, significa “capo” e, nel caso specifico della ristorazione, il “capo” della cucina. In italiano lo dovremmo tradurre “capocuoco” o qualcosa di simile. Se poi è l’executive, è il capo supremo e assoluto della cucina. Gualtiero Marchesi, rivoluzionario, visionario, anticonformista di livello superiore, insisteva spesso sulla supremazia della lingua italiana, almeno quando si parlava di chef. “Ma non sarebbe ora di chiamarlo cuoco?”, amava spesso ripetere. Non aveva torto e il suo costante richiamo alla verità (linguistica, ma non solo) era di esempio per tutti. Poi era il primo, Gualtiero, a usare il francese quando era necessario,
per indicare ruoli, ingredienti o funzioni che in italiano non avevano il corrispettivo equivalente. Mi piace ricordare il Maestro, in questi giorni di primavera, quando avrebbe compiuto i suoi 89 anni. Una assenza, la sua, che pesa tantissimo. In quante situazioni me lo immagino a osservare (e commentare) certe situazioni di oggi o certi piatti che vorrebbero ispirarsi ai suoi, ovvero all’originale, ma rischiano di essere solo velleitarie imitazioni… E’ vero che diventano, queste, occasioni per ricordarlo, per parlarne, per farci ripensare ai suoi piatti e al suo valore, ma credo ci siano (anche) altri modi per trasmettere l’unicità umana e professionale di Gualtiero. Purtroppo l’autenticità è un valore assoluto. È la storia a fissare nel tempo ciò che è stato e a farlo rivivere, non attraverso repliche ma attraverso lo studio dell’originale. E’ così nell’arte, nella poesia, nella pittura, ma anche nell’alta cucina. Ricordo le battaglie di Gualtiero contro il plagio. E ancora ne condivido lo spirito. Pur rispettando le scelte attuali di molti chef (cuochi, ovviamente) nel reinterpretare con sapienza le creazioni del Maestro, talvolta con risultati straordinari, continuo a preferire il ricordo, la concretezza del ri-
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cordo, passatemi l’espressione, piuttosto che l’amore per la replica. Anche in letteratura, accetto le ristampe e i reprint, ma è l’opera originale ad essere la sola protagonista. Siete d’accordo?• Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it
Sommario
Editoriale 1 Food e cibo. Chef e cuoco 4 B.A.R News Focus Bar 16 Dry Milano pizza & cocktail 20 Diana’s Place a Roma, pairing & drink 22 Roma, Zuma ti rimette in sesto Cover Story 24 La Grande Dame 2008. Carattere audace L’intervista 30 Il finalista eccellente che non abbiamo tifato Protagonisti food 34 Chef: i “secondi” della grande brigata… Focus Food 37 Record di presenze alla 39° edizione di Tirreno C.T. Protagonisti Food 38 Gardenia, 50 erbe spontanee nella cucina “in rosa” 42 Franco Aliberti. Cucina sostenibile 46 Daniel Canzian, il marchesiano visionario Focus Food 50 Nasce il ristorante del cuore Focus Giappone 54 Fish, Smoke & Dry. Ed è Katsuobushi Focus Birra 58 Strepitose Beer Attraction e Bbtech Expo Focus Alberghi 60 Anche l’Umbria si dà una mossa L’opinione 63 Oltre il cibo c’è molto di più Focus Alberghi 64 La Polonia che non ti aspetti. L’Hotel Quadrille a Gdynia 68 La Toscana più bella è alla Tenuta Artimino Gusto e mercati 72 I profumi edibili migliorano l’esperienza sensoriale La ricetta di BARtù 74 Risotto memorabile La foto di BARtù 75 Enrico Parassina al Galleria di Milano 76 Pillole Alberto’s choice 78 Borgo San Felice, arriva Juan Quintero
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In copertina: La maison Veuve Clicquot ha presentato a Milano la sua ultima Premium Cuvée, Grande Dame 2008, un vino raro e eccezionale, “un tributo all’audacia di Madame Clicquot”. Pinot Noir al 92%, lo champagne, anche in versione Rosé, esprime uno stile caratterizzato da grande potenza, eleganza e raffinatezza, grazie anche all’assemblaggio attento e sapiente. “Una sola qualità, la migliore”, come amava ripetere Madame Clicquot.
COVER STORY La Grande Dame 2008 Il carattere audace
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direttore editoriale Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it
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LIVE HAPPILLY
PERFEZIONARE CIÒ CHE SIAMO È UNA STORIA SENZA FINE. Nereo Ballestriero, un’intera vita dedicata a perfezionare la selezione degli ingredienti e la ricerca di accostamenti inediti, per offrire al mondo la sua idea di bar. illy, più di 80 anni dedicati a perfezionare un unico blend di 9 origini di Arabica, per offrire al mondo il suo miglior caffè. Una condivisione di valori volta al continuo miglioramento per offrire ai propri clienti un’esperienza indimenticabile. #LIVEHAPPilly
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B.A.R. News Pasqua Vigneti e Cantine cresce Pasqua Vigneti e Cantine cresce del 55% in quattro anni, con un incremento da € 35 a 54,7 milioni nel periodo 2014-2018, mantenendo invariato il numero di bottiglie prodotte. La crescita è trainata in particolare dai prodotti “High Value”, che vengono apprezzati in modo uniforme nei 62 mercati in cui la casa vitivinicola opera e che determinano performance positive anche in mercati saturi e maturi. Le aree che registrano nel 2018 le migliori performance sono: USA (+16%), Asia (+68,5%), Germania (+14%), Danimarca (+13,6%), Belgio (+16,7%), Olanda (+ 54%), Italia (+11,8%). Le aree geografiche presidiate dalle due controllate Pasqua USA e Pasqua Asia registrano i migliori risultati, confermando l’importanza della prossimità al mercato che è una delle leve della strategia commerciale dell’azienda. E’ particolarmente interessante il caso del mercato cinese, dove 772 milioni di persone hanno accesso al web: una recente analisi di WineMonitor Nomisma analizzando la presenza del vino italiano sul portale JD.com, la più grande piattaforma cinese di ecommerce per fatturato, rileva come per il comparto Amarone le prime top reference in termini di prezzo siano tutte a marchio Pasqua (Amarone Famiglia Pasqua 2013; Amarone famiglia Pasqua 2003; Amarone Mai Dire Mai 2010).
Da sinistra: Alessandro, Umberto e Riccardo Pasqua
Ezio Indiani nuovo Presidente EHMA Ezio Indiani, General Manager dell’Hotel Principe di Savoia a Milano e Delegato Nazionale Italia EHMA dal 2010, è stato eletto Presidente durante la 46a Assemblea Generale Annuale della European Hotel Managers Association che si è tenuta al The Westin Paris-Vendôme di Parigi dal 15 al 17 febbraio. Il suo mandato durerà tre anni, dal 2019 al 2021. Il nuovo Comitato Esecutivo, presieduto da Indiani, è composto da Verena Radlgruber-Forstinger (Primo Vice Presidente), Panagiotis (Panos) Almyrantis (Vice Presidente) e Johanna Fragano (Tesoriere). “EHMA è un’associazione dinamica che raccoglie il meEzio A. Indiani glio dei direttori d’albergo d’Europa – ha commentato Indiani –. Sotto la mia presidenza intendo coinvolgere tutti i soci al fine di capitalizzare pienamente il vasto mondo di esperienza professionale e umana presente nella nostra associazione. L’EHMA deve essere ricca di nuove iniziative da implementare e valorizzare durante tutto l’anno”.
Cantine Gori: un’esperienza di sensi tra cuore, eccellenza e tradizione
La cantina Gori sorge a Nimis, estremo lembo dei Colli Orientali del Friuli, zona da sempre vocata alla produzione di vino grazie alla particolare conformazione del territorio, con le montagne che lo difendono dai venti freddi del Nord e la vicinanza della pianura che favorisce le escursioni termiche notturne, essenziali per lo sviluppo degli aromi dell’uva. Dall’amore per questa terra e dalla volontà di valorizzarla preservandone le caratteristiche che la rendono unica e speciale, nasce il sogno di Giampiero Gori: fondare un’azienda vitivinicola in grado di unire innovazione e tradizione. Un sogno che prende vita nel 2009. Oggi la cantina Gori produce tra le 60 e le 70mila bottiglie, con una resa di 50 quintali per ettaro, una precisa scelta che privilegia la qualità e rende il prodotto iconico. Massima cura e attenzione sono, infatti, dedicate a tutte le fasi di lavorazione. La cantina, inaugurata nel 2014, è uno straordinario esempio di architettura integrata nel paesaggio, simbolo dell’amore della famiglia Gori per la propria terra. Sviluppata su tre livelli, è stata ideata nel rispetto della tradizione e, pur essendo dotata di tutte le moderne attrezzature per limitare al massimo l’ausilio di prodotti chimici consentiti, la sua costruzione è ispirata ai vecchi principi per una corretta vinificazione e affinamento dei vini.
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Dalla a di albicocca alla z di zenzero: la linea Classic Life si rinnova
La gamma Classic di Life, la migliore selezione di frutta secca sgusciata ed essiccata, è protagonista nel 2019 di un’importante operazione di restyling: un ventaglio sempre più ricco di referenze nella gamma sgusciati e in vaschetta e una nuova grafica di pack presto debutteranno a scaffale. Life, storica azienda piemontese tra i principali produttori italiani di frutta secca, essiccata e disidratata, ha articolato la sua gamma Classic in pratiche confezioni richiudibili: da un lato le vaschette da 200g per la frutta essiccata, dall’altro le buste in vari formati per la frutta secca sgusciata. La linea Vaschette Classic di Life comprende undici tipologie di frutta essiccata: Papaia, Uva Cile, Fico, Albicocca, Ananas, Bacche di Goji, Dattero, Medjool, Kumquat, Zenzero e Mango. Ogni vaschetta contiene 5 porzioni da 40g, dose consigliata dall’USDA (United States Department of Agriculture). La linea Classic Life si completa inoltre con un vasto assortimento di frutta secca sgusciata in busta (dalle mandorle alle noci macadamia, dai pistacchi ai pinoli). La linea Classic presenta una Selezione Food Service da 1Kg che, insieme al formato da 200g, è ideale per il canale fuoricasa, rispondendo perfettamente alle esigenze dei professionisti della cucina.
Wega Macchine per Caffè vola ad Amburgo Cinque padiglioni dedicati ai concept più innovativi, alle evoluzioni dei migliori baristi e a tutti i temi più caldi della scena del caffè: Wega Macchine per Caffè S.r.l., azienda leader nella produzione di macchine professionali di qualità per caffè espresso, non poteva mancare all’appuntamento con Internorga, tra le maggiori fiere di riferimento per il settore Horeca sicuramente a livello europeo, ma anche mondiale, che si è svolta dal 15 al 19 marzo 2019 ad Amburgo. La manifestazione, giunta alla 93° edizione, vantava la presenza di oltre 90.000 visitatori e 1300 espositori provenienti da tutto il mondo: una vetrina internazionale per scoprire le ultime tendenze del mercato, presentare le novità, allacciare nuovi contatti e consolidare quelli già esistenti. Un contesto internazionale in cui l’azienda italiana ha portato tutto il suo know-how nella preparazione di un ottimo caffè espresso: in funzione, infatti, l'ultima arrivata di casa Wega, la nuova Airy, macchina dal design accattivante che fa della praticità e della versatilità i propri punti di forza, capace di adattarsi ad ogni stile e ambiente e la Urban, massima espressione della tecnologia Wega e facente parte dell’esclusiva Green Line, in grado di assicurare le più elevate prestazioni grazie alla tecnologia Wega Power.
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Fonte Plose partner di Pitti Taste Dal 9 all’11 marzo è tornato a Firenze Pitti Taste, il salone-evento di Pitti Immagine dedicato alle eccellenze del gusto e del food lifestyle, dove “foodies” appassionati e operatori dell’alta gastronomia sanno di poter trovare i prodotti migliori e le tendenze emergenti, artigiani raffinati e tipicità ancora poco conosciute. Fonte Plose anche quest’anno ha accolto con piacere l’invito di Pitti Taste a partecipare in qualità di sponsor tecnico d’eccellenza, mettendo a disposizione dei visitatori la sua Acqua Plose, ideale per accompagnare le esclusive specialità enogastronomiche accuratamente selezionate da Pitti Taste. A Taste, Fonte Plose ha portato inoltre la nuova etichetta di Acqua Plose Gourmet, dedicata alla ristorazione. Le cime del Monte Plose ispirano il nuovo design dell'etichetta della linea che si amplia anche nei formati disponibili introducendo la bottiglia da mezzo litro, ideale in pausa pranzo e per chi mangia solo, puntando a diventare un plus per ristoratori e gestori di locali, incentivando così anche la buona abitudine della raccolta del vetro. Fonte Plose è stata selezionata fin dai primi anni di Pitti Taste, quale esempio di eccellenza del territorio nell’ambito del beverage e dell’acqua di qualità e perché nei suoi prodotti è evidente la scrupolosa ricerca delle materie prime, l’attenzione al packaging e una filosofia aziendale votata alla promozione di prodotti italiani buoni.
B.A.R. News
Premiato il Birrificio del Forte Il 2018 è stato un anno importante per la birra artigianale italiana oltre che per il Birrificio del Forte. La Mancina, la cui costanza qualitativa è stata riconosciuta e premiata nel corso degli ultimi anni, in numerose competizioni di settore a livello nazionale e internazionale, si è aggiudicata la Medaglia d’Oro nella categoria Belgian Pale Strong Ale nel concorso birrario più prestigioso al mondo: la World Beer Cup. La World Beer Cup, organizzata dalla statunitense Brewers Association, è definita da appassionati ed Francesco Mancini fondatore e mastro birraio esperti come l’“Olimpiade della Birra”. Promuove la conoscenza e la diffusione dei diversi stili di birra presso il pubblico dei consumatori e delle eccellenze birrarie mondiali. La medaglia d’oro viene conferita alle birre che siano in grado di esemplificare in maniera accurata e completa lo stile specifico di appartenenza, dimostrando di possedere le caratteristiche fondamentali di equilibrio gustativo, aromatico e di aspetto visivo. Il riconoscimento ottenuto da La Mancina risulta essere ancora più significativo se si pensa che la competizione biennale, nata nel 1996, ha visto l’Italia rappresentata da un birrificio artigianale sul gradino più alto del podio solo un’altra volta prima d’ ora.
Enrico e Roberto Cerea
Enrico e Roberto Cerea, Ambasciatori dello Stoccafisso Gli chef Enrico e Roberto Cerea sono stati premiati dal Norwegian Seafood Council con la nomina ad Ambasciatori dello Stoccafisso di Norvegia 2019. Bergamaschi ed entrambi executive chef del ristorante tristellato Da Vittorio (Brusaporto, BG), i due fratelli hanno saputo tracciare, nel corso della loro carriera, nuovi percorsi nel mondo della
ristorazione, creando uno stile “unico”. Enrico - detto Chicco - ha mosso i primi passi nei ristoranti più rinomati di Parigi, Monaco, Spagna e Stati Uniti, che lo hanno reso un conoscitore attento delle materie prime più varie. Roberto (Bobo) dopo una serie di stage in Francia in giovane età, decide di fare ritorno a Bergamo per affiancare la famiglia. Appassionato di primi piatti, trasla la sua passione in una serie di ricette gustose ed evocative della più alta tradizione gastronomica mediterranea. Il Norwegian Seafood Council ha scelto di premiare gli chef Enrico e Roberto Cerea con il titolo di Ambasciatori dello Stoccafisso di Norvegia, come riconoscimento per la loro incredibile capacità di valorizzare una cucina a base di pesce in un territorio, come quello bergamasco, da sempre contraddistinto da una tradizione culinaria prevalentemente a base di carne, salumi e formaggi.
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Tannico compie sei anni: crescita record Tannico, l’enoteca online di vini italiani più grande del mondo, si regala per il suo sesto compleanno risultati da record, chiudendo il 2018 con ricavi in crescita del 40% su base annua e ben 14,9 milioni di euro di fatturato. Tannico, attraverso la sua piattaforma, ha consegnato nel 2018 oltre un milione di bottiglie in tutto il mondo, raccogliendo nel solo mese di dicembre più di 25.000 ordini. Tannico, nata come una startup che si proponeva di raccontare il vino con un linguaggio nuovo e accessibile, ha rivoluzionato nel profondo l’intero settore enoico e le sue logiche d’acquisto e di vendita. Nel corso degli anni Tannico è arrivato a guadagnarsi una leadership importante e ben consolidata sul mercato italiano, ma anche una progressiva e costante crescita all’estero che oggi rappresenta il 10% dell’intero fatturato. La piattaforma oggi mette a disposizione ben 14.000 etichette, di cui l’80% italiane, provenienti da oltre 2.500 cantine, potendo contare su tempi di consegna rapidissimi. “Siamo molto soddisfatti di questi risultati che ci portano ad avere ormai l’1% del mercato del vino premium in Italia (offline + online), un obiettivo estremamente ambizioso che abbiamo raggiunto in pochissimi anni – afferma Marco Magnocavallo, Founder e Ceo di Tannico –. Siamo partiti con l’idea di creare una semplice enoteca online, ma nel corso degli anni ci siamo resi conto che le opportunità per rivoluzionare nel profondo uno dei settori pilastro dell’economia italiana era troppo interessante per non essere colta”.
Vino Nobile di Montepulciano 4 stelle (su 5) alla vendemmia 2018
Illycaffè lancia nuova linea di capsule
Quattro stelle per il Vino Nobile di Montepulciano 2018. E’ quanto ha stabilito la commissione d’assaggio dell’ultima vendemmia della Docg toscana. Il rating è stato annunciato a conclusione dell’Anteprima del Vino Nobile di Montepulciano, nella Fortezza del borgo senese, in presenza di oltre 150 giornalisti provenienti da tutto il mondo per degustare non solo i campioni in anteprima dell’ultima vendemmia, ma anche le nuove annate in commercio da quest’anno, il Vino Nobile di Montepulciano 2016 e la Riserva 2015. «Dalla relazione è emerso come in effetti la qualità dei nostri vini sia ormai un frutto di continuità e grande espressione dei singoli “cru” di Montepulciano tanto che è stato difficile arrivare al giudizio finale per una qualità che tendeva sicuramente al massimo punteggio – ha commentato così il risultato il presidente del Consorzio, Piero Di Betto – poterlo dimostrare con esperti davanti a una platea internazionale di degustatori è il valore che detiene questo nostro evento, l’Anteprima che cresce di anno in anno». (C.Z.)
L’esperienza di un caffè illy ha da oggi un’opportunità in più con il lancio sul mercato della nuova linea di capsule compatibili con le macchine per caffè Nespresso. Nel desiderio di offrire questa esperienza a un pubblico sempre più vasto, incontrando le esigenze di consumo attuali, illycaffè espande l’accesso al suo blend dalla qualità e dal gusto inconfondibili. Le nuove capsule propongono, infatti, l’unico blend illy, perfezionato in oltre ottant’anni di storia selezionando nove qualità di Arabica, in tre intensità di gusto grazie a diversi profili di tostatura: Classico dal gusto morbido e vellutato, nella doppia referenza espresso e lungo, Intenso espresso pieno e corposo e Forte espresso, dal carattere ricco e deciso. Disponibili al pubblico da aprile in 9 paesi (Italia, Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, Olanda, Germania, Austria e Stati Uniti).
SkyLine, nuovi orizzonti in cucina Rivoluziona il tuo modo di lavorare con i nuovi forni e abbattitori SkyLine di Electrolux: due sistemi perfettamente sincronizzati e in totale comunicazione tra loro grazie alla tecnologia SkyDuo. Liberati dallo stress e ottimizza il tuo tempo con il nuovo processo Cook&Chill SkyLine, il binomio perfetto unico al mondo. Experience the Excellence professional.electrolux.it
B.A.R. News Salumificio Panzeri per Bresaola di Sadler Salumificio Panzeri e lo chef stellato Claudio Sadler hanno presentato a Milano, presso Chic’n Quick il ristorante milanese dello chef, le Bresaole d’Autore: Tonica, Tartufata, Sbagliata e Montanara. 4 bresaole dalla ricetta innovativa destinate a vivacizzare il mercato nazionale e le esportazioni della Bresaola della Valtellina. Le Bresaole d’Autore sono il risultato della collaborazione della durata di 2 anni tra Panzeri, da 76 anni specialista nella produzione di Bresaola della Valtellina IGP, e lo chef milanese alfiere di una rilettura creativa della classica cucina regionale italiana. L’obiettivo è dichiaratamente ambizioso: reinventare un’eccellenza alimentare carica di tradizione, ben conosciuta e apprezzata dai consumatori italiani ed esteri. Dall’inizio del terzo millennio a oggi, il salume della tradizione valtellinese ha scalato le posizioni nella classifica di gradimento dei cibi, come attesta l’incremento nei consumi del 45% e il fatto che 8 italiani su 10 apprezzino il prodotto. “La collaborazione con uno chef prestigioso come Claudio Sadler è un passo importante per dare alla Bresaola della Valtellina un’immagine più giovane, ricca e differenziante, così da avvicinare al prodotto e alla nostra offerta nuove fasce di consumatori potenzialmente interessate ad approfondirne la conoscenza” ha dichiarato Nicolò Panzeri, Presidente del Salumificio Panzeri. Tutte le Bresaole d’Autore sono disponibili nel doppio formato: vaschetta da 70 grammi e trancio da 1,5 chili circa.
