QUEI PAZZI DEL VERDON - Bernard Vaucher

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R A M P I C A N T I

B e r n a r d Va u c h e r

Quei Pazzi

EDIZIONI VERSANTE SUD

del

Verdon


Titolo originale: Les Fous du Verdon Pubblicato da Editions Guérin, 2008 2011 © VERSANTE SUD S.r.l. Via Longhi, 10 Milano Per l’edizione italiana tutti i diritti riservati 1a edizione Dicembre 2011 www.versantesud.it ISBN 978-88-96634-43-1


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R A M P I C A N T I

Bernard Vaucher

QUEI PAZZI DEL VERDON L始epopea che ha trasformato l始arrampicata Traduzione di Anna Maria Foli

EDIZIONI VERSANTE SUD



A Jacky e Ivan


La leggendaria roccia del Verdon. (foto Ivan Vaucher)

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Prefazione di Bernard Gorgeon 25 agosto 2008, Parco Naturale delle Alpi Marittime, ai piedi della Corne Etoile, vicino a Lagramusas International, la via aperta il 22 agosto 1984 con Poil, il complice disegnatore folle delle cartine topografiche del Verdon! Un legame con il “paese”, ma anche un distacco per tornare con la memoria a quei momenti e ai testi dell’amico Barney.

Dopo la monumentale Histoire de l’Escalade dans les Calanques, lunga più di un secolo, quella del Verdon, di soli quarant’anni, sembra ridicola! È un po’ la storia di una banda di amici! A chi potrebbe interessare? Qualcuno ha raccolto la sfida: l’autore, naturalmente, ma anche gli editori, seguendo fedelmente l’esempio di Michel Guérin, il fondatore, visionario, che non ha mai smesso di crederci.... Incontrato proprio nel Verdon, poi a Briançon, a due passi dalla Gargouille. Ma c’è qualcosa di più... e proprio questo rende la cosa interessante. Perché questo sito e questa “banda di illuminati” alla fin fine hanno contribuito in modo stupefacente e imprevisto alla trasformazione dell’arrampicata mondiale, se così posso dire, senza rischiare di risultare troppo pretenzioso. Ridurre completamente il percorso di avvicinamento, usare prevalentemente “nut” anglosassoni, lasciare le vie attrezzate... Le basi dell’arrampicata sportiva sono nate tutte qui. Quanto a Barney, è riuscito nell’impresa ciclopica che si era prefissato: migliaia di particolari, frutto di minuziose ricerche, valanghe di complimenti, alcune dimenticanze volontarie.... e tanto umorismo. La lettura di questo libro mi ha fatto immergere di nuovo nei ricordi, nella gioventù, nelle risate. Grazie! Lasciatevi conquistare anche voi... Bernard Gorgeon

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La parete dell始Escal猫s. (foto Ivan Vaucher)

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Introduzione “Da una generazione all’altra, le testimonianze orali tendono a trasformarsi in leggende. La maggior parte degli alpinisti, però, più o meno coscienti del carattere effimero delle loro imprese, frutto di tanta fatica, ha voluto perpetuare la propria fama creando un’opera letteraria. Ma come uno scalatore non diventa necessariamente un buon scalatore, così chi usa la piccozza non diventa necessariamente un buon scrittore. Proprio per questo la mediocrità è così diffusa nella letteratura alpina. Young, invece, fu sia uno scrittore brillante che un bravo alpinista.” Alain de Chatellus

Scrivere un libro per raccontare una storia, anche senza avere la pretesa di scriverla con la esse maiuscola, è sempre un’impresa delicata. Anche se alcuni personaggi e fatti rivestono un’importanza indiscutibile nella cronologia degli avvenimenti, abbiamo sempre una spada di Damocle sospesa sopra la testa. Abbiamo dimenticato qualcosa di importante? Ci siamo lasciati ingannare da una visione personale dei fatti? Sono queste le domande che si pone chi si accinge a scrivere. Certamente, esistono modi per limitare la parzialità e correggere la visione personale, come cercare numerose testimonianze, interrogare i protagonisti e confrontare le varie versioni. Non è poi così facile riportare alla luce fatti avvolti nella leggenda, liberare le “vere parole” dalle loro interpretazioni e, tra ditirambi e anatemi, ritrovare la verità dei personaggi. Eppure non esiste un antidoto assoluto. Perché, allora? La risposta è contenuta in parte nella citazione iniziale, l’orazione funebre di Alain de Chatellus dedicata a George Winthrop Young. È vero, le testimonianze orali tendono ad assumere l’aspetto di leggende, ma con il passare del tempo si deformano o si sfumano, per poi perdersi da una generazione all’altra. Tanto più che, per più di un decennio, il Verdon è rimasto riservato a pochi, perché, come dice Tilman, “gli esploratori volevano allo stesso

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tempo conservare il dolce e mangiarlo”. Anche le guide pullulano di aneddoti appassionanti, ma il loro scopo principale è fornire informazioni tecniche sugli itinerari. La sfida consiste allora nel trasformare questa tradizione orale in forma scritta, cercando però di conservarne tutto il sapore, nel rievocare epoche pittoresche, come la scoperta delle gole da parte dei pionieri del Verdon o l’arrivo dei primi “alpinisti vagabondi”, senza edulcorare la personalità delle grandi figure, nel rievocare quella roccia grigia, unica, incredibilmente bella, senza dimenticare il profumo dei ginepri e dei bossi, nel parlare delle vie e delle passioni che hanno suscitato, senza dimenticare i fienili e i bivacchi su quelle terrazze in cui talvolta, con un po’ di fortuna, si trovavano pezzi di ceramica o perni di bosso. L’iconografia dedicata al Verdon è ricca di raccolte e di bellissime fotografie, ma, tranne gli articoli, gli scritti sull’argomento sono molto pochi. È questa la sfida. La pubblicazione del libro Des Rochers et des Hommes, 120 ans d’escalade dans les Calanques, ha rappresentato per me una fonte inesauribile di soddisfazioni. La più importante è aver unito generazioni di scalatori. Aggiungo inoltre che nel Verdon, negli anni Sessanta-Settanta, c’era un’atmosfera unica. Averla vissuta in cordata con l’amico Henri Rigaud, complicità che è continuata per un quarto di secolo, è un vero e proprio privilegio. Quel Verdon ha attirato personalità eccezionali, ed è per questo che meritava di essere raccontato.

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La Nascita di un Mito “L’essenziale è la qualità di un’emozione che non invecchia nonostante gli anni e malgrado il ripetersi di uno spettacolo che alla lunga ci è diventato familiare.” Pierre Dalloz, Zénith.

