SKIALP tra GRAN SASSO e SIBILLINI

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C. IURISCI – F. DE ANGELIS – R. LE DONNE

SKIALP tra GRAN SASSO e SIBILLINI APPENNINO RIPIDO ED ESPLORATIVO VOL. 1 – Sibillini, Reatini, Laga, Gran Sasso, Velino, Simbruini-Ernici

EDIZIONI VERSANTE SUD | COLLANA LUOGHI VERTICALI | SKI


Prima edizione Dicembre 2020 ISBN 978885547 0285 Copyright © 2020 VERSANTE SUD – Milano, via Longhi, 10. Tel. +39 02 7490163 www.versantesud.it I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Copertina

Annibale nel canale Sivitilli

Testi

Cristiano Iurisci – Fabrizio Da Angelis – Rinaldo Le Donne

Fotografie

Degli autori, tranne dove diversamente specificato

Cartine

Chiara Benedetto. © Mapbox, © Open Street Map

Simbologia

Tommaso Bacciocchi e Chiara Benedetto

Impaginazione

Chiara Benedetto

Stampa

Tipolitografia PAGANI (BS)

Km ZERO

da autori Guida faottae sviluppano che vivoni su territorio lo sc l

È una guida a KM ZERO!

Cosa significa? Che è più sana e ha più sapore, perché fatta da sciatori locali. Come i pomodori a Km 0? Certo! E la genuinità non è un’opinione. Gli autori locali fanno bene a chi scia: – hanno le notizie più fresche e più aggiornate; – non rifilano solo i tour più commerciali; – reinvestono il ricavato in nuovi itinerari. Gli autori locali fanno bene al territorio: – pubblicano col buonsenso di chi ama il proprio territorio; – sono attenti a promuovere tutte le località; – sono in rete con la realtà locale. E infine la cosa più importante:

sulle loro itinerari, c’è un pezzetto del loro cuore

Al mio amico Spiky Nota

Fabrizio

Lo scialpinismo e lo sci ripido sono attività potenzialmente pericolose, chi le pratica lo fa a suo rischio e pericolo. Tutte le notizie riportate in quest’opera sono state aggiornate in base alle informazioni disponibili al momento, ma vanno verificate e valutate sul posto e di volta in volta, da persone esperte prima di intraprendere qualsiasi escursione.


Km ZERO Guida fatta da autori che vivono e sviluppano lo sci sul territorio

C. IURISCI – F. DE ANGELIS – R. LE DONNE

SKIALP tra GRAN SASSO

E SIBILLINI

APPENNINO RIPIDO ED ESPLORATIVO VOL. 1 – Sibillini, Reatini, Laga, Gran Sasso, Velino, Simbruini-Ernici

EDIZIONI VERSANTE SUD


PREFAZIONE Lo scialpinismo è forse l’attività ludica, legata alla montagna, più vicina ai concetti astratti di libertà e di fantasia. Avendo davanti un pendio innevato e in fondo una cima da raggiungere, in realtà la linea di salita, ma soprattutto quella di discesa, non sono strettamente prefissate, ma al contrario sono del tutto frutto della fantasia e dell’esperienza dello scialpinista. Non si è mai obbligati a seguire indicazioni, bolli, bandierine, bivi, incroci e sentieri battuti; si è sempre contemporaneamente sia “fuori” sentiero che nella traccia giusta. Sta infatti allo scialpinista scegliere la linea che lui reputa

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la migliore da seguire, magari decidendola all’istante, all’ultimo momento. La neve infatti cancella ogni segnaletica e rende tutto come un enorme foglio bianco nel quale lo scialpinista può sprigionare tutta la sua fantasia. E quel che resta del suo passaggio è una traccia effimera, per cancellare la quale a volte basta solo un poco di vento, o un caldo sole primaverile o una nuova nevicata. Questo è forse l’essenza del perché di questa attività: sempre mutevole e sempre diversa, anche facendo lo stesso itinerario. Fox (F. Volpe) in salita sulla Direttissima Sud del Brancastello, itinerario 59)  

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RINGRAZIAMENTI Dedichiamo questo libro a tutti coloro che abbiamo incontrato in montagna: da quelli bravi e quelli meno, dai sinceri agli opportunisti, dai disinteressati a quelli meno, dagli appassionati agli esplorativi, da quelli che amano la performance ai contemplativi, perché crediamo che tutti abbiano contribuito al nostro bagaglio di ricordi. Siamo convinti che una bella giornata passata tra le alte quote, tra le nostre amate nevi, rimanga sempre un’esperienza positiva. Ciò che serbiamo dentro, ciò che più ci rimane, alla fine sono solo le belle cose. Per cui ringraziamo tutti coloro che hanno incrociato le nostre tracce e le nostre curve, che ci hanno aiutato a migliorare i nostri pregi e a limare i nostri difetti. Soprattutto lo dedichiamo a chi non è più tra noi, ma che aveva tracciato un ideale di montagna che tutt’ora seguiamo.

Rinaldinho (R. Le Donne), Brak (M. Bracali) e Annibale (F. De Angelis) all’attacco della Cresta N di Punta Trento, itinerario 90


SOMMARIO Mappa generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 Valutazione delle difficoltĂ . . . . . . . . . . . . . . . 16 La struttura del libro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 Meteo e neve in Appennino . . . . . . . . . . . . . . . 28 Simbologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

SIBILLINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

01. M. Rotondo, Canale Crik Crok . . . . . . . . . 56 02. 3a. 3b. 3c.

Scialpinismo da favola‌ . . . . . . . . . . . . . . 60 P. Tre Vescovi, Canale della Clessidra . . 62 P. della Regina, P.te Nord da Bolognola . . 66 P. della Regina, Parete Nord da Vetice . . 68 P. della Regina, Parete Nord da Ussita . . 70

Valle dei Briganti, in fondo il Solco della Val di Teve e le cime del Murolungo, mentre a sinistra le rocce di Rava Palazzo

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04. Cima di Passo, Cattivo da Macchie . . . . . 74 05. Argentella, C.le d’Argento e Fosso

Mozzacarne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .76 06. M. Argentella e M. Porche, Canale della Toga e Fosso Brecciaro . . . . . . . . . 80 07. M. Argentella M. Porche C. Vallelunga . . 84 08. C. del Redentore, C.le NE F.lla del Lago . 88 09. M. Vettore, Canale del Santuario . . . . . . 90 10. M. Vettore, Canale diretto alla Vetta . . . . 94 11. Anticima Nord del Vettore, Cresta del Sassone e Fosso di Casale . . . . . . . . 98 12. M. Vettore, Fosso di Colleluce . . . . . . . . 100

MONTI REATINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102

13. 14. 15. 16. 17. 18. 19.

Terminillo, Canale Orsacchiotta . . . . . . 110 Terminillo, Canale che non c’è . . . . . . . 112 Terminillo, Dorsale Nord-Est . . . . . . . . 114 Terminillo, Via Chiaretti-Pietrostefani . 116 Terminillo, Canale 1° maggio . . . . . . . . 118 Monte Elefante, Diretta Nord . . . . . . . . 122 Monte Pozzoni o Pizzuto da Sud . . . . . . 124

MONTI DELLA LAGA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126

20. Macera della Morte da Umito . . . . . . . . 132 21. Pizzo di Sevo, Via Diretta Sud . . . . . . . . 136

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01

02

03

04 05-07 08-12

20 19

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36-39 40-42

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98-101

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58 59 60-68 70-74

75 76


22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29.

Cima Lepri, Fosso di Iaccio Porcelli . . . 140 Pizzo di Moscio per la Morricana . . . . . 142 Monte Spaccato Fosso della Pacina . . . 144 M. Spaccato M. Gorzano per la Fiumata 148 Monte Gorzano, Fosso Gorzano . . . . . . 152 Monte Gorzano per la Cimata . . . . . . . . 154 C. della Vaccareccia da Cesacastina . . 158 M. di Mezzo, Costa Calda e Fosso Malbove . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160

GRAN SASSO D’ITALIA . . . . . . . . . . . . . . . 162

30. 31. 32. 33. 34. 35.

Ienca e Morrone, Canale Est . . . . . . . . . 176 C. delle Malecoste, Ca.le Acqua Grossa 178 Cima delle Malecoste, Nuovo Mattino . 180 C. delle Malecoste, Anfiteatro Nord . . . 182 Pizzo Cefalone, Cresta Nord . . . . . . . . . 184 Pizzo Cefalone, Canale Sud-Ovest . . . . 186 Pizzo Cefalone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 188 36. M. Corvo Ovest, Cresta W e Campiglione192 37. M. Corvo, Parete Sud . . . . . . . . . . . . . . . 196 38. Mozzone, Abracadabra e C.le Torri Nascoste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 198 39. M. Corvo, Capovelle e Cresta NE Malecupo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202 40. P. Intermesoli, Canali del Brecciarone . 206 41. Pizzo Intermesoli, Canale dei Pilastri . . 208 42. Pizzo Intermesoli, Direttissima Est . . . . 212 43. Punta dei Due, Canale Bergonzini . . . . 218 44. Corno Piccolo, Canale delle Tre Vie . . . 222 45. Corno Piccolo, Via del Canalone . . . . . . 224 46. Corno Piccolo, Trittico Canali Nord (Camino di Mezzo, Sivitilli, Bonacossa) 228 Vorticoso e continuo caleidoscopio bicolore . 232 47. Corno Grande Vetta Or.le, Cresta Nord . 236 48. Corno Grande Vetta Or.le, Canalele Haas-Acitelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 240 49. Corno Grande Vetta Occ.le, C.le Centrale 244 50. Corno Grande Vetta Occ.le, Canale Moriggia-Acitelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 248 51. Corno Grande Vetta Occ.le, Direttissima 250 52. Corno Grande Vetta Occ.le, C.le del Tempio e variante sulla Cresta . . . . . . . 252 Lascia stare Dio… . . . . . . . . . . . . . . . . . . 254 53. Corno Grande Anticima Nord, Diretta . 258 54. Corno Grande Vetta Occidentale, Diretta ai Ginepri per la Brizio . . . . . . . . 260 55. Corno Grande Vetta Occidentale, Canale dello Scrimone . . . . . . . . . . . . . . 264 56. Corno Grande e Corno Piccolo, Traversata e Canale Sivitilli . . . . . . . . . . 268 57. Vetta Centrale, C.le Jannetta e Paretone 270 58. M. Brancastello, Diretta N per La Goccia . 274

59. M. Brancastello, Direttissima Sud . . . . 276 60. I Torre di Casanova [2360m] Via CAI

Penne e Via Familiari . . . . . . . . . . . . . . . 278 II Torre di Casanova, Diretta Sud . . . . . . 280 III Torre di Casanova, C.le del Pinnacolo 282 M. Infornace, Giro dell’Infornace . . . . . . 286 M. Infornace, Rionne Var. Campanile Giallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 290 65. M. Infornace, Canale Destro di Rionne 292 66. M. Infornace Via Cieri . . . . . . . . . . . . . . . 294 67. M. Prena, Canala e Laghetti . . . . . . . . . 298 68. M. Prena per il Fossaceca . . . . . . . . . . . 304 69. M. Pisciarellone per la Fornaca . . . . . . 308 70. 1° Pilastro del Camicia, Gravone . . . . . 310 71. Dente del Lupo, Gravon-Est . . . . . . . . . 312 72. Dente del Lupo, Attenti al Lupo . . . . . . 316 73. M. Camicia, Canale del Centenario . . . 318 74. M. Camicia, C.le del Masso del Camicia 320 75. M. Siella per Valle Cupa (da Rigopiano) 322 76. Monte San Vito da Rigopiano . . . . . . . . . 324

61. 62. 63. 64.

VELINO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 326

77. 78. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. 91. 92. 93. 94. 95. 96. 97.

Monte Ocre, Canali del Ventaglio . . . . . 336 M. Ocre, Canalino Direttissimo di Vetta 338 Pizzo delle Fosse, Canale Nord . . . . . . . 340 Monte Cornacchia Direttissima . . . . . . . 342 C. Orientale C. Occ.le, Tour dei 2 Costoni 344 Gita al Monte Costone . . . . . . . . . . . . . . 348 Morrone della Duchessa, Cresta NE . . 350 Murolungo, Parete Nord . . . . . . . . . . . . 352 Murolungo, Canale Polledrara . . . . . . . 354 Cima Roscia Grande, Canale Nord . . . . 356 Costone della Cerasa, Costa Stellata . . 358 Costa della Tavola, Allegra Compagnia 362 Punta Trieste, Cresta-Dorsale Nord . . . 366 Punta Trieste, Gemellino Destro . . . . . . 370 Punta Trento, Cresta Nord . . . . . . . . . . . 372 Cima Trento, Direttissima Ovest . . . . . . 376 Monte Cafornia, Coste Cafornia . . . . . . 380 Monte Cafornia, Gran Diedro . . . . . . . . . 382 Cima Avezzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 386 Monte Velino, Vallone della Chiave . . . . 388 M. Rozza 2064, Canalino del Rozza . . . . 392 M. Tino per la Serra dei Curti . . . . . . . . 396

MONTI SIMBRUINI-ERNICI . . . . . . . . . . . . 398

98. M. Viglio, Canalone Diretto . . . . . . . . . . 402 99. Monte Viglio, Via del Cuculo . . . . . . . . . 404 100. Monte Viglio, Canale delle Portelle . . . . 406 101. M. Viglio, Canale della Macchialunga . . 410 102. Pizzo Deta Peschiomacello . . . . . . . . . . 412 11


INTRODUZIONE L’IDEA L’idea non è nuova. È da anni che se ne discuteva tra i soliti noti, ma tutto rimaneva lì. Scrivere una nuova guida oltre a essere molto impegnativo, non sembrava poi così necessario o quanto meno utile. Ma il gruppo al seguito de “il Dottore” con il tempo si è fatto sempre più numeroso e soprattutto più esigente con una continua richiesta di tracce, suggerimenti e relazioni di numerosi itinerari inediti che negli anni “il Dottore” e i soliti noti avevano percorso. Con il tempo si era diventati custodi di tutti quegli itinerari inediti percorsi sia da noi che da altri, itinerari non presenti in rete o semplicemente non sufficientemente descritti. La svolta decisionale è avvenuta però solo negli ultimissimi tempi quando in una numerosa tavolata di fine anno (scialpinistico) ci si è accorti di come il numero di questi itinerari fosse diventato davvero cospicuo. Inoltre erano sempre più quelli che più o meno direttamente ci incitavano a scrivere una nuova guida. Pupetta (F. Mastromauro) in discesa dal Pizzo Cafornia, itinerario 92  

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PERCHÉ L’idea dunque c’è, magari anche la volontà di scriverla, ma il fatto che fossero presenti già numerosi libri e guide sullo scialpinismo in Appennino centrale frenava molto le nostre intenzioni. Non riuscivamo a rispondere alla domanda del perché fosse necessario scriverne un’altra. Poi arriva una seconda svolta, vale a dire la presa di coscienza dello stile che avrebbe dovuto caratterizzare la nuova guida, che fosse cioè non un semplice elenco di proposte aggiuntive alle guide già presenti. Difatti nel panorama editoriale mancava una guida nella quale la maturità e l’esperienza dello sciatore diventassero la parte più importante della riuscita di una gita, dove la lettura della neve, della sua qualità, quantità e dei suoi pericoli diventassero la parte fondamentale se non essenziale di una gita. In ultimo, ma non per ultimo, mancava quasi completamente una guida dedicata allo sci ripido-esplorativo in Appennino. Con questa opera insomma ci piace l’idea che lo scialpinismo possa essere equiparato a un’arte che diventa la somma e il frutto di varie capacità che solo l’uomo possiede. In primo luogo ci vuole la passione per la montagna, per la neve e per la montagna innevata, poi l’immaginazione per la linea di discesa, infine la scienza e la conoscenza diventano necessari per capire come qualità, tipologia di neve e meteo siano interconnessi per la scelta dell’itinerario da intraprendere. Si spera quindi che questa nuova guida non sia più solo un elenco di itinerari, ma quasi un compendio per osservare con occhi diversi la neve e le nostre montagne trasformando una gita non in una mera attività ludica, ma in una esperienza completa.

