BARtù 06 2019

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In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Bar | Alberghi | Ristoranti

COVER STORY Soneva Fushi Intelligent Luxury

PASTRY CHEF Andrea Tortora apre il suo atelier

COCKTAIL BAR Al Central di Lima vince il territorio

L’INTERVISTA Matias Perdomo lo chef si confessa

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OGNI MOMENTO È BUONO PER PARTIRE DA MALPENSA.

Più di 30 tra bar ed eccellenze gourmet p e r s o d di s f a re ogni pal at o.

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Editoriale BARtù n. 100

Story telling? SOLO STORIE VERE C’era un tempo, neanche troppo lontano, in cui l’espressione “raccontare delle storie” stava a significare chiaramente “non dire la verità” o, in modo più volgare, “raccontare delle balle”. Quando qualcuno “raccontava delle storie” spesso e volentieri voleva solo depistare l’interlocutore, portarlo fuori strada, fargli credere roma per toma. Una sorta di “circonvenzione” ante litteram. Ma i tempi cambiano, per fortuna, e oggi quello che

condo alcuni, dovrebbe essere attuale, contemporanea, up to date, ovvero una fotografia della realtà, più che una storia, con tanto di immagini adeguate. E, soprattutto, una STORIA VERA. I social insegnano: essenzialità, sintesi, immediatezza, emozione, impatto. Vero. Ma è anche vero che senza passato la storia non regge, fatica ad essere credibile. Quindi? Forse sarebbe meglio ridefinire nei dettagli il concetto di “story tel-

viene definito “story telling” è diventato esercizio diffuso e frequente, nonché ricercatissimo, quasi indispensabile: se non hai una storia da raccontare, non sei nessuno. Attenzione, però, che non sia una storia troppo vecchia o lontana nel tempo e, quindi, datata. In tal caso, quella che un tempo si sarebbe definita “esperienza” potrebbe essere crudelmente bollata come “inutile esibizione di passatismo”, quindi anacronistica, fuori tempo e fuori luogo. Allora, come dovrebbe essere la storia “da raccontare”, per essere credibile ed efficace? Se-

ling”… E arrivare a una definizione condivisa di questa espressione. Per quanto mi riguarda, credo che il vero valore risieda soprattutto nei contenuti del messaggio informativo, nella loro obiettiva serietà, nel fatto che rispondano a logiche oggettive e comprovate. Raccontare storie, purché siano vere, infatti, ha una funzione di stimolo, di interesse culturale, di trasmissione di un sapere necessario. Attrae l’interlocutore su basi veritiere, e nasce uno scambio, una reale interazione. Quando si racconta la propria storia, per esempio, credo si debba essere one-

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sti e realisti, mettendo sul piatto tutti gli aspetti essenziali, purché veri e credibili. E la credibilità ha bisogno di tempo per essere realmente un valore metabolizzato dall’interlocutore, sul quale possa fare affidamento. Non conta essere degli “has been”, ovvero avere fatto di tutto ma in un lontano passato: rischiereste di venire visti con diffidenza. Le vostre analisi sembrerebbero appartenere ad un’altra epoca, diversa e irripetibile. Conta, semmai, avere la capacità di essere credibili e seri oggi, mettendo a disposizione dell’interlocutore valori forti come: esperienza, sensibilità, conoscenze, relazioni. Non solo: lo spirito imprenditoriale deve sempre prevalere nella comunicazione di una “story”, insieme alla capacità di contribuire a risolvere i problemi, e non di crearne di nuovi. Insieme, in un rapporto scambievole. Così, credo, si possono raccontare storie vere, che mettano i contenuti e il valore delle persone al centro della propria comunicazione. In caso contrario, saremo tutti bravi a “raccontare storie”, nella prima, vecchia accezione. E magari anche a “dare i numeri”, ovvero a riempirci la bocca di cifre, fatturati, obiettivi per stupire e affascinare. Ma sarebbe un esercizio destinato a non durare, perché privo di solide basi, sulle quali, peraltro, va costruito un rapporto sano, fiduciario e duraturo. •

Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it


Sommario

Editoriale 1 Story telling? Solo STORIE VERE 4-17 B.A.R News Cover Story 20 Soneva Fushi, Maldive. Il luxury intelligente Focus Bar 26 IT Milano: aperitivo con cena a Brera 28 Debora Tarozzo. La mixologist dinamica 32 Virgilio Martinez al Central Terroir Cocktail 34 Alchimista, barman & sommelier. Le 100 anime di Lucio D’Orsi 78 Fonte Plose, nasce il nuovo succo Bio L’opinione 38 Tradizione e innovazione, un rapporto delicato Focus Food 40 Il re della pasticceria “balla” da solo 46 Michelangelo Mammoliti, la grammatica delle erbe 50 “Obbligatorio sognare”. Matias Perdomo si confessa 54 Le Soste di Ulisse e il Val di Mazara 56 Costa Azzurra, dalla spiaggia alla tavola 60 La primavera in tavola a Il Fogolar 62 Una famiglia con l’Osteria nel Dna 64 Top Italian Chef, incontri stellari 68 Benvenuti nella Valle dei Formaggi Focus Alberghi 72 Castello di Casole. Un’altra icona del lusso 76 Hotel Torre di Cala Piccola location di riservatezza Gusto e Mercati 80 Il ruolo del tatto nell’esperienza gastronomica La ricetta di BARtù 82 Mitica Giardiniera, sempre una novità La foto di BARtù 83 Opera Olei si racconta con gli chef 84 B.A.R. Tech 86 Pillole Alberto’s choice 87 Italiani in Svizzera. Vince la passione

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PASTRY CHEF Andrea Tortora apre il suo atelier

COCKTAIL BAR Al Central di Lima vince il territorio

L’INTERVISTA Matias Perdomo lo chef si confessa

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In copertina: In copertina, una veduta aerea di alcune ville di Soneva Fushi, luxury resort alle Maldive. Il concept Soneva, creato da Sonu Shivdasani e Eva Malstrom, punta tutto sulla sostenibilità, intesa come rispetto totale dell’ambiente e dell’ecosistema, pur in una logica edonistica e di consumo di prodotti di eccellenza. Il resort nell’atollo di Baa è da qualche anno luogo di incontro di chef stellati Michelin da tutto il mondo, che cucinano in questo luogo da fiaba utilizzando esclusivamente materie prime dell’isola.

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direttore editoriale Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it

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PERFEZIONARE CIÒ CHE SIAMO È UNA STORIA SENZA FINE. Nereo Ballestriero, un’intera vita dedicata a perfezionare la selezione degli ingredienti e la ricerca di accostamenti inediti, per offrire al mondo la sua idea di bar. illy, più di 80 anni dedicati a perfezionare un unico blend di 9 origini di Arabica, per offrire al mondo il suo miglior caffè. Una condivisione di valori volta al continuo miglioramento per offrire ai propri clienti un’esperienza indimenticabile. #LIVEHAPPilly

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B.A.R. News

Le carni gallesi a Tuttofood E’ un ritorno tra i più graditi quello di HCC Meat Promotion Wales a Tuttofood: da sempre, infatti, l’Ente che promuove le carni gallesi nel mondo è presente alla manifestazione milanese per rinnovare il suo ‘patto della genuinità’ con le tavole dei suoi estimatori italiani. Welsh Lamb Igp, pregiata carne ovina da molti anni sulle tavole dei gourmet nazionali, e Welsh Beef Igp, la tenera e gustosa carne bovina, sono stati presenti con uno stand dedicato per ribadire la naturalità dell’origine e la delicatezza del prodotto. Del resto, da sempre gli agricoltori gallesi credono fermamente nell’utilizzo del ‘best of’ per i loro allevamenti: i pascoli più verdi, l’aria più pura, il silenzio più totale, l’ambiente più favorevole. Nessuna meraviglia perciò che il prodotto sia stato insignito dello status Igp, marchio molto ambito che garantisce l'acquisto di un prodotto di alta qualità e dall’origine garantita. La carne d’agnello gallese continua a registrare ottime vendite e anche l’export verso l’Italia è in costante aumento confermandosi un punto di riferimento per il consumatore che ne riconosce le insuperabili qualità organolettiche. Anche il 2019 è iniziato con un segno positivo che lascia ben sperare per i mesi a venire, e anche il clima di incertezza dato dai possibili sviluppi della Brexit non sembrano influenzare i consumatori.

Università della Birra inaugura la propria sede a Milano Università della Birra, il polo di formazione professionale promosso da HEINEKEN Italia, ha inaugurato la propria sede in via dei Canzi 19 a Milano. Un modello formativo nuovo, unico nel suo genere, che nasce come risultato di un percorso di crescita della vocazione birraria nel nostro Paese, con l’obiettivo di favorire e accompagnare le potenzialità di crescita del mercato della birra in Italia. Oltre 1000 metri quadrati, aule attrezzate e spazi per favorire non solo la didattica e lo studio, ma anche la condivisione di idee e conoscenze. Un luogo progettato per essere funzionale alla missione di Università della Birra: divulgare know how e competenze di livello per gli operatori del settore e stimolare opportunità di business per il mondo dell’Horeca, della Gdo e dell’intera filiera. La sede si trova in un ex complesso industriale nel quartiere di Lambrate che comprende parte dello stabilimento di una storica tipografia completamente recuperato, nel pieno spirito di rinascita di un’area che ha trovato un nuovo inserimento nel tessuto urbano della città. Alla presentazione, a sottolineare il legame tra comparto e territorio, i rappresentanti delle Istituzioni: Alessandro Mattinzoli, Assessore allo Sviluppo Economico Regione Lombardia; Pierfrancesco Maran, Assessore a Urbanistica, Verde e Agricoltura Comune di Milano e Federico Visconti, Rettore LIUC-Università Cattaneo, partner di Università della Birra.

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Iginio Massari Best in the world Iginio Massari, il Maestro pasticcere bresciano, da oggi può vantare la leadership mondiale nel suo settore. Il riconoscimento di “Migliore Pasticcere del Mondo” gli è stato attribuito dalla giuria di esperti, fra cui Alberto P. Schieppati, direttore editoriale di BARtù, Enzo Vizzari, Laura Mantovano, Eleonora Cozzella, nel corso del World Pastry Stars 2019, il congresso internazionale di pasticceria tenutosi a Milano presso l’hotel Marriott. “Un attestato alla personalità che a livello internazionale ha saputo valorizzare la professione di pasticcere sia per quanto riguarda la creatività e i prodotti sia per il valore dell’impresa”, si legge nella motivazione del premio. E Massari, decisamente commosso alla notizia dell’assegnazione, ha commentato con gioia l’attestato “che innanzitutto premia la professionalità e la dedizione che da anni nutro nei confronti di questo mestiere. Un mestiere che ogni giorno comporta nuovi studi e che non mi permette ancora oggi di sentirmi arrivato”. Iginio Massari è nato il 29 agosto del 1942 Iginio Massari e a 29 anni, nel 1971, apre a Brescia, con la moglie Mary, la Pasticceria Veneto. Dallo scorso anno, i prodotti creati dal maestro pasticcere sono arrivati anche a Milano, con l’apertura della pasticceria in piazza Diaz, realizzata in collaborazione con gruppo Intesa San Paolo. Alla fama e alla popolarità di questo grande pasticcere ha contribuito la sua presenza televisiva in trasmissioni di successo come MasterChef Italia, nel ruolo di giudice e ospite fisso durante le prove di pasticceria, e nel programma Iginio Massari–The Sweetman. Il contesto del Marriott, prima della premiazione di Massari, ha avuto due grandi momenti di approfondimento, con le relazioni di Sadahru Aoki e di Gino Fabbri, eminenti figure dell’alta pasticceria.


Cantina Tollo migliore cantina cooperativa d’Italia È Cantina Tollo la migliore cantina cooperativa italiana secondo il Berliner Wein Trophy 2019, uno tra i più importanti concorsi enologici tedeschi a cui – nell’ultima edizione – hanno preso parte più di 3.000 partecipanti, con oltre 13.000 vini degustati. “Siamo orgogliosi di ricevere questo riconoscimento di prestigio internazionale ai nostri valori e alla nostra identità – commenta Tonino Verna, presidente di Cantina Tollo –. I successi conseguiti sin qui sono frutto di un agire corale, le cui radici affondano nella nostra storia di cantina cooperativa nata nel 1960 e di un impegno condiviso che, anno dopo anno, continua a orientare con sempre rinnovata forza la nostra attività”. Cantina Tollo vanta circa 700 soci e 3.000 ettari coltivati in un territorio da sempre vocato alla produzione vitivinicola. L’azienda commercializza 13 milioni di bottiglie all’anno in Italia, in quasi la totalità dei Paesi Tonino Verna dell'UE e, oltreoceano, in Giappone, Stati Uniti, Canada, Russia, Cina e India. Passione e impegno hanno guidato Cantina Tollo in ogni snodo della sua storia e continuano ad accompagnarne i successi: i dati del bilancio chiuso il 31 agosto 2018 vedono l’azienda vitivinicola segnare un fatturato di 41,7 milioni di euro (+7,5%), con un importante ruolo dell’export pari al 32% del mercato. Risultati positivi confermati anche dalle performance dei vini biologici (+52% Italia, +53% estero) e della linea premium (+14%).

Nasce a Milano il Carapelli temporary restaurant Dal 16 al 26 maggio, il temporary restaurant il Carapelli ha aperto negli spazi nascosti di Mari&Co, dove oltre una piccola porta si apre un mondo che trasmette sin dal primo istante l’amore per la bellezza e la bontà. In questa cornice magica Carapelli Firenze, lo storico marchio che da oltre cento anni con esperienza e passione promuove l’arte dell’extra vergine, ha scelto di dedicare ai food lover un favoloso ristorante dove vivere una esperienza unica: diventare chef per un giorno affiancato dalla maestria di un mentore di eccezione e dalla qualità di un ingrediente fondamentale come l’olio extra vergine di oliva. A il Carapelli gli ospiti hanno realizzato il sogno di cucinare per i propri amici la loro ricetta speciale che racconta una storia, un momento, un luogo, un ricordo particolare, per vivere e condividere con loro un’esperienza indimenticabile. E’ stato Filippo Saporito – chef una stella Michelin del ristorante La Leggenda dei Frati (Villa Bardini – Firenze) – a guidare con la sua esperienza e il suo carisma gastronomico gli appassionati che hanno deciso di diventare temporary chef. Ogni preparazione era esaltata dall’abbinamento con gli oli extra vergine premium Carapelli 100% italiani: Oro Verde dalla personalità decisa e il gusto fruttato, Il Nobile testimone del progetto Filiera Olivicola Olearia Italiana con il suo profilo organolettico equilibrato, Bio proveniente esclusivamente da agricoltura biologica italiana.

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Daniela Soto-Innes nominata elit™ Vodka World’s Best Female Chef 2019 Daniela Soto-Innes – chef e socia presso il ristorante di cucina moderna messicana Cosme di Manhattan, è stata votata elit™ Vodka World’s Best Female Chef 2019 come parte dei premi dei The World’s 50 Best Restaurants, che verranno consegnati il 25 giugno a Singapore. La serie di premi Best Female Chef, giunta alla nona edizione, ha già riconosciuto 21 donne in 15 Paesi e continua ad ampliare il dibattito riguardo le questioni di genere nel mondo della ristorazione. Il premio viene votato dal panel globale della The World’s 50 Best Restaurants che comprende più di 500 chef donne, esperte di cucina e giornaliste gastronomiche, le quali costituiscono il 50% del totale dei votanti dell’Accademia. William Drew, redattore della The World’s 50 Best Restaurants, dichiara: “È un vero piacere poter proclamare Daniela Soto-Innes come la elit™ Vodka World’s Best Female Chef di quest’anno. Daniela apporta una positività e un’energia senza pari ai suoi progetti e ha inoltre creato un team che celebra le donne di ogni età. A Cosme ha mescolato piatti messicani e calorosa ospitalità, portando un team dinamico al successo e alla popolarità nella scena culinaria, estremamente competitiva, di New York. Il suo è un enorme talento e merita tutto questo riconoscimento”.

Daniela Soto Innes


B.A.R. News

L’export traina la crescita del Gruppo Sanpellegrino nel 2018

Una serra per mangiare al ritmo delle stagioni: il Parco di Monteoliveto Dalla colazione in mezzo al verde al dj set con cocktail “stagionali”, frutto della miscelazione di distillati originali e ingredienti freschi, fino alla pizza da condividere su grandi tavolate il tutto all’interno di una serra da 80 metri quadrati circondata dal verde: il Parco di Monteoliveto rinasce, con una proposta in grado di farlo vivere giorno e notte, dalle 9 di mattina fino a mezzanotte, a Pistoia. Nasce il nuovo bar ristorante, gestito dalla Monteoliveto Srl, società che esce dall’esperienza di alcuni giovani imprenditori già attivi sul territorio, impegnati in progetti di riqualificazione urbana. Accanto all’edificio già presente all’interno del parco, ristrutturato dalla nuova gestione e diventato il cuore del bar-ristorante, è sorta una serra grazie alla quale sarà possibile gustare una tisana o una cena circondati dal verde, tutto l’anno. L’ambiente, che ospita 75 posti, sarà riscaldato in inverno da una grande stufa a legna, mentre il ricambio d’aria sarà assicurato da un sistema di areazione realizzato sul tetto. Uno dei punti di forza dell’offerta gastronomica sono i prodotti da forno, tutti realizzati in loco, come i diversi tipi di pane con farine che limitano la presenza di glutine, le focacce, le pizze da condire personalmente. Il menu seguirà la stagionalità, con carpacci, insalate e piatti freddi in estate, calde zuppe d’inverno. Stessa filosofia per i cocktail, che seguiranno il ritmo della natura e mixeranno sciroppi home made, spezie, frutta fresca e distillati particolari.

Sanpellegrino, leader nel settore delle acque minerali e delle bibite non alcoliche, continua a crescere e chiude il bilancio 2018 con un fatturato di 928 milioni di euro, con un incremento del 4% a valore rispetto all’anno precedente. Sono stati i brand internazionali a trainare le performance del Gruppo che ha realizzato il 56,9% del fatturato attraverso l’export. Le acque minerali S.Pellegrino e Acqua Panna, ambasciatrici del made in Italy in oltre 150 Paesi nel mondo, sono cresciute a valore rispettivamente del 6% e del 10%. Nel 2018 Sanpellegrino ha registrato un giro d’affari di 529 milioni di euro sui mercati internazionali, con un incremento dell’8% rispetto al 2017, e con picchi del 25% in UK, del 19% in Francia e del 18% in Germania e in Cina. Gli StaFederico Sarzi Braga, presidente e ad del Gruppo Sanpellegrino ti Uniti si confermano il primo Paese in ordine di importanza con una crescita del 12% rispetto al 2017. Sul mercato domestico il Gruppo ha conseguito un fatturato di 400 milioni di euro e confermato sostanzialmente i valori del 2017. Prestazioni positive anche in Italia per i brand S.Pellegrino e Acqua Panna, che hanno registrato, complessivamente, un incremento del 3% a volume, mentre i brand Levissima e Nestlé Vera si sono attestati sui volumi del 2017.

The Lab il nuovo progetto firmato Délifrance Italia Délifrance Italia inaugura The Lab, un salotto che apre le porte alla discussione e al confronto tra realtà food: Horeca, artigianale e Gdo. Si inizia con una presentazione del progetto, dei partner selezionati tra eccellenze del settore e una taste experience in cui i protagonisti hanno l’occasione di mettere in luce le loro abilità. The Lab è un format innovativo che ha lo scopo di far nascere da idee e visioni di player specializzati in aree distinte business vincenti. Il progetto si discosta completamente dalle aule accademiche: a The Lab ognuno è libero di esprimersi e di condividere il proprio know-how attraverso la formazione sul campo e momenti di confronto. Per avvantaggiare la partecipazione i corsi sono organizzati una volta al mese di lunedì dalle 10 alle 13 e si focalizzeranno su tematiche scelte a partire dai principali trend di mercato per consentire all’operatore di costruire un’offerta innovativa e replicabile. I partecipanti ai corsi hanno così l’occasione di migliorare le proprie conoscenze grazie a contenuti di valore e di partecipare a brainstorming con grandi nomi. Délifrance Italia ha scelto per il progetto partner d’eccellenza: La Marzocco per la colazione assieme all’espresso firmato Caffè Bonomi 1886; BOB per guidare la realizzazione di cocktail gustosi; Sebastiano Rovida chef e conduttore di programmi Tv dedicati alla cucina; Federica Russo vincitrice nel 2018 del premio World Pastry Stars di Milano; Marketing & Trade per l’allestimento perfetto; Callebaut con il suo irresistibile cioccolato; IQUII per portare un pizzico di social e Goldplast per la fornitura di accessori per il servizio in tavola. Per iscriversi basta visitare la pagina thelab.delifrance.com e compilare un form.

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Con o senza tovaglia? Euthalia è il ristorante dove si ha la doppia scelta Nel panorama della ristorazione c’è una nuova discussione: un ristorante gourmet è con o senza la tovaglia? Per risolvere questo annoso problema il ristorante Euthalia dà la possibilità agli ospiti di una doppia scelta nei suoi sette tavoli: due angolari “romantici” con sedie in posizione laterale rigorosamente con tovaglia e con una rosa bianca stabilizzata come centrotavola, mentre i restanti cinque sono nudi e senza tovaglia con il legno massiccio a vista. Al momento della prenotazione si può richiedere il tavolo di preferenza, con o senza tovaglia. “Solitamente le coppie giovani o gli ospiti per appuntamenti di lavoro prediligono una tavola senza tovaglia, al contrario per i momenti romantici o per coppie mature una cena senza tovaglia è impensabile” racconta lo chef patron Gian Michele Galliano. Il ristorante Euthalia è una passeggiata in montagna, tra boschi, licheni e abeti in quel Monregalese che è un terra di confine, fra le Langhe e il confine francese. Euthalia è il nome che lo chef Gian Michele Galliano ha scelto per il suo locale a Vicoforte (Cn), aperto da 2 anni.

Gian Michele Galliano

Fiere di Parma entra in Aicod Fiere di Parma, è entrato nel capitale di Aicod, una delle società leader in Italia in strategie digitali, analytics e insight, per consentire alla sua attività di evolvere in ogni campo del digitale, dalla comunicazione social all’e-commerce, mettendo nuovi servizi a disposizione delle aziende espositrici nelle sue manifestazioni fieristiche. Tra i progetti già avviati figura “MyBusinessCibus” la piattaforma digitale che realizza un matching permanente tra buyers di ogni parte del mondo e aziende agroalimentari italiane. La nuova partnership permetterà ad Aicod di sviluppare una sinergia commerciale legata al mondo del food e non solo, ampliando i propri servizi e il parco clienti, che già annovera brand come Maserati, Antinori, Barilla, Consorzio del Parmigiano Reggiano, Immergas, Davines (https:// www.aicod.it/). Per quanto riguarda “MyBusinessCibus”, il progetto si concretizza in una App che consente di trovare on line prodotti e produttori Authentic Italian e di interagire con essi, in un sourcing continuativo per 365 giorni l’anno, preparatorio alla fiera ma non solo.

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La prima bistecca alla fiorentina lanciata nello spazio Missione compiuta per “Fiorenza”, la prima bistecca alla fiorentina lanciata nello spazio. L’astronauta speciale – una lombata di 1,2 kg – è decollata all’alba dalla Tenuta Sant’Ilario a Gambassi Terme (Fi) ed è atterrata “sana e salva” dopo un volo di circa quattro ore. La bistecca ha raggiunto la stratosfera, agganciata a un tagliere di legno e trainata da un pallone aerostatico riempito con sei metri cubi di elio puro. Fiorenza ha toccato un'altezza di 31 km e ha resistito a una temperatura di -54 °C prima che il pallone aerostatico che la sollevava scoppiasse a causa della pressione. A quel punto Fiorenza ha iniziato la fase di discesa a terra, frenata da un paracadute, atterrando nelle campagne senesi a cica 15 km dall’area di lancio. Alla struttura era fissato anche un GPS che ha permesso di localizzare il punto di atterraggio. Il team della Trattoria dall’Oste – che ha ideato l’iniziativa per porre l’attenzione sulla bistecca alla fiorentina e il suo legame con il territorio, all’indomani dell’avvio dell’iter per ottenere il riconoscimento come patrimonio mondiale Unesco – celebra il successo dell'impresa: “Era una sfida, una scommessa con noi stessi – ha sottolineato Antonio Belperio, titolare del ristorante – e tutto è andato per il meglio: i ragazzi di Black Whale che hanno curato il lancio hanno pensato a tutto”.