Al Castello di Sillavengo lo Chef Garzillo firma il nuovo menu Il tenimento Al Castello è una bella struttura immersa tra le risaie, la natura e i borghi del novarese. Apparentemente un castello medievale, in realtà una storica villa padronale costruita tra il XVI e il XVII secolo, in origine di proprietà della famiglia Caccia, nominata feudataria di Sillavengo dal duca di Milano, Gian Galeazzo Sforza, nel 1483. Dopo aver visto nel corso dei secoli diverse ristrutturazioni, oggi la struttura vive attraverso la passione e l'entusiasmo dei proprietari Sabrina Vittore e Antonio Pappalardo che si prendono cura dei propri ospiti garantendo loro una pausa di rigenerazione completa del corpo e della mente: che sia una cena gourmet, un soggiorno nelle camere recentemente rinnovate, un evento o una pausa benessere. All'interno della struttura la Sala Q33 offre una cucina autentica e semplice nella sua complessità, con estrema Lo chef Alessandro Garzillo attenzione e cura nella preparazione dei piatti. É qui che gli appassionati gourmet vengono accompagnati in un vero e proprio viaggio del gusto. Il piacere di una cena gourmet in un’atmosfera familiare e accogliente si fonde con l'alta qualità delle materie prime interpretate nei piatti preparati dallo Chef Alessandro Garzillo, approdato al Castello nel dicembre 2018.
Ha aperto a Milano “CooD – Cocktails & Beef” Il 26 febbraio in Via Lecco ha aperto “CooD – Cocktails & Beef,” un nuovo progetto studiato dalla Società “Idea Italia” e realizzato con maestria grazie alla lunga esperienza dei suoi soci nella gestione di ristoranti e di aziende leader: Bruno Marsico e Gianfranco Semenzato, rispettivamente titolare e chef da 25 anni del ristorante “Globe” a Milano; Giovanni Ferraresi, esperto nello sviluppo di marchi di ristorazione, sia in Italia sia all’estero; Maurizio Galardo, esperto in tecnologie digitali; Emiliano Veronesi, top manager di aziende multinazionali; Luca Beni, dj e produttore musicale. Obiettivo di Idea Italia srl è quello di creare e sviluppare dei nuovi format di ristorazione, da replicare sia in Italia sia all’estero. “CooD – Cocktails & Beef” sarà il locale pilota di un nuovo format dedicato alle carni dal mondo. “Offriamo una selezione delle migliori carni del mondo, dai pregiati filetti ai gustosi “cube rolls”, dai tagli di fiorentina alle classiche costate, passando per la Wagyu giapponese e alle proposte – decisamente più rare – come la carne di antilope e di zebra. Tutte le nostre carni sono cucinate utilizzando griglia a carbone vegetale (realizzata su misura da un artigiano milanese) e/o il barbecue, che fungerà anche da affumicatore, conferendo alle carni un profumo unico” – spiega lo chef Gianfranco Semenzato che ha curato il menù.
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B.A.R. News Gruppo Cimbali inaugura l’ufficio di rappresentanza di Dubai E’ stato inaugurato a Dubai il nuovo ufficio di rappresentanza di Gruppo Cimbali - leader mondiale nella progettazione e produzione di macchine professionali per caffè e bevande a base di latte fresco e di attrezzature dedicate alla caffetteria. L’apertura rafforza ulteriormente il posizionamento di Gruppo Cimbali nel mercato mediorientale, in crescita su tutti i segmenti del canale Horeca e, in particolare, nelle catene, nell’hotellerie e nei sempre più numerosi specialty coffee shop. Gli Emirati rappresentano uno dei mercati a più rapida crescita al mondo in termini di consumo di caffè. Dal 2012 al 2016, infatti, il numero giornaliero di tazzine è passato da 1,4 a 3,4 miliardi. Inoltre, a Dubai sono presenti tutti i principali player internazionali. Il nuovo ufficio, al 27° piano della Jumeirah Lake Towers, ospita al suo interno uno showroom e un training center per attività di formazione tecnica e sensoriale dove sono esposti i modelli di punta dei brand La Cimbali e Faema tra cui La Cimbali M100, le superautomatiche La Cimbali S30 e La Cimbali S20, il macinadosatore La Cimbali Elective e l’intera gamma Faema E71 tra cui la nuova E71E.
Concluso HospitalitySud, il salone dedicato all’hotellerie La seconda edizione di HospitalitySud, il salone dedicato alle forniture, ai servizi e alla formazione per l’hotellerie e l’extralberghiero, ideato e organizzato dalla Leader srl, ha chiuso la due giorni di fine febbraio con un bilancio positivo di 2.500 presenze. La Stazione Marittima, nel cuore di Napoli, è stata la location per le numerose aziende in rappresentanza delle varie merceologie, un modo per accompagnare l’attuale crescita record dell’industria turistica nel Sud Italia. HospitalitySud è l'unico appuntamento del Centro Sud Italia per gli operatori e i professionisti del mondo Horeca, in particolare titolari, manager, impiegati e consulenti di: hotel; resort, ville, dimore storiche; relais, country house, agriturismi; villaggi, camping; affittacamere, bed and breakfast, case vacanza; ostelli; terme. Un’opportunità unica per approcciarsi con le più importanti aziende, che si occupano di forniture e servizi dedicati al mondo dell’ospitalità, con 70 espositori provenienti da 10 regioni italiane (Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Sicilia, Toscana, Trentino-Alto Adige, Umbria, Veneto) che hanno presentato le loro proposte in 46 diversi settori merceologici. Oltre 80 i relatori nei 30 incontri di aggiornamento, a cui i visitatori hanno avuto accesso gratuito, così come per il salone espositivo.
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Loacker distribuisce Darbo per l’Horeca Con l’inizio del 2019 Loacker, azienda altoatesina specializzata nella produzione di wafer e specialità al cioccolato, è diventata distributore esclusivo per l’Italia dell’assortimento Darbo per il canale Horeca. L’ampliamento della partnership tra i due brand, avviato a partire dal mese di gennaio 2019, è una conferma del connubio risultato vincente durante lo scorso anno e che ha visto l’azienda altoatesina gestire in esclusiva la distribuzione nel mercato italiano della pregiata gamma Darbo destinata alla Gdo. Loacker si propone di fornire all’azienda austriaca il supporto necessario per espanderne e rafforzarne la presenza nel mercato e incrementare l’awareness sugli operatori del settore nella penisola. Darbo offre, infatti, un ampio e differenziato assortimento per il canale Horeca. Le raffinate confetture, il delizioso miele e i pregiati mirtilli rossi Darbo sono disponibili in tanti formati differenti per rispondere alle diverse esigenze dei professionisti del settore. Non solo prodotti di qualità eccellente e sinonimo di gusto e bontà, Darbo mette a disposizione delle realtà operanti nel settore Horeca anche un’ampia ed elegante gamma di sistemi di presentazione per il buffet della prima colazione e la possibilità di personalizzazione con il logo della propria azienda o del proprio hotel.
La primavera profuma di Syramusa
Zacapa è partner dei WRA
Il profumo intenso degli agrumeti siciliani fiorisce sulla tavola di Pasqua e nei picnic di primavera. Dai preziosi limoni IGP siracusani si accende il sole di Syramusa, il limoncello Premium di Stock Italia che nasce dall’agrume siracusano ed è l’ideale per fare festa nei weekend primaverili, da abbinare alle ricette di stagione per un’esperienza unica di gusto, freschezza e profumo indimenticabili. Quale modo migliore per festeggiare l’arrivo della primavera, che chiudere i pasti con il liquore più delicato e buono della Sicilia? Syramusa è l’ideale da servire freddo per accompagnare i tipici pasticcini alle mandorle e omaggiare la sua “patria”, in particolare con una temperatura intorno ai 2°-4° e soprattutto non ghiacciato in modo da poter preservare il gusto intenso del limone siracusano IGP. Syramusa nasce da una tipica ricetta della tradizione siciliana: preparato con oltre 900 grammi di scorze di limone di Siracusa IGP per litro, offre un bouquet di profumi unico e un gusto impareggiabile. L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) “Limone di Siracusa” è riservata alla varietà del pregiatissimo “femminello”, che respira l’aria del mar Ionio e viene raccolto quattro volte all’anno esclusivamente a mano. L’elevata succosità, una buccia molto fine e un’ottima qualità degli oli essenziali danno vita a un limoncello d’autore dall’aroma inconfondibile e sofisticato.
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Zacapa, il pregiato rum guatemalteco, è partner ufficiale dei World Restaurant Awards, la manifestazione che vede riunite le più grandi personalità del fine dining mondiale per premiare i personaggi più innovativi della ristorazione. I World Restaurant Awards sono una manifestazione completamente nuova nel campo enogastronomico, proponendosi di premiare l’eccellenza, la genuinità, la diversità e la ricchezza culturale del mondo della ristorazione. Tra gli ideatori e a capo della giuria c’è Andrea Petrini, food writer, broadcaster e creatore di tour gastronomici che coinvolgono i più grandi chef al mondo, tra cui molti italiani. Nel corso dell’evento di benvenuto Zacapa, all’hotel Malro di Parigi, gli ospiti hanno degustato gli squisiti cocktail Zacapa Old Fashioned e gli assaggi curati da Denny Imbroisi, capocuoco dell’hotel Malro.
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B.A.R. News Salsa Tabasco dal 1868 La salsa Tabasco® dal 1868 è protagonista assoluta di popolari cocktail e numerosi piatti, che vengono trasformati dal carattere forte e deciso di questa salsa. Un prodotto unico, inimitabile che l’americana Mc.Ilhenny ha reso un fenomeno mondiale. Versatile, saporita, piccante al punto giusto, viene oggi utilizzata anche in molte cucine regionali per arricchire e insaporire persino le ricette più tradizionali. Ma il mondo del Tabasco® è anche il mondo della mixology, l’arte di creare i cocktail selezionando gli ingredienti e miscelandoli con creatività. I bartender sanno che la famosa salsa americana è indispensabile per dare il giusto tocco a ogni creazione di successo. Impensabile immaginare un Bloody Mary o un Prairie Oyster senza Tabasco®. La salsa Tabasco® è un marchio importato e distribuito da Eurofood Spa.
Vinexpo Bordeaux 2019 Vinexpo Bordeaux è un appuntamento chiave (13 – 16 maggio) per gli operatori del vino e degli alcolici. Il 2019 segnerà una nuova tappa nella storia del salone. Lo sviluppo strategico del gruppo Vinexpo si accompagna alla creazione di nuovi eventi su mercati chiave del consumo: New York, Shanghai, Parigi. Pietra angolare del Gruppo, Vinexpo Bordeaux metterà in evidenza i suoi valori intriseci e ineguagliati: presenza di decision maker leader, sia sugli stand che tra i compratori; esplorazione delle tendenze grazie ai numerosi lanci di prodotti nuovi; forte piattaforma mediatica per la presenza di 850 giornalisti provenienti da 40 paesi; concentrazione di degustazioni iconiche; contenuto di alto livello con relatori di fama internazionale; accoglienza e «savoir-vivre»(stile di vita) alla francese, grazie agli off di alto livello e a una destinazione attrattiva (Bordeaux è stata consacrata da Lonely Planet N°1 tra le città da visitare nel 2017). Saranno rappresentate tutte le regioni francesi, dalla Borgogna all’Alsazia attraverso la Loira, il Languedoc e, naturalmente, Bordeaux.
Warsteiner ha presentato il suo Concept Pub a Beer Attraction In occasione della quinta edizione di Beer Attraction – la fiera internazionale dedicata alle specialità birrarie svoltasi a Rimini – Warsteiner Italia ha presentato un’idea innovativa: il ‘Warsteiner Concept Pub’. Warsteiner si è presentata a Beer Attraction con un vero e proprio pub realizzato da Rosario Orlando, architetto con forte specializzazione nel canale Horeca e lunga esperienza nella progettazione di pub. Warsteiner, con la sua ampia gamma di prodotti premium, si propone attraverso questo progetto di offrire servizi qualificati, coinvolgendo selezionati professionisti. “Siamo lieti di poter presentare il Warsteiner Concept Pub sul palcoscenico di Rimini, riferimento per tutti gli operatori del beverage and food service – ha affermato Luca Giardiello, AD di Warsteiner Italia –. In questa cornice abbiamo voluto replicare un Pub – la nostra idea di Pub – coniugando birra, cibo, design e coinvolgendo i professionisti che collaborano con noi, per supportare i clienti alla scoperta di nuove identità per il proprio business”. Un programma ricco e innovativo dunque quello del Concept Pub che non si esaurisce a Beer Attraction. L’iniziativa punta, infatti, ad ampliare la propria portata nei prossimi anni per abbracciare a 360° ciò che ruota attorno ai locali, arrivando a offrire ai propri clienti una rete sempre più fitta di professionisti al loro servizio.
Università della Birra a Identità Golose Il settore della birra in Italia è in continua crescita. Il secondo Rapporto di Osservatorio Birra, “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia”, presentato a fine 2018, evidenzia come il contributo della filiera di riferimento alla crescita della ricchezza e al benessere del nostro Paese – il cosiddetto valore condiviso – è cresciuto di 1 miliardo di euro (+12,9%), passando da 7.834 miliardi a 8.863 miliardi di euro. È un dato di fatto, gli italiani manifestano un entusiasmo crescente verso questa bevanda e verso i suoi tanti possibili abbinamenti in cucina. In questo contesto, alla 15esima edizione di Identità Golose, come grande novità della manifestazione, si inserisce l’Università della Birra con il suo stand. Innovativo polo di eccellenza didattica professionale promosso da HEINEKEN Italia, l’Università della Birra è nata proprio per questo: divulgare know how e competenze di alto livello per gli operatori del settore e generare valore e stimolare concrete opportunità di business per il mondo dell’Horeca e del Modern Trade. Università della Birra, che nel 2018 ha vissuto una fase di start up, è oggi operativa nella sua sede milanese di Via dei Canzi 19 (quartiere Lambrate) e ha scelto Identità Golose quale cornice per uscire dall’aula (è la prima volta), scendere in campo e proporsi “on field” ai professionisti del settore.
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Focus Bar
Dry Milano pizza & cocktail di Maurizio Bertera
Due locali dove regnano l’arte della miscelazione insieme alla “Regina Margherita” Uno degli esercizi più difficili per un locale di successo è il “rinnovamento nella continuità”: concetto sempre citato, molto praticato ma spesso non portato a compimento come i patron si auspicano. Perché non è matematico e contempla molte variabili, alcune effettivamente non prevedibili a tavolino. Detto questo, ci sono operazioni ben riuscite e quella del Dry Milano è una di queste, visto che a sei anni dalla nascita ha operato un sostanzioso restyling della squadra e dell’offerta. Per i pochi che non conoscono il brand, si tratta di un format che nel 2013 fece epoca per l’intuizione di proporre una pizza di assoluto livello in un ambiente non tradizionale dove i cocktail giocavano un ruolo fondamentale. Questione anche di firme: due dei quattro soci si chiamano Andrea Berton e Giovanni Fiorin, c’era un maestro della mixology come Guglielmo Miriello e ai forni un giovane veneto – al tempo solo emergente – di nome Simone Lombardi che è entrato di diritto tra i maestri della Nuova Pizza Italiana. Nel 2017, il raddoppio di Dry Milano perché alla sempre suggestiva sede di via Solferino 33 si è affiancato un locale più grande in viale Vittorio Veneto 28. Il rinnovamento, seguito dal nuovo direttore operativo Giovanni Biaggini, ha toccato entrambe le anime, potendo contare su professionisti di assoluto livello. A partire da Federico Volpe, 31enne monzese ‘del Sud’, che è
Il Dry Milano di via Solferino, 33; sotto l’omonimo in viale Vittorio Veneto, 28
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arrivato al Dry Milano dopo la classica gavetta all’estero, la gestione di Terrazza Aperol e del noto Davai ma soprattutto quattro anni al bancone di Carlo e Camilla in Segheria, prima affiancando Filippo Sisti (“Un fenomeno, ha creato una strada unica” sottolinea) e poi sostituendolo nel periodo finale. Volpe ha rivisto la carta ora divisa in tre sezioni: On the wall, Everyday Il bar manager Federico Volpe drinking, Made in Dry a cui si aggiunge un cocktail della casa, ogni settimana. “La prima sezione rappresenta quello che ha caratterizzato il Dry sin dall’apertura; la seconda comprende quattro classici quali l’intramontabile French 75, il Vintage Negroni, il Martini 2.0 e il Penicillin; la terza rappresenta la mia visione e annovera otto proposte che si possono trovare esclusivamente nei nostri locali” spiega Volpe. E’ una visione di mixology decisamente particolare, fatta di materie prime non solo liquide (tipo il formaggio Gruyère da cui si ricava un cordiale…) e pochissime bottiglie, di tecniche vicine alla cucina per preparare sciroppi, succhi, estratti e di consistenze diverse: i nuovi cocktail non hanno un nome ma sono identificati da un numero per concentrare l’attenzione su un prodotto, godibile attraverso tutti i sensi. Un esempio? “Lo 003 dove l’elemento principale è l’aloe vera che viene esaltata dalla presenza di Ketel One, Champagne rosè, limone e zucchero: puntiamo sempre a un grande bilanciamento nel cocktail senza scadere nella normalità. Per me il cliente è in cerca di nuovi sapori, in giro si beve bene ma domina il concetto del ‘twist’ sulla ricetta classica. Lo rispetto ma penso che si debba andare oltre”. Potrebbe essere Il Martini 2.0 la nuova via italiana ai cocktail? Chissà.