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Introduzione

Molti degli itinerari descritti sono nati così con questo spirito e con questa “arte” e cioè con immaginazione e curiosità da una parte, conoscenza ed esperienza dall’altra. E allora diamo fondo all’immaginazione, scaviamo dentro la nostra memoria e la nostra mente cercando di capire la neve e i suoi segreti, oltre che le pieghe delle nostre montagne! La guida non è esaustiva di tutto ciò che è possibile fare e sciare, sulle nostre montagne, la fantasia può, fortunatamente, ancora correre, anche in uno spazio limitato come il nostro Appennino, dove l’unico vero freno è semmai dettato dai cambiamenti climatici con un innevamento sempre meno cospicuo e duraturo.

CRITERIO DI SCELTA DEGLI ITINERARI Gli itinerari in Appennino centrale sono innumerevoli, molti dei quali già pubblicati, ma nel panorama editoriale mancava una guida dedicata allo sci ripido, dunque la guida è incentrata principalmente su questo genere di itinerari, ma non solo. Abbiamo ritenuto importante integrarla con un certo numero di itinerari inediti, alcuni magari lunghi o in luoghi poco frequentati, perché crediamo che lo scialpinismo sia uno dei migliori modi per conoscere il proprio territorio e le proprie montagne. Abbiamo cercato inoltre di inserire gite (magari anche già note) in maniera tale da coprire un po’ tutti i settori geografici.

Rinaldhino (R. Le Donne) salta nel tratto chiave della Direttissima Est all’Intermesoli, itinerario 42

LA VALUTAZIONE DELLA DIFFICOLTÀ Il problema della classificazione delle difficoltà scialpinistiche ha origini lontanissime e da sempre ha suscitato dibattiti e perplessità nei frequentatori della montagna invernale. Infatti se è relativamente semplice definire – basta misurarla! – l’inclinazione di un dato pendio, quando si vuole dare una valutazione globale della difficoltà di un itinerario scialpinistico le cose si complicano inevitabilmente. Entrano in gioco infatti molti fattori non facilmente quantificabili né tantomeno misurabili, che spesso risultano difficili da condensare in uno scarno grado di difficoltà: diversi scialpinisti, al ritorno da una gita si saranno chiesti il perché di una valutazione che non trovava riscontro sul terreno.

Velino e Cafornia  

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VALUTAZIONE DELLE DIFFICOLTÀ Il primo sistema di valutazione delle difficoltà scialpinistiche risale alla fine degli anni ’40 e fu introdotto dal francese Gérard Blachère. LA SCALA “BLACHÈRE” Questo sistema molto semplice consiste in tre abbreviazioni principali e una abbreviazione complementare. •

MS – Medio Sciatore. Sciatore in grado di curvare su pendenze medie inferiori a 25°. Teme il ripido e i passaggi stretti.

BS – Buon Sciatore. Pendii fino a 40°, per tratti brevi e poco esposti.

OS – Ottimo Sciatore. Padronanza tecnica su terreno ripido anche oltre 40° e nei canali stretti.

A – Alpinista. L’aggiunta di questa lettera indica un itinerario con difficoltà di carattere alpinistico per le quali lo sciatore deve conoscere l’utilizzo della corda, della piccozza o dei ramponi (attraversamento di ghiacciai crepacciati, tratti di arrampicata, pendii ripidi, ecc.).

Si ottiene così: •

MSA – Medio Sciatore Alpinista

BSA – Buon Sciatore Alpinista

OSA – Ottimo Sciatore Alpinista

La maestosità del Corno Grande e Piccolo separati dal Vallone delle Cornacchie

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La Scala Blachère è quella tuttora utilizzata nella quasi totalità delle guide di itinerari in Italia e verrà utilizzata anche in questa guida, sebbene solo per quegli itinerari facili o relativamente tali. Non appena l’itinerario superi una certa complessità o si renda necessaria una certa padronanza tecnica, abbiamo ritenuto indispensabile utilizzare una scala più appropriata. La valutazione Blachère la useremo solo per gli itinerari semplici, poiché riteniamo sia totalmente soggettiva poiché basata sul livello dello sciatore. Qual è la definizione corretta di un Ottimo Sciatore? Uno sciatore che ha padronanza delle tecniche o uno che non cade mai? Sarebbe come misurare la violenza delle onde con giudizi sulla capacità del marinaio (buon navigatore, ottimo navigatore, ottimo navigatore oceanico). E come se i gradi del vino fossero misurati dall’ebrezza di chi lo beve (Cit. G.A. Alberto Paleari). LA SCALA “TRAYNARD” Philippe Traynard, professore universitario a Grenoble. Per valutare gli itinerari dei suoi libri Philippe Traynard utilizza il sistema Blachère, ma gli aggiunge una valutazione dei passaggi in discesa da S1 a S6. Il passaggio, o tratto di una discesa, viene così valutato facendo un parallelo con la scala delle difficoltà alpinistiche dell’epoca che andavano dal 1° al 6° grado. Questo sistema, dopo esser stato adattato per tener conto dell’evoluzione del livello degli sciatori, è tuttora utilizzato nelle valutazioni come complemento della Scala Alpina. Nella Guida verrà inserita occasionalmente, in caso di necessità specifica. Valutazione puntuale basata sulla Scala Traynard. La valutazione puntuale è in particolare molto utile per indicare un breve passaggio ripido in una discesa globalmente più facile o per segnalare un passaggio esposto.

SCALA “TRAYNARD” S1

Itinerario facile che non richiede tecnica (per esempio: strada forestale).

S2

Pendii abbastanza ampi, anche un po’ ripidi (25°), o itinerari vallonati (livello tecnico di controllo delle derapate e curve su tutte le nevi).

S3

Inclinazione dei pendii fino a 35° (le piste nere più ripide delle stazioni sciistiche, con neve dura). La sciata su tutti i tipi di neve deve svolgersi senza difficoltà tecnica.

S4

Inclinazione dei pendii fino a 45° se l’esposizione non è troppo forte; a partire da 30° e fino a 40° se l’esposizione è forte o il passaggio stretto. Diventa indispensabile una ottima tecnica sciistica.

S5

Inclinazione da 45° a 50° e più se l’esposizione è moderata. A partire da 40° se l’esposizione è forte.

S6

Oltre i 50° se l’esposizione è forte, come quasi sempre avviene. Altrimenti a partire da 55° per dei corti passaggi poco esposti.

S7

Passaggi a 60° o più, o salto di barre rocciose su terreno molto ripido o esposto (che spesso sono sinonimi).

Queste valutazioni si suppongono stabilite in condizioni di neve favorevoli, cosa che non accade spesso sui pendii molto ripidi o estremi. In tal caso si ragionerà su condizioni tali che uno sciatore molto esperto riesca ad avere un margine di sicurezza sufficiente in funzione della qualità effettiva della neve (che è un dato soggettivo...).

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Valutazione delle difficoltà

LA SCALA ALPINA Negli anni ‘80, gli autori di guide di itinerari riesaminano il problema della scala delle difficoltà poiché il livello medio degli itinerari di scialpinismo si è evoluto considerevolmente. Francois Labande inizia a utilizzare la Scala alpina nelle sue opere dell’epoca. Essa riprende la Scala UIAA utilizzata in alpinismo e messa a punto negli anni ’20 dal tedesco Willo Welzenbach. Rappresenta il sistema di valutazione generale delle difficoltà attualmente più utilizzato nelle guide di lingua francese. La Scala alpina si compone quindi di due valori: 1. Il primo valore è dato dalla difficoltà tecnica della gita per arrivare in cima espressa in gradi Welzenbach (PD, AD+, D-, ecc.). 2. Il secondo valore è la difficoltà tecnica in discesa (scala Traynard; S1, S2, S3… S7). La valutazione si affina e si evolve ancora e verso la fine degli anni ‘90: Volodia Shahshahani, giornalista e appassionato di scialpinismo nelle varie pubblicazioni di guide scialpinistiche propone un sistema di valutazione ancora più fine.

Alba dalla Vetta del Gorzano (Monti della Laga), sullo sfondo la catena del Gran Sasso (© A. De Ruvo)

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ALP

DIFFICOLTÀ ALPINISTICA

E

Difficoltà escursionistiche Terreno facile. Anche con condizioni di neve ghiacciata non sono necessari ramponi e piccozza.

F

Alpinismo facile Nessuna difficoltà particolare, ma occorre buona capacità di orientamento.

PD

Alpinismo poco difficile Alcune difficoltà alpinistiche sia su roccia che su ghiaccio/neve. Pendii di neve e ghiaccio a 35/40°, spesso necessari ramponi e piccozza.

AD

Alpinismo abbastanza difficile Difficoltà alpinistiche sia su roccia che su ghiaccio/neve. Pendii di neve e ghiaccio tra i 40° e 50°.

D

Alpinismo difficile Difficoltà alpinistiche sostenute sia su roccia che su ghiaccio/neve. Pendii di neve e ghiaccio tra i 50° e 70°.

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Valutazione delle difficoltà

LA SCALA VOLOPRESS Questa scala è nata per descrivere meglio la difficoltà della discesa. La discesa viene descritta con una doppia valutazione, che tenga in considerazione sia la pura difficoltà tecnica suddivisa in 5 livelli (ognuna poi in 3 gradazioni) l’ultimo dei quali (il 5°), è aperto verso l’alto (5.3, 5.4, 5.5, 5.6, ecc.) come anche l’Esposizione della discesa che gioca un ruolo chiave, quantomeno psicologico.

Scala Scala Blachère Traynard

SKI

DIFFICOLTÀ DISCESA

SKI 1

Terreno facile. Pendii ampi o bosco rado; inclinazione < 30° e dislivello contenuto (< 800m). Esposizione e rischio valanghe limitati. La qualità della neve condiziona in maniera determinante la difficoltà.

MS

S1

SKI 2

Terreno con poche difficoltà tecniche. Pendii più accidentati e ripidi, ma con inclinazione < 35°. Il dislivello e l’esposizione possono essere significativi (dislivelli > 800m). Richiesta una buona tecnica sciistica e una buona capacità di valutazione della stabilità della neve.

BS

S2

SKI 3

Terreno tecnico. Passaggi tecnici e canali, pendii a 35° anche molto lunghi e brevi settori a 40/45°. L’esposizione ed eventuali pericoli oggettivi possono essere importanti. Richiesta un’ottima tecnica sciistica e un’ottima capacità di valutazione della stabilità della neve.

OS

S3

SKI 4

Sci ripido e canali (couloirs). Pendii a 40°, anche molto lunghi, e con brevi settori fino a 45/50°. Canali stretti, terreno impegnativo e passaggi esposti.

S4/5

SKI 5

Itinerari estremamente difficili. Canali e pendii molto sostenuti con inclinazione sopra i 45° e con importanti settori fino a 50/55°. Forte esposizione. Questo livello è aperto verso l’alto e con i gradi più alti (5.4 5.5…) indica itinerari sopra i 50/55° raramente in condizioni.

S5/6

1.1 1.2 1.3

2.1 2.2 2.3

3.1 3.2 3.3

4.1 4.2 4.3

5.1 5.2 5.3 5.4 5.5

Lo Speziale (A. Patroni) nel canale della Cimata, itinerario 27  

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EXP

ESPOSIZIONE/PERICOLO

E1

Pendio uniforme o collegato col pendio sottostante. Rocce e alberi non obbligano in modo significativo il passaggio, ma possono essere un elemento di pericolo in caso di caduta.

E2

Canale abbastanza largo, pendio con piccole barre rocciose che interrompono la continuità del pendio. Una caduta può essere potenzialmente molto pericolosa.

E3

Stretti canali o pendii con passaggi obbligati o alti salti di roccia. Una caduta nei tratti esposti avrà sicuramente gravissime conseguenze.

E4

Pareti rocciose dove è assolutamente vietato cadere.

Il terzo valore dalla scala Volopress è l’Ingaggio. Esso descrive la complessità dell’itinerario. Si esprime con numero romano da I a IV secondo la seguente scala:

INGAGGIO I II

ESPOSIZIONE/PERICOLO Percorso di discesa di facile individuazione. Ingaggio basso. Percorso di discesa abbastanza complesso, di non facile individuazione, necessaria una buona conoscenza del terreno d’azione. Ingaggio medio. È utile studiare i passaggi in anticipo.

III

Discesa complessa e lunga con percorso di difficile individuazione, necessaria una buona conoscenza del terreno d’azione. Ingaggio elevato. È importante studiare i passaggi in anticipo, in quanto i riferimenti sono difficili da prendere.

IV

Discesa molto complessa e lunga con percorso di difficile individuazione e difficile interpretazione, necessaria una ottima conoscenza del terreno d’azione. Ingaggio molto elevato. È indispensabile studiare i passaggi in anticipo, in quanto i riferimenti sono molto difficili da prendere. S. Imperatori sul Moriggia Acitelli, itinerario 11 (© G. Maiolatesi)  

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Valutazione delle difficoltà

CONSIDERAZIONI SULLE DIFFICOLTÀ NELLO SCIALPINISMO Le difficoltà sin qui descritte sono da considerare in condizioni standard. La valutazione non è un valore propriamente oggettivo e definitivo, ma permette solo di classificare gli itinerari tra di loro considerandoli a parità di condizioni nevose e climatiche, lunghezza, pendenza, dislivello, le cosiddette condizioni standard appunto. Per “condizioni standard” si sottintende: •

Condizioni meteorologiche buone: buona visibilità e vento debole e temperature non estreme;

Condizioni della neve cioè favorevoli, ma non eccezionali (neve trasformata);

Pericoli oggettivi accettabili (NB: attorno al valore 2 di pericolo valanghe);

Gita tra gli 800 e i 2000m di dislivello in giornata;

Gita che non obbliga a bivacchi o necessita di più giorni per la realizzazione.

La difficoltà reale incontrata sul terreno può dunque essere diversa. Può essere aumentata (o diminuita) in funzione delle condizioni (nevose e climatiche) realmente incontrate, della lunghezza della gita e di dove sia collocato il tratto tecnico più difficile da affrontare (tratto chiave). È chiaro come affrontare un tratto tecnico all’inizio o alla fine può fare la differenza! È abbastanza intuitivo che un itinerario valutato 4.1 / E1 / I che non preoccuperebbe uno sciatore esperto, potrebbe farlo se il medesimo pendio fosse in Himalaya, a 7000m di quota in carenza di ossigeno, in Alaska a -40°, in Patagonia con venti a 250km/h e visibilità ridotta a zero, o sulle stesse Alpi con 1m di neve fresca estiva resa collosa dal sole caldo e accecante.

Rinaldinho (R. Le Donne) studia la situazione nel canale “Allegra Compagnia” alla Costa della Tavola  

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Inoltre, la sola definizione di pericolo diviene relativa se anche un itinerario facile (MS) può diventare estremamente rischioso e pericoloso se passa ai piedi di pendii valangosi nei giorni “sbagliati”. Oppure una semplice nuvola può peggiorare la visibilità a tal punto (la luce diffusa, che cancella le asperità del rilievo) che può essere causa di errori banali con conseguenze affatto banali. Crepacci, seracchi, rischio valanghe, meteo avverso, vento, unite alla lunghezza e complessità e l’impegno tecnico per l’accesso e il rientro (anche psicologico) in certe zone remote, la necessità di bivacchi, può tradursi in un fattore che moltiplica la difficoltà teorica calcolata sulle sole pendenza, esposizione e difficoltà di orientamento. Per farsi un’idea dell’importanza della neve nella difficoltà di un itinerario, ecco qui sotto una tabella comparativa della difficoltà in funzione del tipo di neve. I valori sono quelli della valutazione puntuale S1-S7 (Scala Traynard):

TIPO DI NEVE INCLINAZIONE 15°

25°

35°

45°

50°

>55°

trasformata

1

2

3

4

5

6

polverosa

3

2

2

2

3

4

crostosa

3

4

3

3

4

5

dura

2

2

4

5

5

6

ghiacciata

3

4

5

6

6

7

Da notare che sui pendii ripidi l’esposizione varia con il tipo di neve: 35° su neve molto dura o ghiaccio non ha nulla a che vedere con la stessa pendenza in neve polverosa.