B.A.R. News Numeri in crescita per Mapic Italy e Mapic Food Mapic Food e Mapic Italy sono anche quest’anno risultati una combinazione vincente, accogliendo l’8 e il 9 maggio al Mico a Milano un totale di oltre 2.200 partecipanti, in provenienza da 40 Paesi, (+10% rispetto all’edizione precedente) fra cui 850 retailer, dei quali 400 del settore food & beverage. Grazie ai cambiamenti delle dinamiche demografiche e all'evoluzione degli stili di vita, il settore F&B ha registrato una forte crescita e si conferma come driver della trasformazione dei siti commerciali in vere e proprie lifestyle destination. Il settore continua ad attirare crescenti investimenti da fondi di private equity. L’evento Mapic Italy ha ospitato, come ormai consuetudine, i principali player del settore tra i quali: JLL, CBRE, Cushman & Wakefield, Ceetrus, Grandi Stazioni Retail, Savills, Ece, Eurocommercial, IGD, Svicom, Sonae Sierra, Klépierre, solo per citarne alcuni. In occasione del convegno di apertura di Mapic Italy Retail, “Sfide che diventano opportunità”, Massimo Moretti, Presidente del Consiglio Nazionale Centri Commerciali italiano (CNCC), ha esordito puntualizzando l’enorme valore sociale ed economico del settore retail: “I nuovi dati relativi al settore evidenziano numeri importanti. Stiamo, infatti, parlando di 139 miliardi di fatturato generato nel 2018, compreso l’indotto, e 71 miliardi di fatturato diretto, con un’incidenza sul Pil nazionale del 4,1%”.

Torna a Sestri Levante Mare&Mosto Domenica 19 e lunedì 20 maggio 2019 è tornata all’Ex Convento dell’Annunziata, (via Portobello 1, Sestri Levante) suggestiva location immersa nella cornice della Baia del Silenzio di Sestri Levante, Mare&Mosto - Le Vigne Sospese, la manifestazione giunta alla V edizione sul vino, sull’olio e sui sapori del territorio ligure. L’evento è stato organizzato da Ais Liguria - Associazione Italiana Sommelier, in collaborazione con il Comune di Sestri Levante, Mediaterraneo Servizi, Regione Liguria e con il patrocinio del Mipaaft, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo. Mare&Mosto è la più grande rassegna del vino ligure organizzata in regione, alla quale partecipano produttori vitivinicoli a rappresentare le 8 Denominazioni di Origine Controllata presenti in Liguria, ovvero: Rossese di Dolceacqua, Ormeasco di Pornassio, Riviera Ligure di Ponente, Val Polcevera, Golfo del Tigullio-Portofino, Colline di Levanto, Cinque Terre e Colli di Luni. La grande novità di questa edizione di Mare&Mosto è stato il numero dei produttori presenti, che quest’anno ha superato il centinaio, tra aziende agricole di viticoltori e produttori di olio della Liguria (circa 80 realtà territoriali) e ospiti extraregionali (25 aziende).

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My Spirits: l’evento Partesa dedicato agli spiriti

My Spirits di Partesa, il primo evento interamente dedicato al mondo degli spirits aperto agli addetti ai lavori e a tutti gli appassionati del settore, torna con gli appuntamenti per il 2019. Il primo di questo anno si è tenuto lunedì 20 maggio presso l’Opendream – Ex Area Pagnossin di Treviso, dalle 14.00 alle 20.00, per una full immersion. Il format, nato con l’obiettivo di creare una piattaforma d’incontro, tra i produttori e gli operatori dell’Horeca del territorio, e di offrire momenti di formazione sulla cultura di prodotto, sul servizio e sui nuovi trend, è pronto a regalare una nuova esperienza ancora più ricca. Anche per questa tappa veneta 30 partner hanno deliziato i partecipanti con consigli, nuove tendenze, degustazioni, e centinaia erano le etichette presenti: dagli spirits più amati e conosciuti alle novità in grado di convincere anche i palati più ricercati. Grazie alla sua formula unica, My Spirits ha proposto la degustazione in purezza di più di 400 referenze suddivise in 5 aree tematiche: “Aperitivi e Mixology”, “After Meal”, “Rum & Whisky”, “Gin e Soft Drink”, “Vodka e White”.


Moët & Chandon Grand Vintage 2012 Moët & Chandon svela l'eccezionale Grand Vintage 2012, 74esima annata della Maison, un audace esempio della sua eccellenza enologica e del suo savoir-faire. Maturato per 5 anni, Grand Vintage 2012 evoca il passaggio dalla primavera all'estate con grande delicatezza e accompagnata da freschezza e armonia. Gli champagne Moët & Chandon Grand Vintage sono vini maturi e dal carattere distintivo, creati per la prima volta nel 1842 per soddisfare le esigenze degli intenditori britannici e americani per vini più maturi. Ogni Grand Vintage è originale, creato intorno alla libertà di interpretazione dello Chef de Cave da una selezione di vini più straordinari e con rispetto per l'individualità di ogni annata. Grand Vintage 2012 è uno champagne extra-brut delicato, fresco e armonioso con una predominanza di Chardonnay (41%) e una marcata presenza di Meunier (26%), che sfida la supremazia

del Pinot Noir (33%). Moët & Chandon Grand Vintage Rosé 2012, la 43esima annata rosé vintage della Maison, evoca anche il passaggio dalla primavera all’estate. La sua struttura è composta da Pinot Noir (42% del suo assemblaggio di cui il 13% è vino rosso), l’eleganza dello Chardonnay (35%), e dalla presenza del Meunier (23%). Grand Vintage 2012 e Grand Vintage Rosé 2012 sono extra brut, qualificati come tali sull’etichetta della bottiglia. Disponibili esclusivamente in enoteche selezionate e ristoranti esclusivi.

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"Alleati in Vigna", nasce il progetto Montelvini Nei suoi 138 anni di storia la Cantina Montelvini ha sempre dedicato molta attenzione al proprio territorio, esprimendo tale senso di appartenenza tramite i suoi vini, con particolare attenzione rivolta all’Asolo Prosecco Superiore Docg. Un interesse che la Cantina interpreta con dinamismo, come dimostra il progetto “Alleati in Vigna”, presentato giovedì 30 maggio presso la sala consiliare del Comune di Asolo. “Alleati in vigna” racconta questo profondo legame, coinvolgendo i principali attori sul mercato italiano, quindi i distributori, i bar, i ristoranti, gli hotel e i locali di tendenza, che diventano in tal modo i veri ambasciatori e “alleati” per la promozione della Docg Asolo Montello. “Abbiamo pensato di creare per i nostri distributori e i nostri clienti un percorso che sia al loro servizio, supportandoli nel lavoro quotidiano di promozione e divulgazione di un prodotto – spiega Alberto Serena, Amministratore Delegato e Direttore Commerciale e Marketing di Montelvini – focus centrale di Alleati in Vigna, saranno degli incontri guidati da esperti del settore Food & Beverage, che permetteranno non solo di scoprire le peculiarità della Docg Asolo Montello, ma di metterla al centro delle nuove tendenze di consumo esaltandone la qualità”. La presentazione del progetto è continuata al Convento SS.Pie-

Alberto e Sarah Serena

Armando Serena nel "vigneto ritrovato"

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tro e Paolo, complesso monastico benedettino che si trova addossato alla cinta muraria ai piedi del colle della Rocca. Ed è qui, in uno degli angoli più suggestivi di Asolo, che la locanda Baggio di Asolo ha interpretato per gli ospiti le eccellenze locali, accompagnate dai vini più esclusivi e raffinati di Montelvini, quali l’Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut, Brut e Dry. Cantina Montelvini è stata protagonista anche con cocktail studiati appositamente per questa importante occasione. La mattina seguente si è dato spazio a “Vigneto ritrovato”, un altro importante progetto avviato dall’azienda da un anno e volto al recupero di un’antica vigna nel centro storico di Asolo. Un recupero pensato con un approccio moderno e nel rispetto del delicato equilibrio tra azioni umane e ambiente. In vista della piantagione delle prime barbatelle, gli ospiti hanno scelto il posto dove posizionare la propria barbatella e per sottolineare ancora di più il messaggio che la Cantina vuole dare al concetto di “Alleati in vigna”, ognuno di loro ha dato il proprio nome alla pianta. Il secondo giorno di “Alleati in Vigna” si è concluso con un’anteprima: la degustazione “Il Brutto Asolo Prosecco Docg” Colfondo, prosecco rifermentato in bottiglia secondo la tradizione delle colline trevigiane, con i lieviti che si depositano sul fondo. “Una due giorni volta a scoprire la storia e la tradizione di un territorio a cui la mia famiglia è particolarmente legata, io in modo personale e per questo mi piace condividerne la bellezza e cercare di farla conoscere a più persone possibili perché per me Asolo non è solo il luogo dove ho scelto di vivere, ma una passione.” – ha concluso Alberto Serena.

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B.A.R. News Marco Fraccaroli nuovo ad Fratelli Polli È Marco Fraccaroli il nuovo amministratore delegato di F.lli Polli, azienda leader nel comparto delle conserve vegetali che conta 300 dipendenti, 110 milioni di fatturato e 100 milioni di vasi prodotti all’anno destinati al mercato nazionale e internazionale, con una presenza in oltre 45 Paesi nel mondo. Il suo ingresso in Polli rappresenta una grande sfida. Fra i principali obiettivi che avrà lungo il suo percorso, ci sarà quello di rafforzare il peso del marchio Polli in Italia e in Europa, dare un forte impulso alla crescita internazionale e aprire il business a nuovi canali alternativi, primo fra tutti il Food Service. In un’ottica di forte consolidamento della leadership aziendale nel comparto delle conserve vegetali e di sviluppo sui mercati internazionali, la professionalità di Marco Fraccaroli si inserisce perfettamente in questo percorso e in un processo di rinnovamento che vedrà protagonista l’azienda di Monsummano Terme (Pt) nei prossimi anni.

Marco Fraccaroli

Italesse, nuovi e innovativi materiali per gli accessori del vino L’innovativa collezione Timber di Italesse è nata tre anni fa dal concept creativo dei progettisti di Italesse che hanno scelto di abbinare linee minimal al materiale innovativo Eco Wood, mai applicato prima nel settore. Eco Wood è una miscela ottenuta da materiali organici derivati dal legno, come la lignina, la cellulosa, delle fibre e degli additivi naturali accuratamente bilanciati. Il composto così ottenuto costituisce una perfetta alternativa ecologica alla plastica, ma soprattutto ha impermeabilità ed elasticità perfetti per le possibilità d’utilizzo indoor e outdoor. Questi materiali sono ottenuti riciclando gli scarti dell’industria cartaria, contribuendo così a favorire il riciclo e combattere la deforestazione. La collezione Timber Bucket & Bowl, ovvero secchiello e spumantiera, è realizzata in 4 varianti diverse dallo sbiancato al naturale, dall’esotico al carbone, con svariate possibilità di personalizzazione per l’applicazione dell’eventuale logo con marchio serigrafato, incisione al laser oppure etichetta. Completano l’unicità del prodotto elementi caratteristici e tradizionali del legno come il colore, le doghe e le venature che si ispirano alle botti delle barrique. Timber ha anche un piacevole profumo di legno tostato, è ecologico e ha livelli di performance, utilizzo e durata di molto superiori al legno stesso.

Il sistema Tuttofood e Milano Food City insieme ad APCI Imprese, istituzioni, cuochi. Un trio vincente, protagonista della settimana milanese dedicato al cibo e in generale al settore agroalimentare. Al centro della scena la manifestazione fieristica Tuttofood, accompagnata dalla Milano Food City, settimana d’incontri ed eventi cittadini, frutto della collaborazione tra Fiera Milano, Tuttofood, Confcommercio, Camera di Commercio, Fondazione Feltrinelli, Fondazione Umberto Veronesi e Coldiretti. La partecipazione di APCI – Associazione Professionale Cuochi Italiani è stata attiva in tutti i progetti. L’Associazione, guidata dal Presidente Roberto Carcangiu e dal Direttore Generale Sonia Re, ha messo a disposizione degli organizzatori le proprie competenze e le relazioni con il mercato del fuoricasa, creando, sia in fiera, sia in città, percorsi di interpretazione culinaria dei migliori prodotti del Made in Italy. In particolare nei padiglioni della Fiera Tuttofood, APCI ha animato due aree dedicate a showcooking, che hanno visto alternarsi in cucina per 4 giornate i cuochi della Squadra Nazionale APCI Chef Italia, presentati da Davide Pini – Gastromarketing e Paola Sucato. Sempre in Fiera, APCI è stata protagonista di diversi momenti di confronto e talk show, facendo il punto sullo sviluppo del settore. Non ultimo, l’organizzazione nella Retail Plaza per i buyer e grossisti italiani più noti di un convegno dal titolo: “Idea Generation Workshop: Future of Foodservice” con NPD Group.

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Pasquale Matullo neo direttore commerciale di Acque Minerali d’Italia Pasquale Matullo è il nuovo direttore commerciale del gruppo Acque Minerali d'Italia da aprile 2019. Con un’ampia esperienza nel mondo della distribuzione e dell’industria nel campo vendite, acquisti e logistica, Pasquale Matullo avrà il compito di coordinare i responsabili vendite dei canali Modern Trade, Normal Trade e Vending oltre alle funzioni Marketing e Trade Marketing con l’obiettivo di sviluppare le vendite e il fatturato dei principali brand dell’azienda e di gestire il portfolio prodotti (acqua e bevande) del Gruppo. “Sono entusiasta di intraprendere questa nuova avventura – ha dichiarato Matullo – e di entrare a far parte di Acque Minerali Pasquale Matullo d’Italia, una delle principali realtà nel mondo del beverage, con 8 siti produttivi e 26 sorgenti sul territorio nazionale, appartenente tutt’ora a una famiglia con radici storiche nel comparto delle acque minerali e bevande. La sfida che mi attende è quella di contribuire a rafforzare il valore dei masterbrand del Gruppo (Norda, Sangemini e Gaudianello), di ampliare la distribuzione e la penetrazione di questi ultimi e allo stesso tempo di rafforzare i brand regionali e locali, così come sviluppare nuovi progetti”.

Roma Fiumicino: nuovo Bottega Prosecco Bar

L’11 aprile, presso l’aeroporto “Leonardo da Vinci” di Roma Fiumicino, è stato aperto in partnership con Autogrill un nuovo Bottega Prosecco Bar. Il locale si trova nella zona Avancorpo T3, riservata ai voli internazionali. L’infrastruttura presenta significativi caratteri distintivi, sia nell’immagine architettonica generale sia nella qualità degli ambienti interni. Si tratta quindi di una location perfetta per il nuovo Bottega Prosecco Bar. Con quest’ultima apertura Bottega estende la presenza dei propri “bacari” nel mondo. A oltre 5 anni dal lancio (gennaio 2014), prosegue a pieno ritmo l’attività di sviluppo del progetto Prosecco Bar che è stato introdotto sulla nave Cinderella del gruppo Viking (Scandinavia), all’interno dell’aeroporto internazionale di Birmingham in partnership con SSP UK, nel dehors dell’Hotel Intercontinental ad Abu Dhabi, in Bulgaria nei duty free degli aeroporti di Burgas e Varna, a Guernsey (Channel Islands) sulla terrazza dello Slaughterhouse in collaborazione con il gruppo britannico Randalls, all’interno del Grand Hyatt Hotel di Muscat in Oman, alle isole Seychelles sulla spiaggia dell’Hotel Hilton Labriz (Silhouette Island), all’interno della Birmingham Arena, nel centro della città britannica e, con formula diversa, in collaborazione con Chef Express del gruppo Cremonini presso l’area arrivi dell’aeroporto di Malpensa (Milano) e presso la stazione di Belluno.

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Rational contro lo spreco di cibo e i risparmi intelligenti Circa un terzo degli alimenti prodotti a livello mondiale non viene consumato, ma distrutto. L'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) parla di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che finiscono nella spazzatura ogni anno in tutto il mondo. Migliorare qualcosa in cucina, che non è stato misurato prima, è spesso difficile. Per questo i responsabili delle cucine dovrebbero controllare i propri rifiuti alimentari per capire quanto e che tipo di cibo viene sprecato e in quale fase della lavorazione. Secondo i calcoli, un litro di rifiuti costa circa 2 €. Il profitto dell'azienda si trova quindi spesso nei bidoni della spazzatura. Anche la tecnologia delle cucine dovrebbe essere esaminata più attentamente, per garantire che la lavorazione delle merci abbia successo ed evitare errori di produzione. Rational, ad esempio, usa per entrambi gli apparecchi di cottura, il SelfCookingCenter e il VarioCookingCenter, la stessa interfaccia utente per garantirne un utilizzo efficiente. Gli apparecchi sono inoltre dotati di un'intelligenza culinaria integrata, che non solo soddisfa le condizioni di cottura, ma riconosce anche le dimensioni e la quantità dei cibi e quindi esegue automaticamente le impostazioni appropriate. Secondo Rational, grazie al controllo della temperatura e del tempo in base al prodotto, la produzione degli scarti è quasi nulla.


B.A.R. News Rahmani Group arriva in Italia

L’Europa che piace: la carne di vitello

Rahmani Group si è presentato sul mercato italiano, in occasione della recente edizione di TuttoFood, con una finalità precisa: promuovere l’innovazione nel settore, grazie a un monitoraggio costante delle nuove tecnologie per la trasformazione di frutta, tisane, miele, piante e radici in alimenti e bevande, sempre dalla parte del gusto e della salute. Il tutto si deve alla famiglia iraniana Rahmani, guidata da Moshen, Mohammad Hossien e Mojtaba, la cui sensibilità imprenditoriale verso le produzioni di qualità è elevatissima. Con i marchi Rostani, Golverdi, Sunraisy, Kariz, il Gruppo iraniano Rahmani presenta in Italia una gamma incredibile di prodotti per l’horeca: dalla frutta secca disidratata fino al Thé alle erbe, ai mieli, ai succhi di frutta freschi, e ancora ai datteri, fichi, pistacchi e molto altro. Nel nostro Paese, la comunicazione stampa è gestita da Newwws (welcome@newwws.it), un nome che è garanzia di esperienza e di qualità dell’informazione

François Tomei (secondo da sinistra)

Il vincitore dell’edizione 2019 del “Premio Gallo-Specialista del Riso” Il vincitore del Premio Gallo-Specialista del Riso 2019 – il concorso organizzato da Riso Gallo – è Joshua Tongiani, cuoco presso il Ristorante Sadler a Milano. Il giovane chef ha scalzato i dieci finalisti con la ricetta “Risotto con crema di pomodorini gialli, basilico, polvere di pane all’acciuga e bottarga” preparato con Riso Gallo Gran Riserva. Sul secondo e terzo gradino del podio, rispettivamente Gioele Vacchina dell’Istituto d’Istruzione Superiore ‘Giovanni Giolitti’ di Torino con “Arancino 2.0” e Alessia Figini dell’Istituto Professionale Servizi per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera ‘Carlo Porta’ di Milano con “Limoncino”. L’iniziativa, dedicata ai talenti emergenti della ristorazione dai 18 ai 28 anni, conferma l’attenzione di Riso Gallo verso i giovani, sostenendoli e incentivandoli ad eccellere. L’azienda premia così la creatività nella preparazione dei piatti e diffonde l’eccellenza della cucina italiana nel mondo. Ai primi tre classificati vanno in premio una fornitura di strumenti da cottura Ballarini 1889 Professionale, per un controvalore rispettivamente di 3.000, 2.000 e 1.000 euro. Al vincitore l’onore di vedere la foto della propria ricetta pubblicata sulla copertina della nuova Guida Gallo, alla sua undicesima edizione, e la possibilità di proporre la ricetta in occasione della serata di gala che, nel 2020, accompagnerà la presentazione.

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È stata presentata a Milano la campagna triennale di comunicazione e promozione della carne di vitello – finanziata con l’aiuto dell’UE e realizzata in Italia da Assocarni – Associazione Nazionale Industria e Commercio Carni e SBK – Fondazione Interprofessionale olandese dell'industria della carne di vitello – per informare i consumatori su questa eccellenza europea. La campagna, il cui slogan è “L’Europa che piace – La carne di vitello: una buona idea per mille buone idee”, coinvolge i paesi europei dove si concentrano, per tradizione, la produzione e i consumi di carne di vitello: infatti, Paesi Bassi, Italia, Francia e Belgio rappresentano l'86% della produzione UE a volume, mentre Italia, Francia e Belgio consumano il 68% della carne di vitello prodotta nell’UE. “L’obiettivo della campagna è rafforzare la conoscenza e la consapevolezza della carne di vitello, in particolare presso le generazioni più giovani, comunicarne i plus (facile da cucinare, versatile in cucina) e favorirne la valorizzazione nei punti vendita della Gdo, che in Italia, coprendo il 67% dei volumi totali, rappresentano il principale canale d’acquisto” ha affermato François Tomei, Direttore Generale Assocarni. Grazie a questo progetto, per la prima volta in Italia la carne di vitello è protagonista di una campagna Tv, con spot pianificati sui principali canali. Il primo flight il 26 maggio con prosecuzione sino all'8 giugno 2019.


Il Salone del Caffè di Torino Turin Coffee è il primo festival torinese interamente dedicato al Caffè, nato dalla collaborazione tra tre grandi produttori piemontesi conosciuti in tutto il mondo: Costadoro, Lavazza e Vergnano. L’evento giunto alla seconda edizione, che si svolge nel mese di giugno, sabato 8 e domenica 9, ha avuto luogo in Piazza Carlo Alberto a Torino, che per l’occasione è diventata un vero e proprio incubatore di cultura del caffè. Il pubblico ha potuto degustare le selezioni di numerosi produttori, partecipare a seminari e workshop e assistere a cooking e cocktail show durante i quali Chef, Pastry Chef e Bartender hanno preparato piatti e drink a base caffè. Tra i protagonisti i pastry chef Galileo Reposo e Andrea Tortora, lo chef Andrea Ribaldone, il ceo di Argotet, David Avino, con il cibo spaziale, il primo Dry Martini italiano, uno dei 5 al mondo, aperto un anno fa a Sorrento nel Majestic Palace, il maestro gelatiere Stefano Guizzetti e tanti altri. N. A.

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Partesa Lab a maggio Nel mese di maggio per gli operatori del settore Horeca sono arrivati importanti occasioni di approfondimento con i Wine Lab e Pizza Lab organizzati da Partesa. Partesa Lab, la piattaforma di formazione strutturata per i clienti, ha proposto dieci appuntamenti lungo tutto il territorio nazionale: tre alla cultura enologica e ben sette al composito mondo della pizza. Questo il calendario degli eventi pizza: Lombardia (Pioltello, lunedì 6 maggio), Toscana (Collesalvetti, martedì 7 maggio), Lazio (Roma, mercoledì 8 maggio), Emilia-Romagna (Imola, lunedì 13 maggio), Piemonte (Savigliano, lunedì 13 maggio e Settimo Torinese, martedì 14 maggio), Veneto (Morgano, martedì 21 maggio). Una selezione accurata del portfolio vini Partesa a cui si aggiunge una precisa attenzione alle eccellenze vinicole del territorio sono state, invece, le protagoniste dei Wine Lab, giornate di workshop e degustazioni guidate che hanno avuto come focus formativo il prodotto vino.


B.A.R. News

Molini Lario festeggia con Vittorio Un’azienda dalla parte del Made in Italy d’eccellenza celebra i primi 100 anni di attività al servizio dei professionisti. I piatti di Vittorio, tre stelle Michelin, accompagnano l’evento

Molini Lario, società di Alzate Brianza (Co), lo scorso 11 maggio ha aperto le porte ad autorità, clienti , giornalisti e dipendenti per festeggiare i primi 100 anni di attività. “E’ stata una festa in cui abbiamo voluto ospitare al meglio tutte quelle persone che hanno contribuito al successo della nostra società”, ha dichiarato Giacomo Bozzi, Presidente di Molini Lario. Oltre trecento persone hanno spento le 100 candeline sulla megatorta e hanno contribuito con la loro attiva presenza a

progettare il futuro di Molini Lario. “Un futuro, ha aggiunto Bozzi, che andremo a sviluppare insieme ai nostri partner di eccellenza”. Una storia, quella di Molini lario, iniziata nel 1919, quando dal notaio Gaetano Maspero si ritrovarono i rappresentanti di cinque famiglie comasche per costituire, con un capitale sociale di 440 lire, la Anonima Molini Lario, società che nel tempo ha conquistato un ruolo primario nell’universo delle produzioni di farine ottenute dalla macinazione e dalla miscelazione di grano tenero. Tra i valori che hanno caratterizzato la storia della società, ormai centenaria, la ricerca senza compromessi della migliore qualità delle sue farine. Un livello qualitativo elevatissimo e costante, che nasce dalla rigorosa selezione dei grani utilizzati, dall’eccellenza di un processo produttivo basato su scelte tecnologicamente avanzate e dal puntuale monitoraggio nei laboratori di analisi dei grani impiegati e delle farine prodotte. Un’eccellenza qualitativa ben riconosciuta dal mercato, in tutti i suoi segmenti, dalla panificazione, alla pasticceria, all’horeca. Al fine di offrire al mercato il massimo supporto, Molini Lario ha creato quattro anni fa l’Accademia della farina, con un centro applicativo di Ricerca e Sviluppo, in cui si sperimentano nuove farine e tecniche per ottenere i migliori risultati nella panificazione. Ma all’eccellenza qualitativa la famiglia Bozzi si è ispirata anche nella scelta del catering che ha accompagnato ogni momento della festa: non a caso, la scelta è caduta su Vittorio di Brusaporto (Bg), dove la famiglia Cerea conduce il celebre ristorante tre stelle Michelin, riferimento internazionale della clientela gourmet

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Giacomo Bozzi

alla ricerca di un Made in Italy di alto profilo. Un menù di livello, culminato con il servizio del semplice ma iconico piatto dei Cerea, Paccheri pomodoro e basilico, che ha letteralmente ammaliato le centinaia di presenti. La preparazione dei piatti, che hanno seguito una sequenza di servizio caratterizzata dal consueto “Stile Vittorio”, hanno dato alla grande festa un motivo in più per essere ricordata, anche grazie alla degustazione dei pani prodotti con le farine dei Molini di Alzate Brianza.