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Focus Bar per tre minuti, vengono tagliate in otto pezzi e ogni spicchio viene condito singolarmente. Abbiamo anche un altro impasto, quello semi-integrale, ancora più idratato dove la percentuale di acqua sale all’80%. È ricavato con lo stesso metodo di quello classico, cotto al vapore e quando è pronto, ne finiamo la cottura nel forno elettrico per dargli croccantezza prima che arrivi al tavolo. All’interno invece rimane sempre molto morbido e idratato”. Un lavoro notevole che trova la quadra nei topping di assoluto livello per le Classiche, i Cubotti (semi-integrali con varie farciture), le Focacce – tra cui quelle famose al vitello tonnato con cap-
Il tris di montanarine del Dry Milano accompagnate dal cocktail
Di certo, la nuova via italiana alla pizza passa (anche) per il Dry Milano dove a sovrintendere l’offerta gastronomica di entrambi gli indirizzi - ma fa base in viale Vittorio Veneto - c’è Tymur Isayev, già secondo di Simone Lombardi mentre Lorenzo Sirabella, allievo del maestro Enzo Coccia, guida da qualche mese il forno in via Solferino. Immutata la formula di un impasto che si caratterizza per il livello di idratazione. “Le pizze hanno la cottura e la stesura della versione napoletana, ma il procedimento è diverso - spiega Isayev, 32 anni, di origini russe, cresciuto nel Salento - per realizzare un disco ci vogliono almeno 48 ore di lievitazione tra pre-impasto lavorato con la biga e prodotto finale. Per la focaccia servono 72 ore di lievitazione, sempre con la biga, e procedendo con la spezzatura del lievitato in modo da far diventare l’impasto estremamente leggero e croccante”. I segreti? “La già citata biga innanzi tutto, ossia un metodo di lievitazione che consente di avere un impasto leggero
e dalla consistenza fragrante. La pizza viene cotta in forno a 480-490° circa per un minuto, seguendo il metodo partenopeo, con due-tre dischi al massimo per avere il tempo di gestirle in una cottura molto veloce – continua Isayev - le focacce invece restano nel forno elettrico
Lo chef Lorenzo Sirabella
peri o stracciatella con prosciutto crudo dolce D’Osvaldo – e le Speciali con ricette inedite: ventricina, scalogno al sale e mozzarella fiordilatte oppure broccoli, zest di limone caramellato, Parmigiano Reggiano e fiordilatte. La new entry Sirabella, napoletano di origini ischitane, approdato al Dry dopo tre stagioni alla corte di Coccia ha portato in dote la sua specializzazione nella pizza fritta “che risulta più leggera e digeribile di quanto si pensi, grazie a un impasto leggero, ma
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Dry Milano di viale Vittorio Veneto
soprattutto ‘asciutto’ in quanto privo di olio – spiega – per il tris di montanarine del Dry Milano ho scelto un classico della tradizione napoletana con il pomodorino del Piennolo del Vesuvio che ricorda i profumi della mia terra. Per le altre due, invece, ho voluto realizzare qualcosa di diverso grazie all’utilizzo di prodotti più ricercati”. L’impasto è ottenuto secondo la tradizione napoletana, con dodici ore di lievitazione a temperatura ambiente mentre la cottura è in olio di semi di girasole bollente a 200°: molto rapida per avere un prodotto fragrante. Per la cronaca, l’olio viene controllato sempre con un termometro laser per non scendere mai sotto i 190°, a conferma che Lorenzo è un pizzaiolo della nuova epoca. “La mia idea di pizza? Tenere ben stretta la tradizione, rispettandola e portandola avanti con orgoglio, modificando però con lo studio i metodi e le tecniche di prepa-
razione delle materie prime, sempre in aggiornamento, nonché le cotture e la loro gestione – sottolinea Sirabella - poi è importante anche la ricerca sugli impasti, l’attenzione meticolosa alle materie prime e ai prodotti di stagione”. In un format dove c’è l’eccellenza nel cibo e nel bere, viene naturale pensare che il pairing sia obbligatorio “A me e ai ragazzi piace consigliare un cocktail per una pizza ma non imporre: in realtà, non esistono regole assolute se non quella del gusto personale – conclude Volpe – semmai posso dire che ci sono delle situazioni in cui un drink risulta più adatto e altre in cui non va bene a causa di un eccessivo contrasto. A volte un vino rosso refrigerato si addice maggiormente. In ogni caso, per noi è importante far comprendere ai clienti, soprattutto se neofiti, che si può andare oltre il classico abbinamento pizza-birra che sarà immediato ma non
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Dry Milano di via Solferino
regala emozioni”. Se ci è consentito, il percorso ideale al Dry Milano è aprire con un cocktail ‘storico’, divagare il più possibile tra pizze e focacce per chiudere con una creazione di Federico. Non ve ne pentirete. •
Focus Bar
Diana’s Place a Roma, pairing & drink Un piccolo bistrò, vicino alla Stazione Termini, dove consumare vini e cocktail di livello, accompagnati da materie prime food all’altezza delle degustazioni. L’ambiente è di grande comfort
L’area territoriale intorno alla Stazione Termini a Roma, come accade per la maggior parte degli scali ferroviari quasi ovunque, non è esattamente il fulcro della vita notturna più frizzante o il luogo nel quale incontrare locali e indirizzi di qualità per una sosta food and drink e per bere bene. Negli ultimi tempi, però, c’è forse una piacevole inversione di tendenza, a giudicare dall’apertura di un piccolo bistrò come Diana’s Place, in via Volturno. L’ingresso sembra quello di un normalissimo punto vendita, e in effetti in passato la piccola stanza ospitava un
negozio di calzature del quale rimangono ancora alcune scritte qua e la, ma oggi ospita un piacevolissimo bistrò per amanti delle cose buone, a tavola e in cantina. La cucina si muove con discreta agilità tra una materia prima eccellente e facilmente riconoscibile, che passa dal caviale al jamon iberico e alle ostriche, ma poi quando si tratta di mettere sotto i denti qualcosa di concretamente cucinato, si arriva alla tradizione italica, con carbonara, lasagne, cacio e pepe, e la classica sequenza di piatti a tutto gusto che, in qualche modo, sono facilmente riconoscibili dalla clientela internazionale che frequenta la capitale. In fin dei conti siamo a un tiro di schioppo dalla stazione dei treni e qui transita davvero il Mondo. Il Diana’s Place gioca bene le sue carte con un ambiente caldo e raccolto, dove si è circondati di vini pregiati (mille i riferimenti) con una particolare predilezione per le bottiglie d’Oltralpe, le bollicine e numerose etichette d’Italia, così è facile lasciarsi andare a qualche
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degustazione se si guarda tra le pieghe della nutrita carta. Dal Sassicaia annata 2015 della Tenuta San Guido, celebrato da più parti come uno dei migliori vini del mondo, all’Ornellaia, fino al Valpolicella Superiore DOC di Quintarelli. Ma anche Chapoutier, Rothschild, Ladoucette, Bollinger, Jacquesson in un mix di grandi e piccole maison. Interessante è il pairing proposto, dove sono i vini a dettare i ritmi, e in base alla scelta operata al bicchiere si viene poi accompagnati alla degustazione di un piatto. Nulla di nuovo, sia ben chiaro, ma un bel segnale di come si possa dare stimoli sempre diversi al cliente, magari portandolo verso riflessioni sulla complessità del mondo enologico. Un esempio? Se si sceglie il Pinot Grigio Dessimis 2015 arrivano le ostriche Fine de Claire; se invece si preferisce sorseggiare il Sancerre Blanc Chambrates 2014 si passa alla steak di tonno Alalunga. In più qui vengono organizzate regolarmente e a scadenza mensile incontri con i produttori, degustazioni mirate e serate speciali che arricchiscono la proposta. Siamo, come detto, a Roma, e quindi non può mancare una terrazza per godere della vista dall’alto della Città Eterna, così Il Diana’s Place ha perfino un’alternativa alla saletta fronte via. Si sale con l’ascensore nel vicinissimo The Indipendente Hotel, e all’ultimo piano ci si abbandona a un impareggiabile skyline, con una scelta che oltre ai vini contempla anche cocktails e, in alcune serate, la musica dal vivo. Via Veneto in linea d’aria è davvero vicina, ma la Dolce Vita in questo caso arriva a sfiorare quasi i binari della stazione. www.dianasplace.it G. S.
Focus Bar
Roma, Zuma ti rimette in sesto di Maurizio Bertera
Nel rooftop dell’iconico palazzo Fendi, cocktail di livello e food pairing all’altezza della fama Quando si entra da Zuma a Roma difficile essere di cattivo umore e se lo si ha cambia in pochi secondi. Il ristorante è situato nel centro, all’interno dell’iconico Palazzo Fendi di cui occupa gli ultimi due piani, e ha un accesso riservato da via della Fontanella di Borghese, al numero 48. Il piano superiore offre un curatissimo rooftop dove si trova la cocktail lounge, location perfetta per un’esperienza di food & drink con un panorama tra i più belli del mondo. Primo e unico indirizzo italiano del brand di ristorazione creato da Rainer Becker – arrivato a ben 11 location fisse nel mondo - Zuma Roma propone un’esperienza ispirata all’Izakaya: termine giapponese usato per descrivere un locale dove ritrovarsi dopo il lavoro e trascorrere ore piacevoli in compagnia con gli amici. Per estensione, il termine indica un approccio al
Procedimento Sbollentare l’aragosta in acqua bollente per circa due minuti: trasferirla subito dopo in acqua ghiacciata, per raffreddarla. Mentre avviene, preparare il burro speciale: con l’aiuto di un robot da cucina, tritare il pepe, la foglia di shiso e l’aglio. Aggiungere quindi il burro, la salsa di soia e il succo di lime. Mescolare fino a ottenere un impasto liscio. A questo punto preriscaldare la griglia a fuoco medio e tagliare l’aragosta in due metà, spennellando la polpa con olio d’oliva e sale. Grigliare ciascun lato per circa quattro minuti, infine spalmare il burro precedentemente preparato sulla carne e grigliare per altri quattro minuti. Prima di servire, grattugiare la scorza di lime sulla parte superiore del piatto.
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ZUMA LOBSTER YAKI 1 aragosta 50 grammi di burro mezzo spicchio d’aglio 60 ml salsa di soia 180 ml succo di lime 1 foglia di shiso sale, pepe e coriandolo
YOSEI NO BERU E’ uno dei cinque cocktail che fa parte della nuova collezione di Zuma – chiamata Miti e Leggende - creata e legata da un filo conduttore: ad ogni proposta corrisponde una leggenda della tradizione popolare giapponese, le cui origini si perdono nella storia ma che si tramandano e si raccontano ancora oggi. Questo si ispira a una leggenda suggestiva e romantica che vede come protagonisti un pescatore e una ninfa. E’ preparato con Vida Mezcal, sciroppo di frutto della passione, uva, angostura, acqua tonica: si presta benissimo a essere degustato con il piatto a base di aragosta ma non stona assolutamente all’ora dell’aperitivo.
cibo informale e conviviale che Zuma ha portato al massimo livello, esaltando per esempio il ruolo della Robata Grill (la griglia a carbone giapponese). Un elemento emblematico del brand che consente la preparazione di pietanze alla brace basate su carne, pesce e verdure. Aperto anche a pranzo con una proposta
La terrazza dello Zuma
più limitata, il ristorante regala il meglio a cena con un menu ricco e ben articolato che trova nella cantina e nella lounge bar il tocco in più, anche nel pairing. Per darvi un esempio dell’ottimo lavoro su questo fronte, ecco come un astice già valido di suo – in stile Zuma – si sposi con un cocktail contemporaneo ma con un passato leggendario… •
La zona lounge bar
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Cover Story
La Grande Dame 2008 Carattere audace Veuve Clicquot presenta uno champagne straordinario, un millesimo che rivela una forza incredibile, grazie anche al suo assemblaggio, che vede il Pinot Noir al 92%. Un vino raro ed eccezionale, un tributo alla audacia di Madame Clicquot. La Grande Dame 2008 è stata la protagonista di un gala dinner con i piatti delle chef dell’Atelier des Grandes Dames.
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grande. Per quanto riguarda i Pinot Noir, provengono dagli storici Grands Crus Veuve Clicquot di Ay, Ambonnay, Bouzy, Verzy e Verzenay, mentre l’8% di Chardonnay ha origine nel Grand Cru della Maison, a Le- Mesnil- sur -Oger”. Sin dalla sua fondazione, la firma della Maison ha fondato il suo stile sulla predominanza del Pinot Noir, che rappre-
senta perfettamente la struttura iconica della Grande Dame 2008. La vendemmia di quell’anno ha fornito uve maturate in condizioni eccellenti, risultato di una primavera fresca ma asciutta. Condizioni climatiche che hanno favorito la creazione di questa cuvèe straordinaria, dotata di una notevole acidità che richiama altri grandi millesimi Veuve Clicquot, come il
Le quattro chef protagoniste della serata
a cura della Redazione Presentata a Milano nei giorni scorsi, presso l’hub di Identità Golose, durante un gala dinner memorabile con protagoniste quattro donne chef, La Grande Dame 2008 si è rivelata alla degustazione un prodotto straordinario, che esprime potenza, eleganza, stile e carattere. Dominique Demarville, lo Chef de Caves della Maison di Reims, ha detto “La mia idea è condurre La Grade Dame verso la raffinatezza e l’eleganza che il Pinot Noir ci offre in questi Grands Crus; in un certo senso è questo il tocco speciale di Veuve Clicquot (#liveclicquot, #veuveclicquotxwomen), ovvero di abbinare in questa eccezionale cuvèe la profondità e la morbidezza con la leggerezza e l’eleganza”. Va anche detto che il 2008 è stata un’annata favolosa per il Pinot Noir e, come ha sottolineato Demarville, è stato fondamentale “il lavoro che ruota intorno alla selezione dei vini base che fanno parte dell’assemblaggio: un lavoro di selezione molto importante, in cui abbiamo scelto i vini più potenti, alcuni li abbiamo lavorati in legno, in botte
La Grande Dame 1979, una bottiglia rarissima servita al gala dinner
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Cover Story 1995, il 1985, il 1979. Alla degustazione, la Grande Dame rivela un attacco deciso e forte: etereo e delicato al naso, quando si apre presenta note di frutta secca, frutti bianchi maturi (pere), e note tostate di nocciola. Le succulenti note di pasticcini sono bene equilibrate dalla freschezza e dalla limpidezza dell’assemblaggio. Al palato, l’attacco è deciso, colpisce la texture setosa di frutta rossa, accompagnata da note delicatamente agrumate. Nella versione rosé, La Grande Dame Rosé 2008 offre una elegante tonalità oro rosa con leggere sfumature ramate. Corposo e morbido al naso, per diventare poi raffinato con una freschezza di aromi. La generosità del vitigno gode anche del lento e lungo invecchiamento (dieci anni) nelle secolari cantine di Veuve Clicquot... Il vino rivela potenti note di frutti rossi (lamponi e fragole), abbinati a note agrumate di pompelmo. È perfetto l’equilibrio fra le note sottili e speziate di frutti di bosco e i sentori di cuoio pregiato. Al palato l’attacco è deciso e morbido, la forza e la freschezza sono come scolpite da note di lungo invecchiamento, fiori secchi e sentori affumicati, che regalano una straordinaria complessità degna del miglior Pinot Noir della Champagne. La Grande Dame 2008 e La Grande Dame Rosé 2008 sono l’accompagnamento perfetto per le ricette gastronomiche di grandi chef e si accompagnano alla grande con svariate preparazioni gourmet. La cena a Identità Milano, realizzata con protagoniste le chef dell’Atelier des Grandes Dames (v.
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Fabrizia Meroi, chef patronne del ristorante Leite, a Sappada
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Cover Story Artù n.91, aprile 2018) ha consentito di apprezzare al meglio il marriage con i grandi piatti di Gaia Giordano, dello Spazio Niko Romito di Milano, di Fabrizia Meroi del Leite di Sappada, di Martina Caruso, del Signum di Salina, di
Caterina Ceraudo, del Dattilo di Strongoli. Un menù che, come ha sottolineato Francesca Terragni, Direttore Marketing & Comunicazione Italia del Gruppo Moët-Hennessy, ha messo in evidenza “il talento di donne straordinarie e talen-
Martina Caruso, del ristorante Signum di Salina
Martina Caruso è il talento femminile della cucina italiana Il 4 marzo, nell’ambito della quarta edizione dell’Atelier des Grandes Dames, il network che ha lo scopo di celebrare il talento femminile nell’alta ristorazione voluto da Veuve Clicquot, Michelin ha assegnato il premio Chef Donna 2019 a Martina Caruso, Ristorante Signum, Isola di Salina (Sicilia), una stella Michelin dall’edizione 2016. Martina Caruso, classe 1989, muove i primi passi in cucina nella struttura di famiglia, che offre una meravigliosa vista su Stromboli e Panarea. Nei mesi di chiusura invernali ha lavorato al fianco di diversi chef stellati che hanno segnato il suo percorso di crescita e che l’hanno arricchita professionalmente. Stella Michelin dall’edizione 2016, propone una cucina locale e mediterranea aperta a contaminazioni interregionali e internazionali alla cui base troviamo gli aromi dell’isola. Martina Caruso riceve il premio Michelin Chef Donna 2019 per la grande volontà e capacità di progredire e di rappresentare la sua isola raggiante, attraverso una grande tecnica e il tocco femminile di una giovane donna appassionata e determinata.
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tuose , che hanno offerto l’opportunità, con i loro piatti, di esaltare un prodotto di grande eccellenza come La Grande Dame 2008”. Durante la cena, il piatto di Gaia Giordano, Rabarbaro marinato, olio e dragoncello, è stato abbinato a La Grande Dame 2008, mentre il Rosé era abbinato a Merluzzo, Finocchio, Latte della Meroi. Ciliegina sulla torta, altri due grandi presenze: La Grande Dame 1989 e La Grande Dame (udite, udite) 1979, rispettivamente abbinati a Pennoni monograno Felicetti con totano e bieta croccante, di Martina Caruso e Spigola, limone candito e patate, di Caterina Ceraudo. Un’esperienza di degustazione unica, memorabile, che ha visto il suo magico, ineguagliabile atto finale nella degustazione di Veuve Clicquot 1990, da una bottiglia Jeroboam, 60% Pinot Noir, 40% Chardonnay. Un grande vintage, un grande formato, proveniente dalla Cave Privée della Maison: una vera icona di eccellenza destinata a grandi intenditori. •
www.host.fieramilano.it
L’intervista
Martino Ruggieri
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Il finalista eccellente che non abbiamo tifato di Nadia Afragola
Martino Ruggieri, allievo del grande Yannick Alleno, arrivato alla finale del Bocuse d’Or, non ha raggiunto il podio. E se ne fa una ragione, raccontando a BARtù le sue impressioni Per lui avremmo dovuto fare il tifo. Serviva più coinvolgimento e meno politica e invece ci siamo cascati ancora una volta. Parliamo di Martino Ruggieri, cuoco classe ’86, pugliese di Martina Franca, che a gennaio si è ritrovato a Lione alle finali mondiali del Bocuse d’Or. Lui insieme ad altri 23 tra i più promettenti giovani chef di tutto il mondo. Un concorso, creato nel 1987 dal grande cuoco francese Paul Bocuse, delle vere e proprie Olimpiadi, per la precisione! L’Italia nella competizione non ha storia, del passato resta solo un quarto posto di Paolo Lopriore, ecco perché è stata messa in piedi un’Accademia, un paio di anni fa, con un direttore da tre stelle che risponde al nome di Enrico Crippa, solo per preparare il team Italia alla grande gara, e nonostante la “wild card”, che premia la nazione ospitante durante la finale Europea (organizzata tra l’altro a Torino) l’esito era scontato, per svariati motivi. Non avremmo mai raggiunto quel podio. Infatti non si è andati oltre il 15° posto. Cosa resta? Un percorso umano fortissimo per questo cuoco capace di diventare il braccio destro di Yannick Alleno nella cucina del tre stelle Pavillon Ledoyen di Parigi. Abbiamo imparato a conoscerlo, ne abbiamo apprezzato la spontaneità,
il suo estro, indomabile. Lo abbiamo incontrato mentre preparava la valigia. Torna a casa, in Francia. Il suo posto è la ma nessuno si dimenticherà di lui, resta quello che ha fatto. E non c’è modo migliore di andar via se non dopo aver fatto qualcosa di bello per qualcuno: Martino ha aperto una strada. Come è cambiata la sua vita il 31 gennaio, il giorno dopo la finale mondiale del Bocuse d’Or a Lione? È tornata quella di prima. Adesso faccio la vita di un cuoco normale, mi sveglio e vado a lavorare, faccio gli ordini, faccio in modo che il food cost sia sempre rispettato e inizio a cucinare. Ho vissuto due anni per vivere un giorno, per cucinare il piatto della vita quel preciso giorno. L’Italia ha perso, ma… …ma ha perso. Puoi anche dire che ha
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perso Martino Ruggieri, sarebbe coerente, resta pur sempre un concorso in cui a partecipare è il paese e non il singolo candidato. Abbiamo perso ma capito tante cose, in primis che non conta solo la cucina ma anche quanto sai essere diplomatico con gli altri paesi. Abbiamo iniziato un percorso che qualcun altro porterà avanti. Mi auguro! Le emozioni come si gestiscono? Perché occorre fare i conti anche con loro mentre si dosano gli ingredienti! Non ho mai pensato di mollare. Sono molto freddo quando lavoro, nel senso che riesco a staccarmi dalle mie emozioni, più vere, per raggiungere il mio obiettivo. Non ci sono stati momenti di panico o di tensione, non abbiamo mai perso il controllo. Per quanto riguarda la gestione della fatica fisica e mentale