Come le Calanques marsigliesi, la Yosemite Valley e il Gran Canyon del Colorado, le gole del Verdon sono una meraviglia della natura, e non sto esagerando. E.A. Martel le descrive così: “Lo ripeto, lì si trova una vera meraviglia della natura, senza pari in Europa, davvero, il più americano di tutti i canyon del Vecchio Continente, e non ho cambiato idea nemmeno dopo aver visto, nel 1912, il Gran Canyon in Colorado.” Come si è formato questo splendido e mitico canyon? Senza dilungarsi su particolari interessanti solo per i geologi esperti, possiamo abbozzare una piccola storia geologica della regione. La gola del Verdon, con il suo grande canyon, rappresenta il punto di unione tra alcuni massicci orientati est-ovest ed altri il cui asse è orientato nord-sud: questi rilievi rappresentano vere e proprie cicatrici provocate dalla collisione tra la placca africana e quella euroasiatica, fenomeno che continua ancora oggi. I primi corrugamenti (orientati est-ovest) riguardano i depositi triassici (gessi derivati dall’evaporazione di lagune: mare poco profondo con una forte evaporazione, paragonabile agli Afar odierni), quelli del Giurassico e del Cretaceo inferiore. Una parte della Provenza si abbassa e all’inizio dell’era terziaria emerge l’istmo della Durance. I corrugamenti orientati nord-sud sono la prova di una collisione, la cui origine però si trova a est. L’Italia, staccata dall’Africa, si scontra con la parte settentrionale della Provenza, che in quell’epoca è sommersa dall’acqua (oceano alpino). Il risultato è spettacolare: nascono i massicci alpini. Man mano che emergono, i rilievi sono soggetti all’erosione da parte dei fiumi: i corsi d’acqua, tra cui il Verdon, li scavano! Successivamente,

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Verdon Eterno “Devi essere molto sfacciato, figlio mio, è l’unico modo che hai per provare un po’ di piacere nella nostra epoca artificiale.” Jean Giono (citato da Pierre Béghin in “Voyage dans l’oxygène rare”)

Per molti anni il Verdon è stato il simbolo della quintessenza dell’arrampicata: infatti la fama delle sue pareti si era diffusa ben oltre le frontiere francesi. Per chi ama le gole, affrontare una via difficile richiede una forte motivazione. È come abbracciare una specie di religione. Una grande via non si lascia ammansire senza un vero e proprio corpo a corpo. Lo scalatore ha più l’aspetto di un crociato in versione hippy che di un dandy. In un certo senso è un monaco soldato dell’arrampicata: ha fede ed è pronto a combattere. Le fessure, in particolare, hanno la fama di essere spietate e dolorose, come le cugine nell’America occidentale. L’assalto comincia molto prima di toccare la roccia. Fin dalla prima corda doppia, quando si scavalca il parapetto o si sfiora la parte alta delle falesie alla ricerca degli ancoraggi, si prova la sensazione di un vuoto che nausea e scoraggia i meno agguerriti. Un nodo Machard o uno Shunt sono perfettamente indicati per chi non vuole lasciare prematuramente una corda doppia o questo mondo terreno. Inizialmente mal vista, la presenza regolare di scalatori ha dato un nuovo respiro a La Palud. Presto infatti si rivelano clienti molto più fedeli, e soprattutto più regolari, degli escursionisti che di solito sono soltanto di passaggio: la loro presenza è frequente nei week end di Pasqua, in quello della Pentecoste o al massimo a Ognissanti. Molto spesso l’esplorazione delle gole si limita al sentiero Martel e per molti di loro l’esperienza delle scale costituisce la soglia di adrenalina che non può essere superata. Gli scalatori che si trasferiscono a La Palud all’inizio di aprile e lasciano le gole solo alle prime nevi possono essere definiti “residenti”. Intorno agli anni Settanta, alcuni alpinisti vagabondi come Pschitt e i fratelli Troussier vivevano lì per mesi interi! In quegli anni mi capitava di trascorrere in quei posti fino a quindici fine settimana all’anno. Gli scalatori squattrinati si fermano

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al campeggio di Jean-Paul, gli altri affittano insieme un fienile, spesso per tutto l’anno, per una cifra modesta, come hanno fatto Pepsi, Keller e Gorgeon. Quest’ultimo si integra così bene da diventare proprietario di una di queste costruzioni! Poco per volta si crea un’osmosi tra gli scalatori che risiedono in pianta stabile e alcuni abitanti dei paesi circostanti, che li affascinano con il loro buon senso contadino. Dal 1985 a La Palud c’è addirittura un negozio di materiali per arrampicata, il Perroquet Vert, gestito da Cherry e Pete Harrop. Dopo aver imparato a scalare negli anni Sessanta sull’arenaria del Peak District, in cui le pratiche sono sottoposte a regole molto rigide, e dopo un’intera estate trascorsa a scalare nel Verdon, Pete e Cherry sono rimasti affascinati dal posto e, approfittando di una piccola eredità, hanno comprato casa sul Col d’Ayen. Negli anni seguenti Cherry e Pete lavorano come corrispondenti per la prestigiosa rivista inglese Mountain e Pete comincia a partecipare all’attività in parete. Quando l’UCPA si è stabilita a La Palud, l’avvenimento è stato visto come “l’arrivo dell’era industriale dell’apertura”, anche se in realtà ciò è avvenuto solo dopo che Michel Suhubiette ha accolto le richieste pressanti degli stagisti, preoccupati della sicurezza durante la progressione. Guida e scalatore attivo, Michel opera prima nel centro UCPA di Sormiou con Guyomar, poi gli viene affidata la direzione del centro di La Palud. Inizialmente l’UCPA proponeva corsi di una settimana in cui, dopo un po’ di apprendistato nelle piccole pareti delle gole, lo stagista eseguiva alcune classiche come le Dalles Grises o l’Arête du Belvédère. In un secondo tempo, per venire incontro ai desideri degli stagisti, poi per la questione della responsabilità dell’UCPA, automaticamente coinvolta in caso di incidente, e infine per la generalizzazione dell’uso degli spit che si impone in tutte le falesie francesi, Michel Suhubiette elabora una strategia per attrezzare il Verdon. Questo porterà il sito a perdere progressivamente la sua reputazione esclusivamente elitaria. Ecco come spiega l’evoluzione che si è verificata: “All’inizio del nostro insediamento nel Verdon, aprivamo tutte le gradi classiche lasciando i nut sul posto, permettendo così alle altre cordate di attaccarvi i moschettoni. Poi, poco dopo, quel tipo di arrampicata ha smesso di sembrarci conveniente, tanto più che l’evoluzione non avveniva in condizioni di grande sicurezza. Abbiamo deciso

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di rinforzare le soste e i punti critici, ma questo ha sollevato così tante polemiche nell’ambiente da farci cambiare punto di vista: invece di riattrezzare le vie esistenti, ne avremmo aperte di nuove. Rimaneva un grande potenziale di placche dalle linee magnifiche e abbiamo cominciato. In tre anni abbiamo aperto un centinaio di vie. Alla fine, le uniche vie frequentate erano quelle che avevamo attrezzato noi! Chi all’inizio era contrario al nostro metodo di attrezzatura delle fessure, col tempo ha realizzato che bisognava rifare quella delle vecchie vie. Hanno quindi assunto dei ragazzi pagati dalla FFME per farlo, quando noi le avremmo attrezzate gratis se all’epoca fossero stati d’accordo! Quel tipo di attrezzatura era davvero indispensabile e per troppo tempo il Verdon è stato protetto, come luogo mitico, da chi ne aveva determinato la gloria e che forse si sentiva superato dai tempi.” È innegabile: le vie che portano il marchio UCPA, anche se sarebbe più esatto parlare di “marchio Suhubiette” hanno goduto immediatamente di una grande popolarità. Una fama ampiamente giustificata, perché tracciate nelle zone in cui la roccia è migliore, il “grigio Verdon”, e perché attrezzate in modo sicuro, organizzate per scalare in un “Verdon dal volto umano”. Nelle sue opere, Michel è aiutato da professionisti come Patrick Bestagno, Alain Jamin e Alain Guinet. Anche se la messa in sicurezza delle soste e di alcuni punti critici sembrano opere dettate dal buon senso, non è giusto dire che “il Verdon è stato protetto per troppo tempo come un luogo mitico”, messo sotto una campana di vetro da qualche scalatore del passato, desideroso di bloccare l’evoluzione e di rendere eterna la sua gloria. Nelle Dolomiti e nello Yosemite, evoluzione e modernismo hanno sempre coinciso con il rispetto del patrimonio e del passato. Perché non dovrebbe essere la stessa cosa per il Verdon, che fa parte, allo stesso titolo dei due universi citati, dei luoghi mitici del pianeta arrampicata? Parallelamente alle arrampicate “plaisir”, l’UCPA propone agli stagisti la discesa dei canyon presenti nei pianori calcarei circostanti. Un’attività certo molto divertente, che ricorda i parchi acquatici, ma non priva di rischi visto che, in seguito a temporali improvvisi e violenti, forre come l’Anguire, il Riou e Mainmorte formano terribili vortici! Un altro esempio di integrazione riuscita nel tessuto associativo