I primi 20 anni di Cantrina Otto ettari, coltivati a biologico, esprimono vini di grande carattere. La cantina lombarda, fondata da Dario Dattoli, continua sulla strada della qualità L’Azienda Agricola Cantrina, la piccola azienda vinicola adagiata sui colli morenici nella località omonima vicino a Bedizzole (Bs), è la realizzazione del sogno del suo fondatore, Dario Dattoli. Fin dai primi anni Novanta, Dattoli si era dedicato con coraggio alla produzione di poche (ma curate) bottiglie destinate all’autoconsumo nei ristoranti e locali di proprietà: era il 1999 quando, tra mille timori, tanto entusiasmo e un pizzico di incoscienza, venne deciso di portare avanti il progetto con investimenti, passione e professionalità. In questo 2019, quindi, ricorre il ven-

Diego Lavo e Cristina Inganni

Cristina Inganni

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tesimo anniversario della fondazione di Cantrina, così come oggi la cantina bresciana è conosciuta e condotta da Cristina Inganni e Diego Lavo. Da una attività estremamente ridotta, l’A zienda Agricola Cantrina è arrivata a costruire la propria cantina nel 2004, resa via via più efficiente e funzionale nel corso degli anni; i vigneti, inoltre, hanno subito un profondo cambiamento varietale e gestionale, fino ad arrivare agli attuali 8 ettari, tutti coltivati in regime biologico. Anche i vini, che hanno raccolto nel tempo una serie di importanti riconoscimenti, hanno seguito un profondo percorso evolutivo. Ai primi nati nella vendemmia 1999 (Riné-Nepomuceno-Sole di Dario), si sono via via aggiunti lo Zerdì, il Rosanoire, il Groppello Doc e il Chiaretto Doc. Per marcare e condividere la ricorrenza del ventennale, Cristina Inganni e Diego Lavo hanno organizzato il 13 maggio scorso una degustazione di alcuni millesimi, scelti fra le venti vendemmie dei tre vini che hanno contraddistinto la produzione aziendale dalla sua fondazione fino a oggi. Riné (nelle annate 1999, 2002, 2005, 2008, 2013, 2017); Nepomuceno (nelle annate 1999, 2001, 2005, 2007, 2011, 2015); Sole di Dario (nelle annate 1999, 2001, 2006, 2009, 2012). La degustazione è stata accompagnata da una serie di piatti della tradizione bresciana preparati dallo chef Savino Poffa della Trattoria Mangiafuoco (Brescia).




Cover Story

Soneva Fushi, Maldive Il luxury intelligente di Alberto P. Schieppati

Nell’atollo di Baa, dichiarato dall’Unesco Biosphere Reserve, un resort esclusivo offre infinite possibilità di vivere un’esperienza indimenticabile. All’insegna della sostenibilità assoluta, voluta da Sonu e Eva, la coppia che ha concepito questo format eccellente Da dove cominciamo? Scrivere della recente esperienza al Soneva Fushi, nell’isola di Kunfunadhoo, mette in discreto imbarazzo. Qui ogni momento di “ospitalità vissuta” è ai massimi livelli possibili, fin da quando si viene accolti all’arrivo dell’idrovolante partito dall’aeroporto internazionale di Male e ammarato sulle sponde dell’isola dopo quaranta minuti di volo radente sull’acqua. Un “comitato di accoglienza” indimenticabile, nel quale si viene immediatamente ricevuti da Ranvir Bhandari e Szabolcs Tatar, rispettivamente Managing Director e Resort Manager, e presentati al proprio “venerdì”, Saeed, ovvero Mister Friday: il butler che si occuperà di voi per tutta la durata del soggiorno. Con discrezione, senza ossessione, con un rispetto totale della privacy e un solo desiderio: la libertà assoluta dell’ospite, che viene invitato da subito a “staccare” dallo stress e a adeguarsi ai ritmi dell’isola. “No shoes, no news”: e le scarpe vengono sequestrate all’interno di una sacca che verrà restituita a fine soggiorno. E il wi-fi? Ovviamente c’è, efficientissimo, anche se due righe ben

Sonu Shivdasani e Eva Malstrøm, la coppia che ha creato Soneva

scritte nel Directory ricordano che andrebbe usato con cautela. Perché la bellezza del luogo va vissuta in modo totale, secondo un’impostazione (suggerita) alla “Robinson Crusoe”. Le regole del marketing turistico qui si esprimono al massimo

L’oceano sullo sfondo visto da una delle ville

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livello, ma sarebbe riduttivo definire i livelli di ospitalità del Soneva frutto di oculate e mirate strategie. La forza di questa risorsa ha valenze decisamente superiori, nelle quali l’aspetto umano è al primo posto, inteso come attenzione verso l’ospite in ogni sua esigenza e desiderio. I valori del Soneva sono frutto di progettualità, strategia, cultura, certamente aiutati dalla ubicazione unica, nel cuore delle Maldive, nell’incredibile atollo di Baa. Raccontare dello splendore delle acque, della sabbia finissima, della vegetazione lussureggiante, del clima eccezionale, rischierebbe di risultare scontato, seppure oggettivamente vero: Kunfunadhoo è una delle isole più belle al mondo, non soltanto nell’arcipelago


Cocktail per gli ospiti della suggestiva isola di sabbia chiamata “Sand Bank”

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Cover Story

La preparazione di un piatto ad opera di Abdulla Sabah durante il sonu's Picnic

delle Maldive, e non sarò certo il primo a ricordarlo ai nostri lettori. Ma, aldilà della unicità paesaggistica del luogo, è tutto il resto a fare la differenza: i plus risiedono innanzitutto nella sensibilità umana e nella cultura imprenditoriale di Sonu Shivdasani (origini indiane, importanti studi accademici a Londra) e di sua moglie Eva Malmstrøm (svedese, modella e fotografa) , nella loro emozionante unione e nella consapevolezza zen di avere scelto di stare dalla parte giusta, quella del rispetto assoluto della natura, ad ogni costo. A questa va aggiunta la grande intuizione di aver saputo creare, grazie a un team di solidi professionisti, un polo di ospitalità “luxury” davvero unico: le “Villas”, ognuna con il proprio giardino appartato, che si affacciano sulla spiaggia lungo tutto il perimetro dell’isola, del

Pranzo sulla sabbia finissima Il tramonto visto dal ristorante Out of the Blue

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Saeed, Mr. Friday: negli orti del ristorante Colours of the Garden

Abdulla Sabah, il più bravo chef maldiviano: talento e passione

resto, sono l’esempio di questo straordinario rispetto verso l’ambiente, all’insegna di quella estetica del paesaggio di cui tutti vorremmo essere testimoni. Un rifugio sicuro in cui rigenerare corpo e anima, insomma. Quando, venticinque anni fa, Sonu e Eva (da cui l’acronimo Soneva) si innamorarono di questo paradiso e decisero di farne il primo resort di lusso sostenibile al mondo, avevano già le idee molto chiare. Per costruire il resort si opposero da subito all’idea di utilizzare alberi della foresta pluviale, per esempio: vennero così utilizzati solo materiali sostenibili come il legno di cocco, il teak delle piantagioni, i bambù, pali di pino e legnami certificati. “Tutti pensavano che fossi matta, quando ho rifiutato di tagliare qualsiasi albero per costru-

ire le ville”- ha recentemente dichiarato Eva in un’intervista a Cristina Milanesi, sul Corriere della Sera,”e invece ho valorizzato le costruzioni grazie alla natura. Ho insistito per utilizzare solo materiali sostenibili”. L’arte del riciclo e del recupero, qui a Soneva Fushi, è la norma: basti pensare che nel cuore dell’isola c’è una vera e propria ricicleria,un Eco Center dove viene compostato il 90% dei rifiuti prodotti nel resort. E un laboratorio (So Glasscycle), con una fucina sempre attiva, utilizza il vetro per creare nuovi oggetti, che vengono realizzati con il contributo di artisti e designer che arrivano da tutto il mondo. Un luogo fantastico, ricco di suggestioni e opportunità, anche di tipo enogastronomico. Al Soneva Fushi (che è uno dei tre Soneva, insie-

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me a Soneva Jani, sempre alle Maldive, e a Soneva Kiri, in Thailandia) la proposta di ristorazione è ricchissima e variegata: i ristoranti, oltre a godere di posizioni panoramiche, hanno un’offerta top level, per materia prima food, servizio e cantina, Al mio arrivo, Saeed (il gentile e sveglissimo Mr. Friday a cui sono stato affidato) mi conduce in un’oasi di serenità: Colours of the Garden, questo il nome del ristorante, è all’interno di un giardino botanico del tutto “organico”. Erbe, frutta (l’ananas fermentato è memorabile), verdure, fiori vengono scelti quotidianamente dai giovani chef attraverso una linea di cucina che privilegia l’aspetto vegetale: radici, verdure fresche e fermentate, proposte in un’atmosfera da sogno. Ma è al Mihiree Mithaa, al centro del villaggio, che si perpetua il rito quotidiano delle prime colazioni, con uno straordinario open buffet ricco di delizie, calde e fredde, che spaziano dalle verdure organiche fino ai pani naan caldi, al pesce crudo, a grandi formaggi francesi, italiani e locali (conservati e presentati in un’apposito spazio, insieme a Culatello, Patanegra e altri salumi), fino a linee di


Cover Story

La brigata dei ristoranti è sempre al lavoro per confezionare piatti sfiziosi e raffinati Impronta giapponese all’Asian Market

Una composizione floreale presentata all’Out of the Blue

cucina dolce e salata per ogni gusto. Notevole la presenza di frutta esotica, proposta in diverse varianti e destinata ad essere l’accompagnamento ideale di un breakfast senza uguali (ve lo dice uno che di prime colazioni se ne intende!). Per cena, il Mihiree Mithaa si trasforma in vivace food court, con isole gourmet e free flow al top: pesce crudo, pesce grigliato, sushi e sashimi, pizza dal forno a legna, pane tandoori. Notevole, a metà settimana, l’Asian Market, che mette a proprio agio il gourmand alla ricerca di piatti esotici, cucinati da chef di alta professionalità: maldiviani, indiani, thailandesi ecc. Altri ristoranti arricchiscono l’offerta food di Soneva Fushi: tutti sono stati oggetto della nostra attenzione. Sobah at Out of the Blue, in uno dei punti più sce-

Un piatto di Jean Baptiste Natali: “The Perfect Egg with Soneva Mushrooms”

nografici dell’isola, si fa apprezzare per la linea di cucina che spazia da un’impronta giapponese (teppanyaki, wagyu, ma anche tempura, sashimi ecc.) a proposte di pesce, come black cod e altro pescato locale. Una ricca cantina (oltre 250 magnum, compresi grandi vini del nostro Angelo Gaja) arricchisce l’offerta. All’interno della struttura, anche uno spazio di rara suggestione, fronte oceano, denominato “Once upon a Table” dove, per sole 8 persone, vengono realizzate cene a cura di grandi chef stellati da tutto il mondo. Ogni anno al Soneva arrivano celebri chef, in occasione del “Festival of the colours” che consentono agli ospiti esperienze stellate. Come, per esempio, la cena guidata da Jean Baptiste Natali, il più giovane chef francese ad avere con-

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quistato la stella Michelin. Natali ha stupito con un eccellente menù, in cui ha proposto “The Forgotten French Dishes”: un menù di 5 portate, in cui “The Perfect Egg with Soneva Mushrooms” ha colpito per gusto, equilibrio, armonia. Ma il ventaglio di possibilità di esperienze enogastronomiche del Soneva Fushi è letteralmente inesauribile: dal Cocktail Party all’isola di Finolhu, la SandBank pittoresca, un pugno di sabbia finissima immerso nell’Oceano, fino alla cena gourmet al ristorante Fresh in the Garden, una sorta di giardino pensile immerso nella giungla lussureggiante, fra alberi tropicali, a fianco del quale un Osservatorio astronomico, So Star Truck, in piena regola consente di ammirare la galassia e le stelle del firmamento con attrezzature tecnologicamente avanzate. Ed è proprio a questo concetto di rare life che si ispira tutta l’ospitalità di Soneva Fushi. Un esempio per tutti la gita in motoscafo, con destinazione gourmet in isola deserta, dove Abdulla Sabah, il più grande chef maldiviano, ricco di esperienze anche internazionali, prepara un piatto secondo ritualità antiche: il pollo avvolto in foglie di banano, cotto nella cenere, nella profondità della sabbia. Un’esperienza irripetibile, che lascia il segno nella memoria. Come tutto, del resto, nel magico resort di Sonu e Eva… •



Focus Bar

IT Milano: aperitivo con cena a Brera di Maurizio Bertera

Una nuova insegna, sotto l’egida di Gennaro Esposito, in via Fiori Chiari, nella metropoli lombarda. Nello staff c’è anche il mitico Savio Bina Milano ha una caratteristica: è ricca di locali bellissimi dove si mangia così così (o proprio male) come ci sono tanti posti che avrebbero bisogno di una rinfrescata (e di un servizio migliore). Parliamo della fascia media, quella con una spesa tra i 70 e i 100 euro, vino compreso a meno di cercare la grande bottiglia: evidente che al di sopra, è quasi tutto perfetto e ci mancherebbe. Molti dicono che è difficile, quasi impossibile al giorno d’oggi, trovare il giusto equilibrio tra un ambiente «figo» dove si può andare con moglie (fidanzata, amante, figli, parenti e chi cavolo vi garba), si viene trattati bene – anche su questo si potrebbe scrivere un libro – e soprattutto si gustano piatti buoni: fatti di ingredienti scelti, preparati come si deve, impiattati con classe. E udite, udite italiani. Senza brodi di mi-

La zona lounge

so, yuzu, alghe wakame. Che per carità piacciono tanto anche a noi ma solo se ne leggiamo la presenza nella carta di un ristorante cinese o di un ramen-bar. Il locale più recente che dovrebbe essere studiato da quanti vogliono aprirsi il loro, si chiama IT Milano, si trova in Brera – quartiere ad altissimo tasso di posti medi e mediocri, ovviamente cari – al 32 di via Fiori Chiari laddove c’era il Palazzo Gondrand. Chi frequenta le Baleari avrà notato che la stessa insegna brilla a Ibiza. Il fondatore Alessio Matrone, nel 2015, ha aperto il primo ristorante sulla Marina di Botafoch. Ha seguito lo «stile Ibiza», come mille Ferruccio De Lorenzo, Chef Aldo Ritrovato, Alessio Matrone

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altri imprenditori italici che si cimentano su quelle isole, ma ha puntato sulla nostra cucina. In particolare, quella del Sud affiancata da proposte spagnole e qualche piatto internazionale. Tutto scontato, salvo che ha chiesto la consulenza di Gennaro Esposito, che al di là delle due stelle Michelin, è straordinario nel trovare il menu giusto per il posto giusto, eseguito dalle persone giuste. Vedi il lavoro fatto su Mammà a Capri, uno degli stellati più allegri e godibili in assoluto. Con centinaia di coperti a servizio, tra l’altro, e non i soliti venti (quando ci sono). IT Milano ci sembra ancora superiore. Aperto sempre da Matrone con un altro imprenditore – Ferruccio De Lorenzo – potrebbe trovarsi a Londra (dove peraltro aprirà in


Minestra di pasta mista, crostacei e pesci di scoglio

settembre il terzo locale della catena) o New York ma è a Milano: 800 mq di superficie, interior design non forzato, discreti richiami Anni ’60, forme morbide e tondeggianti delle sedute. Un ambiente «caldo», diviso in tre aree che vivono di luce propria: il bistrot per la pausa pranzo o un aperitivo, il ristorante vero e proprio, la lounge al piano inferiore per eventi privati o il dopo cena. C’è ottima musica di sottofondo (in quanti locali «di tendenza» è azzeccata, tra l’altro?) e un team di professionisti a guidare la macchina, già a buon punto in poche settimane dall’apertura: Carlo Tinelli (general manager), Savio Bina (restaurant manager), Giacomo Morlacchi (head sommelier). E come executive-chef , ecco un trentenne già esperto come Aldo Ritrovato, arrivato dal non lontano Bulgari e un passato da commis (non a caso) alla Torre del Saracino. Vi riportiamo qualcosa dal menu, come detto firmato dal grande Gennarino. Ventresca di tonno scottata, melanzane affumicate e balsamico; Minestra di pasta mista, crostacei e pesce di scoglio (mai assaggiata? male); Spaghetti al pomodoro; Scorfano con fagioli di Controne e scampi; Pesce bandiera; Zucchine alla scapece, il Babà della casa... Ma c’è anche la Cotoletta di vitello alla milanese. Tutto buono, diretto, solare; senza esercizi di stile e manco una contaminazione. Piacerà a chi si sente trendy ma anche a chi non segue altro che non il suo palato, spendendo mediamente da 70 euro all’infinito in base alla scelta in cantina. Ma non è un miracolo a Milano. Basta pensarci e capire (un minimo) di locali e di cucina. •

Il ristorante

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Focus Bar

Debora Tarozzo La mixologist dinamica

verrebbe da dire, perché poi, più realisticamente, girando per il mondo non mancano barman del gentil sesso che hanno saputo farsi strada raccogliendo grandi soddisfazioni. Come l’olandese Tess Posthumus, o la portoghese Flavi Andrade, giusto per citarne un paio. In Italia invece che accade? Forse è più difficile trovarne, ma qualcosa si sta muovendo e i nome interessanti non mancano. Uno presente in una lista dinamica e che cresce di giorno in giorno è quello di Debora Tarozzo, quarantenne milanese, che gravita però più spesso nel mondo della miscelazione bresciana, e arrivata in giovane età a frequentare il mondo dei cocktail. Iniziando un po’ per caso, visto il diploma da geometra appeso al muro, come lei stessa racconta. “Quando avevo diciannove anni pensavo ad altro e quasi non sapevo neanche cosa fossero i cocktail. Poi però è cambiato tutto, complice mio padre, che ha aperto un bar a Brescia nel quale ho iniziato a lavorare. La passione poi ha preso il sopravvento, leggendo riviste di settore e osservando le mirabolanti evoluzioni di chi si muove nel campo della miscelazione acrobatica. Da li ho iniziato a frequentare un corso di bartending, sempre a Brescia, con l’Aibes e studiando i classici”. Debora Tarozzo brucia le tappe e inizia a trascorrere diverse stagioni tra Italia e Estero. A Londra e in Sardegna, soprattutto, prima di fare il grande salto oltreoceano e investire ben cinque anni in Costarica, svolgendo attività di consulenza, e lavorando per gli staff da competizione che si cimentano sull’american bartending. Il ritorno in patria la vede prima a Ol-

di Gualtiero Spotti

La quarantenne milanese, attiva nel mondo del cocktail a Brescia, ha al suo attivo una lunga esperienza nell’universo mixology. I drink del suo locale, il Posto Pubblico, sono ormai proverbiali La miscelazione da banco, che sia in un lounge bar o in uno speakeasy, può anche essere donna, pur trattandosi di una professione, quella della mixologist, piuttosto impegnativa e che, guardandosi intorno, finisce per essere considerata quasi sempre un campo d’azione prettamente maschile. Soprattutto se guardiamo entro i confini nazionali,

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Debora Tarozzo

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Focus Bar bia in una rumeria (il rum è una delle sue grandi passioni) e infine a Brescia, circa sette anni fa, al Mente Locale. In contemporanea però sviluppa relazioni con aziende del settore come la Roner (distillerie), dove svolge il ruolo di consulente/ambassador. Più recentemente la barman ha sposato la causa di un altro locale bresciano nel quale si è spostata, il Posto Pubblico. Un po’ periferico e con un patio esterno per la bella stagione, questo è uno spazio multifunzione, che funge da ritrovo per amanti del bere bene (soprattutto vino, vista la notevole cantina) e per appassionati del pre e post cena, con Debora che si fa vedere nel fine settimana, non disdegnando di proporre, infine, anche mostre fotografiche. Debora, che negli ultimi tempi si lascia influenzare molto anche dalla cucina (“Mi sono spostata al Posto Pubblico anche per questo”, dice) è da gennaio la Brand Ambassador del rum nicaraguense Flor de Caña, distribuito in Italia da Velier, così molti dei suoi cocktail più recenti e divertenti vedono questo liquore come grande protagonista. E’ il caso del simpatico Titty l’Esploratore, presentato in una gabbietta da uccellino, con Rum Flor de Caña 7, Chartreuse gialla, ananas estratto, lime, spicy honey syrup tea e bitter Tiki. Oppure il “Chi Chi” Grog (un grog freddo), con blend di Rum Flor de Caña 4 e 7 anni, frutto della passione fresco, lime, exotic tea e sciroppo di miele. Due idee rinfrescanti e molto personali. Anche perché il Posto Pubblico non è un luogo dove passare per i classici. O meglio, c’è sempre chi si siede e ordina uno spritz o un aperitivo non d’autore, ma qui è meglio passare per lasciarsi stupire dai cocktail di Debora. Cui piace cambiare spesso la lista delle proposte, ma senza giocare troppo all’improvvisazione, perché, come dice senza incertezze: “E’ meglio sempre studiare bene proporzioni e abbinamenti per raggiungere così un proprio standard qualitativo”. •

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Focus Bar

Virgilio Martinez al Central Terroir Cocktail L’imprenditore peruviano continua ad aprire locali di successo: come questo Central, a Lima, dove l’offerta mixology punta decisa sull’utilizzo di ingredienti peruviani, che raccontano le biodiversità del territorio

La cucina contemporanea è sempre più una questione di incroci tra diverse culture gastronomiche, tra prodotti (che però non sempre si trovano a portata di mano), l’utilizzo di tecniche innovative e una quasi infinita dose di creatività da parte degli interpreti ai fornelli. Poi, in un mondo che è diventato estremamente vario (qualcuno potrebbe dire nell’uniformità di stili…), ci sono i naturali limiti dettati da tradizioni e materie prime che non si possono spostare o spedire come un pacco da un continente all’altro. E ci si rende conto di quest’aspetto soprattutto quando si viaggia e, magari, ci si sposta dall’altro capo del pianeta. Un esempio illuminante è la crescita esponenziale, nella percezione di cuochi e addetti ai lavori, del patrimonio alimentare e della biodiversità presenti in Perù, nel Sudamerica. In fin dei conti è bastato che qualche cuoco di ultima generazione, in primis Gaston Acurio, seguito poi a ruota da Virgilio Martinez e pochi altri, decidesse di giungere in Europa per raccontare il proprio universo, per capire quanto ancora oggi c’è da scoprire sulle abitudini, gli usi, le coltivazioni e le produzioni di buona parte dei Paesi al di fuori del nostro continente. E come tutto

Virgilio Martinez

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Colores de Amazzonia

questo non sia facilmente replicabile. Uno degli interpreti di maggior fama è proprio Virgilio Martinez che dalla casa madre di Central, a Lima, ha aperto diversi anni fa un ristorante a Londra, chiamato, appunto, Lima London. Un luogo che sin dall’apertura ha permesso di conoscere meglio la materia prima peruviana, ma che come dice lo stesso cuoco è ben lontano dall’essere la perfetta rappresentazione del mondo gastronomico variegato che passa dall’Oceano Pacifico alle alte montagne andine e alla giungla amazzonica. Per questo l’unico modo per entrare a diretto contatto con la realtà locale è quello di spostarsi nella capitale peruviana e andare al Central, www.centralrestaurante.com. O meglio, al nuovo Central, che da quest’anno, dopo il trasloco dal moderno quartiere di Miraflores, si trova nel vivace Barranco, tra resti di vestigia coloniali e una fauna quotidiana che mescola la placida vita di quartiere ai più chiassosi turisti in cerca di svago serale. Visto da fuori, Central ha il look non troppo invitante a metà strada tra la villetta nascosta e la casa circondariale, complice anche il

filo spinato che campeggia sul muro esterno. Poi, una volta superata la soglia e il grande cancello, agli occhi si spalanca un giardino che rivela erbe e piante che raccontano la biodiversità del Paese. In un percorso che poi prosegue all’interno, dove ci si accomoda prima al bar Mayo, che è la vera anticamera golosa per gli amanti della cocktaileria. Come per tutto l’universo Central, anche al bar Mayo viene rispettata la regola che vuole evidenziare lo stretto legame con la madre terra e con i prodotti peruviani. Così viene spontaneo iniziare con un aperitivo che, magari mette in primo piano il Pisco, il distillato vanto della nazione. Così il Lagrimas è un cocktail ispirato al mare che mette insieme pisco torontel, lattuga di mare, chili dolce e sale marino, ma all’occorrenza si può scegliere tra un’ampia gamma di infusioni, e succhi. Il percorso a tavola invece si snoda con grande agilità, (nonostante le sedici portate) lungo il menù denominato Alturas Mater: un brillante viaggio nelle diverse regioni peruviane, da quelle costiere fino alla giungla. Così, seguendo i ritmi delle stagioni si passa dall’assaggio dei grossi ricci di mare della costa con avocado e loche (una zucca locale), ai piarnha con cocona e radici di yucca; dall’agnello con olluco e latte di pecora fino al cacao con foglie di coca. In ogni piatto le scoperte sono infinite e riguardano prodotti che nella maggior parte dei casi rappresentano per l’avventore una novità assoluta, anche nell’idea di rappresentare quasi con fine didattico, tutte le aree geografiche del Perù, partendo dalla costa fino alle valli più nascoste. Dal livello del mare alle cime più impervie e le foreste più impenetrabili. Al punto che molta della materia prima che si ritrova nel piatto da Central in realtà è perfino difficile trovarla nei pochi mercati alimentari della capitale (fatta eccezione per l’oca, un tubero molto popolare, i semi come

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L’esterno e l’interno del ristorante Central

i kiwicha e qualche tipo di patata), come quelli del Parco Reducto No.2 il sabato mattina o della Fiera ecologica di Barranco la domenica. Ma oltre a stupirsi di fronte alla “diversità” della cucina c’è anche la mano del cuoco, delicata e perfetta nel contrapporre sapori e consistenze mantenendo vivo lo spirito e l’essenza del prodotto. Per chi poi volesse estendere l’esperienza vale la pena fare una sosta anche al ristorante che si trova al primo piano di Central. Si chiama Kjolle ed è la cucina di Pia Leon, compagna di Virgilio e cuoca emergente del 50 best Sudamericano lo scorso anno. Lo stile non è molto diverso, con forse un approccio più bistronomico e easy, e non a caso è proprio la coppia a sostenere con forza l’idea che molti dei piatti di entrambi i ristoranti nascono da idee comuni e da scelte che di volta in volta indirizzano verso uno o l’altro menu. Infine, vale la pena soffermarsi su quanto si assaggia, certo, ma anche sul contorno e sulla filosofia che anima il mondo di Virgilio. Natura, territorio, sostenibilità, passione, ecosistema, resilienza, sotto tutte parole che non possono mancare nel vocabolario gastronomico di uno dei cuochi più influenti dei nostri tempi. G.S.