I pendii finali di Valle del Rio lucidati e ghiacciati dalla pioggia, itinerario 102

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Valutazione delle difficoltà

VALUTAZIONE D’INSIEME (IMPEGNO GLOBALE) Per la stesura della presente guida si è pensato di aggiungere una ulteriore valutazione che cerca di tener conto almeno di quei fattori oggettivi quali lunghezza, dislivello e difficoltà tecniche alpinistiche per l’accesso e il rientro, necessità di pernotto, ecc; mentre quei fattori imponderabili quali ad esempio meteo e qualità neve (trasformata, polverosa, ghiacciata, pericolosa, valangosa) verranno trattati nelle note nivologiche inserite in calce a ogni itinerario. SCALA IMPEGNO GLOBALE DELL’ITINERARIO

IMPEGNO GLOBALE F Facile

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Itinerario tecnicamente facile, un MS od al massimo un BS (buono sciatore), ma che solitamente non necessita di particolare esperienza e/o allenamento, che è quasi sempre in condizione e che abbia pericoli limitati e facilmente riconoscibili o riconducibili a un bollettino valanghe. Itinerario dove è oltretutto difficile perdersi.

PD Poco difficile

Itinerario che sale di difficoltà tecnica al grado OS (ottimo sciatore) e che, per affrontare il quale, cominciano ad essere necessari una certa esperienza e un adeguato allenamento, oltre a una certa conoscenza dei luoghi in quanto la discesa può effettuarsi in un pendio diverso da quello di salita.

AD Abbastanza difficile

Itinerario che può presentare tratti tecnici ripidi, per affrontare il quale, cominciano a essere necessari una certa esperienza su tratti obbligati e capacità di fare almeno una curva saltata (su ambo i lati), oltre a un allenamento minimo sufficiente ad affrontare le difficoltà con la muscolatura ancora pronta e reattiva. La salita e la discesa possono richiedere l’esperienza sull’uso della corda, quindi necessità di un imbrago e di capacità di usare la minima (o necessaria) attrezzatura alpinistica. La gita comincia a essere lunga sia per il dislivello da affrontare che per le difficoltà, pertanto divengono importanti la scelta dell’orario di partenza e dell’orario massimo per affrontare la discesa. Inizia a essere importante saper leggere la neve e le condizioni meteo così da saper programmare orario di partenza e quant’altro per rendere la gita la più sicura e facile possibile.

D Difficile

Itinerario che presenta tratti tecnici ripidi o molto ripidi o tali da essere necessario avere una buona/ottima esperienza unita a buone/ottime capacità tecniche su tratti stretti e/obbligati da affrontare con successioni di curva saltata. L’allenamento richiesto è tale da affrontare le difficoltà avendo margine di muscolatura pronta e reattiva. Data la lunghezza degli itinerari è fondamentale saper leggere la neve e le condizioni meteo così da saper programmare orario di partenza e quant’altro necessario per rendere la gita la più sicura possibile. La salita e la discesa possono richiedere l’esperienza sull’uso della corda, quindi necessita di un imbrago e di capacità di usare la necessaria attrezzatura alpinistica. La gita potrebbe richiedere partenze notturne e durare oltre 12h. L’uscita va ben programmata e in caso di maltempo diviene complesso ritirarsi o proseguire.

TD

Itinerario che presenta lunghi tratti ripidi se non estremi, che necessita contemporaneamente di una ottima esperienza sciistica unita a ottime capacità tecniche su tratti stretti obbligati da affrontare con successioni di curva saltata o controllata con l’uso di una piccozza. L’allenamento richiesto è elevato, tale da affrontare le difficoltà avendo margine di muscolatura pronta e reattiva per molte ore e per notevoli dislivelli. Data la lunghezza degli itinerari è essenziale saper leggere la neve e le condizioni meteo così da saper programmare orario di partenza e quant’altro necessario per rendere la gita la più sicura possibile. La salita e la discesa richiedono quasi sicuramente l’uso della corda e di tutto quello che può servire per difficoltà alpinistiche importanti. La gita potrebbe richiedere partenze notturne e durare oltre 12/14h o può necessitare di un bivacco di fortuna in caso di nebbia o maltempo, e la ritirata può essere complessa.


CONCLUSIONI Se la valutazione Blachère è totalmente soggettiva, come abbiamo già scritto in precedenza poiché si basa sul livello dello sciatore, la Scala alpina fornisce una valutazione più rigorosa sulla discesa, fornendo però solo difficoltà puntuali (del solo tratto chiave), tralasciando se ve ne siano più di uno o sia perpetuato per molti metri. La scala Volopress è sicuramente la più completa. Nella guida adottiamo questa, aggiungendo una sigla che definisce l’impegno totale. Pur speculando nei concetti fin qui espressi, rimane impossibile fare una corrispondenza tra i primi tre gradi e la Scala Blachère, cioè MS/BS/OS con quelli dell’impegno globale, in quanto una salita classificata MS quindi facile, può diventare AD (abbastanza difficile) se occorre partire di notte per avere un obbligatorio rigelo notturno onde evitare crolli di cornici/seracchi o neve molle, oppure che per la cima bisogna superare oltre 2000m senza possibilità di rifugi e bivacchi. Alla fin fine la pratica dello sci ripido e quella dello sci estremo sono da considerarsi alpinismo nella più ampia e nobile accezione del termine, con in più la capacità sciistica della discesa; non è sufficiente pertanto essere in possesso soltanto di sopraffina tecnica sciistica. È indispensabile, a conclusione, che ogni interprete di queste discipline, sia in possesso di ottime capacità alpinistiche e valutative del manto nevoso, seppure si cimenti in itinerari di lieve o moderata difficoltà. Discesa nei canali del Brecciarone, itinerario 40  

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LA STRUTTURA DEL LIBRO Viene dedicato un capitolo a ciascun gruppo montuoso, o catena, dell’Appennino centrale che abbia anche un solo itinerario scialpinistico finora inedito, relazionato in questa guida. La parte iniziale di alcuni capitoli è riservata a un racconto di una discesa particolare o storicamente importante avvenuta in quella montagna o catena appenninica; si tratta di brevi racconti inediti inseriti per stuzzicare la fantasia del lettore, come in una sorta di rubrica intitolata Frammenti di scialpinismo. Di seguito vi è una descrizione geografica sommaria e del contesto in cui il massiccio o la catena sono inseriti, oltre ad alcuni cenni sulla sua morfologia. La montagna descritta viene poi suddivisa (ove necessario) in catene, settori o persino sottosettori se necessario, ove sia relazionato almeno un itinerario su neve.

Il magnifico e labirintico mondo dell’Infornace e del Prena (© Andrea Sansoni)  

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Esempio: • Massiccio del Gran Sasso • Geografia Generale • Catena Occidentale • Geografia e Morfologia Scialpinistica • Settore Pizzo Intermesoli • Itinerari Pizzo Intermesoli Ogni itinerario è corredato da una scheda che contiene una dettagliata relazione sia sulla salita che sulla discesa, se questa avviene in luogo diverso; inoltre indicazioni di carattere generale e su quali siano le difficoltà tecniche espresse in due scale; lunghezza dell’itinerario, il periodo dell’anno, accesso; avvicinamento; oltre che l’esposizione del pendio di discesa, sia considerato in generale che nel tratto chiave. Il tutto è arricchito inoltre da note aggiuntive che sono di due tipi: le prime possono riferirsi a un giudizio estetico, ludico e paesaggistico, oltre a brevi note storiche e aneddoti, legati a quell’ascensione, fino a contenere informazioni sulle capacità/esperienza minime necessarie per affrontare l’itinerario; le seconde sono di carattere climatico e nivologico e dei pericoli annessi, con suggerimenti generali di quando e come si verificano le condizioni migliori specifiche per quell’itinerario.

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METEO E NEVE IN APPENNINO Il piacere e la bellezza di una gita scialpinistica sono anche strettamente correlati alle condizioni meteo-climatiche del luogo, alla quantità e al tipo di innevamento. Scrivere regole e suggerimenti validi è alquanto difficile, poiché troppe sono le variabili in gioco, ma è possibile comunque suggerire alcune regole generali che si ripresentano spesso in montagna e che possono aiutare a capire la neve, la meteo e le sue innumerevoli combinazioni ricordando che quando si parla di neve e valanghe, tutto diviene alquanto relativo; non a caso clima, nivologia e meteorologia sono scienze ancora relativamente giovani, con aspetti spesso poco chiari e il più delle volte compresi solo in alcuni suoi aspetti. Ogni capitolo della guida sarà corredato da un apposito paragrafo riguardante l’aspetto nivometeorologico tipico di quella catena o di quella montagna, la durata media della neve e i relativi pericoli a esso connessi, come valanghe, crolli di cornici e altro. Le diverse tipologie di neve sono parimenti molteplici e variegate, addirittura mutevoli anche all’interno della stessa ascensione scialpinistica. La riuscita di una gita scialpinistica può quindi dipendere più dalle capacità intrinseche dello scialpinista di “leggere” la neve e capirne le sue repentine metamorfosi che alla tecnica e all’attrezzatura posseduta. Nelle pagine di questo libro si insisterà in un approccio sì scientifico, ma molto sarà basato sullo spirito di osservazione che, incrociato con i dati facilmente reperibili e misurabili (temperature del termometro della macchina, presenza di scaccianeve, nuvole alte, nuvole a bandiera sulle cime) ci aiuteranno a comprendere, a catalogare e a dare una spiegazione sempre più realistica al tipo di neve trovata. Ben presto si diventa capaci di utilizzare pregresse esperienze per catalogare la situazione nivometeorologica attale già prima di toccare con mano la neve e la meteo che si avrà su quella cima o su quel versante. Serra di Celano, itinerario 97  

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ASPETTI CHIMICO-FISICI DELL’ELEMENTO NEVE La neve non è acqua allo stato solido, come verrebbe da rispondere senza aver riflettuto un attimo. L’acqua allo stato solido è il ghiaccio, ovvero un solido semitrasparente od opaco, avente densità appena inferiore a quella allo stato liquido, cioè 930g/dm3. Ma la neve non è dura e pesante come il ghiaccio: è molto più leggera. Infatti la neve che cade dal cielo pesa in media appena 100g/dm3, quindi circa 9 volte più leggera del ghiaccio. La neve è talmente leggera che impiega almeno 5 anni, alle nostre latitudini, prima di trasformarsi in ghiaccio. La tanto famosa e agognata powder, quella che si vede nei video girati in Canada, può addirittura arrivare a pesare 80g/dm3! Ed è per questo che tanto piace sciarci sopra, perché è leggera, molto leggera. Un’altra neve che piace è il firn, ma qui la densità è ben diversa, siamo sull’ordine di 350-400g/dm3. Appare chiaro che diversi valori di densità significano diversi tipi di neve. Il nostro compito non è quello di misurare la densità, ma di predirne il valore sfruttando lo spirito di osservazione maturato nel tempo e incrociandolo con alcuni dati reperibili in rete. Il fiocco di neve ha dunque una densità media tra 80 e 150g/dm3, è dunque leggerissimo, tanto da suggerirci che esso sia costituito principalmente di aria. Però una volta che sia caduta al suolo le cose cambiano. La neve con il tempo tende a trasformarsi: il singolo fiocco piano piano perde gli aguzzi aghi che lo caratterizzavano divenendo sempre più smussato, fino a trasformarsi in una specie di pallina amorfa. In pratica la neve con il tempo tende a perdere l’aria dal suo interno, ed è proprio questo processo che può determinare gridolini di compiacimento (neve farinosa o firn) oppure smorfie di dolore (neve pesante o crostosa). Il settore Settenionale dei Sibillini al tramonto (© Giacomo Bartoletti)  

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Meteo e neve in Appennino

LA NEVE FRESCA E SUE TIPOLOGIE Abbiamo già scritto che la densità della neve fresca varia tra 80 e 150g/dm3, talvolta, specie in Appennino, anche fino a 200gr/dm3. Ma come fare a capire direttamente da casa, quale tipo di neve stia cadendo e quale sia quella caduta l’altra notte su quel pendio che sogniamo di sciare domattina? Non è facile, ma neanche impossibile! Il dato principale e necessario per fare qualsiasi ipotesi è il profilo termo/igrometrico della colonna d’aria che si trova al momento delle precipitazioni. Non abbiate timore dei termini che sono solo apparentemente complessi. Un profilo termo/igrometrico della colonna d’aria è comunemente chiamato Radiosondaggio ed è un pallone-sonda che viene lanciato 2 volte al giorno, uno a Pratica di Mare (vicino Roma) e l’altra a Brindisi. I palloni man mano che salgono verso l’alto misurano vari parametri che vengono riportati in una tabella. Qui: www.meteonetwork.it/radiosondaggi/ vi è la possibilità di consultare i radiosondaggi di queste due località (e altre), sia in situazione attuale che in quella dei giorni immediatamente precedenti. (NB: questo è solo una parte, il Radiosondaggio arriva fino a 20Km di altezza, noi ci focalizziamo nei primi 3-5000m). Concentriamo l’attenzione solo su 3 colonne: HGHT (altezza in metri), TEMP (°C) e RELH (umidità relativa) Ecco un esempio del radiosondaggio del 14 gennaio 2020 alle ore 12.00:

PRES hPa

HGHT m

TEMP °C

DWPT °C

RELH %

MIXR g/kg

DRCT deg

SKNT knot

THTA K

1022.0 1000.0 936.0 902.0 875.0 850.0 820.0 802.0 788.0 769.0 746.0 731.0 710.0 697.0

32 218 764 1065 1311 1546 1833 2008 2148 2341 2583 2746 2977 3124

12.8 11.0 6.2 3.8 1.8 -0.1 -1.7 -3.4 -4.7 -0.5 -0.5 -0.5 -1.9 -2.3

5.8 5.0 -1.8 -1.2 -1.9 -2.5 -6.4 -5.5 -7.1 -29.5 -25.9 -23.5 -32.9 -46.3

62 66 57 70 77 84 70 86 83 9 13 16 7 2

5.69 5.50 3.60 3.91 3.83 3.76 2.90 3.19 3.44 0.43 0.62 0.79 0.34 0.09

135 90 319 270 275 270 240 220 228 240 250 260 275 289

3 2 7 12 13 15 15 15 13 11 12 12 11 8

284.2 284.1 284.7 285.2 296.7 286.0 287.3 287.3 287.4 293.9 296.5 298.2 299.2 301.2

Cosa ci dice questa tabella? Che a 1311m di quota (dove si inizia a sciare) abbiamo 1.8°C e una umidità del 77%. Che a 2148m di quota (cime Appenniniche) abbiamo -4.7°C e il 100% di umidità. Che a 2977m di quote (poco oltre il Coro Grande) abbiamo -1,9°C e umidità del 7%. In sintesi, fa più freddo a 2147m che a 2977m, siamo quindi in presenza di una inversione termica in quota, e che sempre in quota, oltre 2300m, l’aria è secca, molto secca. Dunque cosa succede alla neve? Che oltre 2300m anche se siamo sottozero, a causa della bassissima umidità la neve si

