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RIGENERAZIONE URBANA, minacce e opportunità

2 parte

Nell’intervento scorso abbiamo visto i benefici portati da una maggiore tutela ambientale e dalle nuove modalità di fruizione dei servizi in chiave tecnologica delle nuove città. Ora analizzeremo le minacce.

Dopo aver esaminato le tante opportunità portate dal fenomeno che va sotto il nome di Rigenerazione Urbana, notiamo, però, che le minacce sono altrettanto presenti e i rischi di vanificare questa ondata e trovarsi a inseguire altri paesi o tendenze sono molto concreti. Una prima minaccia è la storica miopia del pianificatore. Occorre superare la tradizionale legislazione – anche regionale ove, in concreto, costituisce una replica dei cosiddetti “piano-casa”. Molto spesso, infatti, si mascherano così operazioni che, seppur non propriamente speculative, sono essenzialmente di valorizzazione immobiliare. Al contrario, la rigenerazione urbana si dovrebbe caratterizzare per un più complesso progetto di rilancio dei territori e dei contesti urbani, partendo dalle necessità della riqualificazione anche fisica di alcuni quartieri e dei relativi spazi pubblici, avendo come orizzonte la promozione sociale di quei quartieri nel loro complesso. In altri termini utilizzando un approccio integrato mirato allo sviluppo locale dei quartieri attraverso l’interdisciplinarità, sviluppando e favorendo iniziative culturali e sociali, le economie locali, la riappropriazione degli spazi attraverso la generazione di servizi di quartiere, l’attenzione ai cicli naturali anche nella creazione di mercati per la filiera agroalimentare locale ecc. Una seconda minaccia è la atavica inadeguatezza della pubblica amministrazione a favorire i processi di rigenerazione. Ciò avviene non soltanto a causa di una legislazione complessa, spesso inadeguata a recepire le istanze di ripresa, quanto piuttosto contraddittoria nelle sue esplicitazioni decentralizzate o riguardanti diverse discipline. Anche ove lo slancio normativo in corso sia in grado di col-

mare queste lacune, resterà da superare lo scoglio della eccessiva burocrazia che spesso rende vani gli sforzi del proponente privato e - quale paradosso - anche di quello pubblico, ove si fa promotore di piani di riqualificazione, di E.R.P., di interventi infrastrutturali ecc. Non è un caso che esempi virtuosi di attuazione di interventi publici si trovino nel cosiddetto “modello commissariale”, una vera e propria deroga alle normative sugli appalti pubblici che si inizia a vedere come possibile regola. Al privato restano solo le armi di paziente e durevole capacità economica per affrontare sistemici “intoppi” nel progetto di rigenerazione proposto. Un’altra minaccia, apparentemente meno rilevante, è costituita dagli sviluppi di immobili corporate (rientranti fra i 5 milioni di mq sopra ricordati) che non riescono a partire per un mercato fortemente orientato verso immobili locati con profilo di rischio contenuto. A frenare l’interesse sono anche le eccessive aspettative di valore per aree e immobili dismessi, che rischiano di pregiudicare qualsiasi pianificazione di rischio/ rendimento. Ribaltamenti di prospettiva che pospongano, per esempio, la remunerazione ad avvenuto processo di riqualificazione, rischiano di rimanere teoria. Sarebbe viceversa opportuno, anche qui, considerare l’intervento del soggetto pubblico con dotazioni finanziarie per colmare quella differenza di valore fra l’aspettativa del proprietario e quella dello sviluppatore/investitore, sul presupposto di un interesse pubblico che, attraverso il recupero di tali aree o immobili dismessi, comporti benefici per i territori e le comunità. Infine, non meno importante ma quasi mai considerata è la variabile di confronto con il territorio. La rigenerazione, infatti, dovrebbe operarsi anche attraverso il coinvolgimento degli abitanti, per raccoglierne le esigenze e tramutarle in input progettuali, il lavoro di ascolto e confronto sul campo, la valorizzazione e lo stimolo di forme collaborative di quartiere e dei soggetti che già operano sul territorio. In caso contrario, i progetti vengono calati dall’alto e spesso la collettività locale non ha altra via d’uscita se non quella della cosiddetta “ingiustizia accettabile” ovvero non sentirsi soddisfatto ma dover accettare per assenza di alternative. Ci meritiamo di più.n

Alberto Deiana

Project Management and Real Estate Executive, Mi.No.Ter.

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