Focus Bar

Alchimista, barman & sommelier

Le 100 anime di Lucio D’Orsi 34

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di Nadia Afragola

Il direttore del Majestic Palace Hotel di Sorrento si racconta e ci spiega la sua passione per il food and beverage Lucio D’Orsi, classe 1979, è oggi l’anima del Majestic Palace Hotel di Sorrento. Lo trovate nel ristorante gastronomico una Stella Michelin, Don Geppi, nelle vesti del maître e sommelier. Lo trovate in terrazza nel primo Dry Martini by Javier de las Muelas, d’Italia: pare un alchimista, un bartender, un barman dei tempi andati. Lo trovate ad accogliervi laddove necessario perché il suo marchio di fabbrica è quello: la gentilezza che si fa accoglienza. Chi è Lucio D’Orsi? Una persona che vive per il food and beverage. Amo profondamente quello che faccio e voglio continuare ad approfondire studi e conoscenze in tal senso, alzando sempre un po’ di più l’asticella. La mia figura è strana, sono il direttore del Majestic Palace, albergo della Penisola Sorrentina, da sempre curo l’operatività in ambito food and beverage. Nasco bar-

man, poi ho studiato per essere in grado di gestire la sala di un ristorante stellato come il nostro, il Don Geppi. Mi occupo poi di vino, del food pairing… ve lo avevo detto che ero strano! Quanto pensa di essere bartender e quanto imprenditore? L’uno non prescinde dall’altro, il bartender non realizza solo una ricetta, mette in piedi una vera e propria organizzazione. Ci sono strutture nate decenni fa che reggono su pilastri saldi, parlo dell’organizzazione che gli permette di andare avanti. Il bartender è come un pasticcere o uno chef. Crea, vuole stupire ma se non ha nel suo approccio anche la cura per la parte imprenditoriale del tutto non funzionerà la sua figura e neppure il suo locale. Barman e bartender… in che cosa differiscono queste figure professionali? Se differenziano in qualcosa! Il barman e il bartender sono la stessa cosa. Fanno in pratica lo stesso lavoro. Si occupano di servizio, di accoglienza, del banco, e poi di tutto il resto. Negli ultimi anni ha fatto capolino un’altra figura “professionale” il mixologist, espressione così in voga in virtù del nuovo modo di

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miscelare. Si preoccupa di più dell’alchimia perfetta fra i componenti e lo fa in modo quasi scientifico. L’equilibrio è la cosa più importante in un cocktail. Come si raggiunge? E soprattutto mantiene? L’equilibrio nella vita di tutti i giorni, nei conti come in un quello che bevi è fondamentale. I cocktail con 10/12 ingredienti non passeranno alla storia, quelli più richiesti al mondo saranno sempre quelli che hanno al massimo tre ingredienti. Oggi trovate alternative fatte per stupire con un equilibrio dato dalla scoperta dei contrasti: acidità, dolcezza, amaro, parte frizzante e sodata. Si gioca sulle temperature di servizio capaci di farti avere costanza nella fase del bere. Devi saper dosare: pensate al vermut ed entrate nell’ottica che va scelto in base alle sue caratteristiche, non certo a caso o per simpatia. Puoi bere 10 Negroni diversi fatti con altrettanti vermut. Devi saper abbinare la parte secca, quella dolce, devi ricreare al palato l’effetto umami, uno dei 5 gusti fondamentali percepiti dalle cellule recettrici. È lo stesso sul quale


Focus Bar

lavorano gli chef quando realizzano un piatto. È una scala di gusto che se fatta nel mondo giusto ti permette di sentire ogni sapore. Chi è Javier De Las Muelas? Ho avuto il piacere di conoscerlo in uno dei suoi cocktail bar. Chiesi a uno dei suoi barman come fare ad aprirne uno in Italia, mi disse che era impossibile e così decisi che si poteva fare, o per lo meno che potevo provarci e così contattai Javier. È così che abbiamo iniziato a parlare seriamente di far arrivare il Dry Martini anche in Italia: “Da solo faccio rumore con te sarebbe una sinfonia” è dopo questa mia dichiarazione che è cambiato il nostro approccio. È un rapporto il nostro che mette al centro la persona ancor prima degli aspetti burocratici o economici. È stato quel rapporto nato per caso a dare linfa vitale a un gruppo di lavoro che ha portato i Dry Martini nel mondo a essere cinque e non più quattro. Lui ha oltre 42 strutture nel mondo, non aveva bisogno di noi ma lo scossone arrivato da Sorrento, ha fatto crescere la sua voglia di superarsi. Che vuol dire lavorare all’interno del Dry Martini? Lavorare in un Dry Martini ti porta a

cambiare il tuo approccio al lavoro. Non sei più focalizzato sul bicchiere da riempire ma sul servizio. Non voglio nessuna star nel mio gruppo di lavoro, tutti fanno le pulizie del caso, tutti preparano i cocktail e l’unica vera rockstar è il cliente. Questa somiglianza di pensiero da subito mi ha legato a Javier. Noi abbiamo scelto lui e lui ha messo quella pietra nelle fondamenta capace di tenere in piedi tutti noi. Dovevamo essere un semplice Dry e invece al secondo appuntamento mi disse che saremmo stati un Dry Martini: saltai sulla sedia, sia io che il suo braccio destro! Il Dry Martini ha qualcosa di

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“religioso” nella sua storia, degli standard serrati, opere d’arte al posto delle bottigliere, in ottone, capaci di illuminare quell’altare che è poi il bancone, laddove i cocktail Martini prendono vita. Noi non abbiamo, come richiedono i loro standard, un bancone di 13 metri, e neppure tanti sgabelli, non siamo scuri, non abbiamo nulla di tutto questo, siamo di un bianco “candido” eppure la passione ha vinto su tutto e ha fatto si che si iniziasse a lavorare insieme. Parlate di “servizio del cocktail” non di semplice fare da bere, ci spieghi meglio. Il servizio: è quello il nostro segreto. Parte tutto da lì, va inteso come una vera e propria arte. L’esperienza inizia dal benvenuto alla porta, perché per servizio non intendiamo solo il bicchiere servito al tavolo, è come scelgo di farti accomodare, come ti spiego i cocktail, i consigli che riesco a darti e poi i nostri camerieri sono tutti barman, che a turno sono in sala o nel back office. Non abbiamo camerieri, nessuno, neanche il più bravo saprebbe spiegarti ciò che bevi come farebbe un barman. È una coccola che ti aspetti in un ristorante non in un “bar” dove si serve da bere. Per noi è come essere in una cucina stellata, non ci possono essere sbavature. Poi ci sono le regole da rispettare, ad esempio noi possiamo toccare la coppa del Dry solo una volta. Piccoli rituali che ci permettono di riservare la giusta attenzione a ogni particolare. Vale anche per servire il gin tonic: il nostro ghiaccio è un cilindro di 60 grammi trasparente e con una qualità incredibile. Avevate mai pensato che a fare la differenza nel vostro cocktail poteva essere il ghiaccio? La sua grandezza o forma? Quando realizza un cocktail quanto si sente scienziato e quanto alchimista? Non credo di essere né l’uno, né l’altro. Mi sento solo un bambino che vuole fare qualcosa di bello che possa piacere. Non lo faccio per me ma per gli altri, ecco perché ai miei ospiti faccio delle domande, per capire le loro preferenze,


che acidità usare. È una vera e propria alchimia quella che si instaura tra me e il cliente, se non fosse così sarei un semplice distributore di alcol. Avete la possibilità di mettere in carta quello che volete? Non abbiamo nessuna limitazione in fase di realizzazione della carta dei cocktail. Abbiamo semmai uno standard da rispettare, i bicchieri giusti da usare, come anche le essenze naturali distillate. Il 40% di quello che trovate in carta si trova in tutti i Dry Martini del mondo, il restante 60% lo faccio io con i prodotti italiani di Sorrento, che non potresti avere in Messico. È giusto conservare un legame

con il nostro territorio. Come è cambiato il cocktail bar e il modo di bere nel corso degli anni? È aumentata la conoscenza della materia anche grazie alle multinazionali del mondo spirit, come anche alle piccole distillerie. La liquoristica italiana ha avuto un grande fermento, negli anni ’80 si era legati per lo più al vino e alla birra poi è nato il concetto del “beverage”, finisce così l’era delle bevute statiche. Sapete qual è stata una delle ultime invenzioni in ambito beverage? Il Cosmopolitan, oggi diciamo che si sta tornando alle origini, ai tempi in cui si è fatta la storia. Abbiamo tante tecniche e ingredienti a disposizione, come in cucina, grazie alle aziende che hanno messo sul mercato dei prodotti performanti. Ecco perché oggi puoi fare infinite varianti di un Negroni, come quello aromatizzato ai frutti rossi, al pompelmo, al ginepro. Il suo team di lavoro di quante persone si compone e ogni quanto cambia la carta dei cocktail? Il team del Dry Martini si compone di ot-

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to persone e la carta cambia due volte in un anno, la stravolgiamo a metà stagione, usando fiori ed erbe che coltiviamo direttamente nel nostro giardino, come il basilico giapponese nato da un incrocio con la menta, lo shiso. Il suo cocktail qual è? E qual è invece quello più apprezzato dalla gente? Il mio è un Negroni aromatizzato con rosmarino e una spuma di Martini Fiero, poi c’è il Wasaby Martini, fatto con Vodka Grey Goose, del succo di limone, una parte di pasta di wasabi, Droplets fresh ginger e dello sciroppo di zucchero. Il più richiesto da noi è chiaramente il Dry Martini, ne abbiamo fatti 1068 in meno di 4 mesi anche per il rito che c’è dietro. Viene servito con un certificato, timbrato numericamente con il tuo nome e cognome e la data di quando lo hai bevuto. Quel numero sarà tuo per sempre. Al momento il locale è sulla terrazza del Majestic Palace di Sorrento… avrà prima o poi anche una collocazione interna alla struttura per permettere una maggiore stagionalità? Il Dry Martini non è mai chiuso. Siamo aperti tutto l’anno nella hall dell’albergo al piano zero, un bar collegato con la terrazza, parliamo di due corpi e di una sola anima. La terrazza si apre in base alle condizioni climatiche, l’altro non conosce sosta. Il “contatore” del Dry Martini è però unico per le due realtà. Un altro dei nuovi miti è il food pairing. Quanto è moda e quanto invece può esserci di sostanza? C’è tanta sostanza nel food pairing. Lavoro in tale direzione da anni, ho abituato i miei ospiti a mangiare il dessert o certi piatti salati con dei cocktail e poi anche in terrazza a ogni bevuta troverete delle tapas abbinate. Il Wasabi Martini è servito con un finto riccio di mare o una tartare di ricciola, in carta anche nel ristorante gastronomico al piano zero. Questo per sottolineare come il Dry Martini sia parte integrante del Don Geppi e viceversa. Vogliamo correre su più binari con il nostro unico treno. •


L’opinione

Tradizione o innovazione, un rapporto delicato di Stefano Bonini

In realtà tramandare i piatti tradizionali in cucina è giusto, adeguandoli però allo stile di vita contemporaneo Solitamente quando un ristorante presenta la propria cucina come “tradizione rivisitata” vengo percorso da una sorta di brivido. Spesso e volentieri, infatti, significa che piatti che sarebbero stati buoni e comprensibili, vengono trasformati… in qualcosa di indefinito. Sostanziose ricette alleggerite fino all’insapore, classiche cotture sostituite da roner e sacchetti sottovuoto per la bassa temperatura, gustose creme spumeggiate e nebulizzate al sifone, scomposizioni e impiattamenti da ambiziosi chef laddove le nonne, mai tanto rimpiante, usavano mestoli e fiamminghe. Senza tornare con la mente all’epocale discussione legata all’avvento della nouvelle cuisine, quello tra cucina tradizionale e innovativa è ormai da anni un acceso dibattitto che attraversa il mondo della ristorazione. Un tema classico che, con l’esplodere di show televisivi e il moltiplicarsi dei food blogger, ha raggiunto anche il grande pubblico, che non esita a dividersi tra “tradizionalisti” e “innovatori”. Una contrapposizione più che una relazione dunque, cosa che più di ogni altra invece dovrebbe esserci. Perché a ben vedere la tradizione altro non è che un’innovazione che si radica nel tempo e nell’uso comune. Giovanni Ballarini, presidente dell’Accademia della Cucina Italiana, ha dichiarato

qualche tempo fa che “la tradizione è ciò che ci hanno passato i nostri antenati ed è nostro dovere continuare a tramandarla, migliorandola e adeguandola allo stile di vita contemporaneo”. Del resto la cucina è uno specchio della società in cui viviamo, il cibo è elemento interpretativo e simbolico della cultura di un paese e dei suoi abitanti. L’innovazione è dunque la tradizione di domani, ma in un Paese come il nostro, fatto di grandi cucine regionali legate alle tradizioni locali, il concetto di innovazione è sempre stato visto con una certa diffidenza. L’enorme lavoro, non solo gastronomico ma anche culturale, fatto da Gualtiero Marchesi negli anni ’70 e ’80 ha spianato la strada ai cuochi contemporanei che però non sempre hanno

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saputo coglierne l’insegnamento e l’esempio. Non basta eliminare il burro dal ragù alla bolognese, sostituire il burro chiarificato per friggere la cotoletta alla milanese, scomporre la zuppa inglese o usare la panna per il tiramisù per essere innovativi. La linea che separa la rivisitazione della tradizione dalla libera reinterpretazione che ne snatura l’identità è sottile, e il più delle volte viene proditoriamente superata da coloro che non conoscono adeguatamente la tradizione stessa e, dunque, non sono in grado di gestirla e rispettarla. C’è chi la tradizione l’ha codificata e perfezionata attraverso le generazioni, tramandando ricette come la famiglia Santini, trentennale tre stelle Michelin, Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio. Ci sono le trattorie di paese che non hanno ascoltato il canto delle sirene dell’innovazione e che continuano a regalare momenti di nostalgia gastronomica che ci fanno ricordare chi eravamo. Non è necessario creare, inventare a tutti i costi soprattutto se non si hanno la basi adeguate. Massimo Bottura il giorno della sua prima incoronazione a Best Restaurant in the World dichiarò: “Guardiamo le tradizioni gastronomiche da un punto di vista critico e non nostalgico. Guardiamo al nostro passato in modo profondo e competente, sappiamo chi siamo, da dove veniamo, ma guardiamo al passato per ricostruirlo in forma nuova”. Purtroppo solo i fuoriclasse ce la fanno davvero e a loro dobbiamo affidarci perché la tradizione è la nostra fortuna, ma non deve essere anche la nostra pietra tombale. •



Focus Food

Il re della pasticceria “balla” da solo di Nadia Afragola

Lunga intervista ad Andrea Tortora, considerato il miglior pastry chef italiano dalla critica, ma non solo

Neve e sole

Il cremonese Andrea Tortora, è il migliore pastry chef italiano, lo dice la critica, lo dice la gente. È nato in una famiglia di pasticceri (con lui alla quarta generazione) e ha avuto tanti maestri capaci di indicargli la direzione, dicendogli dove guardare, ma non cosa vedere. Era il re dei dessert al St. Hubertus di San Cassiano, al Rosa Alpina del tre Stelle Michelin Norbert Niederkofler fino a pochi mesi fa e ora è al lavoro per aprire un posto tutto suo, a Salò, sul lago di Garda, insieme a Ilaria Zacchetti. Sarà un vero e proprio atelier, basato sul capitale umano e su un concetto di “pasticceria espressa”. Andrea non vuole rinnegare il percorso da pastry chef nella ristorazione e neppure la classica pasticceria da bancone. Farà ciò che gli viene meglio fare, i dessert al momento, i lievitati, ma anche i torroni e i mandorlati. Ciò che vuole far partire è un turismo gastronomico dessert oriented e per soddisfare le esigenze di quanti magari arriveranno da fuori, dal 2021 alla pasticceria si aggiungeranno 15 suite. Cos’è etico per lei? Prima di tutto il fattore umano. Oggi si può parlare di tantissime cose, però l’ingrediente fondamentale deve essere la persona, ancora prima il sorriso. Per quanto mi riguarda la parola etica è sinonimo di sottrazione. Quello che faccio nei miei piatti è proprio togliere il superfluo. Un piatto, un dolce è perfetto quando

Mandorle e lamponi

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non c’è più nulla da eliminare. Prendere il classico e sublimarlo con il massimo della materia prima. Etico è andare da Nord a Sud, sia per quanto riguarda la materia prima sia per la ricerca delle persone. L’ingrediente deve essere made in Italy: tutti mi conoscono per i lievitati, ecco, bene e allora imprescindibile per me sarà poter lavorare una buona arancia candita o la migliore vaniglia. È stato al fianco di Norbert Niederkofler per dieci anni. A Care’s i titoli di coda. L’etica è certamente parte della cucina di Norbert (Niederkofler) e con lui ho condiviso le mie idee e il mio percorso per oltre dieci anni. Dove la troveremo da domani? I giorni di Care’s sono stati gli ultimi con Norbert. Sentivo l’esigenza di seguire la mia strada. Un domani mi troverete sicuramente sulla sponda bresciana del


Andrea Tortora

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Focus Food Lago di Garda. Ci sarà un atelier dove potrò curare tutto l’anno anche i lievitati e dove proporrò la mia idea di pasticceria: espressa, all’italiana e fortemente connotata dal fattore umano, che per me significa scegliere un ingrediente non solo per il suo sapore, ma anche per l’azienda che c’è dietro. Lavoro molto con Agrimontana: i miei lievitati hanno i loro canditi e i loro prodotti. Non basta che sia buono solamente il cubetto di arancia in sé, è buono anche conoscere le persone che lo producono e vedere come si pongono. Questo è il fattore umano e ogni giorno mi sveglio e voglio continuare a sceglierli. Oltre ai macchinari e ai muri, le persone e la squadra fanno la differenza, altrimenti il pasticcere diventa un operaio, in una routine che porta alla perfezione ma anche alla stanchezza. Invece, la tecnologia sposata alle persone dà grandi risultati. Care’s è unico nel suo genere. Come fa a far arrivare e a unire chef da tutto il mondo? La convivialità nel mangiare è qualcosa che risale ai banchetti dell’antica Roma. Il cibo unisce le persone, ma penso che la mentalità sia cambiata. Non è più solo scegliere un ingrediente e farselo spedire in cucina, ma piuttosto andare a sceglierselo alla fonte. L’unione di intenti che abbiamo vissuto a Care’s, nasce

proprio dai rapporti tra le persone, che si trasformano poi in capitale umano. Queste connessioni vanno ad accomunare gli chef in base a una ideologia, che è quella secondo cui ognuno dovrebbe valorizzare il proprio territorio per quello che gli offre. Che dolce ha portato a Care’s per i saluti finali? Ho portato l’uovo di Tortora. È un prodotto tipicamente pasquale che ho regiForesta nera soffiata

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strato, dove la colomba diventa uovo. La forma è a tutta pancia e regolare, a differenza della classica colomba, disponibile nella variante con il cubetto di arancio, all’albicocca e limone e al gianduia. Come la tradizione italiana può farsi avanguardia e guardare avanti senza restare ancorati al passato? L’avanguardia è in parte fare un passo indietro e osservarsi. Oggi parliamo di etica, di stufe a legna, di stagione, ma per me non esiste altro modo di fare cucina. Fino a 25 anni non ho mai mangiato un carciofo fuori stagione, che non fosse dell’orto di mia nonna. Avanguardia vuol dire non inventare più niente, non innovare. Bisogna solo fermarsi e guardare quello che si è fatto. La tecnologia dà un apporto fondamentale al progresso ed è al servizio di tutti in cucina. Non credo al ritorno alla pietra, possiamo cuocere sulla brace, ma ogni preparazione ha la sua cottura specifica. C’è poi l’aspetto imprenditoriale da considerare. Mi alletta il fatto di avere a che fare oltre che con i dipendenti, anche con i nostri ospiti, a cui però non posso dare un panettone mezzo bruciato perché l’ho cotto in un forno a legna.