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scioglie ugualmente poiché subisce il processo di sublimazione, ovvero passa allo stato di vapore. In pratica il manto si assottiglia senza che questo si umidifichi e cambi il proprio stato. Se era farina, rimane farina e se era crosta rimane crosta. Questo processo è classico nelle giornate di bel tempo invernali di alta pressione (vedi oltre Hp), tra dicembre e febbraio, quando la notte fa molto freddo ma di giorno al sole si sta bene anche in cima. La neve si trasforma solo se ci batte il sole e fonde senza che ce ne accorgiamo per via della secchezza dell’aria. Ecco un esempio del radiosondaggio del 6 gennaio 2020 alle ore 12.00:

PRES

HGHT

TEMP

DWPT

RELH

MIXR

DRCT

SKNT

THTA

hPa

m

°C

°C

%

g/kg

deg

knot

K

1018.0

10

8.4

-3.6

43

2.89

10

22

280.1

973.0 944.0 850.0 841.0 809.0 799.0 774.0 723.0 700.0 660.0 638.0

382 628 1464 1547 1745 1945 2190 2707 2952 3394 3648

4.8 2.4 -5.7 -6.5 -8.2 -9.5 -11.5 -14.8 -16.1 -15.1 -16.0

-5.4 -5.9 -7.1 -6.5 -19.5 -19.5 -22.5 -28.8 -33.1 -56.1 -57.2

47 54 90 100 84 44 40 29 22 2 2

2.64 2.62 2.65 2.50 1.03 1.03 0.82 0.49 0.34 0.03 0.03

0 355 10 10 22 22 30 25 15 28 35

43 43 47 49 46 46 44 38 41 44 45

280.2 280.1 280.2 280.1 281.1 281.1 281.5 283.4 284.6 290.6 292.4

Cosa ci dice questa seconda tabella? Che a 1464m di quota (dove si inizia a sciare) abbiamo -5.7°C e 90% umidità. Che a 2190m di quota (cime Appenniniche) abbiamo -11.5°C e il 40% di umidità. Che a 2952m di quota (poco oltre il Coro Grande) abbiamo -16,1°C e 22% umidità. In sintesi fa freddo ed è sicuramente nuvoloso, specie sulle quote medie, molto probabilmente le cime delle montagne sono al sole, mentre una cintura di nubi o foschia densa è aggrappata alle montagne tra i 1200 e i 1800m. Infatti si può vedere come 1464m sia molto umido, probabilmente ci sono nuvole e la neve non fonde perché fa freddo e non può nemmeno evaporare poiché l’aria è satura di vapore. Salendo di quota, a 2190m, l’umidità si abbassa, probabilmente siamo al di sopra delle nuvole, la neve rimane farinosa, non fonde né sublima. All’altezza del Corno Grande fa freddissimo, è sereno perché l’aria è secca e la neve può sublimare.

Fino a ora abbiamo visto due esempi di tempo stabile e soleggiato. Ma cosa succede quando arriva una perturbazione? Quando ci sono le nuvole? Quali saranno i valori che avremmo nella colonna d’aria lungo tutto il suo profilo fino a 4000m? Facciamo un esempio, abbiamo una perturbazione di origine atlantica che proprio all’ora del radiosondaggio si trova a scaricare il maltempo in Appennino centrale.

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Meteo e neve in Appennino

Radiosondaggio dati 21 dicembre 2019, h 00:00, durante una nevicata:

PRES

HGHT

TEMP

DWPT

RELH

MIXR

DRCT

SKNT

THTA

hPa

m

°C

°C

%

g/kg

deg

knot

K

1014.0 1000.0 923.0 871.0 850.0 828.0 817.0 802.0 770.0 746.0 700.0 685.0 650.0 630.0

10 176 859 1331 1480 1742 1850 2171 2325 2576 2977 3246 3653 4153

12.2 11.2 9.2 5.3 4.7 2.9 3.1 1.9 1.4 0.8 -2.0 -3.3 -5.8 -9.8

8.2 6.2 5.5 3.9 2.8 2.9 3.0 2.2 1.4 0.8 -2.4 -3.3 -5.8 -10.3

77 71 66 85 77 99 98 94 100 100 94 100 100 97

6.72 5.98 3.09 3.25 3.36 3.40 1.90 2.86 1.94 3.14 2.87 2.01 2.08 2.08

201 210 190 185 185 203 212 238 239 240 245 241 245 245

7 13 18 13 29 14 12 35 37 40 48 40 26 26

283.6 284.4 286.3 288.4 289.3 290.2 291.7 293.0 292.9 293.0 295.5 296.2 297.8 297.8

Cosa ci dice questa tabella? Che a 1331m piove, abbiamo 5,3°C e una ur dell’85%, se c’era neve è fradicia. Che a 2171m piove con nebbia, abbiamo 1,9°C e ur del 94%, la neve è pappa. Che a 2576m neve bagnata e nebbia, abbiamo 0.8°C e 100% ur, neve è pesante. Che a 3246m neve asciutta e nebbia, abbiamo -3.3°C e il 100% ur, neve suolo sarebbe compatta.

Trascorrono 12h, la perturbazione passa, la temperatura crolla e finalmente nevica, ma poco (questo dato lo si può ricavare dalle stazioni meteo varie e dalle webcam sparse in tutto l’Appenino). Radiosondaggio dati 21 dicembre 2019, h 12:00, mezzanotte, data ultima nevicata):

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PRES

HGHT

TEMP

DWPT

RELH

MIXR

DRCT

SKNT

THTA

hPa

m

°C

°C

%

g/kg

deg

knot

K

1018.0 925.0 875.0 850.0 824.0 795.0 749.0 700.0 685.0 650.0 630.0

10 959 1381 1530 1792 2071 2609 3077 3346 3853 4353

10.2 6.7 3.0 1.3 -0,1 -1.5 -4.9 -5.8 -8.0 -11.8 -15.8

8.2 4.0 -2.2 -2.8 -0.2 -2.9 -4.9 -7.4 -11.3 -17.8 -25.3

70 69 70 77 99 94 100 94 90 80 70

6.72 3.09 3.25 3.36 3.40 3.01 3.14 2.87 2.01 2.08 2.08

251 250 285 275 283 285 260 275 251 255 240

12 28 33 29 34 35 40 48 49 50 46

273.6 288.3 298.4 269.1 280.0 290.2 293.8 297.5 296.2 297.0 299.0


Cosa ci dice quest’ultima tabella? Che a 1381m piove ancora, abbiamo 3°C e una ur dell’85%, neve al suolo sparita. Che a 1792m nevica con nebbia, abbiamo -0.2°C e ur 99%, neve al suolo ghiaccia. Che a 2609m nevica con nebbia, abbiamo -4.9°C e ur 100%, neve farinosa. Che a 3077m nevica con nebbia, abbiamo -7.4°C e il 94%, neve farinosa. Tutti questi dati ci dicono che la perturbazione ha portato neve solo sulle cime oltre 2450m a inizio evento, quando l’acqua veniva giù a secchiate, e che poi, quando finalmente le temperature sono scese portando neve a una quota più “appenninica”, le precipitazioni si sono fatte blande e la neve farinosa è solo oltre 2500m. Più a valle la neve che si era inzuppata per bene, ora si è ricompattata improvvisamente per il crollo termico, ed è diventata compatta e levigata, dove sciare diventa difficile se non impossibile. Non proseguo con esempi, ma appare chiaro che nei giorni successivi, con il ritorno dell’alta pressione, l’umidità scende e la neve (quella poca caduta) inizia a sublimare nei versanti a nord e a fondere in quelli baciati dal sole. La neve bagnata ora è diventata una lastra di ghiaccio lucida dove anche i ramponi fanno fatica a mordere, figuriamoci le lamine degli sci. Ed ecco spiegate le numerose vittime di questo tragico inizio inverno. I radiosondaggi dicevano chiaramente cosa stava succedendo, a noi stava solo ragionare e immaginare i risvolti sul campo.

Effetto della pioggia e successivo abbassamento temperatura: neve liscia e crosta portante, pericolo di caduta elevato, ma manto nevoso stabilizzato e non pericoloso, almeno per le quote appenniniche  

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Meteo e neve in Appennino

TEMPERATURA A 850HPA Come tutti sappiamo, la temperatura di una località varia tra giorno e la notte: abbiamo una massima che in genere si ha poco dopo il picco di insolazione, una minima poco prima dell’alba. Il motivo di questa altalena termica è ovviamente dato dal sole e dall’inclinazione dei suoi raggi. L’influsso solare sulla temperatura dell’aria non è però una legge universale, più si sale di quota, più l’influenza è minore. In genere alla pressione di 850hPa, la temperatura non risente più degli effetti del giorno e della notte. Ecco perché è così importante! Essa ci dice la temperatura reale dell’aria che circonda le nostre montagne e che è alla base dell’evoluzione del manto nevoso e del calcolo dello zero termico. Se si vuole sapere se la neve a 1800m sarà molle (umida) o meno, ce lo dice la temperatura a 850hPa, basta sottrarre 1.8°C. Perché 1.8°C? Perché la temperatura scende di 0.6°C ogni 100m.

Se in una relazione di un itinerario è suggerito non oltre 8-9°C a 850hPa (cioè 0°C ben 1500m più in alto, ovvero 3000m di quota), vuol dire che, nonostante il cielo sereno e il rigelo notturno, non appena il sole sorge, farà così caldo che la neve tornerà presto umida e bagnata e potenzialmente pericolosa.

1. Nevicata Balcanica, circa 70-100cm 24h dopo (le rocce sono quasi tutte visibili, la neve è fredda e leggera, non si lega alle rocce. Farina pura. 2. Nevicata Atlantica, l’elevata umidità della colonna d’aria permette alla neve di rimanere attaccata alla parete. In basso è piovuto e una crosta copre i pendii 3. La parete una settimana dopo una nevicata Balcanica: la neve sulle rocce e sulle cime non c’è più, il vento freddo l’ha buttata via nei canaloni e a valle. È la classica situazione in annate con nevi prevalentemente Balcaniche: ai primi tepori tardo primaverili in alto la neve sparirà presto mentre nei boschi e nei fossi può essercene ancora (ad es. 2003, 2012 e 2015).

Variazioni delle °T di giorno e di notte in caso di cielo sereno: si nota come nelle valli cambia molto (le cosiddette inversioni termiche) ottenendo un ottimo rigelo notturno. In quota (oltre 1500m) la T° invece non varia molto, e le mappe a 850hPa aiutano a capire dove sia lo zero termico

Variazioni delle °T di giorno e di notte in caso di cielo nuvoloso ma con la °T 850hPa identica alla situazione con cielo sereno. Si nota come nelle valli cambia molto meno, non si hanno più le cosiddette inversioni termiche, la neve sotto i 1900 non gela

Dove reperire questi valori? Vi sono tanti siti, è inutile stare a elencarli, basta digitare “carte meteo 850hPa GFS” oppure “carte meteo 850hPa ECMWF” (GFS e ECMWF sono i maggiori centri di calcolo per le previsioni del tempo) oppure andare sul sito www.windy.com e scegliere temperatura a 1500m.

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Se il cielo è coperto, e in montagna c’è nebbia, il sole non influenza più, e la temperatura a 1500m sarà esattamente quella prevista dalle mappe a 850hPa sapremo esattamente la quota dove la neve non fonde più.


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Meteo e neve in Appennino

ANNOTAZIONI SUI PRINCIPALI TIPI PRECIPITAZIONI NEVOSE IN APPENNINO Nevicata da perturbazioni atlantiche. In Appennino centrale è principale fonte di neve, poiché il flusso di aria alla nostra latitudine generalmente spira da Ovest verso Est. Quando il flusso è perturbato il vento solitamente piega a sud-ovest (SW). Si tratta di perturbazioni mai molto fredde a causa del transito sopra il “tiepido” mar Tirreno; sono sempre accompagnate da elevati tassi di umidità. Spesso la colonna d’aria è prossima al 100% per oltre 3000m di spessore, e questo spiega il perché con queste perturbazioni nevichi molto e in maniera diffusa. Le uniche cime a non essere imbiancate sono quelle più orientali. Quando queste perturbazioni impattano contro le cime più occidentali della catena appenninica, scaricano tutta la loro umidità con temperature (intorno ai 2000m) che variano mediamente tra i +1/-5°C. I fiocchi di neve cadono sempre immersi in una nebbia fitta, per cui la neve sarà molto difficilmente farinosa, anche se le temperature sono fredde, in quanto la nebbia fitta tende a incollare i fiocchi tra di loro. La densità della neve al suolo è quasi sempre maggiore di 120g/dm3, talvolta anche fino a 200gr/dm3. La neve di questo tipo fa subito fondo, è ben sciabile, ma non è quasi mai polvere. L’effetto più palese di questo tipo di neve (neve caldo-umida) è di una montagna letteralmente imbiancata ovunque, anche sulle pareti. La circostanza poi che molte cime e pareti appenniniche si aggirino proprio intorno a tale fatidica quota, ovvero tra i 1850 e i 2250m, crea uno scenario fiabesco sulle cime, ma la cosa più importante è che questa neve rimane attaccata anche sui pendii più ripidi e lungo le pareti di roccia, perché poco trasportabile dal vento. Nevicata da perturbazioni Russo-Balcaniche o Adriatiche. Sono la seconda fonte di neve in Appennino centrale, ma l’innevamento da esse procurato è molto meno democratico (passatemi il termine) in quanto imbianca bene solo il versante adriatico, raramente riesce a penetrare efficacemente la prima barriera di montagne. Si tratta di perturbazioni quasi sempre fredde e accompagnate da venti forti e da neve che cade in un regime di umidità basso. La neve è spesso farinosa e leggera, quindi facilmente trasportabile dal vento. La sua densità al suolo è tra 80 e 100gr/dm3, per cui se la nevicata non supera i 30cm non è quasi mai sufficiente a fare “fondo”. Questo tipo di nevicate sono spesso molto coreografiche in quanto imbiancano anche il fondovalle, se non le colline, ma gli spessori che si misurano sono sempre (o per la maggior parte) inferiori a quelli di una perturbazione atlantica. La sua bassa densità infatti ci dice che ha molta più aria dentro per cui 1m di neve adriatica corrisponde a circa 50cm di neve atlantica. Un’ultima considerazione, ma assolutamente non in ordine di importanza, è che la neve adriatica, oltre i 2000-2200m, è talmente leggera che si riesce ad accumulare solo nelle zone sottovento, creando pericolosi accumuli. Per cui è neve che si accumula nei boschi e nelle quote medie; in alto rimane ben poco e tutto viene evidenziato dai primi tepori primaverili. Forse la neve adriatica è la più bella da sciare (sempre se cade su un precedente fondo più vecchio), ma potenzialmente è molto più pericolosa. Nevicata da perturbazioni autunnali. Sostanzialmente seguono gli stessi principi di umidità/temperatura e di colonna d’aria fino a qui descritti, solamente che i gradienti termici in gioco tra le masse di aria che si scontrano sono forse maggiori con la conseguenza che la neve può risultare quasi sempre umida a tutte le quote facilitando la formazione del classico “fondo” autunnale. Altro fattore che influenza la formazione del fondo autunnale è che la prima neve autunnale, specie quella di fine ottobre-novembre, posandosi su un terreno ancora relativamente caldo può subire una duplice fusione, sia a contatto del suolo che dell’aria. Altra regola abbastanza generale è che più tardi arriva la prima neve, più difficile sarà la formazione di un buon “fondo”, con la conseguenza di dover aspettare almeno una seconda, se non terza nevicata per avere coperti a dovere pietre e arbusti. Nevicata da perturbazioni primaverili. È quella più variabile e la più imprevedibile da leggere da “casa”. Rimane sempre difficile prevedere con la sola lettura dei dati termometrici, pluviometrici, dei radiosondaggi e del tipo di masse di aria in gioco. Per questo vale la regola generale che questa neve

