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NORMATIVE CAM, “un’opportunità per il mondo produttivo” di Valerio Pasi

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MERCATI

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CAM,

«UN’OPPORTUNITÀ PER IL MONDO PRODUTTIVO»

Lo scorso agosto sono entrati in vigore i Criteri Ambientali per il servizio di gestione del verde pubblico e la fornitura di prodotti per la cura del verde. Abbiamo intervistato Nada Forbici, presidente di Assofloro, per chiederle la sua opinione e raccogliere la visione dei produttori testo e foto di Valerio Pasi

Nada Forbici, presidente di Assofloro.

Nel bel mezzo della bufera Covid-19, il 4 aprile 2020 con Decreto 10 marzo 2020 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i nuovi Criteri

Ambientali Minimi (di seguito CAM) per il servizio di gestione del verde pubblico e la fornitura di prodotti

per la cura del verde, che sono entrati in vigore dopo 120 giorni, ovvero il 2 agosto 2020. Tre sono gli ambiti di applicazione: il servizio di progettazione di nuova area verde o riqualificazione di area già esistente; il servizio di gestione e manutenzione del verde pubblico; la fornitura di prodotti per la gestione del verde. Ben rilevanti dunque le novità, che non si limitano a indicazioni circa gli ammendanti, gli impianti di irrigazione e le piante ornamentali, come nei CAM precedenti (DM 13 dicembre 2013). Su questo importante tema ci sembra corretto conoscere il punto di vista dei vivaisti italiani. A tal proposito, abbiamo intervistato Nada Forbici, presidente Assofloro, per farci un’idea posando lo sguardo anche da un’altra prospettiva.

“I criteri premianti sono stati introdotti per avere un minimo di oggettività e pari condizioni nel punteggio tecnico in fase di graduatoria per l’assegnazione dell’appalto”

Nel Decreto sono rilevanti i criteri riguardo la scelta degli elementi vegetali in fase progettuale, ove si impone di fatto la scelta delle specie, selezionando quelle autoctone, “al fine di favorire la conservazione della natura e dei suoi equilibri”. Il concetto viene ripreso anche per i criteri riguardanti la fornitura del materiale florovivaistico: le specie vegetali appartengono preferibilmente alle liste delle specie della flora italiana riconosciute dalla comunità scientifica.

Le ripercussioni di queste scelte a livello economico sui vivai italiani, già in crisi da diversi anni, saranno sicuramente pesanti, ora che vedono precluso un mercato sinora parte dello sbocco naturale della produzione. Cosa ne pensa in merito?

«Penso che questa scelta sarà un’opportunità per le aziende vivaistiche se sapremo unire quello che da molto tempo auspichiamo, i contratti di coltivazione. Uno strumento

fondamentale per la programmazione del vivaismo, sia in termini di specie coltivate che possano meglio rispondere alla crisi climatica sia per quantità disponi-

bili. In Italia questo è avvenuto, ad esempio, in occasione di Expo 2015 e stiamo per avviare i lavori con enti e istituzioni preposte perché possano diventare uno strumento diffuso nei processi di acquisto di piante da parte delle amministrazioni pubbliche».

Contenitore alveolato.

Assofloro, unica associazione di secondo livello con rappresentanza nazionale nel settore del florovivaismo e del paesaggio, è l’organismo di categoria degli enti e delle associazioni della filiera del verde, della filiera del paesaggio, della filiera dell’ambiente e dei settori produttivi attinenti o contigui alle tre filiere.

Assofloro è riconosciuta dalle istituzioni e dal mondo imprenditoriale come un interlocutore affidabile e rappresentativo della filiera del verde italiana.

Assofloro, di cui lei è presidente, è stata coinvolta in qualche forma nella stesura del Decreto, anche attraverso tavoli tecnici?

«Sì, certamente. Abbiamo partecipato attivamente al gruppo di lavoro organizzato dalla Divisione II: Clima e certificazione ambientale del Ministero dell’Ambiente che ha la competenza su Acquisti Verdi (o GPP-Green Public Procurement), all’interno di cui sono inseriti i CAM. Nel corso dei lavori, durati circa un anno, è stato coinvolto

anche il tavolo tecnico del florovivaismo presso il Ministero delle Politiche Agricole, che ci vede altresì pre-

senti in rappresentanza del sistema imprenditoriale».

Le risulta che altre associazioni del mondo del florovivaismo siano state coinvolte attivamente?

«Sì, hanno partecipato anche altre realtà associative del mondo imprenditoriale florovivaistico».

Però nel decreto non vi è alcun riferimento ai contratti di coltivazione.