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locale è il gruppo “Lei Lagramusas”, nato dall’idea della prima guida trasferitasi a La Palud, Bernard Gorgeon. Ecco com’è nato: “Scegliere di abitare qui non è un caso, ma un modo per selezionare persone motivate e creare una concentrazione di personalità forti. Non c’è bisogno di pozioni magiche (nonostante alcune erbe coltivate nella zona abbiano virtù un po’ magiche) per ritrovarsi in un villaggio che assomiglia molto a un paese di galli ostinatissimi... con vantaggi e svantaggi! Si danno tutti del tu, una coesione naturale per la nostra epoca, si sente l’idea di tribù, di comunità. La sensazione di vivere in autarchia fa sviluppare una solidarietà sincera. Naturalmente, però, ogni medaglia ha il suo rovescio e le personalità forti, quando non sono d’accordo, a volte generano conflitti che bisogna saper superare per ritrovare un punto di vista comune. In quest’ottica, fin da quando mi sono trasferito ho voluto fare in modo che l’arrampicata non fosse rifiutata come avveniva in quel periodo a Buoux. Ho invitato gli abitanti interessati a imparare i primi rudimenti dell’arrampicata e presto è nata l’idea di fondare un’associazione per far scalare gli abitanti di La Palud, organizzare la pratica e gestire il sito. “Lei Lagramusas” (in provenzale, le piccole lucertole grigie) era nato. Dal 1983 questa piccola idea si è fatta strada alla meno peggio, superando gli ostacoli che man mano incontrava. La fama internazionale del sito ha permesso di realizzare progetti che talvolta hanno fatto scuola anche altrove: è qui che ritroviamo la prima guida francese del canyon, la prima guida di arrampicata multilingua con la collaborazione di Jean-François Lignan e Daniel Taupin, l’utilizzo di punti di assicurazione smontabili per un maggiore rispetto dell’ambiente rupestre, un festival di film sull’arrampicata, un meeting, Vertigo, che in autunno riunisce festosamente gli scalatori.” Non tutti comprendono l’influenza esercitata da Gorgeon in favore dell’integrazione degli scalatori a La Palud, ma JeanMichel Bertrand, promotore dell’ufficio delle guide a La Palud, lo riconosce apertamente, precisando in Vertical Spécial Verdon che “Gorgeon è stato il primo che ha saputo far accettare gli scalatori a La Palud. Provo un immenso rispetto per lui, che, fungendo da portavoce, ha permesso lo sviluppo di questa attività e le ha fatto fare un balzo in avanti”. Un’altra iniziativa che si deve ai Lagramusas è la creazione di

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un muro di arrampicata costruito all’uscita del paese, prima del bivio per la Route des Crêtes, opera di un amico di Bernard, JeanMarc Blanche, architetto e realizzatore di numerose pareti usate per le gare di Lione, Monaco, Bercy e Nîmes. Una delle missioni prioritarie che il gruppo Lei Lagramusas si è prefissato è la manutenzione delle vie classiche, un argomento “scottante” su cui è quasi impossibile trovare un accordo. Tra gli anni Ottanta e Novanta venne presa la decisione di sostituire i vecchi chiodi arrugginiti o i cordini usurati con degli spit nelle classiche come la Demande, Ula, l’Éperon sublime e molte altre, facendo attenzione a non modificare l’essenza di quelle arrampicate. Sono stati messi punti fissi dove non era possibile usare nut. Bisogna comunque fare attenzione: se non si è dotati di un livello molto superiore alle difficoltà annunciate, si raccomanda vivamente di portare un set di nut e friend per affrontare le classiche. Nella cronaca di Mountain, Cherry Harrop spiega al pubblico anglosassone la politica del club: “Prima di prendere decisioni sulle vie da riattrezzare, il gruppo considera il maggior numero di opinioni, e in particolare quelle dei primi salitori (se ancora in vita), degli scalatori locali e delle guide, oltre che i desideri degli scalatori che visitano il sito.” Nonostante tutto, il responsabile della cronaca non è affatto rassicurato, perché alla fine del testo aggiunge: “Penso che la maggioranza degli scalatori rimarrà sconvolta dall’approccio “il fine giustifica i mezzi” usato nell’attrezzare le vie del Verdon. Da quando gli interessi commerciali influiscono sull’etica alpina? Vada per lo stile usato per riattrezzare la Demande, ma che cosa pensare di tutte quelle fessure spittate in Francia, in particolare nel granito di Chamonix? Rimane da chiedersi se l’utilizzo dei nut sia solo un’eccentricità anglosassone!” In questi ultimi anni, grazie ai finanziamenti dei Lagramusas sono state create molte belle vie. Nonostante gli sforzi compiuti da queste associazioni, non c’è nulla che valga quanto la prudenza e l’esperienza. Quando il Verdon ha cominciato a suscitare grandi entusiasmi, si sono verificati due incidenti mortali che si sarebbero potuti evitare facilmente. In seguito a questi incidenti, la missione di intervento è stata affidata ai pompieri che hanno seguito corsi specifici sulle tecniche di soccorso in parete.

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Uno degli obiettivi che si pone Lagramusas è la pubblicazione di una guida di arrampicata. In circa quarant’anni di frequentazioni, il Verdon ha conosciuto varie forme e stili di guide. La prima è stata pubblicata nel 1975 dalle edizioni Marrimpouey Jeune di Pau, redatta da Alexis Lucchesi e Michel Dufranc; il primo si è occupato delle gole propriamente dette e il secondo di Cadières, Aiglun e Teillon. Modesta, ma molto ben fatta, questa piccola guida esce in contemporanea con l’articolo di Lucchesi, Domenech e Jean Fabre, “Le Verdon du grimpeur”, pubblicato lo stesso anno nella rivista del Club Alpino, La Montagne & Alpinisme. Sulla copertina il lettore può ammirare una foto di Picou all’opera nella parete simbolo delle gole, il Duc. Oggi sembra un omaggio al Verdon dei pionieri. Cinque anni dopo gli stessi autori, a cui si aggiunge un personaggio diventato fondamentale nella storia delle gole, Bernard Gorgeon, pubblicano un’altra guida. Questa risulta molto più spessa, dimostrando in modo significativo l’intenso sviluppo delle attività nelle gole. La maggior parte delle novità si situa nella falesia dell’Escalès, che registra una frequentazione senza precedenti. Questa guida rappresenta anche il culmine dello stile di Lucchesi: disegni molto precisi – infatti di professione fa l’illustratore –, informazioni dettagliate, come orari, numero di chiodi, livelli di difficoltà, nomi dei primi salitori, ecc. La copertina, rigida, rivela il cambiamento dei poli di interesse: il Duc, infatti, lascia il posto a Virilimité. Il decennio degli anni Ottanta vede il proliferare delle guide topografiche. La prima è quella di Belden, Verdon, Escalades choisies, che ho già citato molte volte. Questa guida, con un formato insolito, molto allungato, contiene moltissimi aneddoti storici e una selezione degli itinerari che l’autore giudica degni di nota. L’unico difetto è l’utilizzo di una scala di difficoltà basata sui numeri romani, all’epoca già obsoleta. La guida di Belden rappresenta in qualche modo un aggiornamento rispetto all’opera Verdon sans frontières. Nel 1988 il Verdon ha assunto un aspetto internazionale, come dimostrano le guide italiane, tedesche e franco-svizzere. Fino alla diffusione della guida topografica di Lei Lagramusas, il punto di riferimento resta quella pubblicata da Montagnes Éditions. Dal 1990 al 2000 Bernard Gorgeon prende in mano la