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trasforma subito, per cui è meglio attendere almeno un giorno prima di sciare su questa neve: oltre a essere potenzialmente pericolosa, la sciata può risultare anche non piacevole. La spiegazione di questa enorme variabilità può essere data, a esempio, anche dalla situazione termica del manto nevoso nei giorni immediatamente precedenti la nevicata. Se infatti la neve era pesante e bagnata, la nuova neve tende a “incollarsi” al manto precedente tendendo a bagnarla anche se la nuova è fredda e asciutta, un po’ come accadeva per le prime nevicate autunnali. Si può intuire come gli effetti sul manto nevoso superficiale siano variegati a seconda dello spessore della nuova neve e addirittura dell’orario della nevicata. CENNI GENERALI SUL METAMORFISMO DEL MANTO NEVOSO Se si osserva il fiocco di neve al microscopio si nota che esso è fatto di cristalli dalle forme più svariate e da tanto spazio vuoto occupato dall’aria. Il metamorfismo della neve è in sintesi l’eliminazione di tutta quell’aria che circonda quelle perfette geometrie del fiocco di neve, fatte di stelle, aghi, punte e cilindretti. Smussare, spezzare e arrotondare, riempire, sono tutti quei processi che prendono il nome di metamorfismo della neve e che tendono a unire i nuclei dei singoli fiocchi di neve tra di loro fino a che non ci sia più praticamente spazio vuoto e tutta la materia sia solo de esclusivamente acqua allo stato solido (ghiaccio). Tutti questi processi iniziano non appena il fiocco di neve tocca terra. Infatti basta osservare una sezione verticale di un manto nevoso per trovare che esso non è tutto uguale, ma presenta varie stratificazioni che dimostrano come ogni strato (ogni nevicata) abbia caratteristiche fisiche differenti dalla precedente. Ogni strato dunque rappresenta uno stadio di metamorfosi differente, misurabile con valori differenti di densità, temperatura, umidità e contenuto di acqua e forme dei granuli/aghi/ cristalli in esso contenuti e che racconta la storia climatica da lei vissuta. Prima di entrare nello specifico, è nell’interesse dello scialpinista, e del frequentatore della montagna invernale in generale, trovare una neve che sia la più stabile possibile. La stabilità è in genere più alta quanto più il manto nevoso possieda caratteristiche simili, ovvero faccia un corpo unico. Purtroppo il processo per arrivare a questa condizione è complesso e non lineare. Quali sono dunque i fattori che influenzano il metamorfismo? •

Inclinazione e durata dei raggi solari;

Temperatura dall’aria;

Temperatura e gradiente di temperatura del manto nevoso;

Temperatura del suolo dove poggia il manto nevoso;

Umidità dell’aria;

Dalla pressione esercitata dalla massa (spessore*densità) del manto nevoso;

Dall’energia meccanica esercitata dal vento o delle slavine.

La neve può essere distinta in due principali tipologie: neve asciutta e neve umida e questo perché il metamorfismo della neve asciutta è abbastanza diverso da quello della neve asciutta. METAMORFISMO NEVI ASCIUTTE (DA GRADIENTE TERMICO) Avviene su nevi dove la temperatura dell’aria e della neve sono sempre (o almeno principalmente) sotto lo zero. Nella neve esiste solo lo stato solido e quello di vapore, non esiste lo stato liquido. Questo tipo di metamorfismo in Appennino non è molto comune, essendo relegato solo alle quote più alte e/o esposte a versanti più ombrosi e nei periodi più freddi, tipici del cuore dell’inverno.

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Meteo e neve in Appennino

La neve che scende dal cielo si forma in condizioni di aria satura di umidità; l’aria satura permette l’accrescimento di tutte quelle punte e aghi e arabeschi tipici dei fiocchi di neve. Nel momento che però il fiocco si stratifica al suolo, le condizioni di umidità diventano differenti, e il fiocco di neve inizia a sublimare a cominciare dalle punte e dagli aghi che lo caratterizzano, diventando vapore. Siccome il suolo dove si stratifica la neve è più caldo dell’aria, si crea una piccola corrente di aria più leggera che muove questo vapore verso la superficie. È stato dimostrato che nelle zone più concave del fiocco di neve l’aria è più umida e quindi quel poco di vapore prodotto delle punte sublimate satura l’aria ricongelando all’istante. Lo smussamento degli aghi a favore dei nuclei dei fiocchi comporta una perdita di spessore del manto nevoso e un aumento di densità che diventa prossima a 250-300gr/ dm3. Questa è la classica neve gessosa invernale, tipica delle regioni alpine, con una densità tale che permette di sciare anche sul ripido. Questo tipo di neve è meno frequente in Appennino, se non sui versanti a nord e sulle cime più elevate e nel cuore dell’inverno. Questo processo di metamorfismo finora descritto viene denominato a gradiente termico basso, il processo è lento, impiega in genere una settimana, ma ha il grosso pregio di stabilizzare il manto nevoso in quanto produce piccoli granuli rotondi di neve collegati tra loro da ponti di ghiaccio. Se però il gradiente termico tra la temperatura del suolo, in genere vicina allo 0°C, e quella dell’aria sovrastante è elevato (circa 10°C/metro di spessore), la differenza di temperatura è tale che ogni grano di neve è più caldo di quello sovrastante. Di conseguenza il vapore prodotto dalla sublimazione non va più a ricongelare nelle zone concave, ma lo fa direttamente sul grano superiore. La forma che si viene a creare è uno spigolo di ghiaccio che si allunga donando al grano una forma asimmetrica che prende il nome di neve a grani sfaccettati. I grani così modificati sono legati tra loro solo dalla parte rimasta rotonda del grano di neve, quindi il manto nevoso è meno stabile. Se poi addirittura il gradiente è ancora più forte (20°C per metro di spessore, cosa molto rara in appennino) il ricongelamento produce grossi cristalli a forma di calice tutti NON legati tra di loro. Questa è la situazione più pericolosa e viene chiamata brina di fondo. METAMORFISMO NEVE UMIDA O BAGNATA Questa neve è molto frequente in Appennino, e si forma principalmente in cinque modi diversi. 1. Insolazione diretta. L’energia solare rompe i legami e fonde la neve che si appesantisce, dapprima in superficie e poi anche in profondità. Tale processo è più veloce se la densità della neve è bassa oppure quanto più alta è la temperatura dell’aria. Una importante considerazione è che tale processo è versante dipendente, ovvero legato dall’inclinazione dei raggi che colpiscono la neve (Sud, Sud-Est, Sud-Ovest ecc). 2. Presenza di uno strato di nuvole/nebbia a temperature sopra lo zero. La nebbia a contatto della neve tende a fonderla per cessione di calore latente di condensazione. Questo calore latente è molto più grande di quanto uno immagini, per questo motivo, in una giornata nella quale la nebbia/nuvole avvolgano la montagna con temperature positive, gli effetti sul manto possono essere molto, ma molto più evidenti di quelli di una piena giornata assolata a parità di temperature. Ulteriore considerazione è che con le nuvole o la nebbia, la neve fonde e si inumidisce sia a nord che a sud. 3. Per le alte temperature. In questo caso l’umidificazione e la fusione della neve è tanto più importante quanto più sono alti e potenti i raggi del sole. L’effetto maggiore avverrà solo quindi sui versanti più esposti, mentre in quelli in ombra sarà molto minore. 4. Venti. Più i venti sono forti più il calore da esso trasportato riesce a entrare all’interno del manto e a cedere il suo calore alla neve che fonderà. Se poi l’umidità relativa (ur) è elevata o addirittura satura (100%), con il vento forte, la “frittata” è fatta: abbiamo quasi le condizioni peggiori per la fusione della neve che avviene ovunque, a nord come a sud. In questo caso la temperatura ad 850hPa ci dice fino a che quota avviene questo sfacelo.

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5. Pioggia. Con la pioggia la neve presto va in isotermia (vedi oltre) e il manto diventa presto saturo d’acqua e, se piove tanto, può arrivare fino al livello del suolo. I granuli non sono più legati fra di loro e la neve diventa senza coesione. A livello fisico, fin quando in uno strato di neve è presente acqua liquida la temperatura del manto nevoso è necessariamente prossima allo zero e in isotermia, ovvero tutto lo strato interessato è alla stessa temperatura. In pratica nella neve vi è la presenza contemporanea di tutti e tre gli stadi di aggregazione: liquido, solido e gassoso. Se la quantità di acqua è piccola (<2%) l’acqua va a sciogliere i grani più piccoli di neve per trasferirsi per capillarità verso i punti di contatto (quindi gli aghi e le punte) con l’effetto di fonderli e smussarli. La densità del manto nevoso aumenta così anche la dimensione dei granuli che diventano più grandi. Nei nuovi punti di contatto avviene il fenomeno opposto, ovvero il congelamento, di conseguenza la neve è rimane stabile. Con l’aumentare della percentuale di acqua (5-10%) i granuli diventano rapidamente più grandi a scapito delle punte e degli aghi e dei granuli piccoli che spariscono del tutto. La neve continua a essere stabile. Se però la quantità d’acqua sale oltre il 10-12% il ricongelamento nei punti di contatto tra i grani più grossi è sfavorito e la coesione sparisce, neve dunque pericolosa.

Annibale (F. De Angelis) alle prime curve dall’Anticima Nord del Corno Grande, itinerario 53  

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Meteo e neve in Appennino

METAMORFISMO NEVE UMIDA O BAGNATA CON RIGELO (E FIRN) La neve umida è sempre in equilibrio termodinamico con l’aria che la sovrasta; se la temperatura torna sottozero, il primo effetto sarà quello di solidificare l’acqua capillare presente tra un granulo e l’altro. Dopo una giornata al sole con formazione di granuli grossi, basta una nottata serena che la superficie nevosa può perdere così tanto calore (per irraggiamento) da permettere un rigelo anche con temperature sopra lo 0°C, e anche se lo zero termico si colloca ben 1000m più in quota. L’irraggiamento è la perdita di calore verso lo spazio che la superficie degli oggetti (nel nostro caso la neve) perde durante la notte. I granuli si cementano e, se il processo è duraturo, esso si propaga anche in profondità generando uno spessore in genere portante. In caso di cieli non completamente sereni, l’irraggiamento verso lo spazio è minore e la neve non riesce a gelare allo stesso modo e così in profondità. In caso di assenza di vento il freddo pellicolare così prodotto (cioè relativo all’aria strettamente a contatto della neve) si stratifica con il tempo e accumulandosi nei fossi e nelle vallate. In una notte serena il raffreddamento notturno è tale che può gelare anche 2000m al di sotto dello zero termico. Questo tipo di freddo è però annullato in caso di vento, esso infatti disperde il freddo pellicolare che non riesce a scivolare più nei fossi e nelle valli. Nelle giornate invernali lo spessore della neve umida è di solito ridotto, e una nottata serena può formare al massimo una crosta sottile (neve crostosa) che può permanere tutto il giorno in quanto il sole invernale non è in grado di rompere i punti di contatto ghiacciati tra i granuli. Se poi lo spessore umido va più in profondità la crosta può essere più o meno spessa, con spessori da parzialmente portanti, fino a portanti, dove sciare diviene difficile. Talvolta il contenuto di umidità è tale e lo spessore così elevato che il rigelo notturno forma uno strato traslucido di neve dura, quasi ghiaccio, dove il minimo errore diventa fatale e dove risulta pericoloso anche il solo camminare con i ramponi. Quest’ultima condizione non è affatto rara in Appennino, specie a inizio inverno, in inverni asciutti o dopo una pioggia fino ad alta quota. Questa neve lucida e completamente ghiacciata è tipica anche della primavera, solamente che il sole primaverile permette tali condizioni solo per poche ore. Infatti, una volta che sorga il sole, specie con temperature miti o in primavera, i raggi cominciano a rompere i piccoli ponti di ghiaccio che tenevano uniti i granuli, la neve diventa più morbida e si trasforma nel cosiddetto firn. Fino a quando vi è ancora presenza di ghiaccio di rigelo tra i grani, il manto nevoso è stabile, poi improvvisamente la quantità di acqua è tale che i grani diventano instabili e la neve comincia a essere potenzialmente pericolosa. Il “tempo” di durata del firn è tanto maggiore quanti più cicli di gelo-disgelo ha subito la neve, in definitiva quanto più densa è la neve di partenza e quanto più grossi sono i granuli che la formano, tanto più a lungo regge il firn nell’arco della giornata. Si ribadisce che se nella notte vi è la presenza di nebbia o nuvole, il rigelo notturno è possibile solo se lo zero termico lo permette (calcolabile dalla °T a 850hPa). L’eventuale irraggiamento notturno è minimo, e il manto nevoso può rimanere bagnato (o umido) tale e quale al giorno prima. Capire se questo mancato rigelo sia o meno pericoloso è intuibile dal contenuto in acqua: se la neve stretta in pugno diventa grigia, o addirittura produce gocce d’acqua, meglio desistere, il contenuto d’acqua è sicuramente troppo. Non bisogna dare per scontato che dopo un rigelo notturno si debba formare del firn! Se la temperatura notturna è troppo fredda o il calo termico causato da un fronte freddo (vedi mappe a 850hPa) è molto sensibile, il sole non ce la farà a rompere in nuovi legami di ghiaccio tra i grani, neanche in primavera, e la neve rimane ghiacciata. In questi casi per trovare firn bisogna cambiare versante e sperare che esposizione e la durata dell’insolazione facciano il loro dovere.

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In sintesi si può asserire che allorquando le nevi umide subiscono un raffreddamento, l’acqua liquida presente gela progressivamente creando dei solidi legami tra i grani arrotondati con formazione di agglomerati di numerosi millimetri e alcune volte delle croste di ghiaccio. La neve acquista allora un’eccellente coesione detta “da rigelo”. È ciò che si può osservare frequentemente in primavera con alternanza di riscaldamenti diurni seguiti da raffreddamenti notturni. NEVE UMIDA (E PIOGGIA) COME STABILIZZATRICI DEL MANTO NEVOSO (considerazioni finali) Tutti i tipi di neve possono essere trasformati in grani arrotondati più stabili grazie all’umidificazione, compresi quei grani molto instabili come la brina di fondo e la neve “pallottolare”; anzi, questo è l’unico modo. Nel cuore dell’inverno, un forte riscaldamento accompagnato da pioggia può dunque essere salutare per il futuro di un manto nevoso reso fragile dalla presenza di tali strati. Siccome in Appennino la pioggia e i forti riscaldamenti non sono infrequenti, il manto nevoso ne risulta in genere più stabile. Ricordando però che neve molto umida è tanto pericolosa quanto quella posta sopra uno strato di brina di fondo, e che è meglio attendere una nottata di cielo sereno o un deciso calo termico prima di affrontare un pendio dove vi è caduta pioggia. Ma anche questo suggerimento può essere sbagliato in quanto un forte calo termico può creare duri strati di neve liscia e lucida dove ogni errore può essere fatale, specie sul ripido.