Quanto oggi un pasticcere deve essere imprenditore? A pari livello, e forse anche di più. Dobbiamo saper scegliere i nostri collaboratori, valorizzarli in base alle loro attitudini e farli crescere dove sono più carenti, selezionare la materia prima, controllare i costi e pagare i dipendenti. Non si può pensare di utilizzare il top delle materie prime per poi a fine mese non riuscire a pagare le fatture. Come sta Carletto, il lievito madre creato 16 anni fa insieme a nonno Vamor? Carletto sta bene. È tanto ormai che mi segue. È lui l’artefice di tutto. Il lievito naturale percepisce la tua energia (non prendetemi per matto, però!). È materia viva. Serve la stessa costanza e dedizione che dedichereste a un bambino e se lo trascuri non crescerà come vuoi tu o come dovrebbe. Con che cadenza si prende cura di lui? Ogni 3 ore e 45 minuti, per 4 volte al giorno. Il lievito ha bisogno di un’acidità molto sottile, un buon bilanciamento del lattato e acetico e il pH deve stare in un range molto limitato. Il rinfresco del lievito è un po’ un training da cui trae forza. È un procedimento che dà la

spinta al prodotto finito, e gli dona quella dose esatta di sofficità, di alveolatura, di profumi e aromi. Cosa rende speciali i suoi lievitati? Un insieme di fattori. Le attenzioni che dedico a Carletto… perché è come allevi un “figlio” che fa la differenza. Il rapporto con le aziende, Agrimontana in primis. Sono molto bravi e hanno quello che serve a me: una capacità spiccata nell’arrivare a un ottimo bilanciamento e usando quei semilavorati, noi dobbiamo possedere la stessa capacità nella lavorazione finale. Tutto viene prima testato, perché non c’è uno standard fisso, e ogni pacco di candito o barattolo di miele che sia, deve essere prima assaggiato. L’errore è parte del lavoro, in fondo abbiamo a che fare con una materia viva. Mi capita spesso di confrontarmi con i giapponesi, e il loro approccio è molto matematico, si basano su tabelle che seguono alla lettera. Ecco, quello che mi differenzia da loro è proprio l’uso dei sensi. Io annuso e assaggio, senza schemi, e per loro questa è una novità. Cosa vuol dire lavorare per un 3 stelle Michelin e con Norbert Niederkofler? Vuol dire avere dedizione, passione e

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tanta costanza. La pasticceria e i lievitati hanno lo stesso valore della cucina. Un pasto si apre con il pane e si chiude con un dolce, quindi sono il primo e l’ultimo momento di una cena. Possono aggiungere tanto, come anche togliere molto. Lavorare con Norbert (Niederkofler) non è stato facile, siamo stati fianco a fianco per 10 anni ed entrambi abbiamo due caratteri molto forti. Ma abbiamo sempre trovato un punto di incontro. Con lui ho raggiunto quell’intreccio perfetto tra obbedienza e libertà che mi ha reso creativo. Quando ho scelto di abbracciare la sua filosofia, lui mi ha dato la possibilità di esprimermi al 100%. Questo per me è stato fondamentale e non smetterò mai di ringraziarlo. Il suo è un addio o un arrivederci? Il mio è un arrivederci. Ci si incontra sempre due volte nella vita, dicono. Ma adesso i miei obiettivi sono altri. Non sono orientato verso le consulenze esterne, perché non credo in queste formule. Penso che le mani e la presenza di una persona facciano la differenza al giorno d’oggi. Preferisco fare al meglio il mio lavoro: lo faccio per una questione


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di gratificazione personale anche, sono molto preciso e voglio che i miei ospiti non restino mai delusi. Per me ogni sera vale come un campionato del mondo di pasticceria, devi essere impeccabile, ecco perché non credo che un ricettario in mano possa fare la differenza. Quella la faranno sempre le persone. Quando ha capito che questa sarebbe stata la tua strada? A 4 anni ho guardato mio nonno e ho detto: “Voglio fare il pasticcere”. Fin da bambino guardavo nonna e mamma cucinare. Ci hanno sempre fatto mettere le mani in pasta, ci sono cresciuto in mezzo alla farina. Occuparmi di cucina è stato un passaggio quasi naturale. Sperimentazione. In cucina e in pasticceria in che direzione stiamo andando? La sperimentazione va guardata con un occhio contemporaneo proiettato a oggi. Il “come una volta” non esiste più, perché presuppone la presenza delle persone di una volta, la conoscenza di una volta, la materia prima di una volta, il clima di una volta. Ogni giorno si fa “sperimentazione” cambiando l’approccio, il mood,

ma riprendendo in mano lo stesso sacco di farina e lo stesso zucchero. Si ricomincia da zero ogni giorno. Il mio prodotto finale non rimane mai costante, proprio perché lavoro prodotti naturali. Nella sperimentazione oggi è fondamentale la tecnologia, parlo di qualsiasi cosa che possa migliorare il prodotto senza che però intacchi in alcun modo il gusto. La tecnica non può essere fine a sé stessa, deve agevolare l’artigiano affinché possa fare del suo meglio nel minor tempo possibile, valorizzando l’ingrediente. E se il dolce non è più dolce? Non è un dolce. Io sono pasticcere, quindi per me lo zucchero è fondamentale. Sono d’accordo che venga moderato nella dose, ma non potrei mai fare un dolce salato. Sarebbe altro. Cosa vuole fare “da grande”? Voglio fare il pasticcere. La felicità che sapore ha? Ha un gusto acido e un po’ dolce. Un mio lievitato ben eseguito può rendere la giornata migliore. Quando si arriva al suo livello, dove si trova l’entusiasmo per spostare più in alto l’asticella e come si tengono a bada stress e aspettative che tutti hanno nei suoi confronti? Come dice J-Ax in una delle sue ultime canzoni: “La gente alla fine si innamora solo delle cose nuove”. Si aspettano sempre qualcosa di più. Il primo passo è non sentirsi mai arrivato, anche se guardando i riconoscimenti è difficile non ammetterlo. Mi sento ancora un giovane che deve crescere e che ha come parola d’ordine, la ricerca. Dopo 10 anni da Norbert ho scelto di cambiare e non è facile, perché la routine, se da un lato ti spegne, dall’altro ti conforta. Lasciare una squadra che conosce i tuoi sguardi e sa cosa vuoi e come lo vuoi fatto, non è facile. Il cambiamento però porta a

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un’evoluzione. Nel mio caso, la scalata che mi attende è più piana, meno ripida, ma resta pur sempre una scalata. Come sono i curriculum che le arrivano? I giovani sono meravigliosi. Faccio alta formazione a Tione di Trento. Il corso dura 2 anni ed entrano solo i migliori ragazzi degli alberghieri, e quelli selezionati tramite test di ingresso. Il numero di studenti è volutamente limitato a 20, ogni anno. Quello che vedo in quelle aule è energia. È fantastico poter guardare con gli occhi dell’esperienza questi giovani, senza criticarli, ma provando a plasmarli capendone le attitudini. A 18 anni hanno una sana voglia di leggerezza. Io al contrario ho sempre avuto un’impostazione molto rigida data dalla mia famiglia, dal lavoro e da me stesso. Il rigore è qualcosa che ti devi imporre. Quando lavorava in Francia non era Andrea Tortora, ma semplicemente “l’italiano”. Di quegli anni cosa rimane? Un ricordo meraviglioso, un’esperienza che rifarei domani, che mi ha segnato. Appena rientrato tendevo a prendere i metodi appresi e riproporli copia/incolla. Oggi ricordo il periodo francese con un sorriso e con un pizzico di malizia. •


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Michelangelo Mammoliti, la grammatica delle erbe di Alberto P. Schieppati

La passione dello chef per la cultura vegetale è in linea con le nuove domande del mercato. La sua ricerca, attenta e quasi ossessiva, della migliore qualità delle materie prime si abbina a un talento fuori del comune Le erbe sono moltissime. La chiave della loro importanza è proprio la varietà, dietro la quale si nascondono molteplici gusti e sapori. Per scoprirne anche solo una piccola parte dovremmo intraprendere un viaggio intorno al mondo. A noi non è stato ancora concesso di iniziarlo ma la giovane stella di casa a Guarene, nel Ristorante La Madernassa, Michelangelo Mammoliti, è partito ormai qualche decennio fa a fare il suo giro intorno al mondo che lo ha portato a fare dell’orto, della serra, del giardino, il suo habitat naturale. Bastano poche parole per racchiudere i concetti base che ruotano intorno ai piatti di Michelangelo. Precisamente sono tre: materie prime e tecnica. E quello che mangerete altro non è che una mappa, servita a tavola, che vi permetterà di ripercorrere le tappe che lo chef ha fatto per cercare nuovi sapori e odori. Per sperimentare nuovi ingredienti e accostamenti, tecniche e texture. Alla base c’è quasi sempre il territorio, il Roero, le Langhe con le sue piantagioni e le alchimie. La cultura del cibo non è mai stata così viva e così tanto discussa, tra tendenze e tradizioni, storie di migrazio-

ni, e sprechi da combattere. A Guarene sono due gli orti dai quali la cucina può attingere, adiacenti ai fuochi, ed estesi per un totale di 2 ettari e mezzo: “Coltivo tutta la parte vegetale che trovate in carta, comprese le verdure in ogni stagione – ci dice lo chef Michelangelo Mammoliti - e nell’orto trovate circa 90 specie diverse di vegetali per un totale di 70 prodotti diversi. Sono piante e semi che provengono soprattutto dall’Italia, ma anche dalla Thailandia, dal Perù, dal Messico, dal Vietnam, dal Sud America, e poi ancora da Brasile e Giappone. La maggior parte sono il souvenir che ho scelto di portare a casa una volta rientrato dai miei viaggi, in altri casi ho fatto “germogliare” le amicizie strette con i colleghi in ogni angolo del globo per

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Michelangelo Mammoliti

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Focus Food varietà differenti, tali da permettermi, da giugno a fine agosto, di coprire la quantità di cui ho bisogno per i pranzi e le cene del ristorante. Ho piantato 75.000 semi di carote, 30.000 di barbabietole, tutto in 7 varietà differenti. Come nasce questa passione per l’aspetto vegetale della cucina? Sono oltre 15 anni che studio le erbe, le verdure, ogni sorta di fiore commestibile. I miei nonni hanno sempre avuto orti, che poi in realtà erano dei giardini, o meglio dei giardini botanici. La loro passione si è ripercossa su di me e così ho deciso di proseguire

farmi spedire determinati semi che in Italia sarebbero impossibili da reperire”. Cosa avete seminato quest’anno? Per farle un elenco completo dovrebbe avere molto tempo a disposizione ma se vuole degli esempi posso dirle che ho piantato 450 piante di zucchine di sette

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quanto loro avevano iniziato, provando magari ad alzare un po’ l’asticella. Aver lavorato poi con grandi cuochi che possedevano un orto mi ha aiutato a capire quale tipo di approccio volessi avere alla cucina. Oggi avere accanto al ristorante anche un terreno da poter coltivare è una esigenza a livello personale, anche perché la maggior parte delle varietà che mi auto produco e che sono in carta non le troverei nei mercati di paese e neppure nella maggior parte dei fornitori dai quali mi fornisco. E poi amo stare in mezzo alla natura, penso sia il mio elemento e ho vivo in testa i giorni in cui da bambino andavo con mio padre a raccogliere Tarassaco. Ecco perché non ho mai smesso di tornare a casa dei miei ad Almese per dedicarmi alla raccolta delle erbe spontanee, come l’aglio orsino, o l’Erythronium, meglio conosciuto come dente di cane. Nella serra de La Madernassa, invece, cosa accade? Parliamo di 120 mq, all’interno dei quali autoproduco 250 varietà tra erbe e fiori commestibili, provenienti dal Sud est asiatico, dal Giappone, Cina, Italia, Francia, America e Perù. Insieme a me a prendersi cura della serra e dell’orto c’è anche Giorgio, lo chef del giardino. Sa di essere trendy, proprio come tutti quelli che oggi sono dediti al foraging? Ahahah, sono un autodidatta, raccolgo cibo selvatico per sfamare la mia curiosità più che altro, aspetto del mio approccio alla vita che mi porto dietro da tempo e che non lascio mai a casa, soprattutto quando parto per un lungo viaggio. La mia cucina, i piatti che compongono il menù sono lo specchio di quello che trovate nell’orto e nella serra e se tutto questo vuol dire essere trendy, allora sì, avete ragione, sono trendy! •



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“Obbligatorio sognare” Matias Perdomo si confessa

Matias Perdomo

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scenico diverso dai Navigli puntando sulla massima qualità ma pensando a pochi coperti. Da un lato, io e i soci eravamo senza rete ma abbiamo fatto analisi matematiche su fatturati e margini: chi mi conosce bene, sa che amo molto i numeri e quindi siamo partiti con un modello basato su otto persone che ora sono diventate una ventina, sette giorni su sette. Ti ha aiutato sicuramente un pubblico di fedeli. Hai tanti fan, tra clienti e critici. Me ne rendo conto, ma realmente non è stata la molla del nuovo progetto. Penso

La sala del Contraste

di Maurizio Bertera

Nella lunga chiacchierata con lo chef uruguaiano, emerge chiaramente la sua linea professionale, caratterizzata da stile contemporaneo e attenzione estrema al cliente. E anche Contraste, con il nuovo bistrot Exit, guarda al futuro Sono pochissimi i locali su cui i frequentatori del ‘circuito’ gourmet hanno un’opinione (quasi) unanime, nel senso che vi riconoscono una peculiarità che vada al di là della buona, talvolta ottima cucina. Il milanese Contraste è uno di questi, conquista perché in un ambiente originale e serviti come si deve, consente un’esperienza mai banale, di quelle che non si dimenticano nel giro di poche ore. E’ merito di Matias Perdomo, ‘ uno di noi’ – anche se lui giustamente si sente un uruguagio in viaggio perenne – che sta facendo un gran lavoro, ben assistito da due compagni di valore quali Thomas Piras e Simon Press, rispettivamente

Milano Exit, il chiosco di gastronomia urbana

italiano e argentino. Una piccola grande squadra che in quattro anni ha colto pienamente il segno, più di quanto si pensasse: in fondo, l’unica esperienza importante in carriera era stata il Pont de Fer. Ma evidentemente, coraggio e bravura sono ancora importanti. Matias, oggi Contraste è un meccanismo di successo tanto da aver generato un bistrot come Exit. Quando vi siete messi in campo, era questo il traguardo? Da tempo avevo in mente un posto nuovo, più esclusivo del Pont de Fer che mi ha dato tanto quanto gli ho dato, perché anche se non ero socio mi ha sempre coinvolto totalmente. Volevo un palco-

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che la gente apprezzi la mia passione per la cucina, il fatto che rischio e sbaglio. Non sono un ‘piacione’, come si dice in Italia, tanto è vero che non esco mai in sala ma per me è importante sentire le opinioni di chi ha mangiato, prima che escano dal locale. E’ il cliente al centro della scena, non deve essere al servizio dell’ego del cuoco o avere la fissazione di vedere la cucina: il buco nel muro per sbirciarvi dentro prima di sedersi ha questo significato. Bene, allora veniamo a Riflesso: il famoso degustazione che al posto dell’elenco dei piatti ha uno specchio. Dal sito di Contraste: “Nelle antiche osterie, per


Focus Food scegliere cosa mangiare, non si doveva guardare un lunghissimo menu. C’era invece chi ti accoglieva, ascoltava come stavi, ti faceva delle proposte e ti accompagnava con attenzione lungo la cena”. Geniale ma in definitiva è qualcosa di già visto. Eppure… Il concetto è lo stesso, non c’è dubbio: il nostro menù è il ponte tra il cliente e quanto siamo in grado di fare, in ogni servizio, seguendo le sue indicazioni ma anche la stagionalità e il piacere di qualche signature dish, che per me ci vuole sempre. Però, Contraste non è un’osteria ma un posto contemporaneo e l’intento resta far stare bene l’ospite sorprendendolo non solo con un piatto e un calice buoni. Da quando ho iniziato a fare il cuoco in Uruguay, mi è sempre piaciuto giocare sui piatti, in modo elegante e dissacrante al tempo stesso. Non c’è mai routine nella nostra cucina. E’ per questo che Contraste – al di là della trentina di coperti – non potrà mai avere un prezzo popolare. Ancora una volta, il meglio è riservato ai pochi.

La massima qualità costa, perché non puoi sbagliare verso il cliente. Il problema è un altro: come si riesce a tenerla con un sistema che impedisce alle persone di servizio di superare le 40 ore settimanali? Io sono di sinistra per vocazione, cresciuto nella dittatura, ma un conto è la teoria e un conto è la realtà della ristorazione. Poi, in italia, c’è la fissazione della trattoria popolare che non vuol dire cucina popolare ma è

Contraste, parla la cucina

Gnocchi patate alla brace

Buono, ma anche bello. Più che a un ristorante Contraste assomiglia a una casa. Stucchi alle pareti, soffitti alti, arredi di design (menzione speciale ai bellissimi lampadari rosso fiammante), tavoli ben distanziati e atmosfera piacevole. E non mancano i tocchi d’autore entrando dal cancelletto di via Meda al 2: il buco nel muro per spiare la cucina dall’ingresso e la statua. Il segreto di Matteo Pugliese, che fuoriesce dal muro con la testa e un braccio per imporre, con il dito sulle labbra, il silenzio. Perché poi parla la cucina. Due soli menu con sei passaggi – sostanzialmente i signature dish - a 120 euro e gli undici di Riflesso a 150 euro che in cinque anni è diventato uno dei degustazione più famosi in Italia. Fatto di sapori esplosivi, da scoprire dopo aver ammirato l’originalità, l’entusiasmo delle presentazioni. Non esercizi di stile, freddini o cool, ma espressione di sofisticata tecnica e abbinamenti coraggiosi: ovviamente qualcuno non convince del tutto ma la media è alta. Dalle rivisitazioni potenti come gli Spaghetti alle vongole o il Donuts alla bolognese alle provocazioni come Cozze, cacio e pepe o il Rognone di coniglio, anguilla e aceto. Patate e cipolla conquistano come Oca e latte bruciato. Lo spettacolare Pulp fiction è uno dei dolci che ha segnato gli ultimi anni, la geniale Ricchezza e povertà è la versione più gioiosa della cassoeula milanese : le monetine sono fatte con la parte grassa del maiale, il brodo è ricco e saporito, risultato della prolungata ebollizione di musetto, costine, lingua e verza, servito nel tipico salvadanaio a forma di porcellino. Si mettono le monetine e si gusta il piatto. Ma questa è solo una sintesi dell’esperienza, a ogni servizio ci sono una quarantina di frecce nella faretra di Contraste. E’ solo questione di rispondere bene alla domanda iniziale: cosa vuoi mangiare?

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legata semplicemente al basso costo. Se c’è un aspetto dove noi cuochi non siamo stati capaci di incidere, è snon aver fatto capire che la cultura è anche cucina. Invece si è creato lo chef-personaggio. Colpisce che tu sia uno dei maggiori difensori dell’autentica cucina italiana. Non ho fatto 15mila km per mettere il kimchi sulla lasagna! A parte la battuta, credo che per profondità e varietà sia unica al mondo. Il problema è che gli italiani non se ne rendono conto perché danno tutto per scontato, i prodotti e le ricette. Ma li capisco, visto che spesso ti accorgi delle cose belle solo quando le hai perse. La cucina italiana è un vero patrimonio del mondo: ovunque se cerchi emozione, convivialità, allegria pensi


Thomas Piras, una garanzia

subito all’Italia. Uno straniero come vede la Tradizione? Mi spiego con un piatto recente di Contraste, il Tuco che fa parte della tradizione di qualsiasi argentino o uruguaiano. Ricorda l’infanzia, i pranzi lunghi in famiglia. Se si fa qualche ricerca, si scopre però che la nostra pasta con il tuco è arrivata per mare insieme ai liguri che amavano cucinare un ragù col tocco di carne. Al di là che la riproponiamo con il nostro stile, la storia suggerisce che mai dobbiamo dare per scontata l’origine di un piatto, anche quando ci sembra indiscutibile, intoccabile. E pensare che qualcuno l’ha fatto prima di noi. Gli italiani litigano tanto sulla Tradizione, come mai?

Se al Contraste si sta benissimo, è anche merito dell’esperto Thomas Piras – 34enne milanese di origine sarda - che oltre a essere il socio di Perdomo e del bravo sous-chef Simon Press, è direttore di sala e capo sommelier, ruolo dove è assistito da Alessia Taffarel. SI sono conosciuti al Pont de Fer dove è partito il progetto. “Abbiamo maturato l’idea di aprire un posto nostro, un luogo che assomigliasse a noi, alla nostra concezione di accoglienza e di cucina”. E ovviamente di cantina. “Siamo arrivati a circa 1.400 etichette, con una carta molto trasversale – racconta Piras – dove la Francia occupa circa il 60 per cento, perché a mio avviso i loro vini si prestano maggiormente dei nostri per un percorso gastronomico come Riflesso. Si parte da 40 euro e si arriva a dove si desidera. Il pubblico, molto preparato, si divide a metà tra chi sceglie il pairing da 50 o 85 euro e chi preferisce le bottiglie”. Il servizio? “Ne abbiamo discusso tanto tra di noi, Thomas Piras sicuramente non mi piace il termine informale che vuole dire tutto e niente. Per me, un servizio deve essere preciso, sorridente, giovane non solo anagraficamente: vedo in giro troppi 25enni in sala che parlano da 40enni”. Peculiarità di Contraste: non ci sono gerarchie. Come in cucina non ci sono partite, in sala gli otto camerieri lavorano in una sala divisa in tre ranghi che vengono cambiati a ogni servizio. Non esistono commis e chef de rang fissi quindi, con vantaggi e svantaggi ma i primi per Piras prevalgono. “Tutti sono motivati, la crescita è continua, si crea un maggiore spirito di squadra”.

Trovo più strano che non si rifletta sul futuro, si insegua di più la stellina e non si ragioni sul fatto che altri, con tre prodotti, hanno creato un sistema espor-

Noodles

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tabile nel mondo. E attenzione al boom del delivery: vuol dire che pian piano non si cucinerà più in casa e a questo punto saranno i cuochi a dover portare avanti la cucina italiana, sia ad alto livello sia trovando delle formule come Exit che è internazionale, autorevole, accessibile se mangi un piatto ma pronto a darti una magnum di Champagne se la chiedi. Matias, il prossimo anno brinderemo ai tuoi primi venti anni in Italia e ai primi cinque anni di Contraste. Il tuo futuro? Un nuovo concetto per i prossimi venti. Voglio cambiare pelle, cercare una nuova creatività. Potrei dire una nuova tradizione, ma per ora ci fermiamo qui. E questo il nuovo sogno? Piuttosto il prossimo obiettivo. Poi sognare è obbligatorio, infatti resto perplesso quando vedo tanti giovani italiani che non lo fanno ma preferiscono avere un esempio, qualcuno da copiare o da raggiungere. Anche qui meglio guardarsi allo specchio. E dedicare tempo ai sogni. •


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Le Soste di Ulisse e Val di Mazara di Giovanna Moldenhauer

Il racconto di un viaggio in Sicilia nella Val di Mazara, avvenuto in occasione della 74 festa del Mandorlo in Fiore, ai margini del Parco Archeologico della Valle dei Templi. La partnership per questa edizione della festa popolare tra le Soste di Ulisse e il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, organizzatore della kermesse, è il primo tassello di un ampio

progetto dell’Associazione – presieduta dalla fine di novembre 2018 dallo chef biostellato Pino Cuttaia – per il triennio 2018-2020 che intende valorizzare le tre valli in cui si divide la Sicilia. Un primo evento quindi in cui le Soste di Ulisse e il Parco Archeologico hanno ospitato alcuni giornalisti perché raccontassero le vestigie doriche della valle dei Tempi e i sapori tipici, i profumi, la cucina in particolare della Val di Mazara (che riguarda le provincie di Agrigento, Palermo e Trapani, ndr). “La nostra Associazione – sottolinea Cuttaia – ha una grande importanza perché valorizza le eccellenze gastronomiche della nostra terra, della Tempio della Concordia (Ag)

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sua accoglienza, unendo ristoratori, albergatori, con cantine partner. Vogliamo esserne i narratori, ognuno rappresentando il proprio territorio, offrendo così ai nostri clienti una circumnavigazione, visto che ci chiamiamo Soste di Ulisse, del meglio della nostra isola. In questo modo riusciamo a comunicare non solo la cucina, ma anche la cultura, il paesaggio”. Al nostro arrivo in Sicilia siamo stati ospitati a pranzo dallo chef Damiano Ferraro, presso Capitolo Primo a Montallegro, all’interno del suo elegante Relais Briuccia. La parte dedicata alla ristorazione ha sede in uno scenografico giardino d’inverno, coperto da una cupola di vetro. Lo chef, ospitale ed estroso, ci ha deliziato con piatti dal sapore speciale tra cui le “Mille foglie di pesce spada con estratto di sedano verde, mayonnaise di pomodori datterini al limone, riccioli di calamari e composta di mandarino” servito con un Metodo Classico Brut Milazzo e poi con il “Cilindro di tonno su insalatina di cous cous aromatico riccioli di calamari al pepe nero” accompagnato da un Bianco d’Altura 2018 di Tenute Lombardo da uve Catarratto. L’ospitalità per tutto il press tour è stata assicurata da Villa Athena, albergo a 5 stelle, praticamente immerso nel cuore del Parco Archeologico della Valle dei Templi e sito a 200 metri dal Tempio della Concordia. Quella stessa sera una cena, con le mandorle fra gli ingredienti, ha proposto i piatti di 6 chef associati. Dopo un “Tonno, le sue uova e chutney di cipolle rosse” abbinato a un calice di Sciaranera Pinot Nero 2016 di Duca di Salaparuta, realizzato dallo chef Carmelo Trentacosti dell’Hotel Villa Igea di Palermo, abbiamo apprezzato, tra gli altri piatti, la creazione di Pino Cuttaia