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situazione. Avvalendosi della collaborazione di Daniel Taupin per la FFME e di Jean-François Lignan per gli schizzi, pubblica con Li Lagramusas Grimper au Verdon. La guida riscuote un successo tale che viene ristampata in tre edizioni successive. Quella del 2000 è una delle migliori immaginabili per un sito che comprende circa mille vie! Dopo un saggio in cui l’Escalès viene descritto seguendo la direzione del fiume, Gorgeon è tornato a una presentazione più logica: gli itinerari vengono descritti da sinistra a destra guardando la parete. Una novità è la presenza di simboli accanto agli schemi, che informano chiaramente sul materiale da utilizzare. Tradotta in cinque lingue, comprende un bel capitolo storico e porta il marchio della FFME, riconoscibile dai numerosi consigli relativi alla sicurezza che dimostrano che qui l’impegno è una parola che racchiude un significato molto importante. Si nota anche un’evoluzione nell’immagine della copertina. Dalle fotografie di scalate, per esempio la partenza di Virilimité, si passa alle foto artistiche: il Pilier Gousseault avvolto dalle brume dell’alba o le sculture da sogno dell’Escalès sono due esempi molto suggestivi! Una splendida realizzazione che non rivela traccia di quello spirito consumista che inquina certe pubblicazioni. L’ultima stesura risale al 2006, ed è stata redatta da nuovi autori, Légier, Alain Jamin e Ristori. È una selezione, “la descrizione non è esaustiva, a causa dei molti divieti alla pratica dell’arrampicata e anche del poco interesse di alcuni itinerari”, precisa la guida. Quali sono i suoi punti forti? Innanzitutto le belle fotografie a colori e l’idea di mettere nella parte alta della pagina una foto d’insieme con un rettangolo giallo che incornicia la zona interessata. Nonostante questo accorgimento, però, è difficile orientarsi se non si conoscono i posti. Tra gli errori, segnaliamo un’omissione molto grave: l’assenza, tra gli autori di Péril Rouge, di Picou e Jean Fabre, che in quell’impresa collettiva hanno svolto un ruolo che non ha niente da invidiare a quello di Guillot e Abert. Alcuni errori sono stati ripetuti da una guida all’altra. Per esempio, l’Opéra è attribuita a François Guillot, Marius Coquillat e Guy Héran. Guillot e Guy Héran, però, non hanno mai scalato insieme e la prima è stata realizzata da Picou e Guillot. Quanto al tracciato di Sommeil Couchant, è completamente sbagliato. Finalmente, grazie a Philippe Bugada, la riva sinistra non viene

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più trascurata: gli appassionati delle gole potranno quindi scoprire le arrampicate tra Aiguines e i Cavaliers. A partire dagli anni Novanta si impone una nuova tendenza: la ricerca della bella roccia prevale su quella di un itinerario più ampio. Certo, il Verdon non è privo di tiri brevi, ma gli appassionati venivano soprattutto per cercare itinerari di una certa dimensione e, per molto tempo, nessun sito ha unito con così tanto successo qualità e quantità! Nel decennio che precede il nuovo millennio, due gruppi di scalatori si attivano in contemporanea sulle due rive del Verdon. Sono tutti professionisti, soprattutto maestri di arrampicata. Le falesie che affrontano sono Bauchet, Vernis e i Cavaliers nella riva sinistra, Courchon, Mainmorte, Bauchet e il Petit Eycharme nella riva destra. Tranne alcune eccezioni, le vie sono composte da uno a tre tiri e godono di un’attrezzatura formidabile che permette di accontentarsi di un set di rinvii. A metà degli anni Settanta la riva sinistra ha visto l’assalto di una prima generazione di pionieri: Abert, Bonnard, Bouscasse, Fustin, Gorgeon, Guyomar. Questi ultimi non hanno disprezzato i Vernis e i Cavaliers, ma hanno focalizzato i loro sforzi su falesie di una certa levatura, Estellié e Maugué. L’Oursinade rimaneva infatti l’unica classica di quei luoghi. Inizio degli anni Novanta: altra epoca, altri costumi. Lo scalatore non è più un selvaggio osservato con stupore e curiosità, ma viene percepito come un protagonista della vita locale: “Riguardo agli scalatori, dobbiamo dire che naturalmente sono i benvenuti ad Aiguines e tutti ci auguriamo che contribuiscano ancora a lungo ad animare il nostro piccolo paese.” L’autore di questo passaggio è proprio Philippe Bugada, il vero fautore del rinnovamento della riva sinistra. Aiutato da molti amici pulisce e poi attrezza parecchie centinaia di tiri, un lavoro davvero considerevole. Il risultato fa pensare a Orpierre, in cui l’arrampicata si è davvero integrata con la vita locale. Aiguines propone una vasta gamma che va dai siti di iniziazione alle falesie principali, che sono Bauchet, Cavaliers e Hauts-Vernis. Qui le vie sono composte da tre tiri al massimo. Sembrano pochi, soprattutto se si fa il paragone con l’altra riva, ma per ricredersi basta percorrere il traverso dei Cavaliers, che si sviluppa su più di trecento metri. Dopo due corde doppie sospese nel vuoto, si