«Sì, è vero: al momento è presente un Disegno di Legge, che di recente ha ripreso la discussione, cui Assofloro è stata chiamata a interagire nella fase emendativa, motivo per il quale ribadiamo la necessità e il sostegno a questo importante strumento. Se verranno dati gli strumenti corretti al sistema produttivo sicuramente l’offerta sarà in grado di rispondere alla domanda di piante autoctone, che al momento nei vivai vengono coltivate solo in minima parte in quanto gran parte delle specie ornamentali

coltivate sono originarie di altri Paesi anche se coltivati e utilizzati da secoli in Italia proprio per le loro caratteristiche ornamentali e l’adattabilità al nostro ambiente

(a eccezione dei vivai che coltivano piante per attività di forestazione, dove sono presenti solo specie autoctone di provenienza certificata)».

Relativamente alle clausole per la fornitura del materiale florovivaistico, i contenitori e gli imballaggi se in plastica devono avere un contenuto minimo di riciclato del 30%, devono essere riutilizzati, ovvero restituiti al fornitore a fine uso, e devono essere riciclabili. Se realizzati in altri materiali, devono essere biodegradabili qualora destinati a permanere con la pianta nel terreno oppure compostabili e avviati

a processo di compostaggio a fine vita. Quale pensa che sia la situazione attuale al riguardo presso le aziende di produzione italiane?

«Attualmente le aziende sono lontane dallo scenario dei materiali biodegradabili, soprattutto per quanto riguarda i contenitori compostabili. Diverso il discorso legato al riutilizzo, che per altro viene sostenuto e incentivato anche per evitare un aggravio di costi gestionali per le aziende dovuti allo smaltimento. Il fatto è che il vivaismo sta subendo forti criticità derivanti dalla crisi iniziata del 2007. Di fronte al crollo delle vendite, nell’ultimo decennio non sono stati programmati nuovi investimenti e molto spesso nemmeno nuove produzioni, soprattutto per quanto riguarda le alberature. È certamente necessario spingere le aziende

verso un aggiornamento e una maggiore sostenibilità ambientale ma occorre tenere conto delle difficoltà di

avviare questi progetti strutturali per via della crisi che, fino a ora, ha consentito alle aziende di mantenere una redditualità ma non di fare investimenti sia per quanti riguarda le nuove produzioni sia nelle innovazioni».

Tra i criteri premianti si attribuisce un punteggio tecnico premiante proporzionale al minore impiego di torba rispetto ad altre tipologie di substrato utilizzato per la coltivazione delle specie offerte. I produttori italiani hanno già ridotto l’impiego di torba? In che misura e favore di quali materiali?

«Sì, l’impiego di torba è stato ridotto a favore di altri materiali, quali ad esempio la fibra di cocco. Si segnalano situazioni contrastanti, in quanto dal punto di vista fitosanitario, per l’export, si dovrebbe avere come substrato solo la torba. In questa situazione non è possibile pensare di diversificare la produzione. I criteri premianti sono stati introdotti per avere un minimo di oggettività e pari condizioni nel punteggio tecnico in fase di graduatoria per l’assegnazione dell’appalto. Si stanno affacciando a mercato nuovi materiali: i CAM saranno soggetti ad

aggiornamenti, lavoreremo per rendere applicabile

anche questa necessità che proviene dell’Europa, con lo scopo di rendere tutto il ciclo delle nostre produzioni più sostenibili dal punto di vista ambientale, ovviamente confrontandoci prima con il comparto vivaistico, che è il nostro modo di agire».

Si attribuisce un punteggio tecnico premiante proporzionale al numero di piante e/o alberi prodotti in conformità al regolamento (CE) n. 834/2007 relativo alla produzione biologica. Dall’entrata in vigore del regolamento (UE) 2018/848 e cioè il 1/1/2021 si possono produrre coltivazioni in vaso di vegetali per la produzione di piante ornamentali vendute in vaso al consumatore finale in deroga al principio generale per cui le colture biologiche, sono prodotte su suolo vivo, o su suolo vivo mescolato o fertilizzato con materiali e prodotti consentiti nella produzione biologica, in associazione con il sottosuolo e il substrato roccioso. Quindi si possono produrre bio le autoctone solo in pieno campo, con tutto quello che ne consegue (zolla, radice nuda, limitazioni sul periodo di impianto, ecc.). Crede che si possa creare una filiera bio per il settore vivaistico economicamente conveniente?

Torba.

“Vogliamo continuare a credere, e devo dire che qualche

passo in avanti lo si sta facendo, che le istituzioni ascoltino le rappresentanze ai Tavoli Tecnici ”

Photinia in vaso. «Per i motivi precedentemente esposti, legati alla crisi del settore e alla conseguente mancanza di investimenti, credo che attualmente sia molto complicato per le aziende poter produrre in modo biologico. Si può pensare tutt’al più a una filiera bio per le piante ornamentali. Per le autocto-

ne si dovrà necessariamente ripensare la cosa, nell’otti-

ca di un protocollo di “coltivazione sostenibile”».