Damiano Ferraro

Pino Cuttaia

“Filetto lisciato al carbone di mandorla” abbinato a Floramundi Cerasuolo di Vittoria 2017 di Donnafugata. La mattina seguente dopo un’erudita visita al Parco Archeologico, con i suoi maestosi templi dell’arte dorica del V secolo a.C., dove gli alberi fioriti del mandorlo aggiungevano

un tocco romantico, siamo stati portati da La Foresteria di Planeta, costruita 10 anni fa, con il suo tipico borgo di case rurali che si affacciano su una collina con una distesa di vigneti e uliveti, a cinque minuti dal mare di Menfi. Il pranzo, realizzato dallo chef residente Angelo Pumilia, a cui ha partecipato Francesca Planeta, è iniziato con l’antipasto “Cavolfiore, besciamelle di mandorle e tapenade” perfetto in abbinamento con l’Etna Bianco 2017, ottenuto da uve Carricante nella cantina etnea Feudo di Mezzo, è proseguito con altri piatti tra cui il “Trancio di ricciola e maionese di mandorla” con il Mamertino 2016, proveniente 17 generazioni, si integra dalla Tenuta di Capo perfettamente nel paeMilazzo. Nel corso del saggio. La visita ad Agripranzo abbiamo angento, la mattina seguenche degustato le tre te, ha previsto la sfilata espressioni di olio exdi tutti i gruppi folkloritra vergine d’oliva Dop stici nel centro storico. Val di Mazara ottenuti Per concludere il nostro per 2 tipologie dalviaggio abbiamo visitato le cultivar Biancolilla il Giardino della Kolymdenocciolato dal gusto Filetto lisciato al carbone di mandorla bethra, ombroso paradiso delicato e dolce, Nodi 5 ettari ai margini del cellara del Belice denocciolato delicato Parco archeologico della Valle dei Templi, ma più deciso e poi con un tradizionale gestito dal 1999 dal Fai. La vegetazione assemblaggio di Nocellara del Belice, alterna dei grandi olivi secolari a svariati Biancolilla e Cerasuola dal gusto fruttaagrumeti, dalle molte e rare varietà, a un to, piccante e intenso. In tutti e tre vi è giardino fiorente di piante mediterranee, una sensazione marina molto piacevole, sovrastato da un lato dai resti del tempio data dagli uliveti a breve distanza dalla dedicato a Castore e Polluce. Percorcosta. L’incontro è stato l’occasione per rendo i sentieri si percepivano i profumi conoscere come la famiglia, raccogliendo dagli agrumi a quelli delle zagare, delle così l’eredità delle generazioni di olivicolmandorle, accompagnati da una lieve rutori, ha implementato la sua produzione more di sottofondo dell’acqua che corre di olio EVO, piantando nel 2017 13 mila costante e che nel 480 a.C. costituiva una alberi di ulivo su 50 ettari, che si sono vasca, presto adattata a vivaio di pesci. aggiunti ai 100 già esistenti a CapparriQuesto viaggio ha messo in risalto il na, nei pressi di Menfi realizzando così pregio degli ingredienti che i fantasiosi una tutela del paesaggio dall’importante chef de Le Soste di Ulisse, dalla profesvalore ambientale. Il prosieguo della sionalità ineccepibile, impiegano per le giornata ci ha portato a visitare la cantina loro creazioni e la massima espressione Ulmo, luogo di suggestiva bellezza dove del concetto di ospitalità che crea nel l’edificio centrale costituito da un baglio visitatore una sorta di nostalgia del sud del ‘500, di proprietà della famiglia da della Sicilia. •

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Costa Azzurra, dalla spiaggia alla tavola di Arianna Augustoni

Itinerario alla scoperta dei luoghi da visitare e dei ristoranti in cui mangiare senza correre rischi Un weekend lungo, tra palme e bouganville e richiami di cicale, dove perdersi nei mercatini, abbronzarsi al sole sulle spiagge più glamour che hanno fatto la storia della “Bella vita”. Un viaggio di profumi e di colori per godersi una passeggiata a “pied dans l’eau” e, magari, rilassarsi tra una partita a petanque sotto i viali alberati dei piccoli borghi, assaporando un bicchiere di Pastis. Benvenuti in Costa Azzurra, con le sue mille sfumature di colori, con quel mare cristallino, in un clima che rimane mite per gran parte dell’anno e dove l’accoglienza è sempre unica. Un sogno a occhi aperti, alla scoperta di atmosfere eleganti e fantasticamente glamour. Il viaggio inizia in una delle località più raffinate e à la page, con quei tratti un po’ snob: Monte Carlo. Una città Stato resa famosa in tutto il mondo per il suo Circuito di Formula 1. Da visitare la Place du Casino, lusso e glamour si fondono tra le vie dello shopping del Carrè d’Or dove i fashionisti più accaniti non avranno che l’imbarazzo della scelta. Ai piedi della Place du Marchè comincia una salita che porta nel quartiere più tradizionale della città: Monaco Ville o Le Rocher, per raggiungere il Palais Princier. Poco oltre è possibile fermarsi a contemplare un panorama mozzafiato su tutta Monaco all’interno dei Jardins Saint Martin con il Museo Oceanografico. Numerosi sono i

Seppie con piselli del Royal Café (all’interno dell’hotel Royal Antibes); sotto: tonno scottato servito al ristorante Comptoir de la Touraque

giardini dove passeggiare e ammirare le bellezze della natura. Per gli appassionati di mostre, dal 6 luglio fino all’8 settembre, la mostra di Dalì al Grimaldi Forum. Per gli esperti gourmet, dopo una giornata da turisti, un tour gastronomico tra gli stellati: sette ambasciatori del gusto per un totale di 10 stelle Michelin. Da provare Le Grill, nuova stella Michelin, all’ottavo piano dell’Hôtel de Paris. La griglia è l’assoluta protagonista con proposte di carne e pesce realizzate sapientemente dell’Executive Chef Frank Cerutti, perfetto tanto per un pranzo che per una cena. Interessante anche la proposta dell’Hôtel Métropole, il ristorante bistellato Joël Robuchon. Qui la cucina dell’Executive Chef Christophe Cussac è a vista e regala

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Panoramica sul porto di Monaco

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Focus Food agli ospiti lo spettacolo della creazione dei piatti, connubio della migliore tradizione francese e italiana. Ma il nostro viaggio, dopo una giornata a Monaco continua alla volta di Antibes, luogo che ha dato ispirazione a Picasso, crocevia di creatività, tappa immancabile per rigenerare il cuore. Dalla cultura alle spiagge di Cap d’Antibes, le più glamour di tutta la zona per rilassarsi e concedersi ogni capriccio. Tappe d’obbligo la visita al castello con il Musée Picasso. Qui Pablo Picasso si rifugiò e trascorse molti anni della sua vita,

dopo l’ultimo conflitto mondiale. Grandi sale con dipinti che rappresentano fauni danzanti, capre, satiri e sirene, ma anche ceramiche e sculture. Sulla terrazza la macchia mediterranea crea nuove atmosfere e provoca emozioni. Lungo la passeggiata che costeggia il mare, si raggiungono le prime spiagge che, fuori stagione, sono delle palestre a cielo aperto, fino a raggiungere il porto nuovo per ammirare la scultura Le Nomad. Il giro esplorativo continua all’interno delle mura, il centro dinamico e più folkloristico con negozi, bistrot e

Veduta sulla città vecchia di Antibes; sotto: il piatto è un magret de canard du Comptoir del ristorante le Comptoir de la Touraque.

ristoranti caratteristici. Un giro tra le vie della cittadina è fondamentale per scovare i negozi più divertenti con prodotti tipici e piccole chicche di fashion, per consumare un drink o per un dolce

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parisienne o qualche coloratissimo macarons, ma anche per sgranocchiare una bella baguette a spiga, tipica della zona. Da annotare l’Atelier Jean Luc Pele. Ottima la cucina, tipicamente provenzale, con qualche idea mediterranea, sempre molto semplice e curata. Per un pranzo è perfetto Chez Jules, le Don Juan, mentre per una cena il ristorante Le Comptoir de la Tourraque, con piatti della tradizione francese, in alternativa Le Figuier de Saint-Esprit. Per dormire il centralissimo Royal Antibes, ideale per la famiglia, con appartamenti arredati, con vetrata direttamente sul mare e con la spiaggia privata, l’unica nel cuore della cittadina. Qui è ottima anche la cucina. Per chi ama il lusso e cerca il meglio l’Hotel du Cap Eden Roc, che domina Cap d’Antibes. Per molti, ma non per tutti. Prima di ripartire, un passaggio a Biot, capitale dei vetri artistici con la visita al museo Fernand Léger, accolti dallo spettacolo degli enormi tableau in ceramica, con un percorso di 600 opere, ceramiche, statue, quadri, arazzi. •


Nascono i nuovi pack e la Limited Edition gusto Paprika e Mango Segui PiĂš Gusto e @ninatastehunter

www.sancarlo.it


Focus Food

La primavera va in tavola a Il Fogolar

Un menù primaverile all’insegna dei migliori piatti tipici della tradizione gastronomica friulana La primavera è sbocciata anche a Il Fogolar, lo storico ristorante dell’hotel “Là di Moret”, insegna che costituisce una vera e propria garanzia di un’ospitalità calorosa e attenta e di un’offerta enogastronomica di straordinaria qualità. Una garanzia che a Il Fogolar si rinnova ogni giorno con una cucina che parla di continuità e ricerca, di gusto tra mare e terra, tra laguna e colline, tra fiumi, boschi, pascoli e le più incontaminate vallate carniche. Natura e territorio sono come sempre solida base e grande ispirazione per lo chef Stefano Basello, che studia ogni piatto partendo dalle migliori materie prime di stagione e ricercando ingredienti particolari, insieme antichi e contemporanei,

che lavorati con maestria sono in grado di regalare autentiche emozioni. La carta di primavera de Il Fogolar vede quindi tra i protagonisti le erbe spontanee tipiche del periodo, raccolte – così come era consuetudine nell’800 – durante le uscite all’alba a “caccia” di piante selvatiche commestibili: ne sono un esempio silene, luppolo e tarassaco, che conferiscono un gusto unico al Risotto alle erbe con polpettine d’agnello profumato con foglie di aglio orsino. Sua Maestà l’Asparago Friulano la fa da padrone e Stefano trasforma il classico us e sparc in una creazione originale nella quale ritroviamo tutti i capisaldi della sua cucina, dalla rispettosa rielaborazione della tradizione alla ricerca di prodotti artigianali d’eccellenza. Nasce così l’insalata di asparagi bianchi e verdi, erbe spontanee, lievito di birra in scaglie con crema di formaggio Asìno biologico e Pitina, un salume di carne ovina e suina, entrambi Presidi Slow Food, e rifinito

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con nevicata di uova provenienti da un vicino allevamento attento al benessere delle galline. Il menu anche stavolta spazia dai monti al mare, come il Friuli, ed ecco il Filetto di rombo ai profumi della nostra laguna con finocchietto selvatico e asparagi, alghe raccolte sulla spiaggia, condito con boreto, tipica salsa all’aceto con aglio bruciato e alloro che si abbina ai pesci “grassi” e servito come da tradizione con polenta. Ad accompagnare al meglio i piatti ecco i vini selezionati da Juri Cossa che ben promuove in primis etichette friulane, tra grandi nomi e piccole realtà anche fuori dal coro, in una costante ricerca che dà vita a una carta ricca e particolare. Anche in primavera Il Fogolar del La dì Moret offre agli ospiti un’esperienza sensoriale che non è semplicemente sentirsi a casa, ma vivere e condividere un’intera regione che, proprio davanti al “fogolar”, ha costruito la sua cultura genuina e orgogliosa. •


www.host.fieramilano.it


Focus Food

Una famiglia con l’Osteria nel Dna Nel maggio del 2018 Patrizia e i suoi figli prendono in gestione una cascina di Trezzano sul Naviglio, di proprietà della famiglia Salterio, aprendo di lì a qualche mese l’Osteria del Ponte. Anche questo luogo ha una storia millenaria alle spalle. Senz’altro nasce come castello intorno al 1380 ed è intorno a esso che si sviluppa tutto il borgo di Trezzano. Da testi storici risultano dei

passaggi (1480) di Ludovico Maria Sforza, detto Il Moro, che spesso e volentieri si sarebbe fermato in loco a pernottare quando transitava da queste parti per raggiungere le sue terre di caccia nel Pavese. Il ponte sul Naviglio Grande da cui trae il nome compare inoltre in alcuni riferimenti storici (1470-80) relativi al rivoluzionario progetto di Leonardo da Vinci grazie al quale il canale divenne “l’autostrada” da cui transitavano i marmi utilizzati per la costruzione del Duomo di Milano. Con l’inizio della gestione della famiglia Angelillo l’Osteria del Ponte ha subito una grande ristrutturazione, comunue rispettosa della storia millenaria del posto. Lo stile ricorda quello del Ronchettino, con mattoni a vista ripuliti

Risotto Carnaroli Riserva San Massimo alla milanese

dell’intonaco per far risaltare la struttura antica, mentre al piano superiore sono stati mantenuti, dove possibile, i pavimenti originali in cotto. L’arredamento provenzale e lo stile “shabby chic” rendono la cascina versatile e adatta a ogni tipo di occasione, dal pranzo in famiglia alla cena romantica di coppia, dal business meeting alla festa di compleanno o al matrimonio. @fusillolab

Dopo l’Antica Osteria di Ronchettino, la famiglia Angelillo raddoppia con l’Osteria del Ponte di Trezzano sul Naviglio Grande

@fusillolab

L’interno dell’Antica Osteria del Ponte

La famosa cotoletta: ”Orecchia d’elefante”

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Patrizia Meazza, Francesco e Alessia Angelillo

Meazza & Angelillo L’Antica Osteria di Ronchettino, alla periferia sud di Milano, e l’Osteria del Ponte, a Trezzano sul Naviglio, rappresentano la sintesi di una tradizione familiare che dal 2001 interpreta la milanesità a tavola. Il tutto si esprime attraverso una cucina tradizionale, semplice e mai banale, trasmessa di generazione in generazione e caratterizzata da ricette custodite gelosamente e tramandate di madre in figlia. Colonna portante dell’attività imprenditoriale, infatti, è Patrizia Meazza, anima dei due ristoranti e attento supervisore della loro proposta gastronomica. Ad affiancarla i due figli, Alessia e Francesco Angelillo, che da qualche anno hanno deciso di impegnarsi più attivamente nella gestione dei due locali, mantenendone la forte connotazione di milanesità, ma con un twist più giovanile sul menù e sulla carta dei vini. Quando, all’inizio degli anni Novanta, l’attività viene rilevata dalla famiglia Angelillo, quello che all’epoca era un bar-paninoteca viene trasformato in un locale di successo, teatro, negli anni Novanta, di spettacoli di cabaret a opera anche di artisti noti. Con l’entrata in scena di Patrizia, all’incirca 20 anni fa, la pittoresca cascina seicentesca alle porte di Gratosoglio cambia direzione e si trasforma in una tipica osteria milanese. Il menù cede il passo a una cucina “di casa”, che consta di piatti tradizionali come i mondeghili, la cassoeula, la trippa alla milanese con fagioli borlotti, i risotti e la cotoletta, che Patrizia aveva imparato a cucinare dalla mamma Wanda, una buona cuoca di casa, conosciuta da tutti come la “Sciura Meazza”.

I tavoli sono sparsi per le varie sale (Veranda, Camino, Mezzanino, Ringhiera, Stufa, Quadri), per una capienza massima di oltre 100 coperti, cui, tempo permettendo, se ne aggiungono altri 20-30 nella panoramica terrazza al piano superiore e altri 50/60 in cortile. Il “core” della cucina dell’Osteria del Ponte è sempre la tradizione gastronomica milanese con le storiche ricette di Patrizia Meazza. Executive Chef è il rodigino (di Rovigo) Simone Zanon, 34 anni, di cui 15 trascorsi ai fornelli. Dopo la scuola, si fa le ossa in Veneto, accumulando diverse esperienze come cuoco sul Lago di Garda, poi ad Abano Terme e infine

@fusillolab

L’esterno

a Venezia (Hotel Cipriani, Hotel Danieli, San Clemente Palace, Bistrot de Venice). Arriva quindi a Milano tre anni e mezzo fa, lavorando a Expo 2015 per il padiglione inglese come secondo chef. Subito dopo, nel dicembre del 2015 viene ingaggiato come primo chef per l’apertura del ristorante Darmas, a Monza. Due anni fa approda al Ronchettino, dove rimane per un anno e mezzo prima di prendere le redini della cucina dell’Osteria del Ponte. Qui Simone, oltre a proporre i grandi classici della tradizione milanese, esprime il suo estro creando alcuni fuori menù, ribattezzati Oltre il Ponte, che tradiscono le sue origini venete, come la parmigiana di biete e coste e lo gnocco ripieno di faraona servito con salsa “peverada” (realizzata con soppressa e interiora di pollo). I piatti cucinati da Zanon sono semplici, ma preparati nella maniera giusta e con i tempi giusti (gli gnocchi, ad esempio, necessitano di una preparazione di tre giorni), usando sempre prodotti di qualità, selezionati e ricercati, acquistati da piccoli fornitori. Le paste fresche sono autoprodotte, così come il pane, i grissini e i dolci, realizzati

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Lo Chef Simone Zanon

senza l’utilizzo di semilavorati. La sala è guidata da Enrico Nicifero, che è solito intrattenere spesso i clienti con interessanti racconti sulla storia del posto, di cui è un grande conoscitore. www.osteriadelponte.it •


Focus Food

Top Italian Chef, incontri stellari Dall’Umbria a Brescia, fino a Pozzuoli, si sono recentemente svolti cooking show interattivi, coordinati da Geggi Tagliafico, che hanno coinvolto chef professionisti di tutta Italia. Fra i presenti, Gennaro Esposito, con i pastry chef Carmine Di Donna e Salvatore Gabbiano

Gennaro Esposito

Lo chef pluristellato Gennaro Esposito, due stelle Michelin alla Torre del Saracino, Vico Equense (Na), è stato ospite della Cancelloni Food Service Spa di Magione (Pg). Cancelloni rappresenta un nome molto importante nel panorama imprenditoriale umbro e, in particolare, nell’universo delle aziende di catering, dove occupa una posizione di rilievo. Qui si è tenuto un incontro di gusto dal tema “Oltre il bianco, un ritorno ai fondamentali: applicazioni classiche e inedite”. L’evento è stato ideato e promosso da Top Italian Chef, il media network di Geggi Tagliafico, con l’importante partnership di Debic, marchio di riferimento per tutti i prodotti lattiero caseari. “Il cibo è un mezzo potente, importante. Un evento come quello di oggi ha permesso un confronto imprescindibile per la crescita individuale ed anche professionale, premessa di ogni nostro evento dedicato ai professioni-

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Carmine Di Donna

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Focus Food Salvatore Gabbiano

sti, che viene disegnato su misura per rispondere alle numerose richieste del mondo del food”, ha sottolineato Geggi Tagliafico, presidente di Top Italian Chef. Sono tanti i cooking-show interattivi e dinamici, organizzati da Geggi Tagliafi-

co, che hanno visto in prima fila grandi personaggi dell’alta ristorazione, con focus specifici dedicati alla pasticceria di eccellenza, con masterclass e degustazioni tecniche. Fondamentale, in questi casi, la disponibilità degli chef di cucina

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e dei chef patissier (pastry chef) coinvolti, che hanno consentito di organizzare incontri d’eccezione in tutta Italia. Al Mepa di Pozzuoli (Na), i pastry chef Carmine Di Donna e Salvatore Gabbiano si sono resi protagonisti ad aprile di un evento unico, in questo caso firmato Top Italian Pastry Chef, nel quale i professionisti hanno svelato nei dettagli tutti i segreti che stanno alla base della preparazione di grandi dolci per la ristorazione. A Brescia, nello stesso mese, nella splendida cornice del ristorante Carlo Magno, grandi chef stellati, tra cui Annie Feolde, Philippe Leveillé, Stefano Cerveni, con Ljubica Komlenic, Beppe Maffioli (chef resident del ristorante bresciano), Andrea Tortora, Davide Comaschi, Antonio Cuomo, Fabrizio Galla, Massimo Fezzardi, Simone Rodolfi, Natasa Markovic, sono stati protagonisti di uno straordinario dinner gourmet per una importante causa di beneficenza. Fra i presenti, anche il grande Iginio Massari. •


Approved Event


Focus Food

Val Brembana, non solo formaggi di Elio Ghisalberti

Un gustoso viaggio tra piccole ma “ghiotte” realtà locali, in cui poter assaggiare e degustare i prodotti tipici delle valli bergamasche E’ anche conosciuta come Valle dei Formaggi, e l’appellativo è certamente meritato perché se la bergamasca tutta vanta il record europeo dei formaggi che possono avvalersi della Dop (ben 9), la Val Brembana ne è il fiore all’occhiello perché può contare su una produzione casearia di lunghissima tradizione e grande valore. Due Dop esclusive, il Formai de Mut e l’ultimo arrivato Strachitunt Valtaleggio, e poi naturalmente il Bitto negli alpeggi confinanti con la Val Gerola di Sondrio e il Taleggio che trova la culla nella valle laterale omonima, anch’essi naturalmente a Dop. Si aggiungono altre chicche casearie di tutto rispetto come il Branzi e i due Presidi Slow Food dell’Agrì di Valorta

e dello Stracchino all’Antica delle Valli Orobiche. Un panorama che si completa con una vasta gamma di formaggi caprini prodotti nei piccoli caseifici annessi ai tanti piccoli allevamenti sorti negli ultimi anni. Ve ne sarebbe quindi da scrivere a profusione. Ma in questo giro tra alcune delle migliori realtà presenti in valle approfondiamo la conoscenza dello Strachitunt Valtaleggio, l’ultimo ad avere ottenuto la Dop. Può essere prodotto solo nella sua zona d’origine, la Val Taleggio. Appartiene alla grande famiglia degli stracchini ma il suo vero parente non è il Taleggio bensì il Gorgonzola. Si tratta infatti di un formaggio erborinato naturale, ottenuto cioè senza aggiunta di muffe ma solo per il loro sviluppo spontaneo in funzione della tecnica di produzione che prevede la sovrapposizione di due cagliate, della sera e della mattina successiva. Nello Strachitunt l’erborinatura non è mai uniforme o standard ma possono variare da forma a forma. Una caratteristica (che all’occhio profano può apparire un difetto) che è

Così si presenta d’estate l’agriturimo Ferdy a Lenna

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dovuta alla naturalità del procedimento di lavorazione che non prevede alcuna aggiunta del “penicillum”, altrimenti responsabile della formazione della muffa in altri famosi erborinati come il Gorgonzola. La maturazione ottimale deve avvenire in un periodo minimo di 75/80 giorni, e può essere protratta anche fino a 150/180 giorni per avere un prodotto molto saporito. Il prodotto finale ha forma cilindrica, facce piane, diametro del piatto: da 22 a 25 cm, altezza da 10 a 14 cm, peso delle forme mature intorno ai 5 kg, crosta rugosa, di colore giallognolo, tendente al grigio nel prodotto stagionato, pasta compatta ma con striature cremose, fondente sotto la crosta; è caratterizzata da diffuse venature di colore verde-bluastro più o meno pronunciate a seconda del periodo dell’anno di produzione; occhiatura piccola e irregolare, ma non particolarmente fitta. Il gusto, straordinariamente buono, tra il dolce e il piccante (anche intenso, quando lo sviluppo del “blu” è consistente) è molto persistente. A oggi è attiva una sola re-


Massimo Gherardi e Cristina Pievani

altà produttiva, la Cooperativa Agricola Sant’Antonio in frazione Reggetto del comune di Vedeseta (Bg); tel. 0345/47467. In alta Val Brembana, ai piani di Salvino di Lenna, vi è un agriturismo che rappresenta la quintessenza della produzione agroalimentare e dell’ospitalità, unendo, in una visione illuminata, tradizione e innovazione, impresa e fondamenti culturali. Porta il nome di colui che l’ha creato dal nulla, Ferdy Quarteroni. Alla cascina delle origini, che ancora oggi ospita le sale adibite alla ristorazione, si sono aggiunte le stalle, quindi l’edificio che ospita le stanze (rifinite ciascuna con legno diverso), il centro benessere, gli spazi dedicati all’accoglienza. La passione di Ferdy per l’allevamento del bestiame tipico della valle (bovini di razza Bruna Alpina e capre di razza Orobica) si è avvalsa anche degli spazi estivi in Val d’Inferno sopra Ornica, dove l’ospitalità agrituristica diventa complementare d’estate. Dalle materie prime ecco nascere i prodotti cosmetici a base di latte di capra e fiori ed erbe officinali e, con queste ultime, gli amari e i liquori, oltre che, naturalmente, i formaggi e i salumi serviti

a tavola. In apparenza sembrava che a evolversi meno, nell’offerta agrituristica targata Ferdy, fosse stato, negli anni, proprio il servizio ristorazione. Entrando nel dettaglio di quel che arriva in tavola, si percepisce che anche qui il cambio di passo c’è stato, eccome. Certo non nella filosofia di base, bensì nella qualità dei singoli prodotti di casa, protagonisti nel menu degustazione (costa 32 euro bevande escluse). Percorso completato? Assolutamente no. Grazie anche all’entrata in scena dei giovani di casa, Alice e Nicolò, il progetto va avanti senza sosta. A breve sarà pronta la nuova struttura a fianco del nucleo originale. Ospiterà il caseificio, le celle di affinamento e stagionatura, l’aula didattica, lo show room e il negozio. All’inaugurazione si brinderà anche con i cocktail studiati e realizzati da Nicolò. L’agriturismo Ferdy è in località Fienili ai Piani di Scalvino di Lenna, sempre aperto (tel. 0345.82235, www.agriturismoferdy.com). E’ fuori dai circuiti classici dei vacanzieri montani, ma l’altopiano dei due Miragolo, San Marco a San Salvatore, sopra Zogno sui 1000 metri di quota, è un luogo bel-