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prosegue per una decina di tiri dentro una parete alta cento metri nella prima parte, piena di strapiombi, in cui il percorso ingegnoso si rivela solo all’ultimo momento. È un bel viaggio di difficoltà moderata – il passaggio chiave non è obbligatorio – che termina con una salita in opposizione tra la parete dei Cavaliers e una splendida guglia dolomitica. In questa parete, tutte le vie sono creazioni della cordata Crespi-Fustin, tranne un’incursione esterna, che aveva risalito il Dièdre neuf. Precisiamo infine che l’appassionato di vie di ampio respiro potrà far visita alle Petites Pointes, un settore situato tra Bauchet e i Cavaliers, in cui le vie di Bugada e Louis competono con le loro corrispondenti sulla riva opposta, come l’Ange e Caca Boudin. Nel frattempo sulla riva destra si verifica un’evoluzione identica. Bernard Gorgeon era stato il primo a trasferirsi a La Palud come professionista ed era stato seguito da Bruno Potié e Alain Moroni. Come membro dell’UCPA, Michel Suhubiette rappresenta un caso a parte. La morte di Alain Moroni e l’impegno crescente di Gorgeon nell’ambito di Jeunesse & Sports mette un freno allo sviluppo dell’ufficio delle guide. La fiaccola viene ripresa da una nuova generazione. Hanno in comune l’età, il diploma da maestri di arrampicata e la volontà di vivere a La Palud: sono Dévoluet, Faudou, Roman e Dobel-Ober. Presto saranno raggiunti da Faneau e Clément e dai colleghi dell’UCPA, Guinet, Jamin e Bestagno. Hanno un debole per le vie dure che sviluppano a Chasteuil, Mainmorte e al Petit Eycharme. In quelle falesie dimenticate, scolpite in una roccia eccellente, c’è ancora tutto da fare. Anche se la tendenza più in voga è quella delle vie attrezzate “chiavi in mano”, alcuni non esitano a sperimentare il terreno vergine, come prova l’incursione di Jean-Marc Roman all’Encastel: il Taf Néfaste risolve il problema del muro compatto a sinistra di L’Aventure, c’est l’aventure. È superfluo presentare Patrick Bestagno, “Petit Patrick”, figura mitica del Verdon da più di trent’anni! Alain Jamin ha scoperto l’arrampicata all’inizio degli anni Settanta nel gruppo degli Excurs Marseillais. Inizialmente si muove all’ombra del fratello maggiore Richard, autore della Castapiagne Rouge, ma negli anni Ottanta Alain partecipa all’apertura di molte prime. Il percorso di Olivier Dobel-Ober è piuttosto atipico e ricorda

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molto quello degli scalatori degli anni Sessanta/Settanta che gettavano alle ortiche laurea e riconoscimenti sociali. Dopo un diploma universitario ottenuto a vent’anni, nel colloquio finale per l’abilitazione all’insegnamento si trova davanti uno dei dinosauri della Pubblica Istruzione. Sceglie di orientarsi verso un corso da maestro di arrampicata, seguito da un brevetto statale. Lavora per due anni come obiettore di coscienza, aiutando Gorgeon, all’epoca responsabile di Lei Lagramusas, e si stabilisce a La Palud. Per uno scalatore, vivere a La Palud significa anche poter scalare tutto l’anno o quasi. In passato la stagione adatta all’arrampicata cominciava a Pasqua e finiva intorno a Ognissanti. Oggi, grazie alle falesie soleggiate come Courchon, il Laboratoire e il Petit Eycharme, è possibile scalare tutto l’anno. I siti appena citati possono sembrare elitari, ma ne esistono altri molto più accessibili, come Vallaute, situato nel punto di inizio della forra accanto all’uscita delle vie di La Plage e L’Empreinte des Millénaires. Il dinamismo dei rappresentanti della nuova generazione non si limita alla manutenzione delle classiche, ma si è espresso anche con la creazione di itinerari che, pur non avendo l’ampiezza di quelli dell’Escalès, superano i 100 metri e possono essere affrontati dagli scalatori di modeste capacità. Infatti Alain Guinet e Mathieu Fanneau hanno aggiornato il settore della Dent d’Aïre, Olivier Dobel-Ober e Jacky Lombardi hanno reso più umano l’Eycharme grazie a Bwana Maline. Sotto la strada provinciale, Bruno Clément ha scoperto una bella parete a valle della cascata di Saint-Maurin. Ne ha approfittato per tracciare due vie, una dedicata a Zidane e l’altra a stagisti sfortunati che sono usciti di notte. Pascal Faudou, invece, è il principale responsabile delle trovate più belle di questi ultimi anni, tra cui Don de l’Aigle alle Félines. Nel mese di settembre del 2003, La Palud è la sede di una manifestazione particolare e molto sentita: Vertigo, una vera e propria festa dell’arrampicata organizzata dai membri del gruppo Lei Lagramusas. L’evento vuole essere festoso e unire passato, presente e futuro senza però diventare la commemorazione di antichi combattenti. Per questo gli organizzatori hanno previsto alcune tavole rotonde che si svolgono nel bel castello di La Palud.

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Da Guillot a Pschitt, tutti ricordano fatti e pratiche. L’argomento storico non è l’unico a raccogliere il plauso del pubblico. Il recente ritorno dei grifoni nell’ambiente delle gole e la presenza dei membri del Parco Regionale e della LPO41 attira molti scalatori e amanti della natura. L’organizzazione dell’arrampicata propriamente detta è perfetta, a cominciare dall’accesso alle falesie. Per rispetto della natura e dell’ambiente, gli organizzatori hanno chiuso l’accesso alla Route des Crêtes, mettendo a disposizione delle navette che sostituiscono i veicoli privati. Dal parcheggio situato all’inizio del burrone di Mainmorte una carrozza porta allo Chalet della Maline. È anche possibile affittare delle Mountain bike al bar Lou Cafetié e scegliere tra escursione e arrampicata. Il club non ha lasciato nulla al caso: gli accessi ai Jardins sono attrezzati con corde statiche, alcuni volontari sono appostati nella parte alta delle falesie sistemando cartine a disposizione dei partecipanti. A questo proposito mi torna in mente un aneddoto: con Bernard Gorgeon, Jacques Keller e Jacques Nosley avevamo previsto di ripetere Saut d’Homme. Un giovane volontario di guardia al punto di partenza della corda doppia di cento metri aveva chiesto a Lon Nol, che era il primo, se avevamo le capacità necessarie per avventurarci su Saut d’homme. Dopo un segno affermativo da parte di Lon Nol ci aveva chiesto di scrivere i nostri nomi su un foglio dove registrava i passaggi delle cordate. Quando ebbe letto sorrise in modo imbarazzato, mentre noi eravamo molto divertiti. In questo modo, ogni partecipante a Vertigo può accedere, senza il solito stress legato alla ricerca degli ancoraggi, ai Jardins des Suisses, des Bananes, des Écureuils o alla Terrasse Médiane. Un’altra bella iniziativa è la proiezione di film di arrampicata sul muro di un edificio, tra due strade principali del paese, a metà strada tra i due bar – cosa che facilita di molto il lavoro dei camerieri, Edlinger in testa – che distribuiscono birra a volontà agli assetati dell’Escalès! È l’occasione di rivedere cult movie come La vie au bout des doigts, ma anche, grazie allo schermo, di guardare gli altri scalare e addirittura cadere in diretta, sotto lo sguardo 41 - Ligue de Protection des Oiseaux (Lega per la protezione degli uccelli). N.d.T.