Discesa lungo la Cresta di Malecupo, itinerario 39  

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Meteo e neve in Appennino

PRINCIPALI TIPI DI NEVE APPENNINICA Neve incrostata da galaverna o nebbia congelantensi: fenomeno molto comune in Appennino centrale, ancor di più in quello meridionale. È uno dei principali fattori che trasforma la superficie nevosa in neve bagnata o in una crosta in inverno. La notevole vicinanza a caldi e profondi mari di molte cime dell’Appennino, provoca estese e durevoli formazioni nuvolose anche in assenza di vere e proprie perturbazioni; nuvole formate anche per semplici bave di vento che condensano e permangono sulle cime più alte.Le nuvole appenniniche sono quasi sempre composte da goccioline liquide anche se la temperature è sotto lo zero (vapore soprafuso). Nel momento che questa umidità tocca la neve o rami o sassi e ciuffi d’erba, essa condensa immediatamente e bagna la neve rami o sassi e ciuffi d’erba. Se al contrario, la temperatura dell’aria è sotto lo zero, le goccioline soprafuse a contatto di neve rami e sassi e ciuffi d’erba congelano istantaneamente formando la cosiddetta la galaverna. In caso di vento essa si accumula sul lato opposto (sottovento) dell’oggetto. Neve feltrosa: È quella neve che si attacca ovunque, anche sulle pareti, dovuta dall’umidità elevata che essa contiene. Oppure è neve ai primi stadi di metamorfosi, i ponti di ghiaccio sono in formazione e ancora scarsi per dare una buona resistenza. Neve ventata: Si forma per distruzione meccanica dei fiocchi di neve che, per pressione meccanica, vengono costretti alla coesione andando a formare una neve compressa; i granuli sono piccolissimi e la densità elevata. La pericolosità è dovuta al fatto che se la neve è trasportabile vuol dire che l’aria è fredda e secca, e avrà difficoltà a legarsi a quella sottostante formando i classici lastroni. Meglio rimanere sulle creste, ed evitare di sciare su canali convessi con questi tipi di neve. Accumuli eolici/sottovento: In Appennino gli accumuli eolici sono spesso notevoli, dovuto al fatto che le perturbazioni che vi transitano sono spesso accompagnate da venti forti. I venti dominanti sono da Ovest, per cui i versanti “riempiti” sono quelli orientali e le cornici sono spesso sul lato orientale. I venti occidentali sono di norma umidi e tiepidi, per cui al trasporto iniziale (potenzialmente pericoloso) segue un rapido metamorfismo per cui la neve è spesso stabile. Anche le cornici lo sono per lo stesso motivo. Cosa diversa è in caso di nevicate orientali dove la neve è fredda e leggera, è può viaggiare molto e “pescare” da vaste aree. Gli accumuli sottovento saranno notevoli ed estesi, capaci di creare valanghe che giungono al fondovalle in quanto costituiti da grani non coesi. Neve traslucida o ghiacciata: è formato da neve molto umida e pesante formata in seguito a periodo piovoso, che subisce un repentino abbassamento di temperatura. È diffusa in tutte le montagne vicine al mare come le cime appenniniche meridionale e quelle occidentali, come anche Alpi Dinariche, Albanesi, monti del Libano, della Spagna meridionale, della Corsica, o del Peloponneso. In inverno tale neve rimane dura tutto il giorno, in primavera può cedere grazie ai raggi solari più perpendicolari. Neve da colatoio o da goulotte: è neve dura ad alta densità, presente nei colatoi più profondi e di notevole sviluppo delle grandi pareti. Le valanghe che vi precipitano all’interno ne comprimono la neve, grazie al peso e al calore che si sviluppa per l’energia cinetica. Più il colatoio ha un ampio bacino di raccolta, più è probabile che esso contenga neve dura. La pendenza di questi colatoi fa sì che siano oggetto di frequenti e spontanei scaricamenti di slavine già durante la nevicata in atto. Generalmente temuti per le valanghe in realtà la pericolosità scema notevolmente (specie Appennino centrale) già pochi giorni dopo la nevicata, specie se seguiti da sbalzi termici e/o venti forti successivi alla nevicata, che aiutano la neve a scaricarsi. Neve da canale e da versante: è quella presente nei larghi e poco pendenti canali (tra i 20-40°) esposti a settentrione, poco soggetti a valanghe. Sulle Alpi è la classica neve invernale, in Appennino diventa tutto relativo, ma in genere più in quota si sale e più a settentrione si è, più la neve è simile a quella Alpina. La sua consistenza è di solito superiore a quella della neve fresca, ma che raramente

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può sorreggere il peso di un uomo. La sua trasformazione in Appennino può subire il passaggio a neve crostosa, dovuto a un passaggio nebbioso caldo umido che ne ha inumidito lo strato superficiale. Il processo a firn viene accelerato solo da periodi di temperature oltre lo zero o addirittura di piogge, o dal forte irradiamento solare se siamo a fine stagione. Per pendii diversamente esposti (est, sud, ovest) invece la trasformazione può avvenire anche in pieno inverno poiché può bastare un periodo di bel tempo o di temperature più elevate del solito che la neve di canale nel giro di una settimana diventi firn “portante”. NOTE CLIMATICHE TIPOLOGIA DI ALTA PRESSIONE E CONSEGUENZE SUL MANTO NEVOSO Hp Azzorriano. Con questa tipologia di alta pressione vi è una forte cessione del calore verso lo spazio, per cui la notte rinfresca molto, (processo valido anche in piena estate!). Questo fenomeno (irraggiamento) porta al raffreddamento dell’aria immediatamente a contatto con il suolo, quest’aria è più pesante e densa, e per gravità tende a scendere verso valle dai pendii andandosi ad accumulare nei fossi e nelle valli più profonde, tanto da far scendere sottozero le temperature anche con massime diurne molto alte, persino dell’ordine di 16-18° di massima nelle medesime località. Rispetto al cugino Africano (vedi sotto) sono i bassi Geopotenziali a permettere la forte perdita di calore verso lo spazio, e questo si nota ancor di più quando a parità di temperature ad 850hPa con l’Hp Azzorriano si raggiungono delle minime ben più basse del cugino Africano. anche a parità di temperature ad 850hPa! Questo fenomeno (irraggiamento) è capace di generare forte rigelo notturno anche con termiche alquanto “altine” cioè dell’ordine di 7/8°C ad 850hPa, oppure di tenere buone condizioni firn anche con termiche fino a 10-13°C ad 850hPa, e cioè con uno zero termico teorico ben più alto delle cime dei nostri monti, e cioè sui 3200-3800m! E questo soprattutto in quei pendii, pareti e goulotte esposte a Nord e a inizio primavera. Quando il sole non è ancora troppo alto!

Scialpinisti alla Sella di Palazzo Borghese   

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Meteo e neve in Appennino

Inoltre l’Hp Azzorriano possiede dei valori di umidità relativa che si mantengono sempre tra il 40 e il 75%, valori che non permettono una forte sublimazione del manto nevoso. Hp Africano. La peculiarità di questo genere di Hp è la bassa umidità dell’aria di cui ne è costituito, specie in quota; fenomeno che favorisce la permanenza di estese nebbie nel fondovalle e la formazione di inversioni termiche che perdurano per tutto l’arco della giornata. Questa caratteristica è dovuta agli alti valori di Geopotenziali di cui essa è formata, 1m3 di aria è più pesante da sollevare, e i moti sono tutti discendenti, verso il basso, spingendo verso il basso l’umidità. Il fenomeno dell’inversione termica è più netto, ma siccome le termiche ad 850hPa sono elevatissime (fino a +11°C ad 850hPa anche in inverno, difficilmente si possono avere inversioni fredde. In montagna fa caldo, si viene a creare praticamente un’omotermia termica alle varie quote. In definitiva salendo di quota le temperature non scendono, e in quota la notte raffredda davvero poco e, complice la secchezza dell’aria di cui ne è costituito, l’Hp Africano è capace di sciogliere molta neve per sublimazione anche nei versanti esposti a nord! Il forte caldo prodotto dall’Hp Africano, NON trasforma la neve nei versanti esposti a nord, ma la consuma per sublimazione. IL VENTO: EFFETTO E OSSERVAZIONI È un fattore spesso trascurato, ma importante in montagna. Se sottovalutato può dare problemi enormi, specie su selle e valichi e creste. In internet sono disponibili diversi siti dove consultare le mappe con la velocità e la direzione del vento. Uno dei siti migliori è www.windy.com, che dà la possibilità di scegliere sia la scala della mappa che l’altezza al suolo dei venti ; e l’algoritmo che utilizzano è in grado di visualizzare anche l’aumento del vento dovuto all’orografia, ma nessuno è in grado di dare informazioni sul vento che ci sarà localmente in quella montagna, in quel valico, su quella cresta o su quel pendio. Valico. In genere su un valico ortogonale alla direzione del vento (cioè posto a perpendicolo sulla direzione del vento), quindi nella posizione peggiore, si può ipotizzare che la velocità sia 4 volte superiore a quella prevista in libera atmosfera. Per cui, venti a 50km/h, possono diventare 200km. Cresta. Se il percorso è su una cresta ortogonale alla direzione del vento, si moltiplica per 2 la velocità prevista in libera atmosfera. Per cui, venti a 50km/h, possono diventare 100km in un valico. Pendio. Per un pendio ortogonale alla direzione del vento, si può ipotizzare un fattore 1,5 rispetto alla velocità prevista in libera atmosfera. Per cui, venti a 50km/h, possono diventare 75km. NOTE SULL’INTENSITÀ DEL VENTO Sulle mappe le intensità del vento sono generalmente espresse in K Nodi (Kn) raramente in km/h. Venti tra 0-15Kn (nodi) o 0-27km/h: non costituiscono un problema, sia in quota che in luoghi vicino a creste, selle, e altre zone solitamente ventose, il vento è ben sopportabile Venti tra 15-25Kn (nodi) o 27-47km/h: sulle creste e sulle selle/valichi comincia a essere consigliabile considerare il wind-chill previsto alla quota della parete. Con valori sotto i 5° C bisogna quindi vestirsi adeguatamente, quasi come in pieno inverno. Venti tra 25-40Kn (nodi) o 47-74km/h: a queste velocità occorre evitare creste e valichi; anche con temperature prossime ai 10°C; l’intensità è tale da creare disagi da freddo e costringere a vestirsi come in pieno inverno. Da evitare se le temperature ad 850hPa sono inferiori allo 0°C. Venti oltre 50Kn (nodi) o oltre 90km/h: l’ascesa è quasi sempre da sconsigliare, a meno che il versante sia completamente sottovento.

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AVVERTENZE La presente guida è stata scritta e ideata per descrivere itinerari conosciuti e non dell’Appennino centrale, le mappe allegate all’interno però, seppur minuziosamente ri-disegnate dall’autore, non sono la riproduzione esattamente fedele della realtà, e soprattutto non possono sostituire le care e vecchie carte e mappe, meglio se in scala 1:25000, vista l’ampia area geografica ivi descritta. Consigliamo quindi, prima di affrontare una qualsivoglia salita in un territorio misconosciuto, di munirsi di tali mappe topografiche oggigiorno alcune consultabili anche da web: http://geoportale.regione.abruzzo.it/

SCALA EUROPEA DEL PERICOLO VALANGHE SCALA PERICOLO

1

PROBABILITÀ DISTACCO VALANGHE

Il manto nevoso è in generale ben consolidato e stabile.

Il distacco è generalmente possibile solo con un forte sovraccarico** su pochissimi pendii estremi***. Sono possibili solo piccole e medie valanghe spontanee.

Condizioni generalmente sicure per le escursioni.

Il manto nevoso è moderatamente consolidato su alcuni pendii ripidi*, altrimenti è generalmente ben consolidato.

Il distacco è possibile principalmente con un forte sovraccarico**, soprattutto su pendii ripidi* indicati. Non sono da aspettarsi valanghe spontanee molto grandi.

Condizioni favorevoli per le escursioni, ma occorre considerare adeguatamente locali zone pericolose.

Il manto nevoso presenta un consolidamento da moderato a debole su molti pendii ripidi*.

Il distacco è possibile già con un debole sovraccarico** soprattutto sui pendii ripidi* indicati. Talvolta sono possibili alcune valanghe spontanee di grandi dimensioni e, in singoli casi, anche molto grandi.

Le possibilità per le escursioni sono limitate ed è richiesta una buona capacità di valutazione locale.

Il manto nevoso è debolmente consolidato sulla maggior parte dei pendii ripidi*.

Il distacco è probabile già con un debole sovraccarico** su molti pendii ripidi*. Talvolta sono da aspettarsi numerose valanghe spontanee di grandi dimensioni e spesso anche molto grandi.

Le possibilità per le escursioni sono fortemente limitate ed è richiesta una grande capacità di valutazione locale.

Il manto nevoso è in generale debolmente consolidato e per lo più instabile.

Sono da aspettarsi numerose valanghe spontanee molto grandi e spesso anche valanghe di dimensioni estreme, anche su terreno moderatamente ripido*.

Le gite sciistiche non sono generalmente possibili.

DEBOLE

2 MODERATO

3 MARCATO

4 FORTE

5 MOLTO FORTE

INDICAZIONI PER SCIATORI ED ESCURSIONISTI

STABILITÀ MANTO NEVOSO

Le parti di terreno dove il pericolo è particolarmente pronunciato vengono descritte più dettagliatamente nel bollettino delle valanghe (a es. quote, esposizione, forma del terreno ecc.). * Pendio moderatamente ripido: pendii meno ripidi di circa 30°. * Pendio ripido: pendii più ripidi di circa 30°. ** Sovraccarico debole: sciatore o snowborder che effettua curve dolci, che non cade; escursionista con racchette da neve; gruppo che rispetta le distanze di sicurezza (minimo 10m). Sovraccarico forte: due o più sciatori o snowborder che non rispettano le distanze di sicurezza, escursionisti a piedi, curve saltate o molto strette, caduta di sciatore, motoslitta, mezzo battipista, esplosione. *** Terreno ripido estremo: particolarmente sfavorevole a es. dal punto di vista della pendenza (più ripido di circa 40°), forma del terreno, prossimità alle creste o proprietà del suolo.

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SIMBOLOGIA orientamento

SA scialpinismo SR sci ripido Indica se l’itinerario proposto è di scialpinismo o di sci ripido

Esposizione Indica l’orientamento prevalente dei pendii di salita e discesa dell’itinerario

tempo di percorrenza

periodo di percorrenza

Tempo di salita Tempo indicativo per l’escursione (salita e discesa con buone condizioni (calcolato con una velocità di salita di 350/400m di dislivello/ ora)

Periodo migliore di percorrenza Indica il periodo migliore in cui fare l’escursione

difficoltà alpinistica

Difficoltà alpinistica complessiva Indica l’Impegno Globale richiesto: la difficoltà alpinistica della salita e di eventuali passaggi alpinistici in fase di discesa; considera inoltre anche lunghezza, dislivello, eventuale necessità di pernotto ecc. Vedi tabella a pag. 23

snowboard

Snowboard Indica la possibilità di percorrere l’itinerario con lo snowboard

dislivello salita-discesa

Dislivello Dislivello complessivo della salita e della discesa

difficoltà discesa

Difficoltà in discesa Indica la difficoltà sciistica in discesa. Vedi tabelle difficoltà discesa a pag. 18, 19 e 22

qrcode punto di partenza

Inquadra il qrcode con il tuo smartphone per raggiungere il punto di partenza.

tracce

salita discesa

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• Consultazione dei bollettini nivo-meteorologici e valutazione di previsione meteorologica, situazione di innevamento e pericolo di valanghe • Completano il quadro le informazioni di esperti locali quali guide alpine, ufficio turismo, rifugisti, ecc, e quelle dedotte dal web (con spirito critico!)