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lissimo. Se i prati e i boschi – a tratti di faggio, con le loro sfumature di colore autunnale – sono rimasti ben curati e quindi rigogliosi lo si deve a un manipolo di agricoltori che tenacemente hanno proseguito il lavoro degli avi. Qualcuno non se n’è mai andato e ora magari comincia ad avere un’età non più verde come i pascoli. Qualcun altro, pochissimi in verità, è tornato a occuparsene per scelta dopo avere avuto altre esperienze lavorative, altrove naturalmente perché quassù di alternative non ve ne sono. Tra questi il capostipite è Massimo Gherardi, da una ventina d’anni titolare dell’omonima azienda agricola con allevamento di bovini da latte e da carne, suini da ingrasso, caseificio. Ristrutturata la cascina paterna, e costruita la prima piccola stalla, ha lasciato il lavoro in segheria per ritornare sull’altopiano a lavorare duro ma a godere di quel panorama sulle Prealpi Orobiche (dall’Alben al Menna) che ogni volta gli dispiaceva lasciare per tuffarsi nel caos del fondovalle. Per tirare avanti a seconda della stagione diventa contadino, allevatore, casaro, norcino, boscaiolo. Lo stracchino è il simbolo della produzione casearia che avviene rigorosamente a latte crudo e secondo i sistemi tradizionali con tanto di caldaia in rame. Della famiglia fanno parte il burro, di panna d’affioramento, le formaggelle, i formaggi più grandi a lunga stagionatura compreso l’ultimo arrivato, il grana. Dai maiali allevati in ampi recinti tenuti costantemente puliti – molto raro vederne di così lindi – derivano salami di varie Italo Della Fara con i suoi prodotti di montagna ed il nipote Lorenzo


Focus Food All’agriturismo Ferdy a Lenna anche i cocktail selvaggi preparati da Nicolo Quarteroni

Massimo Gherardi intento nell’insacco dei salami

dimensioni (compreso quello record insaccato nella “manega”), pancetta, coppa, testina, cotechini sia da consumare crudi sia cotti. Il punto vendita è annesso all’azienda agricola che è in località Miragolo San Salvatore in comune di Zogno (sulla strada che porta alla Corna di Algua); tel.0345.69525 oppure 347.7141075. La sede legale è in quel di San Giovanni Bianco, accanto allo scorrere del Brembo. Ma per trovare Italo Della Fara, protagonista dell’azienda agricola che porta il suo cognome, bisogna salire parecchio più su, fino agli 800 e passa metri di quota oltre la frazione Grumo e poco prima di Strachitunt Valtaleggio

raggiungere Bosco Fuori. Percorso un breve sentiero che parte dalla chiesetta di San Rocco (molto bella, merita la sosta), ecco che tra il bosco appare una baita attorniata da coltivazioni varie, talune decisamente non usuali, dal buon enrico (lo spinacio selvatico o paruch in dialetto) all’aglio orsino, dal rabarbaro in varie tipologie alla silene (cornagì). Più facilmente riconoscibili la coltivazione di fragole e il meleto, destinato tuttavia a essere sostituito perché troppo “convenzionale”. Già perché sin dall’inizio dell’attività Italo Della Fara aveva ben chiaro che solo producendo qualcosa di veramente originale e legato al territorio avrebbe potuto raggiungere la sostenibilità anche economica. Un ragionamento che non fa una grinza, frutto del buonsenso e di una visione imprenditoriale mutuata dalla precedente e pluriennale esperienza lavorativa (con un socio era arrivato ad avere una trentina di dipendenti in un’azienda di punterie metalliche). L’incontro quasi fortuito con tecnici friulani che stavano sperimentando la coltivazione di erbe spontanee è stato rilevatore. Perché non provarci lassù, nel prato circondato dal bosco acquistato pochi anni prima? La selezione e

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la riproduzione dei semi dai selvatici già presenti nel territorio ha richiesto alcuni anni. Nel 2011 sono partite le semine. L’anno dopo la raccolta e la trasformazione affidata a un laboratorio valtellinese. Trattandosi di un’attività innovativa, sia dal punto di vista agricolo sia da quello dell’elaborazione dei prodotti, c’è voluto del tempo per trovare i giusti equilibri. Raccolto dopo raccolto, lavorazione dopo lavorazione, i miglioramenti sono stati tangibili. E ora nei prodotti si percepisce un mix di qualità e identità. Le salse da utilizzare come condimento oppure da servire sui crostini sono la specialità di casa: sono a base di paruch, di aglio orsino, di cornagì, miscelate con noci, porri, peperoncino e altro. Il rabarbaro candito in sciroppo o in confettura accompagna egregiamente i formaggi; oppure in infuso con erbe aromatiche diventa una bibita rinfrescante. Completano la gamma le confetture extra, di fragole, sambuco, rosa canina. E la crema di castagne selvatiche, buonissima. Tutte le info, compresi i punti vendita dove è possibile acquistare i prodotti su www.dellafara.it (tel.346.1821823). • Con il contributo di Regione Lombardia fondo Valli Prealpine


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Focus Alberghi

Castello di Casole Un’altra icona del lusso

Belmond Castello di Casole, località Querceto - Casole d’Elsa (Si)

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di Gualtiero Spotti

Gruppo Belmond continua nelle acquisizioni di alto profilo: protagonista questa volta è un country resort sulle colline toscane. Un simbolo di stile e ospitalità al top, confortato da un’offerta bar e ristorazione di livello Castello di Casole è l’ultimo arrivato nella grande famiglia internazionale di alberghi Belmond, www.belmond.com, che già in Italia mette in fila indirizzi a dir poco iconici come il Cipriani a Venezia, il Timeo a Taormina e lo Splendido a Portofino. Questo nuovo ingresso però ha i contorni della novità anche perché si tratta di una sorta di country resort, appoggiato sulle dolci colline toscane che circondano località quali San Gimignano, Volterra e Radicondoli, a un tiro di schioppo da Siena ma totalmente immerso nella natura. La proprietà qui è davvero immensa con i suoi 1700 ettari e permette di spaziare con lo sguardo fino

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Focus Alberghi Daniele Sera

ai margini della vicina Casole d’Elsa, in un orizzonte placido e rilassante. Ma se le caratteristiche dei borghi o casali in giro per la regione offrono spesso questi scenari, pochi altri in realtà sanno mettere

insieme comfort e accoglienza country-chic decisamente vincenti, con una serie di suite/ appartamenti firmate da Alessandro Mendini (l’architetto e designer milanese scomparso nel febbraio di quest’anno), la piccola e deliziosa Essere Spa ospitata nella vecchia cantina e ben due cucine, quella italiana rassicurante ma al tempo capace di mostrare un suo lato creativo nel ristorante Tosca e quella più agile e disimpegnata del Cip’s, per una firma presa a prestito dal Cipriani veneziano dove si passa, in questo caso, dalle pizze creative (come quella imperdibile con gamberi di Mazara del Vallo) ai classici della tradizione italiana. Castello di Casole diventa così una destinazione perfetta per il visitatore, perlopiù straniero, che decide di vivere in maniera più approfondita la Toscana

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profonda, concedendosi una piacevole full immersion senza tralasciare nulla dalla cultura alla gastronomia, passando attraverso il benessere, e magari visitando alcuni casali di produttori non troppo distanti, visto che il team dell’albergo, all’occorrenza, propone visite al Podere Paugnano, dove si produce formaggio pecorino, e all’Agriturismo Erta dove


Lo Chef Cozzolino arriva a Fiesole Alessandro Cozzolino da qualche setAlessandro Cozzolino timana è il nuovo executive chef del ristorante La Loggia, ospitato all’interno di Villa San Michele a Fiesole, in una delle storiche proprietà italiane del gruppo di hotel a firma Belmond. Ed è un segnale importante del cambio di passo che già la catena alberghiera aveva messo in atto affidando qualche stagione addietro a Davide Bisetto la cucina del ristorante del Cipriani di Venezia. Giovane e intraprendente, con recenti esperienze nel sudest asiatico, Cozzolino tradisce le sue origini mediterranee non solo nel cognome ma soprattutto nel menù, che ha saputo impostare con giudizio e un pizzico di estro per il suo esordio sulle colline toscane con vista sulla cupola del Brunelleschi. Il Piccione, non manca, certo, ma con litchy e fiori di loto, così come i Pici (ai ricci di mare) e gli Gnudi fiorentini (ma con astice al lime), per una carrellata di sensazioni locali che si mescolano a quelle di altre culture gastronomiche. In mezzo anche molto Mediterraneo e buon senso italico, che abbraccia le eccellenze dello stivale tra prodotti e piatti tipici, con il Riso Riserva San Massimo e gli Spaghetti alla puttanesca. Guizzi divertenti accompagnati dalle scelte enologiche (e la cantina offre bottiglie di gran pregio) del solerte Andrea Petraroli.

invece spiccano le bottiglie di ottimi vini rossi. Una perfetta deviazione in stile rurale, per vivere l’esperienza con le diverse realtà produttive e decisamente sanguigne del territorio. Se però si vuole uscire dai cliché dell’ambiente perfetto in salsa toscana, vale la pena sostare negli appartamenti a firma Mendini, per il lo-

ro intrinseco valore artistico, certo, ma anche perché si tratta di poche suite che sono staccati dal corpo principale della proprietà e lasciano spazio a una maggiore riservatezza agli ospiti. Come detto, il comparto gastronomico a Casole riveste un’importanza particolare, con in primo piano la figura di Daniele

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Sera, cuoco di origini toscane, di grande esperienza anche internazionale e che lavora nella tenuta sin del 2012. Con un approccio stilistico ben preciso, dove il gesto va di pari passo con la riconoscibilità del sapore e della materia prima da servire in tavola. Poco importa che si passi con agilità dal pesce alla cacciagione o alle verdure che arrivano dagli orti vicini. La sincerità è forse il tratto distintivo dei piatti che escono dalla cucina, ed è la scelta vincente considerando la clientela internazionale piuttosto varia ma sempre esigente che si spinge fino a Castello di Casole. Una tenuta che, oltretutto, ha una storia lunga e appassionante da raccontare, che passa attraverso la proprietà della nobile famiglia senese dei Barbagli, ma vede anche il passaggio della famiglia Visconti, quella del celebre regista Luchino. Cui non a caso è dedicato il bar del resort, un angolo vivace che funge da sosta informale per chi vuole stuzzicare al tavolo ma anche per chi vuole gustare un cocktail sapientemente confezionato al banco. Inutile dire che i classici italiani vanno per la maggiore e sono anche quelli che riscuotono maggiore successo. Dagli Americani, rivisti in diverse versioni, al Negroni, sbagliato o giusto che sia…•


Focus Alberghi

Hotel Torre di Cala Piccola location di riservatezza Un albergo di assoluta tranquillità, situato nella parte più esclusiva dell’Argentario, richiama clientela internazionale di livello

di Claudio Zeni In Maremma ci sono luoghi dal grande fascino che trasmettono emozioni anche solo a guardarli in foto, ma se hai la fortuna di visitarli di persona ecco allora che il fascino si trasforma in “saudade”, che tradotto significa voglia di tornarci. Uno di questi luoghi è l’Hotel Torre di Cala Piccola, splendida struttura ubicata sulla parte più esclusiva dell’Argentario, un complesso abilmente diretto da Stefania Marconi costruito a picco sul mare attorno a una torre spagnola risalente al

1600 da cui ha preso il nome, circondato da un panorama unico e suggestivo, che spazia sul Mar Mediterraneo e sull’Isola del Giglio. Un panorama che negli anni ‘60 conquistò Liz Taylor e Richard Burton e molti altri personaggi di spicco della politica e dello spettacolo che qui soggiornarono, facendo di Cala Piccola la meta ambita per viaggiatori provenienti da tutto il mondo alla ricerca di un’esperienza fuori dal comune più che di una semplice vacanza. Furono Carlo Bertuzzi e Nina Benini

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nel 1957 ad acquistare Cala Piccola e a trasformarla in uno dei Club Hotel più chic d’Europa, ancora oggi meta ambita per i turisti del terzo millennio amanti della ‘grande bellezza italica’ e di un’ospitalità improntata su professionalità e cordialità. L’Hotel è costituito da diverse villette in pietra immerse in un tranquillo giardino fiorito, in cui sono state ricavate cinquantacinque camere, molte delle quali con balcone e vista sul mare, collegate tra loro da scalette e camminamenti. Camere, che una volta prenotate vi sa-


ranno assegnate da parte dello staff per posizione e caratteristiche secondo le vostre personali esigenze e preferenze, tutte arredate in modo diverso ma elegante, disponibili in varie tipologie al fine di incontrare i gusti di tutti. La piscina, a sfioro d’acqua dolce con affaccio panoramico a picco sul mare, è un piacere riservato agli ospiti, mentre a 800 metri dall’albergo, sul litorale roccioso, si trova la Caletta con stabilimento balneare dell’Hotel Torre di Cala Piccola, dove ogni ospite ha sempre un posto riservato. “Chi soggiorna presso il nostro hotel lo fa per ripararsi dalla folla e riscoprire quella riservatezza discreta e quella tranquillità totale che ormai sembrano cose d’altri tempi – sottolinea la direttrice Stefania Marconi – un tramonto indimenticabile, i profumi mediterranei nell’aria e un cocktail preparato alla per-

fezione dal nostro barman sono emozioni che anticipano i piaceri della tavola, dove il nostro chef Francesco Carrieri ha una precisa missione, quella di rendere felici i nostri clienti”. Ingredienti di primissima scelta, cucina sana oltre che buona e una carta sempre diversa che rifugge la monotonia e incoraggia la scoperta e la sperimentazione sono i must di Carrieri, dove la tradizione del ristorante la ‘Torre d’Argento’ è una radice da cui non ci si può allontanare. “La Toscana influenza a 360° il nostro chef perché ricca di tutto il meglio della cucina italiana – evidenzia Stefania Marconi – grandi vini e grandi oli, carni e pesci eccezionali, tutti a km 0 vero”. Il piatto signature del risto-

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rante è la zuppa di pesce toscana “Il caldaro Torre d’Argento”, dal nome del ristorante di Torre di Cala Piccola, che prevede scampi, gamberi, calamari, cozze, vongole seppie, polpo e altro pescato del giorno. È un piatto di antica tradizione, tipico dei pescatori dell’Argentario, che lo preparavano e mangiavano in navigazione durante la cala delle reti. Prende il nome dalla grossa pentola nella quale si cucinava al momento, spesso direttamente sugli scogli, il pescato fresco di giornata. “La clientela del ristorante è prevalentemente internazionale ed è fatta per l’80% dai clienti dell’hotel e per il 20% da esterni – conclude Stefania Marconi – ma l’intento è quello di aprirsi sempre più al territorio che ha a disposizione un ristorante davvero speciale, dove gustare piatti nel segno di tradizione e innovazione”. Originale, infine, l’idea del picnic per andare in mare, con la barca dell’hotel, sistemato in borse frigo con il logo di Torre di Cala Piccola, che sono anche in vendita, mentre la sera Carrieri è fiero della sua griglia di design, altamente tecnologica, sulla quale si diletta di cucinare carne e pesce per i clienti che cenano sotto le stelle. •


Focus Bar

Fonte Plose, nasce il nuovo succo Bio Dall’esperienza dell’azienda altoatesina nasce un succo di pomodoro 100% biologico e 100% italiano, ideale per aperitivi, cocktail e spezza-fame di “genuina qualità” A pochi mesi dal rinnovo di etichetta di Acqua Plose per la ristorazione, Fonte Plose si rivolge ai professionisti dell’Horeca annunciando l’ingresso di una nuova referenza della linea BioPlose: il succo di pomodoro biologico. Una new entry che condivide con gli altri nettari e succhi della linea la peculiare capacità di esprimere, come avviene per l’acqua minerale che rappresenta l’anima dell’azienda, il gusto e le caratteristiche organolettiche delle materie prime utilizzate. Il succo di pomodoro BioPlose si caratterizza per una tale semplicità e genuinità che ne fanno un’eccellenza nel suo genere, ottenuto da 100% succo di pomodoro italiano biologico, un pizzico di sale e, ovviamente, senza l’aggiunta di alcun conservante né colorante. Bevanda ricca di vitamine e sali minerali, ipocalorica e conosciuta per la sua funzione depurativa e di potente antiossidante, il succo di pomodoro è sempre più richiesto e apprezzato nel fuori casa. La sua introduzione da parte di Fonte Plose è volta a soddisfare questa crescente domanda, offrendo ai bar e ai locali un prodotto di alta qualità, che esprima in pieno le sue proprietà organolettiche e che valorizzi al meglio la sua versatilità di consumo. Il succo di pomodoro, infatti, trova spazio in diverse forme e può essere propo-

sto in ogni momento della giornata, ad esempio come aperitivo analcolico o in miscelazione, come base di un classico Bloody Mary o nei suoi twist. La versione di questo succo firmato BioPlose si presta bene in mixology come ingrediente con il quale barmen e bartender possono personalizzare le proprie creazioni, dotandole di un inconfondibile gusto mediterraneo. Allo stesso tempo è anche una bevanda in grado di conquistarsi l’attenzione e l’apprezzamento di coloro che desiderano un succo genuino e dal sapore naturale. Il succo di pomodoro BioPlose, imbottigliato nella tradizionale bottiglia in vetro da 20 cl che contraddistingue la linea e che ne garantisce la miglior conservazione, è un prodotto estremante versatile ed è già inserito nel

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canale Horeca (bar, pasticcerie e gelaterie). Sarà a breve disponibile anche al consumatore presso negozi specializzati. La realizzazione di un succo di pomodoro con tali caratteristiche è un ulteriore segnale della costante attenzione che Fonte Plose riserva per il canale Horeca e nell’inserimento di prodotti che siano espressione dei valori dell’azienda. Valori

quali la ricerca di materie prime di qualità e la conservazione della loro genuinità durante la lavorazione, che distinguono tutta la linea BioPlose, ma anche il rispetto e la riscoperta della tradizione che porta Fonte Plose a rivisitare le ricette in modo creativo. È questo, ad esempio, il caso della linea delle bibite Plose Vintage, comprendente Limonata, Chinotto,

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Acqua Tonica, Gassosa, Aranciata, Spuma, Ginger, Cedrata, Pompelmo, Cola, Limo&Cola. Tutte le bibite Plose Vintage sono prive di coloranti artificiali e sono disponibili nei formati da 1 litro e 0,25 litri, con due eccezioni: la Cola “Mirabolante”, unica nel suo genere, frizzante e leggera, solo nel formato da 0,25 litri; la Limo&Cola “Mirabolante”, l’energia della cola e l’asprezza del limone abbinati, solo nel formato da 1 litro. Non possiamo, infine, non fare una citazione per due fra le più gettonate fra queste bibite: la Limonata e l’Acqua Tonica. La Limonata Plose Vintage “Vivace”, è una tra le bibite più conosciute, tramandate di generazione in generazione. Nell’interpretazione di Fonte Plose, per offrire un prodotto buono e di qualità allo stesso tempo, la ricetta originale sposa i migliori limoni 100% italiani. L’Acqua Tonica Plose Vintage “Corroborante”, invece, è un’acqua tonica di alta qualità, capace di imprimere carattere ai cocktail ma anche ideale da sola per un aperitivo, per soddisfare chi ama i gusti decisi e un po’ amari. Una serie di opportunità, insomma, che non rischierà di deludervi! •


Gusto e mercati

Il ruolo del tatto nell’esperienza gastronomica di Vincenzo Russo*

L’importanza delle caratteristiche tattili dei metalli delle posate o della ceramica dei contenitori influenza l’assaggio dei cibi

* Vincenzo Russo è un professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing, Ph.D Coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and Brain Lab presso lo IULM di Milano

In molte parti del mondo come l’Africa, l’Asia Orientale o l’India subcontinentale è abbastanza usuale mangiare con le mani. Nei paesi occidentali ci serviamo di forchette, coltelli e cucchiai e beviamo sempre attraverso una tazza, un bicchiere o un contenitore. In realtà sappiamo che il primo sapore ci arriva proprio dalle mani. In accordo con esperti sensoriali l’emozione provocata da un cibo o da una bevanda non dovrebbe essere alterata da alcun mezzo ed essere diretta e immediata. In effetti spesso non si fa caso all’influenza che potrebbero avere le caratteristiche tattili dei metalli delle posate o della ceramica dei contenitori. Si provi a pensare all’effetto che si prova nell’assaggiare un magnifico dessert alla nocciola al cucchiaio offerto su un piatto grigio di design rigato. Tutte le volte che il cucchiaio prova a recuperare il delizioso dessert, il fastidioso rumore provocato dal cucchiaio, che maldestramente tenta di scivolare sulle righe del piatto, rende fastidiosa l’esperienza facendo percepire il dessert non particolarmente buono. Dai più recenti studi neuroscientifici sappiamo che il processo sensoriale è fortemente condizionato da più fattori. Un crescente numero di ricerche nel campo della gastrofisica dimostra quanto importante sia il ruolo della sensorialità tattile nell’esperienza enogastronomica. Non a

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Le posate sensoriali di Jinhyun Jeone

caso numerosi chef, esperti di mixology o di food design, stanno iniziando a prestare attenzione all’emozione provocata dal cibo in relazione anche all’esperienza tattile e a come questa possa modificare la percezione complessiva dei sapori. Una delle top interior design Isla Crawford amava affermare che “la superficie di materiale naturale è spesso preferibile, anche grazie alle sue irregolarità che la rendono più gradevole di una superfice asettica e clinicamente perfetta”. La gradevolezza del cibo può essere quindi implementata giocando con le stimolazioni tattili provocate da specifiche posate come per esempio quelle sensoriali di un noto designer, Jinhyun Jeone, pensate per stimolare diversamente il palato dei commensali. Tuttavia non necessita servirsi di specifiche posate per giocare con la sensorialità tattile del cibo. A volta basta solo immergere la posata nel succo di limone (non le posate d’argento ovviamente…) immergerle in qualcosa di granuloso come lo zucchero o piccolissimi granelli di caffè per avere un cucchiaino sensoriale in grado di


Fig. 2 L’effetto del peso sulla percezione della qualità dei cioccolatini (Gatti et al., 2014)

stimolare in maniera diversa il palato. Come riportato da un noto studioso di gastrofisica, Charles Spence (2017) anche la forma delle posate ha un effetto inconsapevole ma rilevante nelle percezioni. Cosi mentre gli oggetti arrotondati (siano essi piatti o tavoli) vengono associati dai commensali a un’esperienza piacevole. Al contrario di quelli spigolosi, sinonimo di pericolo, vengono associati a esperienze meno gradevoli, forse perché possono ricordare armi da taglio. Di là dalla forma delle posate un aspetto molto importante è il loro peso. Questo ha un ruolo importante nel contribuire a percepire i prodotti. Una recente ricerca per esempio ha dimostrato che posate più pesanti fanno percepire di migliore qualità il contenuto di un piatto. Il peso è, infatti, sinonimo di sostanza e dunque di qualità. Se le posate sono più pesanti non solo si percepisce il cibo leggermente migliore ma si è più predisposti a pagare un poco di più la portata. L’effetto del peso dei prodotti è stato più volte studiato. Un importante studio condotto da Gatti et al. (2014) ha dimostrato che facendo assaggiare a un gruppo di persone dei cioccolatini tratti da una scatola resa più pesante da dei pesi nascosti all’interno del packaging, non solo i cioccolatini venivano percepiti di migliore qualità ma si incrementa anche l’intensità percepita dei sapori, la disponibilità a pagarli un poco di più e il desiderio di consumarli

(cfr. fig. 2). Il peso, in fondo, sembra anticipare i sapori. Ricordiamoci che la percezione è sempre un processo di ricostruzione di ciò che abbiamo “sentito”, la sensazione. La percezione è, infatti, l’esito di un processo di interpretazione dove le informazioni circostanti e collaterali contribuiscono a dare informazioni su ciò che stiamo provando. Gli esperimenti sull’efficacia di fattori collaterali al gusto come il peso delle posate e la loro forma si fanno generalmente nel nostro Centro di Ricerca di Neuromarketing. Tuttavia ogni tanto occorre sperimentare in contesti ecologici, ovvero nella realtà quotidiana. Uno degli ultimi esperimenti svolti in un hotel con circa 133 medici congressisti si è tenuto a Sorrento qualche giorno fa. In quella occasione io e il mio gruppo di ricerca abbiamo dato la possibilità a questo gruppo di assaggiare un medesimo vino, un Aglianico locale, presentato in due diverse condizioni. La prima sentendo in cuffia una musica ad alta frequenza e la seconda con una musica a bassa frequenza. Come abbiamo già discusso in precedenti articoli la musica ad alta frequenza, poiché più “dolce” fa percepire il cibo un po’ più dolce di quella a bassa frequenza (tipicamente una musica amara, si pensi ai Carmina Burana).