L’intervista è andata bene. Torna in Francia, dal suo maestro Yannick Alleno. Chi ha fatto il suo nel periodo in cui era via? Uno chef come Yannick Alleno non dipende dai suoi ragazzi, è un grande cuoco e che ci sia io o meno il lavoro lo fa ugualmente. Ha lavorato di più il sous chef, probabilmente. Non ho mai avuto paura di perdere il posto di lavoro perché il rapporto che mi lega a Yannick è solido, ci sentivamo tutti i giorni e ora l’unico mio pensiero è ricominciare. Sono certo che andrà bene, non vivo sugli allori per i traguardi raggiunti, so benissimo di dover riconfermare tutto e ho voglia di fare meglio, meglio di prima. Il Bocuse d’Or mi ha aiutato a diventare più tecnico. Per due anni guardavo il mondo della ristorazione stando seduto in panchina, vedevo gli altri fare il mio lavoro. Come un giocatore di calcio, sempre convocato ma al quale viene detto di guardare le partire da bordocampo. Sono andato a mangiare fuori, da colleghi e amici più spesso, avendo il tempo per farlo, ecco perché ho avuto modo di riflettere, in modo nuovo, su ciò che fanno i cuochi. Il trionfo è stato scandinavo. Perché una simile supremazia? Questione di soldi o sono davvero più bravi? I fattori sono molteplici. Sono bravissimi loro, non puoi dire il contrario ma ciò non vuol dire che noi non siamo altrettanto forti: siamo arrivati a Lione con Crippa, Alleno, alcuni membri del MOF (Meilleurs Ouvriers de France). Non abbiamo fatto una cattiva figura e chi, in classifica, è arrivato sopra di noi, se escludiamo per un attimo i primi tre, non hanno presentato dei piatti così diversi dai nostri. Molti paesi hanno un percorso nel concorso lungo 30 anni, una esperienza che ti permette di avere un approccio al regolamento come dire “sottile”, quasi borderline. Paesi che è normale abbiano una certa influenza nei giudici, perché quando ti arriva il piatto della Danimarca sai già, ancora prima di vederlo, che è frutto di un gran lavoro,
mentre quando arriva il piatto italiano è normale essere prevenuti. Quello che io chiamo “blocco del nord” è composto da amici, che si aiutano, in tutto, anche nel giudicare i vari candidati. Qualcosa che non dimenticherà? Che non si aspettava di subire e in questo caso parliamo di delusioni. Le delusioni quando arrivano le accetti. Non partecipi ad un concorso come il Bocuse d’Or per arrivare 15°. A livello pratico mi ha lasciato un bagaglio di tecnica incredibile, cose che non farei tutti i giorni ma che è bene sapere. Stare al fianco di Enrico Crippa non è certo un aspetto da sottovalutare. Ha pagato per errori di altri? Premetto una cosa, non avrebbe influito sul risultato finale, ma si, ho pagato
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per errori di altri. Avere Berton al mio fianco, o Cracco, Ghezzi sarebbe stato importante e non so perché non ci siano stati, perché ad un certo punto si sono defilati. Se uno di loro assaggia un mio piatto il tutto assume un valore aggiunto che non puoi calcolare. Come sarebbe stato diverso arrivare a Lione con al mio fianco Alaimo e Bottura? La tecnica, la cucina classica francese che ha così a fondo studiato per il Bocuse d’Or è il bagaglio che porta per assurdo con sé a Parigi. È già allo studio di nuovi piatti? Non mi sono mai fermato a dire il vero, neppure durante la preparazione al Bocuse. Ho pensato tanti piatti che non potevo inserire in alcun modo nella competizione perché fuori dal regolamento per vari motivi, ecco, loro sono il mio bagaglio più grande. Quei “ragionamenti” non me li porta via nessuno. La cucina che è abituato a vivere… com’è? Più spaziosa, quel quadrato, la postazione all’interno della quale dovevamo stare per il Bocuse me la sogno la notte. Stare in cucina vuol dire essere liberi, ecco uno dei problemi che ho avuto. Al Pavillon Ladoyen non ho limiti, di tempo, di costi, ne tanto meno devo fare i conti con dei preconcetti. Facciamo una cucina con-
temporanea con una base francese, che spazia in tutto il mondo e se mi sveglio nel pieno della notte, è facile che mi vediate andare al mercato, mentre ancora stanno “montando” le bancarelle per poi andare al ristorante e fare un piatto. Da
solo, mentre il resto della città dorme. Ecco, questa libertà mi è mancata. Al prossimo concorrente italiano cosa direbbe per rincuorarlo o per fargli cambiare idea… Gli dico di stare a casa che fa prima… scherzo! Il Bocuse d’Or è una cosa da fare ma deve coinvolgere tutta l’Italia. Direi ad ogni ragazzo che da grande vuole fare il cuoco di andare a vedere il candidato italiano gareggiare. Cucini davanti a 1500 persone, molte delle quali gridano il tuo nome. Se vogliamo ottenere dei risultati concreti, universalmente riconosciuti, dobbiamo avere la forza di creare un movimento italiano. A chi verrà dopo di me dico di rimboccarsi le maniche perché sarà dura, oltre ogni sua aspettativa. Yannick potrebbe aprire in Italia (Toscana). Arrivasse, dal maestro, la proposta ci farebbe un pensiero? Non credo arriverà a me quella proposta. Le cose al Pavillon Ladoyen cambiano velocemente e la sicurezza di dove sarai la settimana successiva a quella che stai vivendo non c’è. Un approccio al mondo del lavoro che mi piace molto, oggi sono a Parigi e domani? Domani ci penseremo. Non rimarrò tutta la vita li, ho 32 anni e sono almeno due anni che la gente continua a dirmi che potrei aprire
qualcosa di mio perché mi ritengono pronto. Rispondo sempre la stessa cosa: si è chef quando si è “realmente” pronti. Non si è chef a 20 anni perché non si è in grado di gestire una cucina, un conto economico, una brigata e non si ha la maturità o il palato necessari a preparare una carta. Neppure 30 anni bastano alle volte. Quando realizzo un piatto e lo faccio assaggiare allo chef, lui lo “prova”, aggiunge un qualcosa e solo allora è perfetto, mentre io sono ancora la a chiedermi perché non c’ho pensato io a quel dettaglio. Sarò anche bravo, a sentir la gente, ma lui ha 50 anni e tre stelle e fino a quando il suo palato e il suo tocco avranno un impatto così importante su di me resterò dove sono, a Parigi, al suo fianco. Quello che mi da è ancora tanto ed è importante. La gavetta… quanto è importante nel vostro lavoro? La gavetta è la parte più dura del nostro lavoro. Oggi vedo tanti giovani “colleghi” presuntuosi e questo non va bene. Fanno uno stage in giro per il mondo e pensano di essere dei grandi cuochi. Servono anni alla corte dei grandi chef per imparare realmente qualcosa. Magari farai solo la carne ma poi ne uscirei vestendo i panni del “maestro” da quel posto. Si impara in anni di lavoro non mesi, iniziando alle 7 del mattino e togliendo la giacca da lavoro alle 3 di notte. Quello è lavoro vero. Abbiamo letto della contemporaneità del classico secondo Yannick Alléno e secondo Martino Ruggieri? Entriamo in un campo minato: come deve essere la cucina? Quando facciamo un piatto abbiamo sempre dei punti di riferimento, può essere il maestro Marchesi o
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Paul Bocuse perché è importante capire quello che hanno fatto prima di noi. Non puoi cambiare la cucina se non sai cosa è stato già fatto e come. Tutti possono essere creativi, anche perché la creatività non puoi giudicarla ma se metti in carta dei grandi classici che la gente conosce allora sei giudicabile, ecco perchè è più difficile partire dai maestri. Qual è il suo comfort food? A casa non cucino mai e mangio tutto quello che mangiate voi! Potrei rispondere i piatti di mia mamma perché fatti con amore e varrebbe la stessa cosa se avessi una moglie a casa che cucina per me. Il loro tocco sarebbe quel qualcosa in più, capace di fare la differenza e che nessun ristorante stellato potrebbe mai darmi. Comunque la pasta in bianco con un filo d’olio e del Parmigiano non la batte nessuno. Qual è l’ultimo stellato dove ha mangiato? Da Eugenio Boer a Milano poche settimane fa. È andata benissimo, lui è fuori di testa, troppo bravo. Bella l’ambientazione del suo ristorante: calmo, silenzioso, quello che cerco in un locale. Puglia: a Lecce arriva la prima stella Michelin. Perché ce l’hanno cosi tanto con i Bros? Perché sono dei geni e non parlo solo della cucina. Guardate dal niente cosa hanno tirato su. Puoi solo essere un genio per fare quella roba là a Lecce. L’80% di chi parla o scrive di loro non è mai stato a mangiare da loro. Torna a Parigi con qualche amico in più? Sicuramente ma preferisco non fare nomi, qualcuno potrebbe rimanerci male soprattutto quelli che arrivavano ad Alba in Accademia solo per vedere il loro nome comparire sul sito, per avere un po’ di notorietà. Poi c’era chi era lì con me, sul serio, e magari mi chiamava la sera per sapere come stavo. Il mondo della ristorazione ha i suoi equilibri, strani, difficili ma questi due anni mi hanno reso una persona migliore, consapevole di ciò che voglio dalla vita e di chi non voglio essere. •
Protagonisti Food
Chef: i “secondi” della grande brigata… di Nadia Afragola
Dietro a un grande cuoco, in questo caso Davide Oldani, c’è sempre un grande sous chef. Alessandro Procopio del D’O si racconta a Bartù Le brigate. Avete idea di cosa accada realmente in cucina? Avete idea di cosa sia chiamato a fare o saper fare un sous chef all’interno di un ristorante stellato? Avete idea del percorso che ha fatto per arrivare ad essere considerato il braccio destro di Bottura, Cracco, Oldani, Bartolini? Bisogna scavare a fondo. Andare alle origini e per andare alle origini occorre trovare le radici. Vale se parliamo di un cuoco, vale se parliamo di chi sta al suo fianco. Le radici, antiche e profonde, di Davide Oldani affondano in Lombardia. La sua Cucina Pop, quando fu “svelata” nel 2003, ebbe un successo folgorante: italiana, badate bene a non chiamarla regionale, fatta con il cuore e la passione di chi sa il fatto suo e ha un bagaglio culinario al quale attingere che pare non avere confini mai. La sua Italia è vista da una prospettiva precisa e apre al dialogo mondiale sulla cucina dei giorni nostri. Abbiamo detto dialogo… siamo partiti dalle brigate e lì torniamo per iniziare un dialogo a quattrocchi con Alessandro Procopio, sous chef nato e cresciuto a 500 metri dal D’O. Uno che copre le spalle assieme al compare Vladimiro Nava, a Davide Oldani. Sono loro gli chef del ristorante. Certo, accanto a Davide. Alessandro… che lavoro fa? Il cuoco. Da ragazzo guardavo i mei genitori spadellare. In famiglia tutti amano
Da sinistra: il sous chef Alessandro Procopio, Davide Oldani e Vladimiro Nava
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cucinare, le nostre origini sono da rintracciare al sud, in Calabria. Con nonna facevamo le conserve in casa, da sempre, e pian piano mi sono avvicinato ai fornelli. È nata una passione e dopo la terza media ho detto ai miei che avrei voluto fare il cuoco. Mi dicevano che sarebbe stato un lavoro pesante, che non avrei avuto weekend liberi e avrei dovuto sacrificare le serate con gli amici. Non sentii ragioni e passai 5 anni all’Alberghiero “Carlo Porta” di Milano. Verso la fine del percorso di studi, a 500 metri da casa Oldani stava per aprire il D’O, mi presentai e mi scelse. Dopo un anno e mezzo insieme mi ha detto: “Vai via, vai all’estero, è quella la strada se vuoi diventare un bravo cuoco. Vai nei grandi ristoranti, vai a Londra a Le Gavroche”, il primo tre stelle francese, uno dei ristoranti dove aveva lavorato lo chef. Poi mi disse di andare in Francia, finii in un altro tre stelle, la Maison Troisgros a Roanne e poi al Plaza Athenée da Ducasse. Poi tornai e il D’O è casa mia dal 2012. Perché ha scelto di tornare? Perché l’Italia è casa mia ma soprattutto sono tornato al D’O, un progetto sposato sin dall’inizio. Una visione del cibo accessibile con prodotti di alta qualità. Volevo continuare ciò che avevo solo interrotto. Cosa fa il sous chef di un ristorante stellato? Prende le decisioni che dovrebbe prendere lo chef. Fa gli ordini, mette in piedi,
insieme allo chef, il menù, controlla che la brigata faccia le ricette nel modo corretto e che tutto vada bene: è il responsabile della cucina e se c’è un problema deve risolverlo. È il braccio destro dello chef. Cosa non fa il sous chef di un ristorante stellato? Lui deve fare tutto, deve saper fare tutto, compreso lavare i piatti se manca il ragazzo dedicato a quel servizio. Arrivi ad essere sous chef perché vuol dire che prima hai fatto tutto il resto, tutto ciò che c’era da fare in cucina. E se una pentola non viene pulita bene, devi essere pronto a spiegare come pulirla. Chi è Davide Oldani? Il mio maestro, colui che mi ha fatto innamorare di questo lavoro. Mi ha insegnato tutto: da ragazzino ha visto in me qualcosa che probabilmente io non pensavo neppure di avere dentro. Un difetto? Ok, ma per me è un pregio: è preciso, tanto preciso. Non gli sfugge nulla, mai. Per i dettagli, poi, sembra che abbia il radar. Quando l’ha praticamente licenziata per mandarla all’estero… come l’ha presa? Sapevo di dover fare un percorso. La possibilità che mi fu data di partire fu per me un premio, sapevo che aveva investito su di me, con un pizzico di azzardo, in fondo stava lasciando andare un suo ragazzo. È al D’O dall’apertura, dal 2003. Partiamo da quel giorno. Cosa resta? Avevo paura ma fu bellissimo. Ho seguito tutti i lavori, compresi quelli di muratura: ero carichissimo ma era la mia prima volta in una cucina, in una grande cucina. Quel giorno fu come vivere un sogno, vederlo avverarsi e io ero lì a provare a dimostrare che potevano contare su di me. Avete inventato un movimento, la Cucina Pop. Bene, cosa è? E come si è evoluta? Ho sposato l’idea, dello chef, di una cucina accessibile sin da subito. In quel periodo i prezzi di una cena Croccante in bocca di un certo tipo cioccolato, pera al profumo erano alti e lui ebdi rhum e caramello
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be il coraggio di andare controcorrente. Fece scalpore all’epoca, ora tutti stanno sposando quella filosofia ed è bellissimo. Si usano prodotti di stagione, lo facciamo ancora oggi ma magari accanto a un quinto quarto usiamo anche un filetto, lavorato in un certo modo e venduto a prezzi accessibili. Una buona tecnica può rendere appetibile una materia prima discutibile? La tecnica aiuta a rendere un prodotto appetibile e in alcuni casi riesce anche a migliorarlo, ad accentuarne le qualità. Parliamo dei vari tipi di cottura, delle macchine che oggi aiutano un cuoco ad essere preciso. È tecnica saper cuocere al punto giusto il pesce, la pasta, la carne. È tecnica saper valorizzare un ingrediente. Sappiamo come uno chef vive l’arrivo della Michelin nel suo ristorante ma un sous chef che emozioni ha? Mentre sei al servizio non sai chi c’è dall’altra parte. Non si fanno riconoscere, è un cliente come gli altri, poi magari alcuni si presentano e allora lì hai bisogno un attimo di un appoggio perché le domande che ti affollano la testa a quel punto sono tante e le gambe tremano. Ho fatto tutto bene? Premi il tasto rewind in testa e ripercorri i piatti usciti in sala, tutti i gesti fatti intorno a quei piatti, cercando di trovare un errore per essere pronto all’(eventuale) critica. Domande che a volte fanno ridere persino me, tipo: “Ma il sale l’ho messo?”. In tutti questi anni come è cambiata la
Protagonisti Food qualche anno in più di me ha quel pizzico di esperienza in più della quale io ho bisogno per crescere, migliorare e motivarmi giorno dopo giorno. Lui ha visto più cose di me, ecco perché è sua la maturità nel dirmi “no, questo non si può fare!”. La creazione di un menù, di un piatto. Come avviene? Avviene mesi prima, adesso stiamo definendo le ultime cose della carta primavera che sarà inserita al ristorante intorno al 20/25 marzo. La prima riunione per questa carta è stata fatta a novembre dello scorso anno. Con lo chef buttiamo giù idee, impostiamo piatti che devono essere validati. È un lavoro di equipe che porta via un tempo che non può essere quantificato. Certi piatti funzionano subito altri si provano per mesi. La competizione in cucina… fa bene? Lo
clientela? Abbiamo clienti storici che vengono da 15 anni, sono gli appassionati del D’O e poi ci sono i clienti nuovi. Non c’è un’età media, viene il ragazzo con gli amici o la fidanzata ma anche le famiglie. Siamo pop, popolari per davvero! Stranieri? Un 20% circa, divisi tra francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, americani, canadesi, messicani. Quanti siete in brigata? Dipende dai periodi. In cucina siamo in 14/16, di cui 4 in pasticceria. In sala sono in 10, più due persone all’accoglienza, per un totale di circa 50 posti a sedere. Vladimiro Nava è il suo braccio destro? Assolutamente no, più probabile che sia il contrario. È un carissimo amico, è il mio fratello maggiore e poi siamo colleghi, siamo i due chef del ristorante. Lavoriamo insieme da sempre, viviamo tutti i giorni della nostra vita insieme e lui, avendo
Ecco, quelle cose non vanno bene, come non mi piace quando si prende di mira un ragazzo, magari più debole o troppo buono. Sono atteggiamenti che fanno male al team ecco perché dei ragazzi così non li prendo, semplicemente perché non tollero la prepotenza. Chi decide se un ragazzo è adatto ad entrare a far parte della vostra brigata? Lo chef, Vladimiro e io ma anche il resto della brigata. Alcuni di loro lavorano con noi da anni e sono il mio braccio destro e sinistro e il braccio destro e sinistro di Vladimiro. Questa è la nostra forza. Io e Vladimiro capi della brigata lo siamo sulla carta ma in cucina non serve ribadire nessuna gerarchia. Sente di essere un imprenditore? Io? No, ancora no. Io sono un cuoco. Tutti i giorni guardo i prezzi, penso ai food cost ma non mi sento un imprenditore. Il D’O però lo sento anche un po’ mio, sono onesto, ecco perché voglio far bene qui, ci sono ancora tanti progetti da portare a termine. Non chiedetemi se voglio andare, non serve! Chi cucina quando è a casa? Io. Oltre ad essere il mio lavoro, la cucina è anche il mio hobby. Sono Ravioli d’Italia sposato con una ragazza francese, da Nord a Sud conosciuta alla Maison Troisgros, abbiamo due bambini di 13 e 6 anni. Il grande vuole fare informatica, il piccolo prova a seguirmi. Quando mi avvicino ai fornelli come le api sul miele me li ritrovo intorno. Qual è il suo comfort food? L’insalata di riso che fa mio papà, ne mangerei in quantità industriali. Un ingrediente. Il suo. Oggi tutto è a portata di mano. Non amo limitarmi, voglio provare, sperimentare, gusti e sapori. Mi piacciono gli ingredienti sa che tutti vorrebbero il suo posto? “semplicemente” buoni. Gli insetti? Non Si lo so! Se sana la competizione fa bene, ho avuto modo di mangiarli, se andrò in anche al ristorante perché stimola i ragazSud America potrei farci un pensiero. In zi a fare meglio. Parlo di una competizione provincia di Brescia e Bergamo credo ci pulita. All’estero ho avuto modo di vedesiano degli allevamenti. Ci penso! re brutti scherzi o dispetti tra colleghi, È felice? capaci di rovinare anche la reputazione. Si, molto. •
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Focus Food
Focus Food
Record di presenze alla 39° edizione di Tirreno C.T. Numerosissimi gli operatori professionali presenti e oltre 100 gli appuntamenti di approfondimento in programma
Si è chiusa con il record di presenze la 39esima edizione di Tirreno C.T. che insieme a Balnearia ha ospitato 62 mila operatori dal 24 al 27 febbraio nei padiglioni di Carrara Fiere, incontrando gli oltre 900 marchi commerciali presenti. Dall’arredo contract ai prodotti per la ristorazione, passando per gli accessori e la tecnologia applicata a tutto il mondo del food and wine. Inoltre concorsi, tra gli altri i campionati italiani di pasticceria e quelli della pizza. Senza contare la folta presenza di professionisti del settore, dai barman ai cuochi, passando per pizzaioli e maestri del caffè. In quattro giorni oltre 100 appuntamenti di approfondimento, tra seminari, cooking show, convegni, tavole rotonde. Successo anche per lo spazio della Cucina dei SaperiSapori e Conoscenze dove la padrona di casa, la giornalista Laura Salvatore Iacopetti, durante i tre giorni ha ospitato personaggi e ricette della tradizione italiana. Tra i numeri del successo gli oltre 430 espositori in rappresentanza come detto di 900 marchi
commerciali. A conferma dell’importanza di questa vetrina, la presenza dei marchi più rinomati che anche per quest’anno hanno scelto i padiglioni della fiera per presentare e mettere in evidenza le novità immesse sul mercato. Un successo che ribadisce l’importanza di una fiera che negli anni è diventata il punto di riferimento del settore e che nel 2020 raggiungerà i 40 anni di storia, per una fiera un vero e proprio record, che saranno celebrati dall’1 al 4 marzo sempre negli spazi di Carrara Fiere. Tirreno C.T. e Balnearia sono organizzate da TirrenoTrade Srl; per informazioni sulla fiera e per poter partecipare come espositori o visitatori www.tirrenoct.it •
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Gardenia, 50 erbe spontanee nella cucina “in rosa” “Far felice il cliente a tavola” questo l’obiettivo di Mariangela Susigan, chef titolare di questo locale a Caluso (To).