• Valutare le reali condizioni meteorologiche, anche in relazione alla previsione letta a tavolino • Valutazione dell’effettiva quantità di neve al suolo, della neve fresca, e delle condizioni generali di pericolo valanghe nella zona della gita • Raccolta di ulteriori informazioni da persone locali e gitanti di rientro

• Valutare durante il percorso, a intervalli regolari le condizioni di visibilità, vento e temperatura • Valutare lo spessore della neve fresca (altezza critica 20-30cm) e le caratteristiche del manto nevoso (neve con coesione, assestamenti con “woom”, strati di scorrimento o deboli) • Eventualmente se si avverte una situazione di possibile pericolo , valutare la stabilità del manto effettuando prove rapide quali bastoncino o pala

2 - Zonale Valutazione dettagliata sul posto del rischio valanghe e delle condizioni ambientali; eventualmente cambio di destinazione per la gita

3 - Locale Valutazione del singolo pendio durante lo svolgersi della gita, ed eventualmente adozione di misure atte a prevenire rischi per il gruppo

A - CONDIZIONI NIVEO-METEO

1 - Regionale Pianificazione della gita a tavolino, valutazione delle alternative

LIVELLO DECISIONALE

• Valutare nel dettaglio l’inclinazione di pendii ripidi con il metodo del bastoncino o con inclinometro (inclinazione critica 25-30°) • Valutare l’esposizione dei pendii rispetto ai venti prevalenti dei giorni precedenti e all’irraggiamento solare pregresso • In vista della discesa valutare attentamente itinerari di variante, in relazione all’irraggiamento futuro e al pericolo valanghe

• Orientarsi rispetto alla carta topografica di riferimento e allo schizzo di rotta, condividendo l’informazione con gli altri • Individuare la “macrotraccia” sul posto valutando le condizioni generali di innevamento e pericolo lungo il percorso scelto • Individuare le zone di potenziale distacco valanghe quali canaloni, pendii sottocresta, cornici, pendii aperti, radure, ecc. • Individuare le fonti di altri eventuali pericoliquali salti di rocce, cascate di ghiaccio, seraccate, zone crepacciate, ecc.

• Documentarsi con guide sulla scelta di itinerari da valutare, sulla base della stagione e dell’innevamento del periodo • Consultare cartine topografiche 1:25.000 o 1:50.000 • Tracciare uno schizzo di rotta • Valutare le pendenze dell’itinerario in relazione a pericolo valanghe e alle difficoltà tecniche • Individuare le gite alternative

B - TERRENO

FATTORI DI VALUTAZIONE

• Assicurarsi che il gruppo mantenga le regole base di autodisciplina, soprattutto in presenza di situazioni di pericolo • Valutare a intervalli regolari le condizioni fisiche e psichiche dei partecipanti durante la gita, soprattutto in seguito a situazioni di stress • In caso di pericolo, in discesa mantenere le distanze di sicurezza, sciare in corridoi prestabiliti e arrestarsi a monte dei compagni che precedono in zone di sicurezza

• Controllare l’effettiva composizione del gruppo alla partenza, e l’eventuale presenza di altri gruppi • Controllare l’equipaggiamento individuale e di gruppo, con particolare attenzione al materiale utile all’autosoccorso • Effettuare la prova ARTVA • Formazione di piccoli gruppi autonomi con proprio “capogita” • Controllare durante la gita i tempi di marcia verificando il rispetto della tabella di marcia

• Valutare la composizione del gruppo di gitanti in relazione a esperienza, capacità tecniche, preparazione fisica e condizione psicologica • Valutare attentamente gli itinerari scelti sulla base delle capacità del soggetto meno preparato tecnicamente/fisicamente • Individuare i soggetti di maggiore esperienza per condividere le scelte e le responsabilità

C - FATTORE UMANO


SIBILLINI I Monti Sibillini sono tra i più importanti gruppi montuosi dell’Appennino. Si estendono a cavallo tra le Marche e l’Umbria con la cima più elevata (Monte Vettore) che tocca i 2476m; sono il quarto gruppo per ordine d’altezza di tutto l’Appennino. Se osservati da ovest, si mostrano come una compatta costiera, con forme alquanto tondeggianti; al contrario il versante orientale appare molto più tormentato, a tratti anche alpestre, come nel caso delle cime che circondano la Valle del Lago di Pilato, la cima di Palazzo Borghese e quella del Monte Bove Nord.

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La catena principale dei Sibillini è allineata lungo l’asse NW-SE ma, esterne a essa, vi sono lunghe catene secondarie allineate a NE. Tra di esse si aprono lunghe ed estese vallate che in basso spesso si approfondiscono in strette forre. La varietà e la molteplicità di paesaggi rappresentano oggi la ricchezza dell’intera catena dei Sibillini.

Vista panoramica dal Pizzo Berro (© Mauro Pierantoni)  

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Sibillini

GEOGRAFIA GENERALE La catena dei Monti Sibillini può essere suddivisa in tre settori principali. Il primo, che chiameremo Settore Settentrionale, comprende cime e vette che si trovano a settentrione del valico di Passo Cattivo. A meridione di questo abbiamo il Settore Centrale (o della Sibilla) che comprende cime quali la Sibilla e il Palazzo Borghese, e che termina al valico di Forca Viola; infine, un terzo e ultimo settore che chiameremo Meridionale (o del Vettore), nel quale si elevano tutte le più alte quote dell’intera catena quali la Cima del Redentore, il Pizzo del Diavolo e il Vettore stesso. Cartografia: Carta CAI A.P. 1:25000 Parco Nazionale dei Sibillini

SETTORE SETTENTRIONALE Procedendo da nord, la prima importante elevazione del settore è il Monte Rotondo, una grossa montagna alta 2102m dalle forme molto bonarie, incisa a settentrione da selvagge e solitarie valli a truogolo glaciale che in basso divengono canyon (forra Acquasanta), tutte dal discreto interesse scialpinistico. La Forcella del Fargno (q. 1811m) unisce questa grossa montagna al resto della catena dei Sibillini; ora si distinguono due netti versanti: quello Adriatico attraverso la Valle di Bolognola e quello tirrenico con la Val d’Ussita. Oltre la Forcella del Fargno la cresta principale sale toccando i 2092m del Pizzo Tre Vescovi, un importante nodo orografico dal quale si distacca una importante catena laterale in direzione est a formare l’elegante M. Acuto (2035m) e la bonaria cima Castel Manardo (1917m). Questa catena corre a spartiacque tra la Valle di Bolognola e la Val d’Ambro. L’interesse scialpinistico è notevole con itinerari belli e vari. La cresta principale procede verso sud scendendo alla Forcella Angagnola (q. 1924m), per poi riprendere a salire in forma esile e rocciosa a toccare i 2259m del Pizzo Berro, una bella e aguzza cima. Ora diparte un’altra importante catena laterale con asse E-W: a oriente si distacca l’importante cima Pizzo della Regina (M. Priora 2332m), di aspetto compatto e tozzo, mentre a occidente, oltre l’esile Forca della Cervara (q. 1965m) prende inizio l’importante sottogruppo del M. Bove (2169m) e del M. Bicco (2052m). Tutto il settore è dal notevole interesse scialpinistico.

01. M. Rotondo, Canale Crik Crok . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 02. Pizzo Tre Vescovi, Canale della Clessidra . . . . . . . . . . . 62 3a. Pizzo della Regina (M. Priora),Parete Nord (via Liuti)

da Bolognola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66

da Vetice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68

da Ussita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70

3b. Pizzo della Regina (M. Priora), Parete Nord (via Liuti) 3c. Pizzo della Regina (M. Priora),Parete Nord (via Liuti)

04. Cima di Passo Cattivo, Da Macchie . . . . . . . . . . . . . . . . 74 50

01


02

3a

02

3a 3b 3a

3b

3c

3c

07 04 Cima di Passo Cattivo

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Sibillini

Forcella Val Cervara e Il Pizzo Berro sullo Sfondo 

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Sibillini

SETTORE CENTRALE (O DELLA SIBILLA) Il valico di Passo Cattivo (q. 1869m) separa il settore settentrionale da quello centrale e mette in comunicazione la Val Tenna con quella dell’Alta Val Nera. A sud del valico la cresta prende a salire raggiungendo i 2113m di Cima Vallinfante dalla quale si distacca una rocciosa cresta secondaria culminante nei 1975m della Cima Cannafusto, quest’ultima dallo scarso interesse scialpinistico. La cresta poi procede lungamente fino ai 2233m del M. Porche (o Bellavista). Da qui una seconda e più importante catena laterale si stacca a oriente con la Cima Vallelunga (2221m), e la famosa cima della Sibilla (2175m), che dà il nome alla catena montuosa per una grotta nella quale la leggenda vuole si rifugiasse una maga. Questa lunga e affilata cresta corre a spartiacque tra la Val d’Aso a sud e la Val Tenna a nord, entrambe di notevole interesse scialpinistico. A sud del Monte Porche si eleva la turrita cima del Palazzo Borghese, 2145m, con una bella parete di aspetto dolomitico e ancora più a Sud è il Monte Argentella, importante cima alta 2200m che a est precipita nella sottostante valle del Lago di Pilato (alta Val d’Aso); entrambe le cime sono dal notevole interesse scialpinistico. La cresta poi perde quota fino ai 1936m dell’importante valico di Forca Viola, dove prende inizio il settore meridionale che descriveremo in seguito.

05. Argentella, Canale d’Argento e Fosso Mozzacarne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 06. M. Argentella e M. Porche, Canale della Toga e Fosso Brecciaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 07. M. Argentella, M. Porche e Cima Vallelunga, Le 3 Nord . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 SETTORE MERIDIONALE (O DEL VETTORE) Qui si innalzano le cime più elevate della catena dei Sibillini. A meridione di Forca Viola la cresta principale si impenna presto ai 2230m della Cima di Castelluccio e ai 2247m di Quarto S. Lorenzo, poi in sequenza da N a S abbiamo Cima dell’Osservatorio, quella del Redentore e Cima del Lago,

07

05 06

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rispettivamente 2350, 2448 e 2422m, tutte cime dal notevole interesse ambientale e scialpinistico che fanno corona a uno dei posti più bucolici e fotografati dei Sibillini, la Piana di Castelluccio. Dalla cima del Redentore si stacca a est la rocciosa cima del Pizzo del Diavolo (2410m), forse la vetta più emblematica e bella dei Sibillini, Questa cima possiede alte pareti di roccia di aspetto dolomitico, si innalza per circa 400m dalla conca del Lago di Pilato, creando un paesaggio davvero singolare e alpestre, di incomparabile bellezza. La vicina Cima del Lago (2422m) e quella di Prato Pulito (2373m) fanno da corona alla splendida Valle del Lago di Pilato, uno tra i luoghi più belli e scialpinisticamente interessanti dei Sibillini, che racchiude il suggestivo lago omonimo: lo specchio d’acqua perenne più elevato (q. 1940m) d’Appennino. La cresta principale si abbassa poi ai 2240m della Sella delle Ciaule, dove sorge il Rif. Zilioli, per piegare di nuovo a nord, innalzandosi gradualmente fino ai 2476m del Monte Vettore, cima più alta del gruppo, montagna massiccia e tozza, incisa da canaloni di interesse scialpinistico su tutti i ripidi versanti. Ad oriente del Vettore si allunga una breve cresta a formare la Cima di Pretare o il Pizzo (2281m) che fa da corona al “Grande Imbuto” ovvero il Fosso di Colleluce, che precipita per oltre 1000m sulle colline ascolane. Una seconda e più estesa cresta si distacca dalla cima del Vettore lungamente verso nord, toccando i 2117m del M. Torrone e 1850m di Cima delle Prata.

08. 09. 10. 11. 12.

Cima del Redentore, Canale NE Forcella del Lago . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 M. Vettore, Canale del Santuario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 M. Vettore, Canale diretto alla Vetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 Anticima Nord del Vettore, Cresta del Sassone e Fosso di Casale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 M.Vettore Fosso di Colleluce (Imbuto) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

CARTOGRAFIA. Carta CAI 1:25000 Monti Sibillini.

11 08 12

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01

Sibillini > Settore Settentrionale

M. ROTONDO [2102m] Canale Crik Crok NOTE STORICHE. Prima discesa in sci G. Tomassini, 17 marzo 2013. MATERIALE. NDS, piccozza e ramponi.

OVEST

TIPOLOGIA ITINERARIO. Canale.

esposizione

NOTE. Itinerario intuitivo ed emozionante. Una linea obbligata, a perpendicolo lungo l’inciso canale fino al pianoro ove sorge il Casale Gasparri. La sua esposizione a ovest consente neve trasformata (a volte) anche in inverno, il miglior compromesso è però tra fine inverno e inizio primavera. Si tratta di un itinerario consigliabile per amanti delle uscite in ambienti isolati e molto panoramici. Dalla vetta, la vista sulle pareti del M. Bove è da togliere il fiato. A primavera avanzata o con scarso innevamento, conviene partire da Casali di Ussita (accesso B) arrivando fin dove è possibile per una sterrata spesso priva di neve causa l’esposizione a sud.

tempo di percorrenza

Dic-Apr

periodo di percorrenza

4.1 / E2 / I difficoltà discesa

AD-

impegno complessivo

Sì - No snowboard

A

B

Dal Casale Gasparri si può tornare sul percorso d’andata risalendo la carrozzabile che s’insinua nella faggeta poco sopra e attraversa tutto il versante nord di Croce di Monte Rotondo, al limite del bosco. In alternativa, si può risalire il canale alle spalle del Casale fino alla sella della Banditella e poi, in breve nuovamente alla Croce di Monte Rotondo.

Il

Pao

ne

di

llo

ni

Va

Pia

C.le Gasparri 1572 Canale

01a

Rif. di Pao 1113 Valico le Arette

Stazzo Pietralata

01 1926

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Crik Cro

k

a

5h30’

itell

dislivello salita-discesa

La B and

1550m

2102


LOCALITÀ DI PARTENZA A. Valico le Arette q. 1113m. ACCESSO STRADALE A. Il valico le Arette è raggiungibile da Macerata o da Perugia per la SS77var; uscire seguendo le indicazioni per Visso. Dopo 15km, appena dopo aver superato la località Appennino, si devia a sinistra per salire verso il santuario di Macereto. Si oltrepassa questo per una strada che piega a destra; in 2km si arriva al valico le Arette parcheggiando senza ostruire il cancello di accesso al fontanile. LOCALITÀ DI PARTENZA B. Rifugio Piani di Pao, 1560m. ACCESSO STRADALE B. Come per accesso A, solo che si prosegue fino a Visso, quindi a sx per Ussita. Si sale poi a sx per Casali di Ussita dove termina la strada asfaltata (q. 1080m). Poco prima della piccola contrada si prende una strada sterrata (percorribile quasi da tutte le auto) che sale per una pineta e in 7km giunge al piccolo rif. per pastori. PUNTI DI OSSERVAZIONE. In parte lungo l’accesso stradale. PUNTI DI APPOGGIO. Non vi sono rifugi; la zona era abbastanza turistica fino al terremoto del 2016. Ora è da verificare. ITINERARIO. Dal valico le Arette, dando le spalle al fontanile, si imbocca la sterrata in direzione N-NE fin sotto la pineta di Costa Terrena. La si costeggia seguendo l’evidente sentiero in direzione est, per poi risalire lo stretto canalino fino ai Piani di Pao (q. 1516m) e raggiungere la carrozzabile bianca che sale da Fiastra. Dopo poco, questa si biforca, si lascia a dx (in discesa) la strada bianca per Casali di Ussita dove, poco più a valle, vi è il rif. Piani di Pao (accesso B). Si sale la strada bianca (©Giulio Tomassini)  

Monte Rotondo La Banditella

01

Casale Gasparri

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01 Sibillini > Settore Settentrionale  M. Rotondo Canale Crik Crok

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che prosegue per il Rif. del Fargno e giunti al bivio per la carrareccia che scende al Casale Gasparri, in zona Casette, si abbandona la carrozzabile per salire il crinale ovest che conduce alla cima Croce di Monte Rotondo (1926m); 2h30’. Si discende il dolce pendio fino alla sella della Banditella (q. 1788m) che lo separa dal M. Rotondo (2102m); 3h15’ (2h con accesso B). Tutt’intorno, magnifica veduta aerea sui dolomitici contrafforti del Monte Bove Nord, sulla Val di Panico, fino alle sinuose creste del Pizzo Berro e del Pizzo Regina. DISCESA. Dalla cima, in direzione nord, si scivola dolcemente lungo la conca sommitale verso la cresta che termina con il Monte Pietralata. Prima di raggiungere l’affilata cresta, affacciandosi subito a sx, si scorge una piccola sella, quasi come un corridoio, trampolino naturale che immette nel ripido canale Crik Crok. Il primissimo tratto, incassato tra roccette affioranti, costituisce il passaggio chiave della discesa. Superato questo, la pendenza tende a diminuire e il budello si allarga. Nel tratto centrale un’altra strozzatura obbliga a rallentare il ritmo, per poi riprenderlo subito dopo lo scivolo (sovente con tracce di ghiaccio e residui di valanghe) fino al pianoro finale, in prossimità del

Canale Crik Crok (© Giulio Tomassini)  


Casale Gasparri (q. 1572m). Da qui, due possibili rientri; il più veloce è aggirare la Croce di M. Rotondo per un’evidente carrozzabile che taglia tutto il versante nord, sempre in leggera salita, corre sempre al limite del bosco per poi ricollegarsi alla strada fatta all’andata. A. In alternativa, si può risalire il canale alle spalle del Casale fino alla sella della Banditella e poi, in breve nuovamente alla Croce di Monte Rotondo per godere di una seconda discesa direttamente sul versante nord a seguire le lingue di neve, fino a incrociare la sterrata che proviene dal Casale Gasparri. CONSIGLI CLIMATICI E NIVOLOGICI. Vista l’esposizione a ovest, il firn “molla” solo in tarda mattinata; se la temperatura fosse bassa (sotto i 6°C a 850hPa) la neve potrebbe rimanere gelata tutto il giorno, quindi prestare molta attenzione ai primi 200m di discesa. I pericoli sono in genere limitati, concreti solo con abbondante innevamento e scirocco in corso. In tal caso rimanere in cresta. BIBLIOGRAFIA. Scialpinismo sui Monto Sibillini G. Mainini P. Renzi (2007).

