ARTE
SPAZIO DI LUCE
LA FONDAZIONE SABE DI MIRELLA SALUZZO E NORBERTO BEZZI
DI ALESSANDRA ALBARELLO
FOTO LIDIA BAGNARA
La narrazione della Fondazione Sabe per l’Arte, dove Sabe è l’acronimo di Saluzzo e Bezzi, passa inevitabilmente attraverso un dialogo tra luce e superficie. Una luce soprattutto naturale che intreccia relazioni con le opere esposte, riflettendosi sui loro volumi e valorizzandone così forma e materia. La storia è questa: alla ricerca di uno studio più grande, l’artista Mirella Saluzzo, insieme al marito Norberto Bezzi, imprenditore nel settore marittimo, aveva individuato in questo spazio in via Pascoli 31 il luogo ideale per accogliere il suo archivio. Ma la genesi della sua trasformazione l’ha portata poi altrove, a immaginare un’altra destinazione, un altro progetto. Perché i luoghi hanno sempre una memoria e un destino individuali che riaffiorano improvvisamente, suggerendo e condizionando anche inconsciamente le scelte sul loro utilizzo finale. Iniziata la ristrutturazione, la scoperta delle capriate, nascoste 30
UN LUOGO, PENSATO INIZIALMENTE SOLO COME STUDIO DELLA SCULTRICE SALUZZO, È GIÀ DIVENTATO PARTE DEL TESSUTO CULTURALE DI RAVENNA GRAZIE A MOSTRE E INCONTRI PUBBLICI.
dai controsoffitti, ha fatto infatti ritrovare agli spazi un nuovo respiro di bellezza, rivelando così potenzialità fino allora inespresse dalla galleria Ninapì che diversi anni fa aveva qui la propria sede. Ma ancora prima, agli inizi del Novecento, questo antico edificio aveva ospitato una famosa ebanisteria e successivamente una tipografia. Uno spazio che
conservava quindi nel suo Dna non solo un fascino artigianale d’antan ma anche la memoria di gesti e liturgie di un savoir-faire che, nel tempo, avevano contribuito a costruire la sua forte identità. La ristrutturazione, durata quattro anni, è stata quindi un continuo work in progress che si è svolto su piani differenti ma complementari: uno strutturale, curato dallo studio di architettura di Ettore Rinaldini, e uno estetico, a cura dell’architetto Gianni Errani, sui quali si è innestato l’intervento filologico di conservazione e restauro di Ada Foschini. Senza dimenticare il fattore emozionale: “Man mano che andavamo avanti, ci rendevamo conto che questa ristrutturazione stava diventando sempre più preziosa, per cui a un certo punto ci siamo domandati se fosse opportuno continuare a considerare questo spazio come privato o piuttosto cominciare a pensare di renderlo pubblico,” rivela Norberto Bezzi. Una