Mariangela Susigan è una chef donna, stella Michelin dal 2000, una vera passione per le erbe spontanee e una cucina che esprime felicità. Gardenia, dal 1977, è il suo ristorante. Una bella casa ottocentesca nel cuore di Caluso, a mezz’ora di auto da Torino, è la location elegante, calda e famigliare di Gardenia. Qui la padrona di casa, accoglie i suoi ospiti fin dal 1977 con l’autenticità, l’entusiasmo e il sorriso che sono da sempre parte della sua personalità e della sua cucina. Superato il cortile si entra nell’elegante sala: tovaglie di lino, fiori freschi del giardino sui tavoli e un menù che racconta la profonda conoscenza e tutto l’amore di Mariangela per il territorio, per le erbe spontanee e per le tradizioni gastronomiche piemontesi. Autodidatta, Mariangela Susigan preferisce raccontarsi attraverso i suoi piatti piuttosto che a parole. Perché, come lei stessa ama dire, “l’obiettivo di Gardenia è
Brigata del Gardenia al completo
far felice il cliente a tavola”. Il suo estro e la sua personalità decisa sono la firma di una cucina “concreta e comprensibile” ma mai scontata. Poco spazio per sofisticati virtuosismi, la vera sorpresa è nei sapori, nell’uso creativo dei prodotti del territorio, nella rivisitazione contemporanea di materie prime eccellenti della tradizione piemontese, nell’utilizzo sapiente e inedito delle oltre 50 erbe spontanee che la chef stessa raccoglie nelle incontaminate valli circostanti. E sono proprio le erbe della Valchiusella le indiscusse protagoniste del menù, soprattutto quello primaverile ed estivo. Accanto alle erbe spontanee i prodotti di un orto magnifico – curato con amore e sapienza dall’ortolano Vittorio – che affianca le erbe aromatiche, l’orto itinerante, il frutteto e i fiori. Tutti presenti
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in carta, all’interno di ricette verdissime, colorate, profumate, femminili, che mutano con il mutare delle stagioni. In carta trovano spazio la battuta di fassona La Granda, i plin, il fritto misto alla Piemontese, le lumache in giardino ma anche le tenere erbe selvatiche, terra di mandorle, gelato all’olio e abete rosso e i ravioli di ortica, seirass fumè, malva e ca-
Mariangela Susigan
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Protagonisti Food
Mariangela Susigan per Goût de France. Il menù stellato parla francese Dal paté alla charcuterie, dalla soupe à la graisse di Normandia alla bouillabaisse marsigliese, dallo Champagne al Borgogna… il 21 marzo è tornata Goût de France: la più grande cena francese mondiale dedicata ai gusti culinari raffinati e sopraffini dei nostri cugini d’oltralpe. Una manifestazione che coinvolge ogni anno 5000 chef da tutti i continenti, dai ristoranti di alta gastronomia al bistrot di qualità. Mariangela Susigan, chef e padrona di casa del ristorante Gardenia di Caluso (TO), ha fornito la propria interpretazione del “dîner à la française”. Entrée, Plat e Dessert di ispirazione francese pensati e preparati, però, con prodotti locali e di stagione selezionati presso piccoli e caratteristici produttori del Canavese con i quali la chef piemontese collabora da anni. Il menù prevedeva Terrina di foie gras d’anatra fumé, sentore di Cognac, pan brioche di mais Pignoletto; Bon bon di lumache di vigna e aglio ursino; Crudité di tonno e radici in rosso alla salsa di soia; Scampi alla plancia, punte d’asparagi zabajone d’estragone e croccante di parmigiano; Piccione cotto in padella, polline fermentato e cicoria di campo. Chiusura con una selezione di formaggi e il dessert: Sablé Breton, fragole Mara de Bois, cioccolato Guanaja. Il tutto annaffiato da champagne e vini (made in France ovviamente) scelti in abbinamento.
lendula… E poi ancora il pesce, rigorosamente pescato, dalla ricciola al branzino. Nel menù di Gardenia tradizione e innovazione si compenetrano in un originale percorso di gusto fatto di rimandi, suggestioni, rivisitazioni e gioiosa autenticità. Oltre 700 etichette: grandi vini del territorio, produzioni d’eccellenza ma anche vitigni riscoperti da piccoli produttori, etichette di agricoltura biologica, produzioni locali inedite e una particolare attenzione ai vini francesi (Bourgogne, Bordeaux, Alsazia, Champagne). La carta è anche ricca di cru del Canavese prodotti dall’azienda vitivinicola di famiglia. Il ristorante Gardenia è anche catering d’eccezione – perfetto per location eleganti ma anche eventi – e street food verde e profumato, grazie all’Ortofritto vegetariano, un cartoccio di fragranza e golosità unici che lo staff di Gardenia porta in assaggio a manifestazioni e fiere in tutta Italia oppure, a richiesta e su prenotazione, a eventi privati. •
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Franco Aliberti Cucina sostenibile di Giorgio Ascorti
Già stellato alla Presef, in Valtellina, lo chef napoletano approda al milanese Tre Cristi con la sua personalità versatile e attenta Di Franco Aliberti - nuovo chef al Tre Cristi di Milano – i gourmet conoscono il brillante passato da pasticciere prima (con passaggi all’Antica Corte Pallavicina, Le Calandre, L’Albereta, il Marchesino, Osteria Francescana…) e poi da cuoco nel suo ristorante Evviva a Riccione e nello stellato La Prèsef dove guidava la brigata insieme a Gianni Tarabini. Non è il primo bravo professionista sbarcato sotto la Madonnina né sarà l’ultimo ma il 34enne di origine campana ha una notevole personalità, non solo tra i fornelli. Quando
mette mano al cibo, Aliberti si occupa sia di contenuti sia di contenitori. Considera la parola ‘piatto’ nella sua accezione più completa e non si ferma alla preparazione della pietanza ma continua con la creazione della stoviglia che la contiene – grazie a una termostampante - con un design ispirato dalle materie prime presenti in cucina. Per creare le nuove forme, lo chef lavora l’argilla assieme a verdure e oggetti di uso quotidiano: così il piatto di benvenuto è realizzato con il gambo dei broccoli, il portaburro con una fetta di vero pane, il piatto delle chiocciole con foglie di verza. Quindi nella prima stagione con lui al comando, nel ristorante si trovava vasellame con i prodotti tipici dell’inverno: cavolfiore, cavolo romanesco, zucca, radicchio trevigiano, cipollotto, broccolo, verza, porro, ravanelli, rape, carciofo, finocchio e pannocchia. Le opere per ora sono state bianche ma Aliberti sta mettendo a punto colori naturali
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Lo chef Franco Aliberti
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derivati dagli ortaggi con un processo di estrazione. In occasione dell’imminente Salone del Mobile, lo chef produrrà una nuova linea di 50 pezzi che sarà possibile acquistare (previa prenotazione) al ristorante. “Giochiamo con le apparenze: non sempre quello che si osserva è simile al gusto che il cervello immagina di provare, ci piace giocare su questa discordanza – sottolinea lo chef del Tre Cristi - ed è un gioco che continua a cambiare, nella prossima collezione infatti vedremo peperoni, melanzane, zucchine e insalata”. Tornando alla cucina vera e propria, Aliberti ha le idee chiare “Pur rimanendo gourmet, è attenta alla sostenibilità ambientale, perché utilizza integralmente materie prime povere e riutilizza le parti meno nobili delle stesse. Ho studiato ricette dove il protagonista è un singolo ingrediente, bilanciato al massimo da altri due di supporto. Amo colpire con la semplicità più che con la complessità, reinterpretando anche un semplice broccolo con una vena divertente, senza mai
perdere di vista la sostanza del piatto”. Due i menù degustazione: In città e A due passi da Milano. Il primo è composto da sette portate che sono un omaggio di piatti alla metropoli, dedicati non solo ai prodotti della tradizione ma anche alle persone che hanno arricchito e portato un cambiamento in città. “Lo considero uno slalom tra i quartieri più e meno conosciuti e i simboli: dal Castello a Isola, da Porta Nuova a Navigli, senza dimenticare la periferia con il rione di Dergano” commenta lo chef. Il secondo menu si articola su dieci portate: è attento al cambio delle stagioni e raggruppa tanti piccoli produttori di nicchia, segnalando per ogni piatto gli ingredienti e la distanza dalla città. “Per esempio il piatto Braulio, il cui
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ingrediente più distante è in Valtellina a 160 km da Milano o la nocciola che proviene dalle Langhe, a 150 km” spiega Aliberti. La parola chiave del rinnovato Tre Cristi? “Ecosostenibilità: ogni piatto esalta le singole materie prime, presentate in diverse consistenze e utilizzando tutte le parti commestibili di frutta e verdura, in un puro “gioco di apparenze” che ingannano i sensi ma non il palato ”. In effetti, Aliberti ha un occhio di riguardo per la scelta di materie prime ‘povere’ e il riutilizzo anche delle parti ancora meno nobili delle stesse. E’ un cuoco curioso, con tanta voglia di sperimentare: non a caso si avvale delle più moderne tecniche di cottura ma predilige un ritorno all’uso di cucina ancestrale, materica, come quella della griglia, che sta diventando tendenza a Milano al di là dell’ interpretazione personale .“Ho una visione: tutto deve essere catalogato al millimetro, per essere perfettamente replicabile in ogni momento e da ogni componente della brigata. Un esempio: la pasta al pomodoro, è la classica ricetta non scritta. Invece per me lo deve essere, con tutte le possibili variazioni. Questo è un pensiero da pasticcere” chiude Aliberti. E ha ragione. •
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Protagonisti Food
Daniel Canzian, il marchesiano visionario di Maurizio Bertera
Un progetto di cucina che nasce dalle possibilità che il mercato offre. Talento, coraggio e audacia completano l’offerta del giovane cuoco “La linea di cucina che ho sposato nobilita la semplicità e si basa sul concetto di togliere, ossia di sottrarre tutti gli ingredienti “di troppo” presenti in una ricetta. Credo che grande cucina non sia sinonimo di cucina complicata: la grande cucina si manifesta nei piatti più semplici, come una tacchinella bollita, un’aragosta cotta all’ultimo momento, un’insalata appena colta nell’orto e condita in tavola”. Parte da una frase che ‘domina’ il sito del suo ristorante, il nostro colloquio con Daniel Canzian, l’ultimo dei ‘marchesiani’ - e lo sottolineiamo non tanto per il lungo passato di responsabilità a fianco del Maestro ma per l’opera del presente – che dal 2013 è chef-patron del locale milanese, all’incrocio tra via San Marco e via Castelfidardo. Un’oasi di buon gusto e di una filosofia che secondo noi è ancora sfuggita a buona parte della critica. Ma intanto, si mangia benissimo e italianissimo. Canzian, più che una provocazione a noi sembra un progetto di cucina non facile soprattutto in una città piena di tendenza, di etnico. Quando le è scattata la scintilla? Quando ho aperto il locale, anche se probabilmente non l’avevo messa su carta. Ovviamente è frutto dell’insegnato di Gualtiero Marchesi, il concetto del
togliere il superfluo che lui ha elevato ad arte. Tra l’altro, penso che sia il momento adatto per creare della semplicità vista la vita caotica in generale. Semplice non vuol dire essenziale per lei, ci è parso di capire. Essenziale vuol dire tutto e niente. A volte si vedono dei piatti considerati ‘essenziali’ ma che in realtà hanno richiesto un sacco di lavorazioni e di cambiamenti alla natura. Per me significa trovare l’essenza del prodotto, toccandolo il meno possibile. Come è nata questa carta assolutamente particolare, con piatti di ogni regione? Ho preso i ricettari: quello lombardo
come quello siciliano o quello romano. Ho scelto ricette con una storia e le ‘pulisco’, togliendo quanto non è più necessario oggi ma senza modificare il risultato finale. Un esempio è il pollo in tecia, figlio di una cucina intuitiva che nelle campagne serviva a saziare una famiglia intera, visto che il condimento finiva su
Daniel Canzian e la sua brigata impegnati in cucina
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Daniel Canzian
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Protagonisti Food
Aperitivi a gogò, lo chef insieme al bartender L’ultima idea è quella di celebrare l’aperitivo, il rituale tipico milanese. Da una parte le icone del bere miscelato, realizzate con mano contemporanea da Mattia Pastori: uno dei migliori bartender italiani, con una grande carriera. Dall’altra gli stuzzichini di Daniel Canzian, che esaltano al meglio le ‘note’ della ricetta liquida. Grandi abbinamenti e una novità: il drink è preparato o finito direttamente al tavolo. “La drink list che ho creato per l’aperitivo al Daniel - racconta Pastori - vuole rispecchiare lo stile italiano: nei sette cocktail si ritrovano le icone che hanno fatto la storia dell’aperitivo come l’Americano, lo Spritz e il Negroni, visti attraverso la mia chiave di lettura fatta di essenzialità e tecnica. Il legame con la città di Milano è il fil rouge che collega le diverse preparazioni e si manifesta fin dalla lettura della carta, dove ogni cocktail ha un nome dialettale”. Così sono nati Tel Chi - un twist sullo El sciur Spritz, variato nell’aggiunta di due ingredienti dalle note forti e decise come rafano e wasabi – che è accompagnato da un crostino con prosciutto cotto e rafano oppure il Ganassa, un cocktail ispirato agli anni ‘80 dove grande protagonista è la grappa, che dona un corpo molto strutturato, per un risultato elegante, che trova in una tartelletta alla maionese di prezzemolo e cavolo cappuccio la compagna ideale. El sciur invece è il drink creato da Mattia in omaggio a Daniel, ispirandosi all’aperitivo stile anni ‘60 quando la vodka iniziava ad imporsi nel mondo della miscelazione: In carta non poteva mancare un signature di Pastori: Il ‘Negroni del Professore’ che qui prende il nome di El Professur Tra i protagonisti dell’esperienza c’e Drinkable berebeneovunque, società specializzata nella consulenza e realizzazione di servizi legati al mondo del bere miscelato “L’incontro con Mattia ha permesso di raggiungere il massimo nella realizzazione di una drink list ‘milanese’ che mi rispecchia pienamente e saputo portare ad un livello più alto un processo già iniziato da anni, con i primi cocktail integrati allo stuzzichino. Restaurare la tradizione è il mio obiettivo, che partendo dalla cucina interessa tutti gli aspetti del gusto” sottolinea Canzian.
Il bartender Mattia Pastori con Daniel Canzian
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Gnocchi di patate dorati e ripieni di baccalà mantecato, puntarelle e salsa di alici
una grande polenta. Ora non abbiamo più bisogno di nutrirci così e quindi applicando la tecnica contemporanea, il pollo è ugualmente gustoso ma digeribile. In più, viene servito al tavolo per creare interesse. E’ un lavoro fattibile in una trattoria? Buona domanda. Per me, una trattoria comunque deve ragionare sull’evoluzione dei piatti. Non ho detto rivoluzione, perché non avrebbe senso. Però, bisogna uscire dal guscio, del tutto scontato, convincendo anche il pubblico che sia giusto pagare qualcosa di più per mangiare meglio, anche in osteria Aggiungo che se i ristoranti ‘buoni’ facessero un maggior numero di piatti italiani al cento per cento ne guadagnerebbero anche le trattorie, ‘costrette’ a far meglio, e quindi la cucina italiana in generale. Saprà bene il pericolo nel toccare la tradizione: sono più buone le lasagne di mamma, perché il cuoco ha cambiato l’arrosto e via di questo passo… Ogni piatto della tradizione può essere migliorato. Per me il simbolo di questo ragionamento è rappresentato dalla Costoletta 2000: Marchesi, al di là del capolavoro estetico, la cambiò per risolvere il problema innato di una cottura imperfetta. Non per un capriccio.
Lei fa parte del board europeo di JRE e quindi conosce benissimo i colleghi europei e ancora di più quelli italiani. Quando fa discorsi del genere, i più giovani cosa dicono? Manca un vero confronto su questo tema, tradizione e creatività vivono su mondi opposti. E in genere i giovani cuochi preferiscono fare la ‘loro’ cucina che cimentarsi su quella del luogo dove lavorano, come fosse limitante. Io penso sempre ‘ma se sei bravo e hai palato, fammelo vedere nei piatti del territorio e non solo in quelli che senti tuoi?’. Poi sia chiaro, sono uno di quelli che se si siede in un locale vuole ‘sentire’ il posto, assaggiare quella cucina. Canzian, detto così ci si domanda se lei qualche volta mangia etnico. Assolutamente, io adoro la cucina etnica a un patto: che non sia fotocopia e non venga servita in posti ‘freddi’. A me fa solo pensare quando vedo i nostri cuochi –non tutti sia chiaro – che utilizzano il ponzu o il miso e considerano una riduzione di vino rosso come il passato. Trovo che lo sviluppo della cucina d’importazione sia stato utilissimo perché ha creato una maggiore apertura mentale ma la cucina italiana, tradizionale,
Pollo in casseruola
Atmosfera soft E tavoli ben distanziati L’ambiente è molto elegante, con il bancone regolamentare davanti alla grande cucina dove tra l’altro si organizzano corsi tematici. La sala è ampia e profonda che il restyling ha esaltato, mantenendo un’aria chic. Si sta bene seduti da Daniel, accuditi da un servizio professionale e non freddo, che aiuta anche a scegliere una delle tante buone bottiglie della cantina (“basata non sui grandi nomi ma sulle peculiarità che riesco a trovare sul mercato” spiega lo chef), fermo restando che qui – meritoriamente – si applica il diritto di tappo a soli 10 euro. E poi c’è la cucina. Già completa a pranzo tra un business lunch in tre versioni (18, 23 e 28 euro), una bella proposta di cinque assaggi ‘dal mercato’ a 28 euro e la carta normale. A cena, oltre alla carta stagionale, due degustazioni: Tradizionalmente e Verso la purezza, rispettivamente a 70 e 80 euro, volendo con vari pairing enoici. Il primo è una ‘summa’ regionale di alto livello, che spazia dal Minestrone di verdure ‘marchesiano’ a un’Idea di cassata siciliana passando per i Carciofi alla romana, spinaci e mentuccia. Il secondo ha la peculiarità di proporre a fianco di ricette del territorio con il tocco d’autore - come il Maialiano da latte bresciano croccante-speziato – piatti più complessi che guardano all’arte come Divisionismo in cucina e la Sfera di cioccolato omaggio ad Arnaldo Pomodoro. Nella carta, merita attenzione la sezione Cucina di Memoria che comprende tre ricette milanesi perfette (costoletta, rustin negàa, ossobuco di vitello in gremolada con risotto giallo) e una che più veneta non si può quale il pollo in tecia, ossia quello nostrano al forno servito secondo l’usanza di Treviso. Spiegano molto del lavoro – eccellente ed encomiabile - che sta facendo Canzian sui classici regionali.
merita più attenzione. E penso che un cuoco possa mettere la sua personalità nei piatti solo dopo aver messo a fuoco il territorio e aver imparato tutte le basi della cucina. Parliamo di cucina italiana nel mondo? Forse negli ultimi anni si è mosso qualcosa ma fatichiamo a recuperare il gap – per me ormai solo psicologico – con i francesi. Tutti hanno sempre sottolineato il concetto che loro si sono mossi decenni prima di noi, ma la verità è che ci siamo sempre sentiti inferiori mentre cuochi come gli spagnoli o i nordici – quando è venuto il loro momento – non hanno sofferto questo complesso. Mi viene da pensare sempre più spesso che se Marchesi, a quasi 50 anni, non si fosse cimentato nella riscrittura della Cucina Italiana saremmo ancora più indietro… Poi, è evidente che la mancanza di un
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‘sistema’ ci abbia penalizzato rispetto ai francesi. Un cuoco oggi deve avere piena consapevolezza che il gruppo è meglio del singolo. Un altro messaggio? Bocuse sosteneva che il figlio di un’oste ha una marcia in più in cucina. Io credo che un cuoco in generale debba stare di più nel suo ristorante, non perché la brigata faccia disastri senza di lui ma per comunicare al pubblico quello che sta facendo. Inevitabile ma obbligatorio un ricordo del Maestro. Meglio ancora un pensiero che avrebbe fatto vedendo il lavoro che si fa qui ogni giorno. Sarebbe contento, ma non lo dico per vantarmi. Dal 2008 al 2013 quando guidavo la brigata del Marchesino, mi diceva sempre ‘Daniel, fai cucina italiana’. Quindi sono tranquillo. •
Focus Food
Nasce il ristorante del cuore
Astice alla catalana
Inaugurato a febbraio 2019, il ristorante Altriménti è prima di tutto un locale che vuole essere vissuto all’insegna della convivialità
Un cuoco, Eugenio Boer, il suo affezionato maître, Damian Piotr Janczara, e due fedelissimi clienti, Lorenzo Galletti e Leonardo Nardella, che non si sono rassegnati all’idea di vedere chiuso per sempre il loro ristorante del cuore, si sono messi insieme scendendo in campo al fianco dei primi due per aprirne uno nuovo. Da questa singolare unione è nato così il locale Altriménti. A nemmeno un anno dall’apertura del suo ristorante (bu:r, vedasi BARtù febbraio/marzo 2019) lo chef italo-olandese attira nuovamente i riflettori su di sé imbarcandosi in una nuova avventura imprenditoriale con un gruppo di soci alquanto eterogeneo. In primis, il maître e sommelier di origine polacca con cui aveva dato vita in passato a un fortunato sodalizio professionale e umano. A loro poi si sono aggiunti due manager del settore delle telecomunicazioni che avevano avuto modo di apprezzare la proposta gastronomica di livello di Boer e la squisita ospitalità di Janczara e che si sono impegnati in prima persona per far rivivere quell’esperienza, sia pure con gli opportuni correttivi, creando le basi per qualcosa di nuovo, bello e diverso. Il tandem Eugenio – Damian si ricompone quindi sotto la nuova insegna di Altriménti. Un ristorante che, come indica il nome stesso, evoca qualcosa fatto in un altro modo, le cui mura sono intrise
di storie di buona cucina. Proprio gli stessi locali, ubicati nel moderno distretto milanese di Citylife, a due passi dalla fermata della metro Amendola, hanno ospitato nel corso degli anni diversi esercizi dediti alla ristorazione fino ad arrivare alla gestione odierna, che si prefigge un obiettivo ambizioso: offrire un nuovo punto di ritrovo all’insegna della convivialità, per gli abitanti del quartiere e non solo. Dove poter sentirsi liberi di andare in pausa pranzo, a cena o semplicemente per bere un buon bicchiere di vino in compagnia di amici. Altriménti è il ristorante della porta accanto: un locale piacevole, dall’atmosfera familiare, ben inserito nella zona in cui si trova, con una propria dimensione intima, ma anche un’apertura verso l’esterno. Per Eugenio e Damian si tratta del compimento di un sogno. Chef e responsabile di sala, con l’aiuto degli altri due soci, hanno unito e messo a frutto le rispettive esperienze per dar vita a un ristorante contemporaneo che ripren-
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desse in qualche modo un discorso interrotto, sia pure rivisitandolo, al pari di un piatto che nessuno ha mai dimenticato. Il progetto di Altriménti è stato firmato dallo studio Offstage di Milano con il prezioso contributo dell’architetto Alessandra Ubertazzi, responsabile della direzione dei lavori. All’origine del progetto, la volontà di enfatizzare il forte legame del locale con la personalità e la cucina di Eugenio Boer. In questo senso è nato uno spazio che si sviluppa attraverso tre aree diverse, per atmosfere e suggestioni, arredamento e funzioni, con l’obiettivo di andare incontro alle richieste di un pubblico sempre più eterogeneo ed esigente. Al pari di un concetto di degustazione, l’ospite decide quale esperienza vivere a partire dalla scelta della sala. La progettazione dello spazio ha dato vita
Eugenio Boer
La sala dell’Altriménti
Da sinistra: Lorenzo Gallletti, Damian Piotr Janczara, Eugenio Boer e Leonardo Nardella
a un locale informale, ma elegante e raffinato nel suo complesso, che si articola in un ambiente principale, un privé e una veranda al piano superiore. All’ingresso la prima sala, con soffitto a volta, si caratterizza per un allestimento in cui spiccano la bellezza e il numero delle illustrazioni appese alle pareti: ben 76 stampe di alcuni tra i più significativi illustratori contemporanei. La sala può contenere fino a un massimo di 35 coperti. Sullo stesso piano è possibile usufruire, previa prenotazione, di un esclusivo privé, un ambiente a sé che offre la possibilità di avere a disposizione un cameriere riservato, per un totale di circa 20 coperti. Ideale per eventi privati, a garanzia del massimo della privacy può essere chiuso con una porta a doppio battente a bilico in rovere, con inserti circolari in vetro montati su telai in metallo cromato nero. Per chi, invece, cerca un ambiente più intimo, niente di meglio della veranda, che può accogliere fino a 20 persone.