Veduta dalla cima del Monte Rotondo, di fronte si staglia la parete N del Monte Bove (© Giulio Tomassini)  

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SCIALPINISMO DA FAVOLA

di Giulio Tomassini, Presidente Sez. CAI Camerino

Sì, proprio da favola, non tanto per magnificare chissà quali imprese, che tali non erano nelle intenzioni dei protagonisti, quanto per partecipare lo spirito scanzonato e divertito di chi ha avuto la buona sorte di vivere intensamente un angolo d’Appennino bellissimo e dalla storia leggendaria, i magici Monti Sibillini, lasciandosi accompagnare nelle fantasticherie di epiche salite e audaci discese, in un mondo ovattato e pennellato di bianco, a festa. Quasi un sogno, realizzato con la complicità degli amici più cari che assecondarono l’entusiasmo e se ne fecero interpreti, accompagnandomi all’avventura. E allora, non resta che raccontare queste piccole storie di montagna con il linguaggio delle favole, un po’ verità, un po’ fantasia e l’immancabile morale: di quei giorni ideali avverto l’ebbrezza forte pervadermi, amplificata dal candore argenteo che il manto irradia, e gusto lo stupore provato scorgendo la traccia effimera appena solcata, deferente al monte che docilmente si concede e asseconda il mio scendere. E ancora mi appaga quell’armonioso incedere per immacolati, spumosi declivi. 19 aprile 2014 - Soli soletti, ma senza sole, saliamo le prime lingue di neve a terra e i primi fiocchi in aria. Da bravi cercatori della dama bianca guai a scoraggiarsi se la manna cade proprio dal cielo. Perciò, in buona compagnia della nebbia, tagliamo il versante nord di Croce di M. Rotondo fino alla Banditella, sfruttando il manto che oggi sfuma sull’ocra pallido. Fiaccati da folate tutt’altro che amiche, entriamo nel mestolone sommitale che offre un comodo riparo prima dello strappetto finale. Immaginando il panorama, cerchiamo l’unica compagnia oggi possibile: e allora, ecco mostrarsi Sue, la donna invisibile, un pochino schiva per i nostri gusti; la Torcia umana che ci ha condotti illuminando la via; Fantastic, l’uomo di gomma, che allunga il collo almeno quanto il nostro quando c’è questa visibilità; e infine la Cosa, l’uomo roccia, che pare abbia fatto proseliti in quest’angolo di Sibillini, visti i numerosi ometti di pietra. Visto l’af-

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follamento di vetta, non potevamo che approfittare delle nuove amicizie per una fantastica avventura lungo l’aperto pendio del versante nord, fino al Casale Gasparri. Divertiti a dovere e rincuorati dalla presenza dei nuovi imbattibili amici, rimontiamo a Croce di M. Rotondo per consumare finalmente una vendetta personale: spazzolare quella dispettosa linguaccia di neve che tutte le mattine mi irride al primo affaccio ancora in pigiama, facendomi rosicare tutti i soleggiati giorni lavorativi. È proprio vero: la vendetta va consumata fredda! 12 gennaio 2013 - Giornata ricca, con due amici che sono un gioiello, pronti a lucidare l’Argentella di famiglia. Così, cercando la linea retta per la Portella del Vao, attraversiamo nella nebbia il Pian Perduto… di vista. Poi, luci, bagliori e stupore lungo la via maestra del Canale S. Lorenzo, fino a saggiare la ventosa vetta, e lì d’improvviso, affacciandomi sull’ombroso declivio a nord, la soave apparizione, voilà la Neve, mademoiselle Neve, che sorpresa dalla meraviglia che mostro, mi sussurra ammiccante: oui, je suis Neve, Catherine De Neve! Così, ammaliato da tanto candore, mi unisco a lei in un vortice di emozioni, lasciandomi sedurre da curve sinuose fino a rimanere stordito, ai suoi piedi. Nella conca, quando realizzo che la mia romantica fuga d’amore sulle sponde del lago ghiacciato resterà solo un etereo ricordo, torno sui miei passi rassegnato alla quotidianità, accontentandomi della solita minestra riscaldata: Canale S. Lorenzo arato all’ascolana. Sono proprio fritto! 19 gennaio 2013 - Sono euforico, mon amour Catherine De Neve ha finalmente fissato il nostro primo appuntamento: Valle Orteccia, ore 10.30. È proprio romantica la ragazza, ancora una volta un luogo appartato e confesso di apprezzare questa sua riservatezza. Non posso mancare! Senonché, mi sfugge la solita parola di troppo con gli amici, e loro, sempre in cerca di avventure, esternano un pensiero all’unisono: dille di portare le amiche! In dovuto anticipo, come si confà, partiamo da Monte Prata con un’andatura allegra, e non poteva essere


altrimenti. Nel tragitto di cresta per Cima Vallinfante, ciascuno con il fiato sul collo di chi lo precede, controlla il proprio alito. Giusto il tempo di una balsamica, rigorosamente gelèe data la temperatura, ed ecco l’attesa conferma. Con invitanti sorrisi le ragazze ci accolgono, mostrando fianchi morbidi vestiti a festa e confermando di pendere tutte a nostro favore. Giusto il tempo delle presentazioni e iniziamo subito le danze. Ognuno offre il meglio di sé: Mario Swarovski sfoggia un baffetto cristal imperlato di ghiaccio; Davide calza scafi da sera con tinta arancio e coppale; il Re Sole dispensa languidi sguardi. Il salone delle feste è tutto per noi e volteggiamo in libertà fin nei pressi del bosco, quando le amiche ci fanno capire che per oggi può bastare così. Sì, bisogna proprio tornare, e lo facciamo con la testa ancora tra le nuvole e gli occhi annebbiati, ricordando il monito del caro Totò: nella nebbia ci vuole naso e… GiovaProprioServirsene (GPS). Ancora sembra di essere lì, sulla Cima di Vall’Enfants Terribles. 31 marzo 2012 - Dalla vetta del Porche saggiamo la dura neve della parete nord, poi godibilissima nella Valle Lunga, e ripelliamo per la sella che ci condurrà sull’aerea cresta di Cima Vallelunga. L’af-

faccio sul canale nord è irresistibile, ma assecondiamo la tentazione di un’altra nord proseguendo fino alla sella della Sibilla. Alle 15.00, con 4 ore di luce a disposizione, giù a perpendicolo per il corridoio d’ingresso del Casale Sibilla e via nell’omonimo canale fin dove una neve profonda e pesante ci ricorda che il Rifugio per la notte è sull’altro versante della montagna. Quando siamo ormai pronti per chiudere la giornata, l’imprevedibile: uno sci capriccioso e disubbidiente, ridotto a pelli di foca e salita, approfittando di una folata di vento amica, lascia prevalere la sua anima in legno e rispondendo al più naturale richiamo della foresta si libera, saluta il conducente e si gode in assoluta libertà tutto il canale, scomparendo tra maestosi e fieri faggi votati a un destino certamente migliore del suo: giammai in segheria! E allora, se gli amici si vedono nel momento del bisogno, con Michele ne diamo dimostrazione assecondando il nostro bisogno di curve su neve finalmente complice e accompagniamo Davide all’abbraccio del discolo attrezzo. La risalita del canale e la discesa fino al Rifugio Sibilla aggiungeranno maggior gusto alla più degna delle chiusure scialpinistiche: Pizza pasquale di Camerino e sua maestà il Ciauscolo!

Camerino e sullo sfondo le propaggini settentrionale dei Sibillini con il M. Rotondo (© Giacomo Bartoletti)  

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02

Sibillini > Settore Settentrionale

PIZZO TRE VESCOVI [2092m] Canale della Clessidra NOTE STORICHE. Prima discesa ignota.

EST

DISLIVELLO TOTALE. 1450m - 1900m con salita dal Monte Castel Manardo.

esposizione

TIPOLOGIA ITINERARIO. Pendii ripidi e canale.

1450

MATERIALE. NDS, piccozza e ramponi.

6h30’-7h30’

NOTE. Grande itinerario da non perdere per gli amanti degli ambienti selvaggi e isolati. Deve essere un poco corteggiato per trovare il giusto compromesso tra neve buona e pericoli bassi. Come per tutti gli

dislivello salita-discesa

tempo di percorrenza

Dic-Apr

periodo di percorrenza

OSA

difficoltà discesa

AD-

impegno complessivo

Sì - No

Val di Te l a

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2035 2092

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Sorgenti Ambro


itinerari che scendono in Val d’Ambro, non è breve poiché l’accesso è da un’altra vallata (Bolognola) e per il giro così descritto occorrono 7h30’. L’esposizione a est del Canale della Clessidra aiuta a stabilizzare presto il manto nevoso, tanto che può presentare firn anche in inverno, ma c’è da ricordare che l’avvicinamento avviene da nord, e questo può avere qualche pericolo oggettivo (vedi note climatiche), specie in inverno. Visti i differenti versanti che si andranno a sciare e la difficoltà di osservare la presenza di neve nel Canale della Clessidra, si consiglia di fare una “due giorni” nella quale si scelga prima un itinerario più facile e di perlustrazione, magari scendendo dalla Pescolletta fino al Casale Rinaldi, base ideale per altre bellissime uscite nel vicino Pizzo Berro (2259m). LOCALITÀ DI PARTENZA. Piazzale della Pintura di Bolognola q. 1337m. ACCESSO STRADALE. Dalla comoda superstrada (SS77var) che collega l’Umbria alle Marche, tra le città di Macerata e Foligno, all’altezza di Polverina, si esce in direzione Bolognola, distante 21km. Giunti al paese si prosegue per gli impianti di Pintura di Bolognola; dopo 4km si perviene a un piazzale lasciando l’auto nel parcheggio antistante il Ristorante La Capanna di Pintura di Bolognola (q. 1337m). PUNTI DI OSSERVAZIONE. Solo lungo l’itinerario. PUNTI DI APPOGGIO. La zona era abbastanza turistica fino al terremoto del 2016. Ora è da verificare. ITINERARIO. Dal piazzale della Pintura di Bolognola (q. 1337m) percorrere la sterrata in direzione Forcella del Fargno (indicazioni) per circa 3,5km, fino a superare gli ultimi faggi che costeggiano la strada e una evidente parete rocciosa. Quindi raggiungere Forcella Bassete (q. 1701m) risalendo il ripido pendio a sx o il vicino e inciso canale. Dalla sella, scivolare in leggera diagonale sul versante

(© Mauro Pietrantoni)  

Pizzo Tre Vescovi Forcella Angagnola 02 02

ta

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Forcella Bassete

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02 Sibillini > Settore Settentrionale  Pizzo Tre Vescovi Canale della Clessidra

opposto in direzione SW, mantenendosi alti sulla evidente depressione della Pescolletta, fino al caratteristico canalino centrale, porta d’accesso per le pendici del Pizzo Tre Vescovi. È preferibile ora guadagnare la cresta est, ove possibile, per osservare la parte superiore della via di discesa, visibile fino al collo di bottiglia, per poi successivamente raggiungere la vetta (2092m); 2h15’. DISCESA. Scendere in direzione della Forcella Angagnola (q. 1924m), abbassandosi lungo la cresta sud fino a raggiungere la sella che si affaccia a est verso l’invitante e ripido scivolo che scende a perpendicolo sulla Valle dell’Ambro. Dopo il ripido inizio, nella conca la pendenza tende a diminuire e diviene godibilissima fino alla strettoia centrale, il passaggio chiave del canale: un improvviso cambio di pendenza (fino a 50°) che può presentare insidiose fratture del manto nei punti ove cambia la pendenza. Usciti dal ripido toboga, il pendio si addolcisce e consente una piacevole discesa fino a raggiungere la sterrata (q. 1450m). Per un veloce rientro prendere la sterrata in direzione E che risale alla Forcella Bassete, oppure come segue (consigliabile). 2° Salita Pizzo Tre Vescovi. Raggiungere in breve il Casale Rinaldi (q. 1601m) e risalire in direzione NW la conca glaciale fino a superare un grande masso che troneggia nel mezzo; quindi voltare poco sopra a dx per un evidente scivolo di neve che consente di uscire più in alto, sull’aperto pendio che precede l’ampia sella della Forcella Angagnola (q. 1924m). Seguendo la cresta in direzione nord, si torna velocemente sulla cima del Pizzo Tre Vescovi (2h dalla Val d’Ambro), ormai pronti al rientro verso Forcella Bassete e l’itinerario dell’andata, su neve spesso ammorbidita.

(© Giulio Tomassini)  

Canale della Clessidra

Forcella Angagnola Colle BassetePescolletta 64


CONSIGLI CLIMATICI E NIVOLOGICI. Per sciare la “est” bisogna traversare sotto la “nord” del M. Castel Manardo. In inverno questo versante si presta a valanghe di fondo non appena le temperature salgono causa libeccio o scirocco, più raramente in caso di molta neve fresca. Si consiglia pertanto di aspettare qualche giorno di tempo stabile ed evitare giornate calde e ventose di libeccio. Nel caso si fiuti il pericolo, si consiglia di salire direttamente la vetta del M. Castel Manardo per le piste da sci lungo lo ski-lift “Porte di Berro” (q. 1638m) poi fino in cima (1917m). Ora in direzione W si scende alla Forcella Bassete, scavalcando due cocuzzoli e ricollegandosi all’itinerario originale (2h; considerare 1h in più). NB. Nel caso il Canale della Clessidra risulti interrotto, si sconsiglia di seguire il sentiero che taglia a sx (faccia a valle) su pendio ripido con erba spesso bagnata ed esposto su salti di roccia; meglio quindi rimontare in salita fino al punto dove si è iniziata la discesa o guadagnare, in prossimità del bordo alto, la più comoda uscita appena sotto la rocciosa sponda nord dell’anfiteatro. BIBLIOGRAFIA. Scialpinismo sui Monti Sibillini G. Mainini, P. Renzi (2007).

Sulla Est del Pizzo, seconda discesa della giornata (come consigliato in relazione) a patto di risalire al Pizzo Tre Vescovi per la Forcella Angagnola (© Giulio Tomassini)  

Forcella Bassete

Pescolletta

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Mirja Geh / Red Bull Content Pool

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