Sappiamo che per le piante ornamentali la soglia di danno da parassiti e patogeni accettabile è zero. Le colture bio invece hanno una soglia di danno ben più alta e spesso presentano segni o presenza di malattie, parassiti ecc. che nell’ambiente di coltivazione sono in equilibrio con gli antagonisti naturali o introdotti.

Però la presenza di alterazioni non è ammessa per il materiale vegetale da fornire alla PA. Non le pare che la cosa sia in contrasto e difficilmente realizzabile?

«Vede, il problema sostanziale è che spesso chi pensa le norme per il sistema produttivo lavora nei palazzi e non sempre si rende conto che ciò che viene chiesto alle aziende spesso è irrealizzabile. Vogliamo continuare a credere, e devo dire che qualche passo in avanti lo si sta facendo, che le istituzioni ascoltino le rappresentanze ai Tavoli Tecnici. Forse un’azione importante da farsi è quella di rende-

re maggiormente operativi questi Tavoli, riducendo il numero dei partecipanti, non certo per non essere inclusivi, ma perché debba avere voce solo la vera rappresentanza del settore che a sua volta ha discusso e

condiviso con le aziende la corretta propositività. Oggi purtroppo non funziona così e questo è e resta un male italiano… Problema che è stato fatto presente ai Tavoli di lavoro e ribadito più volte, ma per il momento non è stato tenuto nella giusta considerazione».

L’impressione generale che è emersa dall’analisi critica dei CAM è quella di un provvedimento scritto da molte mani diverse, ognuna chiusa nel suo mondo e completamente privo di una visione d’insieme, che coordini le varie parti del sistema. Qual è la sua opinione in merito?

«I CAM sono stati il frutto della ricerca di tante competenze assolutamente non coordinate, anche per le motivazioni che le riportavo appena sopra. In questa sede particolare si è affrontato un Tavolo con diverse competenze, ma a compartimenti stagni, trovando difficoltà a un dialogo costruttivo finalizzato all’ottenimento di un documento coordinato e condiviso. Vi sono stati dibattiti anche duri, ove si è faticato a trovare punti di incontro e non sempre esaustivi per il sistema imprenditoriale. Il tutto reso molto complicato anche da una mancanza di coordinamento tra i diversi ministeri. Con questi metodi di procedere nelle discussioni sui Tavoli non si potrà mai arrivare alla stesura di un documento con una visione di insieme che finalizzi le azioni al risultato che si vuole ottenere. La politica ha

necessità di supporto tecnico da chi gli argomenti li conosce a partire dal “campo”, solo in questo modo si

potrà avere un valido e concreto supporto dalla stessa. La presenza e l’importanza del mondo imprenditoriale è cruciale per scelte di questo genere, perché, al di là dei principi, se si danno regole impraticabili nel mondo reale dell’impresa, sarà tutto vano. Concludendo vorrei dire che

Assofloro ha creduto fin dall’inizio nell’importanza di lavorare ai nuovi Criteri Ambientali Minimi per la progettazione e la manutenzione del verde pubblico

perché pensiamo che siano uno strumento che, insieme ad altri, possa migliorare oltre che l’ambiente in cui viviamo, anche il sistema degli appalti pubblici che riguardano il nostro settore. La gestione del verde urbano necessita di un approccio strategico e integrato, guidato dalla consapevolezza che il verde è un bene comune e non deve essere considerato un costo, ma una risorsa, un patrimonio di tutti. E, da qui, l’importanza crescente di una sua gestione consapevole e che guardi alla qualità e alla sostenibilità. Per questo abbiamo chiesto e ottenuto che il gruppo di lavoro al Ministero dell’Ambiente rimanga attivo così che si possa fare una verifica dell’effettiva applicazione dei

CAM negli appalti del verde pubblico e che il documento possa essere integrato e migliorato in funzione delle esperienze che si avranno tra 2-3 anni dall’entrata vigore.

L’attuale sistema, come è noto, condiziona in negativo la qualità del verde urbano vanificando tutti gli sforzi per incentivarlo, promuoverlo, migliorarlo. Sempre sul fronte della produzione ci sarebbe da dire molto anche sulla qualità vivaistica del materiale impiegato nei lavori pubblici, frutto degli acquisti al massimo ribasso, nell’ambito degli appalti per la manutenzione del verde. Assofloro sta attivando concretamente sinergie e interlocuzioni con istituzioni ed enti di riferimento, per cercare di risolvere questi problemi. Non possiamo continuare a dire che il verde è importante per la salute e l’economia e continuare a gestirlo con dinamiche che danneggiano il verde stesso e anche le imprese del settore».

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