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ironico dei compagni che si godono lo spettacolo sorseggiando una birra! In un clima conviviale, le diverse generazioni si incontrano, si scambiano opinioni, simpatizzano. Che piacere ritrovare amici di cordata di venti, trent’anni fa! C’è la banda di Gorgeon al completo, Bernard, Nosley, Keller, Lignan, Pepsi; non manca l’anello di congiunzione tra le varie generazioni, Pschitt e Stéphane Troussier, accoliti inseparabili dall’epoca di transizione delle gole; Nate e Picou, un altro duo fortissimo in cui il tempo sembra non aver lasciato nessun segno; Chantal e François Guillot, che con i suoi baffi alla Dalì sembra ancora di più il patriarca delle falesie; i fratelli Rémy, che celebrano l’evento attrezzando nuovamente alcune loro creazioni come Belle Fille Sûre; Marco, il coordinatore, che anima brillantemente vari dibattiti. C’è anche il bel sorriso di Lynn Hill che, tra una cura e l’altra riservata al suo bebè, fa sognare gli interlocutori ricordando la “sua vita in verticale”; Bruno Fara, venuto dal suo Vercors natale, e Pol Pot, figura mitica delle gole; e naturalmente Patrick Edlinger che alla fin dei conti qui è a casa sua. Il secondo giorno, uggioso quanto luminoso era stato il primo, ha visto gli scalatori disertare le falesie e riempire i bar. In ogni caso, il successo della festa ha spinto gli organizzatori a riconfermare l’evento per l’anno successivo. “L’edizione di Vertigo del 2004 ha mantenuto le sue promesse. Un cielo di un azzurro intenso con nuvole splendenti di luce che attraversano i pianori della Haute Provence a tutta velocità, un vento che pulisce l’aria e ravviva i colori: il Verdon si era vestito a festa per accogliere l’orda non selvaggia degli scalatori che si è riversata a La Palud dal 23 al 26 settembre. Le novità di questa edizione sono una grande tenda, centro nevralgico dell’evento, una lotteria di ricchi premi, e una caccia al tesoro di arrampicata in cui si devono guadagnare punti percorrendo vie di livelli valutati in base a una tabella che tiene conto della lunghezza e della difficoltà. E a parte questo? Vertigo conferma di essere l’evento principale del pianeta arrampicata. È forse la bellezza del paesaggio l’elemento comune che lega i partecipanti a queste giornate? O forse è il calore che nasce dalla sensazione di aver condiviso le emozioni intense del tuffo nel grande vuoto, in cui si scivola, in solitaria, su statiche già fissate, lungo la roccia grigia da cui poi si dovrà risalire?”

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Abbiamo dovuto aspettare fino al 2008 per una nuova edizione. In quella occasione Joël Coqueugniot e François Guillot, accompagnato dalla moglie Chantal e dal figlio maggiore, hanno festeggiato i quarant’anni della Demande. Apriamo una parentesi su un argomento che mi sta a cuore, il ritorno del grifone nel Verdon. Le gole del Verdon offrono riparo a una fauna particolarmente ricca, composta soprattutto da rapaci. Quelli notturni comprendono diverse specie di civette, in particolare allocchi, e di gufi, tra cui il gufo reale, l’esemplare più grande. Tra i piccoli rapaci diurni troviamo diverse specie di Falconidi, tra cui il falco pellegrino, che nidifica nelle grandi gole, e soprattutto il gheppio comune, diffuso in tutta la Francia. Sono anche presenti poiane comuni e nibbi bruni. Il Verdon si situa nel limite settentrionale dell’habitat dell’aquila del Bonelli, osservata raramente nelle gole. La zona è abitata anche da altri due bellissimi rapaci, il falco pecchiaiolo occidentale che, come indica il nome latino (Pernis apivorus) è ghiotto di api, e il biancone, che si nutre di serpenti. Nel Verdon nidifica anche l’aquila reale, gigante dei rapaci diurni che però non si nutre di carogne. Non è raro osservarla nel Grand Canyon, anche se da qualche anno la sua forma imponente è sovrastata da quella ancora più impressionante del grifone. Il ritorno di questo “gigante dell’aria” è recente. Maestoso nel volo, questo rapace è uno dei più grandi del mondo. In Francia solo il gipeto e l’avvoltoio monaco, reintrodotti nel Verdon recentemente, possono competere con lui. Vittima di leggende non veritiere che lo vedevano come rapitore di pecore e addirittura di bambini, questo gigante inoffensivo, diffuso nel sud della Francia e lungo tutto il Mediterraneo, un secolo fa risultava completamente assente. La sua scomparsa, provocata dal fucile ma ancor più dal veleno messo nei cadaveri degli ovini, ha privato il mondo contadino di uno spazzino senza pari! “Nel 1988 e nel 1999 i grifoni, recuperati in maggioranza nei centri di cura dei Pirenei, sono stati nutriti, curati e seguiti da scienziati in vista del primo lancio. Alla fine del 1999, dopo più di due anni di presenza in voliera sul posto, una dozzina di grifoni

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erano pronti per essere reintrodotti nel loro ambiente naturale. Nel 2000 e nel 2001 sono stati lanciati circa trenta uccelli, portando il numero di esemplari a una quarantina (di cui trenta circa erano presenti sul posto alla fine del 2001). I tre lanci di grifoni sono stati un successo.” Nel 1997 è stato creato il Parco Naturale Regionale del Verdon. Tra i suoi obiettivi prioritari c’è l’acqua. “Il fiume, vera e propria spina dorsale dei territori del Verdon, rappresenta un valore fondamentale il cui utilizzo origina contraddizioni e conflitti. Questi riguardano la qualità dei corsi d’acqua, la gestione delle risorse, il funzionamento idraulico del fiume.” In questa prospettiva, responsabili del Parco ed eletti della zona del Verdon sono impegnati nell’elaborazione di uno schema di pianificazione e gestione delle acque (SAGE), insieme a un Contratto di Fiume, uno strumento operativo volto alla realizzazione di programmi di risanamento e gestione dell’ambiente. Gli obiettivi principali della SAGE riguardano il miglioramento della qualità dei corsi d’acqua, la preservazione, la valorizzazione dell’ambiente naturale e la promozione di un turismo rispettoso dell’ambiente. A questo proposito, la pratica dell’arrampicata si inserisce abbastanza bene nella politica del Parco. I rapporti sono molto più armoniosi di quanto lo siano stati nel caso del Parco Nazionale dello Yosemite, dove l’aspetto coercitivo del regolamento ha creato conflitti tra scalatori e ranger. Il Parco è impegnato in prima linea nel progetto di reintroduzione del grifone, favorendo la sensibilizzazione del grande pubblico e diffondendo le informazioni e le iniziative del Museo della Preistoria delle Gole del Verdon e della Riserva Geologica della Haute Provence. Questi gestiscono l’eccezionale patrimonio archeologico della regione. Del resto, come ogni Parco Regionale, la sua missione è conciliare nel modo più armonioso possibile attività agricole e turistiche. Ci auguriamo che la missione del Parco preveda anche la protezione del sito eccezionale del Grand Canyon contro i predatori di ogni genere, perché “la vita di questo monumento geologico unico è sempre stata minacciata. Quando Martel, rischiando la vita, ne ha esplorato le acque, lo ha fatto con uno scopo ben preciso: effettuare ricerche in vista della costruzione di impianti idroelettrici. Per questo, già nel 1920, chiedeva che il