Ideale per coppie, vi si accede tramite una scala in metallo rivestita in resina amaranto, tinta La cantina con il famoso tavolo vip già declinata su diversi elementi dell’allestimento del ristorante. Inoltre, in cordo ai vari momenti della giornata per un piccolo salotto di fronte al banco bar, regalare atmosfere diverse agli ospiti. situato a destra dell’ingresso, a costiI tavoli a vista sono stati realizzati su tuire una zona definita e formalmente disegno di Offstage con struttura in meseparata dal resto, si può piacevolmente tallo e top in rovere oppure in marmo di sorseggiare un drink nell’attesa di sedersi differenti finiture. al tavolo. Elemento comune a tutti gli Nel seminterrato, infine, si estende la ambienti è la boiserie, ripartita in legno cantina, provvista anche di un tavolo di rovere e plissettatura laccata amaranto vip: sei posti a sedere per eventi super per la sala principale, in sughero tostato selezionati e riservati. Per chi ne fa riper le altre due. chiesta, vi si può accedere anche da un Particolare attenzione è stata rivolta ingresso secondario privato, godendo di anche all’illuminazione, declinata in acuna privacy assoluta. •
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BR
B a r | Al b e r ghi | Ristoranti
Una presenza ancora più forte e una penetrazione più capillare: BARtù è nelle VIP Lounge degli aeroporti di Malpensa, Linate, Bologna, Napoli, Firenze, Verona, Venezia; nell’esclusiva location milanese Clubhouse Brera e nelle edicole Hudson News degli aeroporti di Malpensa, Linate e Stazione Centrale di Milano.
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Focus Giappone
Fish, Smoke & Dry Ed è Katsuobushi di Alberto P. Schieppati
Katsuhiko Oishi, presidente e direttore generale di Makurazaki
Un rito eccezionale, quello di Makurazaki, che si tramanda da generazioni e che dà grande prestigio alla cucina giapponese, aggiungendo fascino, gusto e sapori alla cultura del Dashi Spirit of Japan: un paese straordinario, dove la vita è dettata da regole e stili di vita fondati sul lavoro e sul rispetto per l’altro, con una attenzione particolare verso la spiritualità e la consonanza. Come se ci fosse un ritmo dentro ad ogni azione, uno stile dal quale non si possa derogare, se non in chiave migliorativa per l’individuo e, quindi, per la società: in questa logica caratterizzata dalla “eterna tensione verso il meglio, verso la perfezione possibile” si situano molte attività produttive legate al food e al beverage e, di conseguenza, alla ristorazione. Umami, Dashi, Ramen, sono solo alcuni nomi dietro ai quali si cela l’essenza stessa della cucina giapponese. E anche Miso, Soia, Wagyu, Sakè, Katsuobushi sono termini intorno ai quali si celano grandi storie di prodotto, che offrono un approccio inedito alla cultura del cibo. Una società strutturata, quella giapponese, che, pur nella proiezione innovativa verso l’economia del futuro, sa salvaguardare le tradizioni più antiche, che riescono ad esprimere in pochi semplici concetti una complessità e un’armonia difficilmente riscontrabili altrove. Makurazaki è una località che si affaccia sull’Oceano, nel sud del Giappone, e fa
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ne delle migliori tipologie/qualità sia effettuata secondo le regole stabilite: 3) partecipare da protagonista all’asta quotidiana, una fase molto suggestiva, che ogni mattina stabilisce i corretti valori di acquisto del pesce, che vengono definiti
parte della Prefettura di Kagoshima: questa città, di seicentomila abitanti, soprannominata la “Napoli del Giappone” presenta in effetti alcune affinità con la città partenopea, legate soprattutto alla tipologia della posizione geografica e a certe attività economiche squisitamente legate alla pesca. Certo il Mar Tirreno è altra cosa rispetto alla vastità dell’Oceano Cinese sul quale Kagoshima si affaccia. E proprio qui sta la forza, anche economica, di questa area del Giappone, perché proprio a Makurazaki si perpetua un rito antico ma fortemente contemporaneo: quello della produzione di Katsuobushi. Ad accoglierci nella sede di Makurazaki Katsuobushi è Katsuhiko Oishi, presidente e direttore generale di Makurazaki: dirigente appassionato, a lui soprattutto si deve la qualità dell’impegno imprenditoriale che ha portato il Katsuobushi ad essere un must della cucina giapponese, oltre che un riferimento della cucina gourmet in tutto il mondo. La forza di Oishi consiste essenzialmnte: 1) nel saper individuare i bacini oceanici nei quali pescare i tonni più adatti per la realizzazione del katsuobushi; 2) nel controllare ogni fase, dall’arrivo delle flotte di pescherecci dall’Oceano fino allo stoccaggio dei tonni nel porto di Makurazaki, verificando che la selezio-
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a fronte di rumorose e ritmate trattative durante l’asta stessa; 4) controllare, con personale specializzato, la delicata fase del Namagiri, ovvero di taglio, pulizia, svisceratura dei tonnetti; 5) coordinare le procedure di cottura/bollitura dei pe-
Focus Giappone
Una volta pescati, stoccati e decongelati, foto in questa pagina, i tonni vengono affumicati e seccati (v. pag.47) attraverso procedimenti artigianali, affidati a giovani e preparatissimi collaboratori (p. 49, a sinistra. Nella stessa pagina, in basso, Kashuiko Oishi sfiletta un tonno destinato a diventare Katsuobushi. In alto, a destra, l’utilizzo gastronomico del “bonito”.
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di querce, da sei a quindici volte, seguito poi dal riposo (Anjo), da due settimane a un mese, necessario alla perdita dei residui di umidità presente nei pesci. Una lavorazione complessa, che qui abbiamo sintetizzato, ma che vede coinvolte decine e decine di persone, forti di grande esperienza e di assoluta dedizione per un’attività complessa. Katsuhiko Oishi non è il classico “manager da poltrona”, ma un presidente fortemente operativo e appassionato, che vive per la qualità dei Katsuobushi (che molti, soprattutto in Occidente, chiamano Bonitos), il cui gusto è fondamentale per dare quel valore aggiunto ai piatti-bandiera della cucina giapponese, dalla zuppa di miso, alla soba, al dashi. I katsuobushi, nella tradizionale presentazione “a sfilacci” sono realmente un complemento fondamentale per la cucina nipponica. Ma recentemente vanno affermandosi anche nei menù dell’alta ristorazione europea (soprattutto italiana). Molti chef ne fanno uso per arricchire la forza gustativa presente nei propri piatti e per definire un equilibrio di sapori difficilmente raggiungibile in altro modo.
sci, Shajuku, all’interno di laboratori dedicati a questa fase; 6) pulitura manuale di lische e preparazione di 4 filetti per ogni tonno, fase dell’Honenuki; 7) presenziare alla fase dell’affumicatore, momento fondamentale per l’ottenimento della qualità gustativa dei katsuobushi. Questa fase, chiamata Baikan, prevede la lenta affumicatura con fumo di legno
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Una dimostrazione in più della grande forza che la cucina orientale, con i suoi ingredienti, ha saputo proporre al mondo occidentale, non limitandosi all’accoppiata “sushi-sashimi” che come ben sappiamo è solo un aspetto (e neppure il più importante) della cucina nipponica. È anche per uscire da questa percezione generalizzata che è importante conoscere tutti gli aspetti della cucina giapponese, comprese le tecniche di cottura, come il Teppanyaki. Un mondo dalle proporzioni enormi, che si va aprendo alle culture occidentali, arricchendole di suggestioni e innovazione: un esempio di questa espansione è ben dimostrato dal fatto che Makurazaki, nel 2015, ha aperto una sede in Francia, in Bretagna, per produrre Katsuobushi con le tradizionali tecniche giapponesi ma osservando “al millesimo” tutte le normative europee in materia di sicurezza. Una dimostrazione di grande modernità, oltre che della consapevolezza di dover adeguare, con Makurazaki France, tecniche antiche alle regole imposte dalla legislazione occidentale. •
Focus Birra
Strepitose Beer Attraction e Bbtech Expo Oltre 32mila le presenze alla Fiera di Rimini per gli appuntamenti del fuori casa e delle tecnologie per la filiera beverage
Le birre e le bevande come polo aggregatore di food e filiera del beverage. E’ il tratto distintivo che ha contraddistinto Beer Attraction e BBTech Expo 2019, che alla fiera di Rimini hanno chiuso un’edizione senza precedenti, da incorniciare. Un’edizione aperta con la presentazione del nuovo brand 2020 Beer&Food Attraction – The eating out experience show e del potenziamento internazionale e merceologico di BBTech Expo. Oltre 32mila presenze complessive (+ 40% sul 2018), 600 espositori da 10 Paesi esteri: Belgio, Germania, Spagna, Austria, Polonia, Francia, Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Stati Uniti e Canada, interessati a incrementare know-how e oppor-
Passione, Talento, Competenza, Food & Drink: professionalità a confronto Il tema della Passione è fondamentale per la qualità delle performance sui mercati del B.A.R. (Bar, Alberghi, Ristoranti). Accanto alla passione, altri elementi fondamentali, per affermarsi sul mercato della propria clientela, sono esperienza e conoscenza dei mercati, insieme alle competenze professionali necessarie all’impresa. Ai relatori, protagonisti sul territorio, è stato affidato da BARtù il compito di esporre, in modo sintetico ma efficace, i motivi del loro successo e quanto questo derivi dalla presenza nell’attività quotidiana di questi valori. I relatori, con Alberto P. Schieppati, Direttore BARtù, in qualità di moderatore erano: Stefano Bonini, Trademark Italia, “Come rendere vincenti le performance: testimonianze di un esperto”; Mariano Guardianelli, Chef stellato di ABOCAR (una stella Guida Michelin 2019), “Il successo della cucina nasce da un mix di valori trasversali”; Samantha Migani, Bartender e Mixologist, “Interpretare i desideri della clientela anche attraverso format innovativi”.
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tunità d’affari sul mercato italiano. E poi concorrenti e giudici dei concorsi, team per le competizioni, ospiti ai convegni, partecipanti agli eventi. 247 i giornalisti e blogger – italiani ed esteri – accreditati, con una straordinaria visibilità su grandi media e social. In contemporanea a Beer Attraction – al cui interno si è tenuto Food Attraction – e a BBTech Expo, si è svolto l’International Horeca Meeting, l’evento di Italgrob, Federazione Italiana Distributori Horeca. Il doppio appuntamento di Italian Exhibition Group è l’unico evento B2B dove, le eccellenze birrarie e il top del beverage (acque, soft drinks, spirits) incontrano da una parte il food di qualità e, dall’altra,
Alimenti. Lo sviluppo internazionale, con la presenza di numerosi buyers esteri, è stato realizzato in collaborazione con ICE – Italian Trade Agency. Per la prima volta era presente la Brewers Association (BA), associazione statunitense che rappresenta 5.000 produttori di birre artigianali, che ha illustrato i nuovi trend americani di locali e consumi. Quest’anno, poi, a vincere l’ambito titolo di Birrificio dell’Anno nell’ambito del concorso Birra dell’Anno di Unionbirrai è stato il marchigiano Mukkeller. Il produttore di Porto Sant’Elpidio ha guadagnato la medaglia d’oro, con tre delle sue produzioni, assegnata da una giuria internazionale composta da 100 esperti provenienti da Italia, Europa e Usa. I giudici hanno votato 1994 birre
© IEG – Italian Exhibition Group
la più esauriente offerta di tecnologie e attrezzature per la produzione e il confezionamento di bevande. BBTech Expo, inoltre, ha presentato la più completa offerta di tecnologie processing e filling, materie prime, imballi, attrezzature e servizi per birre e bevande. In fiera presenti le aziende italiane leader, in Europa e nel mondo. Un format fieristico innovativo nel quale i produttori di macchine e impianti trovano opportunità di business sia con le aziende espositrici di birre e bevande, sia con gli
© IEG – Italian Exhibition Group
operatori in visita. Cresciuti anche gli eventi del BBTech Lab, l’area dedicata a workshop, approfondimenti e meeting di formazione e aggiornamento in collaborazione con il Cerb, Centro di ricerca per l´eccellenza della birra dell’Università di Perugia, e l’Università di Udine. Beer Attraction, è giunta alla 5a edizione, ed è diventata in pochi anni l’appuntamento business di riferimento per il settore. Partner strategici della manifestazione sono Unionbirrai, Italgrob, FIC- Federazione Italiana Cuochi e CAST
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di 327 produttori, divise in 41 categorie. Folla di grandi operatori anche al Premio Accademia della Birra. Infine, si sono svolti i Campionati della Cucina Italiana 2019, la più importante e completa competizione italiana per tutte le categorie della cucina, organizzata dalla Federazione Italiana Cuochi con il supporto di Worldchef e in collaborazione con Italian Exhibition Group all’interno del Food Attraction. 1.500 i cuochi dall’Italia e dall’estero che nei quattro giorni di gare si sono alternati ai fornelli. W. G.