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Durante l’esperimento abbiamo inserito anche la variabile tatto, chiedendo alle persone di assaggiare il primo vino con la musica ad alta frequenza, di accarezzare un sottobicchiere di peluche morbido bianco. Nel secondo caso, con la musica a bassa frequenza un sottobicchiere di carta vetrata. Il vino era il medesimo ma i commensali non lo sapevano. Qual è stato l’effetto? Solo il 20% si è accorto che il vino era lo stesso. Il restante 80% ha dichiarato che il vino era diverso e che quello assaggiato toccando il sottobicchiere di peluche bianco era più gradevole e soprattutto più dolce. Anche in questo caso la percezione del vino è stata condizionata dalla sensorialità tattile e pure uditiva. Questi dati ci fanno capire quanto impor-

tante siano le esperienze tattili durante la degustazione e come è facile modificare la percezione dei sapori utilizzando anche la dimensione tattile. Lo sanno bene i produttori di vino. Ricordo quando durante una splendida degustazione di vini rossi, presso la Cantina del Baglio del Cristo di Campobello in Sicilia, il proprietario ci fece degustare un medesimo vino in due bicchieri, uno di vetro normale e uno di nobilissimo cristallo. La nostra percezione fu completamente diversa, eppure il vino era lo stesso. Probabilmente avrà avuto effetto il modo con cui i sentori del vino furono sprigionati dal bicchiere, ma certamente ha avuto un ruolo importante la leggerezza e l’eleganza al tatto del bicchiere di cristallo sulla nostra percezione. •


La ricetta di BARtù

Mitica Giardiniera, sempre una novità

di Giorgio Ascorti

Giardiniera Piemontese

Alla Trattoria Cacciatori di Cartosio, questo piatto storico della tradizione piemontese vive e rivive nel menù. Con un ruolo e una dignità “da manuale” Dice Federica Rossini, cuoca del ristorante Cacciatori di Cartosio (Al): “La giardiniera piemontese è un contorno perfetto: si può gustare da solo, oppure con la ventresca di tonno, con un salame nostrano oppure con le carni”. A patto – sottolineiamo noi – che sia preparata come avviene in un locale che ha fatto della buona cucina del territorio alessandrino un ‘must’ da oltre 200 anni. Federica è entrata al Cacciatori nel 2006, dopo aver incontrato Massimo Milano che sta proseguendo una straordinaria storia di famiglia, dove le ricette vengono tramandate da una generazione all’altra e ci sono piatti ancora cucinati con la stufa a legna. Una cucina tutta al femminile – Federica ha prima affiancato e poi sostituito la suocera Carla – che si avvale di un ambiente elegante e di una grande cantina. Non è un caso il recente riconoscimento di Slow Food che nell’ultima Guida Osterie d’Italia – oltre alla prestigiosa Chiocciola che segnala il top della categoria – è stata proclamata ‘Novità dell’Anno’ perché, come sostengono i curatori del volume, Marco Bolasco ed Eugenio Signoroni, “anche se l’osteria ha compiuto due secoli, il suo nuovo corso, che ha portato all’attribuzione della chiocciola, spinge a considerarla alla stregua di una novità vera e propria”. Ben detto... •

1,5 kg pomodori maturi 250 gr sedano 250 gr carote 250 gr cipolline di Ivrea 250 gr cavolfiore 250 gr fagiolini 250 gr peperoni gialli 250 gr peperoni rossi 100 gr olive snocciolate 1 cipolla dorata 500 ml di aceto 250 ml di vino bianco 2 foglie di alloro 1 cucchiaio di sale grosso 1 cucchiaio di zucchero

Federica Rossini

Procedimento Lavate i pomodori, sbollentateli e togliete la buccia. Tritate la cipolla e mettetela a soffriggere a fuoco dolce. Aggiungete i pomodori e l’alloro e cuocete per circa 30 minuti fino a ottenere una salsa. Mondate le verdure, lavatele e asciugatele. Poi tagliatele a pezzetti di forma uguale (tranne le cipolline di Ivrea) e tenetele in contenitori separati. Quando la salsa bolle aggiungete le verdure nel seguente ordine: sedano, carote, cipolline di Ivrea, fagiolini, cavolfiore, peperoni. Tra una verdura e l’altra aspettate 10 minuti circa. Dopo le verdure aggiungete anche le olive, il vino, l’aceto, il sale e lo zucchero. Proseguite la cottura per 20 minuti circa. Mescolate accuratamente durante questa fase. La giardiniera a questo punto potrà essere riposta in appositi vasi, pronta all’uso successivo.

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La foto di BARtù OPERA OLEI SI RACCONTA CON GLI CHEF

Patischie

Anna Soleti, al centro nella foto, con gli chef Nicola Damiani e Matia Barciulli, dell’Osteria di Passignano (Fi). Lo scatto è stato effettuato durante l’ultima edizione di Tuttofood, a Milano, lo scorso maggio. Anna Soleti, attiva e instancabile nella sua opera di valorizzazione dell’olio extravergine monocultivar di eccellenza, è stata per l’occasione la radiosa testimonial di Opera Olei, un progetto innovativo firmato da sei produttori di EVO che si caratterizzano per l’elevata qualità delle proprie produzioni. I loro nomi: Mimmo Fazzari di Olearia San Giorgio (Calabria), Giorgio Franci di Frantoio Franci (Toscana), Salvatore Cutrera di Frantoio Cutrera (Sicilia), Marco Viola di Azienda Agraria Viola (Umbria), Massimo Fia di Agraria Riva del Garda (Trentino), Donato Conserva di Mimì (Puglia). Un drappello di produttori appassionati, schierati dalla parte della ricerca qualitativa assoluta, che hanno proposto i propri oli in abbinamento alle semplici ma talentuose creazioni degli chef.

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B.A.R. Tech La pausa caffè con Segafredo diventa più speciale grazie a Siav Siav, azienda leader in Italia nella fornitura di software e servizi informatici per la dematerializzazione, la gestione documentale e per il miglioramento dei processi digitali, annuncia di essere stata scelta da Segafredo Zanetti come partner del proprio progetto di rinnovamento delle soluzioni dedicate alla gestione digitale dei documenti e processi aziendali. La società, leader dell’espresso e presente in oltre 100 Paesi nel mondo, aveva manifestato l’esigenza sia di sostituire il software ECM in uso, sia di affidare i propri documenti a un provider esterno per la conservazione digitale. Segafredo ha scelto Siav in primo luogo al fine di ottimizzare il complesso processo di fatturazione attiva. Il processo di vendita della nota multinazionale del caffè si caratterizza, infatti, per la gestione della “tentata vendita” che non segue i classici step ordine-Ddt-fattura-consegna ma che contestualizza l’emissione della fattura di acquisto al momento della consegna fisica del prodotto. La singolare gestione del processo di vendita, combinata con la necessità di servire una rete di clienti numerosa e distribuita nel territorio come il canale Horeca, richiedono una gestione efficiente e uniforme di tutta la forza vendita. A seguito dell’implementazione del progetto e grazie all’utilizzo di tablet in dotazione alla forza vendite, la generazione di tutta la documentazione (ordini d’acquisto, Ddt, fatture, ricevute di incasso e contratti) avviene in maniera digitale durante il processo di consegna. Inoltre, contestualmente alla loro creazione, tutti i documenti vengono automaticamente archiviati in Archiflow e inseriti nel fascicolo dedicato al cliente, consentendo all’agente di concentrarsi sulle attività core e a maggiore valore aggiunto.

Come combattono le frodi i giganti dell'e-commerce… Le frodi sono e continuano a essere un argomento problematico per le aziende che vendono prodotti attraverso canali molteplici. Soprattutto per quanto riguarda l’e-commerce, dove il 4,09% degli ordini risulta essere fraudolento. Dalla fase di spedizione alla fatturazione fino addirittura a il furto d’identità, le tecniche fraudolente si sono evolute e l'impatto sulle entrate e sull'immagine del marchio può essere catastrofico. Per proteggersi, le aziende devono affidarsi principalmente alle piattaforme di gestione dei pagamenti, ma la mancanza di informazioni e dati disponibili lungo la catena del pagamento lascia aperte molte possibilità ai truffatori di nascondersi dietro il flusso delle transazioni e sfruttare la mancanza di comunicazione tra Psp, acquirer, ecc... Adyen è la piattaforma di pagamento preferita da molte delle aziende leader a livello mondiale, che fornisce una moderna infrastruttura end-to-end col- Philippe De Passorio legata direttamente a Visa, Mastercard e ai principali metodi di pagamento scelti dai consumatori a livello globale. Philippe De Passorio, Country Manager di Adyen Italia, ha elargito a tale proposito alcuni consigli sulla prevenzione delle frodi. Adyen rappresenta un’esperienza di pagamento unica attraverso i canali online, mobile e in-store. Con uffici in tutto il mondo, Adyen annovera clienti come Facebook, Uber, Spotify, H&M, Bonobos, Mango e L'Oreal. www.adyen.com

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Nexi Smart POS integra AdMove Nexi SmartPOS – il terminale per i pagamenti digitali più evoluto sul mercato – integra AdMove sul Nexi app Store: la app di AdMove permette agli esercenti di pianificare, in modo semplice e veloce, campagne pubblicitarie su smartphone localizzate intorno al proprio negozio. Grazie alla nuova app AdMove, sviluppata su Android e integrata nei devices Nexi, sarà possibile creare, in pochi passi e direttamente dal terminale SmartPOS, dei “volantini digitali” con creatività e contenuti personalizzati, che saranno visualizzati a tutto schermo sulle app più gettonate degli smartphone dei mobile user che si trovano nei pressi degli esercizi commerciali. In base all’analisi dei dati inseriti dall'esercente, l’app AdMove è in grado di stimare il traffico di utenti mobile dell’area e pianificare in tempo reale una campagna fino a 10.000 volantini erogati. Sempre dal touch screen del terminale SmartPOS Nexi si potranno monitorare in tempo reale i risultati raggiunti dalla campagna. Con questa nuova opportunità, l’app store di Nexi arricchisce i servizi messi a disposizione dei merchant tramite lo SmartPOS, a tutti gli effetti sempre più un prodotto in grado di rivoluzionare l’attività del punto vendita: semplifica l’attività quotidiana dell’esercente, migliora l’esperienza di pagamento del consumatore e consente di attivare un’efficace campagna di comunicazione mobile per il negozio.


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Digital Signage per comunicare Il Digital Signage è un mezzo di comunicazione di prossimità. Il suo scopo principale è catturare l’attenzione di chi guarda e, attraverso una comunicazione mirata cercare di influenzarne la decisione di acquisto. Per questo è necessario valutare attentamente la posizione più strategica dove installare il monitor. Ecco alcuni esempi. In vetrina per comunicare esternamente ai potenziali clienti: pubblicizzare prodotti, promozioni o servizi, insomma qualunque cosa adatta per catturare l’attenzione dei passanti. Nel negozio per comunicare a persone che rispecchiano il target e per utilizzare una comunicazione dettagliata e mirata per influenzare la decisione di acquisto dei clienti. Alla cassa dove il cliente ha già preso la sua decisione di acquisto, ma in questo caso il monitor può diventare un ottimo mezzo per intrattenere i clienti e ridurre la percezione del tempo di attesa. Navori è il software con il quale vengono realizzati e gestiti i progetti di Digital Signage. Versatile e modulare consente di creare soluzioni personalizzate a misura del cliente.

Parte dalla Riviera delle Palme l’evoluzione di Foodiestrip A poco più di un anno dal lancio, Foodiestrip, l’app dedicata al mondo dell’eating-out che dichiara guerra alle fake review, allarga i suoi orizzonti al settore dell’hotellerie e lo fa con un progetto pilota in partnership con l’Associazione Albergatori Riviera delle Palme a iniziare dall’estate 2019. Si parte proprio dal comprensorio turistico, quello di San Benedetto del Tronto e dintorni, in cui l’app creata da Fabrizio Doremi e Alessio Poliandri è nata. Ma l’intenzione, come è successo per la ristorazione, è di allargare presto l’orizzonte all’intero territorio nazionale. Foodiestrip è un'azienda nata nel 2016 come startup che ha lanciato, a maggio 2018 l’omonima app. L'azienda si occupa di recensioni certificate e finora si è dedicata alle attività di ristorazione. Il team di Foodiestrip ha brevettato un sistema di check-in con il quale i clienti dimostrano di essere stati nel locale. Solo dopo la certificazione possono recensire l’esperienza tramite questionario a risposte chiuse. Ciò permette di evitare le false recensioni, un problema che riguarda il 35% delle review on line. Oggi l’app comprende ben 29 diversi tipi di categorie alle quali sono associati numerosi questionari di valutazione, specifici per tipo di locale. A queste se ne aggiungerà un’altra relativa all'hotellerie.

E-commerce: poca trasparenza nei siti di elettrodomestici rigenerati “Un quadro informativo tra luci e ombre, con alcuni significativi punti deboli nella trasparenza verso i consumatori” con queste parole Massimiliano Dona, Presidente di Unione Nazionale Consumatori, ha presentato l’indagine svolta tra gennaio-aprile del 2019 sui 14 siti internet che promuovono e/o vendono elettrodomestici rigenerati/ricondizionati. L’iniziativa realizzata da UNC, in collaborazione con APPLiA Italia (Associazione Produttori Elettrodomestici), ha interessato piccoli e grandi elettrodomestici, apparecchi d’informatica e di high-tech. Numerose le criticità emerse: "In generale – ha commentato Dona – ci sembra di poter giudicare un quadro tra luci e ombre: sono particolarmente allarmanti alcune carenze informative sull’identità del soggetto che ha effettuato gli interventi sui prodotti o sui canali per ottenere un contatto con il venditore; solo una parte dei siti internet esaminati risulta sufficientemente trasparente e rispettosa della normativa di consumo”.

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Pillole

I contenitori per spezie Da alcuni anni le spezie sono diventate a tutti gli effetti elemento imprescindibile per tante ricette tradizionali ed etniche. Non sono solo ottimo ingrediente per arricchire il sapore dei piatti, ma hanno anche molte proprietà benefiche. ISI Food propone due pratiche soluzioni di packaging per il loro corretto confezionamento. Dalla cannella ai chiodi di garofano, dalla curcuma alla noce moscata, dall’origano ai vari pepe nero, bianco, verde e rosa: possono trovare la loro collocazione ideale all’interno dei contenitori per spezie della serie RET. Grazie alle loro caratteristiche strutturali, i contenitori RET3 (4 l.) e RET5 (6,1 l.) consentono di mantenere a lungo inalterati i sapori e gli aromi caratteristici delle spezie. Il pratico coperchio con chiusura a pressione garantisce la possibilità di mantenere più a lungo la freschezza delle sostanze aromatiche. Entrambe le vaschette sono realizzate in materiale plastico di prima qualità (PP) nel rispetto delle severe normative che regolano il settore alimentare.

Il battello di Caffè Milani al Giro d’Italia

Nuii: la nuova avventura nel mondo degli stecchi premium

Domenica 26 maggio i colori e gli aromi del blend Espresso System Milani hanno atteso la nutrita carovana della 15a tappa del Giro d’Italia, che si è snodata lungo 237 chilometri da Ivrea al Como. La panoramica via Lungo Lario Trento, affacciata sul Lago, ha accolto le volate: in corrispondenza dell’arrivo, attraccato al molo 5 c’era il battello con i lunghi striscioni e il claim “Caffè Milani, la tua tappa quotidiana” a richiamare l’attenzione. Sull’imbarcazione un corner ha offerto il blend Espresso System Milani, in chiusura di un buffet/pausa caffè aperto alle circa tremila persone munite di pass: tanti sono i componenti della macchina-Giro che si muovono su e giù per l’Italia e che comprende organizzatori, tecnici, giornalisti, corridori nonché autorità locali. Anche nella storica Villa Olmo, dove era allestita la sala stampa, fotografi e giornalisti hanno avuto a disposizione la miscela di Caffè Milani e in omaggio il pacchetto di una singola origine della linea Puro tra le più pregiate: un Papua Estate Plantation 100% arabica caratterizzato da un buon corpo e un aroma bilanciato con note fruttate.

Tra i prodotti dell’azienda Froneri Italia Srl, arriva Nuii: un momento di piacere, nato dall’unione di ingredienti di grande qualità. Preparati con cremosa panna e avvolti da una copertura di delizioso e croccante cioccolato, i nuovi gelati Nuii non sono solo un’esperienza di gusto, ma una vera e propria immersione in culture sconosciute. Ogni ingrediente è, infatti, attentamente selezionato per evocare una sensazione di avventura e di scoperta, uscendo per un attimo dalla routine quotidiana: dai paesaggi incantevoli dell’Australia alle bellezze naturali dei Paesi Nordici, passando per la meravigliosa Isola di Java. Ingredienti unici si combinano in quattro varianti avvolgenti e irresistibili: Mandorle e Vaniglia di Java, Caramello Salato e Noci Macadamia Australiane, Cioccolato Fondente e Mirtilli dei Paesi Nordici, Cioccolato Bianco e Vaniglia di Java. Froneri Italia è nata nel 2016 dalla joint venture mondiale fra due grandi multinazionali del mercato: Nestlè e R&R (multinazionale inglese leader nel mondo nella produzione di gelati per le marche private della Gdo). Froneri mondo è presente in oltre 20 Paesi, europei e non, e vanta un fatturato complessivo di oltre 2,5 miliardi di euro.

ZenPasta tra gusto e benessere Parola d’ordine “linea” ma senza dimenticare il gusto leggero del giusto mix di ingredienti: ”Appagamento, leggerezza e salute”, la coppia italo nipponica Lorenzo Simonini e la moglie Yuko ha fatto di questi concetti una vera e propria filosofia di vita e di consumo che accomuna tutte le proposte della loro ZenPasta. L’azienda ha cominciato nel 2012 a importare gli Shirataki, famosi per i princìpi di un’agricoltura sana e naturale. Ma non Shirataki comuni, grazie a un’innovativa tecnica di essiccazione, Lorenzo ha portato sul mercato italiano gli unici Shirataki secchi evidenziando notevoli miglioramenti: maggiore facilità nel trasporto e nella conservazione, più simili alla pasta tradizionale a cui siamo abituati, valori nutrizionali che non subiscono modifiche durante la fase di cottura. Cosa sono esattamente questi Shirataki? Vengono definiti “pasta trasparente”, il nome in lingua nipponica significa “cascata bianca” e rappresentano una proposta culinaria oggi sempre più di tendenza.

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Alberto’s choice

Italiani in Svizzera Vince la passione MAESTRI NELLE CARNI E LA SALA NON È DA MENO

LEGENDA

RISTORANTE E WINE BAR LE LEYSIN Route du Village, 8 1854 Leysin 024 494 23 15 info@leysin.ch

Arrivateci da Ginevra o dal Passo del Sempione, ma arrivateci: questo terzetto di giovani italiani si è perfettamente inserito nella rigida (ma solo in apparenza) società svizzera del Vallese (Vaud), interpretando con passione e impegno le esigenze di una clientela eterogenea, tendenzialmente molto raffinata, incline alla novità ma spinta anche dall’amore per le tradizioni e dalla ricerca di autenticità dell’offerta. Et voilà: a Leysin, 1.260 metri sul livello del mare, raggiungibile anche in cremagliera da Aigle (capitale mondiale del ciclismo agonistico: qui c’è il velodromo più bello del mondo, che il Concours Mondial di Bruxelles ha scelto come sede dell’edizione 2019 della celebre competizione enologica) ), tre ragazzi italiani (due pugliesi, uno piemontese, di Saluzzo), si sono inventati con coraggio il loro format vincente. Alla base del successo, quattro punti fondamentali: 1) Alta qualità della materia prima (carne di manzo e agnello in primis, ma anche anatra, foie gras, fondute e molto altro); 2) Carta dei vini formidabile per selezione e ricarichi apprezzabili, insoliti nella Confederazione Elvetica; 3) Cocktail cor-

Cervello incoronato = Memorabile, coerente, ineccepibile per qualità delle materie prime e stile dell’offerta

Tre corone = Ottima cucina, perfetta esposizione delle voci in menù, ambiente e servizio all’altezza

Il terzetto italiano del Leysin Due corone = Linea di cucina corretta Tagli pregiati di carne

Una corona = Dignitoso e affidabile

Corona nera = C’è ancora molto da fare

Tre cervelli = Un vertice nel suo genere

Due cervelli = Qualità e attenzione al cliente

ner con poche ma validissime proposte di bere miscelato, anche proposti come pre e after dinner; 4) Ambiente semplice e accogliente, caratterizzato dalla presenza di tanto legno, con camino sempre acceso e molta intimità. Ingredienti

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Un cervello = Bravi, ma non basta

Cervello nero = Scarsamente ragionevole


Colophon

Alberto’s choice

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semplici, selezionati con stile e attenta ricerca del meglio: una propensione per la qualità, che caratterizza la new wave dell’alta ristorazione italiana, spasmodicamente attiva nell’individuare materie prime di origine certa e tracciabile… La proposta di carni alla brace, qui a Le Leysin segue un criterio ben definito e orchestrato dai tre gestori nei minimi particolari: fornitori di carne di altissima qualità, che controllano con sapienza il mercato delle carni di eccellenza e che consentono al cliente di approvvigionarsi di diverse tipologie di carne di manzo, anche di origine locale, ma anche di Angus Irlandese oltre che di tagli pregiati di Wagyu. Costate di manzo, Entrecote (da provare l’Entrecote au feu de bois avec ses frites et sauce maison), o il Filet d’agneau braisé au vin rouge, legumes. In carta molti piatti del territorio, indicati in sezione a parte: oltre alla mitica Fondue Moitié Moitié , col fantastico Gruyière e il Moleson (la montagna del Vallese sopra Friburgo, da cui provengono grandi formaggi), abbiamo trovato eccellente la Bourguignonne maison, avec duo de viandes, boeuf et cheval. Un ristorante da provare, capace di dare emozioni e certezze alla clientela più tradizionalista, ma anche di risvegliare curiosità fra i gourmet più innovativi: quelli, insomma, che non si fermano qui soltanto per una (indimenticabile) Tomahawk alla brace, vale a dire una costata da circa due kg, proposta scaloppata per un tavolo da quattro (a 120 Chf, intorno ai 100 euro, meno di trenta euro a testa), con i suoi contorni compresi, ma esigono suggestioni più audaci. Per loro, Victor Speranza, Giampiero D’Agnelli e Niccolò Klemencic, chiederanno allo chef di preparare Pavé de morue a la poele, avec oignons, olives et piommes de terre. Abbinato a un grande bianco del territorio come, per esempio, un Aigle Les Murailles Chablais AOC 2017: un vino di grande finezza, espressione di un eccellente bacino vitivinicolo dove, oltre al Chablais, domina un altro grande protagonista della vinicoltura svizzera, lo Chasselas.

Direttore editoriale Alberto P. Schieppati Direttore responsabile Andrea Aiello Contatti bartu@edifis.it - www.bartumagazine.it Redazione Walter Govoni - walter.govoni@edifis.it Collaboratori Nadia Afragola, Giorgio Ascorti, Fiorenza Auriemma, Guido Bernardi, Maurizio Bertera, Stefano Bonini, Oscar Cavallera, Luisa Contri, Beatrice Coppola, Angelo Foresti, Angelo Gaja, Elio Ghisalberti, Rocco Lettieri, Aldo Nenzi, Gigi Pavesi, Andrea Penazzi, Michele Maria Pizzillo, Giovanna Moldenhauer, Giovanni Ponzoni, Vincenzo Russo, Theo Smith, Gualtiero Spotti, Claudio Zeni, Stefania Zolotti Grafica e impaginazione Daniele Scozzari Pubblicità dircom@edifis.it Traffico pubblicitario Roberta Motta - roberta.motta@edifis.it Amministrazione amministrazione@edifis.it Foto Archivio BARtù, Alvise Barsanti, Benedetta Bassanelli; Marcello Bocchieri, M. Borchi, Stefano Borghesi, A. Carra, Armin Huber, Claudia Calegari, Ferdinando Cioffi, Gaetano Del Mauro; Pieter D’Hoop, Paco Lloret, Villagra Lopez, Martina Mambriani, Matteo Mancini, Mauro Montana, Patischie, Barbara Santoro, Roberto Savio, Brambilla Serrani, Daniel Töchterle, Lido Vannucchi, Marco Varoli, Renato Vettorato Stampa Aziende Grafiche Printing S.r.l. - Peschiera Borromeo (Mi) Prezzo per una copia E 5,00 - Arretrati E 10,00 Abbonamento Italia: E 45,00 - Europa: E 80,00 - Resto del mondo: E 100,00 abbonamenti@edifis.it

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