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Grand Canyon diventasse una riserva nazionale. Saranno necessari più di sessant’anni perché la sua voce venga ascoltata e presa in considerazione. Nel frattempo, EDF (Électricité de France), con il suo linguaggio in kw/h, continuerà ad essere attratta dalle acque impetuose di questo torrente che scende dalle montagne. Dopo aver ottenuto alcune soddisfazioni, non abbandona la preda e propone un nuovo progetto: la diga di Chasteuil.” Il Consiglio Regionale, presieduto da Gaston Defferre, nomina una commissione d’inchiesta. L’investimento pubblico necessario si rivela esorbitante e ancora una volta la catastrofe viene evitata per un motivo economico e non per rispetto dell’ecologia. Di fronte alla reazione dei movimenti di protezione della natura, il ministro dell’ambiente, Michel Crépeau, propone di inserire le gole del Verdon nell’area delle zone tutelate. Le minacce nei confronti delle gole, però, non sono ancora terminate, come riferisce il compianto Stéphane Dewèze in un documento dal titolo Verdon: “EDF, poco incline a lasciare il certo per l’incerto, aveva perso una battaglia, ma non la guerra. Le restava il progetto di Barbin, inizialmente simile. Alcuni si chiedono se il progetto di Chasteuil, un po’ eccessivo, non servisse proprio a far digerire quello di Barbin.” Parallelamente alla scomparsa di questa porzione di “wilderness” provenzale rappresentata dal plateau di Bargin, all’orizzonte si intravede una nuova minaccia: il desiderio, manifestato da un gruppo finanziario tedesco, di costruire un importante complesso turistico di lusso a Sainte-Croix. Come scrivono Belden e Colombel, “decisamente, il Verdon continua a generare bramosia, pur avendo già pagato un pesante tributo alla politica energetica della Francia con le sue cinque dighe e l’immenso campo militare di Canjuers.” Queste minacce sembrano evitate, ma il recente progetto di una linea ad alta tensione attraverso la zona del Verdon prova, se ancora ce ne fosse bisogno, che non si è mai abbastanza vigili. Il Duc La frase seguente, tratta da Passages Pyrénéens, purtroppo corrisponde agli eventi verificatisi recentemente nel Verdon: “Tribù fragile, turisti furtivi spesso squattrinati, gli scalatori sono una preda che si sacrifica facilmente alle esigenze di una “ecologia da bazar”. I provvedimenti conservatori generati da questa politica

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considerano l’uomo un intruso, non appena esce dai sentieri battuti o definiti di un universo normativo in cui la società cosìddetta moderna sembra volerlo confinare.” L’idea di terminare questo libro con la storia del Duc, che fu all’origine dell’arrampicata nelle gole e che per poco non fu eliminato dal patrimonio, mi è sembrato un modo interessante di chiudere il cerchio. Prima, però, torniamo a un avvenimento che la stampa aveva battezzato “la faccenda di Rougon”. Gli avvenimenti risalgono all’estate del 2000. Il consiglio municipale di Rougon delibera di vietare l’arrampicata e la pratica del base jumping nel territorio del comune. Il sindaco “senza etichetta” di Rougon dichiara che i suoi elettori “vogliono continuare a essere i padroni dello sviluppo turistico nel loro territorio”! Rougon è un comune che conta 85 abitanti, tra cui 35 cacciatori – il comunicato non precisa se sono cacciatori buoni o cattivi – e più di 200 persone in estate, grazie alla presenza delle seconde case. A differenza di La Palud, in cui la pratica dell’arrampicata ha modificato l’aspetto socio-economico del paese, Rougon non riceve nessun beneficio da questa attività. Il sindaco si basa sull’articolo 544 del Codice Civile che sancisce il diritto assoluto di un proprietario di godere del suo bene. L’ambiente degli scalatori viene privato dell’Aigle, del Duc e dell’Encastel. Nel settembre del 2000, la FFME e il CAF, con il loro consulente legale, l’avvocato Olivier de la Robertie, intentano di comune accordo un ricorso al tribunale amministrativo di Marsiglia per “eccesso di potere”, contestando il concetto di “dominio privato comunale” e la facoltà di proibire un’attività che deriva da una libertà pubblica fondamentale. Il decreto del 31 luglio 2000 viene annullato per il suo carattere di interdizione assoluta, sproporzionato rispetto agli scopi prefissati. La municipalità di Rougon non si arrende e con l’intermediario del consiglio municipale promulga un nuovo decreto che vieta la pratica dell’arrampicata e del base jumping in “alcuni settori del dominio privato del comune”, basandosi sul principio che la pratica di questi sport può disturbare l’insediamento di grifoni nel comune: “L’associazione Vautours nella Haute Provence e la LPO, in collaborazione con il comune, hanno intrapreso nel 1996 una reintroduzione del grifone nel suo ambiente naturale. Questi uccelli che nidificano nelle falesie

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rappresentano una sicura opportunità per il futuro economico del comune, e occorre quindi operare in modo da assicurare il loro insediamento perenne sul territorio comunale.” In quanto amante della natura mi pongo alcune domande! E i colpi di fucile sparati dai cacciatori? Fatico a credere che quegli scoppi non disturbino i grifoni! La tesi sostenuta vacilla, tanto più che nelle falesie in cui sono stati reintrodotti i grifoni esiste un modus vivendi soddisfacente per tutti. Nelle gole della Jonte, alcune falesie riservate ai grifoni sono vietate, altre invece sono disponibili per le arrampicate. Nelle falesie spagnole di Riglos, da cui provengono i nostri grifoni delle Cevenne, già da decenni alcune pareti ospitano i nidi, altre gli scalatori. Bruno Clément, che di tanto in tanto lavora con la Lega per la protezione degli uccelli, ha un’opinione personale sulla questione: “Gli ornitologi non possono arrivare ai nidi, e quindi per andare a cercare gli uccelli ricorrono agli scalatori. L’anno scorso sono andato a cercare delle aquile per l’inanellamento dei piccoli. Si arriva in due scalatori, il primo agita un grande bastone per far scappare le aquile adulte, mentre il secondo si precipita nel nido per prendere il piccolo, infilargli la testa in un sacchetto e portarlo giù o su. Poi tutti gli ornitologi, i membri delle associazioni e delle federazioni, delle leghe per gli uccelli, lo studiano per due ore, gli fanno una puntura o lo marchiano. È il loro lavoro, ma penso che il passaggio di uno scalatore in lontananza, che saluta l’uccello se lo vede, non sia più traumatizzante di questo. Del resto, i grifoni reintrodotti nella falesia di Rougon, che è stata vietata, ora sono autonomi e cominciano a migrare: vanno nelle falesie dove trovano gli scalatori!” Il tribunale amministrativo di Marsiglia annulla il secondo decreto municipale, ma per evitare di disturbare i rapaci viene vietata agli scalatori la falesia dell’Aigle, che ospita i nidi. Oggi si è creata una collaborazione tra la LPO e gli scalatori che, tramite Lei Lagramusas, informano gli ornitologi sulle migrazioni e i movimenti dei grifoni verso l’Escalès, pronti a circoscrivere e vietare le zone frequentate dagli uccelli per nidificare. Il Duc, pietra miliare dell’arrampicata nelle gole, può quindi continuare a ricevere “in completa legalità” la visita degli scalatori. Questi non si fanno certo pregare, come risulta dal numero delle nuove aperture. Dall’inizio del nuovo millennio sono state tracciate