Focus Alberghi
Anche l’Umbria si dà una mossa di Gualtiero Spotti
Lo chef Emanuele Mazzella, ischitano, allievo di Nino Di Costanzo, arriva al Nun di Assisi: e porta la sua esperienza in uno degli hotel più belli del centro Italia Qualcosa si muove sull’appenino umbro se guardiamo in direzione dell’alta ristorazione. Da un paio di mesi a questa parte ad Assisi è arrivato Emanuele Mazzella, ischitano classe 1982, già passato dalle parti di Palazzo Seneca a Norcia, quindi ormai di casa, e stellato nel 2015, ma con un background più ampio che passa attraverso la crescita professionale a stretto contatto con Nino Di Costanzo. L’approdo naturale in una città che fa del turismo religioso il suo core business, non poteva che essere un resort il cui nome è Nun (ovvero suora in lingua inglese) e che negli ultimi anni ha fatto parlare di se forse più per l’incredibile Spa sotterranea capace di rivaleggiare in bellezza con poche altre in Italia che per la bontà della cucina. Ora però la storia cambia, perché Mazzella è un cuoco di carattere, con un’idea di piatti ben precisa e più moderna, lontana dagli stereotipi consolidati della tradizione umbra e che, non a caso, un po’ storcendo il naso si impone di tenere un piccione in menù (oltretutto è delizioso) per venire incontro alle richieste di una clientela locale cresciuta con il culto della norcineria e della carne. Il Nun è un resort davvero speciale, quasi un city resort a dire il vero, vista la vicinanza con il centro storico che si raggiunge a piedi in pochi
Lo chef Emanuele Mazzella
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L’esterno del Nun
Tavolo con vista della Rocca
minuti, e mostra una spiccata vocazione (mai definizione fu più azzeccata considerato il luogo) per le mostre di arte contemporanea. Sia gli spazi comuni che il ristorante diventano luoghi deputati ad ospitare con scadenza stagionale brillanti esposizioni realizzate in collaborazione con una nota galleria d’arte milanese, ma sarebbe un delitto dimenticare tutto Veduta esterna su Assisi il passato che qui si vive osservando la pregevole ristrutturazione dell’antico Monastero di Santa Caterina, costruito nel 1275 sui resti dell’Anfiteatro Romano e delle fonti Perlasio, diventato oggi il Nun. Con alcuni reperti e affreschi visibili anche all’interno di alcune suite e una vista che abbraccia, la pianura e le due Rocche di Assisi, la Minore e la Maggiore. E poi c’è la cucina, con la vecchia Osteria Eat Out che dal 19 gennaio è diventata l’Eat by Emanuele Mazzella, grazie a un no-
tevole restyling degli ambienti e l’upgrade a ristorante destinato ad attirare l’attenzione di foodies e appassionati anche da fuori regione. La cucina, come detto, dimostra di avere un bel carattere ed evidenzia quasi sempre uno strettissimo legame con la terra di origine del cuoco. Così l’esplosione di elementi citrici e agrumati che vanno dal mandarino al limone, fino allo yuzu e ai profumi concentrati del pino marittimo sono quasi sempre presenti. Con qualche azzardo forse da limare con il tempo, visto la recente apertura, e qual-
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che ritocco opportuno su preparazioni piuttosto corpose nella quantità. Ma va detto che siamo in una provincia dove portare al tavolo piatti troppo minimal potrebbe rappresentare un rischio forse troppo grande nel graduale avvicinamento alla clientela locale. Sarà forse questa la sfida prossima di Mazzella, capace nel frattempo di muoversi con giudizio e lasciando intendere che la strada tracciata è solo all’inizio. Il menu carta bianca è come sempre il modo più semplice per capire la filosofia di un cuoco e questo vale anche per Eat, ma sbirciando tra i piatti, e poi mangiandoli, si capisce che
Focus Alberghi
Arachidi, bergamotto e lamponi
Una delle camere dell’albergo
L’interno del ristorante Vista della cucina con lo chef e la brigata al lavoro
sapore, gusto e sapidità qui non mancano. Ci sono l’Uovo di fattoria, con uovo croccante, patate dell’azienda Pagliarino, tartufo nero e polvere di frutti rossi, opulento e astutamente intenzionato ad assemblare sapori che mettono d’accordo tutti, le Cozze del Mediterraneo con farro, bufala, mandarino e profumo di Pino marittimo ci accompagnano vicino al mare e alla coste del Sud Italia, il Riso Carnaroli mantecato con mele acidule e
formaggio grigio dell’Alto Adige invece è una sferzata violenta al palato e ricorda la versatilità del cuoco nel muoversi con facilità tra prodotti regionali dell’Italia intera, senza preclusioni; mentre il Filetto di nasello viene avvolto da una crema di acqua, prezzemolo, olio e limone e riporta ai dolci ricordi dell’infanzia ischitana. Ottima la micro selezione di formaggi (giusto cinque, coperti da campane di vetro nella sala principale del ristorante), alcuni dei quali riforniti da Hansi Baumgartner di Degust, e dai toni contemporanei la sezione dolci, con dessert che anche in questo caso offrono scelte per tutti i gusti. C’è il Tartufo nero con nocciole e caffè, ma poi arrivano i meno scontati Bufala, con crema ghiacciata di bufala, uva fragola, pane e olio, e Arachidi, con
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arachidi, bergamotto e sale. La scommessa di Emanuele Mazzella è solo all’inizio ma per ora promette decisamente bene e passa anche attraverso un ristorante unico per la regione. Vicino all’edificio principale del Nun ma separato, quindi di facile accesso anche alla clientela esterna. Per arrivarci si sale da una scalinata che a metà strada incrocia l’orto del ristorante dove la cucina si rifornisce per alcune verdure e dalle finestre delle due sale si scorgono gli scorci di Assisi e dell’albergo. C’è solo da aspettare la stagione estiva quando i 40 coperti dell’Eat verranno allestiti sulla terrazza esterna e le luci della sera conferiranno una atmosfera ancora più romantica, per non dire mistica, a completare la già convincente esperienza a tavola. •
L’opinione
Oltre il cibo c’è molto di più di Stefano Bonini
Mangiare fuori casa è un momento di piacere personale. Al successo contribuiscono molti fattori Percentuali a parte, gli elementi che determinano il successo di un ristorante sono certamente molti di più del solo cibo, e della sua qualità in cucina (materie prime) e nel piatto (presentazione). Servizio, atmosfera, accoglienza, cordialità e passione, correttezza del prezzo… sono altrettanto importanti. Se non di più. Oggi uscire a mangiare è davvero ancora e soprattutto una questione di cibo? Un’indagine di Doxa di qualche mese fa ha rilevato che, al di là del viscerale amore degli italiani per il cibo, mangiare fuori casa è soprattutto un momento di piacere personale, durante il quale rilassarsi, staccare la spina ed essere coccolati, “serviti e riveriti”. I nostri connazionali infatti, pur non potendo rinunciare al buon cibo (che poi qualcuno mi deve spiegare bene cosa significa), associano all’uscire a mangiare particolari sensazioni e valori. Detto del fatto che si esce in particolare per trascorrere un momento di piacere e benessere personale, sostanziale è l’aspetto di socialità e svago che il mangiare fuori porta con sé. E solo dopo gli aspetti fin qui citati arriva l’elemento culinario e gastronomico, prioritario per il 25% circa degli italiani (1 persona su 4). Uscire a cena (o a pranzo) rimane quindi un momento fondamentale nella quotidianità degli italiani, che si lega a doppio
filo più ad elementi di piacere e appagamento personale, di condivisione e socialità che non alla precipua componente gastronomica. Il fatto che 9 italiani su 10 preferiscano mangiare fuori piuttosto che in casa sottolinea come l’atmosfera del ristorante sia un fattore cruciale nella scelta di andare a mangiare al ristorante, in trattoria o pizzeria. Dato altrettanto sintomatico è quello per cui 6 volte su 10 gli italiani escono a pranzo e/o a cena in compagnia di amici spinti primariamente dal desiderio di rilassarsi e socializzare. Solo il 13% organizza una cena con amici dove i protagonisti centrali della serata sono cibo e vino. Una nicchia! Data la rilevanza della componente conviviale e di piacevolezza legata all’atmosfera e al servizio del locale non deve sorprendere il fatto che per il 58% degli italiani la cosa più fastidiosa di un ristorante sia la sua rumorosità. A seguire, il 47% dei clienti confessa di non tollerare assolutamente la posizione del tavolo vicino alla toilette. Terzo gra-
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dino del podio per la scomodità: quasi il 40% degli italiani afferma di non sopportare di dover mangiare seduto su uno sgabellone. Al quarto posto si posiziona il non volere mai un tavolo vicino alla porta (35%) per evitare il freddo e le correnti. Tutti elementi che nulla hanno a che fare con il cibo, quanto piuttosto con quelle componenti dell’esperienza ristorativa che tutti sono in grado di percepire e cogliere. Cosa che non succede con il cibo, elemento rispetto al quale il grado di conoscenza ed educazione degli italiani è ancora purtroppo piuttosto limitato. Attenzione dunque amici ristoratori, senza trascurare la qualità della materia prima, non dimenticate mai l’importanza di creare un ristorante, un’osteria, una pizzeria che siano in grado di offrire ai vostri ospiti un’esperienza di piacevolezza a 360 gradi nella quale atmosfera, servizio , passione e capacità di accogliere si combinano perfettamente, al punto da valorizzare ulteriormente la proposta enogastronomica. •
Focus Alberghi
La Polonia che non ti aspetti L’Hotel Quadrille a Gdynia 64
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di Gualtiero Spotti
Relais & Chateau di respiro internazionale, “adult residence”, la struttura si rivolge a un target di clientela raffinata ed esigente. Un ristorante gourmet caratterizza l’offerta food. La città polacca di Gdynia, che è placidamente affacciata sul Mar Baltico, insieme a Sopot e a Danzica forma un unico, grande agglomerato urbano che viene definito semplicemente Tri-city, proprio per raccontare in una sola parola della mancanza di soluzione di continuità geografica per le tre località più conosciute nel nord del Paese. Qui, nella periferia di Gdynia, una città molto ben conosciuta nel mondo dell’architettura per i suoi pregevoli edifici in stile modernista, si trova uno dei due Relais & Chateaux polacchi, l’Hotel Quadrille, l’altro è il Copernicus a Cracovia, che è ospitato in un grande palazzo dal gusto antico e affacciato su un parco cittadino. Si tratta di un luogo il quale merita di essere conosciuto per diverse ragioni e che in qualche modo vale il viaggio. La prima è sicuramente il concept dell’albergo, che propone un ambiente totalmente ispirato al racconto di Alice nel Paese delle Meraviglie (non a caso il motto dell’hotel è “Experience the Wonderland”), ma senza gli eccessi da fantasy world o da Disneyland; piuttosto con una misura e un garbo che riesce ad unire curati dettagli a un certo rigore e a una concretezza nordici dove si vive il piacere di una sosta davvero rilassante, quasi da ritiro spirituale. Al punto che l’albergo è una Adult Friendly Residence, ovvero non sono ammesso bambini e ragazzi under 16. Poi c’è il numero ridotto di stanze, una trentina in tutto, divise però in due edifici, con la dimora storica che ospita le stanze ispirate da illustri letterati quali Tolstoj e Nabokov,
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Focus Alberghi passando per Flaubert e Scott Fitzgerald, cui si contrappone la palazzina più moderna dove si trovano le camere con un arredamento più razionale e “nordico”, oltre alla bella Spa con piscina. A rendere la sosta ancora più stuzzicante però è la proposta gastronomica d’alta cucina che ha pochi rivali in quest’angolo di Europa. Il ristorante ospitato nel Quadrille si chiama Bialy Krolik, ovvero
mirino nel giro di un paio di anni l’apertura di un suo ristorante in centro a Danzica, il secondo invece è più vicino alle tradizioni e ai prodotti polacchi e si occupa nel quotidiano della cucina di Bialy Krolik. Insieme formano un bel mix che riesce a creare un connubio vincente nel piatto, dove è facile trovare spunti che raccontano bene lo stile del mangiare in Pomerania e nella regione della Cuiavia, quelle dalle quali provengono i cuochi. Sono in qualche modo ricette moderne con uno spirito regionale quelle che formano un menu agile cui fa da contraltare un percorso degustazione di undici tra snack e piatti. La selvaggina qui ha sempre il suo posto di rilevo, visto che l’oca e l’agnello sono
White Rabbit, ed è nato qualche mese prima di quello moscovita di Vladimir Muhin. A guidarlo c’è una coppia di giovani cuochi coetanei, i trentenni Marcin Popielarz, già Young San Pellegrino chef visto in diverse manifestazioni, e Rafal Koziorzemski l’executive del ristorante. Il primo, con esperienze internazionali e uno sguardo su ciò che accade di innovativo in giro per il continente ha nel
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tra le specialità della cucina polacca, ma ci sono anche curiosità inaspettate come le bacche della Kamchatka, originarie si della Russia asiatica, ma arrivate sul suolo polacco ai tempi delle dominazioni bolsceviche e diventate nel corso dei decenni parte della tradizione culinaria. Cosa altro si trova nel menu? Verdure e cereali soprattutto, con orzo e grano saraceno che fanno capolino nei piatti, barbabietole, patate e trote allevate in una farm non troppo distante da Danzica. Deliziose sono le zuppe, che fanno parte integrante dell’esperienza culinaria a ta-
vola quando ci si trova nell’area baltica, e qui è imperdibile e vince su tutte la deliziosa Krupnik (dal nome di un tipo di orzo), preparata con lo stomaco dell’oca. L’ondata del movimento nordico sulle rive polacche è arrivata solo di striscio e la si avverte giusto nella presenza di bacche o prodotti simili (vedi il sea buckthorn, ovvero l’olivello spinoso) che
fanno capolino, ma sempre timidamente. Il Bialy Krolik è l’esperienza fine dining che mancava nei dintorni di Danzica e che acquista maggior valore pensando alla giovane età dei cuochi e all’idea di muoversi nella riscoperta delle produzioni locali, nel rapporto stretto con i fornitori, in un progetto di valorizzazione delle eccellenze territoriali che tocca anche la sostenibilità e va nella direzione intrapresa in questi tempi da molte realtà affiliate a Relais & Chateaux. Qui, poi, piace la curiosità, l’approccio slegato da condizionamenti e la volontà di far crescere un sottobosco ancora vergine ma stimolante se si parla di alta cucina. Se ne è accorto anche un cuoco spagnolo di gran nome come Paco Perez, che aprirà nel nuovo quartiere economico di Oliwa, nella periferia di Danzica, un ristorante e un bistrò verso la fine della prossima estate. E a realizzarlo sarà uno dei suoi storici e fidati scudieri, l’italiano Antonio Arcieri. Tornando al Quadrille, invece, l’hotel diventa una destinazione perfetta per visitare l’area, per vivere un momento di romanticismo dove si incontrano la Mitteleuropa e i riferimenti ad Alice in Wonderland e, volendo, perfino per
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Lo chef Marcin Popielarz
riscoprire se stessi. Una delle proposte dell’hotel è, in questo senso, il rilassante concerto “Down the Rabbit Hole” in compagnia del simpatico terapista e musicista Jakub Leonowicz. Ci si stende su tappetini e si entra in una dimensione quasi spirituale, con il sottofondo di gong tibetani e di suoni che vogliono portare a un equilibrio dei sensi, e a un incontro tra mente e corpo. •
Focus Alberghi
La Toscana più bella è alla Tenuta Artimino
Un borgo affascinante, dove l’offerta di ospitalità è a livelli decisamente sopra la norma. Il tocco in più lo dà l’offerta di ristorazione, che punta sulla cucina di territorio, nel senso più autentico
Dove campagna e collina toscana si incontrano, nasce la Tenuta di Artimino, un gioiello di ospitalità che ha come fulcro la Villa medicea “La Ferdinanda”, costruita nel 1596 seguendo i voleri del Granduca Ferdinando I dei Medici e arrivata ai giorni nostri praticamente intatta nella sua bellezza. Prato e Firenze sono a un tiro di schioppo, tra le brume mattutine che circondano il fascinoso microborgo di Artimino, e dove sembra di essere lontani anni luce dai ritmi della
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vita moderna, cullati in un limbo di magia che riporta all’era medievale e ai tempi della Signoria. La Tenuta, trent’anni fa è stata acquisita dalla famiglia Olmo, quella che, per intenderci, produce cicli e vede come capostipite il celebre campione a due ruote degli anni trenta, Giuseppe Olmo. Così non è certo un caso che, se si decide di visitare l’area circostante o i paesi limitrofi, si possa inforcare una delle biciclette firmate proprio dalla nota casa ciclistica e sempre disponibili per gli
ospiti che vogliono sgranchirsi le gambe. Si perché la Tenuta, oltre ad essere una magione storica, è anche hotel quattro stelle con 37 camere, tutte situate nella vicina Paggeria Medicea dove si può vivere un’esperienza di ospitalità a metà strada tra l’aristocratico e il country-chic, perfetta per chi vuole sostare oziando ai bordi della grande piscina nascosta tra gli alberi, oppure godere dell’eleganza classica in stile toscano, respirando la storia, e ancora passeggiando, magari
tra le sterminate vigne che circondano la collina sulla quale si erge l’intero complesso. D’altro canto il vino rimane uno dei punti di forza di quest’area geografica, e specialmente qui, dove nasce uno dei vini toscani forse meno noti, il Carmignano Docg, che mette in fila in tutto solo una decina di produttori sul territorio. Si tratta di un blend di Cabernet e Sangiovese in qualche modo vicino allo spirito del Chianti, che però di solito contempla anche altri vitigni in più, come il Colorino
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o il Canaiolo. Gli ottanta ettari di vigneto che nei decenni passati producevano un vino da tavola non troppo pregiato e di pronta beva, oggi sono stati riqualificati magistralmente grazie a un lavoro di agronomi ed enologi di talento, che hanno saputo dare carattere e identità a una linea di produzione varia e di ottima qualità. Provare, per credere etichette di rosso quali il Grumarello o il Poggilarca. Dovendo però individuare la figura professionale che incarna al meglio l’anima
Focus Alberghi
La chef Michela Bottasso
attuale di Artimino, questa è sicuramente la vulcanica Annabella Pascale, amministratore delegato capace e con lo spirito imprenditoriale e l’entusiasmo di chi si è gettata anima e corpo nello sviluppo della Tenuta, con il merito indiscusso di aver saputo dare in poco tempo un’impronta decisiva nella crescita dell’intera struttura, sia sul versante della produzione vinicola, che per quanto riguarda l’ospitalità a tutto tondo (Artimino ha anche una Spa, la Erato Wellness, per esperienze di wine therapy, massaggi o semplicemente per rilassarsi ai bordi della piscina coperta, oltre a una vivace attività di eventi, matrimoni e banchetti), senza oltretutto dimenticare la cucina. Questo però, va detto, è il regno incontrastato di Michela
Bottasso, storica cuoca del ristorante Biagio Pignatta, la quale dopo essersi concessa qualche esperienza fuoricasa, ha deciso di ritornare nel corso degli ultimi mesi ad occuparsi della ristorazione della tenuta. Il Biagio Pignatta, un nome che ricorda la figura del primo maggior-
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domo di corte di Ferdinando I de Medici, è separato dall’albergo ed è ospitato in un grande casale poco distante. All’interno, l’ambiente vuole essere caldo e confortevole, almeno quanto il cibo che qui non lascia spazio a troppi dubbi. I piatti vivono di un’impronta regionale solida
Annabella Pascale
re in Toscana, fosse solo per dar senso pratico al monumentale grill presente in cucina sul quale sarebbe un vero delitto non far sfrigolare le carni di un galletto o di una bistecca alla Fiorentina. La carta, per dire, passa con agilità dalla Vellutata di topinambur con cavolfiore e cavolo nero croccante ai Tortelli di lampredotto al burro e salvia con pomodoro piccante; dalla Ribollita alla Carmignanese al Filetto di cinta senese ai tre pepi e bietole all’aglio. Il pesce è contemplato giusto nel Trancio di baccalà con crumble di olive taggiasche e carciofi, ma sembra quasi una concessione dovuta. E infine, per chi vuole vivere in stile ancor più rilassato la sosta ad Artimino, c’è la possibilità di pernottare nelle Fagianaie, sei appartamenti con angolo cottura nati dal ripristino di un antico casolare che, pur all’interno della tenuta, risultano essere ancor più discreti e tranquilli. G. S.
e senza compromessi, così come della filosofia denominata “chilometro zero”, con le erbe e le verdure dell’orto di casa, i rapporti diretti con i produttori vicini al ristorante e qualche preparazione che strizza l’occhio alla storia, vedi l’Anatra all’arancia indissolubilmente legata alla figura di Caterina de’ Medici. Oltre, poi, alla stagionalità e a un buon senso un po’ contadino, forse anche per venire incontro a una clientela che è perlopiù internazionale e, arrivando da queste parti, vuole sempre gustare il territorio, anche se non mancano da parte di Michela incursioni vegetariane unite a corposi piatti di carne, come è normale trova-
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Gusto e mercati
I profumi edibili migliorano l’esperienza sensoriale di Vincenzo Russo*
Gusto e olfatto aiutano a migliorare l’esperienza enogastronomica. Come potenziare i sapori
* Vincenzo Russo è un professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing, Ph.D Coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and Brain Lab presso lo IULM di Milano
Il sistema olfattivo ha una grande influenza sulla percezione dei sapori, e quindi su tutta l’esperienza enogastronomica. Gusto e olfatto sono, infatti, fortemente interconnessi tra di loro. Anzi a volte il profumo diventa determinante per la percezione dei sapori. Con prodotti a bassa temperatura o con i gelati l’uso di profumi edibili, come la vaniglia, permette una migliore percezione di dolcezza anche se le papille gustative funzionano meno a causa della bassa temperatura. La stessa tecnica si usa
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per impregnare il packaging, come per esempio si è fatto spruzzando profumo di cioccolato all’interno di un packaging di un gelato. All’apertura del packaging il sentore di cioccolato pervade il naso dell’acquirente, permettendo di percepire più intensamente il sapore di quel gelato. Ecco perché sempre più spesso troviamo interessanti sperimentazioni sull’uso dei profumi edibili per potenziare i sapori e migliorare l’esperienza. Di fatto il potere evocativo di un profumo assicura un viaggio olfattivo di cui il barman può farsi timoniere, per arrivare alla formulazione di un cocktail tagliato su misura di chi si presta al gioco, lasciandosi suggestionare dagli odori che più gli piacciono. Sempre più ricerche neuroscientifiche dimostrano quanto profumi e fragranze siano in grado di migliorare il nostro
umore e il nostro senso di benessere, di potenziare i sapori e rinforzarne la memorizzazione. Ciò vale sia nel caso dell’aggiunta di profumi edibili nei cibi, nelle bevande, nel tovagliame o nell’ambiente (anche se in questo caso occorre che i piatti siano simili per tutti i commensali e serviti nello stesso momento). L’obiettivo di questa azione è quella di creare un’atmosfera positiva o di migliorare l’umore dei commensali, facilitando il recupero di gradevoli ricordi della propria infanzia e le corrispondenti emozioni. Così, se il profumo di vaniglia ci permette di viaggiare nel tempo e risentire i profumi di casa, o della nonna che preparava la torta, quello del gelsomino è in grado di proiettarci in una gradevole serata d’estate in riva al mare. Oggi sappiamo che il processo di attivazione emozionale è strettamente legato ai profumi attraverso un meccanismo di attivazione immediato e istintivo, senza consapevolezza, permettendoci di vivere le medesime esperienze emozionali sentite in presenza di un certo profumo. Le molecole odorose vengono, infatti, tradotte in vere e proprie “immagini dell’odore” per essere processate in una prima area di riconoscimento che è il “Bulbo olfattivo”. Questo ha la funzione di fare passare solo gli odori più intensi e forti. In fondo l’olfatto ha sempre avuto una funzione adattiva per gli esseri viventi poiché è uno dei sensi con cui si riconosce un potenziale pericolo (l’odore acido di qualcosa andato a male) o un segnale sessuale di attrazione per la riproduzione. Immediatamente dopo l’informazione arriva alla “Corteccia Olfattiva” ovvero l’area deputata al riconoscimento dei profumi già sentiti e memorizzati in passato. In quest’area ritroviamo le nostre “tracce mnestiche” odorose. Si tratta di un’area molto prossima al Sistema Limbico, deputato alla gestione delle emozioni. L’olfatto è l’unico senso la cui struttura periferica ha la più immediata connessione con il Sistema Limbico. Ecco
perché possiamo dire che questa parte del cervello ha il compito di “migliorare” la percezione degli odori, facilitando il loro riconoscimento grazie all’attivazione emozionale che gli odori provocano senza mediazione della consapevolezza. Infine, l’informazione giunge alla “Corteccia Orbito-Frontale”, ovvero quell’area del lobo prefrontale deputata all’elaborazione consapevole delle stimolazioni olfattive. E’ qui che riusciamo a dare un nome alla nostra sensazione e a decidere di muoverci verso la fonte dello stimolo o ad allontanarci. Analizzando il processo attraverso cui avviene la sensorialità olfattiva è possibile comprendere, pertanto, quanto inconsapevole sia il processo. È per questo che i profumi sono, non solo più facili da memorizzare, ma anche più strettamente legati ai ricordi. Si parla proprio di memoria olfattiva per intendere quel materiale mnemonico che può essere facilmente richiamato a partire da un odore particolare, in genere legato all’infanzia per esempio. Il marketing olfattivo, allora, gioca proprio su questo, cioè sulla capacità di richiamare ricordi positivi grazie agli odori e su quella di imprimere allo stesso tempo, sempre tramite gli odori, un ricordo positivo del brand. Per questo motivo il cosiddetto “Scent Marketing” è una delle più promettenti strategie di marketing in grado di giocare sulla dimensione esperienziale del “customer journey” e sulla capacità di suscitare emozioni facendo leva diret-
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tamente sui sensi. Nel settore della ristorazione e dell’alimentazione in generale il marketing olfattivo ha un ruolo determinante. Diverse ricerche hanno dimostrato che la maggior parte dei clienti sono spinti a entrare in un negozio grazie alla percezione di un profumo invitante. Ciò è particolarmente evidente nel caso dei punti vendita di catene di alimentari. Si pensi per esempio all’effetto che si ha nelle panetterie che diffondono un aroma di prodotti freschi da forno all’ingresso dei propri punti vendita per invogliare i clienti a entrare. I profumi modificano anche la percezione del tempo trascorso all’interno di un negozio. In una ricerca condotta dalla divisione Fragranze di Victoria’s Secret, si è rilevato che diffondere la fragranza personalizzata del brand all’interno dei propri punti vendita rende i clienti più felici e di conseguenza più disposti a trascorrervi del tempo curiosando tra i prodotti. Ciò vale anche al contrario, in quanto i consumatori che entrano in negozi privi di una profumazione specifica tendono a sovrastimare il tempo trascorso al loro interno, a differenza di chi entra in negozi caratterizzati dalla presenza di una fragranza piacevole. Insomma, usare i profumi coerentemente con il prodotto o servizio è un’utile strategia per stimolare antiche esperienze o per modificare i comportamenti dei consumatori. Si comprende bene il valore dell’uso dei profumi edibili nella ristorazione. Si tratta di un modo per migliorare i vissuti in un determinato contesto, ma anche per potenziare i sapori. La diffusione della fragranza di pane sul tovagliame permette di potenziare l’esperienza enogastronomica, soprattutto durante il consumo dei piatti più importanti, mentre l’uso di fragranze dolci, come la fragola, potrebbe rinforzare l’esperienzialità nella parte finale del pasto. Ovviamente la scelta dei profumi edibili deve rispettare certi abbinamenti e anche certe specifiche esigenze dei consumatori. •
La foto di BARtù
Ferdinando Cioffi
PARASSINA E GALLI NELLO SCATTO DI CIOFFI Nello splendido scatto di Ferdinando Cioffi, il fotografo dei “grandi chef”, è riprodotto il Pastry Chef Enrico Parassina, al fianco di Elena Galli, patronne del Ristorante Galleria di Milano condotto con il fratello Pier e i genitori Rossana e Donato. Un professionista della ristorazione “dolce”, Parassina, e una imprenditrice di razza, Elena Galli, che, insieme, tengono alta l’immagine del ristorante nel cuore di Milano. Da sempre considerato un riferimento dell’offerta di food & beverage cittadina, il Ristorante Galleria propone una linea di menù classica e legata alla tradizione milanese e lombarda, alla quale le creazioni di Parassina danno il loro contributo di innovazione, talento e creatività.
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La ricetta di BARtù
Risotto memorabile di Giorgio Ascorti
Lo chef del milanese Sine, Roberto Di Pinto, ha una grande “mano”. E non solo sui primi E’ uno dei locali più eleganti dell’ultima tornata milanese: caldo, ben arredato e ancora meglio illuminato. Il Sine è stato voluto e ben studiato da Roberto Di Pinto, chef napoletano che si è fatto apprezzare alla guida del Bulgari, raccogliendo l’eredità – non facile – di Elio Sironi. Sine esprime nell’insegna la scelta ‘gastrocratica’ del luogo, “nell’intento di allargare i confini della cucina gourmet eliminando tutto
Milano /Napoli 50 g riso Carnaroli 100 ml fumetto di pesce 6 pistilli di zafferano 1 gambero rosso n.1 50 g calamari freschi 30 g polpo fresco 4 Cozze 4 Vongole veraci grandi Limoni della Costiera Verdure varie Basilico Aglio Lemongrass 500 ml acqua di mare 500 ml acqua dolce Acqua di cozze e vongole Burro bianco Falanghina dei Campi Flegrei Olio extra vergine Tonda iblea
Lo chef Roberto Di Pinto
ciò che appesantisce il conto dei clienti” spiega Di Pinto. Da qui un degustazione a 45 euro e un tavolo per gli under 25 dove per le stesse portate se ne pagano solo 35 euro. Chef-patron per la prima volta in carriera, Roberto propone una cucina “creativa e concreta, che unisce le mie radici e i miei sogni, parla di tradizione e delle mie origini partenopee, ma guarda anche alla cucina francese”. La ‘mano’ è
La sala del ristorante Sine
Procedimento Preparare un brodo vegetale con 500 ml di acqua di mare depurata, 500 ml di acqua dolce, sedano, carote, cipolla bianca, finocchio, cetriolo, zucchina, basilico, aglio e lemongrass. Successivamente fare un fumetto di pesce con lische e teste di pesci di scoglio aggiungendo solo limoni della Costiera con le loro foglie e vino bianco. Aprire le cozze e le vongole, passarle in padella con aglio, olio e prezzemolo facendo attenzione a non aprirle del tutto per evitare l’eccessiva cottura.
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tra le migliori sotto la Madonnina, i piatti antichi e nuovi non deludono: a noi è piaciuta la ‘versione Sine’ del Risotto Milano/ Napoli che conferma una nostra teoria: i cuochi del Sud che riescono a interpretare il meglio (anche filosoficamente) del Nord sono i migliori del Paese. •
Pillole
Il VOI Colonna Village splende in Sardegna Dopo un anno di chiusura, grazie alla nuova gestione VOIhotels ripartono gli investimenti sul resort di Golfo Aranci per renderlo nuovamente protagonista dell’isola. L’apertura è prevista a fine maggio ’19, ma le vendite sono già aperte e l’interesse del mercato, italiano e internazionale, è altissimo per questo atteso ritorno. Il VOI Colonna Village è unico per il suo essere villaggio nella celebre e ricercata zona della Costa Smeralda – con una minima distanza dal porto e dall’aeroporto di Olbia – e l’invidiabile posizione nel Golfo Aranci, davanti a una spiaggia candida che contrasta con il turchese delle acque della baia, in cui lo sguardo corre da Tavolara alle isole di Mortorio, Soffi e Figarolo. Il resort dispone di 320 camere suddivise in classic nella zona Colonna Village e superior nell’area Beach Hotel ed è proprio quest’ultima a essere interessata dall’attuale ristrutturazione che interviene non solo sulle stanze (100) per renderle più belle e confortevoli, ma anche nelle aree comuni di questa zona vicina alla spiaggia, servita da reception, ristorante e piscina dedicati.
Amour de Deutz Brut Millésimé 2009
Oltre 120 cuochi premiati al Simposio
Grandi Giardini Italiani cresce
“Amour de Deutz” è l’esclusiva Cuvée de Prestige della rinomata Maison, selezione delle migliori uve bianche non solo nella Côte des Blancs ma anche nel Premier Cru di Villers-Marmery, che già coesistevano nel prestigioso Blanc de Blancs Millesimato. L’annata 2009 rappresenta una delle migliori espressioni di questo Champagne e difficilmente si poteva pensare che potesse competere in termini di eccellenza con lo straordinario Amour de Deutz 2008. Invece, ecco che Amour de Deutz Brut Millésimé 2009 si rivela uno straordinario prodotto della Maison di Aÿ, al naso tanto elegantissimo quanto complesso, dove si ritrovano mirabilmente gli aromi tipici della piccola pasticceria a base di mela e pera, i profumi dei frutti gialli, le note sottili dei fiori bianchi. Champagne Deutz è distribuito in esclusiva per l’Italia da D&C.
Due giorni a Pesaro all’insegna della vita associativa e della formazione. Si è conclusa con successo la XIII edizione del Simposio “Le Stelle della Ristorazione”, appuntamento organizzato da APCI – Associazione Professionale Cuochi Italiani, svoltosi l’11 e il 12 marzo. Il Simposio è stato innanzitutto l’occasione per lo svolgimento dell’Assemblea plenaria e il rinnovo delle cariche associative per il triennio 2019-2021. Un’assemblea all’insegna della continuità e della voglia di portare avanti nuovi progetti, con la riconferma del Presidente, Roberto Carcangiu, del Direttore Generale Sonia Re e dei consiglieri: Luigi Ugolini, Antonio Arfé, Michele Cocchi, Sergio Ferrarini e Giorgio Perin. Il congresso è stato anche l’occasione per assegnare il riconoscimento “Stelle della Ristorazione” a oltre 120 cuochi delle delegazioni italiane e straniere. Il premio è stato consegnato nella magnifica sede del Teatro Rossini, di Pesaro.
Grandi Giardini Italiani, il prestigioso network che riunisce ben 137 tra i più splendidi giardini visitabili in Italia, presente in 14 regioni del Paese, oltre alla Città del Vaticano, alla Svizzera e a Malta, continua a crescere e a essere il motore attivo di un turismo culturale che valorizza la natura. Sei i nuovi Grandi Giardini Italiani che entrano a far parte del circuito: Villa Marigola (Lerici, SP); Villa Cipressi (Varenna, LC); Giardino di Pojega – Villa Rizzardi (Negrar, VR); Villa Revedin Bolasco – Università di Padova (Borgo Treviso, TV); Villa Puglie (Valsamoggia, BO); Giardini di Orazio – Castello di Mandela (Mandela, RM). Fra le iniziative 2019 dei Grandi Giardini Italiani, è di grande rilievo l’accordo concluso con Trenitalia per scoprire in treno l’incanto dei giardini. Tra gli oltre 130 giardini valorizzati dall’impresa culturale, 21
Da sinistra Errico Recanati, Roberto Carcangiu, Stefano Ciotti, Sonia Re, Moreno Cedroni
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sono raggiungibili con i treni regionali e con le “Frecce” di Trenitalia. La partnership ha l’obiettivo di valorizzare il patrimonio botanico e naturalistico del Belpaese, con giardini e orti raggiungibili con il mezzo di trasporto più ecologico, conveniente, sicuro e, grazie anche all’arrivo di nuovi treni, sempre più confortevole.
Matteo Temperini Executive Chef
Schweppes Tonica Premium protagonista
Matteo Temperini è stato nominato Executive Chef di Rosewood Castiglion del Bosco, il resort toscano situato a Montalcino tra le destinazioni gastronomiche di riferimento a livello mondiale, che esprime al meglio la filosofia di Rosewood “A sense of Place”. Fondato da Massimo e Chiara Ferragamo nel 2003, Rosewood Castiglion del Bosco comprende due ristoranti, il Ristorante Campo del Drago e l’Osteria La Canonica, un orto biologico e una scuola di cucina. Inoltre a Castiglion del Bosco si trova una delle più rinomate cantine in cui vengono prodotti pregiati Brunello di Montalcino, offrendo ai propri ospiti un’esperienza toscana autentica e unica nel suo genere. Con questo incarico lo Chef Matteo Temperini guiderà la brigata di cucina e avrà la supervisione di tutta l’offerta gastronomica dell’iconica tenuta.
Schweppes Tonica Premium è tra i preziosi ingredienti del Gian Tonic, l’amatissimo cocktail firmato dallo Chef Giancarlo Morelli, presente tra le novità 2019 del Bulk, il mixology food bar all’interno del Design Hotel 5 stelle Viu. Per realizzare questo cocktail d’eccezione lo Chef ha voluto affidarsi alla qualità, elemento che contraddistingue da sempre la Premium Tonica Schweppes. Questo prodotto appartiene alla linea Premium Mixer, creata ad hoc dal bartender spagnolo famoso in tutto il mondo Javier de lasMuelas e dedicata alla mixology. La collezione nasce per soddisfare le esigenze dei drink lovers, grazie al design delle sue bottiglie, agli aromi naturali e alle sue inimitabili bollicine che rendono la gasatura e il perlage persistenti fino all’ultimo sorso.
Lo chef Matteo Temperini
Michele Bernetti
Umani Ronchi e Centovie Rosato Il 2019 porta nei calici le sfumature fresche e fruttate del primo rosè fermo firmato Umani Ronchi. Dopo aver raccolto con successo la sfida delle bollicine con il La Hoz Rosè, il Metodo Classico prodotto nella zona del Conero e lanciato a Vinitaly 2018, la storica cantina con sede a Osimo (An), eccellenza nel panorama enologico nazionale e internazionale, prosegue il suo viaggio in rosa con una nuova etichetta. Si chiama Centovie Rosato ed è il primo rosato fermo biologico, imbottigliato dall’azienda vitivinicola il cui nome è legato all’eccellenza del Verdicchio dei Castelli di Jesi e del Rosso Conero, due rinomate specialità enologiche marchigiane, ma anche ad alcune apprezzate etichette tipiche dei Colli Aprutini. Proprio in Abruzzo, dove l’azienda possiede circa 35 ettari di vigneto, nasce il Centovie Rosato. “Il nome Centovie – spiega il titolare di Umani Ronchi Michele Bernetti – indica uno spazio geografico, quello di Roseto degli Abruzzi, dove le nostre vigne sono contaminate dalla vicinanza del Gran Sasso e dove la natura cresce rigogliosa e in armonia”.
L’osteria La Canonica
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Sheraton Hotels and Resorts si trasforma In occasione dell’International Hotel Investment Forum (IHIF) di Berlino, Marriott International (NASDAQ: MAR) ha annunciato i piani di trasformazione di Sheraton Hotels and Resorts in Europa. Gli Sheraton Hotels di Tel Aviv, Sopot e Cracovia hanno già avviato la fase di trasformazione delle loro strutture secondo la nuova visione del brand, mentre altri 12 Sheraton Hotels in tutta Europa inizieranno presto i lavori di ristrutturazione che consentiranno di offrire agli ospiti la nuova esperienza di soggiorno firmata Sheraton. “Il rinnovamento di Sheraton è sempre stato una grande priorità per il gruppo e siamo entusiasti di presentare il nuovo design di Sheraton qui all’IHIF di Berlino”, ha dichiarato Liam Brown, President and Managing Director di Marriott International in Europa. L’ispirazione per il riposizionamento arriva dalle piazze delle città europee, come Piazza del Campo a Siena, Trafalgar Square a Londra e Plaza Mayor a Madrid. Per questo motivo gli spazi pubblici cittadini hanno avuto un ruolo chiave nella progettazione della nuova lobby Sheraton che vede tra le sue caratteristiche primarie la presenza di spazi collaborativi, un design potenziato dalla tecnologia e l’assistenza di un community manager a disposizione degli ospiti.
Alberto’s choice
Borgo San Felice, arriva Juan Quintero POGGIO ROSSO A GUIDA BARTOLINI
LEGENDA
BORGO SAN FELICE
Poggio Rosso e Il Grigio Tel. 393 0100765 53019 Castelnuovo Berardenga (Si) www.borgosanfelice.it
Juan Camillo Quintero, colombiano, esperienze italiane e internazionali, assume il delicato ruolo di Executive Chef della ristorazione di Borgo San Felice, l’albergo diffuso ubicato nell’omonimo borgo medioevale, a Castelnuovo Berardenga, guidato da Danilo Guerrini, grande e performante Direttore generale. L’arrivo di Juan Quintero, scuola Bertolini ma anche esperienze da Bottura e da Arzak, , rappresenta una grande novità per il Poggio Rosso, il ristorante stellato del Borgo, ma anche per l’Osteria
Il Riso del Borgo: eccellente
Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e stile dell’offerta
Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza
Juan Camilo Quintero con Enrico Bartolini
del Grigio, la trattoria che rappresenta in modo più semplice, ma ugualmente qualitativo, l’offerta ristorativa del territorio toscana. L’arrivo di Juan, che succede al bravissimo Fabrizio Borraccino (che ritroviamo al milanese Four Seasons come Executive Chef dallo scorso febbraio) è conseguenza di un accordo fra il Gruppo Allianz, proprietario di San Felice (inteso come resort ma anche come azienda agricola famosa nel mondo per l’eccellenza della propria produzione), e lo chef Enrico Bartolini. Alla presentazione ufficiale della partnership, svoltasi al Mudec di Milano a fine marzo, Maurizio Devescovi, direttore generale di Allianz SpA, ha spiegato che “ la collaborazione con Bartolini vuole portare a Borgo San Felice una ristorazione di livello ancora superiore: una proposta gastronomica innovativa che, pur ispirandosi alle radici della tradizione toscana, sappia considerare anche il vasto scenario in continua evoluzione della cucina italia-
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Due corone = Linea di cucina corretta
Una corona = Dignitoso e affidabile
Corona nera = C’è ancora molto da fare
Tre cervelli = Un vertice nel suo genere
Due cervelli = Qualità e attenzione al cliente
Un cervello = Bravi, ma non basta
Cervello nero = Scarsamente ragionevole
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Lunedì 6 Maggio Lunedì 13 Maggio Lunedì 20 Maggio Sede del corso: ristorante ACQUA e FARINA Agrate Brianza (MB)
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Colophon
Alberto’s choice
BARtù N° 98 aprile 2019 Direttore editoriale Alberto P. Schieppati - alberto.schieppati@edifis.it Direttore responsabile Andrea Aiello Contatti bartu@edifis.it - www.bartumagazine.it Redazione Walter Govoni - walter.govoni@edifis.it Collaboratori Nadia Afragola, Giorgio Ascorti, Fiorenza Auriemma, Guido Bernardi, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Oscar Cavallera, Beatrice Coppola, Maurizio Di Dio, Angelo Foresti, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Aldo Nenzi, Gigi Pavesi, Michele Maria Pizzillo, Giovanna Moldenhauer, Giovanni Ponzoni, Vincenzo Russo, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Claudio Zeni, Stefania Zolotti
La Rosa di melanzane, piatto raffinato
na”. “Siamo convinti, ha aggiunto, che Juan Quintero, sotto la guida esperta di Enrico, sia la scelta giusta per raggiungere questo obiettivo”. Le premesse ci sono, eccome. Non a caso la “Choice” di questo numero di BARtù è caduta proprio su Juan Quintero: giovane, talentuoso e dotato della necessaria umiltà che rende grandi i professionisti proprio in virtù dell’approccio semplice e diretto, Juan ha dimostrato, nel lunch di presentazione della sua nuova avventura (dal 10 aprile è operativo al Borgo), di avere tutte le carte in regola per guidare la ristorazione di una location così importante e suggestiva. Il menù che ci è molto piaciuto comprendeva: apertura con Rosa di melanzana, Croccante di manioca e cime di rapa, Raviolo di buristo al vapore, cipolle, mango e foie gras. E’ seguito un primo piatto memorabile, che ci ha fatto riconciliare con i gusti più autentici della grande cucina italiana: il Riso del Borgo: cinghiale e cipressi, un primo piatto intelligente che esprime toscanità “giudiziosa” e gusto tradizionale italiano. Un risotto da “raccogliere” con il cucchiaio al fondo del piatto per apprezzarne la corretta sapidità), accompagnata dal gusto selvatico del cipres, come tutto il menù, insieme alla brigata del Bartolini al Mudec), ovvero Lingua salmistrata, cipolla rossa, finocchietto e riduzione di hibiscus, accompagnato dall’ Orto di San Felice in primavera e Limoni, piselli, miele e timo: un cocktail di profumi che sottolinea il forte legame della cucina del Poggio Rosso con il territorio e, in questo caso, dell’orto del Borgo. Juan Quintero, dal canto suo, ha dichiarato: “Da straniero, osservo la cucina italiana con molta cuuriosità e con grande consapevolezza della ricchezza di questa terra, e in particolare della Toscana che mi ha accolto. Sono davvero lusingato che lo chef Enrico Bartolini e il Direttore Danilo Guerrini abbiano identificato proprio me per questo incarico, che è grande motivo di orgoglio. Conosco la capacità di leadership di Enrico e so quanto è bravo a creare legami forti con tutti i suoi collaboratori. I suoi risultati parlano da soli”. Una conferma in più della grande capacità imprenditoriale di Enrico Bartolini, oltre che della sua lucidità strategica nel saper affrontare e vincere grandi sfide.
Grafica e impaginazione Daniele Scozzari Pubblicità Piera Pisati, Project Leader - piera.pisati@edifis.it Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it Iniziative speciali Andrea Ragusa - andrea.ragusa@edifis.it Amministrazione amministrazione@edifis.it Foto Archivio BARtù; Alvise Barsanti; Marcello Bocchieri; M. Borchi; Stefano Borghesi; A. Carra; Armin Huber; Claudia Calegari; Ferdinando Cioffi; Gaetano Del Mauro; Pieter D’Hoop; Paco Lloret; Villagra Lopez; Martina Mambriani; Matteo Mancini; Mauro Montana; Patischie; Barbara Santoro; Roberto Savio; Brambilla Serrani; Marco Varoli; Renato Vettorato Stampa Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (Mi) Prezzo per una copia E 5,00 - Arretrati E 10,00 Abbonamento Italia: E 45,00 - Europa: E 80,00 - Resto del mondo: E 100,00 abbonamenti@edifis.it
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BARtù aprile 2019
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Dolomiti, Alto Adige. Tra queste montagne incontaminate nasce Acqua Plose. Pura e leggera per natura si abbina perfettamente ai migliori piatti della cucina tradizionale e internazionale esaltandone i sapori con la sua delicata discrezione. Residuo fisso 22 mg/l Ossigeno 10,2 mg/l
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