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non meno di cinque nuove vie, cioè più del doppio di quelle che percorrono la famosa parete. È un peccato che nell’ultima guida siano presenti solo le vie moderne! Purtroppo non sono indicate le grandi vie miste come Marseillais, Marins Perdus e Ces lieux que les pierres regardent. Piuttosto incassato, il Dièdre Samson non ha mai riscosso lo stesso successo degli Enragés e non viene più compreso nella parete. Per molto tempo, l’unica altra via del Duc è stata la Voie des Marseillais. Questo itinerario intelligente, che risale al maggio del 1975, collega con furbizia i diversi sistemi di Rampe che percorrono la parete nella sua parte sinistra, prima di trovare un cammino nel bombé finale. È un risultato del fiuto e della sagacità di Michel Charles e Richard Jamin. Il primo tentativo fu interrotto presto, perché Richard si era slogato una caviglia attraversando il Verdon. La seconda si annunciava sotto i migliori auspici: Michel aveva superato in modo magistrale il passaggio chiave della parte bassa, un muro strapiombante classificato 6b e A3, che ha suscitato l’ammirazione dei rari ripetitori come Lionel Catsoyannis. Richard, che ripuliva un tiro, immerse la testa in un cespuglio per recuperare il cordino che Michel aveva avvolto alla base dell’arbusto. Quando la tirò fuori, aveva gli occhi rossi e gonfi come un criceto colpito da mixomatosi! Un’allergia scoppiata nel momento meno opportuno che costrinse la cordata a tornare indietro! Il terzo tentativo ebbe successo. Nel frattempo, il duo si era trasformato in trio: Bernard Bouscasse forniva un apporto non trascurabile in termini di tecnica, morale e buon umore. Per risparmiare tempo, i tre compari decidono di seguire il sistema di Rampe che comincia all’estrema sinistra della parete: questo permette loro di arrivare al punto più alto raggiunto nel tentativo precedente e di evitare quindi il problema della parte bassa. Alla fine della rampa superiore li aspetta una bella sorpresa: una cengia spaziosa, ingombra di legna secca, luogo ideale per un bivacco rallegrato da un fuoco da campo, “deplorevole stile boy scout in un ambiente di sesto grado”! La parte alta riserva indubbiamente un altro passaggio chiave: il bombé che separa le Rampe del diedro superiore. Equipaggiato con tutto il materiale, Michel attacca quel tiro problematico senza troppa convinzione. Il primo chiodo cede e si ritrova a testa in giù a contemplare il Verdon. Cambio cordata, trasferimento del materiale, e Richard affronta con brio il bombé

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percorso solo da una colonnina di tufo, dopo una chiodatura molto delicata su piccoli buchi, forando di tanto in tanto la colonnina con un piccolo chiodo universale. Questo tiro chiave è stato inserito in un recente itinerario di Bruno Clément, Une jolie fleur dans une peau de vache, che l’ha attrezzato. Anche se meno impegnativa degli Enragés, soprattutto grazie alle Rampe che permettono la ritirata, la Voie des Marseillais è stata tracciata senza ricorrere al perforatore! Bisogna aspettare più di quindici anni per assistere alla creazione di un nuovo itinerario. Nel corso dell’estate del 1986, Mansart e Suchet scalano Ces lieux que les pierres regardent. L’itinerario inizia con il diedro evidente situato a sinistra degli Enragés. Questo diedro aveva assistito a un certo numero di tentativi: il primo conosciuto è quello dei marsigliesi Bouscasse e Bonnard all’inizio degli anni Settanta, ma nessuno aveva superato il diedro iniziale. Arrivati a tre quarti, è possibile collegare gli Enragés alla nicchia bivacco che segue il “bombé dei gollot”. Un itinerario ispirato e di grande qualità, come sostiene il primo ripetitore, Lionel Catsoyannis, che ne ha approfittato per realizzare la prima solitaria, aprendo anche un’uscita originale. Dopo aver ripetuto tutte le grandi vie miste, Lionel Catsoyannis ha circondato gli Enragés con due novità: Série limitée nel 2001 e Alix nel 2004. Infine, non possiamo non parlare della grande via mista in stile classico del decennio: Marins Perdus, un riferimento al rimpianto Jean-Claude Izzo firmato Gilles Crespi, che potrebbe davvero incarnare un personaggio dello scrittore marsigliese. Se fosse un marinaio, lo sarebbe di “acqua salata”, ma è muratore, “muratore di Marsiglia, eccome! Mani mostruose e un cuore ancora più grande!”, Cambon dixit. Evento piuttosto raro, Crespi non è in cordata con il solito compagno, François Ranise. Verso la metà degli anni Novanta, quando comincia a realizzare una serie di prime di alto livello, Crespi ha già alle spalle vent’anni di esperienza nel Verdon. L’incontro con Ranise e Guigliarelli gli permette di sfruttare al meglio le sue potenzialità. Segue una serie impressionante di prime in stile classico, in grandi muri dimenticati perché situati fuori dai luoghi in voga: all’Encastel, un trittico stupefacente all’Imbut, Total Khéops, Tourniquet Mongol e il Pilier de la Belle

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de Mai. Infine, sempre con François Ranise, Papy qué dévers nella parete del Fayet, strapiombante di cinquanta metri. E ora Marins Perdus! Dopo un tentativo nel 2002, solo nel mese di agosto del 2004 il gruppo, dopo aver raggiunto un accordo sul programma ed essersi munito di un nuovo materiale sotto forma di “bird-beaks” e di piccoli scalpelli da piastrellista affronta l’ostacolo principale: un grande muro nerastro che lo separa dalla prossima cengia. Seicento piccoli minuti dopo, ha fine il calvario di Gilles, addetto all’assicurazione, malmenato dalle raffiche di un mistral ghiacciato: Hervé ha raggiunto la sosta. Descrive così l’ultimo giorno di arrampicata: “Siamo in tre, in compagnia dell’imperturbabile Jean Devaud, e ci lanciamo per una terza giornata sul Duc, ben decisi ad andare sino alla fine. Per evitare i grandi strapiombi della cima, affrontiamo i tiri seguenti con un traverso a destra. È un particolare poco rilevante per un non mancino, tranne quando bisogna togliere i chiodi (immaginate di avere un martello in mano, se non avete colto il particolare!). La progressione lungo gli strati ascendenti è abbastanza facile, ma siccome lo spartiacque sale nella stessa direzione corriamo il rischio di finire nel Dièdre Samson prima di arrivare sulla cima.” Un timore infondato, in quanto presto emerge un trio di scalatori “stremati, maldestri in mezzo a un mucchio di corde e di ferraglia, naufraghi volontari sull’isolotto più vertiginoso.” Quarant’anni dopo le prime epopee nel canyon, il mito è ben lungi dall’essere morto. Certo, il Verdon non è più il banco di prova dell’arrampicata europea come lo è stato negli anni Settanta/ Ottanta. È entrato nella fase che Tito Piaz definisce in questo modo: “Più tardi, l’alpinismo cominciò a perdere quello che lo rendeva speciale, a non essere più appannaggio di un gruppo di eletti e, scendendo dal trono, finì per essere una cosa comune, trascinando nella decadenza i suoi ministri, i suoi sacerdoti e i suoi devoti.” Oggi ci sono ben altre falesie che comprendono vie altrettanto difficili e a volte più lunghe e impegnative. Ma non è questo l’essenziale. “L’arrampicata non ha bisogno di giustificazioni, come non ne servono per contemplare un tramonto, ascoltare una grande sinfonia o innamorarsi”, scrive Ullman. Allora, una volta raggiunto il pianoro, basta slacciare le scarpe, togliersi la corda e

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l’imbrago e lasciarsi invadere dalla magia affascinante del canyon. Ho avuto la fortuna di vivere nell’epoca dei pionieri, di conoscere il mito Verdon al suo apogeo, di essere solo con il mio compagno per giorni e giorni ad arrostire al sole, di rabbrividire quando questo cala e l’ombra invade il canyon, di asciugare inutilmente le mani prima di un passaggio difficile da affrontare con la gola secca, e di contemplare quella luce tipica dei crepuscoli della Haute Provence, che spegne i suoi ultimi fuochi sul Morre de Chanier. Che cosa posso chiedere di più? Niente, tranne forse di poter contemplare ancora per qualche anno, appeso a un ginepro, quei luoghi testimoni di così tanti ricordi felici.

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